Ortaggi cereali e legumi

 

 

 

Ortaggi cereali e legumi

 

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Ortaggi cereali e legumi

 

Soia: Glycine max., ordine: Leguminose, Fam.: Papilionaceae, Tribù: Phaseoleae. Francese/spagnolo: Soya; Inglese: Soybean.

Pianta erbacea annuale estiva, originaria dell'Asia centro-orientale, interamente coperta di peli bruni o grigi, alta da 70 a 130 cm, a portamento eretto o cespuglioso. L'apparato radicale fittonante ha una media capacità di penetrazione nel terreno. Le radici sono colonizzate da uno specifico simbionte (Rhizobium japonicum). Le foglie sono trifogliate (unifogliate il primo paio). I fiori, riuniti in gruppi di 2-5 a formare delle infiorescenze, dette racemi, sono in posizione ascellare nelle varietà indeterminate (con accrescimento che continua anche dopo l'inizio della fioritura), mentre sono posti anche all'apice in quelle determinate (si ha l'arresto dello sviluppo quando compare all'apice un lungo racemo composto da diversi fiori). I fiori, di colore bianco o viola, sono caratterizzati da fecondazione autogama. Non tutti danno luogo a frutti fertili: si ha, infatti, una elevata percentuale di aborti. I frutti sono baccelli villosi, appiattiti, penduli, contenenti 3-4 semi. I frutti sono tondeggianti(ma anche ovale e più o meno appiattito), di colore giallo, bruno, verdognolo o nero, con ilo piccolo e poco marcato. I semi hanno un peso oscillante tra 50 e 450 mg (100-200 nelle cultivar da olio). L'olio e le proteine sono concentrati per la massima parte nei cotiledoni. Fino alla fine dell'Ottocento era coltivata solo in Cina. Nella seconda metà del XX secolo ha avuto un notevole sviluppo. Gli Stati Uniti sono il maggiore produttore mondiale. In Europa è coltivata in Francia e Italia per via della ricchezza dei semi in olio (18-20%) e proteine (40%).

Pianta originariamente brevidiurna (per fiorire ha bisogno di notti piuttosto lunghe); nelle varietà attualmente coltivate presenta comportamenti diversi nei confronti della luce, tanto che molte varietà precoci sono fotoindifferenti. Per quanto riguarda l'acqua, la soia consuma la metà dell'acqua rispetto al mais. Per il terreno la soia non ha particolari esigenze: sono sconsigliabili solo i terreni troppo umidi e quelli troppo sciolti. Per quanto riguarda il pH predilige terreni con pH 6,5. E' in grado di tollerare, senza apparenti riduzioni produttive, una moderata salinità.

Nell'avvicendamento la soia ha il ruolo di pianta miglioratrice della fertilità del suolo a ciclo primaverile-estivodopo l’ orzo, con semina entro metà giugno. La soia entra in simbiosi con un microrganismo azotofissatore specifico, Rhizobium japonicum, che nei terreni nuovi alla coltivazione della soia è assente. Per questo, quando si vuole coltivare la soia su un terreno che non l'ha mai ospitata, è indispensabile inoculare il seme con apposite colture microbiche. La semina viene fatta a righe distanti 40-45 cm con una quantità di seme atta a produrre 30-35 piante a metro quadrato alla raccolta per le varietà tardive e di circa 40 piante a metro quadrato per quelle in secondo raccolto. La soia, se normalmente nodulata, è in pratica autosufficiente per l'azoto.

La raccolta ha inizio quando la pianta è quasi completamente defogliata e presenta steli e semi di colore marrone. L'epoca di raccolta in Italia cade in settembre nel caso di coltura principale, in ottobre avanzato nel caso di coltura intercalare. L'umidità del seme alla raccolta deve essere intorno al 12-14%; se superiore è necessaria l'essiccazione. Per una buona conservazione il seme di soia, in quanto oleaginoso, deve essere immagazzinato con un'umidità del 10-12%. Prodotti tradizionali orientali derivanti dal seme intero

- Latte di soia: prodotto tradizionale asiatico ottenuto da seme macinato, estratto a caldo in acqua e bollito.

- Tofu o formaggio di soia: latte di soia coagulato con sali di magnesio o aceto; l'umidità varia per preparazioni e stagionatura;

- Tempeh: seme decorticato, bollito in acqua e fermentato per 24-48 ore da un fungo (gen. Rhizopus); si hanno forme che vengono affettate e fritte.

- Prodotti fermentati (salse e bevande), tipici della cucina orientale.

- Le varietà a seme piccolo forniscono, se fatte germinare, i germogli di soia, consumati come ortaggio fresco.

 

Cicerchia: è una leguminose da granella originaria del bacino del Mediterraneo, di antichissima coltura, ma limitata a causa della cattiva qualità alimentare dei suoi semi, che producono una sindrome neurotossica (latinismo), con convulsioni e paralisi, se consumata in grande quantità dagli uomini o dagli animali. Pianta annuale, ramificata, a portamento semiprostrato, con steli glabri, glauchi, caratteristicamente alati; le foglie sono alterne, costituite da un picciolo alato portante un paio di foglioline ellittiche, oblunghe e un cirro semplice o ramificato, molto lungo; i fiori sono singoli e dopo la fecondazione, che è autogamia, formano un baccello compresso contenente da 2 a 5 semi; i semi sono schiacciati, piuttosto angolosi, di colore bianco o bruno marezzato, di 4-6 mm di diametro e di circa 270 mg di peso.  È pianta microterma che ha esigenze termiche intermedie tra quelle della lenticchia e quelle del cece. Si adatta ai terreni anche molto magri e ciottolosi, purché non soggetti a ristagni d’acqua. Si semina per lo più in autunno per essere raccolta in giugno-luglio. La sua estrema rusticità consente a questa pianta di dare produzioni superiori a quelle di altre leguminose, ad esempio della lenticchia, in ambienti molto magri e avversi. Può essere danneggiata dai venti caldi e dall'eccessivo calore, ai quali va spesso attribuito lo striminzimento dei semi. Nocivi alla coltura risultano anche i tonchi e Afidi vari

 

Cece: non esiste allo stato selvatico, ma solo coltivato. La regione di origine è l’Asia occidentale da cui si è diffuso in India, in Africa e in Europa in tempi molto remoti: era conosciuto dagli antichi Egizi, Ebrei e Greci.

Il cece è la terza leguminose da granella per importanza mondiale, dopo il fagiolo e il pisello. La superficie coltivata nel mondo è di circa 11 milioni di ettari. La maggior parte del prodotto è consumata localmente. I semi secchi del cece sono un ottimo alimento per l’uomo, ricco di proteine (15-25%) di qualità alimentare tra le migliori entro le leguminose da granella. In Italia la superficie a cece è scesa a meno di 3.500 ettari, quasi tutti localizzati nelle regioni meridionali e insulari. pianta annuale, con radice ramificata, profonda (fino a 1,20 m), il che la rende assai aridoresistente; gli steli sono ramificati, eretti o semiprostrati, lunghi da 0,40 a 0,60 m; le foglie sono composte, imparipennate, con 6-7 paia di foglioline ellittiche denticolate sui bordi, i fiori sono generalmente bianchi, per lo più solitari, dopo la fecondazione del fiore, che è autogamia, si forma un legume ovato oblungo, contenente 1 o talora 2 semi. Tutta la pianta è verde grigiastra e pubescente per la presenza su tutti gli organi di fitti peli ghiandolari che secernono una soluzione acida per presenza di acido malico e ossalico. I semi sono rotondeggianti e lisci in certi tipi, rugosi, angolosi e rostrati (“a testa di ariete”) in altri, il colore più comune è il giallo, ma ci sono ceci con tegumento seminale rosso o marrone. Le dimensioni dei semi sono determinanti del pregio commerciale dei ceci: esistono varietà a seme grosso e varietà a seme piccolo; certi mercati (Italia, Spagna e Nord-Africa, dove questo legume è consumato intero) accettano solo ceci a seme grosso, apprezzandoli tanto più quanto più grosso è il seme, su altri mercati (Medio Oriente, Iran, India) prevalgono i ceci a semi piccoli, che trovano impiego in preparazioni alimentari che ne prevedono la sfarinatura. Germina con sufficiente prontezza con temperature di circa 10 °C. la germinazione è ipogea e le plantule non hanno particolari difficoltà ad emergere dal terreno. Resiste al freddo meno della fava tant’è che in tutto il bacino del mediterraneo il cece si semina a fine inverno e si raccoglie in luglio-agosto, mentre solo nei Paesi a inverno molto mite (India, Egitto, Messico) l’epoca di semina è l’autunno. Il cece è una pianta a sviluppo indeterminato, che incomincia a fiorire a partire dai nodi bassi e la cui fioritura prosegue per alcune settimane. L’allegagione in genere è piuttosto bassa: per cause varie (alta temperatura o alta umidità o attacchi crittogamici) è normale che quote assai forti di fiori abortiscano. Pianta assai rustica, adatta al clima caldo-arido, perché resiste assai bene alla siccità mentre non tollera l’umidità eccessiva.

Per quanto riguarda il terreno il cece rifugge da quelli molto fertili, dove allega male, e soprattutto da quelli argillosi e di cattiva struttura, quindi asfittici e soggetti a ristagni d’acqua. I terreni più adatti sono quelli di medio impasto o leggeri, purché profondi, dove il cece può manifestare appieno la sua caratteristica resistenza alla siccità. Il cece ha un basso livello di tolleranza alla salinità del terreno. Nei terreni molto ricchi di calcare i ceci risultano di difficile cottura. La raccolta del cece si fa estirpando le piante a mano e lasciandole completare l’essiccazione in campo in mannelli; la sgranatura fatta a mano. La paglia di cece non è apprezzata come foraggio così come lo è quella di altre leguminose.

 

Fava e favino: La raccolta dei baccelli di fava da orto per consumo fresco si fa a mano. La raccolta dei semi secchi si fa quando la pianta è completamente secca. L’epoca di raccolta è la metà di giugno nell’Italia meridionale, la fine di giugno in quella centrale, la metà di luglio nell’Italia settentrionale con semina primaverile. Produzioni medie più frequenti in Italia, con alti rischi di avere in certi anni rese anche assai inferiori a causa di fattori non o mal controllati dall’uomo (freddo, siccità, attacchi di ruggini o di afidi, virosi).

La produzione di baccelli per il consumo fresco (fava da orto) è dell’ordine di 20-30 t/ha. La produzione di semi freschi per l’industria è considerata buona quando giunge a 5-6 t/ha. I semi di fava secchi hanno un alto contenuto proteico: la loro composizione media è infatti la seguente: sostanza secca 85%, sostanze azotate 23-26%, ceneri 3%, grassi 1,2%, fibra grezza 7%, estrattivi in azotati 48%.

 

Cavolo: Conosciuto fin dall'antichità il cavolo (Brassica oleracea - fam. crucifere) era considerato sacro dai Greci; i Romani lo utilizzavano per curare le più svariate malattie e lo mangiavano crudo. Presso le popolazioni marinare il cavolo (insieme alla cipolla) era l'alimento tipico degli equipaggi delle navi, utilizzato per compensare le diete necessariamente povere durante i viaggi per mare (contro lo scorbuto). Tempo balsamico da dicembre a marzo.

Azione farmacologica: é una delle verdure più "benefiche": rinforza le difese immunitarie, ha una funzione preventiva nei confronti di molti tumori. Le sue foglie ed in particolare quelle esterne è bene mangiarle in insalata, affinché non perdano le loro prerogative. Esse contengono una buona quantità di vitamine A- B1- B2- C- K- ed U (una delle ultime vitamine arrivate, con la funzione di combattere l'ulcera gastrica, l'ulcera duodenale e le ulcere intestinali), zolfo, ferro, calcio, fosforo, potassio, e magnesio. Il cavolo svolge anche una funzione depurativa dell'organismo, poiché partecipa all'eliminazione dei residui e dei veleni che causano o mantengono una malattia. Inoltre favorisce le cicatrizzazioni prevenendo ogni conseguenza. Per uso esterno è vulnerario (cicatrizzante delle ferite). Per quanto riguarda invece l'uso interno il cavolo ha proprietà nutritive: è antianemico, rivitalizzante ed autoimmunizzante. E' molto utile contro bronchiti, coliti, congiuntivite, contusioni, sinusite, diabete, diarree e dissenterie, dolori gastrici ed intestinali, dolori muscolari e reumatici e influenza. La cottura distrugge la vitamina U: è quindi opportuno consumare il cavolo sotto forma di succo fresco, poiché sembra che la sua azione sia minore quando viene preparato molto tempo prima del consumo. Si può anche preparare il cavolo a strisce sottili, come antipasto crudo. Occorre rilevare inoltre che, contrariamente a tenaci pregiudizi, il cavolo si rivela estremamente prezioso per lo stomaco e l'intestino, sia che venga utilizzato come succo o crudo come antipasto o ancora cotto a stufato. E' tollerato da tutti gli organismi. La ricchezza del cavolo in zolfo, arsenico, calcio, fosforo, rame, iodio può spiegare le sue virtù digestive, rimineralizzanti e ricostituente cerebrale (1 kg di cavolo da un apporto di 2,5 gr di fosforo). Infine grazie al suo contenuto di vitamina B1, è un fattore di equilibrio nervoso. Sciacqui con il succo di cavolo curano l'afonia. Sempre con il succo si cura la sordità. Il più salutare è quello rosso da consumare crudo, in caso di intolleranza anche cotto. 

 

Senape selvatica: (sinapsis arvensis o brassica arvensis) piante erbacea annuale polimorfa, originaria dell'Europa, Infestante di colture erbacee ed arboree e degli incolti, ruderi; da 0 a 1.400 m. Costituisce ciuffi di fusti sottili, rigidi, eretti o ascendenti, striati e ramosi (altezza sino a 120 cm) che portano numerose foglie di colore verde scuro, opache, sessili, ovali allungate, dentate, lunghe fino a 15-20 cm; da maggio a settembre all'apice dei fusti sbocciano numerosi piccoli fiorellini di colore giallo vivo a simmetria dimera; in autunno i fiori lasciano spazio ai frutti: lunghi baccelli contenenti piccoli semi scuri. S. alba è molto simile, ma produce baccelli più corti con semi gialli. Con i semi della Senape si preparano ottime salse utilizzate per accompagnare piatti di carne e di verdure; le foglie si possono consumare cotte ed hanno un sapore simile agli spinaci; i semi appena germinati si consumano in insalata. la Senape ama zone molto soleggiate, muore all'arrivo dei freddi, va quindi posta a dimora all'inizio della primavera, per raccogliere i semi alla fine dell'estate; i piccoli semi si possono conservare subito, oppure vanno conservati in contenitori ermetici dopo averli fatti ben seccare. Cugine: Sinapis alba cresce negli stessi ambienti, ma si differenzia per i frutti pubescenti e per i semi di colore giallastro. (coltivata per la produzione della senape bianca).

Per uso esterno la Senape è indicata in caso di reumatismi e affezzioni delle vie respiratorie, indicata anche per pediluvi. Le foglie giovani, possono essere utilizzate come condimento per insalate a cui aggiungono un sapore piccante, oppure possono essere bollite e utilizzate come gli spinaci. Le cime apicali, prima della fioritura, possono essere cucinate come i broccoli, di cui ricordano anche il sapore. I semi contenuti nelle silique, la rendono appetibile ai più comuni uccelli granivori, per i quali rappresenta un ottimo alimento. Dai semi è possibile ricavare un olio commestibile, impiegato anche nella fabbricazione di sapone. Buona mellifera.

Piedi freddi? Pestate i semi di Senape e distribuiteli nelle calze!!!

 

Cardo: (Cynara cardunculus) ortaggio simile al carciofo (anche detto carciofo selvatico, caglio, cardo spinoso). Del cardo si consumano le coste, che vanno cucinate e consumate subito dopo averle pulite. Prima della cottura è consigliabile lessare i cardi in acqua con il succo di mezzo limone; in questo modo si evita che le coste anneriscano. Giunge a maturazione in inverno, ed è in questa stagione che viene consumato soprattutto in Piemonte

Cardo Mariano: (Silybum Marianum Gaertn, fam. compositae), esistono molte varietà di cardi, ma quello mariano, sembra derivare il suo nome dal greco “ardis” che significa punta dello strale, alludendo con ciò alle numerose spine che ha la pianta. Un’antica leggenda associa il cardo al pastore siciliano Dafne, caro a Pan e Diana, alla cui morte la terra, per esprimere il suo dolore, fece nascere la pianta e le sue spine. Nella tradizione ariana il cardo era sacro a Thor, dio della guerra e dei fulmini, mentre nella leggenda teutonica portava disgrazia ai malfattori. Secondo la tradizione cristiana si vuole che le macchie bianche delle foglie siano rimaste a testimonianza delle gocce di latte cadute dal seno di Maria (da cui mariano), mentre fuggiva in Egitto per sottrarre Gesù alla persecuzione di Erode. Simbolo della casa reale degli Stuart, fu anche simbolo della Scozia, perché secondo una leggenda, durante il regno di Malcom, i Danesi, giunti furtivamente di notte, mentre tentavano di attraversare il fossato per assalire il castello, lo trovarono secco e pieno di cardi, così che le imprecazioni e le grida di dolore dei soldati punti dalla pianta fecero svegliare gli scozzesi i quali furono in grado di respingere gli invasori.

È un’erba bienne, robusta a fusto eretto i cui rami sono ricoperti da una peluria ragnatelosa. L’altezza è variabile da 30 cm. a 1,5 mt.; tutte le foglie hanno la superficie vistosamente variegato-reticolata e ampie macchie bianche che spiccano su un fondo verde, lucido, con il margine a lobi ovali e triangolari che terminano con spine giallastre. I capolini sono grandi e porporini, raramente bianchi, l’involucro è costituito da squame foliacee, quelle esterne prolungate in un apice scanalato. Frutti ad achenio, obovati compressi, lisci e glabri; pappo pluriseriato composto da setole denticolate caduche. Cresce nei rudereti, negli incolti, ai margini di campi abbandonati e ai bordi di strade campestri, zone di scarico di rifiuti, da 0 a 1100 metri s.l.m.

L’epoca di fioritura è Luglio –Agosto. 

Castore Durante ci riferisce che “la radice cotta provoca i mestrui e favorisce la moltiplicazione del latte”; Mattioli lo propone nel mal di denti e nelle nevralgie intercostali. Molto sfruttato nel periodo rinascimentale, è stato poi dimenticato e giudicato persino inutile. Rademacher però nel 1855 intravide nei semi la possibilità di trattare le malattie del fegato ed in particolare quelle venose.

Parti Usate: Foglie, radici, semi (Fructus Cardui Mariae). Il principio attivo fondamentale è la Silimarina (la silimarina ripristina la cellula epatica, proteggendola e curandola), appartenente al gruppo dei flavonolignani (silibina, silidianina, silicristina), paraossifenil etilamina, tiramina, tracce di inulina, mucillagini, tannini catechici. Pianta a tropismo epatobiliare e renale tale da considerarsi di primissimo piano nel drenaggio di questi due importanti filtri. I flavonolignani possiedono proprietà moderatamente antipiretiche e simpaticolitiche. Il frutto migliora la circolazione addominale, è utile nelle emorragie uterine e nelle turbe mestruali. Si utilizza anche come principio amaro coleretico e contro i calcoli biliari. La tiramina è ipertensiva. Le radici sono emmenagoghe e diuretiche, i semi ipertensori e colagoghi, utili nel trattamento di varici ed ulcere varicose. È utile nella litiasi biliare, stipsi, angiocolite cronica, insufficienza epatica, obesità, cellulite, gotta, ipercolesterolemia, varici, reumatismi cronici degenerativi, acne, insufficienza renale, iperuricemia, iperazotemia, oliguria, herpes, eczema, scorbuto, piorrea, ipocondria, ipertensione portale, ipertensione arteriosa.

Uso interno: foglie e radici in infusione o estratto fluido. Uso esterno: il succo lattigginoso e biancastro è usato in collirio e contro le verruche. Si sconsiglia l’uso dei semi ai pazienti ipertesi per le ben note proprietà ipetensive. Il miele di Cardo: in Sardegna (per l'abbondanza di cardi selvatici nelle zone agricole abbandonate) e' uno dei tipi di miele più prodotti; ha sapore decisamente forte e aroma vagamente speziato; il suo profumo intenso ricorda quello dei fiori della campagna mediterranea. Invece il miele di macchia mediterranea e' il millefiori tipico delle zone montagnose della Sardegna, dove le fioriture spontanee di Erica Arborea, Lavandula, Asfodelo, Cisto, Rosmarino ed uno svariato numero di cardi selvatici, danno origine ad un mix sempre nuovo ed intrigante. Il suo sapore cambia di anno in anno, rimanendo, però, sempre legato ad un certo aroma, che gli permette di essere riconosciuto in mezzo alle numerosissime specie di millefiori degli altri paesi. Se il miele e' più ricco di lavandula avrà un sapore più morbido ed un aroma balsamico, se predominano il cardo, l'aroma più speziato.

 

Temperature minime per gli ortaggi

a partire da 5 °C: barbabietola, carota, cavolo cinese, piselli

a partire da 7 °C: fava, broccoli

a partire da 10 °C: bietole, sedano, cipolla, porri, cavolfiori, lattughe,m prezzemolo

a partire da 13 °C: crescione, carciofi, ravanelli, soia

a partire da 15 °C: cavolo rapa, cavolo verza, spinaci, tarassaco, patate, rafano, scorzanera

a partire da 16 °C: cicoria, fragole

a partire da 17 °C: cardi, zucchine

a partire da 20 °C: peperoni, zucche, cetriolo, fagioli, peperoncino, girasole

a partire da 25 °C: pomodori, melanzana, mais, meloni, anguria

 

l’orto sinergico si risemina da solo. Ne manderemo alcuni in seme, però necessitando di impollinazione giusta, nell’orto ospiteremo fiori e piante indigene per attrarre gli insetti impollinatori. Alla raccolta, gli ortaggi non verranno mai sradicati, ma tagliati al piede dando la possibilità di ricacciare dal ceppo radicale, sebbene meno belli, saranno sempre molto saporiti

 

erbe spontanee odorose commestibili  se ti nutrirai del cibo della terra, tu diventerai quella terra…" "... i contadini non producono il cibo della vita. Soltanto la natura ha la capacità di creare qualcosa dal nulla e gli agricoltori possono esclusivamente farle da assistenti..." Masanobu Fukuoka *

Sperimentarsi con la Terra è istinto primordiale, malattia del sangue, che ti fa cercare sempre quella relazione perduta con l’aspetto primitivo, animale di noi stessi, con il contatto dei piedi, del corpo con l’erba, così come noi facevamo da bambini e antenati. E’ la ricerca di un’armonia da ristabilire, spezzata ma ardentemente ricercata, con ciò che ci circonda nonostante i tentativi di cementificazione, con ciò che esce da ogni regola e previsione e vive, gioca una esistenza a sé: la Natura. E’ desiderio di un ritorno ad una autonomia che è sussistenza e libertà: di pensiero, di nutrimento, di essere soggetto della propria vita e non solo oggetto. Infine è il desiderio di costruire un ponte nuovo, ripristinare quel legame con lo Spirito delle cose, della Vita intesa come manifestazione e presenza del Divino.In questa ricerca dello Spirito, la Terra gioca la parte primaria, come manifestazione tangibile della bellezza delle leggi divine e si offre a noi, con grande umiltà, affinché possiamo perfino calpestarla e da questa relazione, imparare.

(Ferrante Cappelletti “Dalle erbe la salute Piante medicinali dell'arco alpino” Publilux Trento 1977) Fitoalimurgia (Ottaviano Targioni Tozzetti, 1767), è l’arte di alimentarsi con ciò che la natura offre spontaneamente in ogni stagione così come praticato da sempre nelle società di caccia e raccolta. Alimurgia: urgenza alimentare spontanea stagionale. A primavera le parti giovani delle piante hanno alto contenuto di fitormoni (auxine e principi attivi con azione drenante/depurativa) concentrati negli apici e nelle gemme quali tessuti meristematici da cui sviluppano le altre parti della pianta. L’alimentazione è un fatto culturale e i condizionamenti, stereotipi e ignoranza da oblio, portano a ignorare e a disprezzare ciò che la natura ci mette a disposizione per alimentarci (sapori dolci, amari, piccanti ecc.) vantaggi della fitoalimurgia: • energeticamente economica: le piante si seminano e crescono da sole, spesso togliendole si pulisce in contemporanea il prato, il giardino e l’orto, riempire il frigo senza svuotare il portafoglio; • le piante spontanee crescono in perfetta armonia con l’ecosistema che le ospita pertanto sono molto più ricche di elementi (spesso sono piccole di stazza pertanto contengono dosi “concentrate” di nutrimento e non di rado hanno sapori forti), pertanto son alimento ideale, donan molta energia in poco cibo.

• raccogliete solo le piante di cui siete sicuri di aver riconosciuto la specie e assaggiatene sempre prima modiche quantità per verificare eventuali allergie o intolleranze. Non preoccupatevi: se siete tranquilli e attenti le piante si faranno riconoscere da sé ed è difficile sbagliare!

 

Raccontare quante meraviglie nascono spontaneamente in campagna e sono lì, a disposizione di tutti quelli che abbiano il giusto atteggiamento di curiosità e di rispetto per la terra. Un tempo le erbe selvatiche contribuivano a sfamare intere famiglie. Le erbe spontanee odorose commestibili, sia crude che cotte, usate intere, o a seconda delle proprietà contenute nelle loro varie parti (radici, foglie e fiori), sono ingredienti di molti piatti legati alla tradizione; abbinando ad esempio le foglie di primula con rapanelli e lattuga e per ottenere i ripieni unendo ortica, borragine, lattuga e farinello, o ortica, parietaria e malva; luppolo, ortica e agliaria o bardana, malva e farinello. Per ciascuna varietà c'è un utilizzo specifico (crudi, bolliti, stufati, in torte salate, ecc.) e un tempo di raccolta. Alcuni vanno raccolti in pieno inverno, altri tra inverno e primavera, altri in primavera, altri prima che facciano il fiore. Il vero problema è saperli conoscere. Non hanno mercato, e quindi commercialmente non creano interesse. A parte i pochi contadini all'antica e alcune persone oculate, che ne apprezzano le inconfondibili caratteristiche di gusto, è realmente difficile trovare qualcuno che li apprezzi e li utilizzi in cucina. Ci si può imbattere in una pianta chiamata cicerbita (da raccogliere, come quasi tutte le erbe selvatiche, all'attaccatura della radice, nel periodo che va da ottobre a febbraio), utilizzabile sia cruda (purché tenera) sia bollita e condita con olio e limone oppure stufata con spezzati di maiale.

In collina, negli oliveti, si trovano tra ottobre e febbraio i gratinepoli, eccezionali in insalata: delicatissimi e per niente amari, dal gusto davvero elegante. Il profumatissimo finocchio selvatico, con i cui germogli più teneri fare ad esempio la zuppa.

Negli oliveti incolti, a marzo si trovano i prelibati asparagi selvatici, migliori dei coltivati, più raffinati e saporiti. Molto più esili e sottili, difficili da individuare e da raccogliere perché crescono tra rovi e cespugli (nel cercarli non bisogna dimenticare di fare intenzione a eventuali spiacevoli incontri con le vipere, che in questi periodi si risvegliano dal letargo). Il massimo gli asparagi selvatici lo danno col risotto (col vialone nano il connubio è perfetto). Il trucco sta nel non buttare niente: la parte terminale dell'asparago va nel risotto, mentre con le parti del gambo più dure si fa preventivamente il brodo per cuocere il riso. Il risultato è di una delicatezza e di un sapore impagabili.

Il radicchio selvatico, nelle varianti comune e bianco è buona tra ottobre e febbraio; il suo gusto amarognolo fa sì che sia consigliabile mangiarla mischiata con altre erbe. In estate il radicchio comune fa dei fiori blu meravigliosi, mentre la sua variante detta radicchio bianco fa i fiori gialli.

Acetosa: o acetosella Fam. Ossidalaceae) erba spontanea acidula, viene mangiata per calmare la sete e se utilizzata in insalata riduce la quantità di aceto da usare. Si cuoce come gli spinaci, buttando via la prima acqua di cottura.

Oxalis acetosella deriva l’etimo dal greco oxys = acuto, pungente e da hals = sale, per il sapore acidulo che ricorda l'aceto. L'Acetosella è pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta 8-15 cm. molto comune in Europa, Asia e Nordamerica. In italia è frequente in tutta la penisola, eccetto le zone litoranee e nelle isole. Cresce nei boschi ombrosi, ricchi d’humus, dal piano ai 2.000 metri. Ha foglie trilobate, portate da un picciolo arrossato, simili a quelle del trifoglio. Col tempo piovoso si contraggono piegandosi verso il basso, assumendo l'aspetto di un piccolo ombrello. I petali e le foglie si chiudono nelle ore nottune. Il fiore è unico sullo stelo e compare ad aprile-maggio con petali bianchi o rosati, solcati da sottili venature violette. Il frutto è una capsula allungata provvista di un sistema per diffondere i semi: questi, immersi in una massa mucillagginosa, vengono sospinti attraverso una fessura che, essendo stretta ed elastica, si contrae bruscamente proiettandoli lontano con un effetto "esplosivo". Sotto la piantina striscia un fusticino sotterraneo, che si divide formando una fitta rete negli strati superficiali del suolo.

Assaggiando le foglie si percepisce subito un gusto acidulo dovuto alla presenza notevole di acido ossalico (anche più dell'1%). Ciò comporta un uso attento della pianta, che se ingerita in quantità notevoli risulta dannosa all'attività renale e può persino causare la morte. L'acetosella è nota da tempo per le sue numerose proprietà, che però si perdono in gran parte con l'essiccazione. In campo alimentare, dal Medioevo e ancora oggi, viene usata per insaporire le insalate. Si combina con altre essenze selvatiche in salse di vario uso. Dalle foglie si ricava anche un infuso depurativo e una bevanda dissetante simile alla limonata, mentre consumate crude calmano la sete in caso di mancanza d'acqua e disinfettano le piccole ulcere del cavo orale. Le foglie sono diuretiche, decongestionanti, depurative, astringenti, rinfrescanti, febbrifughe. Tutta la pianta contiene acido ascorbico, biossalato di potassio, vitamina C, mucillagine, ciò la rende controindicata per chi soffre di disturbi gastrici, intestinali, epatici, calcoli renali e biliari e gotta. Usata esternamente serviva a preparare rimedi per pelli arrossate e infiammate, dato il suo potere decongestionante, mentre nella pratica quotidiana serviva a pulire oggetti di rame, bronzo e cuoio; il "sale di acetosa", ora ottenuto industrialmente, un tempo veniva preparato dai droghieri con l'acido ossalico contenuto nella pianta. Era usata anche per smacchiare la biancheria da ruggine e inchiostro, nonché come mordente per i colori e disincrostante per i radiatori delle automobili

Agliaria: ha le foglie cuoriformi, se strizzate sprigionano un profumo d'aglio, perciò è adatta per arricchire e insaporire insalate, verdure e funghi come, ad esempio, le spugnole.

Balsamite: erba spontanea comunemente conosciuta come erba San Pietro o erba amara, cresce nei prati di zone collinari e pianeggianti, nelle boscaglie umide, nel greto dei fiumi o in luoghi incolti. In cucina vengono usate le foglie per preparare aromatici tè, digestivi e anche sedativi. E' uso molto comune aggiungere alcune foglie di questa pianta nelle frittate o nelle zuppe.

Bardana: fin dall'antichità la bardana ha fama di pianta medicinale che non si è mai smentita attraverso i secoli. I giovani getti lessati si consumano come asparagi conditi con olio aceto e sale. Le radici, dopo essere state lessate e private delle fibre più dure, si mangiano in insalata. I ragazzi, durante le loro passeggiate in campagna, raccoglievano i capolini dei fiori muniti di piccoli uncini per utilizzarli come proiettili nel gioco della guerra.

Borragine: pianta mellifera, ha un aspetto ruvido e peloso e può essere avvolta da una peluria bianca. cresce spontanea nelle campagne, ha foglia lanceolata e grandi fiori azzurri, si mangia in insalata o in ingrediente di ripieni o frittelle, se raccolte tra ottobre e marzo, sono gustosissime per preparare ad esempio una zuppa di lenticchie e borragine. I suoi fiori sono aggiunti alle insalate o per decorare i formaggi freschi. La rigidità dei peli svanisce per effetto dell’aceto. Le stesse foglie, come pure le cime, vengono consumate lessate e poi condite con olio e limone oppure saltate al burro, strascicate con olio e limone o anche passate al setaccio sottoforma di purè verde. In minestra, per le loro proprietà emollienti, sono buoni succedanei degli spinaci. Già gli Etruschi consigliavano l’uso della Borragine in diverse pietanze per il particolare gusto che ricorda quello del cetriolo. In Toscana, le foglie lessate e mescolate a quelle della cicoria e ai semi del finocchio costituiscono un caratteristico piatto regionale, la zuppa frantoiana. Nella cucina ligure L’erbaggio viene usato per preparare l’impasto delle tipiche lasagne verdi. Vari aceti aromatici assumono un bel colore turchino per aggiunta dei suoi fiori. Nel territorio etneo, è usata sia come piatto di verdura, lessata in poca acqua e condita con olio, sia come ingrediente di minestre o zuppe, fra cui principalmente quella di lenticchie. All’impiego culinario della Borragine si attribuisce, oltre al potere nutritivo, anche valenza curativa in quanto la pianta possiede una buona quantità di mucillagini ad azione antinfiammatoria e rinfrescante. Della Borragine si utilizzano pure i boccioli, conservati sotto aceto e consumati allo stesso modo dei capperi. Infine, dalle foglie pestate in un mortaio si ottiene un succo altamente dissetante e rinfrescante. Quando v’è poco freddo invernale, piante spontanee di borragine crescono rigogliose e fiorite; mentre in stagioni "normali", il freddo le segna visibilmente. Il suo nome deriva dalla parola latina "borra", che significa ruvida stoffa di lana. E’ originaria dell’oriente e i medici della scuola salernitana le attribuivano la virtù di "scacciare la malinconia". Se si vuole che "ricacci" anche l’anno successivo, bisogna lasciarla fiorire. Nel passato c’era l’abitudine di succhiare i fiori per il loro contenuto dolce e da ciò è derivato il nome dialettale sucamelo. Le foglie hanno proprietà emollienti, mentre le sommità fiorite sono depurative, diuretiche e sudorifere. In cucina si usa come ripieno per i ravioli (al posto degli spinaci) o nell’impasto per lasagne, fettuccine e tagliolini. I petali possono essere usati come colorante naturale per aceti aromatici o consumate in insalata ( buona l’insalata mimosa: petali di borragine, cicoria, tarassaco mescolati con uova sode a pezzetti). Per unire le foglie di borragine "all’erua pazza", bisogna lessarle a parte, in pochissima acqua, e con pentola coperchiata. Altri usi del sucamèlö: foglie immerse in pastella di farina di mais e fritte, oppure scottate, per pochi secondi, in acqua bollente salata poi, ripiegate con in mezzo alici e mozzarella, quindi passate nella pastella e allineate in una pirofila per il forno. RAVIOLI DI MAGRO CON BORRAGINE, ingredienti: mezzo chilo di ricotta, un etto di parmigiano grattugiato, due uova, (uno intero ed un tuorlo), duecento grammi di foglie di borragine lessata e passata al tritatutto, sale quanto basta. Amalgamare tutti gli ingredienti. Preparare una sfoglia con due uova e duecento grammi di farina, tirarla sottile e mettervi sopra dei mucchietti di composto. Con una rondella formare dei ravioli della grandezza desiderata. Una volta lessati, i ravioli saranno conditi con burro fuso e salvia o con crema di latte al parmigiano (prepara con latte caldo più parmigiano da girare fino all’addensamento ) alla quale puoi aggiungere gherigli di noci tritati. buon Appetito!!

Camomilla: pianta spontanea dalla caratteristica infiorescenza dal sottile profumo, è molto utilizzata in fitoterapia come antispastico, nell'insonnia, nei dolori mestruali e come sedativo.

Calendula: C. officinalis o fiorrancio (famiglia Composite), è pianta erbacea annuale, biennale o perenne, con fusticini eretti o ascendenti, alti fino a 50 cm, foglie intere o sinuato-dentate ai margini obovato-spatolate. capolini larghi 3-5 arancio vivo. Fiorisce da giugno a novembre. Coltivazione fatta ponendo a terra i semi in primavera in semenzai con terriccio leggero. poi trapiantate in vaso o in piena terra, in luoghi soleggiati. Spesso si dissemina spontaneamente. Vengono utilizzate le foglie e i capolini appena sbocciati. La raccolta viene fatta in estate. Si possono usare freschi in cataplasmi o fatti essiccare in stati sottili, evitando di farli annerire. Devono essere conservati al riparo della luce e dell'umidità. Proprietà terapeutiche: emmenagoghe, antispasmodiche, diaforetiche, emollienti. Per uso esterno lenitivo e antiarrossante.

Cedrina: è un'erba odorosa apprezzata soprattutto per la deliziosa fragranza delle sue foglie che, come denota il suo nome, profumano di agrumi e anche seccate mantengono a lungo inalterata la loro fragranza. In cucina le foglie raccolte in primavera sono utilizzate per aromatizzare creme e salse dolci e salate, verdure e pesce, mentre i rametti freschi si usano come nei liquori casalinghi. Inoltre, con le foglie fresche o essiccate si può preparare un'ottima tisana digestiva, tonificante e calmante.

Consolida maggiore: cresce presso i margini dei campi in luoghi umidi e ombrosi. I fiori si mangiano in insalata e le foglie, ricche di mucillagine, si prestano per i ripieni e per arricchire il composto dei malfatti. La consolida è considerata un vegetale ricchissimo di vitamina B12. Inoltre le sue foglie macerate a lungo diventano un ottimo fertilizzante, bollite invece diventano una tintura dorata.

Crescione: cresce lungo i corsi d'acqua e nei fossi. Le sue foglie sono usate sia crude che cotte. Ha anche proprietà depurative e diuretiche, ma se si vuole utilizzarle per questo scopo è consigliabile consumare le foglie appena colte poiché la cottura toglie loro tutte le proprietà.

Cicoria - Cichorium intybus. Il nome deriva dal greco Kichore; Intybus, termine latino usato da Virgilio con il significato di indivia. E’ una pianta perenne, ma, a seconda del clima, può comportarsi da annuale o biennale. Sia in primavera che in autunno dalla radice si sviluppa una rosetta di foglie che aderiscono al terreno e possono essere pelose o glabre. I fiori sono ligulati e di colore azzurro e si schiudono al mattino. Molto comune e conosciuta, cresce spontanea nei prati o coltivata negli orti, presenta in piena fioritura dei caratteristici fiori di un azzurro cielo intenso. La cicoria contiene la "cicorina" ed altri principi amari che la rendono molto pregevole ed importante come tonico, digestivo, lassativo e depurativo. Non solo, ma il sale contenuto nella cicoria - il nitrato di potassio - è un efficace stimolante dei reni ai quali facilita la liberazione del sangue da tutte le impurità in esso contenute. Il più usato terapeuticamente è il decotto di cicoria che si prepara bollendo un buon pugno di cicoria in mezzo litro di acqua. Di questo decotto se ne berranno tre bicchieri al giorno, a stomaco vuoto, prolungando la cura per diversi giorni. In breve sarà realizzata una completa ed efficace depurazione generale, ed anche dalle pelle scompariranno impurità ed affezioni varie, grazie alla maggiore attività sviluppata dal fegato e dall'intestino. Questa cura depurativa e tonificante delle funzioni epatiche ed intestinali può essere sostituita o, meglio, completata da abbondanti scorpacciate di cicoria fresca condita con olio e limone. Le radici torrefatte e polverizzate, possono essere utilizzate come surrogato del caffè. Le foglie basali, ancora tenere, possono essere consumate in insalata, oppure lessate e condite con olio d’oliva e limone o ripassate in padella con l’erua pazza di cui è la principale componente. Lo stomaco - grazie ai principi attivi contenuti nella cicoria fresca - assumerà un ritmo più armonico, digerirà meglio e, infine, sarà messo in grado di sopportare anche qualche peccatuccio di gola. Una cura prolungata di questa insalatina amarognola serve, con risultati talvolta sorprendenti, a rassodare il seno, tonificandone la muscolatura. Ecco dunque a nostra completa disposizione una di quelle piante medicinali facili a trovarsi è vero, ma dai principi attivi e medicamentosi molto efficaci e, spesso, sconosciuti. Crescendo dalla primavera fino ad autunno inoltre la cicoria ci mette in grado di provvedere, in qualsiasi momento, ad una sana e completa azione depurativa. Cura che, in un mondo sempre più sfrenato, in un'atmosfera sempre più inquinata, in presenza di cibi non sempre genuini, se non sofisticati, si rende ogni giorno più necessaria, come un buon sonno o una lunga passeggiata distensiva nei boschi.

ZUPPA del Frantoio: Lessare piantine di cicoria, foglie di borragine e semi di finocchio, versare il tutto su bruschette, strofinate con aglio, e condire con olio d’oliva paesano e sale. Ricordare che le verdure vanno sempre salate dopo la lessatura che deve avvenire in poca acqua bollente e con la pentola coperchiata. Pasta ai FUNGHI PORCINI: Ingredienti: olio d’oliva, aglio, funghi porcini o misto funghi, cicorietta di campo senza radici, pachino, prezzemolo e a scelta, parmigiano reggiano. Cuocere i funghi con olio, prezzemolo, aglio intero e, aggiungere a fine cottura i pomodori pachino tagliati a metà facendogli fare una media cottura. Ripassare la cicorietta precedentemente lessata e privata delle radici, con aglio olio e peperoncino. Unire tutti gli ingredienti e far amalgamare per qualche minuto. Lessare i fusilli al dente, condire con il preparato e servirli cosparsi di prezzemolo tritato ed a parte con parmigiano.

Farinello Buon Enrico: erba infestante dalle foglie nutrienti e ricche di mucillagine che si prestano per ripieni, minestre e spezzatini.

Lavanda: arbusto perenne cespuglioso dal caratteristico fiore azzurro dal profumo intenso, deve il suo nome all'uso che ne facevano gli antichi Romani per profumare i bagni, mentre il suo olio essenziale era usato per massaggi tonici e stimolanti. Nella medicina naturale si utilizzano i fiori essiccati per la sua azione carminativa, antispasmodica, antisettica e stimolante.

Luppolo: cresce lungo le siepi. I germogli si raccolgono all'inizio della primavera e vengono consumati come gli asparagi.

Malva: pianta spontanea dei campi incolti molto comune e resistente, ne vengono utilizzati sia i fiori che le foglie come medicamento grazie alle sue proprietà emollienti e antinfiammatorie in caso di infiammazioni del tubo digerente, dell'apparato urinario e delle vie respiratorie. Dice il proverbio 'La malva tüt i mal a i a salva', ovvero è un rimedio per tutti i mali. Erba medicinale usata moltissimo dai vecchi per curare infiammazioni al cavo orale e mal di gola, può essere raccolta (in zone lontano dal traffico) e usata fresca per fare decotti o essiccata al sole e conservata per un anno, per tisane rinfrescanti e sfiammanti. Anche in questo caso l'inverno mite ha risparmiato le piante, che hanno già foglie rigogliose e verdissime.

Melissa: Melissa officinalis cresce in luoghi ombrosi, ha un gradevole profumo di limone e le sue foglie si usano sia cotte che crude, sia per piatti salati che per dolci. Il suo utilizzo è stato continuo in tutti i tempi e particolarmente rinomata fu l'acqua di Melissa dei Carmelitani Scalzi di Parigi usata come digestivo. questa erba, chiamata anche cedronella ha virtù medicinali contenute nelle sommità fiorite, oppure nelle foglie che contengono uno speciale olio essenziale che dà alla pianta il grato odore e gustoso sapore. La melissa è sempre stata consigliata nei postumi delle paralisi, nelle debolezze muscolari, nei tremori dei vecchi, nei languori fisici e morali susseguenti a lunghi patimenti. Molto indicata nelle convulsioni, nelle nevrosi, nell'isterismo ed in ogni forma patologica afferente il sistema nervoso. Risulta molto utile, ancora, nello stimolare l'appetito, nel rinforzare lo stomaco in caso di indigestioni, nell'espellere gli eccessivi e noiosi gas intestinali.

Se famoso era lo "spirito di melissa", altrettanto celebre era "l'acqua di melissa" dei Carmelitani scalzi. Si prepara con 150 grammi di melissa fresca o 60 di secca, 30 grammi di buccia di limone grattugiata, 15 grammi di cannella, 15 di chiodi di garofano, 15 di polvere di noci moscate, 5 grammi di radice di angelica e 5 di coriandoli. Il tutto viene bollito per cinque minuti in mezzo litro di acqua, vi si aggiunge mezzo litro di grappa e si espone al sole in un vaso ermeticamente chiuso per circa tre settimane. Alla fine si filtra e si conserva il liquido così ottenuto in bottiglie ben chiuse. Quest’acqua di melissa si prende nella misura di un cucchiaino di caffè diluito in un po' d'acqua prima dei pasti principali. L'acqua di melissa dà gli stessi risultati se presa nella misura di trenta o quaranta gocce su di una zolla di zucchero.  Per i bambini o le persone allergiche all'alcol, l'acqua di melissa può essere sostituita, con gli stessi effetti, dal decotto. Lo si prepara bollendo per qualche minuto due cucchiai di melissa in mezzo litro d'acqua e si prende nella misura di un bicchiere prima dei pasti. Nei disturbi nervosi questo decotto sarà più efficace se con la melissa verrà bollito un cucchiaio di radici di valeriana. L'infuso, invece, preparato con un cucchiaino di melissa, uno di menta ed una tazza di acqua bollente, sarà efficace ristoro nei vomiti nervosi delle donne incinte.

Il vecchio famoso spirito di melissa è un ottimo calmante, facilita le digestioni difficili, combatte le nausee ed il vomito, ridà colore alla faccia nei frequenti mal d'auto o di mare. Si prepara con 150 grammi di melissa, 450 di alcol puro e 450 di acqua. Si mette in bottiglia, si espone al sole per tre giorni, si filtra e se ne prende un cucchiaino da caffè in una tazzina d'acqua o trenta gocce su una zolletta di zucchero tre volte al giorno. Nelle fredde sere invernali, poi, non c'è niente di più indicato di un cucchiaio di acqua o di spirito di melissa in una tazzina di acqua molto calda da prendersi prima di coricarsi.

Ortica: Il nome ortica (Urtica Dioica, Urtica Urens) deriva del verbo latino URERE che significa bruciare; l’aggettivo DIOICA vuol dire che ogni pianta reca fiori maschili e femminili. E’ una pianta molto comune, nota soprattutto per la sua azione irritante quando viene a contatto con la pelle. Le foglie hanno il picciolo, la base cuoriforme e l’apice (la punta) acuto, i margini sono molto incisi e sulla superficie sono coperte da peli urticanti. I fiori sono riuniti in spighe maschili dritte in su e spighe femminile pendule situate alle ascelle delle foglie. La pianta preferisce i terreni ricchi di azoto ed è assai comune nelle zone incolte, vicino a ruderi, lungo le strade di campagna, ai piedi dei muri e nei pressi delle concimaie. L’ortica, lasciata a macerare per una ventina di giorni insieme con piante di Equiseto, costituisce un ottimo bio-antiparassitario. Chi soffre di dolori reumatici, può alleviarli frustando la parte dolorante con piante di ortiche. RISOTTO CON PESTO DI ORTICHE. Tagliuzzare un mazzetto di cime e foglie tenere di ortiche e poi farle rosolare in olio con erba cipollina. Passare parte del composto al frullatore con l’aggiunta di un cucchiaio di parmigiano reggiano o grana padano, un cucchiaio di farina ed una tazzina di latte. Cuocere il riso sul fondo rimasto aggiungendo, al bisogno acqua bollente. A metà cottura unire al riso il pesto e, a fine cottura, mantecare il tutto con parmigiano e poca panna da cucina. I getti giovani, teneri e freschi, sono i migliori in cucina per fare ottime frittate con cipolla oppure ripieni di ortica e ricotta chiusi in una sfoglia sottilissima e conditi con burro del pastore e salvia, utili anche in campo medico, in quanto il loro potere curativo è massimo. Il momento migliore per coglierli, naturalmente dotati di forbici e guanti, è dopo una pioggia e il periodo più adatto è la primavera. Se raccogliendola con le mani nude si incappa in irritazioni cutanee, niente paura: la natura fornisce l'antidoto. Di solito nelle vicinanze, su qualche muretto, si può trovare la parietaria (chiamata anche vetriola). Basta strofinarne un rametto con gambo e foglie sulla parte di pelle irritata dall'ortica, e in breve si ha un effetto lenitivo del dolore.

Parietaria: Cresce comunemente sui muri e sulle macerie. Si consuma come gli spinaci. Contiene un'alta percentuale di salnitro e per questa caratteristica fu usata fin dall'antichità come efficace diuretico, utilissimo in tutte le affezioni urinarie. Un tempo, quando non c'erano i detersivi, la parietaria veniva usata per pulire i fiaschi del vino o dell'olio. Infilando un po' di parietaria triturata e una manciata di sassolini nel fiasco e agitandolo energicamente, si riusciva a portare via i sedimenti depositati all'interno. Un rimedio un po' spartano, per gente con ben altre esigenze rispetto a oggi...

Piantaggine: pianta perenne con foglie ovali un po' spesse, ricca di mucillagine. E' ottima per i ripieni o da consumarsi insieme ad altre erbe di stagione con la pancetta, l'aglio e l'olio. Utilizzata come decotto per combattere la diarrea e le infiammazioni intestinali.

Pimpinella: erba spontanea dal sapore di cetriolo, viene usata nelle insalate.

Papavero: il rosso papavero che cresce spontaneo tra i campi coltivati e lungo gli argini, veniva usato come sedativo facendo un infuso dei suoi petali essiccati e come calmante della tosse, sotto forma di sciroppo.

Rafano selvatico: il rafano cresce allo stato selvatico in corrispondenza di terreni freschi ed ombrosi presso le abitazioni. Le sue foglie sono ottime in insalata condite con olio di oliva e sono apprezzate per il loro leggero sapore piccante che dà tono alle verdure. eccellente diuretico e depurativo del sangue e, quindi, particolarmente indicato per chi soffre di reumatismi, gotta e ritenzione idrica.

Rapastrello: Raphanus raphanistrum: (Brassicaceae) Altri nomi volgari: Ravastrello, Ravanello selvatico, Ramolaccio selvatico,  Gramolaccio. Pianta erbacea annuale, molto ramificata e ispida, dotata di una radice gracile e sottile e foglie inferiori lirato-pennatosette con segmento terminale slargato, le superiori ovali-lanceolate, dentate. Da marzo a giugno, produce fiori bianchi, venati di violetto. I frutti sono silique provviste di tipiche strozzature fra un seme e l`altro. Il Rapastrello è diffuso su tutto il territorio italiano, dove cresce dal livello del mare fino a ca. 1000 m di altitudine negli incolti e nei coltivi, soprattutto seminativi. Si raccolgono le cime (spicuneddi), le foglie ed il colletto (zona tra radice e fusto). Allo stadio giovanile il Rapastrello può essere confuso con altre giovani verdure mangerecce, quali il Cavolicello (Brassica fruticolosa Cyr.) e la Senape canuta (Hirschfeldia incana, detta in dialetto Amareddu), normalmente non cresce su terreno vulcanico, ma nelle zone di confine coi terreni sedimentari, dove i due erbaggi possono coesistere, la confusione è frequente per la notevole somiglianza.Le radici si utilizzano come il ravanello, mentre le foglie allo stesso modo degli spinaci, si consumano lessate e poi ripassate in padella con olio, aglio e peperoncino, per la delizia dei nostri palati. Tutte le parti del Rapastrello hanno un tipico sapore piccante che conferisce alla verdura un “carattere” deciso non gradito a tutti. In qualsiasi modo venga cucinato, il Rapastrello è considerato una verdura più rustica dell`affine Cavolicello; da qui il detto popolare a razza non fa cauliceddi, alludendo a una persona grossolana che non ha speranza di divenire raffinata oppure a una stirpe infima che inevitabilmente resta tale. Il colletto, abbastanza tozzo, si prepara tranciando la pianta alla radice e troncando le foglie verso la base; si ottiene così un torso che si consuma crudo come si fa con i Ravanelli. Le popolazioni dell`Est europeo, ad esempio, amano il forte sapore pizzicante del Rapastrello per meglio gustare la birra; a tale scopo masticano le radici della pianta allo scopo di stimolare la sete

Raperonzolo: (Campanula rapunculus, Fam. Campanulacee). Spontanea nei prati e pascoli. Ha foglie lineari lanceolate, finemente seghettate. fiori grandi a grappolo semplice, è facilmente riconoscibile per i suoi fiori blu o violacei che compaiono da maggio a luglio. Si trova nei prati asciutti e nei vigneti. in passato era molto coltivato a scopo alimentare, la radice simile a quelle di rapa ma più piccole, si raccoglie in primavera, ha un sapore delicatissimo, si usa insieme alle insalate di campo dal gusto delicato per non coprirne il profumo caratteristico. Si consuma crudo all'inizio della primavera, dopo averle pulite e condite con un filo d'olio e pizzico di sale.si possono utilizzare poi sia i getti primaverili che le foglie per eccellenti insalate.

Salsapariglia: Smilace, Strappabrache, Stracciabrache, Rovo-cervone, Rovo-cerrone, Salsa paesana, Salsa siciliana, Edera spinosa, Ellera spinosa, Taxon: Smilax aspera, Famiglia: Liliaceae. Etimologia: antichissima denominazione data alla pianta in Grecia, dove è largamente presente, deriva dal greco smilé = raschietto, in riferimento alla spinosità delle foglie. Il secondo termine deriva dal latino asper = scabro, pungente, per la presenza nella pianta di abbondanti spine. Salsapariglia, termine di origine spagnola, deriva da zarza = arbusto (derivato dall’arabo scharac) e parilla = piccola vite, in riferimento al portamento rampicante e alla presenza di viticci. L’appellativo salsapariglia è utilizzato anche per indicare la droga estratta dalle radici di alcune specie, quali S. officinalis, S. medica, S. syphilitica, S. saluberrima, proprie dell’America centrale e meridionale; le radici di queste piante contengono la sarsaponina, nonché olî eterei, resine e altre saponine con proprietà toniche, sudorifere, antireumatiche, depurative e, secondo la tradizione popolare, antisifilitiche. In realtà, poiché la Smilax aspera non possiede proprietà medicamentose, sarebbe più consono utilizzare il termine Smilace, derivato direttamente dal nome greco della pianta e comunemente usato in Toscana. Esso risulta, legato al mito secondo il quale le Baccanti, dovendo compiere i loro riti tersicorei e non trovando l`edera per ornarsi il capo, usarono i tralci di Smilace, che hanno foglie simili ma spinose. Quando la danza divenne più frenetica, le acuminate spine della pianta cominciarono a trafiggere la fronte delle Baccanti le quali iniziarono ad urlare e gesticolare in modo inconsulto, facendo degenerare il rito in un vero e proprio baccanale. I termini Stracciabrache, Strappabrache e indicano le conseguenze dovute alla presenza delle acuminate spine nella pianta. Pianta lianosa, perenne, sempreverde, provvista di lunghi fusti rampicanti, teneri e arrossati nelle parti giovani, legnosi a maturità, flessuosi, muniti di spine uncinate. Le foglie sono coriacee, sagittato-cordate, spinose ai margini e lungo la nervatura centrale, provviste di un picciolo tortuoso con due viticci laterali, lunghi e tenaci. I fiori, che compaiono da settembre a novembre, sono esameri, unisessuali su piante dioiche, piccoli, bianchi, profumati, riuniti in ombrelle sessili multiflore, raggruppate in grappoli ascellari e terminali. I frutti sono piccole bacche globose, di colore rosso, non commestibili ma innocue, che maturano nell’autunno successivo, contemporaneamente ai nuovi fiori. Salsapariglia si rinviene nei boschi di Leccio (Quercus ilex L.), nella macchia, come pure nelle zone più aperte, nelle sciare, nelle siepi e sui muri a secco, dove sovente forma intricati cespugli. E’ comune in Liguria, nell’Italia centro-meridionale e nelle isole. Parti commestibili: i nuovi getti dei rami, in primavera, quando sono rossastri e tenerissimi; assomigliano ai turioni degli Asparagi ma presentano giovanissime foglie con picciolo provvisto dei due viticci stipolari. Le giovani cime si preparano in cucina allo stesso modo degli Asparagi; hanno un sapore amarognolo piuttosto gradevole. Spesso le sue qualità alimentari sono sconosciute.

Semprevivo: è una pianta grassa che negli anni passati compariva sui tetti e sui muretti di cinta. Già dal tempo dei romani si diceva che ogni casa doveva averne perché proteggeva dai fulmini. Era tenuta in considerazione anche per le sue qualità terapeutiche contro le piccole ferite, le scottature e i calli. Produce delle rosette con le radici che in primavera danno vita ad altre piantine. E' robusta, ha poche esigenze e sopravvive a parecchi gradi sotto zero durante le gelate.

Salvia splendens: pianta ornamentale eliofila, nativa delle foreste del Brasile, dove raggiunge il metro e mezzo di altezza. Chiamata in inglese 'St. Johns Fire', cresce anche nana fin 35cm dove ogni giovane foglia fiorisce in rosso scarlatto. Creswce facilmente da seme e talea. Poche foglie lentamente masticate, hanno effetto rilassante e conciliante la meditazione.

Tarassaco: Taraxacum Officinale, Dente Di Leone, Tarassaco, Piscialetto. TARASSACO deriva dal greco TÁRASSO che significa guarire, con riferimento alla proprietà medicinale della specie. E’ una pianta erbacea perenne e che vive per molti anni. Ha una radice carnosa e laticifera (contiene latice) che sviluppa una rosetta di foglie, più o meno roncinate, aderenti al terreno se intorno non c’è vegetazione, altrimenti erette. Si trova quasi per tutto l’anno, se il clima non è molto rigido. I fiori sono gialli, solitari e con il gambo vuoto e, dopo il ciclo si trasformano nei soffioni, insieme di acheni che formano una palla di "bambagia" che si disperde nel vento, riproducendo le piante. Il tarassaco è un’ottima insalata selvatica, ricca di vitamine e sali minerali e quindi depurativa e diuretica. In insalata, si può consumare da solo o con altre verdure, lessato, va condito con olio e limone oppure ripassato con l’erua pazza. I boccioli si possono conservare sott’aceto come i capperi. RICETTA: ACQUACOTTA CON UOVO SPERSO: bollire alcune piantine di tarassaco, a cottura quasi ultimata aggiungere un paio di uova (tipo stracciatella) e poi versare su crostoni di pane raffermo o "abbrusco", condire con olio d’oliva. TORTA RUSTICA PISCIASOTTO. Far bollire in poca acqua alcune piantine di tarassaco e bieta; strizzare per bene la verdura e ripassarla in padella con olio, aglio e peperoncino. Stendere in una pirofila uno strato di pasta di pane di mezzo centimetro, duecentocinquanta grammi di farina, quindici grammi di lievito di birra, 125 ml di acqua tiepida: far bollire per due ore sotto una copertina, disporvi sopra l’erba ripassata e fettine di provola o fontina. Ricoprire con altro strato di pasta più sottile e spennellarlo con un tuorlo d’uovo battuto. Far cuocere in forno a duecento gradi per una trentina di minuti. La torta rustica è ottima anche fredda.

 

Edera (Hedera helix) pianta rampicante, legnosa, perenne e sempreverde. Possiede 2 tipi di rami: i giovanili sono dotati di radici aeree, con le quali si attacca su ogni superficie, i rami adulti, che crescono in seguito ai precedenti,sono privi di radici, e formano fiori e frutti. FOGLIE picciolate, coriacee, la lamina superiore è di colore verde scuro, mentre la lamina inferiore è più chiara.

Le foglie dei rami giovanili sono palmato-lobate, la lamina è divisa in 3-5 lobi , quello centrale più lungo è più largo, le foglie dei rami adulti hanno margine intero e sono di forma ovale Proprietà medicinali: Tutti i derivati dell'edera sono velenosi e da usarsi con estrema cautela, soprattutto nei bambini o in soggetti defedati.

L'infuso di foglie raccolte in estate e fatte seccare lentamente, ha proprietà emmenagoghe, balsamiche ed espettoranti.

Le foglie fresche pestate o ridotte in succo applicate per uso esterno sono detersive, antireumatiche, antinevralgiche.

Il decotto di foglie fresche viene utilizzato per bagni antireumatici. La pomata (ottenuta con il 15% di prodotto secco polverizzato e il restante 85% da grasso) viene usata per frizioni antidolorifiche. L'infuso di una manciata di foglie in circa due litri d'acqua, può essere usato dopo lo shampoo come trattamento per rendere i capelli più scuri e lucidi. Il succo o il decotto delle bacche velenose, raccolte dall'inverno alla primavera, ha proprietà purgative, emetiche, antibiliari, sudorifere. CURIOSITA':questa pianta è ideale per creare siepi sempreverdi, infatti viene anche coltivata e non richiede particolari attenzioni; resiste in situazioni di scarsità d’acqua e non teme particolarmente l’umidità, l’unica condizione necessaria è che il terreno sia ben drenato. I frutti che produce, ATTENZIONE, sono velenosi per l’uomo, possono portare a morte per complicanze respiratorie, ma sono comunemente mangiati dagli uccelli.

Le foglie possono provocare reazioni allergiche. L’edera contiene diversi principi attivi : glucosidi,ederina, ederangerina, ederacoside, flavonidi, alcaloidi,gomma resina, acidi malico,formico,caffeico e cloregenico.

 

alla base della ferula communis (finocchiaccio) crescono funghi molto saporiti il fusto cavo di tale piantaveniva usato dalle menadi per fare il tirso entro cui ponevano le erbe selvatiche raccolte

 

Ruta - Ruta graveolens Habitat: terreni aridi dal piano alla montagna.

piccoli fiori gialli che, una volta sbocciati, ricordano delle croci in miniatura, l'erba ruta è stata ritenuta, fin dai tempi più antichi, una magica cura, una vera e propria panacea di qualsiasi malanno.

la ruta è una pianta velenosa, il cui uso sconsiderato ed eccessivo potrebbe provocare seri disturbi o, avvelenamenti letali. Le sostanze medicamentose dell'erba ruta sono tutte contenute nell'olio dall'odore sgradevole che si trova raccolto in vescichette sulle foglie.Le foglie dell'erba ruta vengono usate per farne degli infusi, nella misura massima di un grammo per ogni tazzina di acqua bollente. Questi infusi servono a calmare gli attacchi isterici, a favorire e a rendere più facili e meno dolorosi i cicli mestruali, a eliminare, infine, le coliche intestinali flatulenti. Lo stesso infuso, inoltre, può servire nei casi di glaucoma per ripetuti lavaggi.

Per chi soffre di rinite cronica fetida, che provoca quelle abbondanti secrezioni nasali, è consigliabile l'uso di un decotto di erba ruta preparato con un cucchiaio di foglie e due bicchieri di acqua. Si fa bollire per alcuni minuti e, tre volte al giorno, si introduce nelle narici per qualche minuto un batuffolo di ovatta bene imbevuta del liquido così ottenuto.

L'erba ruta ha dei discreti effetti digestivi, anche se inferiori a molte altre erbe. A questo proposito va per la maggiore la cosiddetta grappa alla ruta, preparata immergendo nella grappa un ramoscello di ruta. ha potente azione abortiva.

 

Rovo - Rubus fruticosus: pianta selvatica comunissima che cresce vigorosa un po' dappertutto, formando folti cespugli dotati di spine abbondanti e pungenti. Sul finire dell'estate giungono a maturazione quei frutti tipici, neri, simili a quelli del lampone e che vengono comunemente chiamati more. I rovi non sono così fastidiosi se se ne considera l'utilità in cucina: a parte le more, che producono in estate e in autunno, i loro germogli più teneri possono avere un impiego "alimentare". Ai bambini di campagna un tempo i nonni insegnavano il trucco di staccare la parte terminale del germoglio, sbucciare alla buona la pellicola esterna, e mangiarne il cuore, assaporando il particolare gusto amarognolo e la consistenza croccante. Ad inizio primavera i germogli di rovi non sono così "grassi" e succosi; basterà attendere le piogge d'aprile e il sole di giugno per poterne trovare in gran quantità. Nelle more sono contenuti zuccheri, albumine, numerosi acidi organici e soprattutto calcio e potassio, dei quali ultimi ogni corpo in fase di sviluppo sente una esigenza, si può dire, incontrollata. Per questa ragione i fanciulli ne sono particolarmente ghiotti ed è una ghiottoneria che li aiuta a crescere e a svilupparsi. La preparazione di marmellate di more è molto semplice: basta cuocere a fuoco lento le more con doppio peso di zucchero, fintantoché non si sia raggiunta una consistenza sciropposa. Qualche cucchiaio al giorno od anche più somministrato ai bambini porterà loro dei giovamenti inaspettati. Le more bollite con acqua e un po' di zucchero forniscono, in estate, una delicata bibita rinfrescante, utile sia ai grandi che ai più piccini.. Bevanda, inoltre, che costituisce un ottimo rimedio contro i bruciori di urina. Le foglie ed i teneri germogli di rovo contengono tannino in quantità notevole. Sono perciò astringenti ed il loro decotto, preparato facendo bollire per qualche minuto in mezzo litro di acqua una manciata di foglie secche, si usa con successo contro la diarrea anche dell'età infantile, la dissenteria, gli sputi sanguigni.

Felce - Polystichum filix    Habitat: luoghi ombrosi fino a 2.000 metri. Nella pagina inferiore delle fronde, ai lati delle nervature, si trovano dei corpiccioli, i"sori"(1,5 millimetri di diametro), ricoperti da una sottile membrana. All'interno dei "sori" si trovano dei corpi rotondi, microscopici, le cosiddette "spore" la cui funzione è di riprodurre la pianta. Sotto terra c'è una radice o "rizoma" orizzontale, nodosa e molto grossa. Questa pianta, che viene spesso raccolta anche a scopo ornamentale, è la felce maschio, molto comune anche da noi. La parte medicinale è la radice o rizoma che si raccoglie in estate e che deve presentare, all'atto della raccolta e della frattura, un bel colore verde. Questa radice, conosciuta fin dall'antichità, ha un deciso potere vermifugo, si usa molto secca, si polverizza e se ne prendono quindici grammi, mescolati magari con miele o qualche liquido sì da renderla più appetibile. E' necessario, prima dell'ingestione della polvere, essere digiuni da almeno 12 ore. All'ingestione della polvere si farà seguire, dopo circa mezz'ora, un efficace purgante non oleoso. Con questa cura vermi e tenia scompaiono facilmente. La radice debitamente bollita dà un ottimo decotto per bagni totali o parziali in grado di combattere crampi e reumatismi.  Anche l'aceto, nel quale siano stati bolliti rizomi di felce e usato per frizioni, è in grado di eliminare il gozzo e ridare elasticità ai muscoli irrigiditi da reumatismi. Nei crampi fastidiosi ai polpacci o al piede è sufficiente legare sulla zona afflitta una foglia verde.

Alloro - Laurus nobilis   Habitat: giardini ed orti dal piano alla collina. Le foglie e le bacche di alloro hanno proprietà medicinali di una certa importanza. Infatti, sminuzzando 5 o 6 foglie secche di alloro e mettendole in una tazza di acqua bollente si ottiene un ottimo infuso che, bevuto caldo prima di coricarsi, fa sudare abbondantemente riuscendo, quasi sempre ad impedire l'evolversi di un raffreddore o di un'incipiente influenza. Lo stesso infuso sorseggiato dopo i pasti, riesce, grazie alle essenze contenute, a facilitare la digestione e ad eliminare i fastidiosi gas intestinali. L'infuso, ancora, rinforza lo stomaco, eccita l'appetito e, come tutti gli infusi fatti con piante contenenti oli essenziali, è un ottimo e prezioso anticatarrale. Le bacche dell'alloro, piccoli frutti che assomigliano a minuscole ciliege nere dai semi molto grossi, sono ancora più attive delle foglie, contenendo un olio ricchissimo di numerose sostanze medicamentose. La polvere ottenuta dalle bacche perfettamente essiccate, presa nella dose di uno o due cucchiaini da caffè al giorno, è un rimedio efficace contro l'influenza, i raffreddori, le malattie nervose, le paralisi, le debolezze di stomaco e i gas intestinali. L'olio laurinato si ottiene con una manciata di bacche pestate e fatte macerare in mezzo litro di puro olio di oliva e serve per lenire gli spasmi reumatici o per facilitare la ripresa dell'uso delle articolazioni dopo ingessature o traumi di varia natura.  L'olio verrà frizionato adeguatamente sulle parti interessate alcune volte al giorno. Ottimo, sempre per uso esterno, l'unguento laurino che si prepara aggiungendo settanta grammi di olio di lauro, ottenuto per pigiatura delle bacche, un cucchiaio di trementina e mezzo cucchiaio di acido salicilico a 150 grammi di grasso di maiale e 50 grammi di grasso di pecora fatti fondere a fuoco lento. Raffreddato che sia, l'unguento viene conservato in un vaso a chiusura ermetica. Una buona manciata di queste bacche fatte bollire a lungo in acqua non molto abbondante, danno un decotto oleoso che, applicato con impacchi, serve quale ottimo emostatico, astringente e rinforzante dei capillari sanguigni.

Ginepro - Juniperus communis. Habitat: luoghi incolti dal piano al monte. Il ginepro contiene un olio essenziale volatile - la gineprina - che, assorbendo l'ossigeno dall'aria, depone la canfora di ginepro ed altre sostanze aromatiche. Naturalmente la parte più usata è costituita dalle bacche di ginepro: facendone una cura intensa che inizia da cinque bacche ben masticate il primo giorno ed aumentando la dose di una bacca per ogni giorno di cura fino al massimo di quindici e, quindi, regredire fino a tornare a cinque, non solo si faranno scomparire quegli odiosi bruciori di stomaco che tanto spesso ci affliggono, ma lo stomaco stesso ne uscirà rinforzato, mentre l'appetito aumenterà di pari passo. Questa cura può essere proficuamente sostituita da due tazze al giorno di un infuso preparato versando una tazza d'acqua bollente su sei o sette bacche di ginepro accuratamente schiacciate. L'infuso preparato con tre cucchiai di bacche di ginepro bene schiacciate ed un litro d'acqua bollente e preso nella misura di 3 o 4 tazze al giorno porterà sensibili benefici ai sofferenti di acido urico, quindi agli artritici, ai reumatici, ai gottosi, o a chi è affetto da itterizia, calcoli vescicali, idropisia cardiaca e nefritica, di leucorrea e di blenoraggia.  

All'infuso fa seguito, naturalmente, il celebre vino di ginepro, preparato con 60 grammi di bacche schiacciate messe a macerare per sei giorni in un litro di buon vino bianco. Di questo vino - diuretico e digestivo - se ne bevono due mezzi bicchieri al giorno. Per le essenze volatili in esse contenute e che vengono eliminate attraverso i polmoni, le bacche di ginepro sono pure indicate nei catarri cronici polmonari, nella tubercolosi e nell'asma. Un cucchiaio di bacche schiacciate poste in mezzo litro d'acqua bollente, danno un ottimo tè che preso ben caldo, nella misura di una tazza ogni due ore, farà sudare abbondantemente, faciliterà la respirazione, permetterà un abbondante e facile espettorazione. Anche le regole mensili saranno promosse prendendo la sera, prima di coricarsi, una tazza di tè preparato con acqua bollente e venti bacche di ginepro schiacciate. E, infine, per i numerosi malanni, acciacchi e ... bisogni invernali sarà sufficiente una buona manciata di bacche schiacciate di ginepro in un litro di vecchia grappa nostrana. Si otterrà il migliore gin di questo mondo, in grado di fugare i malanni invernali e gli altri poco sopra ricordati.

Lichene - Cetraria islandica Habitat: terreno nudo o rocce montane. E' facile in montagna imbattersi in rocce ricoperte da una pianta che vive e si sviluppa come le alghe, che si allarga, quasi, in foglie inodore, coriacee, di color rosso oliva nella faccia superiore, biancastre in quella inferiore, formando, il tutto, strani cespuglietti alti da terra sei o sette cm. Quando una tosse secca e persistente scuote il petto, affatica il cuore e toglie il sonno è la Cetraria islandica che porta un immediato sollievo, decongestionando ogni mucosa e favorendo così una pronta espettorazione di catarro. In questi casi si usa il decotto preparato con una mezza manciata di lichene che si fa bollire per mezz'ora in un litro di acqua. Quest'ultima di butta via e si fa ribollire il lichene per mezz'ora in un altro litro di acqua, si cola, si addolcisce con zucchero o miele, si allunga con un po' di latte e si somministra il decotto così ottenuto quattro o cinque volte al giorno, in tazzine da tè e molto caldo. Se invece si soffre di debolezza generale, di cattiva digestione, di dissenteria cronica, di febbri intermittenti, di enterogastrite cronica, di gastrite catarrale il decotto si prepara senza rigettare la prima acqua. Ne risulterà una bevanda molto amara - che però si può zuccherare - ma molto efficace per i malanni sopra ricordati. Se al primo decotto pettorale di lichene precedentemente ricordato - quello cioè al quale si toglie la prima acqua di ebollizione - si aggiunge mezzo cucchiaino di potassio, o calcio carbonato, e si lascia macerare il tutto per 24 ore, si otterrà una sostanza gelatinosa, costituita prevalentemente da amido di lichene. Questa gelatina, che può essere convenientemente mescolata con marmellata o amalgamata e dolcificata, a piacere, con del miele, costituisce una sostanza nutritiva di primo ordine che, mangiata, è indicatissima, inoltre, per le persone o convalescenti, nelle infiammazioni intestinali, nei raffreddori ribelli e, in particolare, per i bambini sfiancati ed esauriti dai numerosi accessi di tosse convulsa o tosse canina.

 

Altre Piante Alimurgiche (spontanee di uso alimentare)

Liliacee:

pungitopo/rusco/caffè Sicialiano, asparago pazzo (ruscus aculeatus): caratteristica dei lecceti, si raccolgono i nuovi getti (turioni) di colore bruno-violaceo che, in primavera, emergono dal terreno fra gli spinosissimi rami degli anni precedenti. I turioni del Pungitopo si consumano come gli Asparagi selvatici o coltivati, ma hanno un sapore più amarognolo e richiedono un maggior tempo di cottura. Per allontanare l’eccesso di sostanze amare si suole cuocerli in abbondante acqua. Una volta lessati, si mangiano conditi con sale, pepe, olio e succo di limone oppure si usano come ingredienti per le frittate. Il nome volgare Pungitopo e affini (Pungiratto, Piccasorci, ecc.) deriva dalla pratica agricola di disporre una corona di rami secchi di questa pianta ai piedi degli alberi da frutta per evitare che su di essi salgano i topi; analogo uso viene fatto nelle case di campagna del Veneto, dove ramaglie di Pungitopo vengono fissate ai piedi dei tavoli e delle dispense oppure nelle scaffalature sulle quali si allevano i bachi da seta. Il nome Brusco e derivati (Bruscolo, Bruscanza, ecc.) alludono al sapore amarognolo dei turioni; infatti 'brusco' si dice di cibo o persona aspra ma non sgradevole. Vari lessicografi ed etnobotanici (TRAINA, 1868; NICOTRA, 1883; PITRÈ, 1939; PROVITINA, 1990;) riportano la corrispondenza Sparacogna = Asparago pungente. Pitrè cita una credenza siciliana secondo la quale i rami di questa pianta “legati a piccoli mazzi si mettono sui pavimenti delle case perché fanno morire le pulci”. In varie regioni d’Italia i rami di Pungitopo sono impiegati come rustiche scope per pulire l’aia dopo la trebbiatura, fatta con il mulo. Altrove nel mondo, le scope di Pungitopo sono adoperate dagli spazzacamini per pulire le canne fumarie. Rami di Pungitopo provvisti delle bacche rosse si regalano durante le feste natalizie e di fine anno con significato beneaugurale. La presenza di bacche rosse porta, alle volte, a confondere la pianta in questione con l`Agrifoglio (Ilex aquifolium L.), un arbusto sempreverde a foglie spinose e bacche rosse, impropriamente chiamato Rusco/pungitopo ed impiegato con lo stesso significato del Pungitopo. Le bacche di Pungitopo e dell’Agrifoglio sono velenose e la loro ingestione può causare convulsioni. I semi del Pungitopo, in tempi di magra, sono stati usati come succedanei del caffè dopo tostatura. Coltivato a scopo ornamentale nei giardini per siepi e bordure, in vari casi gli erbaioli intervengono sulle piante selvatiche effettuando una forzatura, sfoltendo i cespugli o bruciandoli; in tal modo si favorisce una più precoce e copiosa produzione di turioni

 

Maitake, Reishi, Shaiitake

 

Maitake: (Grifola frondosa o Polyporus frondosus) Berbesin nel dialetto piemontese, è un fungo pieno di foglie, molto apprezzato localmente ma poco conosciuto. Debole parassita delle radici, cresce alla base di latifoglie (da noi si trova quasi esclusivamente alla base di vecchi castagni, o su ceppaie di acero), da settembre a novombre, sviluppandosi da un piccolo "embrione" e crescendo a mano a mano, sia del numero che nella dimensione delle "foglie frondose" di cui è composto, fino ad arrivare talvolta ad esemplari di oltre 10 kg. La sua morte "culinaria" è sicuramente il sott’olio; mantiene dopo la bollitura una notevole consistenza oltre a un buon gusto di nocciola. Con un solo esemplare di buona dimensione ci si può procura una buona "provvista" di "Berbesin" sott’olio. Cresce normalmente a fine estate in un'unica suite annuale; è oggetto d'intensa ricerca da parte di buongustai , mentre è trascurato da altri; i raccoglitori occasionali normalmente non lo conoscono nemmeno.

Ha una lunga storia d’uso nella culinaria e medicina tradizionale Cinese e Giapponese dov’è considerato un adattogeno, aiuta cioè il corpo ad adattarsi allo stress e normalizzare le sue funzioni. Le sue proprietà curative sono legate al suo alto contenuto di un polysaccharide (beta-1,6-glucano). In studi di laboratorio, ma mostrato capacità di prevenire carcinogenesi e inibire la crescita  di tumori cancerosi, uccide l’HIV, e stimola l’attività delle cellule immunitarie chiave (T-helper cells o CD4 cells). Maitake may also be useful for diabetes, chronic fatigue syndrome, chronic hepatitis, obesity, and high blood pressure. It is better absorbed than other mushrooms and it is almost as effective when taken orally, can be eaten in food or taken as a supplement or intravenously. Buy organically grown dried mushrooms (to use them in cooking, soak them in water or broth for half an hour), or purchase maitake in capsule extract, or tea forn. Some of the capsule supplements contain a small amount of vitamin C, which enhances the effectiveness of the active ingredient in maitake by aiding in its absorption.

 

Miko/maitake bis: Gymnopilus spectabilis/Junionus/Pholiota spectabilis. Spectabilis (rispettabile) per le dimensioni enormi che può raggiungere il gambo in altezza (il cespo può arrivare oltre il metro!). Si riconosce per il cappello, giallo-arancio, ricoperto da fibrille appressate brunicce. Cappello: Dai 6 ai 20 cm circa, convesso, poi espanso, spesso con umbone ottuso, margine sottile e per lo più involuto, con residui di velo. Cuticola asciutta, dorata oppure color arancio, marrone in età; ricoperto di squame fibrose color bruno. Lamelle mediamente fitte, decorrenti con un dentino, di colore giallastro, poi bruno ruggine.

Gambo: Robusto, alto, anche di dimensioni enormi (Fino a 80 cm di lunghezza!), con base radicante, fibrosa, estremamente legnosa; color giallo oppure marrone, squamoso nella parte inferiore, ricoperto da una pruina biancastra sopra l'anello, scaglioso sotto. Anello: membranoso, ampio, color giallo, poi ruggine per via della sporata.

Carne amara compatta, molto coriacea, fibrosa nel gambo, di colore giallo chiaro o giallo paglierino da giovane, giallastra o giallo-ocreaceo in età avanzata, color marroncino negli esemplari più vecchi. Odore: gradevole, fungino; a volte un po' forte, è possibile percepire l'acredine del fungo perfino dal suo odore. Sapore: amarissimo, molto sgradevole. Diventa dolce con marcato retrogusto amarognolo se cucinato nella maniera opportuna; produce sindrome psilocibinica. Habitat: cresce in gruppi, spesso cespitoso, su vecchie ceppaie marcescenti di conifere o latifoglie, in particolare di eucalipto, leccio o pino, dalla tarda estate all'autunno inoltrato. È frequentemente preda delle larve, specialmente nel gambo.

Buon commestibile, ma praticamente immangiabile da crudo oppure poco cotto per via del sapore amarissimo, che si stempera dopo una lunga cottura in un sapore dolce ed amarognolo molto gradevole che ricorda il luppolo. Consumare preferibilmente esemplari giovani, in quanto gli esemplari molto vecchi sono troppo coriacei ed amari. Preparazione: eliminare quasi tutto il gambo in quanto troppo coriaceo. Cuocere molto a lungo (anche 60 min) in acqua bollente. Il fungo in questione emette moltissima schiuma. Dopo la cottura versare i funghi in uno scolapasta sotto acqua fredda e lavarli per bene, fino a quando la schiuma non sparisce completamente. Porre i funghi in un pentolino pieno d'acqua fredda e lasciar correre un filo d'acqua dal rubinetto per circa un'ora. In seguito riempire il pentolino con altra acqua, leggermente salata, senza però lasciarla correre; lasciar riposare per un paio di ore. Successivamente i carpofori possono essere cucinati nella maniera desiderata, ma si prestano meglio alla conservazione sott'olio.

All'estero è conosciuto, unitamente ad alcune specie congeneri, come il "fungo della risata" (Laughing Mushroom) per le sue proprietà psicotrope sebbene in vari parti, come in Italia, non sviluppi le medesime proprietà. In alcune zone del Giappone viene adoperato per rallegrare i commensali. "può essere dato alle donne per farle ridere e convincerle a ballare nude come la prima donna Miko", questo afferma Nihachiro Sasaki, anziano micologo giapponese noto per aver scoperto come coltivare il "Maitake" (Grifola frondosa) officinale. In Italia il consumo di questa specie è vietato, al pari delle specie dei generi Stropharia e Psilocybe. Specie simili: Difficilmente confondibile con altre specie anche in considerazione delle dimensioni ragguardevoli che può raggiungere, Gymnopilus junonius , commestibile dopo prolungata cottura, di taglia mediamente più piccola, potrebbe essere confuso, dai meno esperti, con alcune forme particolari di Armillaria mellea, la cui carne però non è amara come G. spectabilis.  I più inesperti potrebbero confonderlo, quando è giovane, con il congenere Gymnopilus penetrans, che però è di taglia nettamente più piccola e che non sempre cresce cespitoso.

 

 

Shiitake

Lo Shiitake (Lentinus Edodes) proviene dall’estremo Oriente, già diffuso nell’antica Cina prima ancora dello sviluppo della coltivazione del riso e da centinaia di anni parte integrante della dieta in Giappone. Il suo nome deriva dall’unione delle due parole giapponesi “Shii” (quercia) e “Take” (fungo), in quanto cresce spontaneo sui tronchi di questi alberi. La sua coltura si sta diffondendo anche in Europa, ed è reperibile nei negozi di prodotti biologici in forma secca. Dotato di alte qualità extra-nutrizionali, oltre a un grande sapore e un discreto apporto calorico dovuto alla quantità di proteine presenti (296 kcal/1238 kJ per 100 gr di prodotto secco), appartiene alla tradizione culinaria orientale, che da sempre associa al piacere del palato una funzione curativa del cibo. Alcune sue componenti sono risultate efficaci nel trattamento di alcuni tumori (leucemie e cancro al seno), nella riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue, nella stimolazione del sistema immunitario (il polysaccharide lentina, accresce la formazione di cellule T). Ha proprietà antivirali, antitumorali, riesce ad abbassare il tasso di glicemia e colesterolo (90 g di questi funghi al giorno, per una settimana, abbassano il tasso di colesterolo del 12% in media nelle persone sane e neutralizzano i danni derivanti dalla massiccia introduzione di grassi saturi). Shiitake contiene 18 amino-acidi (7 dei quali essenziali) e minerali come silice, calcio, magnesio, zolfo, ferro, sodio, potassio, fosforo, alluminio. Contiene vitamine del gruppo B: B1 (thiamine), B2 (riboflavin) e B3 (niacin) e, quando seccato al sole, sviluppa molta vitamina D.

Reishi (Ling zhi, Ling-chih traditional Chinese), Ganoderma lucidum, G. applanatum and related species – Fam. Basidiomycetes

il genere Ganoderma in Europa è rappresentato da: G. adspersum, applanatum, carnosum, lucidum, pfeifferi, resinaceum e valesiacum. Per uso terapeutico nel nostro continente sono noti solo, applanatum e lucidum, mentre in oriente usano anche G. japonicum, sinense, tsugae ed altri ancora. Delle altre specie europee, per la loro infrequenza, non ci risultano ricerche fatte. In Calabria sono frequenti il carnosum e pfeifferi, e contengano le stesse proprietà curative di quelli noti.

Il Ganoderma lucidum, (cinese: Ling Zhi, giapponese: Reishi, spagnolo: Pipa) è un fungo diffuso nell’ambiente mediterraneo, raro altrove, ma coltivato in numerosi paesi. Utilizzato in Oriente sin dal 20° secolo a.C., nella tradizione gli sono attribuite proprietà di accrescere l’energia vitale con mantenimento del vigore giovanile; nei classici viene chiamato Pianta dell’immortalità. Assorbe i vapori terreni e ne emette di celesti. In Europa fruttifica specialmente sulle ceppaie e sui tronchi di quercia, mentre in Giappone, prevalentemente sul prugno. Meno diffuso su altre latifoglie come acero, betulla, castagno, cisti, erica, faggio, frassino, nocciolo, ontano, pioppo, pero e tiglio. Più raro su conifere come abete, larice e pino. Le quantità di consumo vanno dai 3 ai 10 g di fungo secco o polverizzato. I Cinesi usano bollire gli sporofori lentamente per 4 ore e poi bere l’acqua e/o, se giovane e tenero, mangiarne la polpa. Alcuni lo prendono come tisana, mettendo 5 grammi di fungo secco polverizzato in una tazza dìacqua bollente e lasciato in infusione per 5 minuti, poi bere il tutto oppure aggiunto nella minestra o preso mischiato ad un pò di miele. Preso come cura in uno dei metodi sopra annotati, la prima settimana 3 volte al giorno con una quantità di 5 grammi la volta. La seconda settimana aumentare a 10 grammi la volta. Dalla terza all’ottava settimana, sempre tre volte al giorno, si aumenta ancora 15 grammi la volta. Poi ancora per 3 settimane scendere a 10 grammi la volta e le ultime 3 settimane a 5 grammi la volta.

La cura risulta efficace contro: allergie della pelle, infezioni, ipertensione arteriosa, infiammazioni, virus, insonnia, diabete, colesterolo, stipsi, emorroidi. Elimina il catarro, calma la tosse, cura la bronchite e l’asma bronchiale e previene le malattie dell’apparato respiratorio. E’ un forte tonico e rafforza tutti gli organi, specialmente il fegato e il cuore, inoltre aiuta nelle mestruazioni troppo dolorose. Ha una potente attività antiossidante, di protezione del patrimonio genetico dall’azione mutagena dei radicali liberi. Il paese europeo nel quale è usato di più è la Spagna. A Barcellona a volte lo si può comperare al mercato.

Molto riverito in Cina e Giappone come potente medicina che stimola il sistema immunitario and embolsters the spirit.

 

Fonte: estratto per uso didattico da http://digilander.libero.it/stebama/MEDIA/ortaggi_cereali_legumi.doc

Sito web: http://digilander.libero.it/stebama/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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