Integratori e prodotti dietetici

 

 

 

Integratori e prodotti dietetici

 

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Integratori e prodotti dietetici

 

INTEGRATORI ALIMENTARI

 

Parlando di integratori alimentari bisogna dire che il riferimento legislativo italiano in merito a questa materia era inizialmente il Decreto legge n. 111 del 27 gennaio che attuava la direttiva CEE 89/398, il quale trattava di quei prodotti destinati ad una particolare alimentazione, come gli alimenti per la prima infanzia e i prodotti dietetici, includendo inizialmente anche gli integratori e gli alimenti addizionati con vitamine e minerali. A dieci anni dall’emanazione di questo decreto si è arrivati però ad una distinzione per gli integratori alimentari tramutatasi appunto in una direttiva (CE) del 10 giugno 2002, e quattro anni dopo con il regolamento (CE) 1925/2006 si è riusciti anche nella catalogazione degli alimenti che presentano vitamine e minerali, e si è arrivati di conseguenza alla formulazione del regolamento (CE) 1924/2006 trattante i cosi detti “claims”, cioè le indicazioni nutrizionali e sulla salute da applicare a tutti gli alimenti e in particolar modo alle categorie sopra citate.
Entrando nel dettaglio. e’ da considerarsi dietetico un prodotto che a livello nutritivo presenti una particolare composizione che abbia la capacità di andare incontro alle esigenze di una determinata categoria o fascia di consumatori, portando ad un loro beneficio.  Si parla, quindi, di prodotti che presentano una composizione di gran lunga diversa da prodotti analoghi di normale uso, visto il loro adattamento significativo a esigenze nutrizionali particolari.
Inoltre, se si è di fronte ad un prodotto che presenta una composizione a livello nutrizionale di grande qualità, capace di essere importante nella dieta del consumatore medio, questo non lo si potrà escludere dal consumo generale e proporlo come dietetico, visto che non si avrebbero motivi per confinarlo ad una destinazione particolare. Un esempio da portare potrebbe essere quello degli alimenti “ senza zuccheri aggiunti “ i quali apparentemente possono considerarsi come prodotti dietetici, ma che, in realtà, vista la necessità da parte di tutti i comuni consumatori di mantenere basso il livello di calorie e zuccheri assimilati, possono rientrare negli alimenti di consumo corrente.
In tutto ciò gli integratori, non dimostrando di essere dei sostitutivi di prodotti alimentari in commercio, legati ad una particolare funzione nutrizionale, non vengono inquadrati tra gli alimenti dietetici e considerando la direttiva 2002/46/CE vengono definiti come:
« prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia mono - composti che pluri - composti, in forme di dosaggio, vale a dire in forme di commercializzazione quali capsule, pastiglie, compresse, pillole e simili ...destinati ad essere assunti in piccoli quantitativi unitari».
Successivamente, con il decreto legislativo del 21 maggio 2004, n. 169, si cerca di essere ulteriormente più chiari, sempre tenendo conto di quanto detto nella precedente direttiva, e si fornisce una descrizione più completa dei possibili costituenti degli integratori, individuando tra questi «le vitamine e i minerali» o «altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale».
Pertanto indicheremo con il termine integratore quei prodotti che sono fonti concentrate di sostanze nutritive o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, e che, inoltre, non hanno un impatto significativo sulla razione alimentare in termini di energia, cioè di apporto calorico. Di conseguenza quelli che prima venivano considerati come “ integratori energetici” e “ integratori proteici “, per esempio barrette o prodotti in polvere che hanno un elevato contenuto calorico per le proteine, i carboidrati e i grassi che contengono, ora vanno esclusi dal campo di applicazione della norma sugli integratori alimentari.
E’ importante non confondere l’effetto/funzionalità fisiologica che può essere attribuito ad un integratore con la capacità terapeutica, che è espressamente esclusa per tutti gli alimenti e che caratterizza solo i farmaci. Gli integratori, così come alcuni altri alimenti, possono avere la capacità di aiutare e/o facilitare lo svolgimento di una funzione che è già propria dell’organismo e solo in questo senso deve essere inteso il termine “fisiologico” previsto nella definizione, ma non possono essere considerati farmaci che devono subire un complesso iter prima di essere immessi nel mercato, regolato da numerosi e rigorose leggi nazionali ed internazionali.

 

 

 

GLI INTEGRATORI VISTI DA VICINO

 

IL MERCATO DEGLI INTEGRATORI

 

Sicuramente il mercato degli integratori è da considerarsi in crescita, come emerge dall’ultima indagine fatta da AC-Nielsen per FederSalus. Si parla di un incremento dell’11,2% di vendite nel 2008. Oggi a questi supplementi alimentari ricorre un italiano su tre, e se il 45% lo fa occasionalmente, il 18% li consuma regolarmente durante l’anno.
In crescita anche l’acquisto via Internet, spesso al di fuori di canali che offrono garanzie e, quindi, con possibili rischi per il consumatore.
Sempre dalla stessa indagine risulta che la motivazione per l’uso abituale di integratori è per il 46% la ricerca di benessere psico-fisico in generale, e per il 43% quella di ottenere una soluzione a delle specifiche esigenze di salute, in questo caso vi è una prevalenza di donne. Un altro 7% usa gli integratori abitualmente perché, praticando sport, anche in maniera intensa, li considera come un valido supporto alla sua alimentazione e il restante 3,3% li considera utili in un’alimentazione dimagrante .
Andando nello specifico dei consumi, in testa, per il 52,5%, troviamo i complessi vitaminici e minerali, seguiti per il 36% da integratori energetici o fermenti lattici, e per il 14,4% quelli per lo sport, utilizzati in prevalenza da uomini. Ci sono poi supplementi a base di crusche e altre fibre nell’8,3%, e agli estratti vegetali come aloe o papaia nel 7,8% o ginseng, pappa reale e tonici nel 7,4%.
Da notare che in due casi su tre i consumatori sono donne, e nel 57% dei casi si tratta di persone con istruzione medio - alta le quali tendono ad andare a scegliere complessi vitaminici e minerali ritenendoli una scelta di benessere. Invece alla scelta di fermenti lattici si indirizzano per lo più donne che sono casalinghe.
Interessante è capire da chi ci si fa consigliare e quindi di chi ci si fida per scegliere nella vasta gamma di integratori. Abbiamo un 51,7%, che si affida al medico, un terzo (soprattutto maschi) che preferisce il fai da te, anche se nel 7,5% dei casi dice di rivolgersi sempre al farmacista e nel 2,5% all’erborista di fiducia: questo a fronte di oltre 6 milioni di italiani che s’informano via web sui vari aspetti relativi alla salute e del benessere. Per la scelta, invece, di dove acquistare questi prodotti due sono le variabili principali che influiscono: l’aver fiducia nella persona al banco orienterà in farmacie, parafarmacie, erboristerie oppure la ricerca della convenienza acquistando al supermercato.
In farmacia si comperano soprattutto multivitaminici, dimagranti e fermenti lattici e nella grande distribuzione sostitutivi del pasto, dimagranti, integratori per lo sport.
Concludendo, il mercato degli integratori ha avuto e continuerà ad avere un’impennata nelle sue vendite grazie alla possibilità di acquisto in parafarmacie, supermercati e via internet. Internet è da considerasi un fenomeno crescente da tenere sotto controllo per la facilità con cui si può portare a termine un acquisto che poi può rivelarsi tutt’altro che a favore della salute. Un esempio lo abbiamo negli Stati Uniti, dove tale modalità è ovviamente molto più diffusa, infatti, la FDA (Food and Drug Administration) ha appena lanciato un avvertimento ai consumatori rispetto all’utilizzo di quasi 70 prodotti dietetici venduti come naturali o estratti vegetali, via web e anche al dettaglio, che possono contenere principi attivi non dichiarati, quali sostanze per perdere peso, diuretiche, lassative. I rischi sono quelli legati per esempio a dosi molto superiori a quanto raccomandato, all’uso di sostanze con effetti collaterali pericolosi, o non appropriate per chi le utilizza.

 

LINEE GUIDA TEST CLINICI PER GLI INTEGRATORI

Proprio per garantire il cittadino dall’uso di sostanze non sicure e per le quali non ci sono prove adeguate, negli ultimi tempi gli integratori stanno ripercorrendo l’approccio che si è già avuto con i farmaci, cioè ci si dedica alla valutazione della loro sicurezza, qualità ed efficacia tramite ricerche, sperimentazioni e test clinici di diverso tipo. Questi, infatti, vengono realizzati con lo scopo di accertare che una determinata indicazione (claims), che si trova scritta sull’etichetta dell’integratore in esame, corrisponda a verità e ci sia quindi una rispondenza tra la proprietà vantata e la qualità del “supplemento alimentare”.
A tal proposito, la necessità di tutelare il consumatore da notizie inesatte, prive di fondamento scientifico, quindi fuorvianti, in merito alle proprietà nutrizionali e salutistiche degli alimenti, insieme all’esigenza di riempire un vuoto normativo che dava spazio a concorrenze di tipo sleale tra le imprese operanti nel settore, ha fatto si che intervenisse il Parlamento Europeo con il Regolamento n.1924 del 2006 avente come obiettivo cardine di garantire che le indicazioni non obbligatorie, apposte sulle etichette alimentari (claims), siano chiare e corroborate da prove scientifiche.
Quindi le condizioni generali d’uso per i claims, a protezione del consumatore, sono le seguenti:
-     non devono essere falsi, ambigui o fuorvianti;
-     non devono incoraggiare consumi eccessivi del cibo;
-     non devono far nascere o sfruttare timori nei consumatori;
-     devono essere comprensibili per il consumatore medio (una persona normalmente informata, ragionevolmente attenta e cauta);
-     devono essere formulati sulla base di prove scientificamente accettate, rese disponibili alle autorità competenti se richiesto, tenendo conto di tutti i dati scientifici disponibili e valutando gli elementi di prova.
Questa normativa prevede inoltre diverse tipologie di claims a partire da quelli “nutrizionali”, i quali attestano che un alimento possiede particolari proprietà, appunto nutrizionali, dovute all’energia (kcal) che apporta o meno, e alle sostanze nutritive o di altro tipo che contiene o no. Esempi li troviamo in scritte come “senza zuccheri”, “a basso contenuto di grassi”, “leggero/light” e così via.
Poi abbiamo i “claims salutistici” definiti come qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l’esistenza di un legame tra un alimento, o i suoi componenti, e la salute, per esempio “migliora le funzioni intestinali”, “rallenta l’invecchiamento cellulare” o “aiuta le difese immunitarie”. Questi oltre a seguire le norme generali devono riportare:
-     una dicitura relativa all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano;
-     la quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico indicato;
-     nel caso ve ne sia la necessità, una dicitura rivolta alle persone che dovrebbero evitare il consumo dell’alimento;
-     un’avvertenza per i prodotti che, se consumati in dosi eccessive, potrebbero avere controindicazioni.
Le indicazioni sulla salute possono a loro volta essere classificate in due tipologie: indicazioni funzionali (functional claims) e indicazioni sulla diminuzione del rischio di malattia (health claims). I primi fanno riferimento, non ad una riduzione del rischio di malattia o a effetti benefici sulla salute, ma all’effetto che deriva dall’interazione tra il componente alimentare e, ad esempio, la crescita e lo sviluppo di un organismo anche dal punto di vista psicologico e comportamentale. Gli health claims, invece, riguardano la riduzione dei rischi di malattia e indicazioni che si riferiscono allo sviluppo e alla salute dei bambini.  Queste due tipologie sono regolate dall’articolo 13 e 14, sempre del regolamento 1924/2006, i quali stabiliscono che le indicazioni possono essere fornite qualora ne sia stato autorizzato, secondo la procedura, l'inserimento in un elenco comunitario unitamente a tutte le condizioni necessarie per il loro impiego.
A tal proposito avrà un ruolo importante l’EFSA (European Food Safety Authority) che dovrà valutare, e di conseguenza garantire, la fondatezza scientifica delle informazioni da apporre sulle etichette stilando un registro comunitario delle affermazioni salutistiche che sono state riconosciute ed approvate.
Questa lunga lista, a causa dei numerosi claims sottoposti al parere degli esperti, non e’ ancora completa e molti dei già esaminati hanno ricevuto un esito sfavorevole circa la loro idoneità. Tale fatto è legato ad una carenza di informazioni per l’identificazione della sostanza su cui si basa l’indicazione, il tutto dovuto o ad una mancanza di prove a sostegno dei vantati effetti benefici per il mantenimento o il miglioramento delle funzioni fisiologiche o, in altri casi, alla mancanza di studi sull’uomo eseguiti con misure attendibili.
Infine va ricordato nel quadro legislativo Europeo anche il Regolamento n 353 del 2008 che fissa le norme di attuazione per le domande di autorizzazione relative ad indicazioni sulla salute.
Spostando l’obbiettivo a livello Nazionale, ci accorgiamo che in merito a questo argomento il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha promosso, il 30 Aprile 2009, delle linee guida per fornire elementi sui criteri da seguire sulla conduzione di studi in campo alimentare, al fine di valutare la sicurezza e le proprietà di prodotti alimentari, in primis integratori e prodotti destinati ad un’alimentazione particolare.
Si tiene conto, comunque, che questi studi devono svolgersi in conformità con le linee guida formulate dall’EFSA e che generalmente hanno come finalità quella di attestare la sicurezza di prodotti/ingredienti alimentari che in ambito dell’Unione Europea si sono consumati largamente o quella di certificare gli effetti già riconosciuti ed elencati nel registro comunitario dei claims sulla salute conformemente al Reg. (CE)1924/2006.
Le sperimentazioni e gli studi di sicurezza in campo alimentare possono essere effettuate sia in vitro (su colture di cellule), che in vivo (animali da laboratorio) che sull’uomo.
Per quanto riguarda i test condotti sugli animali possiamo valutare due diversi parametri con altrettanto differenti protocolli. Il primo è la tossicità sub-cronica da esaminare in due animali da laboratorio (un roditore e uno che non lo è) per un periodo di durata di novanta giorni, l’altro è rivolto alla tossicità cronica e/o cancerogenicità per la quale vengono utilizzati animali da laboratorio, come un ratto ed un topo, i quali vengono monitorati per dei periodi più o meno pari alla durata della loro vita (24 mesi per il ratto e 18 /24 mesi per il topo).
Gli studi sull’uomo per prima cosa devono essere condotti secondo le norme della buona pratica clinica (GCP), che, insieme ai principi stabiliti nel 1964 dalla Dichiarazione di Helsinski, aggiornati nelle versioni successive, garantiscono la tutela dei diritti della sicurezza e del benessere dei soggetti che partecipano allo studio.
Un altro aspetto importantissimo da rispettare è il parere preventivo e vincolante, dal quale si prescinde per l’avvio dello studio, del Comitato Etico di riferimento; ma di questo argomento se ne parlerà successivamente. Il coordinatore della sperimentazione dovrà poi possedere un ampio bagaglio di esperienza, istruzione e formazione che lo qualifichi come idoneo alle operazioni.
E’ necessario, inoltre, che lo studio che si vuole promuovere deve partire da un razionale scientifico correttamente formulato, cioè deve fondarsi sulle evidenze di pubblicazioni scientifiche accettate da riviste nazionali o internazionali, e, nello specifico per gli integratori, ricordarsi di indicare il costituente alimentare oggetto dello studio e il relativo apporto proposto, individuando i parametri più adatti su cui testare l’“efficacia” del prodotto.
Oltre a quanto detto, deve essere definita l’impostazione metodologica e la tipologia di studio che si vuole adottare .
Quest’ultimo può essere:
-    controllato e randomizzato; quindi trattarsi di uno studio sperimentale in cui la formazione dei gruppi da confrontare, (un gruppo sottoposto al trattamento e un gruppo di controllo) è affidata al caso (randomizzazione). In presenza di un numero di pazienti sufficientemente alto la randomizzazione garantisce la formazione di gruppi omogenei e confrontabili
-    controllato e randomizzato in doppio cieco; in cui né i pazienti, né gli sperimentatori sono a conoscenza del trattamento assegnato ai diversi gruppi.
-     controllato e randomizzato versus placebo; dove un trattamento inattivo, biologicamente inerte, il placebo appunto, viene somministrato come pillola, in polvere o sostanza liquida, ai volontari che appartengono al gruppo di controllo. Questo serve a verificare la possibilità che gli effetti osservati nel gruppo che riceve il trattamento siano indotti non dal farmaco attivo (o dall’integratore come nel nostro caso), ma dalle aspettative del volontario.
Importante poi saper individuare quei criteri statistici, come il numero di pazienti da analizzare, l’età, sesso, patologie e cosi via, che siano idonei al punto da rendere veritiero e ricco di dati significativi lo studio. Quest’ultimi, una volta ottenuti, dovranno, come è chiaro, essere analizzati e risultare a supporto di ciò che si vuole dimostrare. Poi essere inviati, a inizio e a fine sperimentazione per mezzo di apposite schede, da parte del promotore dello studio, al Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche Sociali.
Ultimo elemento da tenere in considerazione, non meno importante, è quello del “dove questi test clinici possono svolgersi”; come si apprende dalle linee guida si parla di:
-     Strutture sanitarie pubbliche o equiparate;
-     Enti di Ricerca pubblici o privati;
-     Centri di riferimento riconosciuti dall‘EFSA;
-     Strutture sanitarie private;
-     Medici di Medicina Generale;
-     Pediatri di Libera Scelta;
-     Medici libero-professionisti

 

RUOLO DEL COMITATO ETICO NELLE SPERIMENTAZIONI SUGLI INTEGRATORI ALIMENTARI

Facendo riferimento alla direttiva 2001/20/CE del Parlamento Europeo possiamo definire il Comitato Etico come un organismo di consultazione e di riferimento per qualsiasi problema di natura etica che si possa presentare in una struttura sanitaria sia relativamente alla pratica clinica sia relativamente alla ricerca bio – medica, oltretutto indipendente e composto di personale sanitario e no. L’obiettivo principale è la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti che partecipano a sperimentazioni cliniche.
Dal punto di vista organizzativo, dobbiamo far riferimento ad una struttura di tipo gerarchico dove esiste un Comitato nazionale di bioetica che fornisce orientamenti generali e risolve le controversie, i Comitati etici regionali che svolgono funzione di Comitato etico unico o di comitato di riferimento e supervisione e molti Comitati etici locali.
Questi li troviamo nelle strutture sanitarie pubbliche e negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico privati (IRCCS). Sono composti in genere da 12-15 membri nominati dalla direzione dell’ospedale di appartenenza, di cui due clinici, un biostatistico, un farmacologo, un esperto di materie giuridiche, un medico di medicina generale o un medico della Asl, un bioeticista, un infermiere, un farmacista e un membro laico (un rappresentante delle associazioni di pazienti). Ci sono poi rappresentanti dell’istituzione presso cui viene condotto lo studio e altri osservatori che di volta in volta possono essere coinvolti, in caso di necessità specifiche, in qualità di esperti esterni. Il Comitato etico deve garantire l'indipendenza, sia dagli interessi dell'istituzione in cui la sperimentazione verrà condotta, sia nei confronti di chi propone la sperimentazione.
In generale l’indipendenza è garantita da: assenza di subordinazione o di vincoli gerarchici dei membri nei confronti dell'istituzione; assenza di conflitti di interesse dei membri rispetto alla sperimentazione da valutare (per eventuali rapporti con industrie farmaceutiche, istituzioni, enti, ecc); volontarietà della partecipazione (la prestazione svolta non prevede alcun compenso, comunque sia in genere nei Comitati etici è previsto un rimborso spese o un gettone di presenza).
Prima che il paziente venga coinvolto, il Comitato etico valuta:

  • la scientificità e l'importanza clinica del protocollo (cioè la novità apportata dallo studio, la sua necessità e opportunità a fronte delle prove e delle incertezze esistenti all'inizio dello studio, le modalità con cui viene condotto, gli obiettivi, ecc.)
  • la fattibilità della sperimentazione nel contesto dell'ospedale in questione,
  • il rispetto delle leggi e delle normative nazionali ed europee,
  • gli aspetti di tutela etica per il paziente, in particolare quelli che riguardano il tipo e la qualità delle informazioni fornite al paziente (il cosiddetto verbale di consenso informato) e la tutela della sua privacy (riservatezza e confidenzialità dei dati).

Il ruolo dei Comitati etici locali è cruciale per valutare: la qualità e l'opportunità dello studio, l'indipendenza dello studio, i vantaggi che possono derivarne per la popolazione; la qualità della comunicazione al paziente, la comprensione dell'informazione da parte del paziente, la sua libertà e capacità decisionale. Durante le fasi della sperimentazione, il Comitato etico locale ha l'obbligo di controllare lo stato di avanzamento delle ricerche, monitorare gli eventi gravi che possano verificarsi (eventi avversi attribuibili alle procedure della sperimentazione) e mantenere rapporti con tutti gli organismi pubblici che per legge devono essere informati dell'esistenza e dello stato di avanzamento degli studi. Questa parte del monitoraggio rappresenta oggi forse il punto di maggiore criticità in quanto la maggior parte dei Comitati etici non ha la forza né la struttura per esercitare a pieno questa funzione, ed il collegamento con gli stessi ricercatori che conducono la sperimentazione è molto difficoltoso. Il Comitato etico locale deve inoltre garantire e verificare che il paziente abbia un'adeguata copertura assicurativa, non sia esposto ad alcuna spesa aggiuntiva nel caso decidesse di entrare come volontario in uno studio e che eventuali rimborsi e compensi siano congrui.
Un Comitato etico locale si riunisce in media circa 10-15 volte l'anno. Durante le riunioni vengono discusse le ricerche presentate e viene dato un giudizio finale. Per quanto riguarda la legislazione che regola le sperimentazioni sui medicinali, la scadenza per l’espressione del parere è di trenta giorni dalla data di presentazione della domanda, in forma scritta, del promotore della ricerca. In questo periodo di tempo il Comitato Etico comunica l’eventuale parere favorevole all’Autorità Competente e solo dopo l’autorizzazione della quale lo sperimentatore potrà dare inizio alla sperimentazione scientifica. In caso di parere sfavorevole, se il promotore dello studio, comunque, volesse ottenere l’approvazione, potrebbe modificare gli elementi della sperimentazione sui quali è basato il parere negativo del Comitato Etico per poi ripresentare allo stesso, e non ad altri, la proposta di studio rivisitata e modificata. Un esempio lo si ha quando il Comitato Etico decreta un parere non favorevole derivante dal fatto che ci sia una scarsa conoscenza dell’integratore/farmaco dovuta ad insufficiente utilizzo di questo sull’uomo.

 

CONCLUSIONI

La ricerca ha cercato di mettere l’accento sulle nuove tipologie di prodotti che sempre di più il mercato offre, in particolare su quegli alimenti che “promettono” grandi benefici al consumatore che li acquista. Ciò che si è potuto comprendere alla fine, nitidamente, è l’enorme potenzialità di questo settore e la vasta gamma di opportunità che se ben sfruttate si possono ricavare. Tutto ciò sarebbe possibile rendendo migliore l’attuale legislazione, demarcando in modo più netto le varie categorie di alimenti e i parametri che questi devono rispettare. In primis ci si aspetta un segnale forte dalla Comunità Europea la quale dovrebbe operare con una legislazione che tuteli il consumatore, promuova il commercio, incentivi lo sviluppo e l’innovazione dell’industria alimentare. Conseguentemente, dovrà seguire il recepimento da parte degli Stati membri che dovranno attenersi, pur mantenendo un loro minimo arbitrio.
Altro punto fondamentale, messo in evidenza, è quello riguardante le indicazioni sulle caratteristiche dei prodotti e sui benefici associati alla salute. Queste dovrebbero essere comunicate in modo comprensibile e sincero ai consumatori che, solo così, possono realmente sviluppare una consapevolezza del (reale) legame esistente tra proprietà e caratteristiche del prodotto ed effetti positivi. Pertanto si dovrà attribuire uno spazio maggiore a due aspetti: da una parte l’utilizzo in maniera regolamentata di una ricerca alimentare sempre più all’avanguardia, di sperimentazioni approfondite e di test clinici e studi mirati; e dall’altra far perno sull’attività di “ controllo” del Comitato Etico così da poter garantire la validità e il rispetto totale delle regole da parte dello studio che si vuole promuovere.


BIBLIOGRAFIA

 

  • Cabras Paolo, Martelli Aldo, Chimica degli alimenti: nutrienti, alimenti di origine vegetale, alimenti di origine animale, integratori alimentari, bevande, sostanze indesiderabili, Padova, Piccin, 2004
  • Marini L., Il diritto internazionale e comunitario della bioetica, Giappichelli Editore Torino 2006
  • Murray, Michael T., Guida medica agli integratori alimentari, Milano: Red!, 2005
  • Pedretti Marzio, Guida agli integratori alimentari, Musumeci, 1986
  • Scarpa Bruno, I novel food. Attualità e prospettive, Di Renzo Editore, 2007

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

  • Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.111; attuazione della direttiva n. 89/398/CEE concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particolare.
  • Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari.
  • Direttiva 2001/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 aprile 2001 concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano.
  • Direttiva 2002/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 giugno 2002 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari.
  • Direttiva 2002/46/CE, attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169.
  • Regolamento (CE) n.1829 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati.
  • Regolamento (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 sull'aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti.
  • Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
  • Regolamento (CE) n. 353/2008 della Commissione del 18 aprile 2008 che fissa le norme d’attuazione per le domande che autorizzano le indicazioni sulla salute previste dall’articolo 15 del regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio.
  • Linee di indirizzo sugli studi condotti per valutare la sicurezza e le proprietà di prodotti alimentari, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 30 aprile 2009
  • Circolare del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 5 novembre 2009, Linee di demarcazione tra integratori alimentari, prodotti destinati ad una alimentazione particolare e alimenti addizionati di vitamine e minerali - Criteri di composizione e di etichettatura di alcune categorie di prodotti destinati ad una alimentazione particolare.

SITI CONSULTATI

  • http://www.adiconsum.it
  • http://www.camcom.gov.it
  • http://www.efsa.europa.eu/it
  • http://www.enea.it
  • http://federsalus.it
  • http://www.ilfattoalimentare.it
  • http://magazine.paginemediche.it
  • http://www.partecipasalute.it
  • http://www.salute.gov.it
  • http://www.ssfa.it

 

fonte: http://www.svegliaconsumatori.it/TESI%20INTEGRATORI%20ALIMENTARI.DOC

sito web: http://www.svegliaconsumatori.it/

Autore del testo: Matteo Moretti

 

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