Hegel riassunto

 

 

 

Hegel riassunto

 

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Hegel riassunto

 

Hegel

Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Di modesta famiglia protestante, dopo gli studi nello Stift di Tubinga, con Hoelderlin e Shelling, più giovane di lui di 5 anni, completa la sua formazione a Berna ed a Francoforte, dove vivrà facendo il precettore. All’iniziale entusiasmo per la rivoluzione francese, celebrata con l’amico Hoelderlin piantando l’albero della libertà nel parco dello stift, subentrò la delusione per gli esiti infausti della rivoluzione. Come studioso si occuperà di Kant, di Fichte e Spinoza. Nel periodo di Tubinga ed in quelli di Berna e Francoforte prevalgono in lui gli interessi religiosi,  non disgiunti da quelli politici.  Hegel aveva ricevuto una profonda educazione religiosa ed aveva letto con interesse i progetti di riforma politica contenuti negli scritti di Rousseau e Lessing e non va dimenticato che in Germania, centro della riforma protestante, la questione religiosa non era mai separata da quella politica. Negli scritti della maturità invece prevarrà l’interesse storico-politico. Fu professore a Jena, ad Heidelberg, dove compose i suoi scritti più sistematici, ed a Berlino. Serio, taciturno, lontano dal modo affascinante di Schelling di interpretare il ruolo del “genio” romantico, Hegel pervenne lentamente alla costruzione del suo immenso sistema filosofico che fu in grado di influenzare la filosofia in modo definitivo, al pari di quello d’Aristotele o di Kant. I suoi scritti più importanti sono La fenomenologia dello Spirito (1807), nella cui prefazione prendeva le distanze dalla dottrina di Schelling, La scienza della Logica (1812-1816) e L’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio ( 1817) che è la sua opera più sistematica. A Berlino pubblicò i Lineamenti di filosofia del diritto ossia diritto naturale e scienza dello stato(1821). Morì in questa città per un’infezione di colera.

Nonostante la fama di svevo inesorabile e caparbio, dall’incredibile capacità d’astrazione e complessità concettuale, Hegel fu una persona dotata di profonda spiritualità, di umanità e concrete esperienze di vita. Soprattutto gli interessi religiosi, che caratterizzarono la sua gioventù, mostrano una grande capacità di amore e comprensione per il mondo umano.

 

I. Gli scritti giovanili (1793-1800).
I suoi scritti giovanili, scoperti e riproposti soltanto di recente, hanno dato nuova linfa agli studi hegeliani, in quanto hanno mostrato che egli maturò i propri concetti confrontandosi direttamente con l’Illuminismo e con la tradizione cristiana.
Gli scritti giovanili più importanti sono: Positività della religione cristiana (= Gesù era il maestro di una pura religione morale, i suoi discepoli trasformarono questa morale in una religione “positiva”, codificata, fondata su dogmi, istituzioni e precetti fino a farne una religione pubblica nelle cui leggi esteriori sarebbe naufragato il profondo messaggio interiore del maestro); Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (= nell’opera giovanile più importante, pubblicata a Francoforte nel 1817, Hegel prende in considerazione le religioni, greca, ebraica e cristiana. A differenza dei Greci, che avevano un rapporto sereno con la divinità e con le sue manifestazioni naturali, il popolo ebraico entra in conflitto con il suo unico Dio e con la sua opposta manifestazione che è la natura. Dio punisce gli uomini attraverso la pioggia e, per salvarsi, l’umanità, soggiogata dal diluvio, sottoscrive un patto di sudditanza con la divinità.  In questo modo gli ebrei, orgogliosi del loro rapporto preferenziale con la divinità, scelgono di vivere in sdegnosa ostilità con gli altri uomini e con la natura. Cristo è colui che cerca di ricomporre la frattura che oppone il suo popolo a tutti gli altri ed alla divinità che lo tiene soggiogato, contrapponendo alla cieca sottomissione la forza della armonia e dell’amore, per dio e per tutti gli altri uomini. Al dio despota egli contrappone il dio padre, al concetto di rivalità con gli altri popoli contrappone il concetto di fratellanza universale. Egli morirà senza essere stato compreso, ma morirà senza risentimento: “Padre, perdonali” saranno le sue ultime parole. Gesù dunque cerca di riportare tra gli uomini quell’atmosfera di serenità e di unità con il divino e con la natura che era della Grecia antica, Non però la serenità bucolica, ingenua e fanciullesca com’era quella dei Greci, ma un unità consapevole, ricercata dopo il dolore della frattura).                          
La prima opera teoretica. Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, Fu composta a Jena, nel 1801, dove si era recato, su invito di Schelling, per iniziare la carriera accademica. In questo scritto Hegel rileva la superiorità del sistema di Schelling in quanto restituisce alla natura l’importanza negatale da Fichte (che l’aveva ridotta ad “immagine prodotta”, non a realtà esistente in sé) giungendo ad una filosofia dell’assoluta identità tra l’Io e la natura.

 

 

II. I capisaldi del sistema. Gli assunti fondamentalida ricordare.

  • Il rapporto finito/infinito. “Il Vero è l’Intero”.

Riassunto in questa formula, contenuta nella prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, vi è l’intento speculativo di Hegel (= la sua intenzione filosofica). Tale intento è quello di congiungere le opposizioni di “finito e infinito”, di “universale e particolare”, di “unità e molteplicità”, nella ferma convinzione che la realtà possa risiedere solo nella loro unità.
La realtà (= “ciò che è vero”) per Hegel non è un insieme disordinato di sostanze autonome, ma è un organismo unitario (= “l’Intero”), il quale, non avendo nulla al di fuori di sé, coincide con l’infinito (che chiama anche l’Idea, = il Razionale, = lo Spirito). “Ciò che è vero” non è il singolo componente di un Tutto, ma è soltanto il Tutto, ossia “l’Intero” ed esso è un “soggetto spirituale infinito”.
I vari enti che compongono il mondo sono detti “Ilfinito”. Sono chiamati così, però, solo impropriamente, in quantoIl finito” per Hegel tecnicamente non esiste, perché ciò che chiamiamo “finito” è soltanto l’espressione parziale dell’Infinito. Come in fisiologia si comprende la funzione di un organo soltanto contestualizzandolo in un corpo, così la filosofia può capire il contingente solo analizzandolo come parte di un tutto. * Soltanto quest’ultimo, per Hegel, è vivente. E lo è non in maniera accidentale e provvisoria, come qualunque individualità particolare (che rappresenta il finito), ma è vivente nel senso che è vivente “assoluto”, al di fuori di esso non c’è nulla e non conosce morte


* Il tutto, per Hegel è maggiore della semplice somma delle parti. Ricordiamo l’esempio fatto in classe. L’automa composto dall’insieme delle lattine di Coca cola. Una lattina sola è una cosa, se combinata con perizia tecnologica diviene parte di un organismo semovente, composto da tante lattine come quella; e così un organismo vivente è più di una semplice somma di cellule e organi. Così l’organismo statale, lo vedremo, per Hegel è più di una semplice somma di cittadini.

Quello di Hegel è un modello monistico, in senso spinoziano, ma, a differenza di Spinoza che considerava la Natura come sostanza unica e statica, Hegel concepisce lo Spirito come attività dinamica, in cui tutto ciò che esiste è una “tappa” del processo di realizzazione, che termina con la finale coscienza di sé, con l’uomo. L’Infinito, come l’Assoluto di Schelling, è un soggetto spirituale in fieri (= in divenire), che, tramite un lungo percorso di ri-co-no-sci-men-to, tende alla consapevolezza di sé. Tale percorso si sviluppa in tre “momenti”. La schematizzazione di questi tre stadi è stata utilizzata per comodità dagli storici della filosofia posteriore ad Hegel, nei termini di Tesi, Antitesi e Sintesi, termini che Hegel per la verità non ha mai utilizzato e che vedremo più avanti nel dettaglio quando analizzeremo la Dialettica.

  • Il rapporto ragione/realtà. “Ciò che è reale è razionale; ciò che è razionale è reale”.

Questo aforisma, notissimo, è contenuto nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto e riassume il senso stesso dell’Hegelismo. In questo secondo punto sono contenute tre domande chiave:
1) Che cos’è la realtà?
2) Tutto ciò che esiste è necessario o puramente fortuito? Ossia: Potrebbe ciò che esiste (che è esistito o esisterà) essere diverso da com’è (com’è stato e come sarà)?
3) Esiste il caso (l’accidentale) o il mondo è retto solo dalla necessità?
La realtà per Hegel, lo abbiamo visto, è un soggetto in divenire, che possiede una sua intrinseca intelligibilità, e che Hegel identifica soprattutto con i termini di Idea e Ragione. Ma cosa significa precisamente? à Pensiamo a tutto ciò che esiste, l’universo, le stelle, la natura, le persone, la civiltà e tutto quello che ancora non conosciamo: questo è il Reale. Ed è reale soltanto dal momento che è “tutto ciò che esiste” in sé e non dipende da altro. Tutto quello che vediamo, che è, che è stato e che deve ancora venire è un soggetto spirituale in divenire che egli identifica con la pura razionalità (Ragione) e che chiama anche l’Assoluto. Soltanto l’assoluto, il tutto, ha la sua ragione d’essere. Nessun elemento contingente ha senso e razionalità se non inserito in un contesto. Nessun evento storico, ad esempio, è razionale di per sé, ma lo è solo se è visto come tappa di una sequenza necessaria: ricordiamo che per Hegel si può capire ogni “finito” solo partendo dall’”Infinito” (* cfr. Il tutto è maggiore della somma delle parti).
La frase “Ciò che è reale è anche razionale”significa che la razionalità è la sostanza stessa di ciò che esiste, intendendo con ciò “la perfetta identità di realtà e ragione”.
Dunque, La Ragione coincide con la Realtà. Fin qui ci siamo. Ma… “La Ragione”, di cui Hegel parla, è la ragione umana? Quella che consente agli uomini di fare i calcoli o prendere decisioni, di progettare una casa, di fare le parole crociate o di ascoltare la musica? Certo, anche quella. Ma non solo. È questo il concetto più importante e complesso della filosofia di Hegel, ma anche facilmente comprensibile se lo affrontiamo per gradi.

    •  La razionalità per Hegel non è semplice prerogativa umana, non è esclusivamente la facoltà che consente all’uomo di interpretare il mondo a suo modo e di imprimergli una forma (alla maniera dell’Intelletto di Kant, cha attraverso le categorie imprime un ordine alla realtà). No. La razionalità è nell’uomo perché è anche nel mondo. L’uomo “legge” il mondo esattamente così come il mondo è. E questo perché la “sostanza” che compone l’Assoluto coincide con la ragione umana! La realtà, l’Assoluto, lo Spirito, non è una materia caotica alla quale l’essere umano imprime una regola, ma è il dispiegarsi stesso di una struttura razionale che è già razionale anche fuori dall’uomo, la quale in modo inconsapevole si manifesta nella natura ed in modo consapevole nell’uomo. (… chi aveva affermato che il logos regge il mondo?).

La realtà è ragione in movimento, un organismo in fieri che si esprime attraverso la razionalità. Quindi, la struttura della realtà è intelligibile, per l’uomo, perché tale struttura coincide esattamente con la struttura della ragione umana. Forse sarà più semplice alla luce di un confronto. Kant aveva sostenuto che la realtà ultima, la struttura in sé delle cose, il noumeno, fosse in-conoscibile all’uomo in quanto l’uomo possiede un apparato intellettivo fatto in un certo modo, capace di cogliere, della realtà, soltanto l’aspetto fenomenico. In altre parole, attraverso le categorie, l’intelletto umano interpreta la realtà in un certo modo, ma nessuno ci assicura che quello sia il vero aspetto della realtà. (Cfr. il film Matrix). Il fenomeno è soltanto quello che riusciamo a percepire della realtà. Hegel, al contrario, afferma che quel che vediamo, udiamo o percepiamo, lo vediamo, udiamo e percepiamo perché la realtà è esattamente così come ci appare, dato che anche noi siamo razionali, e la nostra ragione è la stessa ragione che dà la forma al mondo. La celebre formula di Hegel, tuttavia, non vuole esprimere solamente la possibilità che la realtà sia penetrata, o intesa, dalla ragione, ma intende affermare la necessaria, totale e sostanziale identità della realtà e della ragione.

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    • Tale sostanziale identità implica anche quella conseguente tra essere e dover essere, in quanto ciò che “è” risulta esattamente ciò che razionalmente “deve essere”. Il mondo si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono essere diversi da ciò che sono. La realtà è una totalità processuale necessaria formata da una serie ascendente di “gradi” che rappresentano ognuno il risultato di quelli precedenti ed il presupposto di quelli seguenti, non c’è spazio per la casualità. L’idea di Hegel è che tutto ciò che è reale (tutto ciò che esiste in natura e tutti gli eventi della storia umana) è di per sé razionale e quindinecessario.ð “Ciò che è reale è razionale” significa, per Hegel, soprattutto che quello che è è e-sat-ta-men-te ciò che deve essere: ogni fatto che si manifesta del mondo risponde a una legge razionale; tutto ha una sua logica, ogni cosa buona e ogni cosa cattiva, il giusto e l’ingiusto, ciò che sembra assurdo e ciò che non lo è. La razionalità permea ogni cosa ne-ces-sa-ria-men-te, ogni cosa, anche quando sembra secondaria, ha in realtà la sua ragione nel “gioco” del Tutto. Ogni cosa è quindi giustificata e trova giustificazione; vi è sempre una giustificazione per ogni evento, nulla è casuale.

c) La funzione della filosofia. “La filosofia è come la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.
L'identità assoluta della realtà con la ragione porta con sé la conseguenza che compito della filosofia sia l’occuparsi di ciò che è,  e non del dover essere. “Ciò che è” è la ragione e “intendere ciò che è” è il compito della Filosofia. Essa ha la funzione, per Hegel, di prendere atto della realtà e comprenderne le strutture razionali che la compongono. La filosofia, insomma, non deve immaginare come dovrebbe essere il mondo ma limitarsi a spiegarlo. “Rinunciare alla pretesa di plasmare la realtà e limitarsi a giustificarla razionalmente, questo il ruolo della filosofia”. Essa arriva come la nottola di Minerva, al calare della sera, ossia quando la realtà ha già compiuto il suo processo di formazione. Infatti la filosofia è l’ultima e la più alta manifestazione del dispiegarsi della razionalità nella storia umana, che supera l’arte e la religione quali tentativi di spiegare la realtà. Abbiamo detto, tutto ciò che è avvenuto non è avvenuto per caso; tutto ciò che avviene ha una profonda ragione d’essere ed il mondo non potrebbe essere diverso da come è. Appare evidente quindi, anche ad una prima sommaria lettura, che l’hegelismo può a ragione essere interpretato come “giustificazionismo”, nonostante l’interpretazione che ne volle dare il filone di pensatori, da Engels a Marcuse, che ha cercato di mostrare come la filosofia di Hegel possa venir letta anche in modo rivoluzionario o socialmente dinamico. Questo discorso sulla dinamicità della filosofia di Hegel c’introduce direttamente nel cuore del suo pensiero, la Dialettica.

 

III. La Dialettica.
“Dialettica” è il termine chiave per individuare immediatamente la filosofia di Hegel, una “regola” applicabile tanto alla realtà quanto al pensiero umano.
III. 1. La Realtà.
La Realtà, per Hegel, come per Schelling, è un divenire, ossia un farsi man mano di quell’Assoluto o Spirito che chiama Idea o Ragione, che costituisce la totalità del “reale”(come anticipato nei Capisaldi del sistema).


La nozione hegeliana di realtà è complessa: in senso proprio Reale è soltanto lo Spirito (= l’Assoluto). Solo lo Spirito esiste in sé e non dipende da altro. Lo spirito è qualcosa di più che la somma delle sue manifestazioni particolari. Infatti se consideriamo ciascun elemento individuale, ciascuna individualità componente il mondo umano e naturale, indipendentemente dal rapporto con lo spirito, ossia col tutto, abbiamo soltanto una povera cosa contingente. Qualsiasi evento o cosa individuale è reale non in sé, staccata dal resto, come un amorfo mucchio di sassi, ma è reale soltanto in relazione con il tutto. Solo questo tutto è realtà.

Tale Assoluto, o Idea, si manifesta attraverso tre momenti che Hegel indica con l’antico termine di Dialettica. In Hegel la dialettica è al contempo la legge di sviluppo della realtà e la legge di comprensione della medesima e consiste nei tre momenti della Tesi (affermazione), della Antitesi (negazione) e della Sintesi (l’unificazione comprensiva delle prime due). Quindi:

  • Tesi: (= l’Idea in sé, o Idea Pura).
  • Antitesi: (= l’Idea fuori di sé).    
  • Sintesi: (= l’Idea che ritorna in sé).

Questa è la Triade dialettica per cui è famoso Hegel, esposta nella sua Enciclopedia.
Ma cosa significa?

  • L’idea in sé, secondo il paragone di Hegel, corrisponde a “Dio prima della creazione”. O meglio al programma di sviluppo del mondo, un progetto che non è imposto dall’esterno perché è un progetto immanente (= interno) al mondo stesso.
  • L’idea fuori di sé è la Natura, l’estrinsecazione dell’Idea nella realtà spazio-temporale del mondo: è l’applicazione del programma.
  • L’Idea che ritorna in sé è lo Spirito. Lo Spirito è l’Idea (il programma) che, dopo essere uscita da sé facendosi natura (l’Antitesi), torna presso di sé con l’intelligenza dell’uomo (la Sintesi).

Ovviamente vale per Hegel il discorso fatto per Schelling, ossia che questa triade non è da intendersi in senso cronologico, come se prima ci fosse l’Idea in sé, poi la Natura e infine lo Spirito, ma in senso logico. Ciò che concretamente esiste è lo Spirito che ha come co-eterna condizione la Natura e come co-eterno presupposto il programma rappresentato dall’Idea pura.

 

Hegel applica la dottrina del divenire dialettico a qualsivoglia elemento della realtà, ogni aspetto della realtà si afferma, si nega e si supera. Quindi la trasformazioneè una legge universale (nulla n’è immune) regolata dai tre momenti. Per esistere ogni cosa deve trasformarsi, cambiare, dunque questo implica che ogni cosa debba negare se stessa, divenire l’opposto di se stessa per poi trovare una sintesi. Ogni stato della realtà, ogni essere si trova in ogni istante in una condizione contraddittoria, ciò che è si afferma attraverso la negazione, divenendo qualcos’altro. Hegel insomma condivide l’idea di Eraclito che ogni essere, esistendo, realizza un’unità di contrari.  Pensare la realtà dunque significa pensarla dialetticamente, interpretarla come una totalità processuale che procede secondo lo schema triadico di Tesi, antitesi e sintesi (e con ciò direi di avere riaffermato a sufficienza il concetto).

III. 2. Il Pensiero.
Come funziona il pensiero dell’uomo?
Anche il pensiero soggiace alla dialettica, ossia si presenta diviso in tre “aspetti”.

  • L’aspetto astratto (o intellettuale).
  • L’aspetto dialettico (o negativo-razionale).
  • L’aspetto speculativo (o positivo-razionale).

Questi tre momenti, non soltanto il secondo, compongono la dialettica e sono momenti di ogni atto logico.

  •  Il primo aspetto, quello astratto, consiste nel concepire ogni cosa, ogni determinazione, come se fosse separata dalle altre (in sé). Questo è il momento più basso del pensiero, proprio dell’Intelletto, che riesce a considerare la realtà soltanto come molteplicità di cose divise le une dalle altre e viste solo in base alle loro differenze, secondo l’antico principio “d’identità e non contraddizione” (= per cui ogni cosa è se stessa e assolutamente separata dalle altre). A questo momento corrisponde la Tesi.
  •  Il secondo aspetto è quello negativo, o propriamente dialettico, che dà il nome a tutto il procedimento. Esso mostra l’insufficienza del principio d’identità, tipico dell’Intelletto e la necessità di un suo superamento, semplicemente dimostrando come ad ogni affermazione corrisponda ne-ces-sa-ria-men-te una negazione perché per specificare ciò che una cosa è, occorre implicitamente riferirsi a ciò che essa non è (ad esempio, il concetto di uno, per essere chiarito, deve essere messo in contrapposizione a quello di molti, il concetto di finito a quello di infinito, il concetto di bene a quello di male e così via): a questo momento corrisponde l’Antitesi.
  •  Il terzo aspetto, quello positivo o speculativo, consiste nel cogliere l’unità delle opposte determinazioni, che altro non sono se non aspetti unilaterali di una realtà più ampia che li comprende e li sintetizza: a questo ultimo aspetto corrisponde la Sintesi. La sintesi è il momento più alto del pensiero razionale ed è una ri-affermazione della affermazione iniziale, potenziata tramite l’azione della negazione intermedia. Questa unificazione, questa sintesi, è da Hegel chiamata Aufhebung, termine che possiede il doppio significato di togliere e conservare.

Ai tre “momenti” dell’assoluto Hegel farà corrispondere le tre “sezioni” in cui divide il sapere filosofico.

  • La Logica (la scienza dell’Idea pura), che corrisponde alla Tesi.
  • La filosofia della Natura, che corrisponde all’Antitesi.
  • La filosofia dello Spirito, che corrisponde alla Sintesi.

 

Considerazioni finali
1) La dialettica illustra il principio fondamentale della filosofia di Hegel: la risoluzione del finito nell’infinito. Perché ci mostra come ogni spicchio di realtà, il finito, non possa esistere se non in un contesto di rapporti, in una trama di relazioni che forma il tutto infinito.
2) La dialettica esprime una concezione ottimistica del mondo perché ha il compito di unificare il molteplice conciliando le opposizioni e quindi pacificando i conflitti. Il conflitto è un momento reale del mondo, certamente, ma di passaggio: il negativo per Hegel esiste soltanto come aspetto necessario della successiva unificazione, la quale dà luogo ad una nuova affermazione ed ad una nuova negazione che richiede un’ulteriore sintesi e così via.
3) Esiste una fine di questo processo? Un punto d’arrivo in questa dialettica? Oppure questo è un processo che si protrae all’infinito? In altre parole: la dialettica è un processo “chiuso” o “aperto”? Hegel risponde che esiste una sintesi finale e quindi privilegia l’idea un processo chiuso, perché spostando indefinitamente la meta da raggiungere (come fa Fichte) lo Spirito non avrebbe mai il pieno possesso di sé stesso.
Questa soluzione scontenterà alcuni dei suoi allievi, come Engels e Croce, poiché introduce l’idea di uno “stagnante” epilogo che annulla ogni attività creatrice.

IV. Le critiche ai predecessori.
Hegel polemizzò con tutti. Senza remore e senza timore di smentite.

      • Polemizzò con gli Illuministi, di cui criticò il concetto di ragione definendola un semplice intelletto astratto, in quanto finito e parziale strumento adatto soltanto ad esprimere le aspirazioni degli individui. Critica la ragione dei Philosophes perché essa pretendeva di dar lezioni alla storia stabilendo come avrebbe dovuto essere, mentre la realtà per Hegel è sempre come dovrebbe essere.
      •  Di conseguenza si trovò in disaccordo anche con Kant che dell’Illuminismo fu il momento più alto e completo. L’antitesi kantiana tra finito e infinito, tra fenomeno e noumeno, tra realtà e ragione e, in campo morale, tra essere e dovere essere, non è per Hegel tollerabile, in quanto la realtà è una, fenomeno e noumeno coincidono e la realtà è ragione.
      •  Nei confronti dei romantici, dei quali aveva fatto parte nel periodo di Francoforte, Hegel esprimerà forte dissenso. In primo luogo contesta ad essi il primato conferito all’“arte” e alla “fede”, in nome della ferma convinzione che soltanto la ragione possa trovare le risposte agli enigmi dell’esistenza. In secondo luogo egli contesta gli atteggiamenti individualistici ed intimistici di alcuni romantici affermando che l’intellettuale non deve ripiegarsi nel proprio io, ma tener d’occhio l’oggettivo corso del mondo ed integrarsi nelle istituzioni socio-politiche.
      •  Nei riguardi di Fichte, lo accusa di aver ridotto l’oggetto, la natura, a semplice ostacolo esterno all’Io, col rischio di ricadere in un nuovo dualismo di tipo kantiano. Inoltre contesta a Fichte di aver ridotto l’Infinito a semplice meta ideale dell’io finito la cui spinta incessante, nel tentativo di raggiungere tale meta ideale si riduce ad un processo all’infinito che non giunge mai ad un fine, si riduce a puro “tendere” invano. Fichte si muoverebbe per Hegel all’interno di una filosofia del “cattivo infinito”, come sprezzantemente la chiama, ancora incapace di cogliere la piena coincidenza tra finito e infinito, razionale e reale, essere e dovere essere che costituisce la sostanza dell’idealismo e che era stata invece colta da Schelling.
      •  Anche Schelling però, nonostante che Hegel nel saggio del 1801 (Differenze del sistema di Fichte e di quello di Schelling) ritenga il suo sistema superiore a quello di Fichte per i motivi cui si è fatto cenno, non rimarrà escluso dal novero delle critiche. Nell’introduzione alla Fenomenologia dello spirito Hegel contesterà l’antico compagno di studi per aver concepito il suo Assoluto come mera identità indifferenziata di Io e natura, di ogni differenza, vuota indifferenza di soggetto e oggetto, dalla quale rimane esclusa l’attività dialettica. L’assoluto di Schelling è criticato perché a-dialettico e statico, incapace di comprendere e spiegare la ricchezza del reale nei suoi diversi aspetti ed è ritenuto da Hegel, che “ci va giù” piuttosto pesante, malgrado l’amicizia,  un abisso vuoto che non sa dare il giusto valore al negativo , “come una notte nella quale tutte le vacche sono nere”.

Il principio fondamentale della filosofia di Hegel è sì la completa coincidenza del finito con l’infinito, del reale con il razionale; questa coincidenza però si distingue dall’identità indifferenziata di Schelling perché in Hegel si arricchisce del procedimento dialettico applicabile tanto alla realtà quanto al pensiero umano e da quella di Fichte che si riduce ad un “cattivo infinito”, incapace di cogliere la piena coincidenza tra finito e infinito, tra essere e dover essere.

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Ebbene, questo principio è stato esposto da Hegel in due modi differenti.

  • Il primo è una sorta di “romanzo”, descritto nella Fenomenologia dello Spirito, dove Hegel illustra la “storia” del percorso che la coscienza ha dovuto affrontare per giungere ad afferrare questo principio.

 

  • Il secondo modo è quello dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, che l’opera più sistematica ed accademica, nella quale vi è l’illustrazione della realtà così com’è, secondo Hegel.

V. La Fenomenologia dello Spirito.


Le Figure
Sono entità né totalmente ideali, né totalmente storiche ma ideali e storiche al contempo, in quanto esprimono le tappe ideali dello Spirito che hanno trovato una loro esemplificazione tipica nel corso della Storia. Nella fenomenologia Hegel ha inteso delineare una filosofia trascendentale della coscienza e, al tempo stesso, una storia complessiva dello sviluppo culturale dell’umanità. Il termine non si riferisce ad un solo termine dell’opposizione dialettica, ma alla sintesi che li unisce

 Il saggio intitolato La Fenomenologia dello Spirito, stampato nel 1807 a Jena, è la prima grande opera di Hegel e narra la  storia romanzata dellacoscienza, che, attraverso erramenti, contrasti e scissioni, e quindi infelicità e dolore, esce dalla sua individualità, raggiunge l’universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione.
Nel saggio, attraverso una serie di figure divenute famose, Hegel ripercorre le tappe e i gradi di formazione dello Spirito stesso, il quale, progressivamente, acquisisce coscienza di sé, fino a riconoscersi come totalità razionale. Lo Spirito, dopo un percorso lungo e faticoso, acquisisce la consapevolezza che le varie espressioni particolari e finite del mondo altro non sono che sue manifestazioni nelle quali può rispecchiarsi. La Fenomenologia coincide con il divenire del Sapere umano, della scienza e della filosofia.

 

Fenomenologia dello spirito


Prima parte
  • Coscienza (Tesi)
  • Autocoscienza (Antitesi)
  • Ragione (Sintesi)

Seconda parte

  • Spirito
  • Religione
  • Filosofia (come sapere assoluto)

 

Prima parte. La prima delle due parti della Fenomenologia è a sua volta ripartita in tre Figure:

    • La Coscienza, in cui predomina l’attenzione verso l’oggetto
    • L’Autocoscienza, in cui predomina l’attenzione verso il soggetto
    • La Ragione, nel quale l’individuo arriva a scorgere l’unità profonda di soggetto e oggetto, io e mondo, sintetizzando in tal modo i momenti della coscienza e dell’autocoscienza. Il movimento è ascendente, dal grado più basso a quello più alto.

A . La Coscienza.
Lo svolgimento del processo Fenomenologico inizia con la Coscienza. L’attenzione qui è rivolta all’“oggetto” (le stelle, il blocco di marmo, il coniglio, il fiore di pesco o un fiume). L’individuo che conosce in questa fase è convinto che l’oggetto abbia piena e autonoma realtà. Passando attraverso le tre figure della Certezza sensibile, della Percezione e dell’Intelletto l’individuo scopre che nel conoscere il mondo conosce in realtà se stesso. Ecco che la coscienza diviene così Autocoscienza.

B. l’Autocoscienza.
La sezione dedicata all’Autocoscienza è la più interessante di tutta la Fenomenologia perché contiene le Figure più celebri della filosofia hegeliana. Qui il centro dell’attenzione si sposta dall’oggetto al “soggetto” ed in questa sezione Hegel non si muove più solamente in ambito prettamente gnoseologico-scientifico ma coinvolge settori più vasti, quali la società, la politica, la storia e la religione.
L’Autocoscienza “è la certezza che la coscienza ha di se stessa”, ma il termine acquista in Hegel un valore sociale e politico, perché essa si raggiunge soltanto confrontando la nostra esistenza con quella degli altri; l’uomo riesce a riconoscersi soltanto se è riconosciuto da altre autocoscienze simili a lui. L’autocoscienza, infatti, postula la presenza di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di essere tale.


Qui è presentato il concetto di Riconoscimento. L’essere umano si contraddistingue per l’innato desiderio di riconoscimento (Anerkennung) che nutre dentro di sé. Qualunque cosa faccia, l’uomo la fa per essere riconosciuto. Io sono certo di essere un uomo, sono certo di essere autocoscienza solo perché altri uomini mi riconoscono come tale. Io desidero fortemente essere riconosciuto, chiamato uomo, desiderato e amato e apprezzato dagli altri uomini. Non è immediato però che l’altro (Mario, il capuffico, mio padre) sia disposto a riconoscermi, ad apprezzarmi, ad amarmi come desidero, la sua indifferenza è per me fonte di insostenibile sofferenza. Questo è ciò che può accadere ad ognuno nel concreto dell’esperienza quotidiana. Ma c’è un ambito teoretico in cui, per Hegel, vale questo discorso, collocato fuori della storia come esperienza innata, universale, che individua la condizione originaria dell’essere umano, nella quale egli lotta per il proprio riconoscimento, arrivando a desiderare l’annientamento di colui che, con la sua presenza indifferente, mette in discussione la mia stessa esistenza. Il desiderio di riconoscimento porta con sé dunque l’eventualità del conflitto che s’innesca quando gli esseri umani si rifiutano di riconoscersi reciprocamente, rifiutano la relazione. “O mi riconosci o ti uccido”, “o mi ami o mi uccido”, “o mi riconosci come adulto o faccio comunque quel che mi pare”. Tale lotta per il riconoscimento è per Hegel generata da un fraintendimento: i contendenti credono che riconoscersi voglia dire escludere l’Altro fino ad ucciderlo o fino ad uccidersi o fino a non considerarlo proprio. Ma questa è illusione. Si ha autentico riconoscimento solo a patto che l’altro sia incluso nella propria vita e lo si può fare soltanto se esso resta in vita ovvero se il rapporto permane. Questo è quello che accade nell’ipotetico stato di natura di Hegel quando uno dei due contendenti ritiene che il restare in vita si più importante dell’essere riconosciuto o riconoscere. Ne deriva così il rapporto signoria-servitù”.
(Il concetto è approfondito all’interno del testo Philosophica, 3a, pagg. 132-139 “Il riconoscimento in Hegel”)

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a. La figura Servo-Padrone.


La figura del servo-padrone è sicuramente la più bella della Fenomenologia e presenta una notevole ricchezza tematica, apprezzata soprattutto dai marxisti, i quali hanno letto in essa una intuizione, anche se solo teoretica, della configurazione dialettica della storia e del lavoro umano, nella quale, grazie alla esperienza della sottomissione, si generano nel servo le condizioni per la liberazione. Questo non vuol dire che si possa leggere Hegel in chiave marxista. La figura hegeliana non si conclude con una rivoluzione sociale, ma con la coscienza della indipendenza del servo nei confronti delle cose e della dipendenza del signore dal lavoro servile.

Come avviene il reciproco riconoscersi delle autocoscienze? Nei suoi scritti giovanili Hegel aveva romanticamente attribuito tale compito all’amore. In questo saggio invece, per il fatto che ciascuna autocoscienza mira ad essere sì riconosciuta, ma anche ad essere indipendente dall’altra ed allo stesso tempo dominarla (ricordiamoci di Hobbes, dello stato di natura e della lotta di omnes contra omnium) ne deriva che il riconoscimento reciproco deriva dalla lotta, dal conflitto fra le autocoscienze, che desiderano essere riconosciute, senza a loro volta riconoscere. Tale “lotta per il riconoscimento” non termina con la morte delle autocoscienze contendenti (poiché in tal caso sarebbe annullata l’intera dialettica del riconoscimento), ma con il subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto che Hegel chiama del Servo-Padrone.
L’Autocoscienza per affermare la propria indipendenza deve essere pronta a tutto, anche a rischiare la propria vita. Cosa succede ad un certo punto? Che uno dei due contendenti, avvertito più dell’altro il valore infinito della propria e dell’altrui vita, ha avuto paura della morte ed ha risolutamente abbandonato la lotta, rinunciando alla propria indipendenza e libertà. Ha riconosciuto l’altro senza esserne riconosciuto. Si è arreso davanti a colui che non ha tremato, al Signore che ha messo a repentaglio la propria vita nella lotta per la supremazia, divenendone il Suddito, rassegnandosi a divenire una individualità non libera ma viva. Questo è quello che secondo Hegel ha originato il rapporto di signoria-servitù tipico delle società del mondo antico. Hegel colloca, infatti, questa lotta su due piani teoretici differenti, da un lato ne parla come qualcosa di a-temporale, di universale, dall’altro ne colloca la verosimiglianza storica nell’età antica, agli albori della civiltà umana.
Messosi in tale situazione di disuguaglianza il servo, attraverso il proprio lavoro, trasforma la natura per soddisfare i bisogni del proprio signore, che in virtù del diritto acquisito con la forza lo domina, costringendolo a provvedere alle proprie necessità. E la cosa va avanti così. Ad un certo punto però s’inserisce la paradossale inversione dei ruoli. Il signore, abituatosi a godere passivamente dei frutti del lavoro altrui, da indipendente che era finisce per diventare dipendente del servo che lavora per lui. Quest’ultimo, il perdente, che inizialmente appariva come dipendente dal signore dato che si era rimesso alla sua clemenza, dal momento che ha imparato a padroneggiare la natura e a trasformare le cose da cui il suo signore riceve il proprio sostentamento, finisce per rendersi indipendente. Il rapporto di subordinazione si rovescia. Il padrone diviene servo e il servo diviene padrone. L’indipendenza del servo viene acquisita attraverso il suo lavoro. Il lavoro è il mezzo con cui il servo domina, la natura e libera gradualmente se stesso attraverso un processo che si sviluppa in tre momenti.

  • La paura della morte. Il servo è tale perché ha tremato di fronte alla prospettiva della morte, ossia della perdita della propria essenza. Egli però attraverso la propria paura ha potuto sperimentare anche il proprio essere con la relativa conquista della propria autocoscienza.
  • Il servizio. Nel periodo servile la coscienza si auto-disciplina e impara a vincere, in tutti i singoli momenti i suoi impulsi naturali.
  • Il lavoro. Trattenendo anche i propri appetiti, non usufruendo dell’oggetto che sta lavorando, perché non è di sua proprietà, il servo raggiunge l’indipendenza dalle cose stesse e la propria autonomia dagli oggetti. Per dirla con Hegel, il lavoro è appetito tenuto a freno. Inoltre, il lavoro forma, poiché il servo, in ciò che produce, mette tutto se stesso e non solo la sua forza materiale, mentre il padrone si limita ad utilizzare gli oggetti prodotti.

b. Il rapporto stoicismo-scetticismo.
Il raggiungimento dell' indipendenza, ultimo dei tre momenti della dialettica servo-padrone, trova la sua espressione filosofica nello Stoicismo del periodo ellenistico-romano, ossia quel tipo di visione del mondo che celebra l’autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda (affetti, passioni, ricchezze). La libertà stoica è libertà interiore. Il saggio stoico è libero sia quando è sul trono, come l’imperatore filosofo Marco Aurelio, sia quando è in catene, come lo schiavo Epitteto. Tale libertà stoica però, riflette Hegel, è una libertà soltanto pensata, “astratta” e non concretamente attuata perché i condizionamenti, da cui ha la pretesa di slegarsi, permangono oggettivamente. Lo Scetticismo pretende di fare un passo aventi, nella strada verso la liberazione, sospendendo l’assenso su tutto ciò che è comunemente ritenuto per vero, afferma la non verità di tutti i legami da cui lo stoicismo aveva preteso di essere libero, e dunque la loro non esistenza e oppone a tutto ciò che ritiene essere non-vero la propria certa identità. A questo livello però la coscienza si contraddice, perché da un lato cerca di nega la realtà del reale affermando che tutto è vano e tutto è falso e dall’altro pretende di pensarsi come vera, come stabile baluardo contro l’instabilità (= se afferma che tutto è non-vero come fa a pensare a se stessa come vera?).
c. La coscienza infelice
Una volta scoperta la natura contraddittoria del proprio essere, la coscienza (che da un lato vorrebbe innalzarsi sull’accidentalità e non verità della vita, e dall’altro si scopre parte di quella stessa accidentalità e non verità) diviene consapevole della propria condizione ed entra in quella fase che Hegel esprime con la figura della coscienza infelice. È questa la figura simbolo, la chiave di volta dell’intera Fenomenologia, quella della coscienza infelice che descrive il pensiero religioso tipico dell’ebraismo e del cristianesimo. In questo stadio di sviluppo, la coscienza riconosce di essere mutevole, accidentale, inessenziale e tende a ricercare qualcosa di immutabile, necessario ed essenziale, le caratteristiche che aveva creduto di trovare in se stessa e lo trova. E’ Dio. In questa fase dello sviluppo della coscienza umana Dio è concepito come l’Essere perfetto ed immutabile, in aperta antitesi con l’imperfezione e mutevolezza delle cose del mondo. Dalla situazione propria dell’ebraismo a quella del Cristianesimo la figura di Dio si trasforma, da Signore assoluto a Padre, ma in ogni modo sempre trascendente e lontano dall’uomo. Anche la pretesa dei primi discepoli di cogliere la presenza dell’Assoluto in un uomo mortale, il Cristo, è destinata al fallimento. Fallimento di cui sono simbolo le crociate, nelle quali l’inquieta ricerca di Dio si conclude di fronte ad un sepolcro vuoto. Cristo, di fronte alla coscienza, continua a rimanere qualcosa di diverso e separato, sia in quanto dio trascendente sia in quanto dio incarnato, un mistero per i suoi posteri. Di conseguenza con il cristianesimo, lungi dall’aver trovato la pace, la coscienza continua ad essere inevitabilmente infelice, perché dio continua ad essere un “al di là” che sfugge. La vicenda della coscienza prosegue nella ricerca disperata dell’assoluto, attraverso la mortificazione di sé fino alla completa negazione dell’io a favore di dio. Con l’ascetismo e le sue pratiche di umiliazione della carne, il santo medievale la coscienza tocca il suo punto più basso in quanto cerca di annientare la propria singolarità; ma il motivo per cui lo fa, ossia per cercare la fusione totale con l’assoluto cui aspira trasforma, dialetticamente, questo momento nel punto più alto quando la coscienza si rende conto di essere lei stessa Dio, ovvero l’Universale e l’Assoluto. Il Medio-Evo prelude così al Rinascimento ed all’età Moderna ed alla scoperta della Ragione “quale certezza d’essere ogni realtà”.
C . La Ragione.
Dal Rinascimento l’Autocoscienza si eleva gradatamente a Ragione che per Hegel è “ perfetta identità di essere e pensiero”. La ragione, abbiamo detto “è la certezza di essere ogni realtà” ossia quell’assoluto invano cercato dalla coscienza fuori da sé. Questa consapevolezza tuttavia non è immediata, deve passare attraverso diverse fasi prima di manifestarsi e giustificarsi. Hegel illustra le peregrinazioni della coscienza divenuta Ragione che pur apparentemente cercando un’altra cosa, ad esempio la natura, a partire dalla sua fase rinascimentale cerca in realtà se stessa, cerca di riconoscersi nella realtà oggettiva che le sta davanti, tentativo destinato a fallire quando ci si rende conto che l’unità di io e mondo non è qualcosa di dato e di contemplabile perché esistente, ma è qualcosa che deve essere realizzato. Anche questo progetto, però, è anch’esso destinato a fallire finché assume la forma di uno sforzo individuale come testimoniano le varie figure chiamate a testimonial da Hegel, che vanno da Faust a Robespierre. Con queste figure simbolo Hegel intende dire che se ci si pone dal punto di vista dell’individuo si è inevitabilmente condannati a non raggiungere mai l’universalità. Questa unione con l’universale, agognata dalla coscienza, si potrà realizzare soltanto nella fase successiva, quella dello Spirito. È la fase in cui l’individuo scopre che la sua felicità è concepibile soltanto nella vita Etica, all’interno di un tessuto sociale poiché lo Spirito è universalità concretae non è possibile rimanere allo stato di pura individualità. Gli individui si relazionano tra loro e costituiscono le loro vite sullo Stato, quel complesso di costumi e di leggi che Hegel chiama “sostanza Etica”, o “sostanza universale”. L’individuo realizza la propria essenza e le proprie autentiche finalità solo nella vita associata che costituisce l’universale tanto cercato dalla coscienza.

 

Seconda parte. La seconda parte della Fenomenologia tratta della dialettica dello Spirito, della Religione e della Filosofia.
Hegel stesso, deciderà di eliminare tale seconda parte nelle edizioni successive della Fenomenologia in quanto le tematiche che tratta verranno riprese ampiamente nella Enciclopedia delle scienze.  Per questo motivo anche noi in questa sede ci limitiamo solo a citare le fasi che concludono le romanzesche vicende della coscienza alla scoperta di se stessa all’interno della Fenomenologia .

 

 La prima sezione della seconda parte tratta dello Spirito. Tale Spirito (che nell’Enciclopedia sarà detto “Spirito oggettivo” ed “Eticità”) è la Ragione, concretamente realizzata nelle istituzioni storico-politiche di un popolo ossia nello Stato. Per “Spirito” dunque qui Hegel intende l’individuo nei suoi rapporti con la società cui appartiene.


Antigone. Il mito di Antigone inizia laddove termina quello di Edipo. Resosi conto del misfatto compiuto (di avere ucciso il padre, Laio, il re di Tebe, e avere sposato la madre, Giocasta), Edipo si acceca, dopo che Giocasta in seguito alla rivelazione si era impiccata, ed erra in esilio per l’Attica, accompagnato dalle due figlie, Antigone e Ismene. Edipo morirà a Colono, presso il bosco sacro a Dioniso, nel quale era vietato l'ingresso ai profani. Sua figlia Antigone a questo punto decide di ritornare a Tebe, assediata dai sette principi guidati da Polinice, uno dei suoi due fratelli che era stato esiliato dalla città dal gemello Eteocle. Quando vi giunge, scopre che Creonte, il nuovo re di Tebe, fratello di Giocasta, aveva proibito di dare  sepoltura agli assedianti sconfitti, tra cui Polinice, lasciando il loro corpo in pasto ai cani. Antigone, disobbedisce agli ordini del re e si accinge ad uscire dalla città per onorare il cadavere del fratello. Scoperta dal re viene fatta seppellire viva all’interno di una caverna. Interrogato Tiresia, l'indovino cieco, il promesso sposo di Antigone, Emone, figlio di Creonte, scopre il luogo dove era imprigionata la fanciulla ma ella ormai si è impiccata. Alla vista del corpo, Emone, si uccide e così la madre di lui, in seguito alla notizia della morte del figlio.

La seconda e la terza sezione sono dedicate alla Religione ed alla Filosofia, attraverso le quali l’individuo acquista la piena ed esplicita coscienza di sé come Spirito. Dopo aver trovato la “pace” nello stato e la “verità” nella filosofia idealistica di Hegel ecco che la coscienza ha concluso il suo ciclo.

In questa seconda parte della Fenomenologia c’è una figura che vorremmo sottolineare. Hegel ne parla nella sezione dedicata allo Spirito etico proprio della civiltà greca ed è rappresentata dalla fanciulla Antigone. Celebrata nell’omonima tragedia di Sofocle, Antigone incarna l’ideale giuridico legato alla convinzione della superiorità delle leggi eterne non scritte, stabilite dagli dèi, sopra quelle civili, positive, create artificialmente dagli uomini. Nel 442 a.C. Sofocle mette in scena il conflitto tra Antigone e Creonte in termini politici. È il problema del conflitto tra legge naturale e legge dello stato, contro la quale Antigone si batte in nome della legge eterna, cui anche gli stessi dèi devono sottostare.
“Io seguo le leggi sacre e incrollabili degli dèi, leggi non scritte, delle quali io un giorno dovrò subire il giudizio [...] E non credevo che i tuoi bandi fossero così potenti da sovrastare e sovvertire le leggi morali degli dèi”.
La dialettica dello Spirito comincia così con un conflitto tra le leggi umane e quelle divine, le agrapta nomina (le leggi eterne) invocate da Antigone che, andando contro l’esplicito divieto del tiranno Creonte, dà sepoltura al cadavere del fratello Polinice, che si era ribellato allo stato. Hegel parla di Antigone per mettere in evidenza il dissidio sussistente tra legge morale (che invoca i sentimenti di pietà familiare) e legge dello stato dando un valore maggiore a questa ultima, in quanto l'istituzione statale risulta essere più evoluta rispetto all'istituzione familiare, più arcaica e dunque meno evoluta.

 

VI. Il Sistema. L’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche.

Astratto/Concreto
Per Hegel, il rapporto tra i termini astratto e concreto è opposto a quello del linguaggio comune, per il quale ciò che è astratto è solitamente il pensiero, indipendente dal concreto che ha a che fare con la realtà delle cose e dei fatti. Per Hegel al contrario astratto è l’insieme degli elementi del reale, considerati, secondo il loro etimo, come estrapolati dal contesto (abstracti), come se fossero indipendenti dal movimento complessivo, organico, del tutto. concreto, per Hegel, è soltanto il reale; ma se “il vero è l’intero” allora reale veramente è soltanto “il tutto”, ossia lo Spirito, ossia l’Idea, perché essa conserva sempre la coscienza della relazione che ha con altre idee.

Negli anni di Jena Hegel aveva espresso la convinzione che la filosofia debba essere un “sapere sistematico”. L’ambiziosa costruzione di un sistema che comprendesse il complesso delle scienze filosofiche era iniziata già con la Fenomenologia, concepita come un’introduzione ad un più generale “sistema della scienza”.
Il sapere assoluto è la somma aspirazione di Hegel. Interpretato come il complesso delle scienze filosofiche tale sapere è risultato di un processo attraverso il quale lo spirito comprende se stesso come totalità razionale; totalità nella quale ciascuna parte trova giustificazione se cessa di essere considerata unilateralmente (o, per dirla con Hegel, in modo Astratto) e diviene momento di un insieme strutturato secondo nessi necessari (ossia Concreto). Il “sistema” della filosofia hegeliana è l’esposizione dell’Assoluto che mostra il mondo come razionalità. Il sistema, in quanto descrizione dell’assoluto, non ha un principio né una fine perché l’assoluto non ha un principio né una fine.
L’esposizione più chiara e completa del suo sistema è data da Hegel nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (Heildeberg, 1817).
Essa comprende tre parti generali: La Logica, la Filosofia della Natura, la Filosofia dello Spirito.

 

Enciclopedia delle Scienze Filosofiche


Logica

Dottrina dell’Essere
Dottrina dell’Essenza
Dottrina del Concetto

Filosofia della Natura

Meccanica
Fisica
Fisica organica

Filosofia dello Spirito

Spirito oggettivo
Spirito soggettivo
Spirito assoluto

 

1. Logica.
La logica è la “scienza dell’Idea pura”, ossia la scienza che studia la legge che regola l’universo “colta nell’elemento astratto del pensiero”. Presa in esame nella seconda delle sue opere fondamentali, La scienza della logica (1812) e compendiata nella prima parte dell’Enciclopedia, la Logica descrive le strutture ideali della realtà come sono in sé, senza considerare né il modo in cui si sono attuate concretamente nel mondo né il modo in cui sono state colte dalla coscienza umana. In virtù della presupposta identità di pensiero ed essere, cardine della filosofia hegeliana, la logica, (lo studio del pensiero), coincide esattamente con la metafisica (lo studio dell’essere), essa ha insomma valore sia ontologico sia metafisico, perché “mira a portare alla coscienza la natura logica che anima lo spirito”. Attraverso lo studio della logica, il mondo si manifesta come un organismo fatto di “concetti” (o categorie), i quali sono determinazioni tanto del pensiero quanto della realtà. I concetti, di cui parla Hegel non sono pensieri “soggettivi”, ai quali la realtà rimane esterna e contrapposta, ma pensieri “oggettivi” che esprimono la realtà stessa nella sua essenza.
La logica hegeliana si divide in logica dell’Essere, logica dell’Essenza e logica del Concetto e procede partendo dai concetti più poveri o astratti (come quello di essere) fino a giungere a quelli più ricchi e concreti, sino al “concetto di tutti i concetti” che è l’Idea.

  • Logica dell’essere. È caratterizzata dall’immediatezza e dalla semplicità e incomincia partendo dal concetto più astratto ed indeterminato di tutti: il concetto di essere. Esso, lo aveva insegnato Parmenide, è il concetto assolutamente privo di determinazioni e di contenuto, “l’essere è”.

L’essere è “che cosa?”, è “Come”? Niente cosa, niente come: l’essere è, punto! Esso coincide con il verbo essere e basta!
Proprio per questa sua genericità il concetto di essere, per Hegel, trapassa in quello di nulla, che non è il contrario dell’essere ma ne rappresenta solo un momento. Come si può vedere il concetto di essere è in Hegel opposto a quello di Parmenide. Per il filosofo di Elea l’essere era statico e contrapposto al non-essere, per Hegel l’essere è dinamico ed indissolubilmente legato al non essere che anzi fa parte dell’essere. Hegel piuttosto riconosce valida l’intuizione di Eraclito: la realtà ed il pensiero sono contrassegnati dal mo-vi-men-to. Essere e nulla trapassano continuamente l’uno nell’altro; quindi la sintesi perfetta di entrambi è il divenire, nel quale essi sono superati. Il concetto perfetto di questa perfetta unione, di questa unità, è il divenire che è anche il loro superamento ed il primo passaggio alla determinazione. L’essere e il nulla, come pure astrazioni sono, infatti, l’opposto dell’essere “determinato”, che proprio in virtù di tale opposizione viene posto in luce. Dal passaggio continuo dall’essere al nulla e dal nulla all’essere, dal nascere al perire, deriva l’essere determinato. Cos’è l’essere determinato? L’essere determinato è l’essere finito, quel che Hegel chiama l’esserci, che ha come carattere fondamentale il limite. L’esserci è tale in virtù della qualità, che lo specifica e lo rende fi-ni-to, della quantità e della misura.
Queste categorie considerano l’essere nel suo isolamento, fuori da ogni relazione. Quando l’essere riflette su se stesso e scopre le relazioni che intercorrono tra lui e gli altri esseri, dalla logica dell’essere si passa alla logica dell’Essenza.

  • Logica dell’essenza. L’essere che riflette su se stesso e coglie, dietro il divenire sensibile, il sostrato permanente che è alla sua base, in quel preciso istante esso riconosce la sua essenza. Nel momento in cui l’essere si riconosce identico a se stesso e diverso dalle altre essenze, in quel preciso momento di consapevolezza l’essere diviene essenza che si manifesta come esistenza. La manifestazione dell’esistenza nell’essenza è il fenomeno . L’unità di essenza (ciò che è interno) e di esistenza (ciò che appare, che è esterno) è la realtà in atto.
  • Logica del concetto. Arricchito dalla riflessione su di sé, l’essere diviene Concetto (Il concetto di cui parla Hegel non è il concetto dell’intelletto, di cui parlava Kant, ma il concetto della ragione). Il concetto per Hegel è l’espressione soggettiva della ragione universale (= lo Spirito, la ragione universale si esprime nell’uomo attraverso i concetti). Nella sua forma più alta il concetto è l’Idea, ossia la ragione auto-cosciente. Nell’Idea si manifesta la realtà effettiva dello Spirito che è unità piena di pensiero ed essere. L’Idea è il concetto proprio della ragione, “lo spirito vivente della realtà”.

La Ragione dice Hegel è soggettività vivente e l’Idea (= il concetto nella sua forma più alta) ne è la espressione.
L’idea è, al contempo, vita (= un’anima realizzata in un corpo) e desiderio di conoscere (= desiderio di raggiungere ciò che ancora appare come oggetto separato da sé). Tale desiderio di conoscere è teoretico, se la spinta a conoscere è dettata dal desiderio di verità, o pratico, se la spinta a conoscere è dettata dal desiderio del bene. L’Idea assoluta è l’identità di vero e di bene, la vita universale che ha riassorbito in sé ogni finitezza, ogni immediatezza. (Più semplificato di così non posso!!! Ma non ve lo chiederò!).

Alcuni punti da sottolineare prima di chiudere la Logica:

    • Idealismo per Hegel.

Col termine Idealismo Hegel intende la teoria della non realtà del finito. L’idealismo della filosofia consiste in questo: nel non riconoscere il finito come un vero essere (Hegel Scienza della Logica). L’idealismo è per Hegel la propria dottrina della risoluzione dialettica del finito nell’infinito (che è la sua proposizione fondamentale).

 

    • Rapporto Intelletto e Ragione.

Il sapere dell’intelletto (quello della scienza) è astratto (cfr. tavola a pag 12) perché coglie soltanto pezzi, tronconi di realtà, separati dal tutto (come se pretendessimo di capire il corpo umano analizzando solo il cuore o una mano, senza sapere che sono solo parti di un organismo più complesso), il sapere della ragione è concreto perché della realtà riesce a cogliere l’unità organica. Quello dell’intelletto è un modo di pensare statico, basato sul principio di identità e non contraddizione, che immobilizza gli enti nelle loro determinazioni rigide e reciprocamente escludentesi. Quello della ragione è un modo di pensare fluido che riesce a cogliere la concretezza vivente del reale. La ragione speculativa rappresenta l’organo attraverso cui avviene la risoluzione del finito nell’infinito, che rappresenta l’alfa e l’omega della filosofia hegeliana. N.B. l’Intelletto, la ragione negativa e la ragione speculativa però non sono da intendersi come facoltà mentali diverse ma soltanto differenti fasi della stessa ragione umana.

    • La distinzione tra cattiva infinità e buona infinità.

La cattiva infinità, è il prodotto dell’intelletto astraente. È astratta, vuota perché non possiede al suo interno il finito che le si contrappone semplicemente come qualcosa di estraneo, che non può comprendere. Questa “falsa” infinità (che attribuisce a Fichte) pur dichiarando “contraddittorio” (“illusorio”), il finito esprime solamente l’esigenza del suo superamento, senza mai riuscirci, poiché l’infinito è esclusivamente una  meta ideale.
La buona infinità o “vera” infinità consiste nella unità di finito e infinito o meglio con la totale e completa risoluzione del finito nell’infinito (ancora una volta il concetto fondamentale di Hegel).
d.   La logica di Hegel non è la logica aristotelica. Questa aveva per suoi princìpi fondamentali il principio di identità e non contraddizione, secondo cui gli opposti non possono coincidere. Invece, per Hegel il reale è proprio una sintesi d’opposti. La logica aristotelica, dunque, è la logica dell’intelletto, quella hegeliana è logica della ragione dialettica.

 

2. Filosofia della Natura.
La seconda parte dell’Enciclopedia tratta della Filosofia della natura. Nell’economia generale del sistema di Hegel, la Logica corrisponde alla Tesi, dunque la Filosofia della natura corrisponde all’Antitesi ossia il momento negativo. Essa è anche il luogo in cui tale sistema presenta le maggiori incongruenze. Hegel identifica la natura come “esteriorizzazione”, nello spazio e nel tempo, dell’idea, che, raggiunta la pienezza del suo sviluppo logico, si risolve ad uscire da sé, manifestandosi in una molteplicità di forme. Ma, mentre in certi momenti egli sembra giudicare negativamente questa “trasformazione” dell’idea, giudicando la natura una forma di degrado dell’idea, una caduta di stile, una risoluzione imperfetta, inadeguata alla perfezione dell’Idea, in altri momenti sembra considerare questo passaggio, dall’idea alla natura, come una sorta di potenziamento dell’idea, un arricchimento autoriflessivo dell’idea. Indubbiamente, in accordo più con Fichte che con Schelling, Hegel ha prevalentemente insistito sul carattere peggiorativo della natura rispetto all’idea, poiché, avendo essa un’esistenza meramente esteriore, tutte le sue manifestazioni sono condizionate dalla contingenza, mentre all’idea si addicono i caratteri dell’universalità e della necessità.
La funzione chiave del concetto di Natura all’interno del sistema è quello insostituibile di farsi “rifugio”di tutto quel mondo dell’apparenza, del finito, dell’accidentale e del contingente e dell’individualità, legati al tempo ed allo spazio, che Hegel tende a respingere fuori dell’Olimpo aristocratico della diarchia Ragione-Realtà. Tutto ciò che l’individualità, legata alla contingenza naturale, ha di irriducibile alla ragione deve pur trovare posto nel sistema, se è vero che il principio di identità tra ragione e realtà impone l’obbligo di giustificare e risolvere nella ragione tutti gli aspetti della realtà. Ed il posto lo trova nella natura, che da questo punto di vista si configura come una sorta di pattumiera del sistema stesso.
Poiché in essa il concetto è realizzato in modo inconscio ed accidentale, è impossibile mostrare la necessità e l’universalità di tutti i suoi prodotti, quindi Hegel sostiene che la filosofia  possa al massimo mostrare il piano generale della natura, fondamentalmente statica e fissa nel suo ordine graduale. Dal primo grado della natura costituito dalla meccanica, che studia i fenomeni naturali al livello più basso, attraverso lo studio della fisica si perviene a quello più alto costituito dalla fisica organica, la quale tratta della natura geologica, di quella vegetale e di quella animale, dove l’organismo manifesta una certa autonomia e sentimento per la vita. “Ogni individuo biologicamente determinato incontra la morte, che Hegel interpreta come segno e conseguenza “dell’inadeguatezza all’universalità” da parte dell’individuo, che è semplice accidentalità rispetto al genere. Solo questo è l’idea, mentre gli individui sono esistenze attraverso cui il genere si perpetua. Nell’uomo, anch’esso individuo biologicamente determinato avviene il riscatto dell’idea dalla sua esteriorità con l’attuazione del passaggio dalla natura allo spirito: la ragione riprende coscienza di sé realizzando la sintesi di universale e individuale”.

 

3. Filosofia dello Spirito.
La filosofia dello Spirito è il momento della Sintesi dei due momenti che lo hanno preceduto, quello della Logica e quello della filosofia della Natura. Lo spirito è al contempo negazione della natura (in quanto ne elimina l’esteriorità) e esaltazione della natura (in quanto la realizza al massimo vertice). Giunta al livello dello Spirito la ragione si fa soggettività libera (libera dalle ferree leggi naturali) e pienamente consapevole di sé e del suo valore.
Lo spirito coincide e si manifesta con l’uomo. Con esso la natura si eleva dalla cecità alla coscienza e diviene cultura.
Anche lo Spirito dell’uomo procede per gradi ed Hegel ne segue lo sviluppo dialettico; diversamente da quanto accade nella Natura, però, nella quale i gradi sussistono giustapposti e coesistenti uno accanto all’altro (il mondo vegetale e minerale accanto a quello animale), nello Spirito ciascun grado è compreso e risolto nel grado superiore, il quale a sua volta è già presente nel grado inferiore (= l’individuo non esiste accanto alla società, ma è ricompresso nella società, la quale, a sua volta, è presente nell’individuo, fin dall’inizio).
I tre momenti dello sviluppo dello Spirito sono: lo Spirito soggettivo, lo Spirito oggettivo, lo Spirito assoluto.



Spirito soggettivo
Antropologia
Fenomenologia
Psicologia

Spirito oggettivo
Diritto
Moralità
Eticità (famiglia-società-stato)

Spirito assoluto
Arte
Religione
Filosofia

Le pagine di maggior interesse si trovano all’interno dei capitoli dedicati allo Spirito oggettivo e assoluto.

  • Lo Spirito soggettivo.

È lo Spirito individuale, considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura dai più elementari gradi della vita psichica fino alle più elevate attività conoscitive e pratiche. La filosofia dello Spirito soggettivo è suddivisa in tre parti:

Antropologia. Studia lo Spirito come anima, ossia la fase aurorale della vita cosciente e indica quel complesso di legami tra spirito e natura che nell’uomo si manifestano come temperamento. È qui contenuta dissertazione sulle tre età dell’uomo, quale ennesima riprova della struttura dialettica del reale, in cui l’infanzia (la tesi) è vista come il periodo dell’armonia dell’individuo con il mondo; la giovinezza (l’antitesi) è il periodo in cui l’uomo, con le proprie speranze ed i propri ideali, entra in conflitto con il proprio ambiente, familiare e sociale; la maturità (la sintesi) è il momento in cui l’individuo, dopo l’urto adolescenziale con il mondo si riconcilia con esso, tramite il riconoscimento della necessità oggettiva della razionalità del mondo già esistente.

Fenomenologia. Studia lo Spirito come coscienza riprendendo i temi contenuti nella Fenomenologia.

Psicologia. Questa è la sezione in cui Hegel studia lo Spirito soggettivo in senso proprio, ossia l’“individuo come tale” in cui si realizza l’unità dialettica dei due momenti precedenti. Il soggetto individuale è in grado di esprimersi con l’alta manifestazione del volere libero.

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  • Lo Spirito oggettivo.

 
È questa la sezione più importante di tutta l’ Enciclopedia.
Divenuto spirito libero, lo Spirito soggettivo, quando incontra altri individui liberi come lui, sente la necessità di regolare la propria libertà. Il termine Libertà per Hegel indica la “realizzazione di sé” del singolo, tramite un atto di volontà. Tale atto ha senso solo in un mondo strutturato, una società, uno stato. Fuori di questo mondo tale libertà è indeterminata, insensata e vuota. Quindi, la volontà di libertà dell’uomo trova la sua realizzazione soltanto nella sfera dello Spirito oggettivo che è la sfera delle istituzioni sociali, quell’insieme di istituzioni sovra individuali che Hegel raccoglie sotto il concetto di Diritto.
I momenti dello spirito oggettivo sono tre: il diritto astratto, la moralità, l’eticità, dei quali Hegel si è occupato anche nei Lineamenti di filosofia del diritto. La filosofia del diritto di Hegel ha avuto moltissima importanza per tutto l’Ottocento avendo influenzato a lungo gli studi giuridici.

1. Il diritto Astratto La Tesi.
Il momento in cui l’individuo realizza la propria libertà all’interno di una sfera sociale è quello del diritto astratto (che coincide con il diritto privato). È il momento in cui all’individuo viene riconosciuta la  “personalità giuridica” al modo romano, ossia egli, considerato all’interno di un istituzione sociale concreta, diviene soggetto dotato di diritti, il primo dei quali è quello della proprietà privata. La persona qui considerata è la persona che non vive in stato di natura dove vige l’infinita volontà ma in uno stato di diritto. L’essenza del singolo, dell’essere individuale, è la libertà; questa può dirsi tale, però, soltanto all’interno di una società civile perché si rapporta alla libertà di altri singoli, altrimenti non sarebbe commensurabile.
La “persona” per Hegel diviene tale solo in rapporto al mondo esterno di “cose” che può riconoscere come sue,la persona ha per suo fine il diritto di porre la sua volontà in ogni cosa”. Qui Hegel entra in aperto conflitto con la concezione di Rousseau, che aveva individuato nella proprietà privata un vero e proprio atto di arbitrio(Vedi Philosophica 3A: Antologia, brano 6. pag. 118 = leggere e confrontare con vol. 2B p. 147!). Per Hegel la proprietà privata è invece costitutiva della libertà della persona giuridica. La proprietà di qualcosa è affermazione di sé, dell’individuo, nella cosa. Possedere qualcosa significa essere libero (disporre come si vuole di quella cosa).  In quanto persona giuridica, l’individuo è soggetto a diritti ma anche a doveri. La proprietà, perciò, diviene tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimento fra persone, e questo si ha tramite l’istituto giuridico del contratto.
L’esistenza del diritto rende possibile la logica possibilità del suo contrario, il torto. Diverse sono le forme di torto, dalla controversia (in cui le parti interpretano diversamente il diritto), fino al delitto, dove il valore della legge è completamente negato. Per ciò il diritto (tesi), violato tramite il delitto (antitesi), deve essere ripristinato mediante la punizione o pena. Questa per Hegel rappresenta la sintesi o la ricomposizione del diritto trasgredito, quindi una necessità oggettiva del vivere in comune;perché essa sia ri-compositiva della frattura creatasi tra l’individuo e la società, e non vendicativa, occorre che essa sia riconosciuta interiormente dal colpevole. Questa esigenza, trascende l’ambito del diritto, che concerne l’esteriorità della legge e richiama la sfera della moralità.

2. La Moralità L’Antitesi.
La moralità è la sfera in cui l’individuo manifesta una volontà di agire in base ad un proponimento (un libero proposito) una libera intenzione. Il fine a cui mira quest’intenzione è il benessere. Hegel, avverso al rigorismo etico, ritiene che la morale non debba mai entrare in contrasto con la nostra aspirazione alla felicità. Tale aspirazione, essendo volontà soggettiva, interiore e privata, non riesce quasi mai ad elevarsi fino a coincidere con l’aspirazione al bene in sé e per sé.  Da ciò deriva la contraddizione tra essere e dovere essere che è tipica della moralità (soprattutto quella kantiana, che Hegel critica fermamente) che non riesce mai a concretizzarsi nella realtà di fatto.

3. L’Eticità La Sintesi.
La scissione tra la soggettività ed il bene, tipica della Moralità, viene risolta da Hegel nell’Eticità, nella quale il bene è in grado di attuarsi concretamente. L’eticità è moralità sociale, in grado di realizzare il bene in forme istituzionali, quali la Famiglia, la Società civile, lo Stato.
In quanto moralità concreta, attuata visibilmente nel mondo e non astrattamente, l’eticità rappresenta il superamento della spaccatura fra interiorità ed esteriorità che è propria della morale del dovere. Nello stesso tempo, configurandosi come una sorta di morale che ha assunto le forme del diritto (dell’esteriorità istituzionale) e di diritto che ha assunto le forme della morale (del perseguimento del bene universale), l’eticità risulta in grado di superare le opposte unilateralità sia del diritto che della morale. Famiglia, società civile e stato a loro volta costituiscono la triade dialettica dell’eticità.

La Famiglia . Tesi.
È il primo momento dell’eticità. Quella di Hegel è la prima teorizzazione  filosofica della famiglia borghese, incentrata sulla coppia e sui figli, piuttosto che sui più vasti legami di parentela delle famiglie tradizionali ed è  strettamente associata al patrimonio. Fondata sull’amore e la fiducia (la monogamia) ha come fondamento il matrimonio e scopo la crescita e l’educazione dei figli, i quali divenendo personalità autonome a loro volta daranno origine ad altre famiglie. La famiglia è una persona giuridica e come “persona” ha la sua realtà sostanziale nel possesso di beni, di una proprietà (vedi la teoria della proprietà a pag. 16).

 

La Società civile. Antitesi.
Il momento successivo dello Spirito etico è quello in cui il sistema unitario e solidale della famiglia si frantuma per dar luogo a quello, conflittuale, della società civile, che della famiglia costituisce la naturale antitesi. Qui interessi particolari ed indipendenti coesistono ed entrano in conflitto economico, sociale e giuridico tra loro. La società civile rappresenta il momento negativo dell’eticità “il campo di battaglia dell’interesse privato di tutti contro tutti”, un sistema atomistico in cui si ripropone l’isolamento degli individui, chiusi ciascuno nel proprio ambito privato, che  vede contrapposti anche i diversi nuclei familiari tra loro. La società civile si articola a sua volta in tre diversi sistemi.

Il sistema
dei Bisogni                                         Qui Hegel mostra piena competenza nei processi economici tipici della società industriale e si avvicina alle analisi degli economisti classici, come Adam Smith, di cui accoglie i risultati. Il primo momento della società civile è il cosiddetto sistema dei bisogni che nasce dalla necessità di soddisfare i bisogni di tutti. A tal fine gli individui, attraverso l’organizzazione della produzione dei beni in base alla divisione del lavoro, danno origine ad un sistema di classi o ceti, nel quale ognuno, credendo di lavorare solo per il proprio vantaggio contribuisce all’appagamento dei bisogni di tutti gli altri. “Dove si ha società civile- dice Hegel- hanno luogo le classi nella loro distinzione; giacché la sostanza universale, in quanto vivente, non esiste se non si particolarizza organicamente”. Le classi distinte da Hegel sono tre: 1) Il ceto “naturale”, degli agricoltori, che ha il suo patrimonio nei prodotti di un terreno che lavora. 2) Il ceto “formale” degli artigiani, dei fabbricanti e dei commercianti, che si occupa di “dar forma al prodotto naturale”. 3) Il ceto “universale” dei funzionari, che ha per sua occupazione gli interessi della società. Il problema rappresentato dal pauperismo crescente del moderno mondo industrializzato, dovuto alla crescita demografica ed all’accumulo diseguale della ricchezza, deve essere risolto secondo Hegel non dall’assistenzialismo, contrario ai principi di una società civile, né dall’estensione forzata dell’occupazione, che creerebbe soltanto una crisi da sovrapproduzione, ma con l’espansione del mercato.

 

L’Amministrazione
della Giustizia                                    Il secondo momento della società civile è costituito dall’amministrazione della giustizia in cui il diritto diviene pubblico e concerne la sfera delle leggi realizzandosi in modo concreto in un sistema di norme pubblicamente riconosciute e con valore obbligante.

 

La Polizia
e le Corporazioni       La polizia  provvede alla sicurezza sociale, assicurando il benessere del singolo che deve essere un diritto. Tra i compiti della polizia per assicurare il benessere dei membri del corpo sociale deve esserci quello educativo, in quanto l’individuo è visto come figlio della società civile. Nel sistema hegeliano inoltre rivestono un ruolo particolare le corporazioni di mestiere, che di fronte alla conflittualità del modello sociale borghese, tendenzialmente individualistico, si pongono come efficace elemento mediatore tra l’individuo e la società. Esse prefigurano, in un certo qual modo, il momento dell’universalità statale, attuando una sorta di unità tra la volontà del singolo e quella della categoria lavorativa cui appartiene.

 

Lo Stato. Sintesi.

 

Lo Stato costituisce il culmine della Eticità che in lui trova piena realizzazione e compiuta unità. Lo Stato risolve in sé i due momenti precedenti, ri-affermando l’unità immediata della famiglia (Tesi) al di là della dispersione della società civile (Antitesi). Quello di Hegel è il più compiuto modello di stato etico mai elaborato nel quale tutte le particolarità (gli individui, le famiglie, le classi) trovano il loro fondamento, il senso del loro essere ed il fine del loro agire.

1. Lo Stato Etico
Per Hegel lo stato esprime l’ethos di un popolo ed il suo spirito. “Esso è sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile”. Molto di più della semplice somma delle persone giuridiche che lo compongono, è Totalità organica, un organismo attraverso cui vivono i suoi singoli componenti. Come dal punto di vista metafisico l’intero viene prima delle parti, di cui non è semplice somma, così lo stato viene prima della società civile e della famiglia. Incarnazione suprema della moralità e del bene comune lo Stato Etico di Hegel si differenzia nettamente dal modello politico elaborato dagli autori precedenti.
A.  Si differenzia dal modello liberale (da Locke a Kant), per il quale lo stato sarebbe un entità artificiale, uno strumento creato dagli individui per la semplice tutela dei loro interessi, dei loro diritti e a garanzia della loro sicurezza (questa teoria comporta per Hegel una riduzione dello stato a semplice tutore dei particolarismi della società civile, dove la libertà nello stato finisce per identificarsi con la libertà dallo stato).
B.  Lo Stato di Hegel si differenzia anche dal modello democratico di Rousseau, secondo il quale la sovranità risiederebbe nel popolo. Questa nozione di sovranità popolare appartiene al novero “dei confusi pensieri” in quanto il popolo “al di fuori dello stato” è soltanto una somma di singoli, una moltitudine informe. A tale “astrazione” Hegel contrappone la teoria per cui la sovranità dello stato deriva dallo stato stesso, il quale dunque ha in sé, e non al di fuori di sé, la propria ragione d’essere. Tale concezione anti-liberale ed anti-democratica si fonda sul presupposto teorico che non siano gli individui a fondare lo stato, ma lo stato a fondare gli individui, sia dal punto di vista cronologico e storico (= in quanto gli individui nascono nell’ambito di uno stato che viene prima di essi), sia dal punto di vista ontologico (=  in quanto lo stato è superiore agli individui esattamente come il tutto è superiore alle parti che lo compongono).
C.  Tale ottica organicistica dello stato etico si accompagna anche al rifiuto del modello contrattualistico, ossia della teoria, di Locke e Rousseau, che vorrebbe far dipendere l’esistenza della vita associata da un “contratto sociale”, scaturito dalla volontà arbitraria degli individui che si uniscono in virtù di un’esigenza, il che per Hegel sarebbe un insulto alla “maestà” dello stato (Leggi Antologia brano 6. pag.121).
D.  Il Giusnaturalismo, la teoria che afferma l’esistenza di diritti naturali prima ed al di fuori dello stato, proposto da Grozio e da Pufendorff e di cui Antigone è la figura simbolica (vedi casella pag. 11), è contestato da Hegel in quanto l’idea stessa di un “diritto” anteriormente ed al di fuori di una compagine statale, è contraddittoria. Lo stato, per Hegel non può trovare nelle leggi della morale un limite, un impedimento alla sua azione e non può dipendere da quei “pensieri universali”, come li chiama, che vanno sotto il nome di “principi morali”.

 

2. Stato di Diritto e la Monarchia costituzionale
Lo stato di Hegel è assolutamente sovrano ma non dispotico, ossia illegale. Conformemente con la tradizione che va da Hobbes a Rousseau, Hegel ritiene che lo stato debba operare soltanto attraverso le leggi, il suo è uno stato di diritto fondato sul rispetto delle leggi che devono governare al posto degli uomini. Da ciò il ruolo fondamentale del potere legislativo che, insieme a quello governativo e quello principesco, forma la divisione perfetta della perfetta costituzione che per Hegel è la monarchia costituzionale. La monarchia costituzionale è la migliore tra le forme di governo, perché riassume le forme classiche, monarchia, aristocrazia e democrazia, “Il monarca è uno, con il potere governativo intervengono alcuni e con il potere legislativo interviene la pluralità”.
Al potere legislativo, cui concerne l’obbligo di emanare le leggi, collabora l’“assemblea delle rappresentanze di classi” anche se in minima parte, perché al compito di promulgare le leggi concorrono meglio ed in maggior misura gli altri due, il potere governativo e quello principesco. L’uno attraverso i funzionari statali traduce in atto l’universalità delle leggi, l’altro rappresenta l’incarnazione stessa dello stato in una individualità reale, cui spetta la decisione ultima “ circa gli affari della collettività”, di fatto niente più che una enfatica figura simbolo di quella che Hegel ritiene la forma di governo più razionale.
Pur riconoscendo l’importanza mediatrice dei ceti, che stanno tra il potere del governo ed il popolo dissolto in individui, Hegel si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che essi siano inclini a far valere gli interessi privati a spese dell’interesse generale, anzi, coerentemente con le sue premesse antidemocratiche, arriva ad affermare che i membri del governo possono fare ciò che è il meglio da soli, perché essi possiedono una profonda conoscenza dei bisogni e degli affari dello stato, mentre il popolo non sa ciò che vuole e ciò che è il meglio per lui.

 

3. Statolatria?
Da tutto ciò deriva che lo Stato per Hegel realizza l’ingresso di Dio nel mondo, “Lo stato è volontà divina  […] il suo fondamento è la potenza della Ragione che si realizza come volontà. Nell’idea di Stato non devono  tenersi presente stati particolari; anzi, si deve considerare per sé l’idea, questo Dio reale”. Tale esplicita divinizzazione dello stato da parte di Hegel non ha lasciato indifferente la critica successiva. È stato rilevato, soprattutto nel corso del novecento, che alla concezione dello “Stato Etico” si sono richiamati i regimi totalitari, come quello fascista italiano (si pensi alla carta del lavoro del 1927) , per negare i diritti e le libertà individuali in nome della supremazia dello stato. Alcuni interpreti non ravvisano una simile radicalità in Hegel, poiché, affermano, la sfera della politica e dello stato non rappresentano il senso ultimo della vita dello Spirito in Hegel, perché lo stato è “pur sempre concepito nel contesto della filosofia dello Spirito oggettivo e non nel contesto della filosofia dello Spirito assoluto; quindi per quanto lo Stato rappresenti il culmine della eticità, è l’eticità stessa a non essere l’ultima parola della filosofia” (Philosophica 3° pag.121). Questa interpretazione “conciliante” del pensiero politico di Hegel rileva che, stando alle premesse del suo pensiero, Hegel non identifica Dio con lo Stato ma con lo Spirito assoluto, il quale attraverso l’arte e la religione culmina nella filosofia. Ciò è senz’altro vero, ma è bene ricordare che l’arte, la religione e la filosofia esistono per Hegel soltanto nello stato e in virtù dello stato, il quale rappresenta allora, proprio come scrive Hegel “l’entrata concreta e visibile di dio nel mondo”.

4. La Guerra è la Salute dei popoli
Così come non esiste alcuna legge morale, non scritta, che abbia il potere di limitare l’azione dello Stato al suo interno, altrettanto per Hegel non esiste alcuna autorità esterna in grado di dirimere le controversie tra gli stati sovrani. Lo stato, infatti, è un individuo che si pone di fronte ad altrettanti individui statali ciascuno autonomo e sovrano all’interno del suo territorio. Oltre a se stesso, nessun giudice, nessun organismo superiore, è legittimato a regolare i rapporti inter-statali. Con ciò Hegel nega che esista un diritto pubblico internazionale. Non potrà mai esistere una Repubblica dell’umanità, come quella sognata da Kant, poiché non esiste uno Spirito dell’umanità, ma solo uno “Spirito dei popoli”. Tale Spirito è il riconoscersi di un popolo in un modo d’essere tipico che porta con se la nozione di patria. Ne deriva che la sovranità politica deve risiedere esclusivamente nello stato nazionale. E dato che le nazioni si trovano tra loro in una condizione di naturalità, ne consegue che la guerra rimane l’unico modo per risolvere i contrasti, “ quindi il conflitto tra gli stati, in quanto le volontà particolari non trovano un accomodamento, può essere deciso solo dalla guerra”. In altre parole, poiché nessuno può fungere da arbitro nelle dispute tra stati, il solo giudice universale è il ricorso alla guerra.
Muovendosi in un’ottica diametralmente opposta al cosmopolitismo illuminista e pacifista di Kant (che aveva sostenuto l’efficacia di una” Lega Mondiale degli Stati” per l’instaurazione di una pace perpetua) Hegel non solo attribuisce alla guerra un carattere di necessità ed inevitabilità ma anche addirittura un alto valore morale. Con un paragone famoso Hegel afferma che come “il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole” così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua. La guerra è necessaria alla salute spirituale dei popoli, la cui compattezza (= autocoscienza) si rafforza, definendosi, per contrasto, con un nemico. Ogni stato è un individuo e nell’individualità è contenuta per dialettica la negazione ed anche se un certo numero di stati si costituisce a famiglia essa deve crearsi un’antitesi, un nemico. Dalle guerre, infatti, risultano rafforzati i popoli che “sono in discordia in sé perché acquistano mediante guerre all’esterno, pace all’interno”. Va bene parlare di pace, di pace perpetua, dice Hegel, ma “le chiacchiere ammutoliscono dinnanzi alle serie repliche della storia”. In questo gioco di relazioni regolate dalla guerra, gli stati sovrani diventano singole espressioni dello Spirito che entra nel tempo e si incarna nella Storia. La dialettica dello spirito oggettivo si conclude in una filosofia della Storia (Antologia Philosophica 3A brano 8, leggere!).

5. La Storia.
La Storia del mondo, che conclude la filosofia dello Spirito oggettivo, è il teatro in cui lo Spirito realizza la sua libertà in senso giuridico ed etico. La storia è la realizzazione della libertà, non una libertà astratta, puro arbitrio individuale, ma libertà con-cre-tiz-za-ta nel mondo del diritto, della morale e dell’eticità. All’occhio dello scrivano della storia, colui che si limita a registrare il corso degli eventi, essa appare un tessuto casuale di fatti mutevoli, dettati da cause contingenti e priva di ogni piano razionale o divino, dominata dallo spirito del dis-ordine, della distruzione e del male. Per il filosofo della storia, non è così. Questo insieme di eventi non può essere catalogato sotto la categoria del semplice mutamento o del caso, ma sotto quello della ra-zio-na-li-tà. “Il grande contenuto della storia è razionale e così deve essere, una volontà divina domina poderosa nel mondo”. Occorre guardare la Storia tenendo presenti le categorie di ringiovanimento e di fine; se ci chiediamo quale sia il fine di questo movimento, la coscienza cristiana ci fornisce una prima spiegazione: è la potenza divina che con infinita saggezza realizza i suoi fini. Tuttavia questa fiducia nella divina provvidenzaè fede indeterminata, generica, in grado di dar conto soltanto di eventi singoli, non si applica al tutto, al complessivo corso degli eventi del mondo” e si trincera spesso dietro l’impossibilità umana di comprendere i disegni provvidenziali (= “le vie del Signore sono infinite”; “non cade foglia che Dio non voglia”). Occorre che la filosofia porti alla luce della coscienza razionale il fine della Storia, ne riconosca le vie, i mezzi e i modi con cui essa si realizza nel mondo. Per Hegel dietro l’esplicarsi della Storia c’è lo Spirito, la Ragione universale che attraverso la storia realizza il suo fine.

  • Il fine della Storia . Per Hegel il fine della Storia è che “lo Spirito giunga a sapere ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere e lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso”.

Questo significa che il fine della Storia è la manifestazione dello Spirito nel mondo, ossia che esso giunga alla conoscenza di sé, di cosa esso è veramente. E per giungere a questa consapevolezza è necessario che questo spirito si manifesti nel mondo in qualcosa di concreto, che si incarni in qualcosa di determinato, e questo qualcosa, è lo Spirito di un popolo. I singoli popoli poi si muovono all’interno di un teatro, uno stesso orizzonte universale che costituisce lo Spirito del mondo. Il particolare spirito di un particolare popolo è solo l’anello di una catena costituita dal corso dello spirito del mondo. Tra lo spirito del mondo e lo spirito del popolo c’è lo stesso rapporto che esiste tra il l’infinito e il finito, tra Dio e le sue manifestazioni, poiché lo spirito di un popolo è lo Spirito Universale che si fa particolare. La storia incarna lo spirito del mondo attraverso il farsi dello spirito di un popolo. E questo spirito del mondo è conforme allo spirito divino che è lo Spirito Assoluto (Antologia, Philosophica 3a brano 7, pag. 123, Leggere).

  • I mezzi della Storia. I mezzi che la Storia usa per realizzare lo Spirito nel mondo, sono gli individui e le loro passioni; “nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passioni”, esse non sono affatto opposte alla moralità “anzi realizzano l’universale”. Le passioni, che spingono gli individui ad agire per i propri scopi egoistici (sete di potere, di ricchezza, di vendetta e d’amore), non sono altro che gli strumenti che conducono, nella storia, a fini diversi a cui quelle esplicitamente mirano. Accanto alle idee, l’altro grande movente della storia, le passioni muovono gli uomini verso la realizzazione dei propri particolari fini. Essi però non sanno d’essere semplici strumenti per la realizzazione degli scopi dello Spirito. Questo vale soprattutto per gli uomini eccezionali, che Hegel chiama gli individui cosmico-storici, essi, protagonisti della vita dei loro popoli, condottieri, legislatori, eroi, sono stati i veggenti che incarnando completamente lo spirito di un popolo hanno istitntivamente saputo realizzare il fine dello Spirito. Inseguendo il proprio obiettivo particolare, mossi dall’ambizione o da un ideale hanno realizzato il fine dello Spirito.

 

  • L’astuzia della Ragione. La ragione è astuta, perché utilizza gli individui e le loro passioni agendo alle loro spalle. Apparentemente Alessandro magno, Cesare, Napoleone non fanno che seguire la propria passione e la propria ambizione, in realtà si tratta di un’astuzia della ragione che si serve degli individui e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini. Non deve meravigliare che una volta compiuta la propria missione questi “eroi” vengano abbandonati al proprio destino dalla ragione, non deve meravigliare che  su di essi incomba spesso la sconfitta o la tragedia. La loro “funzione” è quella di realizzare non la propria personale felicità ma fini universali. Questo è il senso dell’Astuzia della ragione, la quale si avvale degli eroi, delle loro passioni per realizzare il proprio scopo universale, e non i loro particolari, lasciandoli poi cadere come “gusci vuoti” quando hanno adempiuto il loro compito storico. Il disegno provvidenziale della Storia si rivela nella vittoria che di volta in volta consegue il popolo che ha concepito il più alto concetto dello spirito.
  • La Libertà. Abbiamo detto che il fine ultimo della Storia del mondo è che lo spirito giunga alla conoscenza di sé, attraverso lo spirito di un popolo che lo incarna. La conoscenza di sé di un popolo è ciò che lo rende libero. Lo Spirito in sé è Libertà, se un popolo giunge alla propria coscienza di popolo è libero. Tale coscienza costituisce il diritto, i costumi, la religione di un popolo. Quanto più un popolo è affine al suo spirito, tanto più è libero.  In altre parole, se il fine della storia è la libertà, questa libertà è attuata dai popoli che più si costituiscono forme di Stato corrispondenti e affini al loro spirito; più essi hanno compreso e approfondito ciò che è il loro spirito e più essi sono liberi. Il fine della storia è allora la costituzione di uno Stato, attraverso il quale si possa realizzare la liberà dello Spirito.
  • Il Corso della Storia. La costituzione dello Stato è il fine supremo della storia. Tradotto in termini temporali: La storia del mondo è la successione di forme statali che altro non sono che momenti di un divenire assoluto. Come il sole segue il suo corso, muovendosi da Oriente ad Occidente, così lo spirito del mondo, al suo apparire, si è mosso seguendo il corso del sole. Le prime grandi civiltà sono fiorite ad oriente (Cina, India, Egitto, Babilonia) dove la forma di governo era il dispotismo “uno solo è libero”. In seguito, spostandosi verso Occidente, lo Spirito si è realizzato pienamente presso i Greci, dove “alcuni erano liberi”. Attraverso le vicende della storia di Roma, in cui i cittadini sono diventati sudditi e del cristianesimo che ha segnato il mondo con la conciliazione spirituale tra Dio e l’umanità, attraverso profondi momenti di crisi (la fine dell’impero romano, le invasioni barbariche e la scissione tra le chiese) lo Spirito è approdato all’era moderna che trova nella Germania di Hegel la piena realizzazione dell’ideale cristiano- riformato in cui “tutti gli uomini sanno di essere liberi”. La Ragione è giunta alla sua piena manifestazione ed essa può trovare piena e completa realizzazione nello stato prussiano che mostra le caratteristiche dello stato-idea. Nel mondo cristiano-germanico la ragione è giunta alla sua piena attuazione. Si può parlare di una fine della storia? La piena maturità dello Spirito, che Hegel vede incarnata nella civiltà cristiano-germanica, significa l’inaridimento del suo slancio creativo? Hegel non dà una risposta a questo, ma accenna agli Stati Uniti come al paese del futuro, “quello cui in tempi futuri si rivolgerà l’interesse della storia universale” ma, aggiunge, “fare il profeta non si addice al filosofo”.

 

  • Lo Spirito assoluto.

Lo Spirito oggettivo si è realizzato nello “stato etico”. Ma questo non è lo Spirito assoluto. Lo Spirito entra nel culmine del suo sviluppo dialettico quando si rende conto del limite degli spiriti dei popoli particolari di cui si è servito come strumenti per il suo disvelamento.  Quando lo spirito giungerà alla piena coscienza della propria infinità (cioè del fatto che tutto è spirito e al di fuori di esso non vi è nulla) questo sarà il culmine della realizzazione dello Spirito, lo Spirito Assoluto. Tale auto-conoscersi dello spirito come assoluto ha ancora necessità di un movimento dialettico che si articola in Arte, Religione e Filosofia. Queste attività si differenziano soltanto per la forma, non per il loro contenuto che è lo stesso, che è l’Assoluto, Dio. L’arte conosce l’Assoluto nella forma dell’intuizione, la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro concetto.

Arte. L’arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo Spirito acquista coscienza di sé. Nell’arte lo spirito umano vive in modo immediato ed in-tu-i-ti-vo quella fusione tra soggetto e oggetto, tra Spirito e natura, che la filosofia idealistica teorizza concettualmente, quando sostiene che la natura altro non è se non manifestazione dello spirito. L’arte si esprime attraverso forme e materiali naturali ma ciò che esprime è un messaggio spirituale. Tale conciliazione di spirito e natura non sempre si è realizzata nel tempo, anzi la storia dell’arte è si è evoluta (ricordiamo che, per Hegel, la storia è sempre evoluzione ) parallelamente alla storia dello Spirito e dei popoli che ne sono stati l’espressione. Nata in oriente, l’arte è stata dapprima simbolica, ossia caratterizzata da uno squilibrio fra il contenuto e la forma, a favore del contenuto, perché stilizzata attraverso dei simboli (= il simbolo è un veicolo espressivo che allude soltanto al contenuto ideale senza aver la capacità di comunicarlo pienamente). È un tipo d’arte che si realizza nell’architettura. L’equilibrio tra contenuto e forma si realizza pienamente nell’arte classica, cui ha dato vita la civiltà delle poleis greche, che nella scultura e nella rappresentazione della forma umana hanno saputo realizzare la perfezione della bellezza. Priva di profondità, paga solo della sua forma esterna, l’arte classica manifesta il suo limite proprio nel perfetto equilibrio tra forma esteriore e contenuto interiore. Tale limite dell’arte classica è evidenziato dall’arte romantica, sviluppatasi in occidente in età moderna, la quale attuando un nuovo squilibrio fra contenuto spirituale e forma sensibile è un arte consapevole e quindi più evoluta. Essa si trova nella condizione di esprimere un contenuto tanto ricco da trovare inadeguata ogni figurazione sensibile. L’artista romantico acquista coscienza che qualsiasi forma sensibile è ormai insufficiente per esprimere in modo compiuto l’interiorità spirituale, “pertanto rinunzia a mostrarlo come tale nella figurazione esterna e per mezzo della bellezza”. Di conseguenza le arti privilegiate dalla cultura romantica saranno la pittura e la musica, dove l’elemento sensibile viene via via affinandosi fino a scomparire del tutto con la poesia “la più spirituale delle arti”, pura interiorità e capacità evocativa. “Nel progredire culturale di un popolo giunge l’epoca in cui l’arte rimanda oltre se stessa”. Questa è per Hegel l’origine della moderna “crisi” dell’arte. Lo spirito del tempo di Hegel non riesce più a considerare l’arte espressione idonea della sua profonda essenza, “possiamo ancora trovare splendide le immagini del padreterno o di Maria, esse però non riescono più a farci inginocchiare”. Si rispetta l’arte e la si ammira ancora, ma la si sottomette all’analisi del pensiero per riconoscerne la funzione ed il posto.

La religione
Come l’arte, anche la religione ha un suo divenire nella storia, parallelo a quello della civiltà dei popoli che la praticano. In Asia vediamo nascere la religione naturale, in cui lo Spirito è percepito come indistinguibile dalla Natura (al gradino più basso lo sciamanesimo, in quello più alto le religioni panteistiche, sia quelle della sostanzialità, dove il divino è l’impersonale sostanza delle cose, come il taoismo, l’induismo, il buddismo, sia quelle dell’enigma, come quelle degli egizi o dei siriani, dove Dio è annunciato come spirito libero). Alla religione naturale segue la religione della personalità individuale, che rappresenta Dio con sembianze umane, in cui prevale o l’aspetto della trascendenza, come in quella ebraica, o della bellezza, come in quella greca, o della moralità, come in quella romana. Con il cristianesimo alfine la religione giunge alla forma assoluta, in quanto concepisce Dio come Spirito. Essa evidenzia una conciliazione tra finito e infinito, tra umano e divino nella persona di cristo. Essa è, nella sua sfera, perfetta.

 Religione. La Religione, è la forma in cui lo Spirito Assoluto si manifesta come Rappresentazione. Oggetto della religione è Dio, il soggetto della religione è la coscienza umana, lo scopo della religione è l’unificazione di Dio e della coscienza. La prima forma di religione è il sentimento di Dio, la certezza interiore che Dio c’è. Il sentimento però non è in grado di giustificare razionalmente tale certezza e di trasformarla in verità oggettivamente valida: io non posso dire “Dio c’è perché me lo sento”, e neppure dire “attraverso quest’opera d’arte intuisco Dio”. Con la religione però posso tentare di pensare Dio non attraverso i concetti della filosofia e neppure attraverso l’intuizione sensibile dell’arte, ma tramite una terza via che è data dalla rappresentazione. Questa è una metafora del pensiero e procede in modo a-dialettico, giustapponendo le proprie determinazioni quasi fossero indipendenti le une dalle altre. Ad esempio, l’immagine cristiana di Dio padre che crea il mondo è la rappresentazione, ossia l’ipostatizzazione metaforica (= il frutto di immagini giustapposte) del fatto che la natura costituisce un momento dialettico della vita dello Spirito.
La religione non è filosofia, dice Hegel, ma da questa può essere riconosciuta come momento fondamentale della vita dello Spirito.
Lo sviluppo della coscienza religiosa è lo sviluppo dell’idea di Dio nella coscienza umana. Al primo stadio troviamo la religione naturale. Qui l’idea di Dio è come sepolta nella natura. L’idolatria ed il feticismo stanno al grado più basso della religione naturale, le religioni panteistiche orientali al grado più alto, e così via via fino alla religione più evoluta, quella assoluta, che presenta al massimo grado l’idea di dio nella coscienza umana che è la religione cristiana, in cui Dio appare come puro spirito. Vicina con i suoi dogmi alla verità della filosofia (Cristo, l’uomo-dio, esprime pienamente l’identità di finito e infinito; la trinità di Padre, Figlio e Spirito santo, la triade dialettica di Tesi, Antitesi e Sintesi), la religione cristiana presenta pur sempre dei limiti, gli stessi propri d’ogni religione. La religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi di fronte ad un presunto “mistero dell’Assoluto”. L’unico sbocco coerente della religione è la filosofia, che ci parla anch’essa di Spirito e Dio ma non più nella forma inadeguata della rappresentazione, ma in quella adeguata del concetto. Tuttavia la religione cristiana, perfetta nella sua forma, è quella che più di ogni altra  si presta alla conversione nella superiore forma della filosofia.

Filosofia. Il culmine della vita dello Spirito è la Filosofia.Essa è l’Idea che pensa se stessa”. Nella filosofia, che è l’ultimo momento della vita dello Spirito, l’Idea giunge alla piena e concettuale coscienza di se medesima, chiudendo il ciclo cosmico. Perfettamente dispiegata nella realtà, la Ragione, l’Idea, con la filosofia è divenuta auto-cosciente; lo Spirito con la filosofia è giunto al suo scopo finale che è quello di auto-conoscersi.
Se l’Assoluto non è sostanza immobile ma storia, allora anche la filosofia, come autocoscienza dell’assoluto, avrà una dimensione essenzialmente storica.
I vari sistemi filosofici che si sono succeduti nella storia, come le religioni o le forme artistiche, non devono e non possono essere perciò considerati un insieme disordinato ed accidentale di opinioni. Al contrario, ognuno di essi costituisce una tappa necessaria e del farsi dello Spirito, che supera quello che precede ed è superato da quello che segue. La filosofia è storia della filosofia. Essa, al pari della realtà, è un processo che si è storicamente affermato per gradi e che si è concluso con l’Idealismo. Ogni filosofia è valida per il suo tempo, adeguata a quelle che sono le esigenze di quel grado di sviluppo dello Spirito. Quindi “la filosofia che è ultima nel tempo è risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di tutte; essa perciò è la più sviluppata, ricca e concreta”.


Hegel sostiene che la filosofia è simile alla Nottola di Minerva (la civetta, uccello sacro alla dea Minerva, nata dal cervello di Giove e dea dell’Intelligenza) che inizia il suo volo solo al crepuscolo. Hegel, con questa metafora, intende dire che la filosofia sorge quando una civiltà ha ormai compiuto il suo processo di formazione e si avvia al suo declino. Al tramonto degli stati ionici, nell'Asia Minore, sor­se la filosofia ionica. Con la decadenza di Atene fiorì la filosofia di Platone e di Aristotele. A Roma la filosofia si diffonde solo al tramonto della repubblica e col regime dittatoriale degli imperatori.

Il suo compito è comprendere ciò che è. A lei non compete fare previsioni o dare indicazioni su come ci si dovrebbe comportare, poiché essa è il proprio tempo tradotto in pensiero. Essa è come “la nottola di Minervache spicca il suo volo sul far del crepuscolo”( = Come “pensiero che pensa il mondo mediante il concetto”, essa può comparire soltanto quando il processo mediante il quale lo spirito si è concretizzato, in un certo popolo ed in una certa civiltà, si è concluso), quindi “dopo che la realtà ha completato il proprio processo e si è ben assestata”. La filosofia è espressione senile di un’epoca e sorge quando conosce la crisi tra le condizioni esterne e le aspirazioni interne e sente il bisogno di ritirarsi in se e riflettere.

La filosofia allora ha un ruolo soltanto giustificatorio? È apparato conservatore? Hegel è stato interpretato anche così. In realtà la filosofia nel momento in cui comprende il proprio tempo lo rende leggibile, lo svela e lo rende passibile di modificazioni: la comprensione è infatti la condizione indispensabile per la successiva correzione degli errori eventuali. Hegel si è sempre ritenuto onesto e solerte funzionario della ragione.

 

Il dibattito sulle teorie politiche di Hegel, a partire dalla posizione che lo considera un apologeta dello Statalismo e della restaurazione, è tuttora vivo, soprattutto in coloro che, non accettando questa riduzione di Hegel quale “dittatore filosofico della Germania prussiana”, hanno insistito per una chiave di lettura “progressista” della teoria politica di Hegel, che vede in lui più un teorico della società civile che non dello Stato, dato che egli ha incessantemente polemizzato con i teorici della contro-rivoluzione e della restaurazione ed è stato un portavoce della rivoluzione francese. Secondo Karl Popper, Hegel sarebbe un nemico della società aperta ed un profeta del totalitarismo. Tenendo presente che sarebbe altamente ingiusto ritenere le teorie e le forme dello stato hegeliane puntualmente coincidenti a quelle naziste o fasciste (lo stato di Hegel è uno stato di diritto costituzionale e l’entità decisiva non è la razza o il sangue come per i teorici del Terzo Reich) resta fermo che il nostro Hegel ha lasciato in eredità alle dittature del novecento alcune idee, alcune forme mentali atte a giustificarne la condotta politica.
1) Il valore dato allo Stato, fuori dal quale l’individuo non è nulla.
2) Lo stato non ricava la sovranità dalla moltitudine informe del popolo ma da se stesso, in quanto prima dello stato il popolo “non esiste”.
3) La sovranità statale s’incarna in una cerchia ristretta di funzionari dedita al pubblico bene che platonicamente “sa” e “pensa”.
4) Lo Stato deve permeare di sé tutte le manifestazioni della vita in comune.
5) Lo Stato è un ente che al di là di sé non riconosce alcuna idea etica.
6) Non esiste sopra gli stati alcun diritto internazionale.
7) La guerra è inevitabile strumento di composizione dei conflitti inter-statali e giova alla salute dei popoli.
Un “arsenale teorico” a cui avrebbero attinto a piene mani i fautori del totalitarismo e che sarebbe servito a diffondere e giustificare il primato del “collettivo” sull’ “individuale”. Emblematica a tal proposito la voce “Dottrina del Fascismo”, redatta da Giovanni Gentile, per l’enciclopedia Treccani e firmata da Mussolini che sembra enunciare punto per punto le caratteristiche dello Stato Etico teorizzato da Hegel.
Rifiutando polemicamente tale immagine di Hegel altri studiosi hanno cercato di accreditare l’opposta figura di un Hegel paladino della ragione e della libertà. Fra gli interventi più significativi citiamo Ragione e Rivoluzione di Herbert Marcuse, il quale, dopo avere insistito sulle potenzialità critiche e perciò liberatrici della ragione idealistica enumera le concrete differenze fra lo stato hegeliano  e quello totalitario (che si fonda sulla sottomissione delle masse attraverso il terrore, aborrito da Hegel). Sembrerebbero emerse inoltre alcune interpretazioni di un Hegel “massone” e “segreto” in base ad alcuni quaderni di appunti presi da uditori nel corso di lezioni di Hegel nel corso di lezioni tenute nel 1831, da cui emergerebbe un Hegel socialista-liberale.
E non dimentichiamo che nella Fenomenologia la realizzazione del riconoscimento, fra gli individui liberi della società moderna, è affidata da Hegel al linguaggio, all’esercizio del linguaggio “in un contesto pratico e morale in cui il confronto tra le autocoscienze non è mediato dalla lotta o dalla violenza ma dal giudizio  che ciascuno esprime vicendevolmente nei confronti dell’azione compiuta dall’altro […] la proposta hegeliana è l’intersoggettività dialogante. Essa non garantisce che l’azione in sé sia e rimanga buona, garantisce piuttosto la reciproca comprensione tra esseri umani”. Questo non sembra suffragare l’intenzione di teorizzare uno stato tirannico o violento.
Due visioni di Hegel contraddittorie, due opposte “leggende”. Esse andrebbero ridimensionate. Forse ha ragione Norberto Bobbio quando afferma che “Hegel non è un “reazionario” ma non è neppure, quando scrive la filosofia del diritto un “liberale” è puramente e semplicemente un conservatore, in quanto pregia più lo stato che l’individuo, più l’autorità che la libertà, più la coesione del tutto che l’indipendenza delle parti, più l’obbedienza che la resistenza, più il vertice della piramide che la base”.

 


Per gli amici GeorgerogrobfiedGottlobletfritz Wilelmcorso FrieeedelriklutzelofissaJohannswrockjweir (Ero curiosa di verificare se l’avreste letto).

Necessità, Ananke per i greci, la ferrea legge stabilita dagli dèi che non lascia scampo. È una delle domande più complesse della filosofia ed anche una tra le più interessanti, perché riguarda la libertà dell’uomo. Siamo liberi di agire o le nostre azioni sono ferreamente determinate?

La nottola , la civetta, il simbolo dell’intelligenza di Minerva, Athena, la dea della razionalità.

Il concetto, nella tradizione filosofica ha ricevuto significati diversi.
In Platone, la dialettica è la dottrina delle idee e procede secondo il metodo dualistico.
In Aristotele indica il processo dimostrativo che parte da premesse probabili, ossia generalmente ammesse.
Per Kant è l’arte di costruire ragionamenti capziosi, basati su premesse che sembrano probabili ma che in realtà non lo sono.
In Fichte è “la sintesi degli opposti per mezzo della determinazione reciproca”.

L’espressione, che è di Hegel, non deve trarre in inganno perché l’assoluto hegeliano è un Infinito Immanente, che non crea il mondo perché è il mondo.

Questo concetto non contraddice quello di “dinamicità” o progressione, perché Idea, Natura e Spirito sono co-esistenti e svolgono la loro azione continuativamente e contemporaneamente.

È questo il momento del “mucchio di sassi”, un semplice coacervo di elementi slegati tra loro, amorfi e privi di unità.

Per Hegel l’Assoluto è Spirito, un’unità dinamica, processo dialettico  e mo-vi-men-to. Il concetto implica in Hegel due nozioni. Vita: lo Spirito è vivente ma, diversamente dagli individui che lo costituiscono, non ha relazione alcuna con la morte, è eterno. Coscienza: lo spirito è vita elevata a coscienza, è vita consapevole di se stessa. Tale coscienza non è data, una volta per tutte, ma implica un lungo percorso di conquista.

Il termine Fenomenologia, la scienza di ciò che appare, (dal greco Phainomenon “apparenza” e Logos “discorso” e “dottrina”).

Probabilmente, la più complessa e delirante opera filosofica mai impressa su carta da pugno umano, della quale cercheremo di dare una versione semplificata e comprensibile, intento nobile ma di dubbia realizzazione. Leggi la nota e dimenticatela.

Nota come questa sia la trama della “Macchina del tempo” romanzo nel quale lo statunitense H.G. Wells, ipotizza un lontano futuro, visitato dal protagonista, dove gli antichi servitori (i Mòrloch) di una casta di privilegiati (gli Elòi) sono divenuti i loro padroni e aguzzini, non essendo gli ultimi più in grado di sostentarsi da soli.

Nota come questa affermazione profonda verrà sfruttata in modo ignobile e tragico nella famigerata frase “Il lavoro rende liberi” appesa all’ingresso dei campi di lavoro nazisti al tempo della seconda guerra mondiale.

Da notare come le categorie, che con Kant erano funzioni mentali umane, valide soltanto in relazione al fenomeno, con Hegel tornino ad essere determinazioni sia del pensiero che della realtà in sé.

Il fenomeno è la manifestazione dell’essenza di ciò che esiste: è il manifestarsi dell’ “esistente”.

  Pancaldi, Trombino, Villani,  Philosophica, vol. 3. pag. 89.                                     

La Carta del Lavoro è il documento programmatico con il quale vennero fissate le principali linee guida della  Politica sociale Italiana nel 1927. Essa rappresentava la politica economica del ventennio fascista, caratterizzata dal corporativismo, inteso come terza via fra il liberal-capitalismo e il collettivismo marxista.

Come nella dialettica servo-signore anche qui il solo arbitro universale è la forza: poiché ogni individualità statale aspira ad essere riconosciuta dalle altre come la più potente, ne deriva la regressione allo stato di natura, in cui il ricorso naturale alla guerra è indicato come lo strumento più idoneo per la soluzione delle controversie, qualora vengano meno le condizioni per un accordo pacifico.

G. K.!!!

Il termine “assoluto” conosce una lunga vicenda nel corso della storia occidentale: si tratta, in realtà, di un’espressione platonica o neoplatonica, che significa “ ab-solutus, assolto (= sciolto) da ogni particolare condizione.

Rudolf  Haym, Hegel e il suo tempo, Berlino 1857.

Pancaldi, Trombino, Villani, Philosophica, 3 a, Marietti, pag. 138-139.

 

http://keynes.scuole.bo.it/~miglioli/kant/hegel.doc

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