Farmaci e sport

 

 

 

Farmaci e sport

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

FARMACI & SPORT

 

Indirizzo tecnico-sportivo
(Note di Farmacologia, Prof. Giuseppe Clementi, Dipartimento di Farmacologia Sperimentale e Clinica, Università di Catania)

 

-   Concetto di Farmaco - Assorbimento

 

La Farmacologia studia le interazioni reciproche tra farmaco ed organismo vivente. Per Farmaco si deve intendere ogni sostanza capace di determinare in un organismo vivente modificazioni funzionali (reversibili o irreversibili) mediante un’azione chimico o fisica.  
La Farmacologia la si  distingue in: Farmacologia Generale  e Farmacologia Speciale.
La Farmacologia generale studia  le leggi generali inerenti il comportamento del farmaco nell’organismo (penetrazione, distribuzione, fissazione sui vari apparati,  trasformazione, eliminazione ecc.)
La Farmacologia speciale studia le varie famiglie di farmaci raggruppandoli generalmente sulla base della loro azione fondamentale.
Per quanto riguarda lo studio dell’azione di un farmaco possiamo distinguere un’azione generale o sistemica (diuretici) ed un’azione locale o topica (anestetici locali).
Nella prima il farmaco (trasportato dal sangue e/o linfa) si distribuisce in tutti i tessuti e cellule dell‘organismo; nella seconda  il farmaco espleta la sua attività su una parte ben delimitata dell’organismo.
Per poter espletare un’azione generale il farmaco deve prima di tutto passare dal punto di somministrazione al sangue,  susseguentemente  dal sangue deve  essere distribuito ai vari tessuti od organi; la prima fase viene denominata assorbimento esterno, la seconda fase viene denominata assorbimento interno          

-  Vie di somministrazione dei Farmaci e fattori che ne condizionano l’assorbimento.

 Le vie di introduzione dei farmaci sono in alcuni casi anche vie di assorbimento;  possono essere  distinte in vie enterali (orale, sublinguale e rettale) e parenterali (bronco-alveolare, mucose, intradermica,  cutanea, sottocutanea, intramuscolare, endovenosa ecc).
I farmaci che vengono somministrati per via orale (os) vengono assorbiti prevalentemente nell’intestino tenue per le sue peculiarità anatomiche che facilitano tale funzione, infatti è presente un’estesa superficie di assorbimento, data dalla presenza dei villi intestinali, una notevole vascolarizzazione e limitato spessore della superficie assorbente. Anche il retto è una via di somministrazione ed assorbimento dei farmaci, attraverso la quale vengono somministrate particolari forme farmaceutiche (suppositori).          
La via sublinguale viene utilizzata per ottenere un assorbimento molto rapido (2-3 min. in genere)  
che si attua attraverso la mucosa della lingua e del pavimento della bocca, il sistema vascolare coinvolto evita al  farmaco l’effetto di primo passaggio epatico. Questa via viene utilizzata soprattutto per farmaci come: nitroglicerina, testosteronici ecc.
La via cutanea presenta delle caratteristiche anatomiche tali da essere considerata una via per somministrazioni topiche. Le molecole liposolubili in genere passano attraverso la cute molto meglio delle idrosolubili. Pomate, creme, spray, ecc. sono le forme farmaceutiche di più largo utilizzo per applicazioni cutanee.
La via intramuscolare (i.m.) è molto utilizzata, l’iniezione del farmaco viene prevalentemente effettuata nella zona glutea  facendo attenzione a non far penetrare l’ago in un vaso. La velocità di assorbimento è di 10-30 min.
La via endovenosa (e.v.) comporta l’immissione diretta del farmaco nel sangue (viene saltato l’assorbimento esterno), ciò spiega la rapida risposta farmacologica di un farmaco somministrato per questa via. I farmaci che vengono somministrati per via endovenosa devono avere alcuni requisiti, ricordiamo: solubilità nel sangue, sterilità assoluta, assenza di sostanze oleose, ecc.
Per quanto riguarda i fattori generali che influenzano l’assorbimento, possono essere distinti  in fattori inerenti al farmaco e fattori inerenti all’organismo.

 

  1. Fattori inerenti al Farmaco

 

I fattori generali che condizionano l’assorbimento di un farmaco, dipendono dalla struttura chimica, ma forse ancora di più dalle proprietà chimiche-fisiche del farmaco stesso e dalle preparazioni (forme farmaceutiche) adoperate per l’introduzione.
a) Solubilità – Il farmaco per passare in circolo deve avere un certo grado di solubilità in acqua. Sostanze assolutamente insolubili in acqua  (come l’olio di vaselina, utilizzato come lassativo) non sono  assorbite; composti fortemente ionizzati (scissi in ioni positivi e negativi, come il cloruro di sodio) sono scarsamente assorbiti per diffusione  passiva e richiedono un trasporto attivo.
b) Suddivisione – Un farmaco introdotto allo stato solido puo’ essere assorbito più o meno rapidamente a seconda dello stato di suddivisione. Particelle molto piccole, se somministrate come
tali, si scioglieranno più velocemente e quindi saranno più rapidamente assorbite.
c) Viscosità – Un principio attivo contenuto in un solvente oleoso viene assorbito più lentamente rispetto allo stesso principio attivo contenuto in un solvente tipo acqua.
La Tecnica Farmaceutica ha fatto notevoli progressi nel modificare, mediante la forma farmaceutica, le caratteristiche intrinseche dei composti da utilizzare, adattandole alle necessità d’impiego. Infatti utilizzando opportuni veicoli, è possibili somministrare alcuni farmaci attraverso la cute, aggirando cosi’ il naturale ostacolo che essa oppone. In alcuni casi mediante opportune preparazioni è stato possibile influenzare la velocità di assorbimento rendendola,  secondo le esigenze, più rapida o prolungandola per giorni.

  1. Fattori inerenti all’organismo

 

A parità di altre condizioni la velocità di assorbimento dipenderà dalla estensione della superficie assorbente.  Per es. a  livello degli alveoli polmonari l’assorbimento dei farmaci ( gassosi) è molto rapido, anche l’intestino tenue è una ottima area di assorbimento dei farmaci (presenza dei villi intestinali).
A parità di superficie assorbente, l’assorbimento dei farmaci è condizionato dalla permeabilità dello strato assorbente, dallo spessore di questo e dallo stato del circolo nell’area interessata.        

-   Distribuzione e metabolismo

 A contatto con il sangue,  alcuni farmaci si legano, reversibilmente e in una percentuale variabile ad alcuni suoi componenti (albumine); in tal caso solo la quota libera (non legata alle albumine) è responsabile dell’effetto farmacologico. La parte legata alle proteine plasmatiche si comporta come un deposito, da cui il farmaco si stacca (e quindi diventa libero) man mano che si riduce la quota libera precedente (perché escreta,  penetrata nella cellula,  o metabolizzata).
Il legame di farmaci alle proteine plasmatiche non è generalmente  selettivo, quindi si può verificare tra differenti molecole un fenomeno di competizione per gli stessi siti leganti. Ciò può determinare spiazzamento e quindi variazioni delle concentrazioni di farmaco libero e quindi dei suoi effetti. Un classico esempio di farmaci il cui spiazzamento può determinare conseguenze pericolose per il paziente è la warfarina, un anticoagulante che si somministra per os. Il paziente trattato con questo farmaco può andare incontro a episodi emorragici se trattato contemporaneamente con salicilati. 
Il  farmaco, una volta somministrato, raggiunge il torrente circolatorio e viene trasportato e distribuito in tutto l’organismo, durante questo percorso esso può  essere modificato nella sua struttura chimica e trasformato in altri prodotti e metaboliti.  
Alcune trasformazioni sono certamente di natura obbligata e avvengono all’interno del organismo così come avverrebbero al di fuori di esso; quindi l’organismo non interviene in queste trasformazioni. Invece alcune  modifiche si ottengono per  intervento attivo dell’organismo,  grazie all’azione  di alcuni sistemi enzimatici.
L’organo primario di queste trasformazioni è il fegato (fisiologicamente deputato a modificare i nutrienti introdotti con la dieta); ma queste modifiche  possono aver luogo anche in altri organi quali: muscoli, polmoni, reni. 
Nella maggior parte dei casi le trasformazioni dei farmaci determinano una loro inattivazione, l’organismo cerca di annullare queste sostanze estranee ricorrendo a meccanismi che ne permettono la metabolizzazione, in poche parole l’organismo cerca di proteggersi.  
Talvolta la metabolizzazione può dare origine a metaboliti farmacologicamente attivi. Per es. questo è il caso dell’eroina che viene metabolizzata a morfina. E’ anche possibile  che la biotrasformazione porti alla formazione di composti privi di attività farmacologica, ma dotati di attività tossicologica. Per es. il paracetamolo, farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS), dà origine ad un metabolita che è responsabile della epatotossicità caratteristica di questo composto.
Infine è possibile che un farmaco di per sè non  attivo possa diventarlo una volta penetrato nel nostro organismo a seguito di processi di biotrasformazione, il composto iniziale viene, in questo caso, definito profarmaco.
Le biotrasformazioni dei farmaci, come già detto, sono delle reazioni enzimatiche e si possono classificare in due fasi: Fase I o di funzionalizzazione, e Fase II o di reazioni di coniugazione.
Le reazioni di fase I sono relative alle reazioni di: ossidazione, riduzione, idrolisi. Le reazioni di   
Fase II sono delle reazioni di biosintesi che permettono al composto estraneo, già modificato dalla reazione di fase I, di legare una molecola endogena dando luogo ad un composto coniugato e quindi essere eliminato; queste reazioni sono: glicuronoconiugazione, metilazione, solfatazione, acetilazione etc.

-   Eliminazione dei farmaci

I farmaci, una volta introdotti nell’organismo (assorbimento esterno) dopo o contemporaneamente all’esplicazione della loro attività, metabolizzati o non, vengono eliminati. Essi o i loro metaboliti si possono considerare sostanze estranee e come tali devono quindi essere allontanati dall’organismo, poichè la loro composizione chimica  potrebbe essere tossica.
I farmaci hanno in generale una via di eliminazione elettiva, ma spesso si possono eliminare per differenti vie, per es. un farmaco somministrato a determinate dosi si può eliminare per una determinata via, lo stesso farmaco, somministrato a dosi più elevate, viene eliminato sfruttando diverse vie di eliminazione.
In generale la via di eliminazione elettiva del farmaco è legata alle caratteristiche chimiche e chimico-fisiche del farmaco stesso. Le principali vie di eliminazione dei farmaci sono:

  1. renale
  2. gastroenterica
  3. polmonare
  4. cutanea
  5. mucose

La via renale è senza dubbio la più importante. La formazione di urina avviene principalmente per a) ultrafiltrazione a livello del glomerulo, b) secrezione tubulare c) riassorbimento tubulare.

-   Filtrazione glomerulare

Il nefrone (unità funzionale del rene) è composto dal glomerulo, dal tubulo prossimale, dall’ansa di Henle,  dal tubulo distale e dal  dotto collettore.
Il glomerulo è liberamente permeabile all’acqua, agli elettroliti e ad altri componenti plasmatici a basso peso  molecolare (compresi i farmaci), per cui queste molecole si trovano nel filtrato glomerulare in concentrazione uguale  a quella del plasma. In condizioni normali, le proteine con peso molecolare superiore a 68.000 non superano la barriera filtrante, mentre lo fanno quelle di dimensioni minori. Alterazioni dei valori pressori o un danno renale, consentono anche il passaggio di molecole con peso molecolare superiore, per es. le albumine. Lungo il decorso del tubulo avvengono processi di riassorbimento e di secrezione, che modificano la composizione finale delle urine rispetto al filtrato glomerulare  

-   Secrezione tubulare

A livello del tubulo prossimale è presente un meccanismo di trasporto attivo che permette a un gran numero di sostanze di passare dal plasma al tubulo. Vi sono due sistemi relativamente aspecifici, uno  è coinvolto nel trasporto di sostanze con carica positiva (cationi), l’altro per sostanze con carica negativa (anioni).
Quando somministriamo sostanze che sfruttano lo stesso meccanismo di trasporto la loro eliminazione (tramite secrezione tubulare) può risultare alterata. Ciò può comportare manifestazioni indesiderate determinando per es. un allungamento del tempo di permanenza di alcuni farmaci che possono diventare tossici. In alternativa questa interferenza può essere sfruttata per prolungare l’effetto farmacologico di alcuni farmaci, per es. l’impiego del probenecid prolunga la durata di azione della penicillina G (poiché ne rallenta l’eliminazione).

 

-   Riassorbimento tubulare

Molti costituenti delle urine tornano al sangue tramite dei meccanismi specifici di ricaptazione, ma molti farmaci riassorbiti passano nuovamente all’interno del tubulo distale per diffusione passiva.         
L’urina normalmente ha un pH lievemente acido e ciò facilita la ionizzazione di composti basici e riduce quella di composti acidi, ciò spiega il motivo per cui i composti basici vengono riassorbiti in misura inferiore. Se si opera per rendere basiche le urine (per es. somministrando bicarbonato di sodio o diuretici alcalinizzanti)  il concetto sopra esposto viene invertito.
Questa proprietà viene sfruttata per favorire o ritardare l’eliminazione di alcune sostanze (per es. la eliminazione delle  amfetamine viene ritardata dalla somministrazione di diuretici alcalinizzanti)             

 

  1. Eliminazione per via gastro-enterica

 

Molti farmaci si eliminano attraverso la mucosa del tubo gastroenterico o con talune secrezioni che si riversano in tale apparato (bile, saliva, etc.). Attraverso la bile si eliminano molti farmaci liposolubili colloidali o comunque scarsamente solubili in acqua. Farmaci che vengono concentrati in tali secreti vengono versati nell’intestino e riassorbiti in parte, formando un circolo enteroepatico che prolunga la permanenza in circolo del farmaco stesso

  1. Eliminazione per via polmonare

 

Vengono eliminati attraverso questa via tutti quei farmaci gassosi o volatili, prevalentemente assorbiti per la stessa via. Possono pure eliminarsi dei farmaci non gassosi che per metabolizzazione si trasformano in prodotti volatili.

  1. Eliminazione per via cutanea

 

Sebbene in piccola parte, i farmaci possono essere eliminati attraverso la cute,  prevalentemente con il sudore, dopo aver raggiunto le ghiandole sudoripare per diffusione passiva o per trasporto attivo. Alcuni farmaci, quali i preparati arsenicali,  si eliminano attraverso la pelle e suoi annessi (peli, capelli). Nelle intossicazioni acute il veleno può essere trovato in vari organi tra cui il tubo gastro-enterico. Nelle intossicazioni croniche  si riscontra la presenza di veleno negli strati superficiali della pelle (peli, capelli). Ciò è utile da un punto di vista medico legale perché permette di distinguere un avvelenamento acuto da uno cronico.

  1. Problemi relativi alla somministrazione ripetuta.

 

E’ noto che un farmaco oltre alla sua attività farmacologica è capace di determinare degli effetti indesiderati. Per esempio i farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) espletano il loro effetto antiifiammatoro, analgesico ed antipiretico inibendo la sintesi delle prostaglandine tramite una inibizione dell’enzima ciclossigenasi. Questa attività è responsabile anche della loro gastro-lesività.
E’ chiaro che più alto è il dosaggio utilizzato, più il trattamento si protrae nel tempo e più probabile è la manifestazione di effetti collaterali indesiderati.

-   Tolleranza e tossicomania

Con il ripetersi delle somministrazioni, alcuni farmaci subiscono un graduale decremento della loro attività, relativamente ad uno o più dei loro effetti, sia quelli sfruttabili in terapia che quelli indesiderati. Nel caso di un’attenuazione o soppressione dell’azione desiderata, per continuare ad ottenerla in maniera soddisfacente, è necessario aumentare il dosaggio del farmaco utilizzato. In questo caso si è instaurato un fenomeno di tolleranza o assuefazione.
Per abitudine si deve intendere uno stato di assuefazione di modesta intensità, che si associa a discreta dipendenza psichica e limitata dannosità per l’individuo (abitudine viziosa).
La tossicomania invece è rappresentata oltre che dalla tolleranza, da dipendenza psichica e fisica (dimostrata dall’insorgenza di fenomeni di astinenza alla sospensione del farmaco). La coesistenza di tolleranza, che obbliga ad elevare la dose per avere lo stesso effetto, e delle dipendenza, che rende difficoltoso l’allontanamento del farmaco, contribuisce a generare un’intossicazione cronica che normalmente si instaura nei tossicomani.                                       
La sindrome di astinenza si manifesta in caso di deprivazione acuta di alcune sostanze (per es. morfina) nei soggetti dipendenti. Le manifestazioni sintomatiche sono fondamentalmente di tipo eccitatorio, e sono da mettere in relazione ad una intensa liberazione di secondi messaggeri  (cAMP) precedentemente tenuti sono controllo inibitorio dalla sostanza utilizzata.     

  1. Intolleranza ai farmaci

 

La maggior parte degli individui di una popolazione rispondono ad un trattamento farmacologico in maniera relativamente prevedibile. In alcuni casi le risposte possono essere inaspettate, ciò può dipendere sia da fattori genetici che immunologici, in questo caso si verifica il fenomeno di “intolleranza al farmaco”. L’intolleranza, in maniera alquanto semplicistica, la si può distinguere in allergia ed idiosincrasia.
La farmacoallergia è una reazione anomala ai farmaci, che riconosce alla propria origine un esaltato e deviato coinvolgimento del sistema immunitario. Pur non entrando nel dettaglio del fenomeno allergico, è bene puntualizzare che la reazione allergica ad un  composto chimico (farmaco) si verifica in seguito a preventiva sensibilizzazione dell’individuo a tale composto. Tale reazione è mediata   dal sistema immunitario.
Nel caso che il farmaco sia una sostanza chimica a basso peso molecolare, esso comportandosi da aptene si lega a proteine endogene e forma dei complessi antigenici. Questi  inducono la formazione di anticorpi  (1 – 2 settimane); la successiva somministrazione del composto scatenerà una reazione antigene – anticorpo responsabile delle tipiche manifestazioni allergiche (responsabile principale la liberazione di istamina). Quindi il fenomeno allergico non si manifesta mai alla prima somministrazione del farmaco. La sintomatologia è dovuta all’eccessiva liberazione di sostanze endogene quali istamina, bradichinina, serotonina.       
L’idiosincrasia è un’ipersensibilità a dosi molto basse di un farmaco, la sintomatologia è uguale a quella che si  manifesta, in un soggetto sano, susseguentemente a somministrazioni di alti dosaggi di quel determinato farmaco. Per esempio la succinilcolina (composto impiegato come coadiuvante dell’anestesia generale, che determina la paralisi della muscolatura scheletrica) nel soggetto normale espleta un’azione della durata di pochi minuti, nel soggetto idisincrasico questo farmaco viene metabolizzato molto più lentamente e quindi la paralisi dura molto più a lungo (diverse decine di minuti). Al contrario del fenomeno allergico l’idiosincrasia ad un farmaco si può manifestare già alla prima somministrazione e questo fenomeno è prevalentemente su base genetica.

  1. Concetto di doping

 

“Doping” è un termine inglese, correntemente utilizzato per indicare la somministrazione di un preparato allo scopo, sleale e spesso illusorio, di esaltare la prestazione di un atleta o di un animale in confronti agonistici. Nel caso di animali l’azione fraudolenta può essere al contrario volta ad incapacitarli.    

  1. Analisi antidoping

 

Negli ultimi anni le tecniche analitiche miranti a rilevare la presenza di farmaci in prelievi biologici, per identificarli  e dosarli con precisione,  hanno fatto notevoli progressi. La maggior parte di queste tecniche sono molto costose poiché per la loro complessità e precisione necessitano di costosi macchinari. Perciò le analisi antidoping consistono, in  primo luogo e  in massima parte, in test di “screening” adatti a fornire una rapida , anche se approssimativa, risposta circa la presenza o meno nel campione di una delle sostanze dichiarate illecite nello sport. Successivamente vengono effettuati accertamenti mediante metodi di conferma, generalmente solo sui campioni risultati positivi allo “screening”. Le tecniche maggiormente utilizzate sono: tecniche cromatografiche, spettrometria di massa ed immunochimiche.
Sulla base della sostanza ricercata  possono venire prelevati diversi materiali,  quali:
aria espirata, sangue o urina.         
Il campione biologico più frequentemente utilizzato è l’urina. Essa deve essere emessa, dal soggetto esaminato, in presenza di un fiduciario dell’ente responsabile del controllo (ciò per eliminare o comunque ridurre  al minimo possibili manipolazioni miranti a vanificare il controllo). Il soggetto che si aspetta di essere sottoposto ad un controllo antidoping può cercare di vanificare questi controlli ricorrendo all’assunzione di sostanze come diuretici (per diluire le urine) o probenecid (un uricosurico che può ritardare l’eliminazione del farmaco assunto e di cui si voglia nascondere la presenza). Una volta prelevato il campione esso viene suddiviso in aliquote che saranno utilizzate per procedere ai vari tipi di analisi, un’aliquota non viene immediatamente utilizzata e rimane in custodia per eventuali ripetizioni dell’analisi.
Requisiti importanti per un test analitico affidabile sono: la sensibilità e la specificità del test in esame, nel caso del test antidoping a questi due importanti parametri bisogna associare anche la necessità di un rapido esame anche per un numero elevato di soggetti esaminati.  
Tanto più il metodo di analisi è sensibile, tanto più piccola è la concentrazione di sostanza che si può evidenziare, è inoltre  possibile verificare la presenza di una sostanza proibita anche a distanza di tempo dalla sua assunzione (qualche settimana). Questo riveste una notevole importanza nel caso di test antidoping miranti ad evidenziare l’assunzione di farmaci anabolizzanti durante il periodo di allenamento, per poi sospenderne la somministrazione alcuni giorni prima della competizione.
Fino al 1980 i test antidoping erano di tipo qualitativo, capaci quindi di determinare la presenza nel campione di una sostanza proibita indipendentemente dalla sua quantità.  Successivamente alla messa al bando di sostanze fisiologicamente presenti nel nostro organismo (per es. testosterone) o che possono essere assunte in moderate quantità (caffeina)  è stato necessario l’adozione, per alcune di  esse, di criteri quantitativi.        

 

FARMCOLOGIA  SPECIALE

-  Fattori nutrizionali o metabolici 

Una buona prestazione atletica è il risultato di molti fattori, oltre ad un adeguato allenamento, svolge un ruolo non secondario una corretta alimentazione. Delle buone abitudini alimentari oltre a tornare utili nello sport garantiscono un buono stato di salute.  Le sostanze che ingeriamo con l’alimentazione  forniscono energia (carboidrati, proteine, grassi), aminoacidi essenziali, minerali, vitamine.

  1. Vitamine e minerali

 

Nella maggior parte dei casi le vitamine vengono ingerite con la dieta, infatti tranne qualche particolare caso (vitamina D) il nostro organismo non è capace di sintetizzare vitamine.
Generalmente le vitamine possono essere suddivise in idrosolubili (complesso B e acido ascorbico) e liposolubili (vitamine A, E, K)
Secondo una recente statistica tra il 35% e il 50% della popolazione adulta americana fa uso quotidiano di supplementi vitaminici, i bambini , gli anziani e gli adulti che svolgono attività fisica sono i maggiori consumatori di vitamine.
Le vitamine, coenzimi di molte reazioni cellulari, sono determinanti per molti processi metabolici.
Alcune di esse  svolgono, per esempio,  un ruolo importante nel metabolismo  dei globuli rossi. Un utilizzo terapeutico della vitamina B6 è nel trattamento della anemia sideroblastica ( qundo non è presente una risposta significativa al trattamento con acido folico, ferro o vitamina B12). Questo effetto sulla produzione e protezione dei globuli rossi suggerisce che la  B6 sia in grado di  influenzare la prestazione atletica.
Una carenza di vitamina C può portare allo scorbuto,  caratterizzato da ferite che non cicatrizzano e da rottura di capillari che possono portare alla formazione di ecchimosi.
La vitamina C  può essere correlata  all’attività sportiva poiché  partecipa alla biosintesi del collagene, della carnitina e di alcuni neurotrasmettitori.
L’esercizio fisico può influenzare le concentrazioni di alcune vitamine (per es. riboflavina), cosi’ come può modificare il metabolismo della vitamina B6,  non vi sono comunque evidenze significative che l’integrazione di vitamine migliori le prestazioni sportive in soggetti che si trovino in condizioni nutrizionali adeguate.
Occorre ricordare che le vitamine idrosolubili non vengono immagazzinate nel nostro organismo e che la dose in eccesso viene eliminata con le urine. Inoltre è sempre da tenere in considerazione che un eccessivo consumo giornaliero di vitamine (Vitamina C, vitamina B6, B12 etc.)  può portare ad effetti indesiderati (debolezza ed affaticamento muscolare, nausea, dermatosi etc.)      

- Carnitina

La carnitina viene sintetizzata dal nostro organismo a partire da due amminoacidi: lisina e metionina. Il suo maggior utilizzo nell’ambito sportivo si verificò intorno agli anni 70 in occasione della sua sistematica utilizzazione da parte dei componenti della squadra nazionale di calcio italiana      
La carnitina, direttamente o indirettamente, svolge varie funzioni metaboliche nel nostro organismo; un’attività molto importante è quella di favorire il passaggio degli acidi grassi a catena lunga all’interno dei mitocondri dove essi vengono “bruciati” fornendo energia.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali indesiderati, alcuni studi suggeriscono che la carnitina è ben tollerata quando è somministrata, anche a dosaggi sostenuti ma per periodi brevi; nulla si conosce per quanto riguarda gli effetti di somministrazioni  prolungate nel tempo.

- Eritropoietina

La quantità di globuli rossi in circolo è costantemente regolata in modo da svolgere in maniera ottimale la sua funzione che è quella di trasportare ossigeno. Diversi sono i fattori coinvolti per garantire un regolare funzionamento del sistema; tra questi un ruolo di una certa importanza lo svolge il rene che invia messaggi continui al midollo spinale. Tali messaggi sono mediati dalla eritropoietina.
L’eritropoietina è un fattore di crescita sintetizzato dalle cellule adiacenti ai tubuli renali prossimali in risposta  a segnali provenienti da un “sensore” per l’ossigeno posto a livello del rene, ha la funzione di stimolare la produzione di globuli rossi.
Il razionale che induce alcuni atleti (per es. ciclisti) ad utilizzare questi composti è dato dal presupposto che un aumento dei globuli rossi possa determinare un aumento della concentrazione di emoglobina nel sangue e, di conseguenza, del contenuto arterioso di ossigeno e del suo trasporto nel circolo sistemico. Aumenterebbe cosi’ la disponibilità di ossigeno per il lavoro muscolare e si avrebbe di conseguenza un miglioramento della prestazione sportiva.            
Intorno agli anni 80 è stato possibile identificare il gene responsabile della sintesi della eritropoietina ed in seguito grazie a studi  di ingegneria genetica è stato possibile creare l’eritropoietina  ricombinante o epoietina.
L’epoietina stimola la proliferazione e la differenziazione delle cellule del midollo spinale con aumento della concentrazione di globuli rossi e quindi di emoglobina.
Gli effetti collaterali  indesiderati sono a carico del sistema cardiocircolatorio (ipertensione, insufficienza cardiaca etc.).  
L’eritropoietina si  somministra prevalentemente  per via endovenosa o sottocutanea.    
Recentemente è stata immessa in commercio la darbepoetina, molecola che sembra, da un punto di vista clinico,  avere la stessa efficacia dell’epoetina nella produzione di eritrociti, essa può essere somministrata meno frequentemente.

- Alcalinizzanti

E’ noto che uno sforzo fisico protratto determina un accumulo di acido lattico nei muscoli che impedisce la continuazione di una prestazione muscolare massimale. Quindi questa acidità è un fattore limitante per alcune specialità sportive veloci. Alla luce di ciò è intuitivo che alcuni  atleti cerchino di neutralizzare questa acidità ricorrendo a sostanze alcalinizzanti.
Il lavoro dei muscoli presuppone disponibilità e dispendio di energia. In maniera molto schematica possiamo affermare che il nostro organismo può produrre energia attraverso diversi meccanismi.
Tutti i movimenti dipendono dalla sintesi e dallo sfruttamento dell’adenosintrifosfato (ATP), una molecola che immagazzina energia costituita da una base azotata (l’adenina), uno zucchero (il ribosio) e tre gruppi fosfato. La rottura del legame fra due gruppi fosfato libera energia per la contrazione muscolare ed altre reazioni cellulari.
Per prestazioni intense ma non eccedenti i 5 secondi (calciare un pallone, lanciatori, saltatori etc.) la fonte di più rapido rifornimento di ATP è la fosfocreatina, molecola energetica contenente gruppi fosfato. L’energia liberata dalla degradazione della fosfocreatina viene sfruttata per sintetizzare ATP. Quando le scorte di questa molecola si esauriscono, l’organismo deve affidarsi ad altri due processi di sintesi dell’ATP, uno dei quali non richiede ossigeno (anaerobico) mentre l’altro lo richiede (aerobico).
Il processo anaerobico è quello della glicolisi, ed è di solito il primo ad instaurarsi. Le cellule degradano specifici carboidrati (glucosio, o nei muscoli glicogeno) per liberare l’energia necessaria alla sintesi dell’ATP. Questo metabolismo anaerobico dei carboidrati può provocare, nel giro di un paio di minuti, la formazione di acido lattico nei muscoli (e ben presto anche nel sangue). Questo composto e gli ioni idrogeno ad esso associati causano violenti crampi muscolari.
Il processo aerobico consiste nella degradazione di carboidrati, lipidi e proteine in presenza di ossigeno.                    
Gli atleti che fanno uso di sostanze alcalinizzanti ritengono che esse sono in grado di consentire un maggior tamponamento dell’acido lattico muscolare e quindi un prolungamento nei  tempi di sforzo muscolare. E’ invece più probabile  che le sostanze alcaline aiutino il sangue a tamponare meglio  l’acido l’attico che si produce nei muscoli e che può essere quindi  eliminato più rapidamente.
Vale la pena ricordare che dosi eccessive di tali sostanze possono determinare variazioni dl pH sia nel sangue che nell'urina (ciò potrebbe ritardare l’eliminazione di sostanze quali le amfetamine) e variazioni pressorie. 

- Steroidi anabolizzanti

Queste sostanze stimolano la sintesi delle proteine e l’ossidazione dei grassi; associate ad allenamento e ad una dieta adeguata, producono un aumento della massa muscolare e la riduzione del tessuto lipidico.
Queste sono le caratteristiche positive degli anabolizzanti naturali o sintetici; caratteristiche per le quali vengono impiegati da decenni nella cura di pazienti con deficit ormonali e malattie fortemente debilitanti. Ma già a partire dagli anni 40, nell’ambiente dello sport  professionistico atleti con pochi scrupoli abusano di queste sostanze per migliorare in maniera fraudolenta il proprio rendimento, a costo di pesanti effetti collaterali.        
Intorno agli anni 50 alcuni atleti di alcune squadre olimpiche iniziarono a far uso di testosterone, ormone sessuale maschile. Purtroppo questo ormone oltre all’azione anabolizzante provoca pesanti effetti androgeni, infatti si ha un’accentuazione dei caratteri sessuali maschili. Ciò risulta particolarmente evidente sul fisico delle atlete, che mostrano infatti  una diminuzione delle dimensioni del seno, alterazioni del ciclo mestruale, cambiamenti del tono della voce, peluria etc.
I farmaci anabolizzanti furono ottenuti in seguito come derivati sintetici del testosterone con il preciso scopo di ridurre gli effetti androgeni dell’ormone ed esaltarne gli effetti anabolizzanti.
Comunque, si può affermare che mentre i composti classificati come androgeni sono dotati anche di marcato potere anabolizzante, quelli presentati come anabolizzanti non sono  completamente privi di effetti virilizzanti.
Come precedentemente affermato, l’azione anabolizzante consiste nello stimolo della sintesi delle proteine di alcuni tessuti ed in particolare dei muscoli. Si ritiene che queste sostanze abbiano maggior efficacia nelle atlete piuttosto che negli atleti.
Bisogna tenere presente che gli androgeni favoriscono la formazione di globuli rossi nel sangue. La minor concentrazione di globuli rossi nel sangue della donna viene messa in relazione alla minor concentrazione di testosterone. Quindi le atlete con la somministrazione di androgeni anabolizzanti  aumentano la concentrazione di globuli rossi, ottenendo cosi’ una maggior capacità di trasporto di ossigeno nel sangue e quindi un  miglioramento della prestazione sportiva.           
L’ormone naturale testosterone non si somministra per via orale, poichè esso viene trasformato in prodotti inattivi prima di entrare in circolo. Comunque oggi sono presenti in commercio dei prodotti sintetici che possono essere somministrati anche per via orale (metiltestosterone).
Per quanto riguarda la formulazione iniettabile, sia nel caso dei derivati del testosterone (testosterone, testosterone cipionato, testosterone enantato etc.) che dei prodotti sintetici (nandrolone  decanoato, nandrolone fenpropionato etc.) si utilizzano generalmente esteri liposolubili iniettabili in soluzione oleosa. Questa formulazione rende l’assorbimento lento e prolungato (alcuni preparati anche se somministrati una volta al mese mantengono delle concentrazioni plasmatiche efficaci per tutto il periodo).       
Comunque questi preparati liposolubili espongono gli atleti a rischio di positività ai controlli analitici per un periodo più lungo rispetto ai preparati idrosolubili, la cui presenza può essere evidenziata fino a circa due settimane dall’ultima somministrazione.
Le dosi di androgeni anabolizzanti utilizzate per ottenere risultati nell’attività sportiva debbono essere largamente più elevate (10-20 volte) di quelle massime utilizzate in una  corretta utilizzazione terapeutica.
Oltre a favorire la forza e lo sviluppo dei muscoli, alcuni atleti ricorrono agli steroidi anabolizzanti in quanto i loro muscoli si riprenderebbero più rapidamente dall’affaticamento degli allenamenti, inoltre questi farmaci aumenterebbero l’aggressività dell’atleta che si tramuterebbe in un aumentato spirito agonistico durante la competizione.
Ritengo opportuno riportare alcuni effetti collaterali indesiderati che si sono statisticamente riscontrati nella popolazione sportiva dedita al continuo utilizzo di queste sostanze: infarto del miocardio, ictus cerebrale, trombosi, tumori al rene, alla prostata e al fegato etc.   
Attualmente i test antidoping maggiormente utilizzati per evidenziare l’utilizzo di questi composti sono la gas-cromatografia e la spettrometria di massa.
Poiché il  testosterone è un  prodotto naturale che si trova normalmente nelle urine anche quando non vi è assunzione di sostanze proibite, ci si serve di un  metabolita dell’ormone per poter evidenziare la possibile assunzione di sostanze proibite. Il metabolita in questione è l’epitestosterone, una quantità di testosterone superiore di 6 volte rispetto al suo metabolita (epitestosterone) è indice di assunzione di testosterone di origine  esogena (positività all’antidoping).     

-   Ormone della crescita

L’ormone della crescita o somatotropo (Growth Hormone – GH) ha suscitato l’interesse del mondo sportivo poiché esso viene utilizzato, in alternativa agli anabolizzanti, allo scopo di incrementare lo sviluppo muscolare. Il GH stimola la formazione di proteine dagli amminoacidi.    
Fisiologicamente questo ormone stimola la crescita di quasi tutti gli organi e tessuti. Una diminuzione della concentrazione di glucosio determina un aumento della secrezione di GH, un’altra potente stimolazione della  secrezione di GH la si può ottenere dagli amminoacidi, sia da quelli somministrati allo stato puro, sia dagli amminoacidi ottenuti da un pasto ricco in proteine. Tra gli amminoacidi l’arginina è il più efficace, ma altri come: tirosina, glicina, ornitina etc. possono essere attivi.
Il GH interviene nel metabolismo utilizzando  i grassi come principale fonte di energia dello organismo e risparmiando gli zuccheri, contrariamente all’insulina che favorisce invece l’utilizzazione di quest’ultimi e la loro conversione in acidi grassi. La secrezione di GH può essere incrementata da sostanze alternative tra le quali ricordiamo la vasopressina, la clonidina, etc. L’utilizzo prolungato di GH può determinare, fra l’altro, diabete, artrite, miopatie.

  1. Amfetamine

 

La stimolazione del  sistema simpatico determina  un quadro fisiologico che ricalca quello di un soggetto che si prepara alla lotta e alla difesa, cioè: dilatazione delle pupille, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa al fine di portare più sangue agli organi, bronco-dilatazione. In linea di massima possiamo affermare che il simpatico si attiva in risposta a stimoli fisiologici (sforzo fisico, emozioni, etc.) mediante la liberazione di catecolamine.
La somministrazione di alcune  sostanze chimiche e/o farmaci può interferire sulla risposta fisiologica del simpatico centrale o periferico. I meccanismi di azione di tale interferenza sono molteplici, ricordiamo:
- aumento della sintesi di catecolamine,
- aumento della loro  liberazione dai  depositi,
- aumento del tempo di contatto tra neurotrasmettitore ed il suo recettore,
- inibizione degli enzimi preposti alla degradazione dei neurotrasmettitori                         
Tra le sostanze capaci di incrementare l’attivazione del simpatico e che hanno avuto un qualche utilizzo clinico ricordiamo le amfetamie, la cocaina e la caffeina.
L’amfetamina, il cui utilizzo clinico negli ultimi anni  è  notevolmente diminuito, può essere utilizzata nel  controllo dei sintomi della fame, nel  controllo dell’ipercinesia del bambino, nella narcolessia e nel prevenire la fatica in soggetti con prestazioni psicofisiche deteriorate  
Il meccanismo di azione delle amfetamine nel loro utilizzo terapeutico è multiplo:

  1. aumento della liberazione di catecolamine
  2. inibizione dei meccanismi responsabili della loro degradazione
  3. inibizione della loro ricaptazione
  4. blanda azione stimolante, diretta,  del recettore

L’utilizzo di questa sostanza nel mondo della sport è registrata già alla fine degli anni 50, infatti in occasione di una gara ciclistica si verificò la morte di un ciclista dovuta ad intossicazione da amfetamina. Negli anni successivi grandi campioni del ciclismo hanno fatto uso, più o meno velatamente, di tali sostanze in occasioni di grossi impegni agonisti.
L’azione ricercata dall’atleta, nella pratica sportiva, si può  racchiudere in un generico “aumento della prestazione”. Essa comporta  prevalentemente un’interferenza a livello psicologico, infatti vi è un incremento dell’euforia, dell’autostima, della concentrazione. Comunque questi farmaci possono anche determinare  una migliore resistenza alla fatica fisica (prolungamento della prestazione muscolare alla dose di 20-40 mg).     
Le amine simpaticomimetiche, quali le amfetamine, si eliminano per via urinaria, ed è su tali campioni di urine che si espletano le analisi  antidoping. E’ noto che questa eliminazione può essere ridotta o addirittura annullata se si assumono sostanze alcaline capaci di variare il pH urinario (un pH superiore ad 8 blocca l’eliminazione urinaria delle amfetamine).
Alcuni atleti hanno cercato di eludere i controlli antidoping assumendo le amfetamine con diuretici alcalinizzanti (acetazolamide); per tale motivo è stato suggerito l’inserimento nell’elenco delle sostanze proibite anche di questo diuretico. Comunque un pH urinario superiore ad 8, riscontrato in un test antidoping alla fine di una gara,  è di per se indice di doping (considerando che il pH  fisiologico dell’urina  è circa 5 e tende a scendere dopo uno sforzo fisico) .    

 

  1. Efedrina e fenilpropanolamina

Questi due farmaci, insieme alla caffeina di cui parleremo in seguito,  trovarono utilizzo nel mondo dello sport in sostituzione dell’amfetamina, susseguentemente alle molte restrizioni che furono imposte per tutti quei prodotti contenenti amfetamina. 
Il loro utilizzo clinico è da attribuire alla loro attività terapeutica nel raffreddore e nella influenza (attività broncodilatante per l’efedrina, decongestionante nasale per la fenilpropanolamina). La associazione efedrina-fenilpropanolamina-caffeina fu utilizzata, da molti atleti, come sostitutivo dell’amfetamina.
Queste due sostanze agiscono incrementando il rilascio di catecolamine dai loro depositi,  possono essere definiti dei simpaticomimetici indiretti  poiché non agiscono direttamente sul recettore specifico. Sono dei farmaci con minor effetto psicostomolante rispetto all’amfetamina in quanto hanno minor capacità di penetrazione nel sistema nervoso centrale (sono meno liposolubili). Non tutti sono d’accordo sulla reale capacità di questi farmaci nel determinare un significativo miglioramento della prestazione sportiva. Anche esse sono delle sostanze proibite agli atleti.

-   Caffeina

Per quanto concerne l’utilizzo di questo stimolante centrale, che può modificare le prestazioni sportive di un atleta, il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) anziché utilizzare il criterio qualitativo (presenza di sostanze nel campione in esame) ha ritenuto opportuno utilizzare un criterio quantitativo, ciò riflette la diffusione e la legalità dell’utilizzo della caffeina nella nostra società.
La caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale che  aumenta la vigilanza e l’attenzione, riduce la fatica ed il tempo di reazione della risposta motoria. Essa interferisce sulla circolazione sanguigna cerebrale, viscerale e renale; inoltre aumenta la secrezione gastrica sia acida che peptica.     
Gli atleti che ricorrono a somministrazioni di  caffeina ricercano  un miglioramento della loro prestazione sportiva che è da mettere in relazione alla sua attività stimolante a  livello del SNC.
Studi sperimentali (su animali) e clinici (atleti) dimostrano che la caffeina permette di compiere uno sforzo più prolungato,  effetto questo che  si correla alla capacità della sostanza di aumentare la lipolisi, quindi la quantità di  acidi grassi ed energia, permettendo un  prolungamento dello sforzo. 
Un campione di urine in cui viene trovata una concentrazione di caffeina superiore a 12 µg/ml è considerato un test antidoping positivo, al di sotto di tale concentrazione l’atleta non commette nessun tentativo di doping.

-   Cocaina

Pur essendo questa sostanza un potente stimolante, il suo utilizzo per migliorare prestazioni sportive è del tutto inadatto. Infatti l’effetto stimolante di questo farmaco è molto rapido e di breve durata e quindi di scarsa utilità in prestazioni atletiche di una certa durata. Il suo utilizzo in clinica è molto limitato (anestesia locale in otorinolaringoiatria).
Per quanto riguarda il suo utilizzo nel mondo dello sport, come già detto, è del tutto inadatto, anzi molte evidenze suggeriscono che questa sostanza è contoproducente nella pratica sportiva.
Il riscontro di cocaina nell’urina  di un atleta sottoposto al test antidoping deve far pensare più a una forma di tossicodipendenza piuttosto che ad un tentativo di migliorare le prestazioni sportive. L’utilizzo costante di cocaina può determinare ischemia ed infarto del miocardio.     
Gli effetti caratteristici della cocaina consistono nella diminuzione della percezione della fatica, nell’aumento dell’attività fisica (movimento accelerato e spesso non coordinato). La distorsione del senso del tempo (atleti che si presentano agli allenamenti troppo tardi o troppo presto) aumento della litigiosità (con avversari o compagni di squadra) sono dei segnali che possono suggerire ad un allenatore attento l’utilizzo di cocaina da parte di un atleta.
L’eliminazione urinaria di cocaina può essere ritardata da un pH superiore a 8 ed accelerata da un pH  acido.

-   ß-Bloccanti

Questi farmaci sono considerati genericamente dei farmaci cardiovascolari. Il loro utilizzo terapeutico è ampio, vengono infatti utilizzati in clinica come  antiipertensivi,  antiaritmici e nella terapia dell’infarto.
E’ stato suggerito che la stimolazione continua del simpatico può determinare, a livello cardiovascolare, modifiche fisiologiche simili a quelle ottenibili attraverso un adeguato allenamento. I ß-bloccanti adrenergici impediscono questi cambiamenti indotti dall’allenamento. 
I ß-bloccanti  adrenergici, come già detto, controllano l’innalzamento patologico della pressione arteriosa ed il ritmo cardiaco, inoltre consentono una maggiore resistenza allo sforzo ai pazienti (cardiopatici) per i quali essi sono indicati, proteggendoli  da reazioni pericolose, a volte fatali, conseguenti ad un incauto sforzo fisico ( secondo infarto).
L’utilizzo di questi farmaci ai fini di doping interessa solo alcune specialità sportive (di tiro al bersaglio). 
Un individuo che si appresta ad un’esibizione pubblica è soggetto ad un’elevata tensione emozionale, che determina un aumento della frequenza cardiaca (palpitazioni), del tono muscolare, del tremore, nervosismo etc. L’azione che si vuole ottenere nell’ambito sportivo dall’utilizzo di questi farmaci è sostanzialmente quella di ovviare agli inconvenienti su esposti (tremori, nervosismo).
Alcuni effetti collaterali indesiderati dei ß-bloccanti sono a carico del cuore, inoltre sono dei farmaci che possono scatenare crisi d’asma.

-    Diuretici

I controlli antidoping sono sempre più frequenti ed il continuo miglioramento delle tecniche analitiche porta  sempre più spesso alla scoperta di atleti che ricorrono alla somministrazione di sostanze proibite per migliorare le proprie prestazioni sportive.
Nonostante le sanzioni applicate  dagli organi competenti diventino sempre più severe, alcuni atleti anziché eliminare la somministrazione di sostanze proibite, ricorrono alla somministrazione di altri farmaci per cercare di mascherare l’eliminazione urinaria di composti banditi.
I diuretici vengono utilizzati per diluire le concentrazioni urinarie di farmaci  proibiti, alcuni studi suggeriscono che i più utilizzati sono i diuretici dell’ansa (furosemide), ciò è dovuto alla loro rapidità nella risposta e la loro breve durata, comunque  la presenza anche di altri diuretici è stata evidenziata nelle urine di molti atleti.  L’acetazolamide è un diuretico inibitore dell’anidrasi carbonica capace di rendere le urine alcaline, ciò può ridurre o addirittura sopprimere l’eliminazione di sostanze come l’amfetamina.      
Diversi sono gli effetti collaterali indesiderati dei diuretici, quello che si manifesta più frequentemente è la  ipokaliemia.

  1. Uricosurici

 

Questi sono farmaci che in clinica vengono utilizzati per aumentare l’eliminazione urinaria di acido urico, prodotto finale del metabolismo delle basi puriniche nell’uomo.
Nello sport il loro utilizzo è dovuto alla loro capacità di ridurre la secrezione renale degli steroidi anabolizzanti, quindi con questi farmaci  l’atleta  non migliora le sue prestazioni ma cerca di mascherare l’assunzione di sostanze proibite.          
Un rappresentante di questa famiglia di farmaci è il Probenecid,  esso agendo a livello renale (sul sistema di trasporto) è in grado di interferire con la secrezione di alcuni farmaci (antibiotici ß-lattamici) rallentandone l’eliminazione e quindi prolungandone l’effetto (utilizzo terapeutico). Anche il loro utilizzo nello sport sfrutta  lo stesso meccanismo, infatti come già detto esso è capace di rallentare l’eliminazione di sostanze proibite (steroidi anabolizzanti) mascherando la loro presenza nelle urine. 

  1. Antiinfiammatori

 

Questi farmaci sono di frequente utilizzo nel mondo dello sport, ma non vi sono elementi che indichino il loro utilizzo a fini di doping.
Essi si possono distinguere in antiinfiammatori non steroidei (FANS) e steroidei (cortisonici)  L’utilizzo di questi farmaci (FANS) in clinica è molto ampio, essi possono essere utilizzati nelle infiammazioni, nei dolori di lieve o media intensità, per abbassare gli stati febbrili (antipiretici) e come antiaggreganti piastrinici, 
Il loro meccanismo di azione riguarda l’inibizione della sintesi delle prostaglandine inibendo  la ciclossigenasi. Rimandando su un qualunque testo di farmacologia per quanto riguarda altri possibili applicazioni cliniche, e alcuni effetti collaterali indesiderati, qui’ riportiamo alcuni risultati di alcuni studi effettuati su atleti.
Uno studio condotto su settanta atleti sofferenti di affezioni ortopediche superficiali da eccessivo esercizio, quali borsiti, tendiniti etc, ha suggerito che l’applicazione locale di indometacina (FANS)
è di utilità e complessivamente è da preferire alla somministrazione sistemica (poiché la somministrazione sistemica da origine a maggiori effetti collaterali). Sono però da riportare alcune perplessità evidenziate da alcuni autori riguardanti i possibili esiti negativi, a lungo termine, del ricorso continuo a questi farmaci, secondo il loro punto di vista questi farmaci pur se apportatori di sollievo,  potrebbero interferire con i normali processi riparativi. Ciò è dovuto alla inibizione della sintesi di prostaglandine.         
Per quanto riguarda i cortisonici si può affermare che sono composti naturali e sintetici con le caratteristiche prevalenti di alcuni ormoni della corteccia surrenale.
La corteccia surrenalica sintetizza due tipi di ormoni: glucocorticoidi e mineralcorticoidi. 
I glucocorticoidi devono il loro nome alla potente azione che esercitano sul metabolismo dei carboidrati,  stimolano la formazione di glucosio favorendone l’accumulo in forma di deposito nel fegato. Poiché questa aumentata  formazione di glucosio avviene con l’utilizzo di amminoacidi, costituenti delle proteine, chiaramente il continuo utilizzo di questi composti può determinare un impoverimento della struttura del nostro organismo con ipotrofia dei muscoli scheletrici ed osteoporosi.
La principale azione dei mineralcorticoidi è quella di determinare ritenzione di sodio. Per quanto riguarda l’utilizzo terapeutico di questi composti si può far riferimento ad un qualunque testo di farmacologia.
L’utilizzo dei cortisonici nello sport è da mettere in relazione alla loro capacità di stimolare il Sistema Nervoso Centrale che determina buonumore e sollievo sintomatico. Per questa loro attività stimolante il CIO proibisce  l’utilizzo di questi farmaci. Il loro uso è consentito solamente per applicazioni locali, inalatorie e intrarticolari, ma previa comunicazione scritta dal medico della squadra di appartenenza alla commissione medica preposta al controllo.  

 -   Analgesici narcotici

Gli analgesici narcotici, analoghi naturali e sintetici della morfina e di altri alcaloidi dell’oppio,  sono i farmaci più efficaci per lenire il dolore.  
Questi farmaci  (per es. morfina) per poter essere efficaci devono raggiungere il Sistema Nervoso Centrale, in questa sede essi potenziano le facoltà di sopportare il dolore, riducendo anche l’ansia che di norma accompagna la sintomatologia dolorosa. Questi farmaci oltre che a livello centrale agiscono pure a livello gastrico (attività antidiarroica)  
Gli analgesici narcotici alleviano la  sintomatologia dolorosa sia elevando la soglia del dolore, sia alterando la sua interpretazione; essi agiscono interferendo con dei specifici recettori (µ , k  etc.).
Per quanto riguarda il possibile impiego di questi farmaci nello sport è da escludere l’idea di un loro utilizzo per ricavarne dei vantaggi agonistici poiché essi sono piuttosto propensi a deprimere le capacità psicofisiche di un individuo normale. Essi comunque sono stati  proibiti dagli enti di controllo, seguendo le disposizioni di legge delle autorità nazionali internazionali per la loro notevole capacità di portare a  tolleranza e dipendenza.       

    

  1. Anestetici locali

 

Gli anestetici locali producono temporanea insensibilità delle parti dell’organismo alla cui percezione provvedono le fibre nervose da essi rese incapaci di condurre gli impulsi in seguito ad applicazione diretta. L’incapacità di condurre questi impulsi è dovuta alla inibizione dei canali del sodio della membrana della fibra  nervosa. Le preparazioni di anestetici locali spesso contengono una sostanza vasocostrittrice (adrenalina), che  ha lo scopo di prolungare l’effetto dell’anestetico locale.
L’utilizzo degli anestetici locali da parte dei professionisti di certi sport sembra essere molto frequente; comunque il loro impiego  è consentito. Anche la cocaina è un anestetico locale ma il suo impiego è proibito, come discusso precedentemente.


Fonte:    http://www3.unict.it/fmed/didattica/sc/sc4.doc

 

 

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