Retorica definizione significato e esempi

 

 

 

Retorica definizione significato e esempi

 

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LA RETORICA

Il linguaggio serve per trasmettere ad altri il nostro pensiero ossia per comunicare. Ma il contenuto dei nostri pensieri può essere assai vario. Talvolta ci proponiamo di trasmettere un’informazione obiettiva: tipico da questo punto di vista è il discorso scientifico, che è fondato su cifre ed elementi tratti dall’osservazione della realtà e che viene spesso formulato in maniera secca e stringata. Naturalmente lo scienziato quando scrive si prefigge di convincere gli altri della verità delle proprie asserzioni; ma per fare ciò si affida interamente alla forza persuasiva delle proprie argomentazioni, alla loro coerenza interna. Un teorema matematico riesce convincente quando può essere dimostrato vero in se stesso; analogamente il rendiconto di un lavoro tecnico-applicativo (per esempio no studio sull’inquinamento ambientale), riesce convincente quando i dati forniti appaiono veritieri e soprattutto controllabili, in maniera che chiunque altro possa ripetere le analisi per verificare i risultati.
Ci sono però molte altre situazioni in cui gli elementi che ci si propone di trasmettere non sono altrettanto obiettivi, ma rispecchiano piuttosto una nostra opinione. Questo accade per esempio nel discorso politico, che si fonda sull’intento di persuadere gli altri, e spingerli ad accogliere la nostra ideologia, cioè il nostro modo di vedere le cose. In maniera ancor più vistosa ciò si verifica nel discorso pubblicitario, in cui addirittura non si presume neppure che colui che produce il messaggio sia sincero. Può darsi che il pubblicitario cui viene affidato il compito di reclamizzare un dato detersivo sappia per certo che quel prodotto non è affatto raccomandabile: tuttavia, il suo mestiere, gli impone di far tutto perché la gente si senta spinta a comprarlo. Non dobbiamo scandalizzarci di questo, perché nella nostra società industriale è normale che sia così; del resto basta esserne coscienti e non prendere per oro colato tutto quello che ci dice la pubblicità.


Gli antichi Greci, che per primi si accorsero di questi problemi, hanno coniato un termine speciale per indicare la tecnica secondo cui vanno confezionati i discorsi aventi per scopo la persuasione degli altri: l’hanno chiamata RETORICA, che significa all’incirca “arte del dire”, del “convincere”.
Originariamente la loro attenzione si era fissata sulla tecnica “oratoria”, ossia sulla tecnica dei discorsi tenuti in pubblico (per esempio le arringhe degli avvocati), e in quest’ottica avevano debuttato tutta una serie di norme da rispettarsi per conseguire il migliore risultato possibile. Essi suggerivano un metodo molto preciso per ciò che riguarda la disposizione degli argomenti, lo svolgimento delle argomentazioni, la confutazione delle tesi avversarie e la conquista delle simpatie degli ascoltatori. Un elemento essenziale per ottenere lo scopo desiderato consisteva poi nell’uso calcolato e sapiente di vari espedienti, detti FIGURE RETORICHE, che assolvevano al compito di abbellire il discorso, ornandolo e rendendolo più gradevole. È chiaro infatti che per ottenere il consenso del destinatario è opportuno fare appello al suo gusto, al suo amore per le cose belle, proponendogli dei giri di frase che colpiscano la sua fantasia. Ecco allora che già gli antichi si misero a codificare un’ampia gamma di figure retoriche.
Proprio per questo, col passare del tempo la retorica ha finito per essere associata in maniera privilegiata ai testi letterari, ossia ai testi che fanno un uso particolarmente vistoso delle figure retoriche. Ma che relazione esiste tra un’arte del dire, come la retorica, che era nata con l’intento di insegnare le tecniche della persuasione, ed i testi letterari, che almeno in apparenza non debbono persuadere nessuno?

In effetti anche se un poeta o un romanziere può essersi proposto di propagandare una sua ideologia, questa in genere non è l’ottica in cui vengono lette le opere letterarie. Eppure sotto sotto, anche i testi letterari hanno dei fini persuasivi, non fosse altro che il fine di indurre i lettori a leggerli, cioè a trovarvi appagamento. Lo scrittore realizza i suoi prodotti con l’intento di trasmettere ai suoi lettori un messaggio in cui crede molto, e che esprime la parte più viva e intima della sua personalità. Logico quindi che tale messaggio sia affidato a strumenti linguistici profondamente pensati, che nascono attraverso un lungo travaglio di prove.
Questo non significa però che ogni opera letteraria sia un denso contenitore di metafore, similitudini e via discorrendo. Anzi, talvolta, glia autori scelgono uno stile secco, privo di compiacimenti, proprio per reazione all’eccesso di ornamenti retorici che hanno caratterizzato in certe epoche l’arte della scrittura.
In effetti, la retorica, ha subito il destino tipico di tutti i prodotti e le tecniche legate al gusto della gente. Nata per abbellire i testi, essa ha finito spesso per irrigidirsi in uno sterile elenco di espedienti preconfezionati, fino a generare un senso di saturazione nei lettori. Anziché funzionare da stimolo alla fantasia inventiva, essa è insomma ridotta, nei tanti manuali di retorica confezionati nei secoli scorsi, ad un’arida precettistica che ostacolava la libertà creativa. Così è accaduto che questa parola assumesse addirittura un significato negativo: quando oggi diciamo che qualcuno “fa della retorica”, intendiamo dire che parla a vuoto, che non dice nulla di concreto. Non dobbiamo tuttavia lasciarci condizionare da questi modi di dire. Se la intendiamo nel senso giusto, come strumento di analisi e non come ricetta per la confezione dei testi, la retorica rappresenta tuttora un potente strumento a nostra disposizione per la comprensione non solo dei testi letterari, ma più in generale, dei testi composti a fini persuasivi: come quelli politici, pubblicitari ecc.  

 


FIGURE RETORICHE
Si dicono quei particolari modi di esprimersi che danno maggior evidenza, enfasi al discorso, usando alcuni termini in luogo ad altri o con significato diverso da quello reale.
In sostanza è uno “schema” che noi facciamo assumere all’arte del discorso.
Importante: anche le figure retoriche dipendono dal contesto!!!

  • Figure di PENSIERO = Agiscono sul significato. Un’espressione viene trasferita dal significato proprio ad un altro (sostituzione del senso proprio con un senso figurato). Qualsiasi combinazione inaspettata di concetti è di fatto una figura di pensiero.
    Es.: allusione, antitesi, eufemismo, ironia, ossimoro, sineddoche.
  • Figure di PAROLA = Agiscono sulla forma. Sono le più semplici, intervengono sulla parola senza relazione immediata sul significato.
    Es.: allitterazione, anafora, climax, iperbato, onomatopea, paronomasia, polisindeto, ripetizione.

 

 


DIZIONARIO DELLE FIGURE RETORICHE

ALLEGORIA = deriva dal greco allegorèin, “parlare diversamente”. È una figura retorica consistente nella costruzione di un discorso che, oltre al significato letterale, presenta anche un significato più profondo, allusivo e nascosto. In sostanza un concetto viene espresso attraverso un’immagine che rappresenta una realtà del tutto diversa.
Un'allegoria tra le più note è quella del destino umano che viene paragonato ad una nave che attraversa il mare in tempesta: passa la nave mia, sola, tra il pianto degli alcioni, per l'acqua procellosa (G. Carducci); oppure l’allegoria della “Selva” nell’Inferno dantesco.

ALLITTERAZIONE = procedimento stilistico, ricorrente soprattutto in poesia, che consiste nella ripetizione delle stesse lettere (vocali, consonanti o sillabe), all’inizio oppure all’interno di due o più parole successive.
Es.: il pietoso pastore pianse al suo pianto (T. Tasso); sentivo un fru fru tra le fratte (G. Pascoli); e caddi come corpo morto cade. (Dante, Inferno, Canto V, v 142); tra fresco mormorio d'alberi e fiori (G. Carducci, Visione, v 2).

ALLUSIONE = essa viene definita come il dire una cosa con l’intenzione di farne intendere un’altra, accennando in maniera velata o insinuante chi (o che) non si vuole nominare apertamente.

AMPLIFICAZIONE = procedimento retorico che ha il fine di ingigantire o accentuare un argomento che di per sé può anche essere insignificante. Viene usato nelle orazioni per colpire e nello stesso tempo deviare l’attenzione del pubblico da elementi più importanti.

ANACOLUTO = figura sintattica consistente nel susseguirsi, in uno stesso periodo, di due diversi costrutti , dei quali il primo rimane incompiuto.
Es.: quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro (A. Manzoni).

ANAFORA = dal greco anaforà, “ripetizione”. Figura retorica consistente nel ripetere la stessa parola o espressione all’inizio di frasi o di parti di frasi, o di più versi consecutivi.
Es.: per me si va ne la città dolente, per me si va ne l‘etterno dolore, per me si va tra la perduta gente (Dante).

ANTITESI = dal greco antìthesis, “contrapposizione”. Figura retorica consistente nell’accostare due parole o frasi di significato contrario.
Es.: presume di far tutto perché nulla sa fare (G. Leopardi); Vano error vi lusinga: poco vedete, et parvi veder molto, ché 'n cor venale amor cercate o fede (F. Petrarca).

ANTONOMASIA = Figura retorica che consiste nel disegnare una persona o una cosa particolare, con il nome comune invece che con il suo nome proprio, al fine di sottolinearne l’eccellenza.
Es.: dire “Il Poeta” invece che dire Dante; dire “Il Libro” anziché dire il Vangelo.


CLIMAX = dal greco climax, “scala”. Consiste in un discorso che sale (climax crescente) o scende (climax decrescente), gradatamente di forza e intensità.
Es.: O mia stella, o fortuna, o fato, o morte (F. Petrarca); Palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma, propende (G. D'Annunzio); si riscosse, sorrise, si illuminò di gioia e proruppe in un entusiasmo incontenibile.

ELLISSI = dal greco elleipsis, “mancanza”. In una espressione o in una frase, omissione di una o più parole che si possono intuire dal discorso.
Es.: usare “carro merci” per dire “carro adibito al trasporto di merci”.

ENFASI = dal greco emphainein “dimostrare”. Consiste nel mettere in particolare rilievo una parola, un'espressione, una frase, oppure un intero discorso (parlato o scritto).
Es.: Lui, lui si è un amico!

ENUMERAZIONE = nella retorica classica, la parte conclusiva di un discorso nella quale le cose dette vengono richiamate e riassunte ordinatamente.

EPANADIPLOSI = dal greco epanadiplosis, “raddoppiamento”. Figura retorica consistente nell'iniziare e terminare un verso o una frase con la stessa parola.
Es.: È giunto il fin de’ lunghi dubbi, è giunto (A. Manzoni); il poco è molto a chi non ha che poco (G. Pascoli).

EPIFORA = figura retorica che consiste nel ripetere una parola che ricorre al principio di una frase, di un verso o di una serie di versi, alla fine di essi.
Es.: Il bimbo dorme e sogna rami d’oro, gli alberi d’oro, le foreste d’oro (G. Pascoli).

EUFEMISMO = dal greco euphemismo, “parola di buon augurio”. Procedimento espressivo molto comune anche nel linguaggio corrente, che consiste nel sostituire parole o espressioni troppo crude, realistiche o irriguardose, con altre di tono più attenuato.
Es.: usare il verbo “andarsene” al posto di “morire”; Quando rispuosi, cominciai: - Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo! (Dante, Inferno, V, vv.112-114). In questo caso “doloroso passo” viene usato al posto di “dannazione eterna”.

IPERBATO = rottura e inversione dell'ordine naturale delle parole di una frase, per ottenere particolari effetti di espressività.
Es.: e bella e santa, fanno i peregrin la terra (U. Foscolo).

IPERBOLE = figura retorica che consiste nell’esagerare (per difetto o per eccesso), un concetto oltre il verosimile.
Es.:arrivo in un lampo; ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino (E. Montale, Xenia II, 5, vv. 1-2); come sei più lontana della luna, ora che sale il giorno e sulle pietre batte il piede dei cavalli (S. Quasimodo).

IPOTIPOSI = figura retorica che consiste nel descrivere una persona , un fatto o una situazione con viva immediatezza, evidenza rappresentativa e concretezza di particolari.
Es.: come lion di tori entro una mandra, or salta a quello in tergo e gli scava, con le zanne la schiena, or questo fianco addenta or quella coscia (G. Leopardi).
IRONIA = Consiste nell' affermare una cosa che è esattamente il contrario di ciò che si pensa, con intento critico o derisorio; è un tipo di comunicazione che richiede nel lettore e nell'ascoltatore la capacità di cogliere l'ambiguità sostanziale dell'enunciato.
Es.: vieni a veder la gente quanto s'ama! E se nulla di noi pietà ti move, a vergognarti vien della tua fama (Dante, Purgatorio, VI, 115-117).

ITERAZIONE = in retorica, ripetizione di concetti o frasi con intenti stilistici.

LITOTE = figura retorica consistente nell’affermare un concetto negando il suo contrario.
Es.: dire “non è brutto”, non significa dire che è bellissimo; “Don Abbondio non era nato con un cuor di leone”, dove s'intende che era poco coraggioso (Manzoni).

METAFORA (trasposizione ) = consiste nel trasferire a un termine il significato di un altro termine con cui ha un rapporto di verosimiglianza . In breve, è una similitudine senza il termine di paragone.
Es.: “Sei un dio” significa dire che sei bravissimo a fare qualcosa; dire “sei un fulmine”, metaforicamente significa dire che sei veloce come un fulmine; stanno distruggendo i polmoni del mondo, in cui "i polmoni del mondo" sta per "boschi”.

 

METONIMIA = figura retorica caratterizzata dalla sostituzione di un termine con un altro, che abbia col primo un rapporto di contiguità : la causa per l’effetto, l’effetto per la causa, la materia per l’oggetto, il contenente per il contenuto, lo strumento al posto della persona, l’astratto per il concreto, il concreto per l’astratto, il simbolo per la cosa simbolizzata.
Es.: possedere un Picasso; bere un bicchiere.
S’accendon le finestre ad una ad una (le finestre sono illuminate→la causa per l’effetto) come tanti teatri. (V. Cardarelli, Sera di Liguria, vv 5-6); ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini (dal mosto che bolle nei tini→il contenente per il contenuto) va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar (G. Carducci, San Martino, vv 5-8); lingua mortal non dice (un uomo→lo strumento al posto della persona) quel ch’io sentiva in seno.
(G. Leopardi, A Silvia, vv 26-27); porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela (faticoso lavoro→
il concreto per l’astratto (G. Leopardi, A Silvia, vv 20-22).

OMEOTELEUTO = nella retorica classica greca e latina, procedimento che consisteva nel far terminare allo stesso modo (nel suono o nella metrica), le parti di un periodo simmetricamente contrapposte. Per estensione è l’identità o somiglianza in uscita (omofonia ) di parole o frasi.
Es.: finestra/canestra.


ONOMATOPEA = formazione di una parola che imiti un suono o che evochi attraverso suoni ciò che si pronuncia.
Es.: bau bau; gorgogliare; fruscio; din don; scroscia; schiocca ecc.

OSSIMORO = consiste nell’accostare nella medesima frase, due parole di significato opposto.
Es.: un morto vivente; Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi? (G. Leopardi, A Silvia, vv. 1-6); Sentia nell'inno la dolcezza amara de' canti uditi da fanciullo;...(G. Giusti, Sant'Ambrogio, vv. 65-66)

PARALLELISMO = Figura sintattica che consiste nel disporre nello stesso ordine, gli elementi costitutivi di due sintagmi contigui.
Es.: occhi azzurri, capelli biondi.
Figura retorica in cui si accosta una proprietà o un'azione tipica di un oggetto ad un altro, per esprimere efficacemente la condizione o l'azione di quest'ultimo. A differenza della similitudine, il paragone fa uso di costrutti quali "come...così..." o "quali...cotali...".
Si ha quando i membri di una frase sono disposti nel medesimo ordine di quelli della frase precedente. Es.: “che troppo stanco sono / e troppo stanca sei”.

PARONOMASIA = figura retorica che consiste nell’accostare parole di suono uguale o molto simile, ma di significato differente.
Es.: il troppo stroppia; I’ fui per ritornar più volte volto (Dante, Inferno, Canto I, v 36); Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato tra le più dense frasche alla fresca ombra (L. Ariosto, Orlando furioso, VI, 201-202).

PERIFRASI = giro di parole che si usa per spiegare meglio un concetto o per evitare di esprimerlo chiaramente.
Es.: dire “operatore ecologico” invece che “netturbino”; e quella parte onde prima è preso nostro alimento (l’ombelico), all'un di lor trafisse (Dante, Inferno, XXV, vv 85-86).

POLISINDETO = tipo di coordinazione caratterizzato dalla ripetizione della medesima congiunzione.
Es.: e sempre corsi, e mai non giunsi il fine, e dimai cadrò (Carducci); Non altrimenti fan, di state, i cani or col petto, or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani (Dante, Inferno, XVII, 49-51).

RETICENZA = dal latino reticére, “tacere, sottacere”: consiste nell'interrompere e lasciare in sospeso per timore, per riguardo o anche per calcolo una frase o una sola parola facendone però intuire la conclusione. Frequente nel linguaggio comune: "Se non ubbidisci..."; "Smetti subito, se no...".

RIPETIZIONE = frase, parola o concetto, che si ripetono a breve distanza con noiosa insistenza. Viene spesso usata per dare maggiore evidenza o calore al discorso.
Es.: via, via di qui! (esclamazione).
S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo; s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandereil en profondo...; (C. Angiolieri, S’i’ fosse foco).


SINEDDOCHE = Affine alla metonimia (per molti studiosi non esiste differenza tra le due figure retoriche), consiste nello spostare il significato di una parola ad un’altra che abbia con la prima un rapporto di quantità.
Es.: si ha quando si usa la parte per il tutto (“vela” invece di “barca”), il tutto per la parte (sotto l’ali dormono i “nidi – da intendersi “gli uccellini”), il genere per la specie (la parola “mortale” per indicare l’”uomo”), la specie per il genere (e quando ti corteggian liete le nubi estive e i “zeffiri” sereni – da intendersi i “venti”), il singolare per il plurale e viceversa (nella poesia di Dante, Foscolo, si usano spesso termini come “freddi” invece che “freddo”, “fami” invece che “fame”, “verso” invece che “versi”).

TAUTOLOGIA = forma viziosa del discorso costituita da una frase in cui il predicato non aggiunge altro a quanto espresso già di per sé dal soggetto. Afferma cioè qualcosa che è ovvio.
Es.: quel poeta è autore di poesie.

 

Confutazione = smentita, critica, dimostrazione di falsità.

Costrutti = strutture sintattiche, frasi, proposizioni.

Trasposizione: trasferimento, spostamento, cambiamento.

Verosimiglianza = credibilità, logicità.

Contiguità = vicinanza, affinità, analogia.

Omofonia = uguaglianza di suono.

Sintagmi = unità linguistiche

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/tecniche%20Espressive%20e%20Composizione%20di%20Testi%20in%20Italiano/Retorica%20e%20figure%20retoriche.doc

autore del testo non indicato nel documento di origine del testo

 

1. Cos'è la retorica. Cenni storici.

 

Il termine “retorica” deriva dal greco rhetoriké [téchne], che significa “arte del dire”. Quando si parla di retorica ci si riferisce allo stesso tempo

    • alle pratiche discorsive, cioè i procedimenti organizzativi del discorso e le scelte espressive dei parlanti;
    • alla disciplina che si occupa del discorso e delle norme che lo regolano.

Il termine ha però anche un'accezione negativa. Si legge infatti nel vocabolario Zingarelli (2001) che in senso spregiativo “retorica” significa “modo di scrivere o di parlare pieno di effetti esteriori o di ampollosità, ma privo di autentico impegno intellettuale e di contenuto affettivo” (sinonimi: gonfiezza, prolissità, ridondanza). Retorica, dunque, come vaniloquio, discorso pieno di artifici, di ornamenti, ma privo di sostanza, vuoto, se non addirittura ingannevole.
Nell'antichità, invece, la retorica ebbe un ruolo importantissimo e fu tenuta in alta considerazione. In particolare i Greci attribuirono una funzione fondamentale alla tecnica comunicativa: il termine greco lógos, infatti, significa al tempo stesso “ragione, pensiero” e  “discorso”, a indicare la fiducia che la civiltà greca riponeva nella parola come manifestazione del pensiero razionale.
L'uomo greco era convinto del fatto che la padronanza del linguaggio fosse uno strumento molto potente che permetteva di conquistare la supremazia sugli altri; l'uomo capace di esprimersi in modo logico, coerente, persuasivo, poteva riuscire infatti ad ottenere il consenso altrui e quindi a indurre gli uomini ad assoggettarsi volontariamente alle sue decisioni.
D'altra parte l'organizzazione stessa delle città-stato greche, in  particolare di Atene, dove esisteva una forma di democrazia diretta, richiedeva la capacità di parlare efficacemente se si voleva partecipare attivamente alla vita pubblica: nelle assemblee si svolgevano accesi dibattiti e nei tribunali le parti in causa dovevano pronunciare personalmente i discorsi di accusa o di difesa, senza l'ausilio di avvocati. Esistevano cittadini esperti di tecniche comunicative ai quali era possibile rivolgersi per ottenere consigli o addirittura per farsi scrivere l'orazione da pronunciare in tribunale: costoro si chiamavano logografi, ossia “scrittori di discorsi”.
Secondo Aristotele, fu proprio ad opera di professionisti di questo tipo che a metà del V secolo a.C. nacque il primo trattato di retorica, che descriveva e regolava il discorso giudiziario. Nel corso del V secolo si svilupparono, accanto all'oratoria giudiziaria, gli altri due generi oratori, quello politico o deliberativo (discorsi che devono convincere oppure dissuadere un'assemblea di tipo politico con poteri decisionali) e quello epidittico o dimostrativo (discorsi celebrativi, come l'elogio, l'orazione funebre, il discorso consolatorio).
Il discorso giudiziario era diviso in quattro parti:

  • esordio, parte del discorso nella quale veniva definita la causa; aveva lo scopo di introdurre la questione e rendere il pubblico “benevolo e attento”;
  • narrazione, in cui i fatti venivano esposti; questa parte del discorso doveva informare, ma, per essere efficace, doveva anche essere piacevole e interessante a udirsi. A questo scopo si consigliava che essa possedesse 3 qualità: essere breve, chiara, verosimile;
  • argomentazione, cioè la presentazione delle prove addotte a sostegno di una tesi e a confutazione della tesi avversaria;
  • epilogo, ossia la conclusione del discorso, che si divide in 2 parti: la ricapitolazione degli argomenti trattati e la mozione degli affetti o perorazione, cioè una chiusa che sia atta a suscitare compassione;
  • digressione, parte facoltativa che poteva essere inserita in un punto qualunque del discorso e che consisteva in una temporanea deviazione dal tema principale del dibattimento per trattare argomenti aggiuntivi ma sempre correlati alla questione da esaminare.

Gli antichi manuali di retorica (Rhetorica ad Herennium) ripartivano l'arte del dire in cinque sezioni, corrispondenti ad altrettante abilità richieste all'oratore:

  • L'inventio, la capacità di trovare argomenti veri o verosimili per rendere una tesi attendibile e convincere l'uditorio. Dal latino invenire, cioè “trovare”;
  • La dispositio, la capacità di ordinare e distribuire correttamente ed efficacemente gli argomenti nel discorso;
  • L'elocutio, cioè lo stile, la capacità di scegliere e usare le parole e le frasi opportune per esprimere nel modo migliore i contenuti dell'inventio: in questa parte rientra l'analisi delle figure retoriche;
  • La memoria, la capacità di memorizzare gli argomenti e la loro disposizione;
  • La pronuntiatio, la capacità di parlare modulando in modo gradevole il tono di voce; essa comprendeva non soltanto l'uso della voce ma anche la capacità di usare una gestualità efficace (queste ultime due sezioni riguardano l'esecuzione orale di discorsi scritti per essere recitati). L'oratore, insomma, doveva saper parlare e muoversi come un vero attore.

I pregi dello stile oratorio, le virtutes elocutionis, erano: correttezza linguistica; chiarezza; convenienza; ornamentazione per mezzo delle figure retoriche, che sono tutte quelle espressioni che si allontanano da un uso della lingua in cui le parole designano univocamente e direttamente le cose (Zingarelli 2001). Esse rendono il discorso più efficace o più elegante o entrambe le cose, oppure servono a perseguire effetti di attenuazione o enfatizzazione. Per esempio, se dico “Andrea non è brutto”, dico qualcosa di più e di diverso da “Andrea è bello”. Questa frase contiene una litote, cioè una figura che consiste nella negazione del contrario di ciò che si vuole affermare e che, in questo caso, ottiene un effetto di attenuazione, ma informa l'ascoltatore del fatto che Andrea probabilmente non è una gran bellezza, ma forse è “un tipo”, oppure possiede delle attrattive anche se non risponde a comuni canoni di bellezza...

 

2. Anafora, epifora, allitterazione

ANAFORA o ITERAZIONE: l'iterazione di parole e strutture è presente in varie forme nel linguaggio ed è oggetto di studio della linguistica come artificio retorico: la ripetizione, attuata in modo consapevole e con precise intenzioni, infatti, produce effetti nel gioco comunicativo. L’anafora consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di frasi o versi successivi. E' una figura dell'insistenza, tipica delle preghiere, delle invocazioni, degli scongiuri, delle filastrocche, molto usata anche nel linguaggio politico, per ribadire un pensiero e imprimerlo con più forza nella mente del ricevente.


Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Vangelo secondo Matteo, 5,1 – Le Beatitudini

Per me si va nella città dolente
per me si va nell’etterno dolore
per me si va tra la perduta gente

Dante, Inf., III



E’ presente in queste pubblicità la figura retorica dell’ANAFORA o ITERAZIONE:
vero legno,
vero amore.

Quale effetto vuole ottenere? Quale discorso implicito cerca di suggerire?

 

Per dimostrare alla vostra casa che l’amate,
dedicatele una porta basculante…

Come già detto, la retorica persegue il fine di rendere il linguaggio più potente, efficace, di aumentarne l’impatto comunicativo, e anche di abbellirlo, renderlo più elegante. Essa è presente in vari ambiti, tra i quali quello pubblicitario, che può essere considerato un tipo particolare di comunicazione. In generale, infatti, la comunicazione si realizza in presenza dei seguenti fattori:

  • messaggio
  • emittente (chi produce il messaggio)
  • destinatario o ricevente
  • argomento (ciò di cui si parla)
  • contesto (insieme di circostanze e situazioni ambientali nelle quali ha luogo l'atto comunicativo)
  • codice (il sistema di comunicazione)
  • canale (mezzo attraverso il quale si trasmette il messaggio: aria, carta, cavo telefonico, onde radio o elettromagnetiche...)

La comunicazione pubblicitaria, se si lascia da parte gli spot radiofonici, si avvale di due codici differenti, quello del linguaggio verbale e quello del linguaggio non verbale, figurativo: attua una costruzione retorica detta verbo-visiva.
Come ogni atto linguistico, la pubblicità è volta a raggiungere un fine, che è quello di illustrare le caratteristiche di un prodotto o di un servizio per indurre potenziali consumatori a sceglierlo. Essa dunque assolve principalmente due funzioni: quella informativa, poiché offre notizie relative ad una merce/servizio, e quella persuasiva, poiché intende convincere un consumatore ad acquistare.
Le sei funzioni della comunicazione individuate da Jacobson sono:

  • funzione emotiva (espressione di sentimenti e giudizi)
  • funzione informativa
  • funzione conativa (far eseguire qualcosa a qualcuno)
  • funzione fatica (attirare l'attenzione dell'interlocutore)
  • funzione poetica (riguarda il modo in cui il messaggio è realizzato)
  • funzione metalinguistica (definisce il codice, descrive le caratteristiche della lingua)

La funzione persuasiva naturalmente prevale su quella informativa ed agisce spesso senza la piena consapevolezza del ricevente, il quale percepisce il messaggio in modo non interamente cosciente: infatti, poiché riceviamo continuamente una gran mole di informazioni, difficilmente possiamo prestare attenzione ai dettagli di ogni stimolo comunicativo, che, quindi, può produrre effetti parzialmente inconsapevoli.
Un particolare tipo di pubblicità è quella sociale, che consiste nell’uso delle forme comunicative consolidate della pubblicità (spot, affissioni, annunci stampa ecc.) per veicolare contenuti diversi dalla valorizzazione del consumo, tema generale della pubblicità commerciale. Essa si propone di promuovere comportamenti giudicati socialmente utili e scoraggiarne altri ritenuti dannosi, oppure si prefigge di accrescere la sensibilità delle persone su questioni di interesse generale:

EPIFORA: consiste nella ripetizione di una o più parole alla fine di enunciati o versi successivi. Epifore sono anche le invocazioni (ora pro nobis) e le formule conclusive (amen). Un esempio è la ripetizione finale del verbo “odo”, ai versi 2 e 4 de La pioggia nel pineto.
ALLITTERAZIONE: è la ripetizione degli stessi fonemi in due o più parole vicine. Per esempio nella pubblicità: BrrrBrancamenta!; mangia la mela melinda!
Osserva le immagini seguenti e leggi i testi. Prova a rintracciare le figure retoriche presenti e a spiegare che effetto producono nella comunicazione:




Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
G. D'Annunzio, La pioggia nel pineto (Alcyone)


In questo ultimo manifesto è presente un particolare tipo di ripetizione che si chiama anadiplosi e consiste nel ripetere l'ultima parte di un segmento, sintattico o metrico, nella prima parte del segmento successivo.

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono "Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera".
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.
Francesco De Gregori, La storia siamo noi

  • Quale messaggio secondo te vuol trasmettere questa canzone? Prova a dare un'interpretazione del testo.
  • Che funzione svolge nel testo la figura dell'anafora?

3. Similitudine, metafora, personificazione

 

La SIMILITUDINE consiste nel confrontare esseri animati e inanimati, atteggiamenti, azioni, avvenimenti ecc., evidenziando la presenza di caratteri comuni, di una somiglianza: in uno dei due termini del confronto si colgono aspetti somiglianti e paragonabili a quelli dell'altro; è una figura basata sul ragionamento analogico. Il confronto può avvenire all'interno di una certa classe (tra persone, tra oggetti, eventi e così via) oppure fra entità che appartengono a classi diverse (per esempio un uomo paragonato a una forza della natura o a un animale: “sei bella come il sole”). La similitudine può essere introdotta da un solo operatore di paragone:
“La nostra vita passa come l'ombra di una nube/e si dissolve come nebbia/inseguita dai raggi del sole” (Sapienza, 2, 4)

oppure da due operatori di paragone; sono celebri le similitudini dantesche:
“E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.” (Inferno, I, 22-27)

 

 

 

 


E gira gira il mondo e gira il mondo e giro te
mi guardi e non rispondo perché risposta non c'è
nelle parole
bella come una mattina
d'acqua cristallina
come una finestra che mi illumina il cuscino
calda come il pane ombra sotto un pino
mentre t'allontani stai con me forever
lavoro tutto il giorno e tutto il giorno penso a te
e quando il pane sforno lo tengo caldo per te ...
chiara come un ABC
come un lunedì
di vacanza dopo un anno di lavoro
bella forte come un fiore
dolce di dolore
bella come il vento che t'ha fatto bella amore
gioia primitiva di saperti viva vita piena giorni e ore batticuore
pura dolce ma riposa
nuda come sposa
mentre t'allontani stai con me forever
bella come una mattina
d'acqua cristallina
come una finestra che mi illumina il cuscino
calda come il pane ombra sotto un pino
come un passaporto con la foto di un bambino
bella come un tondo
grande come il mondo
calda di scirocco e fresca come tramontana
tu come la fortuna tu così opportuna
mentre t'allontani stai con me forever
bella come un'armonia
come l'allegria
come la mia nonna in una foto da ragazza
come una poesia
o madonna mia
come la realtà che incontra la mia fantasia.
Bella !
(Jovanotti, Bella)

-   Di cosa parla il testo?
-   A cosa viene paragonata la donna?
- Sottolinea tutte le similitudini e spiegane almeno due che ti sembrano significative.
-   Hai trovato altre figure retoriche? Quali?

 METAFORA: il termine deriva dal greco metaphérein, che significa “trasportare”, e consiste nella sostituzione di una parola propria con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col senso letterale della parola sostituita. Si procede attraverso la contrazione di un paragone, un'entità viene identificata con un'altra alla quale può essere paragonata. Per esempio possiamo dire “capelli d’oro” per dire “capelli biondi”, cioè “capelli biondi come l'oro”: in breve, è una similitudine senza il termine di paragone. L'uso di metafore nel nostro parlare quotidiano è assai più frequente di quanto ci sembri. Analizza il significato delle seguenti espressioni:

  • La bomba scoppiando ha fatto una vera strage. (bomba è qui nel suo significato letterale di ordigno esplosivo).
  • Quel cantante è una bomba (bomba in questo caso è usato in senso metaforico, ad indicare qualcosa di fortemente emozionante).
  • Giulio, quando lo attaccano, è un leone (è aggressivo e feroce come un leone)

Non sempre però è possibile definire una metafora come un paragone abbreviato. In molte espressioni metaforiche è effettivamente implicito un paragone, tuttavia il procedimento che permette di arrivare alla metafora non è semplicemente la soppressione degli elementi che rendono esplicito il paragone:
“La vecchiaia è la sera della vita”
questo è un caso di metafora per analogia, basata sul rapporto fra quattro termini in relazione tra loro, espresso dalla formula B:A = D:C:
La vecchiaia (B) è in rapporto con la vita (A) nello stesso modo in cui la sera (D) è in rapporto con il giorno (C). Allora uno dei due termini B e D può essere soppresso e si può dire che “la sera è la vecchiaia del giorno”, oppure che “la vecchiaia è la sera della vita”
 “L'Amazzonia è il polmone del mondo”
la regione dell'Amazzonia (B) è in rapporto con il mondo (A) nello stesso modo in cui il polmone (D) è in rapporto con l'organismo vivente (C). Il polmone nell'organismo è l'organo che permette un continuo ricambio dell'ossigeno, quindi l'Amazzonia, con le sue foreste, è per il mondo ciò che il polmone è per il corpo.
“Andrea è un pozzo di scienza”
Andrea (B) è in rapporto con la scienza (A) nello stesso modo in cui il pozzo (D) è in rapporto con la dimensione della grandezza: si potrebbe dire che Andrea è tanto sapiente quanto un pozzo è grande.

La pubblicità gioca sul significato letterale e metaforico del verbo “spremere”. Commenta e spiega il testo e l’effetto della metafora che esso contiene.
- Analizza le seguenti espressioni del linguaggio quotidiano e la pubblicità che segue:
Le bugie hanno le gambe corte;  l'abisso dell'ignoranza; Con questa pagella a casa ci

sarà tempesta; Marco è un'aquila; il baratro della depressione
“Metti una tigre nel motore” 

E FU LA NOTTE

E fu la notte la notte per noi
notte profonda sul nostro amore
e fu la fine di tutto per noi
resta il passato e niente di più
ma se ti dico "Non t'amo più"
sono sicuro di non dire il vero
e fu la notte la notte per noi
buio e silenzio son scesi su noi
e fu la notte la notte per noi
buio e silenzio son scesi su noi
Testo: Stanisci, De Andrè, Franchi

  • Di cosa parla il testo?
  • Quali figure retoriche sono presenti? Cosa  esprimono?


PERSONIFICAZIONE: è una figura retorica che consiste nel raffigurare come persone degli animali, degli esseri inanimati o entità astratte, come la gloria, la fama, la povertà.

 

E’ giù,                                           
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace…
di nuovo
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
(A. Palazzeschi, La fontana malata, 6-25)

O, tinta d'un lieve rossore,
casina che sorridi al sole!
(G. Pascoli, In viaggio, 31 – 32)
I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e "Ben torni omai"
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino
"Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido così?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!"
(G. Carducci, Davanti a San Guido”, 1-16)


 

 

- Che tipo di pubblicità sono queste?
- Cosa suggerisce l'uso della personificazione?

 

http://www.istitutoaltierospinelli.eu/images/File/didattica%20iannino/lezioni%20TIC1.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Retorica definizione significato e esempi

Figure retoriche

 

Adynaton: avvalorare l'impossibilità che si realizzi un evento ipotizzando per assurdo la realizzazione di un altro fatto che non potrà mai verificarsi:
prima divelte, in mar precipitando spente nell'imo strideran le stelle, che la memoria e il vostro amor trascorra o scemi (G.Leopardi)
Allusione: figura retorica consistente nel dire una cosa per farne intendere un'altra. Un'allusione storica è la vittoria di Pirro per indicare una vittoria inutile e pagata a caro prezzo.
Allegoria: (dal greco allegorèin, "parlare diversamente") è una figura retorica consistente nella costruzione di un discorso che, oltre al significato letterale, presenta anche un significato più profondo, allusivo e nascosto. Un'allegoria tra le più note è quella del destino umano che viene paragonato ad una nave che attraversa il mare in tempesta:
passa la nave mia, sola, tra il pianto degli alcioni, per l'acqua procellosa (G. Carducci)
Allitterazione: consiste nella ripetizione delle stesse lettere e, quindi, dello stesso suono all'interno della stessa frase o della stessa strofa:
sentivo un fru fru tra le fratte (G. Pascoli)
Anacoluto: (dal greco anakòlothos, "che non segue") è un errore sintattico spesso provocato dal cambiamento di soggetto nel corpo dell'enunciato:
noi altre monache, ci piace sentir le storie per minuto (A. Manzoni)
Anadiplosi: (dal greco anadìplosis, "raddoppio") consiste nella ripresa enfatica, all'inizio di un verso, di una parola o di un gruppo di parole poste in conclusione del verso precedente:
Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria In una capra dal viso semita (U. Saba)
Anafora: (dal greco anaforà, "ripetizione") ripetizione delle stesse parole alla fine di più versi o frasi:
sei nella terra fredda sei nella terra negra (G. Carducci)
Anastrofe: (dal greco anastrophè, "inversione") figura che consiste nell'alterare l'ordine normale degli elementi di una frase, anteponendo, ad esempio, il complemento oggetto al predicato (le tue botte ad aspettar) o il complemento di specificazione al sostantivo (di me più degno).
Anfibologia: (dal greco amphibolìa, "ambiguità") consiste in un enunciato che può essere interpretato in due modi diversi, o per l'ambiguità di una parola, o per una particolare costruzione sintattica. Nell'esempio seguente non è immediato il riconoscimento de l'ira come soggetto:
Vincitore alexandro l'ira vinse (F. Petrarca)
Antifrasi: (dal greco antìphrasis, "espressione contraria") è una figura retorica che consiste nell'usare una parola o un'espressione in senso contrario al loro proprio per lo più con tono ironico od eufemistico: come sei gentile! (= come sei sgarbato!).
Antistrofe: ripetizione delle stesse parole alla fine di più versi o frasi (Ha fatto il danno lui, deve riparare lui).
Antitesi: (dal greco antìthesis, "contrapposizione") rafforzamento di un concetto ottenuto aggiungendo la negazione del suo contrario (Lavorava di notte, non di giorno) oppure accostando due parole o concetti opposti (temo e spero).
Apostrofe: ( dal greco apostrophèin,"volgere le spalle a") interruzione di una frase per rivolgere un'invocazione a persona o cosa che può essere anche assente:
...ahi Pisa, vituperio de le genti!... (Dante)
Anticlimax: (dal greco antì, "conro" e klimax, "scala") è una progressione che cala di intensità:
Così tra questa immensità s' annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare (G.Leopardi).
Asindeto: coordinazione tra vari elementi di una frase senza congiunzioni:
vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, si infuriò, pensò, prese una soluzione. (A.Manzoni).
Assonanza: si ha quando determinate sillabe o determinati suoni fonetici sono ripetuti in successione. Ad esempio, nei primi due versi della Sera fiesolana di D'Annunzio:
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
troviamo una ripetizione del suono "F" che, oltre a conferire più musicalità ai versi, serve a rendere l'idea del fruscìo, appunto, delle foglie al passare del vento.
Chiasmo: figura retorica che consiste nella disposizione incrociata degli elementi costitutivi di una frase, in modo che l'ordine logico delle parole risulta invertito:
e per tutto entra l'acqua e il vento spira (L. Ariosto).
Circolo: figura consistente nel terminare il periodo con la stessa parola con cui è cominciato.
Climax: (dal greco climax, "scala") consiste in una progressione che sale di intensità (prendi, afferra, strappa).
Costruzione ad sensum: consiste nel concordare un verbo nella forma del plurale con un termine che, pur essendo di forma singolare esprime una valenza di pluralità. Costruzione contestata da alcuni puristi.
Deissi: (dal greco deiknumi, "mostro, indico") procedimento mediante il quale si richiama l'attenzione del lettore o dell' ascoltatore su un oggetto particolare, cui si fa riferimento mediante elementi linguistici, detti deittici, che concorrono a identificare in modo preciso l' oggetto in questione. Ad esempio nella frase "questo è un libro", il pronome questo è usato in senso deittico.
Diafora: (dal greco diaphoros "diverso") consiste nel ripetere una parola usata in precedenza con un nuovo significato o una sfumatura di significato diversa. Così, ad esempio, nella seguente frase la parola ragione è usata dapprima nel significato di "motivo" e successivamente in quello "di facoltà di pensare e giudicare":
il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (B. Pascal)
Dialisi: (dal greco dialyein, "separare") figura retorica consistente nell'interrompere la continuità del periodo con un inciso.
Diallage: (dal greco diallássein, "cambiare") nella retorica classica, figura per cui una serie di argomenti portano alla stessa conclusione.
Disfemismo: opposta all'eufemismo, per cui si sostituisce (come uso abituale o come coniazione scherzosa momentanea) una parola normale, spesso gradevole o addirittura affettuosa, con altra per se stessa sgradevole od offensiva, senza dare tuttavia all'espressione un tono ostile: birbante per vivace.
Dittologia: (dal greco dittologia, "ripetizione di parola") consiste nell' utilizzare una coppia di vocaboli dal significato affine o dalla forma morfologica equivalente, collegati tra loro dalla congiunzione e, per conseguire un particolare effetto ritmico oltre che semantico.
Ellissi: (dal greco elleipsis, "mancanza") consiste nell' eliminazione all' interno di un particolare enunciato, di alcuni elementi, per conseguire un particolare effetto di concisione e icasticità.
Enallage: (dal greco enallaghè,"scambio", "inversione") consiste nell'adoperare una parte del discorso al posto di un'altra per conferirle maggiore efficacia; si effettua lo scambio di tempi e modi de verbo, dell'aggettivo al posto dell'avverbio, del sostantivo al posto del verbo. Es. Corre veloce (dove "veloce" sta per "velocemente").
Endiadi: (dal greco hen dia dyoin, "una cosa per mezzo di due") consiste nell'adoperare, per esprimere un concetto, due termini complementari, coordinati fra loro (due sostantivi o due aggettivi),in sostituzione di un unico sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento. "Così vedo splendere la luce e il sole" sta per "vedo splendere la luce del sole".
Enfasi: (dal greco emphainein "dimostrare") consiste nel mettere in rilievo una parola o un'espressione,grazie ad una particolare sottolineatura, che può tradursi a livello fonologico in forma esclamativa, affettata o sentenziosa e a livello sintattico, invece, in una particolare costruzione , come ad esempio nella frase: "Lui, lui si è un amico !".
Epanadiplosi: (dal greco epanadiplosis, "raddoppiamento") figura retorica consistente nell'iniziare e terminare un verso o una frase con la stessa parola:
il poco è molto a chi non ha che poco (G. Pascoli)
Epanalessi: (dal greco epanalepsis, "riprendere") ripetizione dopo un certo intervallo, di una o più parole per sottolineare un particolare concetto, come nel verso dantesco:
Ma passavam la selva tuttavia, la selva dico di spiriti spessi.
Epanodo: (dal greco epánodos, "regressione") figura retorica consistente nel riprendere con aggiunta di particolari una o più parole enunciate precedentemente.
Epanortosi: (dal greco epanorthosis, "correzione") consiste sul ritornare su una determinata affermazione, vuoi per attenuarla, vuoi per correggerla, come ad esempio: è un brav'uomo. Che dico? Un santo!
Epifonema: (dal greco epiphonèma, "voce aggiunta") consiste nel concludere un discorso in modo enfatico: Ecco dove porta il vizio!
Epifora: figura retorica consistente nella ripetizione delle stesse parole alla fine di più frasi o versi.
Epistrofe: termine della retorica classica per indicare la ripetizione della medesima parola alla fine di più versi o di più membri di un periodo.
Eufemismo: (dal greco euphemismo, "parola di buon augurio") figura retorica adoperata per attenuare una espressione ritenuta troppo cruda, irriguardosa o volgare come ad esempio, convenzione di usare il verbo "andarsene" per per "morire".
Figura Etimologica: consiste nell'usare a scopi a espressivi, nell' ambito della stessa frase, due parole aventi in comune l'etimologia, come ad esempio nel dantesco selva selvaggia.
Hysteron Proteron: (dal greco hysteron proteron, "l'ultimo come primo") consiste nell'inversione dell'ordine temporale degli avvenimenti, per cui viene posto prima ciò che logicamente andrebbe posto dopo, per conseguire un particolare effetto espressivo.
Interrogazione Retorica: proposizione espressa in forma interrogativa, che non chiede però risposta in quanto la contiene già in sé, affermativa o negativa; serve ad aggiungere efficacia all'argomentazione e a indurre il lettore o l'interlocutore ad accogliere la nostra opinione.
Inversione: fenomeno linguistico consistente nello spostamento degli elementi costitutivi di una frase in una disposizione che capovolge la normale struttura sintattica, per conferire all'elemento anteposto un particolare risalto espressivo. Così ad esempio nel seguente celebre verso si ha una evidente inversione nell'ordine normale dei singoli termini della frase:
Dolce e chiara è la notte e senza vento (G. Leopardi)
Invettiva: consiste nel rivolgersi improvvisamente e vivacemente a persona o cosa presente o assente, con un tono di aspro rimprovero o di accusa, come nei versi danteschi:
Ahi Pisa, vituperio delle genti del bel paese là dove 'l si suona...
Ipallage: (dal greco hypallassein, "scambiare") (vedi anche Enallage, figura retorica con cui l'ipallage spesso coincide):figura retorica che consiste nell' attribuire a un termine di una frase qualcosa (qualificazione, determinazione o specificazione) che logicamente spetterebbe a un termine vicino. Così nei versi di G. Pascoli
un ribatte / le porche con la sua marra paziente,
l' aggettivo "paziente" è riferito all'arnese "marra" ma logicamente va riferito a essere umano, cioè al contadino che usa la marra e che è paziente.
Iperbato: rottura dell'ordine naturale della frase o del periodo per ottenere particolari effetti di espressività.
Iperbole: consiste nell'esprimere in termini esagerati un concetto per difetto o per eccesso.
Ipostasi: (dal greco hypostasys, "materia condensata") nell' ambito della linguistica indica il passaggio di una parola da una categoria grammaticale a un'altra. Come figura retorica indica la concretizzazione e personificazione di un concetto astratto.
Ipotiposi: (dal greco hypotyposis, "abbozzo") figura retorica che consiste nel descrivere qualcuno con particolare evidenza, vivacità e concretezza di particolari.
Ironia: consiste nell' affermare una cosa che è esattamente il contrario di ciò che si vuole intendere. Si tratta di un tipo di comunicazione che richiede nel lettore e nell'ascoltatore la capacità di cogliere l'ambiguità sostanziale dell'enunciato.
Isocolon: (dal greco isókôlon, "stesso membro") figura della retorica classica, che consiste nella perfetta corrispondenza fra due o più membri di un periodo, per numero e disposizione di parole.
Isterologia: (dal greco, hysteron "posteriore" e lógos "discorso") figura retorica che consiste nell'invertire l'ordine logico delle frasi, anticipando ciò che si dovrebbe dire dopo.
Iterazione: ripetizione di parole o di frasi, spesso con valore espressivo così da costituire una figura retorica.
Litote: attenuazione di un concetto mediante la negazione del contrario, come nella frase:
Don abbondio non era nato con un cuor di leone
dove s'intende che era poco coraggioso (Manzoni).
Metafora: (trasposizione) sostituzione di un termine con una frase figurata legata a quel termine da un rapporto di somiglianza, ad esempio: Stanno distruggendo i polmoni del mondo, in cui "i polmoni del mondo" sta per "boschi".
Metonimia o metonomia: consiste nell'usare il nome della causa per quello dell'effetto, per esempio: "vive del suo lavoro" significa che "vive del denaro guadagnato grazie al suo lavoro".
Omoteleuto: utilizzo di termini vicini o successivi che terminano con lo stesso fonema finale.
Onomatopea: (dal greco onoma, "nome" e poièo, "faccio") è un vocabolo o un'espressione che tenta di riprodurre per mezzo del suono una determinata imitazione. Ad esempio din-don riproduce il suono di una campana.
Ossimoro: (dal greco oksymoron, composto di oksys, "acuto" e morós, "sciocco" come modello di unione di concetti discordanti) forma di antitesi di singole parole che vengono accostate con effetti paradossali (es. paradiso infernale, ghiaccio bollente).
Paradosso: (dal greco para "contro" e doxa "opionione") figura retorica consistente in un'affermazione che appare contraria al buon senso, ma che in realtà si dimostra valida a un'attenta analisi. Nell'ambito della letteratura, si chiama in questo modo un'opera che presenti situazioni assurde e incredibili, in contrasto con il buon senso e con le convenzioni culturali di una determinata epoca.
Paragoge: (dal greco paragogè, "aggiunta") consiste nell'aggiungere un fonema alla fine di una parola. È presente soprattutto nella lingua arcaica e poetica (virtude per virtù).
Paronimia: (dal greco para "vicino" e onoma "nome") accostamento di due o più parole di suono simile, ma di diverso significato. Es. Traduttore traditore.
Paronomasia: accostamento di parole che hanno suono simile ma significato diverso usate con l'intento di ottenere particolari effetti fonici. Es. Amore amaro.
Perifrasi: (dal greco periphrasis, "locuzione intorno") detta anche comunemente "giro di parole",consiste nell' usare, invece del termine proprio, una sequenza di parole per indicare una persona o una cosa (il ghibellin fuggiasco per Dante).
Personificazione o Prosopopea: (dal greco prósopon, "volto" e poiéin, "fare") figura retorica, di gusto classico, consistente nell'introdurre a parlare un personaggio assente o defunto, o anche cose astratte e inanimate, come se fossero persone reali.
Molti e celebri sono gli esempi, che evidenziano come la poesia abbia sempre fatto un largo uso di una simile tecnica espressiva, dalla personificazione della Fama nell'Eneide virgiliana, a quella della Frode nell'Orlando Furioso di L. Ariosto, fino ai cipressi introdotti a parlare in una celebre lirica (Davanti San Guido) di Carducci.
Pleonasmo: ridondanza che consiste nell'utilizzo di un termine superfluo. Es. A me mi piace.
Polisindeto: contrario dell'asindeto e consiste in una sequenza molto marcata di congiunzioni fra due o più parole o enunciati.
Poliptoto: figura retorica che consiste nel ripetere, in un giro di frasi relativamente breve, una parola, cambiandone le funzioni morfo-sintattiche:
e li 'nfiammati infiammar sì Augusto (Dante)
Premunizione: figura retorica consistente nel controbattere preventivamente alle possibili obiezioni dell'interlocutore.
Preterizione: (dal latino praeterire, "passare oltre") figura retorica che consiste nel fingere di voler tacere ciò che in realtà si dice. Ad esempio: Non ti dico il calore, l'affetto, la cordialità con cui siamo stati accolti.
Prolessi: (dal greco prolambanein, "prendere prima") anticipazione di un termine che sintatticamente andrebbe posto dopo, per sottolineare.
Reiterazione: figura retorica consistente nel ripetere uno stesso concetto con altre parole.
Reticenza: (dal latino reticere, 'tacere') consiste nell'interrompere e lasciare in sospeso una frase facendone intuire al lettore o all'ascoltatore la conclusione, conclusione che comunque viene taciuta deliberatamente per creare nell'ascoltatore o nel lettore una particolare e viva impressione. Un esempio sono frasi in cui sono presenti puntini di sospensione:
E questo padre cristoforo, so da certi ragguagli che è un uomo che non ha tutta quella prudenza, tutti quei riguardi... (A. Manzoni)
Ripetizione: figura retorica che consiste nel ripetere una o più parole a breve distanza per dare maggiore evidenza o calore al discorso. Es. Via, via di qui!
Sillessi: (dal greco syllepsis, "raccolta insieme") figura retorica della grammatica classica, secondo la quale ciò che si riferisce soltanto a una cosa o persona viene arbitrariamente esteso ad altra cosa o persona che, nell'enunciato, segue alla prima: ad esempio: "Borea e Zefiro che soffiano nella Tracia" (ma soltanto Borea soffia nella Tracia).
Similitudine: (dal latino similitudo, "somiglianza") figura retorica consistente in un paragone istituito tra immagini, cose, persone e situazioni, attraverso la mediazione di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, simile a, a somiglianza di). Es. È furbo come una volpe.
Sinalefe: (dal greco synaloiphè, "il confondere insieme") è il fenomeno per cui due vocali si fondono in una sola sillaba e si pronunciano come se le due vocali appartenessero ad una sola sillaba. Es. "vado a casa" si pronuncia come "va-da-ca-sa".
Sinchisi: (dal greco synkhêin "mescolare") figura retorica consistente in una modificazione dell'ordine sintattico normale di una frase e del sovvertimento dell'ordine consueto del discorso che può produrre oscurità.
Sincope: (dal greco syncopè, "taglio") consiste nell'eliminare una sillaba all'interno di una parola. Es. opra per opera.
Sineddoche: (dal greco synekdékhomai, "prendo insieme") figura semantica consistente nell'utilizzazione in senso figurato di una parola di significato più o meno ampio della parola propria. Fondata essenzialmente su un rapporto di estensione del significato della parola, questa figura esprime: la parte per il tutto (vela invece di nave); il tutto per la parte (una borsa di foca, per indicare una borsa fatta di pelle di foca); il singolare per il plurale e viceversa (l'italiano è molto sportivo); il genere per la specie (mortale per l'uomo).
Sineresi: (dal greco synairesis, "il prendere insieme") consiste nella contrazione di due vocali in una sola all'interno di una parola in modo da formare una sola sillaba.
Sinestesia: (dal greco syn, "insieme" e aisthánestai, "percepire") procedimento retorico che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un'immagine vividamente inedita. Un simile procedimento, non estraneo alla poesia antica, diviene particolarmente frequente a partire dai poeti simbolisti e costituisce poi uno stilema tipico dell'area ermetica della poesia italiana del Novecento, ad esempio:
urlo nero della madre (S. Quasimodo)
Sospensione: figura retorica consistente nel lasciare volutamente interrotto un discorso.
Zeugma: (dal greco zèugma, "aggiogamento") collegamento di un verbo a due o più termini della frase che invece richiederebbero ognuno singolarmente un verbo specifico. Nella frase seguente "vedrai" regge anche "parlare" che dovrebbe, invece, essere retto da un verbo come "udire" o "sentire":
parlare e lagrimar vedraimi insieme (Dante).

 

Fonte:http://www.scicom.altervista.org/tecniche%20Espressive%20e%20Composizione%20di%20Testi%20in%20Italiano/Dizionario%20Figure%20Retoriche.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

GLOSSARIETTO DI RETORICA


Accento ritmico o ictus In poesia, l'accento che marca alcune sillabe nella struttura del verso. Alcuni versi (ad esempio il senario e il decasillabo) hanno gli accenti ritmici su posizioni fisse, mentre altri (in particolare il settenario e l'endecasillabo) presentano gli accenti ritmici su posizioni mobili.
Accumulazione Figura retorica che consiste nell'"aggiunta" di parole, concetti, immagini in forma ordinata e progressiva, oppure disordinata e caotica.
Agnizione Riconoscimento della reale identità di un personaggio; si tratta di un meccanismo frequente nei generi dell'epica e del teatro classico.
Aiutante Personaggio che collabora con il protagonista per il raggiungimento del suo obiettivo - l'oggetto del desiderio. Oltre che da un personaggio vero e proprio, l'aiutante può essere rappresentato da uno stato d'animo o da un particolare tratto del carattere del protagonista; si parlerà in questo caso di aiutante interno.
Allegoria Figura retorica consistente nella costruzione di un discorso in cui i significati letterali dei singoli termini passano in secondo ordine rispetto al significato simbolico dell'insieme. Secondo alcuni, l'allegoria sarebbe una sorta di metafora continuata, estesa ad abbracciare un'intera composizione, come è il caso di apologhi, parabole e favole, nonché di opere quali la Divina Commedia di Dante.
Allitterazione Figura retorica che consiste nella ripetizione degli stessi fonemi in due o più parole vicine. Ad esempio: "Ed ascoltando il canto / della rana rimota alla campagna" (Leopardi, Le ricordanze).
Alter ego Letteralmente "un altro me stesso". L'espressione indica una persona che possiede le stesse prerogative e facoltà di un'altra (e può quindi sostituirla e agire in sua vece).
Anacoluto Costruzione linguistica caratterizzata da mancanza o incongruenza di nessi sintattici, dovuta a un cambiamento di soggetto nel corso dell'enunciato, spesso usata dagli autori per rendere con maggiore efficacia il registro popolare o colloquiale. Ad esempio: "Non sapete che i soldati è il loro mestiere di prender le fortezze?" (Manzoni, I promessi sposi, capitolo XXX).
Anàfora Figura retorica che consiste nella ripetizione di una o più parole all'inizio di versi o frasi successive, allo scopo di sottolineare in modo enfatico l'elemento ripetuto. Ad esempio : "S'i fosse foco, ardere' il mondo / s'i fosse vento, lo tempestarei" (Angiolieri, Sonetti).
Anàstrofe Figura retorica che consiste nell'inversione dell'ordine normale di due parole. Ad esempio: eccezion fatta, cammin facendo. Viene sovente assimilata all'ipèrbato.
Antagonista Nella fiaba, ma anche in ogni tipo di testo narrativo, il personaggio che si oppone e contro cui combatte l'eroe o protagonista. Oltre che esterno, può essere interno, quando il personaggio protagonista è in lotta con se stesso, con le tendenze meno positive del suo io.
Antefatto Fatti accaduti prima dell'evento narrato o messo in scena, importanti e significativi ai fini della comprensione degli eventi successivi.
Anticipazione Alterazione dell'ordine cronologico dei fatti narrati per cui si anticipa, per lo più soltanto per accenni, un fatto che si verificherà dopo, rispetto al momento della storia a cui si è giunti.
Antìtesi Figura retorica di parola, risultante dall'accostamento, nella stessa frase, di termini o concetti di significato opposto. Ad esempio: "Pace non trovo, et non ò da far guerra; / e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio" (Petrarca, Canzoniere, CXXXIV).
A parte o da sé Tipo di battuta che si fonda sull'accettazione di una convenzione scenica: essa infatti è pronunciata per non essere sentita dagli altri personaggi, mentre viene colta dal pubblico.
Apòstrofe Figura retorica che consiste nel rivolgersi, con tono enfatico, direttamente a persona o cosa personificata o anche al lettore. Ad esempio: "Italia mia, benché 'l parlar sia indarno" (Petrarca, Canzoniere, CXXVIII).
Arcaismo Forma grafica, fonetica, morfologica, lessicale o costruzione sintattica che appartiene a una fase linguistica superata o in via di superamento.
Asìndeto Figura sintattica consistente nella coordinazione tra parole e frasi senza l'uso di congiunzioni, ma tramite segni di punteggiatura (virgola, punto e virgola, due punti); talvolta mancano anche i segni di punteggiatura. Può essere usata in senso enfatico (ad esempio: Veni, vidi, vici) ma anche nel linguaggio comune (ad esempio: Detto fatto).
Assonanza Rima imperfetta, che consiste nell'accostamento di termini che hanno le ultime vocali, a cominciare da quella accentata, uguali, e consonanti diverse. Essa contribuisce a determinare l'andamento ritmico di un testo poetico ed è sovente utilizzata dai poeti del Novecento in sostituzione della rima vera e propria. Ad esempio: "Tra le dita incerte il loro lume è chiaro e lontano" (Ungaretti, Quiete).
Atto Ciascuna delle suddivisioni principali di un'opera teatrale. La suddivisione tradizionale consta di tre o cinque atti, ma esistono anche atti unici. Ciascun atto è suddiviso in scene.
Autore implicito L'immagine che il lettore si forma dell'autore reale attraverso gli elementi fornitigli dal testo, perché chi scrive proietta sempre se stesso, o una parte di sé, nel testo da lui composto.
Autore reale Nell'analisi del racconto, lo scrittore, che non coincide necessariamente con il narratore, se non nei casi particolari di opere autobiografiche.

Battuta Ogni intervento parlato dell'attore.

Canzone Forma metrica derivata dalla cansô provenzale, in origine con accompagnamento musicale. La canzone classica (o antica o petrarchesca) è formata da un numero variabile di stanze - in genere da cinque a sette - uguali tra loro per numero di versi, per disposizione dei tipi di verso (che, a partire da Petrarca, sono endecasillabi e settenari) e per schema di rime. Le stanze sono formate dalla fronte e dalla sìrima, collegate tra loro dalla chiave. La canzone si conclude di solito con un congedo.
Canzone libera Quella svincolata dalle rigide norme tradizionali, che fu definita nell'Ottocento da Leopardi in stanze di endecasillabi e settenari alternati liberamente, senza schemi prefissati. Anche la disposizione della rima risponde unicamente alle esigenze interne della lirica.
Catàrsi "Purificazione" delle passioni attraverso una rappresentazione tragica che converte le emozioni dolorose in piacevoli mediante lo scioglimento della vicenda e il ristabilimento dell'ordine secondo giustizia.
Cesura Pausa che divide il verso in due membri, detti emistichi.
Chiasmo Figura retorica costituita dalla contrapposizione di due espressioni parallele, nella seconda delle quali gli elementi risultano capovolti rispetto alla prima. Ad esempio: "Io solo combatterò, procomberò sol io" (Leopardi, All'Italia); l'ordine è nel primo caso soggetto-verbo, nel secondo verbo-soggetto.
Chiave o concatenatio Nella stanza della canzone, la rima che unisce il primo verso della sìrima con l'ultimo della fronte.
Citazione Nell'analisi del racconto, la forma diretta adottata dal narratore per rappresentare ciò che pensano e dicono i personaggi.
Climax o gradatio Figura retorica che consiste nella disposizione di termini o frasi in ordine di intensità crescente (climax ascendente) o decrescente (climax discendente o anticlimax).
Codice Insieme di segni che funzionano secondo determinate regole stabilite convenzionalmente da coloro che ne fanno uso.
Commedia Opera teatrale in cui i personaggi sono di condizione media o modesta, il soggetto è tratto dalla vita quotidiana, la conclusione è rappresentata dal lieto fine, la lingua è quella del parlar comune.
Congedo Nella canzone e talvolta nella ballata, breve strofa, di composizione varia, che chiude il componimento, nella quale è contenuta una dedica, talora rivolta alla canzone o alla ballata stessa.
Connotazione Significato o significati che, per mezzo di associazioni, vengono aggiunti al significato di base di un termine (denotazione), arricchendolo.
Consonanza Rima imperfetta, che consiste nell'accostamento di termini che hanno consonanti uguali e vocali diverse (tanto/vento).
Copione Il testo da mettere in scena, o da girare in un film, corredato delle note di regia.

Deìttico Elemento dell'enunciato che indica precise coordinate spazio-temporali (per esempio i pronomi personali e dimostrativi, come io, tu, questo, quello; gli avverbi di luogo e di tempo, come qui, , ora, ieri).
Denotazione Significato letterale di un termine.
Destinatario Nella teoria della comunicazione, colui al quale è indirizzato un messaggio.
Deus ex machina Divinità che, nella tragedia greca, si faceva scendere dall'alto per mezzo di un apposito meccanismo, a decidere di una situazione umanamente insolubile.
Dialefe Figura metrica per cui, all'interno del verso, la vocale di una parola e quella iniziale della parola successiva vengono pronunciate separatamente (cioè con uno iato) e devono essere considerate come parti di due differenti sillabe. Ad esempio: "O anima cortese mantoana" (Dante, Inferno, II).
Didascalia Indicazione data dall'autore del testo teatrale riguardante sia il modo in cui le battute devono essere pronunciate dagli attori sia i suggerimenti per la messinscena.
Dieresi In metrica è la pronuncia distinta delle due vocali di un dittongo, le quali pertanto contano come due sillabe. javascript:stampa(); Il segno grafico è costituito da due punti sopra la prima vocale. Ad esempio: "a le triste, ozïose/acque" (Parini, La salubrità dell'aria).
Discorso Nell'analisi del racconto, il livello dell'espressione - come i fatti sono raccontati - in contrapposizione al livello dei contenuti - la storia, che cosa è raccontato.
Discorso diretto legato/libero Tecnica narrativa mediante la quale il narratore cede la parola ai personaggi, di cui sono riportate le battute. Si parla di discorso diretto legato quando le parole del personaggio sono accompagnate da un verbo dichiarativo. Ad esempio: "-Eh! eh! che novità è questa?-" disse don Abbondio" (Manzoni, I promessi sposi, capitolo II). In assenza di verbo dichiarativo, si parla invece di discorso diretto libero.
Discorso indiretto Tecnica narrativa mediante la quale il narratore riferisce parole o pensieri dei personaggi in dipendenza da verbi dichiarativi (disse che…, pensò che…). Produce una distanza di grado intermedio fra lettore e personaggi.
Discorso indiretto libero Caso particolare di discorso indiretto, molto frequente nella narrativa moderna, caratterizzato dall'assenza di verbi dichiarativi e dall'uso del pronome di terza persona per indicare colui che parla o pensa.
Discorso raccontato o narrativizzato In narrativa, il discorso o pensiero dei personaggi riassunto con maggiore o minore ampiezza. È la tecnica narrativa che consente al narratore di muoversi con estrema libertà, ad esempio sintetizzando in una sola frase (Gli raccontò le sue esperienze passate) parole e pensieri che, se riprodotti in forma diretta, occuperebbero pagine e pagine.
Distico Coppia di versi, di solito a rima baciata. Il distico elegiaco, nella metrica latina, è invece la coppia esametro + pentametro, usata soprattutto nell'elegia.
Dittologia Coppia di elementi linguistici della stessa categoria, collegati dalla congiunzione e. Ad esempio: "Solo e pensoso i più deserti campi / vo misurando a passi tardi e lenti" (Petrarca, Canzoniere, XXXV). Quando i due termini sono sinonimi, si parla di dittologia sinonimica.
Dramma Nel mondo greco, qualsiasi forma letteraria atta alla rappresentazione; dalla metà del Settecento, dramma venne anche a indicare un genere specifico, sorto in polemica con le rigide distinzioni fra tragedia e commedia. I protagonisti del dramma moderno non sono eroi o individui d'eccezione, ma rappresentanti della comune umanità.
Durata del racconto Nell'analisi del racconto, lo spazio concesso ai fatti narrati e non, come si potrebbe pensare, l'arco di tempo in cui essi si svolgono. Ad esempio il narratore può concentrare in pochissime parole un evento che richiede, per la sua realizzazione, tempi molto lunghi, oppure dilatare in moltissime parole un evento o una situazione di pochissimi minuti. Si possono distinguere quattro forme della durata: pausa; scena; sommario; ellissi .

Ellissi 1. Omissione di una o più parole che la costruzione grammaticale richiederebbe (ad esempio: Silenzio! per: "Fate silenzio!"). 2. Una delle forme della durata del racconto, quando il tempo del racconto è molto minore del tempo della storia e, addirittura, si annulla, perché il narratore omette gli avvenimenti verificatisi in periodi più o meno lunghi. È il caso di massima accelerazione del racconto.
Enjambement Figura metrica che consiste nella mancata coincidenza tra la fine del verso e la fine del membro sintattico, per cui l'enunciato "scavalca" il verso e continua in quello seguente. Ad esempio: "… arcani mondi arcana/felicità fingendo al viver mio" (Leopardi, Le ricordanze), dove la fine del verso spezza il sintagma aggettivo-sosta.
Enumerazione Figura sintattica che comporta l'accostamento, in ordine, di parole poste in successione e collegate fra loro con congiunzioni o segni di punteggiatura. Ad esempio: "Di spruzzi, di sprazzi / di fiocchi, d'iridi…" (D'Annunzio, L'onda).
Epìteto Aggettivo usato come attributo o sostantivo (o perifrasi nominale) usato come apposizione di un altro sostantivo. Nell'epica classica gli epiteti ricorrono come formule fisse: la saggia Penelope, il pio Enea, le concave navi, ecc..
Eroe protagonista.
Esordio Il turbamento dell'ordine che dà l'avvio a una fabula: qualcosa o qualcuno determina un cambiamento nella situazione iniziale. In senso più generale, la parte iniziale di un'opera narrativa.
Eufemismo Figura retorica mediante la quale si attenua l'asprezza di un concetto, usando una perifrasi o sostituendo un vocabolo con un altro. Ad esempio: malato di mente per "pazzo"; non vedente per "cieco".

Fabula In un testo narrativo, l'insieme degli elementi contenutistici (avvenimenti e/o azioni) in ordine logico-cronologico.
Fiction Letteralmente: "non realtà", invenzione. È un termine che può essere riferito a tutte le opere letterarie (se si escludono testimonianze, diari e memorie), in quanto frutto di invenzione.
Figura etimologica Figura retorica che consiste nella ripetizione della radice di un vocabolo. Ad esempio: vivere la vita, amar d'amore.
Flashback retrospezione.
Flash-forward Procedimento narrativo opposto al precedente, che consiste nell'anticipazione di un evento futuro (forward) nel presente della narrazione. È usato più raramente del flashback.
Flusso di coscienza Caso particolare di monologo interiore in cui la trascrizione in forma diretta dei pensieri del personaggio diviene trascrizione delle sue libere associazioni mentali. L'effetto di immediatezza è ottenuto tramite l'infrazione delle regole morfologico-sintattiche e l'abolizione della punteggiatura.
Focalizzazione zero/interna/esterna Nell'analisi del racconto, per focalizzazione zero si intende la particolare prospettiva narrativa del narratore onnisciente: il racconto non è focalizzato, in quanto non è orientato secondo il punto di vista di nessuno dei personaggi. Si ha, invece, la focalizzazione interna quando la narrazione è condotta dal punto di vista di uno dei personaggi e il narratore mostra di sapere soltanto ciò che sa quel personaggio. Tale focalizzazione può essere fissa, se tutto il racconto è orientato secondo la medesima prospettiva; variabile, se nel racconto si alternano i punti di vista di diversi personaggi; multipla, se un medesimo fatto viene presentato da punti di vista differenti. Si ha la focalizzazione esterna quando il narratore mostra di sapere meno di quanto sa ciascun personaggio, ad esempio in racconti costituiti da solo dialogo.
Fonosimbolismo In poesia (ma anche nella prosa, artistica e non), i suoni che compongono le parole possono assumere significati autonomi, evocativi e allusivi. Il caso più comune di fonosimbolismo è l'onomatopea, in cui il suono della parola imita un rumore naturale ("din don di campane", Pascoli, La mia sera). Un altro esempio: "Volaron sul ponte che cupo sonò" (Manzoni, Adelchi, coro I), dove i suoni cupi della o e della u rendono il rimbombo degli zoccoli dei cavalli sulle tavole del ponte. Ma talora i suoni hanno un potere evocativo più vasto, meno determinato. Ad esempio: "Ed ascoltando il canto / della rana rimota alla campagna" (Leopardi, Le ricordanze), dove il susseguirsi di a, spesso accentate, crea una suggestione di vastità spaziale indefinita.
Fronte È la parte iniziale di ogni stanza della canzone. Si suddivide in due piedi.
Funzioni della lingua Espressione con la quale si indicano gli scopi ai quali può essere finalizzata la trasmissione di un messaggio verbale. Si distinguono una funzione referenziale (o informativa), una funzione espressiva (o emotiva), una funzione fàtica (o di contatto), una funzione conativa (o persuasiva), una funzione metalinguistica (dove la lingua è utilizzata per descrivere se stessa) e una funzione poetica (dove l'attenzione si concentra sul significante).
Idillio Componimento di materia pastorale, che si svolge su sfondi di natura amena. Fu introdotto dai poeti greci dell'età ellenistica (Teocrito, IV-III secolo a.C.) e venne ereditato dai poeti latini (in particolare da Virgilio con le Bucoliche).
Incipit Inizio di un'opera letteraria, in prosa o in versi, o anche di una composizione musicale. Deriva dalla forma verbale latina ("incomincia") premessa al titolo di un'opera negli antichi manoscritti e stampati. Si tratta di poche righe, se non addirittura di poche parole che danno il la al racconto o alla poesia o al pezzo musicale, aprendo la strada alle presupposizioni del lettore.
In medias res Particolare tipo di incipit di un'opera letteraria, che pone subito il lettore nel bel mezzo della vicenda narrata.
Intreccio o trama In un racconto o romanzo, l'insieme dei contenuti nell'ordine in cui il narratore li ha disposti.
Invocazione Variante dell'apostrofe che consiste nel rivolgersi a una divinità, ad esempio alla Musa della poesia epica: "Canta, o dea, l'ira d'Achille Pelide".
Io lirico Termine con cui si designa, in un testo poetico, la "voce" a cui è affidato il compito di esprimere emozioni, pensieri, sensazioni, ecc.
Io narrante Nell'analisi del racconto, colui al quale è attribuita la funzione di narrare la storia in prima persona. Vedi anche narratore e narratore interno.
Ipàllage Figura retorica che consiste nell'attribuire a un elemento della frase un attributo o un verbo che logicamente andrebbe rivolto a un altro elemento. Ad esempio: "il divino del pian silenzio verde" (Carducci, Il bove).
Ipèrbato Figura retorica che consiste nel rovesciare la normale successione delle parole nel periodo interponendo un segmento di enunciato tra due costituenti un sintagma. Ad esempio: "Derelitte sul poggio / fronde della magnolia…" (Montale, Derelitte…).
Ipèrbole Figura retorica consistente nell'utilizzare termini o immagini esagerati per esprimere un concetto o un'idea, al fine di ottenere effetti comici, ironici o enfatici.
Ipotassi Rapporto di subordinazione tra due o più frasi.
Ironia Procedimento retorico basato sull'ambiguità del linguaggio, per cui il vero significato di un enunciato è il contrario di quello letterale.
Iterazione Figura retorica che consiste nella ripetizione di un termine o di un'espressione per intensificarne il significato.

Leitmotiv Tema che compare con una certa frequenza in un'opera, costituendone un filo conduttore.
Lessico Insieme dei vocaboli e delle locuzioni che costituiscono la lingua di una comunità, di un settore di attività o di un singolo autore.
Linguaggio formulare Linguaggio caratterizzato dall'uso di formule fisse per connotare personaggi e situazioni e la cui ricorrenza facilita la memorizzazione.
Litòte Figura retorica che consiste nell'affermare un concetto negando il suo contrario, al fine di attenuare l'espressione. Ad esempio: non molto per "poco", non bello per "brutto".

Metàfora Figura retorica che consiste nell'usare un termine o un concetto non nel suo significato proprio, ma sostituendolo, in un altro contesto, a un termine o concetto con cui abbia dei rapporti di somiglianza. Ad esempio: "Sono stato / uno stagno di buio" (Ungaretti, La notte bella); i due termini confrontati sono l'io del poeta e uno stagno; l'elemento che li accomuna è il senso di chiusura, di immobilità e di oscurità.
Metonìmia o metonimìa Figura di traslato, in quanto sostituzione di una parola con un'altra che ha con la prima un rapporto di causa/effetto o comunque di contiguità. Ad esempio: bere un bicchiere, per "bere del vino"; vivere di lavoro, per "vivere con il denaro ricavato dal lavoro", ecc.
Metrica L'insieme delle norme che regolano la composizione del verso, o anche il complesso dei metri usati di preferenza da un poeta, o in un'epoca letteraria.
Metro La struttura particolare ("misura") di un verso o di una strofa, o anche lo schema metrico di un componimento.
Mittente Nella teoria della comunicazione, colui che formula un messaggio (lo codifica) e lo trasmette.
Monologo Parte del testo drammatico recitata da un solo attore, costituita da una battuta di maggior ampiezza, in cui il personaggio dialoga con se stesso (soliloquio) oppure si esprime in presenza di ascoltatori muti, che possono essere sia gli altri personaggi in scena sia il pubblico in sala.
Monologo interiore Citazione dei pensieri di un personaggio in stile diretto libero, senza alcun verbo dichiarativo che li introduca.

Narratore Nell'analisi del racconto, la voce narrante, colui al quale è attribuita la funzione di narrare la storia, o in prima persona - o in terza persona. Si tratta quindi di un'entità fittizia, da non identificarsi con lo scrittore o autore reale, tranne nei casi particolarissimi di opere dichiaratamente autobiografiche, diari o memorie.
Narratore esterno o eterodiegetico È quello non presente nella storia, estraneo alla vicenda da lui narrata.
Narratore interno o omodiegetico È quello presente all'interno della storia come personaggio, che racconta fatti di cui è stato protagonista o testimone. Vedi anche io narrante.
Narratore onnisciente Nell'analisi del racconto, il narratore che sa tutto ciò che fanno e pensano i singoli personaggi; anzi, spesso li conosce meglio di quanto essi stessi si conoscano, perché analizza i loro sentimenti e li giudica. Vedi anche focalizzazione zero.
Neologìsmo Parola di nuova formazione o derivata recentemente da altra lingua o anche nuova accezione di una parola già esistente.
Nonsense Termine inglese che alla lettera significa "senza senso": breve testo fondato su un uso paradossale del linguaggio, con effetti umoristici.
Nucleo narrativo Nell'analisi del racconto, l'evento, o più spesso gli eventi, determinanti della storia.

Oggetto del desiderio In un testo narrativo, ciò che muove l'eroe o protagonista, nel senso che le sue azioni sono volte a conquistarlo.
Onomatopèa Trascrizione-imitazione, mediante le parole, di un suono o di un rumore (vedi fonosimbolismo).
Ordine del racconto Può seguire una successione cronologica, per cui chi legge segue gli avvenimenti passando da un prima a un dopo, oppure presentare delle discordanze tra l'ordine cronologico e l'ordine in cui i fatti sono presentati nel testo, quando la fabula non coincide con l'intreccio, a causa di espedienti quali la retrospezione o flashback e l'anticipazione.
Ossìmoro o ossimòro Figura retorica che consiste nell'accostamento in un unico sintagma di due termini di significato antitetico. Ad esempio: "e della vita il doloroso amore" (Saba, Ulisse).
Ottava rima Strofa composta da otto endecasillabi disposti secondo lo schema ABABABCC (nel caso dell'ottava rima toscana, l'ottava rima siciliana segue invece lo schema ABABABAB), in uso nella poesia discorsiva (epica narrativa, religiosa). È detta anche semplicemente ottava.

Pamphlet Scritto di tono satirico o polemico spesso utilizzato, a partire dai secoli XVII-XVIII, come strumento per sensibilizzare l'opinione pubblica su scottanti problemi di attualità.
Paratàssi Procedimento sintattico in cui si pongono accanto due o più frasi tramite un rapporto di coordinazione. È contrapposto all'ipotassi.
Parola chiave Termine importante all'interno di un testo in quanto ne riassume e ne rappresenta temi centrali.
Paronomàsia o paronomasìa detta anche bisticcio Accostamento di parole con somiglianze foniche, ma di significato diverso. Ad esempio: "Girella emerito / di molto merito" (Giusti, Il brindisi di Girella).
Pastiche Accostamento di parole di diverso livello, registro o codice linguistico (neologismi, voci gergali, termini aulici, o tecnici, ecc.) utilizzato per ottenere effetti umoristici, parodistici o satirici.
Patronimico Nome derivato da quello del padre. Nell'epica classica il patronimico è di uso frequente. Ad esempio: Achille Pelide (figlio di Peleo), l'Atride Agamennone (figlio di Atreo), ecc.
Patto narrativo Si definisce così il tacito accordo che si stringe tra autore e lettore nella fiction: il lettore sa che ciò che legge non è vero, ma si comporta come se lo fosse, a patto che il racconto sia dotato di una sua coerenza interna.
Pausa Una delle forme della durata del racconto. Si ha quando la storia è ferma, perché il narratore indugia in riflessioni o descrizioni anziché raccontare i fatti. Quindi il tempo del racconto è maggiore del tempo della storia.
Personificazione o prosopopèa Figura retorica consistente nell'attribuzione di caratteristiche umane a esseri inanimati o a entità astratte. Ad esempio: "Piangi, che ben hai donde, Italia mia" (Leopardi, All'Italia).
Personaggio Elemento fondamentale della narrazione, punto nodale del messaggio che l'autore intende trasmettere. All'interno della narrazione, nel sistema dei personaggi, il personaggio riveste un ruolo (o funzione) determinante ai fini dello svolgimento della vicenda (vedi anche protagonista, antagonista, aiutante).
Personaggio a tutto tondo o dinamico o individuo Nell'analisi del racconto, quello caratterizzato da complessità psicologica e presentato nella sua evoluzione interiore nel corso della vicenda.
Personaggio piatto o statico o tipo Nell'analisi del racconto, quello caratterizzato da uno o pochi tratti psicologici e dotato di scarsa capacità di evoluzione nel corso della vicenda.
Piede Unità di misura della metrica quantitativa greco-latina. Nella metrica italiana, ciascuna delle due parti nelle quali può essere strutturata la fronte della canzone.
Pleonasmo Abbondanza di parole al di là delle semplici esigenze dell'enunciato. Ad esempio: un'isola circondata dal mare.
Polisemìa Molteplicità di significati di una parola o di un'espressione; caratteristica del linguaggio letterario in quanto fondato sulla connotazione.
Polisìndeto Collegamento di più termini di una proposizione, o di più proposizioni nel periodo, mediante congiunzioni coordinative.
Protagonista o eroe Personaggio principale del racconto, che tende alla realizzazione di un obiettivo-oggetto del desiderio per risolvere una situazione di danneggiamento o di mancanza. Nella tragedia greca arcaica era l'unico personaggio in dialogo con il coro; in seguito, a questo viene affiancato un secondo e poi un terzo attore (deuteragonista e tritagonista).

Quartina Strofa di quattro versi, rimati per lo più secondo gli schemi ABBA, ABAB, AABB o AAAA (quartina monorima); la quartina può essere sia costituita da quattro versi omogenei all'interno di una strofa più ampia, sia costituire un'unità all'interno di uno schema metrico più complesso, ad esempio il sonetto.

Racconto Termine usato in varie accezioni, di cui le principali sono: 1) come sinonimo di narrazione; 2) come genere narrativo, caratterizzato da maggior brevità rispetto al romanzo; 3) nell'analisi narratologica, come sinonimo di discorso narrativo, per indicare il piano dell'espressione distinto dal piano del contenuto (la storia).

Racconto nel racconto Inserimento, in un racconto, di una storia all'interno di un'altra storia (detto anche racconto a incastro).
Regia Coordinamento generale e direzione artistica di uno spettacolo. Nell'antica Grecia era il corego, ossia il conduttore del coro, a dirigere lo spettacolo. Di regista vero e proprio si parla solo nel teatro contemporaneo. Ai tempi di Pirandello il regista era ancora il capocomico.
Registro linguistico Uso dei diversi modi linguistici a seconda della situazione comunicativa e degli scopi che la comunicazione stessa si propone.
Resoconto In narrativa, la forma indiretta per rappresentare ciò che pensano e dicono i personaggi: il lettore ne conosce le opinioni e le parole attraverso il filtro esercitato dal narratore.
Retrospezione o flashback Inserimento nella narrazione principale di un episodio secondario precedentemente accaduto, che interrompe la successione cronologica o che modifica la successione logica degli eventi. Si tratta di un guardare indietro per aiutare chi legge a formarsi un'immagine più compiuta di un personaggio o di una vicenda.
Rima Identità di suoni finali (vocalici e consonantici) di due parole, più frequentemente a fine verso, a partire dall'ultima vocale tonica compresa (cuòre/amòre, vènto/sènto). È detta anche rima perfetta, per distinguerla dall'assonanza e dalla consonanza, rime imperfette.
Rima al mezzo Rima interna in coincidenza con il primo emistichio ("Passata è la tempesta:/odo augelli far festa, e la gallina,…", Leopardi, La quiete dopo la tempesta).
Rima alternata Si alternano due rime (ABAB…).
Rima baciata Due versi consecutivi rimano fra loro (AA…).
Rima equivoca Le due parole in rima sono fonicamente identiche, ma di significato diverso (parte, sostantivo e parte, voce del verbo partire).
Rima identica Le due parole in rima sono identiche nel suono e nel significato.
Rima incatenata Le rime formano una catena (ABA, BCB, CDC…).
Rima incrociata Le rime si dispongono a incrocio (ABBA…).
Rima interna La rima è interna al verso, pur senza coincidere con il primo emistichio.
Rima ipermetra Una parola piana rima con una parola sdrucciola (tempesta/restano); la sillaba eccedente viene annullata per fusione con la prima del verso successivo (sinafìa), oppure viene computata nel verso seguente.
Rima irrelata Quella del verso che, pur inserito in uno schema di rime, non rima con nessun altro verso.
Rima ricca Sono identici anche uno o più suoni precedenti la vocale tonica (calòre/colòre).
Rima siciliana Presente nella poesia delle origini, in seguito uscita dall'uso, consiste nel far rimare i con é, u con ó.
Ritmo o velocità del racconto Deriva dalla scelta di ricorrere prevalentemente all'una o all'altra forma della durata del racconto. Ad esempio: il ritmo sarà lento, quando predominano le scene e le pause; veloce, quando compaiono con frequenza sommari ed ellissi.

Scena Parte del palcoscenico su cui recitano gli attori; oppure insieme degli elementi scenografici mobili che rappresentano il luogo dell'azione teatrale; oppure ciascuna delle parti in cui è suddiviso un atto. È anche una delle forme della durata del racconto. Si ha quando il tempo del racconto è uguale al tempo della storia: questa perfetta coincidenza si riscontra nelle parti dialogate, per le quali, più che di narrazione, si potrebbe parlare di teatro.
Scenografia È tutto ciò che viene costruito per la realizzazione di una rappresentazione teatrale (fondali, paesaggi, ecc.).
Scioglimento Nell'analisi del racconto, il ristabilirsi dell'equilibrio, il ritrovamento dell'ordine turbato nell'esordio: esso può consistere nel ritorno alla situazione iniziale o nello stabilirsi di una nuova situazione, che non è necessariamente di tipo positivo.
Segno In ambito linguistico, l'entità costituita dall'unione di un significante e di un significato. In semiologia, ciò che in un codice comunicativo serve per capire e per trasmettere un'informazione (ad esempio, le luci di un semaforo o i segnali stradali sono segni).
Semantica La parte della linguistica che studia i significati.
Sequenza In un testo narrativo, ogni segmento che possiamo considerare dotato di una propria autonomia di contenuto, perché caratterizzato da una ben precisa determinazione di tempo, di luogo o dall'entrata in scena di un nuovo personaggio.
Sestina Strofa di sei endecasillabi rimati secondo lo schema ABABCC, detta anche sesta rima. Un esempio moderno è La signorina Felicita di Gozzano, dove però lo schema metrico è più vario rispetto a quello canonico.
Significante In linguistica, l'espressione fonica che rimanda a un concetto-significato. Ad esempio nella parola sole il significante è la serie dei fonemi s/o/l/e, combinati in quella successione. Significante e significato danno origine al segno.
Significato In linguistica, il concetto a cui rimanda l'espressione fonica, il significante.
Simbolo Figura, immagine o oggetto chiamati a rappresentare, in modo vividamente efficace, un concetto, incarnandone una proprietà saliente.
Similitudine Figura retorica che consiste nell'accostamento di elementi che hanno qualche carattere in comune. È introdotta di solito da come, talequale, ecc.
Sinalefe Figura metrica che consiste nella fusione in una sola sillaba metrica della vocale finale di una parola con quella iniziale della parola successiva. Ad esempio: "Voi che ascoltate in rime sparse il suono" (Petrarca, Canzoniere).
Sinèddoche Figura di traslato che si ha indicando la parte per il tutto (o viceversa). Ad esempio: tetto per "casa", vela per "nave". Per alcuni può rientrare nella sineddoche anche l'uso della materia al posto dell'oggetto (ad esempio: pino per "nave"), che altri considerano una metonìmia.
Sinèresi Figura metrica che consiste nella contrazione di due sillabe in una nell'ambito di una parola. È il contrario della dieresi. Ad esempio: "ed erra l'armonia per questa valle" (Leopardi, Il passero solitario).
Sinestesìa Figura retorica consistente nell'accostamento di sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse. Ad esempio: "… all'urlo nero / della madre…" (Quasimodo, Alle fronde dei salici).
Sìrima o sirma Nella canzone, l'ultima parte di ciascuna stanza.
Sistema dei personaggi Nell'architettura della fabula, il sistema di relazioni che lega tra loro i vari personaggi (vedi anche protagonista, antagonista, aiutante, oggetto del desiderio).
Situazione iniziale Nell'organizzazione interna di un testo narrativo, lo "stato dei fatti" in cui si inserirà un mutamento, un turbamento dell'ordine, che rappresenterà l'esordio del racconto.
Soliloquio Tipo di monologo, discorso del personaggio fatto a se stesso.
Sommario Una delle forme della durata del racconto. Si ha quando il tempo del racconto è minore del tempo della storia, perché il narratore riassume, in maniera più o meno concisa, gli avvenimenti.
Sonetto Forma poetica molto antica, probabilmente inventata da Jacopo da Lentini (1210-1260) nell'ambito della Scuola siciliana. Il sonetto è composto da quattordici endecasillabi divisi in quattro strofe, due quartine e due terzine. La disposizione delle rime segue per lo più lo schema lentiniano ABAB ABAB CDE CDE (o CDC DCD) e quello stilnovistico ABBA ABBA CDC CDC.
Per sonetto caudato si intende un sonetto al quale è stata aggiunta una coda di tre versi (un settenario - che rima con l'ultimo verso della seconda terzina - e due endecasillabi in rima baciata), o anche solo un distico di endecasillabi in rima baciata.
Spannung Il momento di massima tensione nello sviluppo della fabula, in cui sembra che la situazione debba precipitare.
Stanza Nella canzone e nella ballata è il nome che assumono le strofe.
Storia In un'opera narrativa, i contenuti narrati, gli avvenimenti e/o le azioni che si svolgono in un tempo e in un luogo e hanno come protagonisti dei personaggi. Vedi anche fabula e intreccio.
Straniamento Procedimento espressivo per effetto del quale una realtà consueta e scontata non appare più tale, perché investita da uno sguardo che ne rivela lati nascosti, o ne coglie le contraddizioni.
Strofa Raggruppamento di più versi in un insieme ritmico e secondo schemi codificati dalla tradizione letteraria, che variano per il tipo e il numero dei versi, oltre che per la disposizione delle rime.
Suspense Stato di tensione e di ansia che si produce quando si assiste a fatti altamente drammatici, di cui non si sa prevedere la conclusione. Usato come espediente narrativo soprattutto nel giallo o nei racconti dell'orrore

Terzina Strofa composta di tre versi (vedi anche sonetto). La terzina incatenata (o dantesca), formata da tre endecasillabi legati da rime secondo lo schema ABA BCB CDC, ecc., è diventato uno dei modelli della poesia italiana, soprattutto didascalica e allegorica.
Tipo o personaggio piatto. Per tipo letterario si intende un personaggio che si richiama a una figura ricorrente nella produzione letteraria di una determinata epoca.
Tópos In retorica, l'argomentazione o l'artificio stilistico esemplare (luogo comune) utilizzato per convalidare o contrastare la proposizione in discussione o per persuadere l'interlocutore. In letteratura è un tema, un'immagine, un motivo ripreso con una certa frequenza da un autore o da più autori, al punto da divenire uno stereotipo, un luogo comune letterario.
Tragedia Opera drammatica con personaggi di rango elevato, che vivono situazioni eccezionali a finale tragico, come la morte del protagonista. Le sue origini risalgono all'antica Grecia del V secolo a.C. (Eschilo, Sofocle ed Euripide). È, di norma, scritta in versi e divisa in cinque atti.
Trama Intreccio.
Traslato o tropo Figura retorica che consiste nel conferire a una parola un significato che non è quello proprio (ma che comunque mantiene con esso relazioni di vario genere, di somiglianza o contiguità). Sono traslati la metafora, la metonimia, la sineddoche, l'iperbole , la sinestesia.

Verso Ogni unità metrica e ritmica composta da un numero prestabilito di sillabe e delimitata da una pausa. Il verso è una struttura variabile in cui rivestono importanza fondamentale il numero delle sillabe, che creano la sequenza, e la posizione degli accenti ritmici. I versi sono denominati dal numero delle sillabe: binario, ternario, quaternario, quinario, senario, settenario, ottonario, novenario, decasillabo, endecasillabo. Nella tradizione metrica l'endecasillabo è il verso più lungo. Vi sono poi i versi doppi, con cesura che distingue i due membri identici, come il dodecasillabo (doppio senario), l'alessandrino (doppio settenario), l'ottonario doppio. La metrica novecentesca registra anche versi di tredici sillabe (Pavese), di sedici, di diciannove (ancora Pavese).
Verso ipèrmetro Verso che eccede la misura prevista (troppo lungo), in genere di una sillaba.
Verso libero Verso svincolato da qualsiasi schema metrico e ritmico. Teorizzato e utilizzato soprattutto dai poeti simbolisti francesi (Verlaine, Rimbaud…), ha goduto di una crescente fortuna nel nostro secolo, a partire dalle Laudi di D'Annunzio, come il verso che meglio si adatta a esprimere gli umori e gli estri cangianti dell'ispirazione poetica.
Verso sciolto Verso che si dispone in una struttura poetica che non prevede il raggruppamento in strofe predeterminate e abolisce il legame della rima. Usato dal Cinquecento in poi a imitazione della poesia classica, ha goduto di larga fortuna fino all'Ottocento, quando fu usato specialmente nella misura endecasillabica da poeti come Manzoni (nel poemetto giovanile Urania) e Foscolo (nel carme Dei Sepolcri e nel poemetto Le Grazie).

Zèugma Figura retorica che consiste nella dipendenza da un solo verbo di più termini, che esigerebbero ciascuno un verbo proprio. Ad esempio: "Parlare e lagrimar vedrai insieme" (Dante, Inferno, XXXIII), dove parlare richiederebbe un "udrai", non vedrai.

 

Fonte: http://amata.unisal.it/rhetor/fig_diz.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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