Botanica generale

 

 

 

Botanica generale

 

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Botanica generale

 

1--Le piante entrano nella nostra vita molto più di quanto possiamo immaginare. Esse ci forniscono oltre al cibo, fibre per il vestiario, legno per i mobili, per l’edilizia e come combustibile, carta per i libri, spezie, farmaci, nonché l’ossigeno che respiriamo. Possiamo quindi affermare con certezza che la nostra vita dipende dalle piante. Quindi lo studio delle piante ci aiuterà a guardare dentro la natura della vita stessa permettendoci, oggi con metodi più avanzati, quali tecnologie molecolari e computerizzate, di capire e permettere ad esse di continuare a svolgere nel migliore dei modi la loro funzione nel futuro. Il termine botanica deriva dal greco botàne che vuol dire erba.

2-- Ho cercato di strutturare questo minicorso di botanica come un affascinante viaggio che ci condurrà nel passato. È indispensabile infatti ritornare indietro a miliardi di anni fa, al momento immediatamente successivo all’origine della terra per comprendere la serie di eventi cha hanno portato, secondo le ipotesi più accreditate, prima alla formazione di associazioni molecolari ed in seguito alle cellule che sono la più piccola unità della vita stessa. Vedremo poi come alcune cellule si sono specializzate ottenendo l’energia necessaria per sopravvivere dal sole e come ciò abbia prodotto importanti cambiamenti nella composizione dell’atmosfera terrestre influenzando l’evolversi e lo sviluppo delle altre piante e degli animali.

Nel 1871 Charles Darwin avanzò l’ipotesi che la vita si fosse originata in “una piccola pozza d’acqua” e questa teoria è tuttora valida. Fu lo scienziato russo A. I. Oparin che negli anni 30,  per primo provò a dimostrare scientificamente questa teoria affermando che la maggior parte dei composti contenenti idrogeno e carbonio si fossero formati nell’atmosfera primitiva da emanazioni vulcaniche e che in seguito dilavati si siano accumulati negli oceani dove fulmini e radiazioni solari riuscirono a dare inizio alla vita come la conosciamo noi.
L’ipotesi sembrò trovare conferma nel 1953 quando Stanley Miller, all’epoca specializzando alla Chicago University usò un apparato simile a questo per simulare le condizioni della terra primitiva. Idrogeno,metano,ammoniaca venivano fatti circolare tra una soluzione calda(l’oceano) inferiore ed una fase gassosa (l’atmosfera) attraversata da scariche elettriche.
Dopo circa 24 ore dall’inizio dell’esperimento, la metà del carbonio si era trasformato in amminoacidi ed altre molecole organiche.
Un problema ancora oggi irrisolto di questo esperimento è dato dalla presenza di metano ed ammoniaca nella primordiale atmosfera, gas che a causa della mancanza dello strato di ozono sarebbero stati facilmente distrutti dalle radiazioni ultraviolette del sole.

Questi fossili trovati in alcune rocce dell’Australia risultano più giovani della terra di circa un miliardo di anni.
Per almeno due miliardi di anni la vita sulla terra fu rappresentata da organismi simili a questi. I microfossili sono ingranditi circa 260 volte
I primi organismi terrestri erano formati da cellule soddisfacevano i loro bisogni energetici consumando composti organici prodotti da fonti esterne. Sono detti organismi eterotrofi( dal greco heteros, ALTRO e trophè, NUTRIMENTO) e dipendono  per l’energia da una fonte esterna di molecole organiche
Aumentando di numero, gli etrotrofi primitivi cominciarono ad esaurire le molecole complesse dalle quali dipendeva la loro vita. Questo causò una competizione tra loro. Le cellule che riuscivano in modo più efficiente le sempre più limitate riserve di “cibo” ebbero ben presto la meglio.
Questo processo evolutivo nel corso del tempo attraverso l’eliminazione dei soggetti meno adattabili alle variate condizioni ha generato cellule in grado di fabbricare da sé le proprie molecole ricche di energia partendo da sostanze inorganiche.
Questi organismi sono chiamati AUTOTROFI, cioè che si nutrono da sé.
il più grande successo degli autotrofi è quello di aver sviluppato un sistema per usare direttamente l’energia solare. la fotosintesi
L’arrivo degli organismi autotrofi ha permesso che il flusso di energia della biosfera prendesse le sembianze dell’attuale ove l’energia radiante emessa dal sole è convogliata, per mezzo degli autotrofi fotosintetici in tutte le forme di vita
Gli organismi fotosintetici, aumentando di numero, cambiarono l’aspetto del nostro pianeta. Infatti durante il processo di fotosintesi la molecola di acqua viene rotta e l’ossigeno in essa contenuta viene rilasciato sotto forma di molecole libere.
Perciò grazie alla fotosintesi, la quantità di ossigeno gassoso nell’atmosfera aumentò progressivamente con due conseguenze importantissime:
-In primo luogo , una parte delle molecole di ossigeno dello strato più esterno dell’atmosfera furono convertite in ozono(O3)che quando è in sufficiente quantità assorbe i raggi ultravioletti nocivi per gli organismi viventi. Circa 450 milioni di anni fa gli organismi già potevano sopravvivere sulla superficie dell’acqua e sulle terre emerse.
-l’incremento dell’ossigeno libero aprì una nuova strada per un’utilizzazione più efficiente delle molecole , ricche di energia, acquisite con la fotosintesi.  Molti organismi infatti , acquistarono la capacità di rompere questa molecole organiche attraverso un processo che utilizza l’ossigeno la respirazione
La respirazione produce infatti più energia di qualsiasi processo anaerobio.
Prima che l’atmosfera ,con l’accumulo dell’ossigeno divenisse aerobia, le sole cellule esistenti erano quelle procariote.
Cellule semplici, che mancano di un involucro nucleare e non hanno il materiale genetico organizzato in quelle strutture complesse che costituiscono i cromosomi.
Orobabilmente i primi procarioti erano organismi termofili (amanti del caldo) chiamati anche ARCHEA (antichi) i cui discendenti sono oggi noti per prosperare in ambienti ad elevate temperature, ostili alla vita

Una delle teorie più accreditate per spiegare il passaggio dalle cellule procariote a quelle eucariote è quella endosimbiontica formulata verso le fine degli anni ottanta dalla genetista Lynn Margulis.
Secondo questo modello, i mitocondri ed i cloroplasti presenti nelle attuali cellule eucariote deriverebbero da antichi procarioti introdottisi in cellule di dimensioni superiori. Questi batteri avrebbero dato origine ad un rapporto di simbiosi i cui la cellula più grande avrebbe fornito molecole più grandi e Sali minerali mentre i batteri avrebbero fornito energia e, se fotosintetici, anche molecole organiche.
I reperti fossili confermano che l’incremento di ossigeno libero fu accompagnato dalla comparsa delle prime cellule eucariote. Cellule con involucro nucleare, cromosomi complessi e organelli circondati da membrane, come i mitocondri (siti della respirazione) e i cloroplasti (siti della fotosintesi).
Gli organismi eucariotici comparvero circa 1,5 miliardi di anni fa affermandosi e diversificandosi 1 miliardo di anni fa. Le cellule di questi organismi sono solitamente molto più grandi di quelle dei batteri. Tutti gli organismi ad eccezione degli archea e dei batteri sono formati da una o più cellule eucariote.

All’inizio della storia evolutiva, gli organismi fotosintetici più diffusi erano minuscole cellule fluttuanti sotto la superficie delle acque illuminate dal sole. Come abbiamo visto ben presto queste acque si impoverirono rapidamente di risorse minerali e in conseguenza di ciò la vita incominciò a svilupparsi in modo più abbondante sulle coste. Le coste rocciose rappresentavano un ambiente più ostile rispetto al mare aperto e, in risposta a questa pressione evolutiva, gli organismi divennero gradualmente più complessi e diversificati. Circa 650 milioni di anni fa si svilupparono organismi nei quali molte cellule si unirono per formare un corpo pluricellulare.

Tutti gli organismi sono costituiti da cellule, tuttavia esiste una varietà incredibile di forme viventi. La specie umana condivide il pianeta con almeno 5 milioni di specie di organismi differenti sebbene il numero reale potrebbe essere molto maggiore. Questi diversi organismi presentano una grande varietà nell’organizzazione delle loro strutture, nelle modalità di riproduzione, di crescita, di sviluppo e nel loro comportamento. Analizzando queste differenze e sottolineando le affinità tra essi si è riusciti a raggruppare gli organismi viventi secondo criteri che rivelano non solo somiglianze e differenze ma anche relazioni evolutive tra diversi gruppi.
La classificazione è un’esigenza naturale dell’uomo ed è il modo in cui si studia la varietà del mondo naturale.
Classificare significa ordinare all’interno di un insieme eterogeneo, formato cioè da elementi simili per caratteristiche, raggruppando gli elementi in categorie più o meno omogenee, cioè simili tra loro.
Normalmente si procede individuando una unità elementare che nel nostro caso in botanica e in zoologia è la specie.
In primo luogo la specie non è da intendersi come un’entità fissa ed inamovibile ma viene considerata un soggetto in continuo mutamento, osservato in una precisa fase della sua evoluzione. Per le piante le cose appaiono ulteriormente complicate, la loro grande adattabilità agli ambienti ci permette di parlare di biodiversità e di cloni. Concludendo in botanica la specie si basa su caratteri esterni, forma delle foglie, presenza o meno del fusto, delle radici, tipo di riproduzione, presenza di fiore, frutto, ecc. ed individua un insieme di soggetti simili per caratteri genetici riproducibili detta morfospecie.

Uno dei primi crucci di Linneo fu quello di dare il nome ad ogni specie. Questa cosa di per sé così semplice ci da la possibilità di ricevere dal nome una notevole quantità di informazioni specifiche sulla specie, ad esempio se è commestibile, tossica, più o meno utile e trasmettere per mezzo di esso informazioni sulla specie ad altri, ad esempio i risultati di una ricerca. Purtroppo i nomi comuni risultano spesso imprecisi ed hanno una notevole variabilità da zona a zona; potrebbero risultare funzionali per le specie coltivate ma come poterli utilizzare per le specie spontanee?
Ci rendiamo conto quindi che dopo una definizione così precisa della specie dobbiamo assegnarle un nome altrettanto preciso visto che il suo valore scaturisce anche da questo. La precisione massima si ha usando il nome scientifico che riesce con la massima precisione ad individuare la specie. È formato da un binomio seguito dal nome dell’autore in forma estesa o abbreviata, cioè colui che per primo ha descritto validamente e dato un nome a quella specie. Il metodo venne codificato dal grande naturalista svedese Carlo Linneo e fu chiamato nomenclatura binomia.
L’ambizione massima di Linneo era quella di dare un nome a tutte le specie note di piante, animali e minerali, fornendo una descrizione sommaria. Nel 1753 pubblicò un’opera in due volumi dal titolo “Species plantorum” cioè le specie delle piante nella quale era descritta ogni specie in latino utilizzando una frase al massimo con 12 parole. Egli considerò queste frasi dette polinomi come i nomi più appropriati della specie.
Ben presto si accorse che una descrizione così lunga aveva delle problematiche per cui dapprima scrisse a margine dei suoi libri, a fianco di ogni polinomio una parola singola, che diverrà in seguito l’epiteto scientifico, che combinata con la prima parola del polinomio il genere, formava una precisa e breve descrizione della specie il binomio appunto
Facciamo un esempio: la nepeta era formalmente descritta dal polinomio di Linneo come :
Nepeta floribus interrupta spicatum pedunculatis (nepeta con i fiori in una spiga peduncolata interrotta) Linneo scrisse a fianco la parola cataria (associata ai gatti, caratteristica ben nota della pianta) egli cominciò quindi a chiamarla nepeta cataria. Questa pianta è la preferita dai gatti, che amano annusare, calpestare, rotolare e persino masticare; si può far crescere sia in vaso che in giardino. Il sistema binomiale risultò ben presto più conveniente del polinomiale. Le regole che governano i nomi scientifici sono raccolte nel codice internazionale di nomenclatura botanica.
Quindi il nome di una specie consiste nel genere più l’epiteto scientifico. Quest’ultimo può essere comune a più specie, quindi per essere valido deve sempre essere preceduto dal nome o dalla lettera iniziale del genere. Formalmente essi vengono scritti in corsivo nella stampa o sottolineati se scritti a mano. L’epiteto scientifico è privo di senso se scritto da solo.
Il genere è sempre maiuscolo e l’epiteto minuscolo, sono sempre seguiti dal nome dello scopritore che come abbiamo già detto può essere abbreviato con la prima lettera maiuscola del nome. Può accadere che una specie venga collocata nel genere sbagliato, ed in seguito trasferita, in questo caso l’epiteto scientifico si muove con essa nel nuovo genere. Se in quest’ultimo esiste già una specie con quello stesso epiteto si dovrà per forza trovarne uno alternativo.

Ogni specie ha un esemplare tipo, cioè un campione secco custodito in un museo o in un erbario designato dall’autore del nome alla specie. Quest’esemplare viene utilizzato come base per la comparazione con altri campioni allo scopo di determinare l’appartenenza o meno di essi alla stessa specie. Nella foto è riportato un esemplare di potandrogine formosa una pianta angiosperma che cresce in Costarica e nello stato di Panama. Quest’esemplare è stato raccolto da Theodore S. Cochrane e descritto in un lavoro pubblicato sulla rivista Britonnia (vol. 30 pagg. 405-410 pubblicato nel 1978).
Alcune specie possono essere suddivise in due o più sottospecie altrimenti dette varietà. Tutti i componenti di una sottospecie o varietà si somigliano condividendo una o più caratteristiche che non sono presenti in altre varietà della stessa specie. Come conseguenza si è dovuto aggiungere al binomio una terza parola, la varietà appunto. Nella foto sono riportati delle pesche, frutti di alberi appartenenti alla specie prunus persica ma mentre quelli a destra appartengono alla varietà persica caratterizzati dalla polpa bianca, quelli a sinistra con polpa gialla e senza peluria sulla buccia, appartengono alla varietà nectarine
Linneo e gli studiosi precedenti, come abbiamo visto, riconoscevano tutte le cose terrestri catalogabili in 3 grandi regni: piante, animali, minerali.
Il regno era cioè l’unità più ampia utilizzata nelle classificazioni biologiche. In seguito vennero aggiunte altre categorie tra regno e genere dando vita alla tassonomia, vediamo insieme queste nuove categorie

I generi sono stati raggruppati in famiglie, queste ultime in ordini e gli ordini in classi. Infine il botanico franco-svizzero Augustine-Piranus de Condolse (1778-1841), autore tra l’altro della parola tassonomia, aggiunse a quelli già descritti la divisione con lo scopo di designare gruppi di classi del regno vegetale. La divisione divenne quindi la categoria più ampia del regno vegetale. In questo sistema gerarchico un gruppo tassonomico di qualsiasi livello (genere, classe, ecc.) viene definito taxon al plurale taxa ed il livello ove viene collocato categoria. Tornando all’esempio delle pesche genere e specie sono categorie mentre prunus sono taxa all’interno di questa categoria.
Infine nel 1993 mentre era in corso il XV congresso internazionale di botanica i componenti del codice internazionale di nomenclatura botanica inserirono il termine phylum al plurale phyla equivalente alla divisione. Esistono delle regole fisse nella formulazione dei nomi per i diversi taxa allo scopo di renderli più facilmente riconoscibili. Le famiglie vegetali hanno la terminazione in –aceae salvo pochissime eccezioni e spesso per esse restano valide le vecchie dizioni come nel caso delle fabaceae (leguminosae), le apiacee (umbrelliferae), le asteracee (compositae) ecc. gli ordini terminano invece in –ales

 

 

Ricapitolando per una classificazione biologica dobbiamo definire:
il Regno, il Phylum,la Classe,l’Ordine, la Famiglia,il Genere, la Specie.
Per essere più precisi dovremmo infine aggiungere la varietà.
La tassonomia è soltanto uno degli aspetti della sistematica.
Dopo la pubblicazione dell’opera di Darwin nel 1859 (“l’Origine della Specie”), le differenze e le somiglianze tra organismi cominciarono ad essere viste non soltanto come informative e utili ma come prodotti della storia evolutiva di ciascun organismo detta FILOGENESI
Questi rapporti evolutivi vennero rappresentati in ALBERI FILOGENETICI che rappresentavano le varie relazioni tra i taxa

In generale in uno schema di questo tipo ogni taxon è monofiletico cioè i suoi membri discendono tutti da una specie ancestrale comune a tutti.
Un problema della sistematica riguarda l’origine di una somiglianza o di una differenza. Infatti possono ambedue derivare da discendenza (da un antenato in comune) sia dall’adattamento all’ambiente di specie diverse.
Per esempio:
Foglie, cotiledoni, squame dei germogli e parti fiorali, pur avendo funzioni diverse derivano tutte dallo stesso organo; la foglia
Allora definiremo le strutture che hanno origine comune ma non necessariamente funzione comune OMOLOGHE; quelle invece che possono avere la stessa funzione, aspetto simile ma origine diversa ANALOGHE

Il metodo classico è fondato sulla comparazione tra somiglianze visibili.
Analizziamo le somiglianze complessive visibili rispetto ai membri di quel taxon.
Alla  fine si avrà un albero filogenetico che risente tantissimo delle opinioni del singolo studioso riguardo all’importanza dei vari fattori presi in esame.
Il metodo cladistico, oggi il più comunemente usato, cerca di comprendere esplicitamente le relazioni filogenetiche.
Il risultato di un’analisi cladistica è il cladogramma ovvero la rappresentazione grafica di un’ipotesi della sequenza di ramificazioni.
Esempio: 4 caratteri, ad essi attribuiremo solo due diversi stati, presenza (più) o assenza (meno)
Il risultato di un’analisi cladistica è il cladogramma
E’ possibile verificare la nostra ipotesi aggiungendo informazioni su di esso
L’avvento di tecniche molecolari ha rivoluzionato la botanica sistematica
Le tecniche più usate consistono nella determinazione delle sequenza di amminoacidi nelle proteine o dei nucleotidi negli acidi nucleici
Tra le prime proteine analizzate in uno studio tassonomico vi è il citocromo c
Si è potuto così determinare un nuovo modello di albero filogenetico
In esso sui rami principali vengono riportati, attraverso numeri, quanti amminoacidi sono differenti rispetto al citocromo c del nodo più vicino.
In seguiti si è scelto di usare come discriminante tra i gruppi la comparazione di sequenze dei nucleotidi, cioè le unità costituenti degli acidi nucleici (DNA, RNA)
Costituiti da un fosfato, uno zucchero a 5 atomi di carbonio (ribosio o desossiribosio) e una purina o una pirimidina.
Ai primi due appartengono organismi con cellule procariote, al terzo cellule di tipo eucariota
L’analisi delle sub-unità di RNA ribosomiale ha fornito l’evidenza che tutto il mondo dei viventi è divisibile in 3 grandi gruppi detti domini: Bacteria; Archaea; ed Eukarya.
Tutta la vita è riconducibile a 3 grandi domini secondo uno schema di albero filogenetico universale.
Tuttavia  i legami  tra i vari regni sottostanti non risultano così ben delineati, il loro numero e i loro nomi cambiano con una certa frequenza a tutto discapito della chiarezza.
Ci si riferisce ganeralmente ad una divisione in cinque soli regni, uno di procarioti e quattro di eucarioti

Un tempo, agli albori della sistematica naturalistica, i viventi erano divisi in due soli regni: regno vegetale e regno animale.
Per il grande naturalista Linneo (XVIII secolo), gli animali si distinguevano dalle piante perché, a differenza di queste, sono esseri viventi dotati di sensibilità.        
In seguito, con l’aumento delle conoscenze sulle caratteristiche e la biologia delle diverse forme di vita, questa distinzione si è rivelata del tutto insufficiente

Dalla vecchia divisione in due soli regni deriva l’abitudine a considerare vegetale semplicemente tutto ciò che non è animale; comprendendovi molti gruppi che non sono affatto piante. Definiamo vegetali esclusivamente organismi appartenetni al regno Plantae.
Essi comprendono:

  • muschi e organismi affini (BRIOFITE)
  • felci ed organismi simili (PTERIDOFITE)
  • piante a seme (SPERMATOFITE) comprendenti gimnosperme (piante a seme nudo) ed angiosperme (piante con frutto).

 

Nelle piante superiori distinguiamo tre parti principali:

  • le foglie;
  • il fusto;
  • le radici.
  •  

LA FOGLIA
è indubbiamente l’organo principale di tutte le diverse specie di Piante. È composta essenzialmente da due parti:

  • il lembo- parte piatta espansa con spessore medio di pochi millimetri, riceve grazie alla sua ampia superficie la luce solare, preleva l’anidride carbonica dall’atmosfera, emette acqua sotto forma di vapore ed elimina l’ossigeno risultante dalla fotosintesi;
  • le nervature- sono le strutture di sostegno anche se al loro interno nascondono un’altra finzione. Vi scorrono infatti i vasi legnosi che trasportano alla foglia l’acqua ed i Sali minerali assorbiti dalle radici ed i vasi cribrosi che allontanano da essa la linfa elaborata contenente i prodotti della fotosintesi

Nello spaccato la foglia si presenta con una superficie superiore l’epidermide superiore) protetta da una sottilissima cuticola che lascia passare la luce ma impedisce l’evaporazione dell’acqua. Sotto l’epidermide si trovano delle cellule prismatiche disposte su uno o più strati a formare il cosiddetto tessuto a palizzata. Sono cellule ricche di plastidi, organelli in cui si svolge la fotosintesi. Nella parte sottostante il tessuto a palizzata osserviamo delle cellule di forma più irregolare, separate fra loro da ampi spazi in cui circola l’aria, è il tessuto lacunoso che insieme al precedente forma lo strato interno della foglia detto mesofillo. Nella parte inferiore la foglia è protetta da uno strato cellulare, l’epidermide inferiore. Alcune cellule di questo strato presentano delle minuscole aperture: gli stomi. Attraverso essi avvengono gli scambi gassosi tra la foglia e l’ambiente. L’estensione complessiva della superficie del tessuto lacunoso rende possibile l’elevata quantità di scambi gassosi necessari alla vita della pianta ed allo svolgimento della fotosintesi.

IL FUSTO
Detto anche càule è la parte della pianta che inizia dal colletto delle radici e si innalza verticalmente nell’aria portando su di esso rami e foglie. In senso stretto non è indispensabile alla vita della pianta, rappresenta infatti un ponte, un collegamento tra i due organi essenziali per la sua nutrizione, le radici e le foglie. Può avere dimensioni molto variabili. Le funzioni del fusto sono essenzialmente due: la prima è quella di trasportare l’acqua e i Sali minerali assorbiti dalla radice alle foglie e traslocare la linfa elaborata da esse a tutte le cellule della pianta, la seconda di tipo meccanico è quella di sorreggere l’impalcatura dei rami e delle foglie formando una struttura robusta ed elastica. Esso è protetto esternamente da una corteccia costituita da un tessuto impermeabile leggero ed elastico: il sughero. Una particolarità del fusto è la possibilità di crescere sia in altezza verticalmente sia in larghezza orizzontalmente. La prima è possibile grazie alle cellule dell’apice del germoglio, mentre la seconda grazie ad un tessuto contenuto al suo interno: il cambio. Nella sezione del fusto troviamo infatti dall’esterno verso l’interno la corteccia, il libro, cioè l’insieme dei vasi attraverso i quali la linfa elaborata viene distribuita dalle foglie agli altri organi, il cambio che permette la sua crescita in larghezza, più all’interno il legno, cioè l’insieme dei vasi nei quali la linfa grezza dalle radici viene portata alle foglie, infine il cuore cioè lo strato più interno spesso indurito che dà al tronco la necessaria robustezza per sorreggere il gran peso della chioma formato spesso da migliaia di cellule morte.

LA RADICE
Le radici svolgono due funzioni principali: una fisiologica ed una meccanica. La prima consiste nell’assunzione delle sostanze nutrienti dal terreno e nel loro trasporto verso il fusto, la seconda nell’ancoraggio della pianta al suolo. Una funzione secondaria è quella di organo di riserva in cui vengono accumulate sostanze nutritive da utilizzare durante le stagioni avverse. Osservando una radice si possono facilmente distinguere alcune regioni caratteristiche: la parte estrema detta “apice radicale” presenta la forma di un cono con il vertice molto arrotondato detto “cuffia”. La cuffia protegge i centri dell’apice in cui alcune cellule dette meristematiche si dividono continuamente causando la crescita della radice. A poca distanza dall’apice vi è la zona dei “peli radicali”. Essi non sono altro che lunghe estroflessioni della parete cellulare che come microscopiche dita avvolgono le particelle del terreno assorbendo il velo d’acqua e i Sali minerali. Sono cellule che muoiono molto velocemente. Nella parte sovrastante la zona dei peli radicali troviamo la zona di trasporto ove ritroviamo i vasi legnosi e cribrosi. All’interno della radice esiste una sorta di dogana che riconosce le sostanze ad essa utili ed impedisce il passaggio di quelle dannose. Esistono vari tipi di radice, i fondamentali sono : a fittone (con un’asse principale particolarmente sviluppato); fascicolate (non esiste una radice principale); avventizie (nelle piante rampicanti permettono l’adesione ai vari sostegni).

LA VITA DELLA PIANTA
In generale distinguiamo le piante in base al loro ciclo vitale, avremo piante annuali/biennali che svolgono cioè il loro ciclo vitale dal germogliamento del seme, fase vegetativa, fioritura, produzione del nuovo seme nell’arco di uno/due anni e le piante perenni che hanno una vita media molto più lunga (15/20 anni) e possono arrivare anche ad essere secolari. Durante la loro vita ogni anno, rinnovano il loro ciclo vitale.
Le piante rispondono agli stimoli esterni come tutti gli organismi conosciuti grazie a fattori esogeni (esterni alla pianta) ed endogeni (interni alla pianta). Esogeni sono: la luce, la temperatura, la disponibilità di acqua, l’uomo, ecc. Endogeni sono gli ormoni. Tutti ne  regolano l’orientamento, l’accrescimento, la vitalità e il periodo riproduttivo.
La pianta condivide il suolo con numerose forme di vita: batteri, lombrichi, microfauna terricola, spesso vive in simbiosi con alcuni di essi, è il caso dei batteri azotofissatori.
Di cosa ha bisogno la pianta per crescere? Di alcuni elementi particolari detti nutrienti che a seconda della quantità di cui la pianta ha bisogno sono detti macronutrienti e micronutrienti. La disponibilità di essi permette alla pianta una vita vigorosa, con una buona capacità riproduttiva, e nel caso delle piante da frutto con buona fruttificazione. Alcuni nutrienti sono già disponibili nel suolo e vengono utilizzati in modo ciclico ad esempio l’azoto, il fosforo e l’acqua.

 

LA RIPRODUZIONE
Può avvenire per via agamica o sessuata. La riproduzione agamica può avvenire per tre modi: scissione (dalla cellula madre si formano 2 cellule figlie equivalenti), gemmazione (sulla cellula madre si forma una protuberanza di dimensioni più piccole rispetto alla cellula che l’ha generata), sporificazione (questo tipo di riproduzione è usato in particolari condizioni di difficoltà dell’organismo. La spora è una cellula di sopravvivenza che contiene DNA e citoplasma protetto da una spessa parete dagli agenti esterni, quando trova un ambiente favorevole subisce la mitosi e dà luogo ad un individuo pluricellulare completo). Il meccanismo biologico della riproduzione agamica è la mitosi che consiste nella divisione della cellula madre in due cellule figlie con un numero di cromosomi perfettamente uguali a quelli della cellula madre. Alcune piante hanno anche la capacità di riprodursi vegetativamente. La riproduzione agamica o sessuata si realizza per mezzo della fecondazione ad opera di 2 genitori, mediante cellule specializzate dette gameti apolidi, cioè che contengono metà numero dei cromosomi che si incontrano e si fecondano fondendosi tra loro in un’unica cellula detta zigote. Durante la fecondazione avviene un fenomeno di grandissima importanza: l’unione dei 2 DNA che dà luogo ad una combinazione nuova che presenta caratteri simili a quelli dei genitori ma assolutamente unici nella sua individualità. La base biologica della formazione dei gameti è la meiosi cioè il processo che determina il dimezzamento del numero dei cromosomi. In essa avviene inoltre quel fenomeno chiamato “crossing over” che permette ai cromosomi di scambiarsi reciprocamente pezzi portando alla formazione di gameti tutti diversi fra loro. In tutte le piante esiste un ciclo vitale per cui le cellule si trovano ad un certo momento nella forma apolide ed in una fase successiva nella forma diploide. Ogni pianta ha dunque uno specifico ciclo detto ciclo ontogenetico

I BATTERI
Come tutti sappiamo noi dipendiamo dalle piante, esse a loro volta si nutrono fabbricando materiale vivente per mezzo della sintesi clorofilliana, utilizzando composti chimici che si trovano nel terreno. Le piante tuttavia non sono capaci di utilizzare i tessuti di altre piante o di animali così come sono, occorre che esso venga smontato in sostanze più semplici. Ciò avviene in parte grazie ai funghi ma soprattutto grazie ai batteri. Microscopici organismi prodigiosamente prolifici che possono essere saprofiti o parassiti e che in particolari condizioni possono rivestirsi di un involucro protettivo che gli permette di sopravvivere in condizioni impossibili con la vita. I batteri preparano quindi il nutrimento per le piane, sono cioè i cuochi del suolo, il loro lavoro è indicato con nomi che suonano sgradevoli: putrefazione, decomposizione, deterioramento, ecc. Molte specie di batteri sono mobili perché provvisti di flagelli o ciglia, ciò li fa rassomigliare ad animali unicellulari. Altri sono in grado di svolgere la fotosintesi, come i vegetali; altri in grado di ricavare energia da reazioni chimiche diverse e vengono detti chemiosintetici ma in entrambi questi ultimi due casi sono autotrofi come i vegetali. Altri batteri vivono come parassiti di diversi organismi, piante o animali e sono eterotrofi come gli animali. Nonostante questa ambiguità essi vengono considerati appartenenti al regno vegetale in particolare alla classe degli schizomiceti. I batteri si riproducono oltre che per scissione con un processo chiamato coniugazione che permette il passaggio di porzioni di DNA da un batterio all’altro modificando le proprietà di moltissimi geni. Questo spiega in parte la straordinaria capacità di adattarsi dimostrata da alcuni batteri. I più tipici hanno la forma a bastoncino e sono detti bacilli. Esistono però dei batteri di forma sferica detti cocchi o a forma ondulata detti spirilli. Sono tutti microscopici per questo vengono detti microbi cioè piccoli viventi. Spesso essi si uniscono a formare colonie che prendono vari nomi secondo il numero e le forme.
Il primo a vedere un batterio non fu uno scienziato professionista, ma un mercante della città olandese di Delft. Tale Anton Van Leeuwenhoek, che nel 1673 spinto da una passione che lo costringeva a trascurare gli affari realizzò il primo microscopio, scoprì alcuni batteri stemperando nell’acqua del tartaro dei denti e vedendo che era composto da una miriade di minutissimi corpiccioli a forma di bastoncino, che oggi indichiamo con il nome di bacilli.

I VIRUS
Il virus è sostanzialmente una molecola di acido nucleico (DNA o RNA) contenuta in un astuccio fatto di proteine che si chiama capside. È quindi un pezzetto di gene racchiuso in un involucro protettore  che fuori da una cellula non sa vivere ma è inerte come un cristallo minerale. Per moltiplicarsi deve sfruttare, con un brillante meccanismo, i processi vitali che avvengono all’interno di una cellula che invade. Quindi i virus non hanno una loro esistenza autonoma come i batteri ma passano da uno stato di quiete cristallina ad uno stato vitale sotto forma di parassita. Il virus ha una struttura definita e regolare che insieme alle proprietà antigene ne permette la classificazione. Le strutture fondamentali sono con il capside a forma di icosaedro (un poliedro con 20 facce regolari) più diffusi e virus a capside a forma elicoidale simile ad una molla a spirale. Esistono più di 150 specie di virus riunite in una ventina di gruppi. I virus attaccano animali quindi anche l’uomo nel quale provocano la formazione di anticorpi specifici che gli consentono una immunità alla malattia da essi provocata che può essere permanente o temporanea.

I FUNGHI
Anche i funghi fanno parte insieme ai batteri al gruppo degli organismi demolitori che ancor oggi per nostra fortuna continuano la loro preziosa opera. I funghi sono un organismo strano infatti pur essendo dei vegetali sono sprovvisti di clorofilla e per nutrirsi hanno bisogno, come gli animali, di sostanze organiche che provengono da altri organismi. È stato poi osservato che essi accumulano come sostanza di riserva non l’amido come tutte le piante ma il glicogeno, una sostanza che è contenuta nel fegato dell’uomo e di altri animali; inoltre quasi tutti i funghi hanno le cellule costituite da una parete contenente una sostanza simile a quella delle corna, dei peli, delle unghie ecc. la chitina. Insomma i funghi hanno molte caratteristiche insolite per delle piante, sono forse animali? Certamente no, infatti se osserviamo i meccanismi di riproduzione ci accorgiamo che essi si comportano nel modo tipico dei vegetali. Si moltiplicano in generale per via vegetativa cioè con la formazione di un nuovo fungo da una gemma o  da un frammento del fungo genitore, inoltre producono particolari cellule dette mitospore utilizzate unicamente per la riproduzione. I funghi si procurano le sostanze di cui hanno bisogno in diversi modi, abbiamo funghi saprofiti, simbionti e parassiti. La maggior parte dei funghi trae il proprio nutrimento da organismi morti o da sostanze in decomposizione, essi si dicono saprofiti. Ne è un esempio il prataiolo che infatti si coltiva nelle grotte su letame fermentato. Altri funghi formano società con gli organismi vegetali viventi cedendogli una parte dell’acqua e delle sostanze minerali da loro assorbite con le ife ricevendo in cambio una parte del nutrimento che l’ospite è in grado di fabbricare. Molto conosciuta è l’unione fra funghi e alghe, un particolare tipo di organismo detto lichene capace di vivere e prosperare negli ambienti più inospitali. Infine i funghi possono svilupparsi nel corpo di un animale o di un vegetale a volte danneggiandolo più o meno seriamente fino al punto di farlo morire. I funghi si sviluppano cioè a spese dell’organismo senza che questi ne tragga alcun vantaggio e sono detti parassiti. Se ne contano diverse migliaia, alcune parassite di altri vegetali gravemente dannose all’agricoltura, altre a carico di animali, uomo compreso che possono crescere in diverse parti del corpo provocando malattie dette micosi. Molti funghi sono microscopici ma vengono utilizzati dall’uomo fin dall’antichità per produrre vino birra o pane.  Il vero corpo dei funghi non si vede all’esterno, ma allora cosa raccogliamo? Quello che noi raccogliamo è il cosiddetto corpo fruttifero del fungo che serve a sorreggere delle strutture a lamella, a tubuli o a scodelle che portano le cellule riproduttive, ovvero le spore.

LE ALGHE
Dire cos’è un’alga non è facile, con questo termine indichiamo un insieme di vegetali straordinariamente ricco di specie, oltre 20.000, molto diverse tra loro per forma e modi di vita. È difficile inquadrarle in base alle loro caratteristiche tanto che la sistematica non le considera come un gruppo unitario ma come un nome collettivo con cui vengono raccolti diversi gruppi di vegetali che hanno caratteristiche comuni:

  1. le alghe non hanno né radici, né fusto, né foglie vere e proprie né fiori, sono delle cellule poste le une vicino alle altre senza vasi dove circoli la linfa, questo corpo così semplice è detto tallo, per questo motivo a volte sono raggruppate insieme ai funghi con il nome di tallofite
  2. vivono per la maggior parte in acqua dolce o salata
  3. sono provviste di clorofilla, come le piante superiori, e di altri pigmenti, sono cioè le più semplici tra le piante verdi produttrici di ossigeno.

Le loro dimensioni vanno dalle alghe unicellulari microscopiche alle gigantesche alghe del fondo marino che possono arrivare anche a 100 mt di lunghezza e qualche quintale di peso. Non tutte le alghe però sono acquatiche, ve ne sono alcune che vivono nei fanghi, sulla terra umida dei prati e dei boschi, sulle nevi, su rocce o muri umidi, sulle cortecce degli alberi o sulle foglie e dentro di esse. Ci sono alghe che vivono su altre alghe, su funghi, nelle cellule del sangue di animali, uomo compreso. In genere producono sostanze organiche grazie alla funzione clorofilliana. Non hanno bisogno di foglie e radici perché l’assorbimento avviene attraverso tutta la superficie del corpo. La loro riproduzione avviene spesso per frammentazione anche se è presente la sporificazione o l’emissione di particolari gemme dette bulbilli. Se ne conoscono 7 gruppi  di cui le più famose sono le alghe brune, le alghe rosse e le alghe verdi. Le alghe vengono usate moltissimo nell’industria alimentare sia come cibo sia per produrre particolari sostanze (carragenina e alginati) utilizzati come addensanti. Un ulteriore utilizzo è nell’ambito della cosmesi.

 

INTRODUZIONE ALLE ANGIOSPERME
Tra tutte le piante, le angiosperme sono quelle che più direttamente influenzano la nostra vita. Il nome deriva dal greco angheion (vaso) e sperma (seme). Questa divisione comprende tutte le piante che vengono comunemente dette piante superiori ( in cui si può distinguere radici, fusto, foglie) fornite di fiori e di semi provenienti da un ovulo fecondato contenuto in un ovario ben differenziato. La caratteristica più evidente di una angiosperma è la presenza del fiore. Il fiore contiene le strutture riproduttive sessuali della pianta ed è perciò di importanza cruciale non solo per la formazione di nuovi individui, ma anche per l’evoluzione della specie nel suo complesso.

IL FIORE
Il fiore delle angiosperme mostra generalmente una corolla formata da petali, protetta all’esterno, soprattutto nella fase di bocciolo, dal calice formato dai sepali generalmente di colore verde che possono essere sia persistenti che caduchi. I fiori più caratteristici possiedono inoltre un terzo e più interno insieme di elementi, gli stami che nel loro insieme formano l’androceo, ossia il complesso degli organi sessuali maschili del fiore. Generalmente al centro del fiore troviamo il gineceo, cioè l’apparato sessuale femminile di cui fa parte l’ovario, elemento caratteristico delle angiosperme. Il gineceo anatomicamente è costituito da un carpello frutto della trasformazione di una foglia, capace di produrre macrospore che germinando danno origine ad una sorta di protallo e quindi al gamete femminile.
La fase cruciale della vita e della funzione del fiore è costituita dall’impollinazione che può essere anemofila (cioè operata dal vento), idrofila (cioè veicolata dall’acqua), zoofila (cioè effettuata dagli animali). Quest’ultimo tipo di impollinazione è generalmente condotto dagli insetti (impollinazione entomofila).
Ogni parte del fiore ci aiuta nella classificazione delle specie, infatti osservando ad esempio i petali potremo notare se essi sono liberi (fiore  dialipetalo) o saldati fra loro (simpetali) così come pure i sepali. La loro forma ci permette di classificarli tra zigomorfi (fiori divisibili a metà) o attinomorfi (fiori con più piani di simmetria), ecc. Da ultimo i fiori possono essere raggruppati in particolari infiorescenze. L’ovario può avere varie posizioni sul ricettacolo.
In genere la tendenza è indirizzata verso la fecondazione incrociata, cioè la fecondazione degli ovuli di un individuo ad opera del polline di un individuo diverso altrimenti detta eterogamia. Numerosi meccanismi favoriscono l’eterogamia o addirittura rendono impossibile l’autofecondazione, uno fra tutti è l’autosterilità cioè l’inefficacia del polline a fecondare il proprio ovulo, che si può estendere a tutti i fiori sbocciati sulla stessa pianta come a tutti i fiori ottenuti per via vegetativa. L’impollinazione autogama può essere anche impedita dal fatto che i due sessi nel fiore non raggiungono contemporaneamente la maturità sessuale. Le angiosperme si dividono in due grandi classi: dicotiledoni e monocotiledoni. I rapporti tra di essi sono tuttora molto discussi. Sembra che queste due classi di piante abbiano avuto in ere geologiche trascorse, progenitori comuni dai quali si sono evolute in direzioni diverse

 

IL FRUTTO
Così come i fiori si sono evoluti in relazione alla necessità di essere impollinati, così i frutti si sono evoluti in relazione alla possibilità di essere dispersi. Un frutto è un ovario maturo che può o meno includere ulteriori parti del fiore. Normalmente i frutti vengono classificati come semplici, aggregati e multipli in funzione della disposizione dei carpelli dai quali derivano. I frutti semplici si sviluppano da carpelli singoli o fusi tra loro, quelli aggregati da carpelli separati pur derivanti da un singolo gineceo. I frutti semplici sono a loro volta diversificati in tre principali categorie: le bacche, le drupe e i pomi. I pomi sono frutti carnosi estremamente specializzati della famiglia delle rosacee. In essi la parte interna o endocarpo somiglia ad una membrana. Il pomo deriva da un ovario infero composto nel quale la porzione carnosa si origina dalla base dilatata del ricettacolo. I due esempi più comuni di questo tipo di frutto sono le mele e le pere.

 

 

Fonte:

http://carlocintoni.altervista.org/dispense/dispensa%201%202007.doc

http://carlocintoni.altervista.org/dispense/dispensa%202%202007.doc

http://carlocintoni.altervista.org/dispense/dispensa%203%202007.doc

http://carlocintoni.altervista.org/dispense/dispensa%206%202007.doc

 

Sito web da visitare : http://carlocintoni.altervista.org

Autore del testo: C.Cintoni

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