Lazio itinerari turistici

 


 

Lazio itinerari turistici

 

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Lazio itinerari turistici

 

PRIMO ITINERARIO: OSTIA ANTICA  

 

Tempio di Bellona 

Il tempio di Bellona sorse intorno alla metà del II secolo d. C. La dea Bellona in realtà non era una divinità romana, ma fu importata dall'Oriente, dove era considerata la temibile dea della guerra. Il tempio, situato vicino al tempio di Apollo e vicino alla porta Laurentina, era un luogo dove i senatori accoglievano i generali e i vincitori per celebrare  un loro trionfo.

Terme del Mitra

Il culto di Mitra, divinità persiana, fu l'ultimo in ordine di tempo a penetrare nell'impero romano e di conseguenza a diffondersi a Ostia. Già verso la metà del III secolo aveva acquistato un'importanza notevole. Questa era considerata la divinità della luce e del sole era al centro di un culto la cui caratteristica fondamentale era fondata sull'iniziazione del fedele ai misteri ed agli ideali di purificazione che permette ad Evano di vincere la perpetua lotta contro il male assicurandosi al momento del trapasso l'appoggio del Dio Mitra per il conseguimento dell'immortalità. Il momento centrale del culto era l'uccisione di un toro da parte di Mitra.

Il mitreo è un locale sotterraneo ricavato dalle terme di Mitra, nel quale si praticava il culto del dio Mitra, uno dei culti misterici che iniziarono a diffondersi a partire dal secondo secolo. Edificate nel 125 d. C., subirono notevoli restauri; sono ben conservate nella parte sotterranea, dove c'erano i servizi.

 

 

C'è un impianto di sollevamento delle acque: su una parete restano i segni incisi da una ruota che, munita di secchi, spostava l'acqua, che tramite tubi di piombo era convogliata nelle vasche. Gli ambienti che lo costituiscono sono: il FRIGIDARIUM, un CALIDARIUM, una SALA DI DISIMPEGNO, il cui pavimento è decorato da un mosaico rappresentante Ulisse e le Sirene ed infine un vano ristrutturato per l'esercizio del culto cristiano. In quest'ultima stanza c'è una scala che conduce ad un ambiente sotterraneo, adibito (in un secondo momento) a mitreo; qui era collocata la scultura di Mitra nell'atto di uccidere un toro (era illuminato da un lucernario per rendere l'atmosfera più suggestiva). I resti della statua, però, furono trovati in una fogna perché fu fatta in mille pezzi e gettata qui dai cristiani che occuparono gli ambienti sopra descritti.
Nel mitreo, che, per simboleggiare il luogo in cui era nato il dio, riproduceva una grotta, si può tuttora osservare una statua rappresentante il dio prima di vibrare il colpo mortale sul toro. Per quest'ultimo particolare la statua si distingue da numerose altre che rappresentano lo stesso rito: infatti in quest'ultima il colpo mortale è già stato sferrato dal dio contro l'animale. La statua che si può osservare nelle grotte è una copia dell’ originale a sua volta conservata nell’Antiquarium di Ostia. L'unica fonte di luce, all'interno della cavità sotterranea, è un lucernario che caratterizza il soffitto e che illumina in particolare la statua. Durante il culto inoltre era abitudine dei fedeli consumare un pranzo sugli appositi letti triclinali, posizionati ai lati della grotta.

Sul lato sinistro della breve via di Felicissimo, in un edificio già esistente e di incerta funzione, fu ricavato nella seconda metà del III secolo un mitreo, ovvero un luogo di culto del mitraismo. In passato non vi si accedeva direttamente dalla strada, ma da un ambiente laterale. I podi e l'altare sono scomparsi. Il grande interesse del mitreo, sta nel mosaico del corridoio, documento tra i più completi di alcuni elementi fondamentali del rituale del culto del dio Mitra. Davanti all'ingresso antico si trovano i simboli dell'acqua, un cratere, e del fuoco, un altare con il fuoco acceso. All'inizio del corridoio due PILEI , dei copricapi di forma conica, simboleggiano i Dioscuri, che rappresentano a loro volta i due emisferi celesti attraversati dall'anima pitagorica: allo stesso modo nel mitraismo l'iniziando compiva il viaggio attraverso le sfere planetarie. Il mosaico che segue è suddiviso in sette rettangoli che alludono ai pianeti e rappresentano i gradi di iniziazione dei fedeli: ogni scomparto comprende anche l’oggetto rituale corrispondente. Questo mosaico rappresentava una figurazione simile a quelle di numerosi mitrei ostiensi, ma ne è sicuramente la più completa. Così il primo rettangolo è posto sotto la tutela di Mercurio e rappresenta il gradino più basso della gerarchia, il Corax, ovvero il corvo; l'oggetto rituale è un vaso per le abluzioni. Nel secondo rettangolo c'è il pianeta Venere, il grado è il Nymphus e l'oggetto è la lucerna. Il terzo rettangolo è sotto la protezione di Marte, con il grado del Miles, simboleggiato da una lancia, e come oggetto ha la bisaccia del soldato. Il pianeta del quarto rettangolo è Giove, il suo grado è il Leo, una paletta per trasportare il fuoco, mentre l'oggetto è il sistro sacro alla Magna Mater. Nel quinto rettangolo il pianeta è la Luna, c'è il grado del Perses, una spada falcata, e come oggetto la falce. Il sesto rettangolo è tutelato dal Sole, rappresenta il grado dello Heliodromus, la frusta per i cavalli della quadriga solare e contemporaneamente attributo ed oggetto rituale. Il settimo rettangolo ha come pianeta Saturno, come grado il Pater, il culmine della gerarchia, che ha come attributo il berretto frigio, portato da Mitra stesso, e come oggetto la bacchetta del comando e la patera per le libagioni. L'ottavo scomparto all'estremità è di lunghezza doppia ed ha l'iscrizione di FELICISSIMUS EX VOTO F(ECIT): si tratta del fedele che ha fatto costruire il mitreo, non del mosaicista.

 

 

 

 

Tempio della Magna Mater Santuario di Attis

Magna Mater o Cibele, era la divinità orientale della fertilità, introdotta a Roma intorno al 204 a.C.. Andati persi i 6 colonnati presenti in origine, conserva il podio in opera reticolata con tre arcate. Nel settore orientale il santuario di Attis, che era il pastorello amante di Cibele, ma siccome infedele, la dea lo fece impazzire, tanto che arrivò ad evirarsi. In questo santuario i riti erano molto pittoreschi e fastosi. 

Insulae

Questo complesso residenziale, edificato al tempo di Adriano, si distingue per la ricchezza degli apparati decorativi.

Le insulae sono rilevanti per gli splendidi affreschi parietali che mostrano uccelli colorati, piccoli quadretti e figurine, oltre a mosaici in bianco e nero che riproducono disegni geometrici.

L’Insula delle Muse era probabilmente la più elegante della città, per i suoi raffinati motivi architettonici e per i pannelli a fondo rosso e giallo, nei quali sono ritratte le figure delle nove Muse e di Apollo; questo è sicuramente il più notevole ornamento parietale di Ostia.

Di queste splendide abitazioni è possibile visitare nel suo interno quella al lato sud detta Domus dei Dioscuri, la più grande, che probabilmente appartenne a un famoso magistrato locale. Era l’unica entro le mura di Ostia a disporre di un piccolo impianto termale privato che dimostrava la ricchezza dei suoi proprietari.

Arrivati al bivio con via della Foce, si prende quest’ultima strada e si risale fino a incontrare le Terme dei Sette Sapienti.

 

Museo Ostiense

 

Voluto da papa Pio IX nel 1865, il Museo Ostiense raccoglie una ricca collezione di reperti archeologici rinvenuti durante gli scavi della città.

Di pregevole fattura sono le statue presenti all’interno del museo, tra le più importanti quelle dell’imperatore Traiano, di Faustina Maggiore, di Cartilio Poplicola, di Mitra mentre uccide il toro, diPerseo con testa di Medusa, di Giulia Domna Diva e i piccoli gruppi marmorei come Il Cavaspina eAmore e Psiche. La collezione dei ritratti comprende anche il busto-ritratto di Volcacius Miropnus e quello  di Asclepio, la testa di Traiano e il ritratto di Faustina Maggiore. All’interno del museo si trovano inoltre una raccolta di sarcofagi e bassorilievi, esempi di pittura parietale ricavata da tombe, emblemi in mosaico policromo e un opus sectile policromo con la presunta effige del Cristo benedicente.
All’interno del museo viene esibita inoltre una pregevole raccolta di sarcofagi di età imperiale fra qui va segnalato quello con la fronte decorata con scena dell’Iliade (Achille di fronte al corpo di Ettore).

                    

Visita alla Sinagoga

Risalente al I secolo d.C., la Sinagoga è una tra i più antichi edifici di culto ebraici. Rinvenuta nel 1961, si trovava originariamente a ridosso della spiaggia perché questi luoghi di culto erano eretti solitamente presso il mare.

 

 

 

E' ornata da quattro colonne e capitelli che racchiudono l’aula di culto, un’edicola absidata che rivela due colonnine che sorreggono mensole riproducenti candelabri a sette braccia; in quel luogo era custodita l’arca con la Torah e il pulpito dove si effettuava la lettura della Legge.

Per la disposizione del pulpitoil credente mentre leggeva si trovava a sud-est, in direzione di Gerusalemme.

Risalendo per il Decumano Massimo, sulla sinistra incontriamo un complesso

residenziale formato da diverse insulae.

 

SECONDO ITINERARIO: FROSINONE-MONTECASSINO-GAETA

Abbazia di Montecassino

Fondata nel 529 da san Benedetto da Norcia sul luogo di un'antica torre e di un tempio dedicato ad Apollo, situato a 519 metri sul livello del mare, ha subito nel corso della sua storia una alterna vicenda di distruzioni, saccheggi, terremoti e di una conseguente ricostruzione.

Nel 584, durante l'invasione dei Longobardi, il monastero fu distrutto per la prima volta e la comunità dei monaci, con le spoglie del Santo fondatore, dovette ripararsi a Roma. Poi, dal 643 i monaci trovarono ospitalità dalla comunita di San Colombano a Bobbio e in seguito nei vari monasteri ed abbazie colombaniane in Italia ed in Europa, diffondendo enormemente le comunità benedettine.

Ricostruita intorno al 717 sotto l'impulso di Petronace di Montecassino, l'abbazia venne distrutta una seconda volta dai Saraceni nel 883, venendo riedificata per volere di papa Agapito II solo nel 949.

Per tutto il medioevo, l'abbazia fu un centro vivissimo di cultura attraverso i suoi abati, le sue biblioteche, i suoi archivi, le scuole scrittorie e miniaturistiche, che trascrissero e conservarono molte opere dell'antichità. Testimonianze storiche del più alto interesse e di sicura validità sono state raccolte e tramandate a Montecassino: dai primi preziosi documenti in lingua volgare ai famosi codici miniati cassinesi, ai preziosi e rarissimi incunaboli.

Il più illustre dei suoi abati fu forse Desiderio - il futuro Papa Vittore III - che alla fine dell'XI secolo fece ricostruire completamente l'abbazia ed ornò la chiesa di preziosissimi affreschi emosaici, il cui riflesso si può ancora oggi scorgere in quelli che lo stesso abate fece eseguire in Sant'Angelo in Formis. Dalla Chronica Monasterii Casinensis sappiamo che l'abate Desiderio impiegò sforzi e capitali notevoli per la ricostruzione della chiesa abbaziale, compiuta nei soli cinque anni dal 1066 al 1071, utilizzando materiali lapidei provenienti da Roma e facendo venire da Bisanzio anche mosaicisti e artefici vari. La maggior parte delle decorazioni - della chiesa e dei nuovi ambienti del monastero successivamente riedificati - erano costituite da pitture, oggi in maggior parte perdute e delle cui conosciamo soltanto alcuni soggetti, come le Storie dell'Antico e Nuovo Testamento nell'atrio, di cui si conservano interamente i tituliscritti dall'arcivescovo di Salerno Alfano. Il ricorso a mosaicisti bizantini era motivato, come si legge nella Chronica, poiché: «da più di cinquecento anni i maestri latini avevano tralasciato la pratica di tali arti e per l'impegno di quest'uomo ispirato ed aiutato da Dio esse furono rimesse in vigore in questo nostro tempo», inoltre, «affinché la loro conoscenza non cadesse ancora oltre in oblio in Italia, quell'uomo pieno di sapienza decise che molti giovani del monastero fossero con ogni diligenza iniziati in tali arti.

 

 

 

Tuttavia non solo in questo campo, ma anche per tutti i lavori artistici che si possono compiere con oro, argento, bronzo, ferro, vetro, avorio, legno, gesso o pietra, fece venire i migliori artisti selezionati dai suoi monaci».

Distrutta da un terremoto nel 1349 e nuovamente ricostruita nel 1366, l'abbazia assunse nel XVII secolo l'aspetto tipico di un monumento barocco napoletano, grazie anche alle decorazioni pittoriche di numerosi artisti tra i quali Luca Giordano, Francesco Solimena e Francesco de Mura.

In epoca pre-cristiana il Monte Cassino, tra Roma e Napoli, era un luogo di culto pagano. Sebbene fossero passati già due secoli da, quando il primo Imperatore romano, Costantino, si era convertito al Cristianesimo, sul monte che Benedetto scelse come luogo di un nuovo inizio, vi era ancora il santuario di una divinità pagana. È stato tramandato che nell´anno 529 ebbe inizio la vita benedettina sul Monte Cassino. In quell´anno l´Accademia Platonica di Atene, l´Università degli antichi, chiuse le sue porte. “Quando l´Uomo Santo vi giunse egli cambiò la propria residenza, ma non il proprio nemico”, afferma Papa Gregorio in un titolo, prima di iniziare a narrare ciò che il Sant´Uomo visse in quel luogo nuovo che sarà anche l´ultima stazione della sua vita. Sin dall´inizio fu una lotta contro il male quella che Benedetto condusse sulla cima del Monte Cassino, e quanto più combatteva tanto più egli diveniva l´Uomo di Dio, il Benedetto, che in quel luogo costruisce, con l´ausilio di Dio, laddove altri si affidano solamente alle loro forze, che benedice dove altri bestemmiano. In primo luogo l´Abate di Monte Cassino distrusse i vecchi luoghi di culto, costruì due oratori, dedicandoli, rispettivamente, a San Giovanni Battista ed a San Martino di Tours. Consapevole però del fatto che la sua opera non fosse terminata, iniziò a predicare la parola di Cristo alle popolazioni che vivevano nelle vicinanze del Monte. Benedetto proseguì a Monte Cassino ciò che aveva avviato a Subiaco e diede ai suoi figlie e figlie, nel corso dei secoli, l´esempio della missione in quella proficua unione di parola ed azione. Quest´opera di San Benedetto spinse i suoi oppositori a compiere nuovi attacchi nei suoi confronti.  Emersero delle difficoltà nella costruzione dell´Abbazia. Il tentativo di togliere un blocco di roccia ostacolò i lavori di costruzione. Benedetto trovò una soluzione grazie alla quale l´enorme roccia poté essere asportata. I monaci, orgogliosi fin nel profondo del loro cuore, costruirono delle mura che, crollando, seppellirono un giovane fratello. Benedetto si rivolse, quindi, pregando a Dio affinché egli salvasse il giovane seppellito sotto il muro e lo restituisse ai confratelli che si occupavano della costruzione dell´Abbazia. Ingannati dal nemico malvagio i fratelli videro un ardore di fuoco, dal quale uscivano delle scintille. A quel punto Benedetto aprì gli occhi dei suoi confratelli, liberandoli così da ogni paura, che li rendeva dimentichi del fatto che essi costruivano la casa per opera di Dio. Dopo che la struttura esterna, nonostante tutte le difficoltà, era stata portata a compimento con l´aiuto di Dio, Benedetto si apprestò a rafforzare la sua piccola comunità che era in costante crescita Ma il maligno iniziò a sferzare i suoi attacchi anche contro i monaci, diffondendo disorientamento, dovunque gli era possibile. L´occhio del padre dei monaci sapendo riconoscere dove il pericolo poteva manifestarsi, indicò ai suoi discepoli dove il maligno voleva colpire.

Benedetto si occupava in primo luogo dei suoi confratelli, ma si faceva carico anche delle persone che abitavano nelle vicinanze del Convento. Egli si preoccupò di creare, tra l´altro, delle Comunità femminili e fece sì che “i fratelli si recassero regolarmente in queste Comunità per “conforto e consolazione”. Analogamente Benedetto diede il suo aiuto anche a numerose persone in condizioni di necessità, sia sotto il profilo spirituale che materiale. In periodi di fame e di carestia egli riuscì a offrire il proprio aiuto e, grazie ad un’economia oculata e riuscì a distribuire cereali ed oli in modo tale che nessuno dovette patire la fame e nessuno vivesse nell´eccesso.

 

Egli predicava a coloro che non conoscevano il Cristo, consolava coloro che avevano patito la scomparsa di una persona cara, e guariva grazie alle sue preghiere, laddove la medicina umana falliva. Egli non esitava in quel timore che è l´inizio della saggezza, e nemmeno esitò davanti al potente Re Totila, che accusò senza timore dei suoi misfatti prevedendone la fine. San Gregorio, nella parte della sua biografia di San Benedetto che riguarda gli anni a Monte Cassino, delinea l´immagine di un Abate che corrisponde esattamente all´immagine dell´autore della Regola. Egli è il fedele pastore che si prende cura del gregge che gli è stato affidato, è il saggio maestro che indica “le cose buone e sante più con i fatti che con le parole”. E´ il buon padre che esercita “la misericordia prima del diritto” e rivolge “il medesimo amore” a tutti i suoi figli.

Nella sua amorevole cura di pastore, maestro e padre Benedetto lasciò ai suoi discepoli la Regola, quell´ordinamento scritto della vita che ha attraversato i secoli ed è giunto sino a noi senza mostrare i segni del tempo. La ricca esperienza di un uomo con gli occhi sempre spalancati sul mondo ed un cuore pronto all´ascolto si unisce in unì progetto complessivo. Nella sua gioventù a Norcia e Roma, negli anni della ricerca a Enfide, a Vicovaro, negli anni del suo servizio nell´Abbazia di Subiaco ed infine a Monte Cassino, Benedetto ha potuto vivere e sperimentare alcune forme di vita. Dalla ricchezza di queste esperienze egli trasse, alla fine dei suoi giorni, quei tesori che gli parvero degni di essere tramandati nel tempo. Egli li collegò con ciò che egli stesso aveva appreso nel quotidiano confronto, unendo tali tesori alla costante riflessione sulla parola delle Sacre Scritture, ne trasse una Regola che Gregorio Magno caratterizza come “unica nella sua saggia moderazione, illuminata nella sua rappresentazione”. Inizialmente scritta concretamente per Monte Cassino, la Regola è comunque di una validità generale, che ci fornisce una prova eloquente dell´ampiezza del cuore del suo autore..

Cassino War Cemetery 

(Cimitero di Guerra di Cassino) è un cimitero militare di Cassino (FR) dove riposano i soldati dei paesi Commonwealth caduti nella battaglia di Montecassino durante la Seconda Guerra Mondiale. Vi sono 4.266 tombe di militari provenienti dagli attuali Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica,India e Pakistan ed un soldato dell'Armata Rossa. 284 di questi militari non sono stati identificati. Sempre a Cassino vi è anche un cimitero militare polacco ed uno tedesco.

Pranzo: 13,30

GAETA

Castello Angioino-Aragonese

Non è facile risalire al periodo in cui fu costruito il Castello di Gaeta. Probabilmente fu eretto nel VI secolo durante la guerra dei Goti o nel VII secolo quando le zone marittime del Lazio e della Campania erano oggetto delle mire espansive dei Longobardi. Nei documenti gaetani di quel periodo ci si inizia a riferire a Gaeta con l'appellativo di "Kastrum".

 

 

 Notizie certe dell'esistenza del Castello di Gaeta si hanno al tempo di Federico II di Svevia, il quale durante il periodo delle lotte col papato, soggiornò in diverse occasioni in Gaeta, e, intuendone la posizione strategica, nel1223 vi fece fortificare il castello.

La struttura che oggi ammiriamo, grande circa mq 14.100, è detta Castello Angioino-Aragonese perché è composta da due edifici comunicanti realizzati in due momenti storici diversi, uno più in basso detto "Angioino", realizzato durante la dominazione francese degli angioini, e uno più in alto detto "Aragonese", fatto costruire dall'imperatore Carlo V insieme a tutte le altre opere di difesa militare che andarono a rafforzare la Piazzaforte di Gaeta. L'ala angioina fino a pochi anni fa è stata sede del Carcere Militare di Gaeta, attualmente è di proprietà del Comune di Gaeta, chiusa in attesa di restauro, e vi è un protocollo d'intesa firmato tra la Città di Gaeta e l'Università di Cassino (FR) che intende destinare in futuro tale ala del castello come sede delle facoltà universitarie di discipline marinare. L'ala aragonese fino al termine della Seconda guerra mondiale è stata sede di un Battaglione Allievi Carabinieri, oggi invece ospita la Scuola Nautica della Guardia di Finanza. Nella cupola della torre più alta del castello vi è la Cappella Reale, voluta dal re Ferdinando di Borbone nel 1849.

 

TERZO ITINERARIO :  RIETI

Quartieri medievali della città

Complesso della Cattedrale della città e del museo del tesoro del Duomo

L'antica Reate, che la leggenda vuole fondata dalla dea Rea, da cui forse deriverebbe anche il nome della città, sorse, all'inizio dell'età del ferro presumibilmente intorno al IX-VIII sec. a.C. Probabilmente in origine le terre intorno a Rieti, furono abitate dagli umbri, per essere poi conquistate dagli aborigeni, una popolazione di origini incerte, e infine dai Sabini che, come suggeriscono i ritrovamenti archeologici, arrivarono fino ai territori vicini al Tevere.

Età antica

Così come la fondazione della città si perde nella leggenda, anche i primi contatti con Roma non hanno contorni ben definiti. Si ricorda, infatti, il ratto delle sabine. Come molte leggende tale avvenimento si basa su fatti accaduti realmente. La città di Roma era, infatti, sorta da poco e Romolo, in cerca di alleanze e donne per popolare la città pensò di sfruttare la festa della consulia, alla quale parteciparono anche i Sabini, per rapire le donne di cui Roma aveva bisogno per crescere. La conseguenza fu la guerra fra Roma e i suoi vicini, i quali furono sconfitti ad eccezione dei Sabini. Lo scontro si fermò, quando le donne rapite si gettarono fra le armi dei contendenti imponendo la tregua fra Romolo e Tito Tazio e la nascità di una collaborazione fra i due popoli. Per un'analisi più approfondita del fatto si rimanda alla voce sul Ratto. Rieti e il suo territorio furono conquistati definitivamente e assoggettate a Roma nel 290 a.c.[7] per opera del console Manio Curio Dentato, rimanendo prefettura fino al 27 a.C. e divenendo poi Tribù Quirinae. In breve l'intera sabina venne presa. Proprio al console romano si deve l'opera di bonifica dell'antico lacus velinus, operata facendo confluire le acque nel vicino fiume Nera, dando vita alla famosa cascata delle Marmore.

 

 

Nel corso del tempo molte furono le antiche famiglie sabine che diedero lustro alla città di Roma e ne seguirono le sorti. Da ricordare l'ascesa della Gens Flavia, il cui esponente più noto, l'Imperatore Tito Flavio Vespasiano, ebbe i meriti di iniziare la costruzione del più noto monumento romano: il Colosseo. Quest'ultimo, conosciuto anche con il nome di Anfiteatro Flavio, vide l'inizio dei lavori intorno al 72 d.C. e fu completato sotto l'Impero di Tito, figlio di Vespasiano, nell'80 d.C. Degno di essere ricordato è, altresì, il grandissimo scrittore Marco Terenzio Varrone, nato a Rieti nel 116 a.C. e sovente ricordato con l'appellativo de "Il Reatino" e "padre della romana erudizione". Nella tarda antichità ( VI secolo circa ) Rieti vide l'arrivo dei Longobardi, che nel 568 avevano fatto il loro ingresso nella penisola italiana, i quali, barbari e pagani, ebbero ben presto a convertirsi al cristianesimo per mezzo dell'opera dei monaci benedettini della vicina Abbazia di Farfa. Nel 592 d.C. La Sabina divenne parte del Ducato di Spoleto.

 

Medioevo

Dopo il saccheggio dei saraceni avvenuto durante il X secolo, la città fu gradualmente ricostruita e la figura del Vescovo assunse un'importanza fondamentale con la ricostruzione della cattedrale nel 1109. Il secolo successivo fu un periodo di splendore per la città di Rieti. Il suo rinnovo urbano coincise, del resto, con la presenza nei santuari circostanti il territorio, di S. Francesco d'Assisi che, come con la città di Soriano nel Cimino (VT) dove venne confermato il suo ordine da Papa Niccolò III, ebbe un rapporto privilegiato con Rieti e con il territorio reatino. A tal proposito, basti menzionare l'anno 1223 che passò alla storia per la creazione, nel santuario di Greccio, del primo presepe vivente che, ancor oggi, è simbolo mondiale della cristianità. Nel 1289, Carlo II d'Angiò, fratello del Re di Francia Luigi IX, venne incoronato Re di Puglia, Sicilia e di Gerusalemme da Papa Nicolò I, presso la Cattedrale della città.

Abbazia di Farfa - ore 15

L'Abbazia di Farfa, che nel suo periodo di maggior splendore dominava vasti territori dell'Italia Centrale, fu edificata nel VI secolo per volontà di San Lorenzo Siro. Il secolo successivo, dopo essere stata devastata dai Longobardi, fu ricostruita dal monaco Tommaso da Moriana e si avviò verso anni di prestigio e fecondità economica. Importante fu la protezione assicurata dal Faroaldo II, duca di Spoleto che le consentì di essere alla pari dei piccoli stati autonomi. L'abbazia ospitò anche Carlo Magno, che ne accrebbe ulteriormente il potere, concedendo ulteriori autonomie: i periodi d'oro durarono fino alla fine del IX secolo, interrotti delle scorrerie dei Saraceni. Dopo anni caratterizzati dal susseguirsi di fortune alterne, nel Quattrocento la chiesa fu ricostruita per sopperire allo stato di rovina in cui versava la vecchia basilica. I lavori, voluti dall'abate Giovanbattista Orsini, durarono circa settant'anni e la consacrazione avvenne nel 1496. La chiesa è preceduta da un cortile, cui si accede tramite un portone con di sopra un affresco, probabilmente opera di Cola dell'Amatrice. L'interno è formato da tre navate divise tra loro mediante colonne ioniche ed è da ammirare il bellissimo soffitto a cassettoni recante lo stemma della famiglia Orsini. Tra le opere presenti destano grande interesse e venerazione la Madonna di Farfa, con solo il volto scoperto a causa del rivestimento in lamina di ottone, le tele di Sant'Orsola, della Madonna col Bambino e della Crocifissione di San Pietro di Orazio Gentileschi e il maestoso affresco del Giudizio Universale di Henrik van der Broek, realizzato mediante la tecnica dell'olio su muro. Accanto alla chiesa sorgono il Chiostrino Longobardo, il Chiostro Grande, la Cripta, il museo e la biblioteca.

 

QUART0 ITINERARIO: TIVOLI

L’imperatore Adriano disse “luogo d’origine non è dove si nasce, ma dove si prende coscienza”

Villa Adriana

Fatta costruire nel territorio attualmente appartenente al comune di Tivoli dall'imperatore Adriano a partire del 117 D.C., come sua residenza imperiale lontana da Roma, ed è la più importante e complessa Villa a noi rimasta dell'antichità romana, essendo vasta come e più di Pompei (almeno 80 ettari).

Entrata nel novero dei Monumenti Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco nel 1999, Villa Adriana condivide con molti altri celebri siti archeologici il paradosso di essere nota e scavata da più di cinquecento anni, pur rimanendo in gran parte sconosciuta nella sua sostanza.

 Villa Adriana visse fino alla tarda antichità e, dopo esser stata saccheggiata da Totila, conobbe lunghi secoli di oblio, durante i quali divenne "Tivoli Vecchio", ridotta a cava di mattoni e di marmi per la vicina città di Tivoli, importante sede vescovile. Alla fine del Quattrocento, Biondo Flavio la identificò nuovamente come la Villa dell'Imperatore Adriano  di cui parlava l'Historia Augusta, e nello stesso periodo Papa Alessandro VI Borgia promosse i primi scavi all'Odeon, durante i quali vennero scoperte le statue di Muse sedute attualmente al Museo del Prado di Madrid. La sua fama fu consacrata da Papa Pio II Piccolomini, che la visitò e descrisse nei suoi Commentarii.

Villa d’Este  – ore 15

Villa d’Este, capolavoro del giardino italiano e inserita nella lista UNESCO del patrimonio mondiale, con l’impressionante concentrazione di fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e musiche idrauliche costituisce un modello più volte emulato nei giardini europei del manierismo e del barocco.

Il giardino va per di più considerato nello straordinario contesto paesaggistico, artistico e storico di Tivoli, che presenta sia i resti prestigiosi di ville antiche come Villa Adriana, sia un territorio ricco di forre , caverne e cascate, simbolo di una guerra millenaria tra pietra e acque. Le imponenti costruzioni e le terrazze sopra terrazze fanno pensare ai Giardini pensili di Babilonia, una delle meraviglie del mondo antico, mentre l’adduzione delle acque, con un acquedotto e un traforo sotto la città, rievoca la sapienza ingegneresca dei romani.

Il cardinale Ippolito II d’Este, dopo le delusioni per la mancata elezione pontificia, fece rivivere qui i fasti delle corti di Ferrara, Roma e Fointanebleau e rinascere la magnificenza di Villa Adriana. Governatore di Tivoli dal 1550, carezzò subito l’idea di realizzare un giardino nel pendio dirupato della “Valle gaudente, ma soltanto dopo il 1560 si chiarì il programma architettonico e iconologico della Villa, ideato dal pittore-archeologo-architetto Pirro Ligorio e realizzato dall’architetto di corte Alberto Galvani.

Le sale del Palazzo furono decorate sotto la direzione di protagonisti del tardo manierismo romano come Livio Agresti, Federico Zuccari, Durante Alberti, Girolamo Muziano, Cesare Nebbia e Antonio Tempesta. La sistemazione era quasi completata alla morte del cardinale (1572).

 

 

Dal 1605 il cardinale Alessandro d'Este diede avvio ad un nuovo programma di interventi per il restauro e la riparazione dei danni alla vegetazione e agli impianti idraulici, ma anche per creare una serie di innovazioni all'assetto del giardino e alla decorazione delle fontane. Altri lavori furono eseguiti negli anni 1660 - 70, quando fu coinvolto lo stesso Gianlorenzo Bernini. Nel XVIII secolo la mancata manutenzione provocò la decadenza del complesso, che si aggravò con il passaggio di proprietà alla Casa d'Asburgo. Il giardino fu pian piano abbandonato, i giochi idraulici, non più utilizzati, andarono in rovina e la collezione di statue antiche, risalente all'epoca del Cardinal Ippolito, fu smembrata e trasferita altrove. Questo stato di degrado proseguì ininterrotto fino alla metà del XIX secolo, quando il cardinale Gustav von Hohelohe, ottenuta in enfiteusi la villa dai duchi di Modena nel 1851, avviò una serie di lavori per sottrarre il complesso alla rovina. La villa ricominciò così ad essere punto di riferimento culturale, e il cardinale ospitò spesso, tra il 1867 e il 1882, il musicista Franz Liszt (1811 - 1886), che proprio qui compose Giochi d'acqua a Villa d'Este, per pianoforte, e tenne, nel 1879, uno dei suoi ultimi concerti.

Allo scoppio della prima guerra mondiale la villa entrò a far parte delle proprietà dello Stato Italiano, fu aperta al pubblico e interamente restaurata negli anni 1920-30. Un altro radicale restauro fu eseguito, subito dopo la seconda guerra mondiale, per riparare i danni provocati dal bombardamento del 1944.  A causa delle condizioni ambientali particolarmente sfavorevoli, i restauri si sono da allora susseguiti quasi ininterrottamente nell’ultimo ventennio (fra questi va segnalato almeno il recente ripristino delle Fontane dell’Organo e del “Canto degli Uccelli”).

 

QUINTO ITINERARIO: RONCIGLIONE – CAPRAROLA

Un pezzetto delle tappe laziali della Via Francigena anticamente chiamata Via Francesca o Romea e detta talvolta anche Franchigena, è il percorso di un pellegrinaggio che da Canterbury portava a Roma e costituiva una delle più importanti vie di comunicazione europee in epoca medioevale.

Si tratta del tracciato del percorso storico francigeno che, partendo da Viterbo, attraversa i Monti Cimini dirigendosi verso sud, entra nella caldera del lago di Vico, ne bordeggia il lato orientale, aggira il Monte Venere alla sua sinistra ed esce dall’alveo del lago dopo un ampio giro, dirigendosi verso la località di Caprarola (a est) oppure verso quella di Ronciglione (a sud). 
Questo tragitto, più diretto, sicuro e corto rispetto a quello di "pianura", fu attivato dai viterbesi nel 1137, dopo aver distrutto i borghi e i posti tappa situati sul percorso più antico di Sigerico, che transitava a ovest di Viterbo.

 

Ronciglione 

Alla primitiva Ronciglione vi si aveva accesso da Porta Castello, presso Piazza dell'Olmo e da Ponte delle Tavole e Porta Pèntoma sotto la Torre-Campanile della Provvidenza.

 

Il documento più antico nel quale si trova citato il nome di Ronciglione, risale al 1103. Cipriano Manente, storico orvietano del sec. XVI, pone come data approssimativa di fondazione (nel caso, si tratterebbe di rifondazione sopra le antiche rovine) l'anno 1045 per intervento dei prefetti di Vico che dominarono la "Valle Tiberina... et il Lago di Vico".

Nel 1526 Ronciglione venne in possesso dei Farnese e sotto la loro avveduta signoria visse il periodo di maggior sviluppo e splendore (1526-1649).

Fu un centro economicamente avanzato per il vasto apparato manifatturiero: ferriere, ramiere, cartiere, ceramiche, armerie, stamperie etc. ed ebbe una vivacità culturale legata a varie Accademie (Desiderosi,Cimina, Arcadico Cimina, Erculea Cimina etc.) e tipografie dove furono stampati fra l'altro la prima edizione italiana della Secchia Rapita del Tassoni (1642) e dell'Aminta del Tasso. Nel 1728 Papa Benedetto XIII eresse Ronciglione Città. Il secolo XVIII si chiuse drammaticamente con i moti antifrancesi, durante la prima Repubblica Romana del 1798-1799. L'incendio, appiccato alle truppe francesi del Generale Valterre, divampò dal 28 al 30 luglio 1799 e distrusse 174 edifici e tutto l'Archivio Storico.

La presenza della piccola comunità ebraica di Ronciglione, nel periodo precedente ai decreti di espulsione della fine del XVI secolo, è attestata nel vecchio borgo dall'indicazione toponomastica.

 

Caprarola

Caprarola sorge sul versante meridionale dei Monti Cimini, dove il panorama si apre nella grande valle del Tevere. Per la bellezza dei luoghi è stata oggetto nel 1995 di studi della Scuola di Architettura del Principe Carlo d'inghilterra, benché tutto il territorio circostante è ricco di insediamenti etruschi, Caprarola conobbe le prime origini intorno al X sec., poiché, anticamente, i Monti Cimini erano ricoperti da fitti ed impenetrabili boschi chiamati Selva Cimina, alla quale furono legate leggende terrificanti, di mostri e dei malvagi.
Ciò tardò l'insediamento umano e l'arrivo dei Romani. Il medioevo fu caratterizzato dalle contese dei vari feudatari, i Di Vico, gli Orsini e gli Anguillara, fatte di sanguinose guerre e rivalità.
Fu nel '500 che conobbe il massimo splendore, quando i Farnese, con la nomina a Papa Paolo III del card. Alessandro Farnese, e con la costituzione del Ducato di Castro, estesero notevolmente il proprio dominio costruendo fastose ville e castelli. A Caprarola fu costruita la villa più rappresentativa del livello di ricchezza e di potenza che questa nobile famiglia raggiunse; il Palazzo Farnese di Caprarola.

Con la costruzione di questa grandiosa opera, realizzata in soli 27 anni, si avviò una serie di lavori per adattare l'assetto urbano alle esigenze architettoniche del palazzo, abbattendo alcuni edifici per costruire ponti ed un’inconsueta via diritta che avrebbe attraversato il centro abitato, dai piedi del paese fino al piazzale del palazzo.
Il primo progetto, voluto dal card. Alessandro Farnese (il vecchio), fu affidato ad uno dei più importanti architetti dell'epoca, Antonio Sangallo. Nel 1530 iniziarono i lavori, ma già nel 1534 furono sospesi a seguito dell'investitura pontificia del card. Alessandro Farnese a papa Paolo III.

 

Qualche anno più tardi, il nipote di Paolo III, card. Alessandro il giovane, si ritirò a Caprarola per dimenticare l'uccisione del padre Pier Luigi (duca di Castro), nel palazzo di Piacenza, e le disavventure che la famiglia dovette subire causate in parte dalla rivalità di quei nobili che si erano visti strappare il papato e così tanta potenza.
Egli rappresentava l'apice della dinastia, forse più del noto nonno Paolo III, ma ciò, probabilmente, era stato previsto dall'acutezza di quest’ultimo, riconoscendo nel nipote doti invidiabili di cultura ed intelligenza, capace di profonda umanità e grande diplomazia nei rapporti politici ed aristocratici, sempre affiancato da architetti e consiglieri.
Alessandro Farnese s'innamoro subito di Caprarola essendo un luogo strategico geograficamente ma anche per l'aria così salubre che vi si respirava. Pensò quindi di riprendere il sogno di suo nonno Paolo III.
Fu così che nel 1559 su disegno di Jacopo Barozzi detto il Vignola, iniziarono i lavori dell'opera più insigne dei Farnese, più grande e fastosa del Palazzo Farnese di Roma. Vi lavorarono i pittori più importanti, gli architetti più illustri, il meglio del meglio che a quei tempi si potesse avere nello studio di una grande pianificazione urbanistica che vide, appunto, non solo la realizzazione del Palazzo ma anche la ricostruzione del nucleo urbano che rigorosamente doveva essere adattato alla mole ed al pregio del Palazzo.
Così oggi possiamo apprezzare la complessa struttura architettonica, i mirabili affreschi persi tra le false immagini di porte, finestre, tende, marmi e statue in un susseguirsi di giochi visivi al punto da confondere il visitatore, ma anche le meraviglie che si scoprono dall'alto.
Il Palazzo appare come un olimpo raggiunto da un' unica via d'accesso che, abbandonati i percorsi sinuosi della vecchia strada medievale, si dirige dritta alle leggiadre scalinate che portano alla grande piazza che precede l'ingresso principale.
Fu costruito in pianta pentagonale, su una base che doveva ospitare più una fortezza che una villa, circondato da un profondo fossato in cui oggi si riconoscono i grandi bastioni angolari appositamente lasciati come a dimostrare la grande potenza militare dei Farnese.
Gli spazi vennero concepiti secondo criteri ed esigenze ben precise, tra cui la divisione degli ambienti in due zone: quella estiva a nord, e quella invernale ad ovest. Le scale della servitù vennero ricavate negli spessori dei muri e non dovevano in nessun modo comunicare con gli ambienti dove si svolgeva la vita del cardinale.
Gli Interrati, il cui accesso era consentito dalla grande piazza antistante, aprivano il passaggio alle carrozze. In questa zona erano disposte anche le cucine, i magazzini ed i servizi necessari alla servitù.
Qui si collegava anche la Scala del Cartoccio, che sale nascosta all'interno delle pareti fino al tetto, così chiamata poiché, essendo elicoidale, una guida scolpita sul suo corrimano permetteva di far scendere dal'alto della scala un cartoccio di carta riempito di sabbia o di un sassolino.
Ciò permetteva di far scendere messaggi veloci in segretezza. Al di sopra dell'interrato si trova il Piano Rialzato, detto dei Prelati, cui si accede dalla scala interna o da quella esterna, sopra all'ingresso degli interrati. Già in questo piano si trovano le stanze affrescate da Taddeo Zuccari, come le Stanze delle Stagioni che narrano negli affreschi i fatti di Giove, le cui prospettive, ideate dal Vignola, dilatano gli spazi in una visione irreale.
La Stanza delle Guardie, invece, fu affrescata da Federico Zuccari dopo la morte del fratello.
Attraverso questi ambienti si raggiunge lo straordinario cortile progettato dal Vignola in forma circolare, composto di due caratteristici porticati sovrapposti le cui Volte furono magistralmente affrescati da Antonio Tempesta, come pure le pareti della scala elicoidale interna.

 

Questa originale interpretazione usciva dalle regole dell'epoca, poiché la scala per raggiungere i piani superiori, che solitamente era costruita nel cortile, fu ricavata internamente e rappresentò tutto l'estro del Vignola, tanto che fu chiamata Scala Regia.
Una superba scala che ruota su trenta colonne di peperino attraverso il quale il Cardinale poteva raggiungere le camere da letto anche a cavallo. Sopra al piano rialzato fu costruito il Piano Nobile, diviso in due appartamenti: quello dell'estate affrescato quasi totalmente da Taddeo, e, in parte da Federico, mentre quello dell'inverno dal Bertoja, da Raffaellino da Reggio e da Giovanni De Vecchi.
Qui si trova anche la camera da letto del cardinale, detta anche Camera dell'Aurora, e la stanza delle celebrità della famiglia Farnese, detta Stanza dei Fasti Farnesia che narra negli affreschi la storia della famiglia fin dai suoi antenati. Nello stesso piano si trova l'Anticamera del Concilio, dove l'attenzione è rivolta alla figura di Paolo III e al Concilio di Trento.
Nel 1566 muoiono Taddeo ed Annibal Caro. Taddeo fu sostituito dal fratello Federico, mentre Annibal Caro fu sostituito con Ottavio Panvinio e Fulvio Orsini. Federico affrescò parte delle stanze del piano nobile e soprattutto la raffinatissima Cappella in cui dimostrò tutta la maturità artistica, mentre le elaborazioni del pavimento furono disegnate dal Vignola.
Segue la Sala di Ercole, voluta da Annibale Caro con un grande loggiato. I pregevoli affreschi, realizzati da Federico, si rifanno alla mitologia ed in particolare alla leggenda di Ercole che diede origine al lago di Vico. Questo suggestivo loggiato si affaccia a sud, sul piazzale e sul paese tagliato dalla via dritta ed intorno agli immensi panorami. L'iniziale sudditanza di Federico, nei confronti del cardinale, si trasformò in arrogante presunzione dopo aver raggiunto un certo livello di bravura e per questo motivo fu sostituito dal cardinale con Giacomo Zanguidi detto il Bertoja il quale lavorò nelle Stanze della Penitenza, dei Giudizi, quella dei Sogni e quella degli Angeli. Altri artisti lavorarono dopo il Bertoja, tra cui Giovanni De Vecchi e Raffaellino da Reggio.

Una delle stanze più affascinanti è la stanza delle Carte Geografiche, o del mappamondo, affrescata da Giovanni Antonio da Varese, probabilmente con la collaborazione di Raffaellino e De Vecchi, ma non è noto il nome del pittore che realizzò l'opera più affascinante della stanza, ovvero l'originale rappresentazione dello Zodiaco nella volta del soffitto.
Il Vignola morì nel 1573 ed i lavori vennero terminati nel 1575 insieme al quarto e quinto piano riservati agli staffieri e ai cavalieri.

SESTO ITINERARIO: SUTRI- VITERBO

Tutta la zona intorno a Sutri fu abitata ininterrottamente, e ciò è dimostrato da innumerevoli testimonianze soprattutto sul colle di fronte al paese dove sono visibili il Mitreo e resti di edifici che ancora oggi mostrano linee architettoniche   di varie epoche.
In cima al colle venne successivamente costruita la meravigliosa Villa Savorelli.
Lungo il costone di tufo che precede il paese, venendo da Roma, sulla via Cassia, si estende una vasta necropoli etrusca visibile dalla strada e più avanti si apre l'ingresso all'anfiteatro romano, uno dei monumenti più importanti del Lazio.

 

 

Il centro storico di Sutri conserva ancora la sua antica atmosfera,  con bei   palazzi, chiese ed angoli suggestivi.           

Sutri si trova sull'asse viario della Via Francigena; lungo il tracciato proveniente da Capranica, i pellegrini scendevano a Sutri per dirigersi a Roma.

SUTRI

Duomo. Edificio Romanico costruito su un tempio risalente agli albori della Cristianità e successivamente rimaneggiato nel XVIII sec.. Del 1200 e l’elegante campanile. Interessante è il pavimento policromo dei Cosmati nella navata centrale. Al suo interno si conservano una pregevole statua in legno di scuola berniniana ed una tavola in stile bizantino dell'XIII sec.. In un salone dietro il coro è allestito un "antiquarium" con resti di sculture romane e medievali. La cripta e del 1000 ed e ad otto navate divise da colonne di vari stili. Porta vecchia. E’ etrusco-romana con influenze medievali: la base a grandi blocchi e etrusca, le parti murarie a mattoni sono romane. Chiesa della Madonna del Parto. E’ scavata ne tufo, fu dapprima tomba etrusca, quindi trasformata dai romani in un tempio dedicate al dio Mitra e quindi elevata a chiesa cristiana; all'interno numerosi affreschi di carattere primitive. Necropoli etrusca. E’ la testimonianza della presenza etrusca nella zona: le tombe rupestri sono scavate nel masso tufaceo disposte su una o più file sovrapposte, alcune rozzamente decorate, altre presentano più ambienti divisi da pilastri. Durante i secoli, le tombe furono saccheggiate e utilizzate come ricovero di animali. Anfiteatro. La sua origine è incerta, forse etrusca o romana, di sicuro la tecnica e le maestranze furono etrusche. E’ scavato nel tufo, di forma ellittica, poteva contenere circa 3000 persone. La grotta di Orlando. E’ una grotta etrusca, fuori dall'abitato, in cui, secondo la leggenda, nell’VIII sec. nacque Orlando, paladino di Francia. La casa di Dante: una modesta abitazione, all’interno della città vecchia, viene ancora oggi indicata come casa di Dante Alighieri, che vi soggiornò mentre si recava a Roma per il giubileo del 1300.

 

VITERBO - ore 15

Il Duomo di San Lorenzo 

Accanto al Palazzo dei Papi sorge anche il Duomo, dedicato a San Lorenzo. Il Duomo fu eretto nel corso del XII secolo sul terreno ove era sita una piccola chiesa del VII secolo dedicata a San Lorenzo, a sua volta edificata sulle rovine di un tempio pagano dedicato ad Ercole, ma la sua facciata risale solo al 1570, quando fu realizzata su disposizione dell'allora vescovo della diocesi e futuro cardinale Giovanni Francesco Gambara. Il Duomo ha subito notevoli danni durante un bombardamento della città da parte degli alleati nel 1944. Il restauro successivo ha restituito parte della struttura romanica preesistente ai rimaneggiamenti eseguiti durante il periodo barocco. Il campanile trecentesco è formato nella parte alta da strati segnati da doppie bifore e da fasce policrome orizzontali.

Lo spazio interno è articolato in tre navate separate da due file di colonne culminanti in eleganti capitelli. Il pavimento è in stile cosmatesco. Nella zona absidale della navata sinistra vi è il sepolcro di papa Clemente IV (†1268) e poco distante è sita una pregevole tavola del XII secolo raffigurante la Madonna della carbonara di stile bizantino. [2] 

 

La leggenda dice che nella chiesa sia stato sepolto anche papa Alessandro IV (†1261), ma che la sua salma sia stata spostata successivamente in luogo segreto, ma sempre nella chiesa, per sottrarla a violazioni da parte dei suoi nemici. 

La visita al Centro Storico del Comune di Viterbo può iniziare da Piazza del Plebiscito, sita a breve distanza dalla grande area di parcheggio del Sacrario. Si perviene alla piazza percorrendo Via Filippo Ascenzi, creata negli anni '30, sulla quale prospettano il Palazzo delle Poste (Cesare Bazzani, 1935) e il retro della Chiesa di S. Maria della Salute (XIV secolo) con il suo splendido portale. Piazza del Plebiscito, dominata dalla Torre dell'Orologio (1487) e con due leoni in nenfro agli angoli, è il centro della città e fu creata verso la metà del '200 per ospitare la nuova sede del Comune. E' chiusa su tre lati dalle facciate dei palazzi che appartennero nei secoli passati ai Priori, al Podestà e al Capitano del Popolo. Degno di visita è il PALAZZO DEI PRIORI, sede dell'amministrazione comunale, realizzato tra XIII e XVII secolo, con il bel colonnato duecentesco e il piano nobile affrescato nel '500 (Sala Regia e Sala del Consiglio) con temi riguardanti le origini mitologiche viterbesi. Nel giardino è un'elegante fontana del XVII secolo, di Filippo Caparozzi. Sul quarto lato della piazza è la Chiesa di S. Angelo in Spatha e lo sbocco di Via Cavour, aperta nel 1573, che taglia in due il Palazzo delle Carceri.

Imboccando Via San Lorenzo, ci si inoltra nel nucleo più antico della città. Dopo alcuni metri, si apre sulla destra Via Chigi con l'omonimo palazzo quattrocentesco e poco oltre PIAZZA DEL GESU', il primitivo centro della vita urbana. Qui si possono osservare i resti dell'antico palazzo comunale (XI secolo), inglobati in un edificio posteriore, la Torre del Borgognone (XII secolo), la Fontana del Gesù (1923, con frammenti rinascimentali) e la Chiesa di San Silvestro (XI secolo), dalla semplice e singolare struttura romanica, nota per esservi avvenuta l'uccisione di Enrico di Cornovaglia il 13 marzo 1271, ricordata da Dante nell'inferno.
Via S. Lorenzo, che percorre a ritroso il cammino di sviluppo della Viterbo medioevale, conduce nell'alberata Piazza della Morte, con l'omonima fontana a fuso (XIII secolo), probabilmente la più antica della città. Sulla piazza si affacciano anche la Loggia di San Tommaso ('200) e la Chiesa di S. Giacinta Marescotti (1960, vi si venera il corpo della santa di Vignanello, 1585-1640) con il Monastero di S. Bernardino. Dalla piazza prende avvio il Ponte del Duomo, sorto su basi etrusco-romane, fiancheggiato dal Palazzo del Drago a sinistra e dal PALAZZO FARNESE a destra, entrambi del '400. Siamo ormai sul Colle del Duomo, luogo del più antico nucleo di Viterbo, il longobardo Castrum Viterbii. Al termine della via, oltre il ponte, si apre la scenografica PIAZZA SAN LORENZO, con la CATTEDRALE dedicata al "martire della graticola", il CAMPANILE trecentesco a fasce bianche e brune, la CASA DI VALENTINO DELLA PAGNOTTA (XIII secolo) e il celebre PALAZZO DEI PAPI, oltre al Palazzo Marsciano, al Seminario e a un angolo dell'Ospedale Grande degli Infermi.
Il Duomo fu innalzato nel XII secolo in forme romaniche, la facciata è invece del '500, mentre l'interno ha conservato le sue linee originarie, seppur ingentilite da alcune aggiunte successive come le cappelle laterali. Vi si conservano quadri del Romanelli e le reliquie dei SS. Valentino e Ilario (IV secolo), compatroni della città. Sotto il campanile si accede al Museo del Colle del Duomo. Il Palazzo Papale fu costruito tra 1255 e 1267 ed è uno dei simboli di Viterbo. Sede fissa di cinque pontefici tra 1266 e 1281, fu qui che si coniò il termine "conclave" a causa dei fatti accaduti nel 1271 durante una travagliata elezione pontificia.

 

 

 

La bellissima Loggia delle Benedizioni, gotica, è un autentico merletto di pietra. Il palazzo è sede del Vescovado e ospita la Biblioteca e Archivio Diocesano. Dal balcone della loggia si osserva l'antichissimo Campanile di S. Maria della Cella (VIII secolo).

Tornati in Piazza della Morte, si raggiungono in breve tempo la CHIESA DI S. MARIA NUOVA e il QUARTIERE SAN PELLEGRINO dove ogni anno si svolge la manifestazione San Pellegrino in Fiore, tra i gioielli medioevali della Città. La prima risale al 1080, è un edificio dal puro stile romanico a tre navate e conserva affreschi di pittori viterbesi tra XIII e XVI secolo e il trittico del SS. Salvatore ('200). Il chiostro è di origine longobarda, così come la piccola cripta a oratorio. Il secondo è un esempio di contrada duecentesca perfettamente conservata, dall'elevato valore urbanistico, al cui centro si apre l'inimitabile PIAZZA SAN PELLEGRINO, con il PALAZZO DEGLI ALESSANDRI e, sul retro, l'imponente TORRE SCACCIARICCI. Diverse "piagge", cioè vicoli in dislivello, conducono al Quartiere di Pianoscarano, sviluppatosi dopo il 1148. La fontana centrale, dalla forma a fuso, fu ricostruita dopo il 1367.
Vicinissima a S. Maria Nuova è la CHIESA DI S. GIOVANNI BATTISTA DEL GONFALONE, interamente dipinta da pittori viterbesi del’700 e raro esempio di arte barocca locale.

Quanto esposto finora riguarda il nucleo più antico della città, ma il centro storico viterbese annovera numerosissimi altri monumenti dislocati nella sua vasta area.
FONTANA GRANDE, in cima a Via Cavour cui si giunge da Piazza del Plebiscito, è alta sette metri, coniuga diversi stili medioevali e risale al XIII secolo, con aggiunte e restauri del '400 e '800. E' nota in tutto il mondo. La CHIESA DI S. SISTO (da Fontana Grande al culmine di Via Garibaldi, appena dentro Porta Romana) risale all'Alto Medioevo e fu ampliata nel XII secolo. Consta di due campanili, riconducibili alle due fasi di sviluppo architettonico. L'interno è romanico, a tre navate, con presbiterio sopraelevato e coperto da volte a botte sostenute da gigantesche colonne.
Via Mazzini conduce da Porta della Verità al SANTUARIO DI S. ROSA, otto-novecentesco, nel quale si conserva il Corpo della Santa Patrona (1233-1251), singolare caso di mummificazione naturale. La cupola del Foschini (1917) è elemento tipico del paesaggio cittadino. Lungo Via Mazzini si incontrano ben due fontane a fuso del '200 e la CHIESA DI S. GIOVANNI EVANGELISTA, romanica, con prezioso rosone del XIII secolo e spoglio interno a tre navate. Parallelo a Via Mazzini è CORSO ITALIA, tradizionale arteria di passeggio dei viterbesi, alle cui estremità sono PIAZZA DELLE ERBE con la FONTANA DEI LEONI (XVII secolo) e Piazza Verdi con l'ottocentesco TEATRO DELL'UNIONE di Virginio Vespignani. Lungo il Corso è il Gran Caffè Schenardi, realizzato nel 1818 sempre su progetto del Vespignani.

Tra la zona del Corso e quella di S. Faustino, che ora visiteremo, scorreva un tempo la vallata del torrente Urcionio. Negli anni '30 si decise la copertura del malsano fossato per realizzare la rettilinea VIA MARCONI che è oggi una delle principali strade viterbesi e l'area del Sacrario, inglobando edifici più antichi sparsi nella zona (Oratorio di S. Maria della Peste o Sacrario dei Caduti, del 1494; Chiesa di S. Giovanni degli Almadiani, del '500) e realizzandone nuovi nello stile dell'architettura fascista.

 

 

Il quartiere di San Faustino si caratterizza per l'omonima fontana a fuso del 1251, la Chiesa dei SS. Faustino e Giovita (XVIII secolo) in cui è conservata l'immagine della Madonna di Costantinopoli (XVI) e il Santuario della Madonna Liberatrice o della SS. Trinità, barocco-neoclassico, con il grande chiostro rinascimentale. Prossima è la vastissima PIAZZA DELLA ROCCA su cui prospetta la ROCCA ALBORNOZ, eretta nel 1354 e poi rimaneggiata, sede del Museo Nazionale Archeologico. Di fronte è la FONTANA DELLA ROCCA, disegnata dal Vignola. In cima a una salitella è la BASILICA DI SAN FRANCESCO, edificio gotico di notevole importanza storica, fondato nel XIII secolo, in cui sono conservati i preziosissimi mausolei dei papi Clemente IV e Adriano IV, rispettivamente opera di Pietro Oderisio e Arnolfo di Cambio.
Il centro storico è tuttora racchiuso da una bellissima CINTA MURARIA pressoché interamente conservata, che conferisce alla città antica una forma a "fegato". La cerchia attuale è il risultato di almeno quattro fasi di sviluppo, tra la fine dell'XI secolo e il 1270. Quindici porte (Porta Fiorita la più antica), alcune conservatesi nella forma medioevale, altre ampliate in forme monumentali dal '600 in poi, numerose torri di guardia, spettacolari tratti merlati per circa quattro km di mura interamente circonvallabili in auto.

Viterbo fu sede, dal XIII al XVI secolo, di una fiorente comunità ebraica, oggi scomparsa. Il primo documento certo attestante la presenza di ebrei nella cittadina risale al 1272. Nei secoli successivi la comunità crebbe di numero e di importanza, dando i natali a poeti, medici e rabbini. Gli ebrei risiedevano in contrada San Biagio, dove esistevano due sinagoghe, delle quali non restano tracce. Il decreto pontificio di espulsione del 1569 sancì la fine della fiorente comunità. Il suo ricordo rimane tuttora nel cognome Viterbo, mantenuto da alcune famiglie ebraiche italiane.

SETTIMO ITINERARIO CERVETERI – SANTA SEVERA - CIVITAVECCHIA

CERVETERI

Visita alla città       

Il Borgo

L'antico borgo medievale di Cerveteri è cinto da possenti mura, costruite sopra la roccia di tufo.
Il suo centro è Piazza Santa Maria, dove si affacciano i principali edifici civili e religiosi dell'epoca. E' diviso dal borgo da un fossato sul quale un ponte levatoio, ora stabile, permette di entrare nell'ampio piazzale.

La Rocca

La Rocca è il centro della Cerveteri Medievale e comprende, oltre al castello vero e proprio, la parte che originariamente ne costituiva il Borgo antico, da tempo denominato Boccetta. Già dall’XI secolo ci appare ben munita di mura merlate, tuttora esistenti, che corrono lungo il perimetro dello sperone tufaceo su cui sorge.
Nel 1967 fu donata allo Stato che vi istituì l'attuale Museo Nazionale Cerite.

 

 

 

Necropoli della Banditaccia

Questa necropoli, sito UNESCO, rappresenta la più importante e famosa area cimiteriale etrusca di Cerveteri, con tombe che vanno dal VII al III sec. a.C.

Il nome "Banditaccia" ha origine dal fatto che essa, a partire dal XVI sec. fu zona soggetta ad essere "bandita", cioè affittata con bando pubblico, dai grandi proprietari terrieri al Comune, con riserva di pascolo e la raccolta di legna a favore della popolazione locale.

L'area aperta al pubblico ed attualmente visitabile, fu scavata in maniera sistematica dai primi del '900 fino agli anni '30 da Raniero Mengarelli; l'area recintata è solo una parte dell'intera Necropoli.

Altre Necropoli

Altre importanti tombe etrusche, emergenti al di fuori dell'area recintata della Banditaccia, sono: i Grandi Tumuli, le Tombe del Comune, la zona del Laghetto e la Via degli Inferi, che è il proseguimento della medesima via sepolcrale che attraversa longitudinalmente la Necropoli e che collegava la città dei vivi con la città dei morti.

SANTA SEVERA

Santa Severa, l'antica Pyrgi, era il porto principale di Caere (Cerveteri), distante una decina di chilometri, e la sede di un santuario di rinomanza mediterranea, consacrato a una divinità femminile,comprendente due templi.
Fu occupata e saccheggiata dai siracusani nel 384 a.C.; nel III secolo a.C. vi fu dedotta una colonia romana. Nell'età imperiale nei dintorni della città, ormai decaduta, sorsero alcune ville costiere. Nel 1964 nel santuario furono scoperte tre lamine d'oro iscritte, due in etrusco e una in fenicio, con dediche alla dea Uni-Astarte da parte del "re" di Caere, Thefarie Velianas (V secolo a.C.), di fondamentale importanza per lo studio della lingua etrusca.

CIVITAVECCHIA

Il suo nome originario era Centumcellae, la cui fondazione, come porto dotato di numerosi magazzini, risale al 106 d.C. per volere di Traiano. Devastata nell'828 dai saraceni, venne abbandonata dagli abitanti, che si trasferirono nelle selve vicine fondando la città di Leopoli e nell'889 vi fecero ritorno mutandone il nome in Civitas vetula. Divenne parte dello Stato Pontificio nel 1431, quando assunse il ruolo di porto di Roma e di base della flotta pontificia. Risalgono a quell'epoca le opere di fortificazione del porto e dell'arsenale. Fu gravemente danneggiata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Presso il porto si erge il cinquecentesco Forte Michelangelo, progettato dal Bramante, continuato da Antonio da Sangallo il Giovane e ultimato da Michelangelo. Nel Museo archeologico, ubicato in una palazzina settecentesca, si conservano reperti dell'età del Ferro e dei periodi etrusco, romano e medievale. Nella darsena romana si trovano i resti dei magazzini del porto traianeo. Altre testimonianze archeologiche sono le cosiddette Terme Taurine, resti di una villa romana imperiale, destinata in particolare all'uso delle locali acque termali.

 

Fiorente scalo mercantile di Roma e base per pescherecci e navi passeggeri dirette in Sardegna, Civitavecchia ed Europa è sede di industrie petrolchimiche, alimentari, metalmeccaniche e del cemento.

OTTAVO ITNIERARIO: ROMA CROCEVIA DI RELIGIONI

Ponte Sublicio

Il nome deriva dal termine sublica, attribuito alla lingua volsca con il significato di "tavole di legno". Il ponte era, infatti, costruito originariamente interamente in legno e vi è legato il mitico episodio di Orazio Coclite nei primi anni della repubblica romana.

Dell'antico ponte non resta oggi alcuna traccia, ma la sua ubicazione era all'altezza dell'odierna via del Porto, all'estremità settentrionale del complesso del San Michele.

La tradizione religiosa (originata dalla necessità di poterlo smontare facilmente per esigenze di difesa) prescriveva che non fu utilizzato altro materiale che il legno. Il ponte era considerato sacro (dal termine pons deriva la designazione di "pontefice" o pontifex) e vi si svolgevano cerimonie arcaiche, tra cui quella del lancio nel fiume degli Argei, o pupazzi di paglia (forse in sostituzione di più antichi sacrifici umani), durante il cerimoniale dei Lemuria.

Il ponte subì frequenti restauri e ricostruzioni (60 a.C., 32 a.C., 23 a.C., 5 d.C., 69 d.C., sotto Antonino Pio e forse sotto gli imperatori Traiano, Marco Aurelio e Settimio Severo). Sulle raffigurazioni monetali di epoca imperiale compaiono alle estremità archi con statue.

Cospicue tracce del ponte sono state visibili nell'alveo del Tevere fino al 1890 circa, quando i resti furono completamente demoliti, nell'ambito delle misure di risistemazione del corso urbano del fiume, come misura di prevenzione delle piene.

 

Pantheon

Il Pantheon ("tempio di tutti gli dei") è un edificio di Roma antica, costruito come tempio dedicato alle divinità di tutte le religioni. I Romani lo chiamano amichevolmente la Rotonna ("la Rotonda"), dal nome della piazza antistante. Fu fatto ricostruire dall'imperatore Adriano intorno al 126, dopo che un incendio aveva danneggiato la costruzione precedente di età augustea.

All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in chiesa cristiana, chiamata Santa Maria ad Martyres, il che gli ha consentito di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni apportate agli edifici della Roma classica dai papi.

L'edificio si salvò dalle distruzioni del primo Medioevo perché già nel 608 l'imperatore bizantino Foca ne aveva fatto dono a papa Bonifacio IV, che lo trasformò in chiesa cristiana con il nome di Sancta Maria ad Martyres. Questo nome proviene dalle reliquie di ignoti martiri cristiani che vennero traslate dalle catacombe nei sotterranei del Pantheon.

 

 

« Questo maraviglioso tempio, secondo il sentimento comune, [...] si disse Panteon, perché era dedicato a tutti li Dei immaginati da' Gentili. Nella parte superiore [...] erano collocate le statue delli Dei celesti, e nel basso i terrestri, stando in mezzo quella di Cibele; è nella parte di sotto, che ora è coperta dal pavimento, erano distribuite le statue delli dei penati. [...] Bonifazio IV. per cancellare quelle scioccherie, e sozze superstizioni, l'an. 607. purgatolo d'ogni falsità gentilesca, consagrollo al vero Iddio in onore della ss. Vergine, e di tutti i santi Martiri; perciò fece trasportare da varj cimiteri 18. carri di ossa di ss. Martiri, e fecele collocare sotto l'altare maggiore; onde fu detto s. Maria ad Martyres »

 

(Giuseppe Vasi, Itinerario istruttivo per ritrovare le antiche e moderne magnificenze di Roma, 1763)

Fu il primo caso di un tempio pagano trasposto al culto cristiano. Questo fatto lo rende il solo edificio dell'antica Roma ad essere rimasto praticamente intatto e ininterrottamente in uso per scopo religioso fin dal momento della sua fondazione.

 

A partire dal Rinascimento il Pantheon è stato usato anche come tomba. Vi si conservano, fra gli altri, i resti dei pittori Raffaello Sanzio ed Annibale Carracci, dell'architetto Baldassarre Peruzzi e del musicista Arcangelo Corelli e le tombe de Vittorio Emanuele II, la sua consorte Margherita e suo figlio Umberto I.

Sinagoga e Ghetto Ebraico

Gli ebrei si stabilirono già nel periodo della Repubblica Romana nel rione Ponte; dopo furono spostati in epoca medievale nel rione Sant’Angelo.

Il Ghetto ebraico di Roma è tra i più antichi ghetti del mondo; è sorto infatti 40 anni dopo quello di Venezia che è il primo in assoluto. Il termine deriva dal nome della contrada veneziana, gheto, dove esisteva una fonderia (appunto gheto in veneziano), ove gli ebrei di quella città furono costretti a risiedere o forse dal caldeo geth.

Il 12 luglio 1555 papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l'istituzione del ghetto, chiamato "serraglio degli ebrei", facendolo sorgere nel rione Sant'Angelo accanto al Teatro di Marcello. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell'antichità classica viveva nella zona dell'Aventino e, soprattutto, in Trastevere, vi dimorava ormai prevalentemente e ne costituiva la maggioranza della popolazione.

Oltre all'obbligo di risiedere all'interno del ghetto, gli ebrei, come prescritto dal paragrafo tre della bolla, dovevano portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore glauco[1] (glauci coloris).

 

 

Nel paragrafo nove, inoltre, veniva loro proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati.

Inizialmente erano previste due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba. Il numero degli accessi, aumentando l'estensione e la popolazione del ghetto, fu successivamente ampliato a tre, a cinque e poi ad otto[2].

Il 6 ottobre 1586, con il motu proprio Christiana pietas, papa Sisto V revocò alcune restrizioni e consentì un piccolo ampliamento del quartiere che raggiunse un'estensione di tre ettari.

Le vicende della Rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche, sia pure con anni di ritardo e per un periodo limitato, modificarono le condizioni di vita degli ebrei romani. Il 10 febbraio 1798 le truppe francesi, comandate dal generale Berthier, entrarono in città. Il 15 febbraio venne proclamata la Prima Repubblica Romana, il 17 dello stesso mese all'interno del ghetto, in piazza delle Cinque Scole, fu eretto un "albero della libertà", il 20 papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma ed il giorno dopo, a Monte Cavallo, il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza.

Tale condizione ebbe breve durata: nel 1814, con il definitivo ritorno del nuovo pontefice Pio VII, gli ebrei furono nuovamente rinchiusi nel ghetto.

Nel 1825, durante il pontificato di papa Leone XII, il ghetto, la cui popolazione era considerevolmente aumentata, venne ulteriormente ingrandito.

Il 17 aprile 1848, papa Pio IX ordinò di abbattere il muro che circondava il ghetto. Con la proclamazione della Repubblica Romana, nel 1849, la segregazione fu abolita e gli ebrei emancipati. Caduta la Repubblica, lo stesso pontefice obbligò gli ebrei a rientrare nel quartiere sia pure ormai privo di porte e recinzione.

Il Regno d'Italia

Il 20 settembre 1870 toccò ad un ufficiale ebreo piemontese l'onore di comandare la batteria dei cannoni che aprì una breccia nelle mura di Roma a Porta Pia, con l'annessione della città al Regno d'Italia, terminò il potere temporale dei papi, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini italiani.

Nel 1888, con l'attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici del ghetto, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d'Ottavia (che prendeva il posto della vecchia via della Pescheria), via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione, sostituiti da ampi spazi e quattro nuovi isolati più ordinati ma anche meno caratteristici. Per avere un'idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di palazzi che si trovano sul lato di via del Portico d'Ottavia, accanto a ciò che rimane dell'antico complesso augusteo.

 

 

Nel 1889 venne indetto un concorso per la costruzione della nuova sinagoga e selezionati due progetti. Nel 1897 la Comunità ebraica acquistò dal Comune di Roma l'area tra Lungotevere Cenci e via del Portico d'Ottavia, resa libera dalle precedenti demolizioni, per la costruzione del tempio. Nel 1899 venne scelto il progetto degli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, ispirato a motivi assiro-babilonesi e dell'Art Nouveau. I lavori, iniziati nel 1901, terminarono nel 1904 ed il 29 luglio dello stesso anno il Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato. Nel seminterrato dell'edificio ha trovato recentemente sistemazione il Museo ebraico.

All'alba di sabato 16 ottobre 1943, un centinaio di soldati tedeschi, dopo aver circondato il quartiere, catturarono 1022 ebrei, tra cui circa 200 bambini. I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara. Trasferiti alla stazione ferroviaria Tiburtina, furono caricati su un convoglio composto da 18 carri bestiame. Il convoglio, partito il 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di Auschwitz il 22 ottobre. Soltanto 17 deportati riusciranno a sopravvivere, tra questi una sola donna e nessun bambino.

Basilica di San Clemente

Della vita di San Clemente si sa ben poco (92-101 AD). Secondo il più antico elenco dei vescovi di Roma, fu il terzo successore a San Pietro.
Fu l’autore di una famosa Lettera ai Corinti, scritta intorno al 96 a nome della Chiesa di Roma per metter fine d’autorità ai disordini avvenuti in seno alla Chiesa di Corinto. La lettera è uno dei primi testimoni all’autorità della Chiesa di Roma e fu tenuta in così alta considerazione che, verso il 170 e ancora nel corso del VI secolo, a Corinto ne veniva data pubblica lettura, insieme con il Vangelo.
San Clemente è onorato come martire: documenti dal IV secolo raccontano come S. Clemente, durante l’impero di Traiano (98-117), fu condannato all’esilio in Crimea e ai lavori forzati nelle miniere. Ivi la sua attività missionaria tra i soldati e i compagni di prigionia incontrò tale successo che i Romani lo legarono ad un’ancora e lo gettarono nel Mar Nero. Qualche tempo dopo le acque si ritrassero rivelando una tomba costruita dagli angeli i quali avevano ricuperato il corpo del santo e gli avevano dato sepoltura.

L’altare maggiore della basilica è costruito sulla confessio o tomba di martire nella quale si trova un’urna contenente le presunte reliquie di San Clemente e di S. Ignazio.

La Basilica di San Clemente è una delle più famose tra le chiese medievali di Roma, ed è sviluppata su tre livelli che si sono sovrapposti attraverso i secoli. Al livello superiore vi è la basilica medievale vera e propria, completata nel 1123. Alla basilica attuale si accede dall'ingresso laterale segnato da un piccolo protiro e situato sulla Via papale, all'altezza di questa chiesa avrebbe partorito la leggendaria papessa Giovanna. L'interno della basilica si presenta con l'aspetto datole dai lavori realizzati all'inizio del Settecento da Carlo Stefano Fontana.
L'abside è decorata con un mosaico della prima metà del XII secolo, opera della scuola romana. Subito a destra dell'ingresso si apre la Cappella di Santa Caterina, affrescata nel Quattrocento da Masolino con l'aiuto del suo straordinario allievo Masaccio.

 

 

 L'ingresso principale su Piazza San Clemente è inquadrato in uno splendido protiro del XII secolo e da una cornice marmorea dello stesso periodo. Si accede così ad un cortile interno, quadriportico con colonne ioniche e architravi, che precede la facciata settecentesca con un piccolo campanile. L'interno preserva ancora l'aspetto medievale, nonostante diversi rimaneggiamenti nei secoli successivi. È suddiviso in tre navate, ciascuna terminante con un’abside. Le colonne antiche, di varia provenienza, hanno capitelli ionici in stucco (rifatti), il pavimento è un bell'esemplare cosmatesco; nel mezzo della navata la schola cantorum, del XII secolo, Sulla balaustra che circonda la schola cantorum, proprio di fronte al visitatore entrante, sono rappresentati alcuni splendidi esemplari di Fiori della Vita. Ve ne sono due sul lato sinistro, mentre su quello destro ve n'è soltanto uno centrale, che reimpiega diversi frammenti provenienti dalla chiesa inferiore, così come riutilizzata è la cattedra episcopale. Nell'abside centrale è conservato il meraviglioso mosaico, raffigurante il Cristo crocifisso tra la vergine e S. Giovanni Evangelista. Dalla sagrestia si accede alla basilica paleocristiana inferiore, costruita alla fine del IV secolo; essa presenta tre navate, divisa da colonne, ed è preceduta da un nartece; per tutto l'alto medioevo fu una delle più importanti di Roma, arricchita da affreschi e arredi vari. Questa basilica venne gravemente danneggiata durante il sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo, nel 1084, e, dopo un breve tentativo di ripristino di cui testimoniano alcuni affreschi, venne abbandonata e interrata per costruirvi sopra la nuova basilica. Al terzo livello, infine, si conservano resti di edifici pubblici e privati, separati da un vicolo, ora coperto, databili al I e II secolo d.C.; nell'edificio privato nel III secolo fu realizzato un mitreo, rapidamente trasformato in luogo di culto della venerata memoria di S. Clemente, terzo pontefice dopo S. Pietro, martire sotto Traiano. 

 

 

Il mitreo sotterraneo

Il mitreo è costituito da tre ambienti, due che fungono da vestibolo e probabilmente da schola mitraica, con resti di stucchi ed affreschi. Il terzo è il mitreo vero e proprio, con la volta ribassata e trattata con pomici a simulare una caverna, luogo centrale della religione mitraica. Sulle pareti laterali vi sono dei banconi, sui quali prendevano posto gli adepti durante le celebrazioni. Sulla volta vi sono delle aperture in relazione agli aspetti astrologici della dottrina, al centro un'area marmorea con Mitra che immola il toro. Attraversando quello che una volta era un vicolo all'aperto si giunge ad altri ambienti romani, in uno dei quali è visibile una corrente d'acqua, un tempo uno dei numerosissimi corsi d'acqua sotterranei della città, poi canalizzato. La sorgente d'acqua sotterranea, che ancora oggi sgorga attraverso una delle pareti per inabissarsi nuovamente nel sottosuolo, conferisce al luogo una sacralità tellurica che è ben sentita dai visitatori sensibili a questo tipo di energie.

 

Progetto del  Forum delle Comunità Straniere in Italia .

A cura di Marinella Salerno Suarez

 

 

Fonte: citazione estratta da http://www.forumcomunitastraniere.it/doc/marinela_salerno_suarez.doc

Sito web: http://www.forumcomunitastraniere.it/

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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Lazio itinerari turistici

Abbazia di Fossanova

L'abbazia di Fossanova, recentemente restaurata, è situata nel borgo omonimo nel comune di Priverno. Eretta alla fine del secolo XII, è uno dei più famosi complessi monastici gotico cistercensi d’Italia. Il nome di Fossanova, nasce, comʼè agevole intendere, da un “fosso nuovo” che i monaci cistercensi scavarono per far defluire le acque e per avviare e sostenere la “grangia” che avrebbe loro fornito di che vivere. La chiesa si presenta con solenne semplicità ed altrettanta eleganza di forme, sottolineata nella facciata in pietra locale dallʼapertura col grande arco acuto a strombo e dallʼelegante rosone, che disegna giochi di luce di grande suggestione in alcune ore del giorno.

Lʼinterno si svolge nella grande navata centrale, segnata da possenti pilastri e dalle nervature, e da due piccole navate laterali. Sulle pareti resti di intonaci e affreschi. Con lʼabbazia fanno corpo: il chiostro, delineato da una duplice serie di colonnine marmoree binate, lʼuna diversa dallʼaltra; la splendida sala capitolare, arricchita da pilastri e nervature (allʼinterno della sala, a destra di chi entra, alla base di uno dei pilastri è scolpito un nodo di Salomone, o nodo templare); il refettorio, di recente scavato per evidenziarne le fondamenta antiche, e restaurato; e il convento, anchʼesso restaurato negli anni Novanta del Novecento.

Nellʼabbazia morì il 7 marzo 1274 San Tommaso dʼAquino che, durante un viaggio di trasferimento a Lione, fu colto da malattia. Nel chiostro si conserva una pietra che reca due impronte ritenute le orme che lʼasino del Santo lasciò al momento del trapasso del padrone. In una cappella della chiesa abbaziale si conservano tre affreschi staccati del sec. XIV; è sempre del sec. XIV una Madonna con Bambino proveniente da un oratorio annesso all’abbazia. Interessante è la stanza del transito di san Tommaso dʼAquino, nella foresteria del complesso abbaziale: la sua trasformazione in cappella è opera dellʼabate commendatario cardinale Francesco Barberini, che la dotò di un bassorilievo marmoreo di scuola berniniana. Lʼabbazia sorge allʼinterno del suggestivo borgo medievale di Fossanova, nel quale sono da visitare anche le vecchie stalle, che ospitano il Museo Medioevale.


 

Abbazia di Valvisciolo

L’Abbazia di Valvisciolo è situata nel territorio di Sermoneta, ai piedi del Monte Corvino, a meno di  100 metri sul livello del mare. La storia di questo monastero è complessa ed anche il nome nasconde una parte di mistero. Valvisiciolo può significare Valle dell’Usignolo (vallis lusciniae) o Valle delle Visciole (una varietà di ciliegie selvatiche).

È assodato che in origine il nome individuasse un altro monastero cistercense in territorio di Carpineto Romano, del quale oggi rimangono scarsi ruderi. All’inizio del secolo XIV i monaci di Carpineto abbandonarono i loro monti e si trasferirono nel nuovo monastero al quale attribuirono il nome di Valvisciolo. La chiesa è assai semplice, a tre navate di cinque campate ciascuna, priva di transetto. L’abside è rettangolare, i pilastri sono possenti e piuttosto bassi e sostengono archi a tutto sesto; il presbiterio ha quattro gradini sopra il livello del pavimento.

Il chiostro, al quale si accede dalla navata di destra, è a pianta quadrata regolare, e in origine coperto da un tetto  leggero, poi sostituito con volte a crociera liscia; è delineato da archi a sesto tondo che poggiano su coppie di colonnine dotate di capitelli che fanno da cornice al giardino interno disegnato attorno alla cisterna centrale. Come in tutte le abbazie cistercensi, è attorno al chiostro che si sviluppano le varie sezioni del monastero: chiesa, refettorio, dormitorio, scrittorio, cucine. Il refettorio, parallelo al chiostro, è ad una sola navata.

Dall’ingresso laterale, che immette al chiostro, si può accedere ai restaurati locali del Dispensarium dell’Abbazia dove, nell’ottobre del 2003 è stata istituita la Galleria dedicata all’Abate Stanislao White (1838-1911), generoso monaco irlandese che tanto si prodigò per l’Abbazia di Valvisciolo, da lui diretta tra la fine del 1800 ed i primi del ’900. La Galleria nasce dalla donazione da parte di Domenico Guidi, di 41 opere, quasi tutte incisioni originali e disegni databili tra l’inizio del Cinquecento e l’Ottocento. Nella stessa sala sono esposte alcune opere del fondo storico dell’Abbazia.


 

Castello Caetani

Il maniero risale alla prima metà del XIII secolo quando la Santa Sede lo affidò alla famiglia baronale degli Annibaldi che ivi costruì una rocca della quale oggi non resta che il maschio con una contro torre detta “maschietto”.

Nel 1297 la famiglia Annibaldi cedette i propri possedimenti alla famiglia Caetani i quali investirono tutto il necessario per rendere la rocca una vera e propria fortezza militare, con nuovi edifici e  ben cinque cerchie di mura, che, grazie a un sistema di ponti levatoi, garantivano la possibilità di isolare la torre in caso di attacco.

Nel XVI secolo il castello passò nelle mani di Alessandro VI Borgia il quale, con l’aiuto di Antonio da Sangallo il Vecchio, trasformò ulteriormente il castello in una fortezza militare facendovi erigere la cosiddetta Casa del Cardinale, dove furono ospiti Cesare e Lucrezia Borgia, e accanto un poderoso baluardo.

Nel 1504 tornò ai Caetani ma, nel XVII secolo, quando la famiglia si trasferì a Roma e a Cisterna, cominciò la lenta decadenza della struttura. Nel Settecento fu devastato e saccheggiato da parte di militari spagnoli e francesi. Abbandonato, venne restaurato all’inizio del secolo e al termine dell’ultima guerra. Attualmente la struttura è ben conservata ed è fornita di maschio, baluardi, alloggiamenti militari e cisterne.

La visita al castello parte dal Piazzale degli Olmi. Attraversando i primi due ponti levatoi si arriva alla piazza d’Armi, un tempo luogo di incontro dei soldati che frequentavano l’edificio, oggi spazio per importanti manifestazioni musicali. L’ampio cortile è circondato dalle imponenti mura di cinta, dalla torre maschio e dai palazzi signorili.

Da qui si accede alla cosiddetta Casa del Cardinale che conserva al suo interno quadri, arredi e gli affreschi provenienti da Ninfa. Attraversando la piazza si arriva alla Sala dei Baroni dove si svolgevano feste e banchetti. Dalla sala si accede alle stanze da letto, conosciute con il nome di “Camere Pinte”. Gli affreschi che le decorano risalgono alla seconda metà del XV secolo e sono gli unici di tutto il castello ad essere arrivati sino ad oggi interi. Seguono quindi le sale della servitù dalle quali si esce nuovamente nella piazza dove si affaccia anche la cucina con l’antica cappa del camino.

Superando il terzo ponte levatoio si accede alle torri maschio e “maschietto” e al camminamento di ronda. Le due torri non erano adibite soltanto alla difesa del castello ma anche ad abitazione. Infatti al primo piano del maschio si trova, perfettamente conservata, una camera da letto con i suoi arredi prevalentemente cinquecenteschi.

Dalle stanze delle torri, attraversando il quarto ponte levatoio, si esce all’aperto lungo il camminamento di ronda costeggiato dalle possenti fortificazioni merlate dell’epoca Borgia.

La visita si conclude con il passaggio nella cosiddetta “lunga batteria”, una sorta di tunnel ricavato all’interno delle mura di cinta che conduce fino al secondo ponte levatoio adiacente alla piazza d’Armi.


 

Fashion District Outlet

Fashion District, il più grande progetto per lo shopping in Italia, ha creato un network formato da 3 Factory Outlet Center distribuiti lungo la penisola in 3 punti strategici per densità di abitanti, transito di veicoli e flussi turistici. Capace di integrare i progetti al territorio, in base alla loro localizzazione geografica ed alle tradizioni del luogo, dal punto di vista architettonico Fashion District da vita ad ambienti che riproducono piccoli centri abitati.


 

Gaeta, il golfo delle meraviglie

Qui la natura ha davvero dato la sua migliore interpretazione: alle pendici dei Monti Aurunci, scendendo verso le colline interrotte da aspri promontori si arriva fino a Gaeta, con le sue spettacolari insenature, calette e panorami. Antiche le origini e intensa la storia di questa città che fu luogo di villeggiatura degli antichi romani, prima, e, Repubblica Marinara e sede della monarchia borbonica, poi.

La trama urbana della Gaeta antica è tipicamente medievale. Viuzze, un grande castello, camminamenti, campanili normanni, antiche mura formano il quartiere di Sant’Erasmo, ricco di edifici religiosi: il Duomo (con annesso museo), le chiese della Santissima Annunziata, di San Giovanni a mare, della Sorresca, di San Domenico, di Santa Lucia, di San Francesco, di Santa Caterina d’Alessandria, oltre al Santuario della Santissima Trinità sul monte Orlando. Sulla cima del Monte Orlando si erge il Mausoleo dedicato al generale Lucio Munazio Planco, fondatore di Lione e di Basilea.

A Gaeta ottime sono le occasioni per il turismo nautico, che si avvale della struttura della Base Nautica Flavio Gioia.


 

Il mare a San Felice Circeo

Una delle più belle spiagge del litorale pontino si trova a San Felice Circeo, l’antica Circei, la cittadina di circa 9.000 abitanti, in provincia di Latina, inserita nel Parco Nazionale del Circeo, istituito nel 1934. Il centro balneare, che gode giusta fama turistica, si stende soprattutto nella parte bassa (la cosiddetta Cona) e lungo la pianura costiera.

Il litorale, lungo alcuni chilometri, è caratterizzato da tratti bassi e sabbiosi alternati a tratti più alti e rocciosi ed è circondato da una rigogliosa macchia mediterranea, elemento caratterizzante di molte spiagge della penisola italiana, palme nane e stabilimenti turistici.

La spiaggia, morbida, fine e dorata, è attrezzata in diversi punti con lettini ed ombrelloni ed offre numerosi servizi e comodità; è facilmente raggiungibile e grazie alla presenza dei venti offre la possibilità di praticare numerosi sport tra cui windsurf, surf e kitesurf, oltre alla vela e il sub.

Per chi ama le immersioni, da scoprire il suggestivo Cristo sommerso del Circeo. Il mare, azzurro e cristallino, con fondali digradanti e sabbiosi che rendono sicura la balneazione, ha ricevuto nel 2010 la Bandiera Blu dalla Fee. La località è disseminata di hotel e strutture ricettive di ottimo livello. Il turista che visita San Felice Circeo si troverà davanti ad un enorme ventaglio di opportunità offerte dal mare, dai locali notturni, dai ristoranti e dal Parco del Circeo.

Numerosi ed eleganti negozi per lo shopping si trovano nel centro storico della cittadina, raccolta attorno alla duecentesca Torre dei Templari e al Palazzo baronale o Caetani che fu dimora di Lucrezia Borgia e del principe Poniatowsky, oggi sede del Comune.

Sulla sommità del monte Circeo, raggiungibile dal paese percorrendo una comoda  strada, è possibile ammirare un bel panorama che spazia verso le Isole Pontine e verso Terracina. In questa zona ci sono vari percorsi e itinerari paesaggistici ricercati dagli amanti delle passeggiate e del trekking.


 

Il mare di Sperlonga

La cittadina di Sperlonga, arroccata sulla lingua di terra di Monte S. Magno, lungo la S. S. Flacca, deve il suo nome alle grotte naturali - le speluncae - che si aprono lungo la costa.

Il paese conserva intatto il suo nucleo originario dal sapore tipicamente mediterraneo, con costruzioni bianche, fughe di piccoli archi tra i ristretti vicoli e di tanto in tanto uno squarcio di mare e di cielo. Dalla piazzetta del paese partono viuzze e scalette che conducono al mare più incontaminato del Lazio, premiato, inoltre, con Bandiera Blu della Fee, simbolo di alta qualità delle acque e dei servizi ai turisti.

Il litorale è davvero incantevole, lunghissime spiagge di sabbia dorata fanno da cornice ad un mare azzurro e cristallino. Da non perdere le belle spiagge sabbiose dai nomi singolari: Fontana, Canzatora, Salette e  Bonifica.

Al di là del paese si stende la spiaggia di Angolo, con la grotta di Tiberio e, superato il promontorio del Ciannito, che si sporge fino a mare, la costa di Bazzano. L’ultima spiaggia è quella delle Bambole, sulla quale si apre l’omonima grotta.


 

Il mare di Terracina

Terracina è una delle città più grandi del litorale pontino. È dominata dal suggestivo Tempio di Giove Anxur che fin dal II secolo a.C. sovrasta la città bassa e vanta un lungomare di circa 6 km, ricco di stabilimenti balneari, dotati dei migliori servizi.

La meravigliosa e lunghissima spiaggia, che attrae ogni anno visitatori da ogni parte dell’Italia e del mondo, si snoda per alcuni chilometri a nord fino al promontorio di San Felice Circeo, dove si trova l'omonimo parco, e a sud fino a Gaeta passando per il Lago di Fondi, Sperlonga, fino a Formia. Il lungomare di Terracina è costeggiato da palme altissime che danno un tocco esotico al paesaggio.

Negli ultimi anni si sono sviluppati molto i servizi di ricettività: alberghi, ristoranti, discoteche e locali destinati al divertimento. Il porto marittimo, di fronte al centro storico, costruito dall’imperatore romano Traiano, è collegato con Ponza e Ventotene da motonavi che effettuano il servizio durante tutto l’anno. Nello stesso porto si trova un numero discreto di pescherecci che ogni giorno forniscono i mercati cittadini di pesce fresco.


 

Isola di Ponza

È la maggiore per estensione e per popolazione tra le isole pontine. L’isola si raccoglie attorno all’abitato di Ponza Porto e a quello della frazione settentrionale di Le Forna. L’architettura è quella tipica delle isole mediterranee: case piccole, tetti tagliati o a volta battuta, colori tenui, per non urtare quelli della natura. Ma sulla struttura più recente si innestano i segni di presenze assai più antiche: una necropoli, le ampie cisterne usate dai romani per raccogliere acqua, i tunnel, anch’essi scavati dai romani.

Presente e passato, natura e attività dell’uomo concorrono a fornire un ambiente eccezionale. Il porto borbonico, la rada che lo precede, l’altro porticciolo di Cala Feola, nella parte opposta dell’isola, con le piscine naturali, offrono riparo; le spiagge di Chiaia di Luna, di Frontone o i piccoli scampoli di sabbia tra rocce, raggiungibili solo con una barca, consentono un laborioso riposo balneare; punte, cale, faraglioni, sporgenze, rientranze regalano panorami continuamente vari. Quanto ai fondali, basta scegliere luoghi e profondità.


 

Le dune di Sabaudia

Quasi racchiusa in un ampio golfo, Sabaudia, a soli 90 km da Roma, offre i tipici paesaggi da cartolina: mentre incontrastato dall’alto del suo sperone domina su un mare azzurro ed aperto, il promontorio del Circeo, davanti si distendono chilometri di spiaggia bianca circondata da dune e macchia mediterranea ed in parallelo alla baia, si estendono quattro grandi laghi costieri (Paola o Sabaudia, Caprolace, Monaci e Fogliano) che caratterizzano la natura e l’atmosfera selvaggia del Parco Nazionale del Circeo, di cui Sabaudia è parte integrante.

Le caratteristiche dune e la finissima sabbia bianca di questa baia, visibili immediatamente dal bordo della strada lungomare, confluiscono ai bagnanti un immediato senso di libertà. Nei periodi di punta, il fervore è tutto concentrato intorno alla spiaggia, dove si allineano esclusive strutture turistiche, ristoranti all’aperto e splendide ville private con accesso diretto al mare. Malgrado le numerose attività turistiche, la spiaggia, ha mantenuto un aspetto piuttosto naturale; l’arenile è grande e gli stabilimenti balneari, ordinati e non invadenti, sono intervallati da diversi tratti di spiaggia libera. E’ possibile accedere all’ampia battigia, attraverso passerelle di legno che permettono di attraversare la fitta macchia mediterranea, preservandola così dall’impatto del turismo.

Il mare, non presentando scogliere, è ideale per fare il bagno e nuotare, spesso il vento e le correnti favoriscono il formarsi di secche vicino alla riva, che costituisco simpatiche piscine naturali adatte ai più piccoli. La bellezza di questo luogo, la rende una delle mete estive più glamour del Lazio, in estate si riempie di personaggi noti del mondo dello spettacolo, politici, calciatori e registi che si mescolano tra famiglie e giovani dediti all’abbronzatura. In queste spiagge spesso solitarie, tra il verde e l’azzurro del mare, era solito passeggiare Alberto Moravia, mentre Pasolini nervosamente le attraversava, riflettendo sull’incanto di questa natura in contrasto con il carattere razionalista dell’impianto urbanistico che tutto intorno sovrasta e che si mescola in un connubio che incantata.

 


 

Le spiagge di Gaeta

Lungo la litoranea Via Flacca, tra Sperlonga e la piana di S.Agostino, si trovano alcune tra le più belle spiagge della costa laziale; panorami unici, grotte, calette, insenature ed attrezzatissimi stabilimenti balneari, offrono al turista la possibilità di trascorrere piacevoli estati all’insegna del mare e di sport come il surf, il windsurf ed il free climbing.

E tra Gaeta e Sperlonga si trovano 10 chilometri di spiagge separate da punte rocciose e caratterizzate dalla presenza di torri genovesi, fino ad arrivare alle splendide falesie di Monte Orlando. Le sette bellissime spiagge di Gaeta si connotano appunto per la presenza di elementi naturalistici fuori dal comune, arenili naturisti e tratti molto attrezzati. Qui è approdato il mitico eroe greco Enea ed è qui che ha sepolto la sua nutrice Caieta la quale, secondo la leggenda, ha dato il nome alla città.

Si parte dalla baia di S.Agostino, rinomata e conosciuta tra gli scalatori che praticano il free climbing sulle pareti rocciose del Monte Moneta (359 metri). La spiaggia, di 2 chilometri, è la più lunga e la più frequentata. La spiaggia di San Vito è  attrezzata (beach volley, animazione e giochi) ed offre un fondale ideale per nuotare e fare immersioni. È meta privilegiata per gli amanti della vela.

L’accesso è possibile solo attraverso le strutture ricettive. La spiaggia dell’Arenauta è stata una delle prime spiagge naturiste del Lazio, nella seconda metà degli anni Settanta, quando era raggiungibile solo attraverso il mare o viottoli impraticabili. Ancora oggi resta uno dei tratti più naturali e selvaggi della costa laziale dal mare cristallino, la sabbia fine e dorata.

La spiaggia Ariana, riconosciuta Bandiera Blu negli ultimi anni, è piccola e sempre molto affollata. Si presenta con sabbie sottili, un mare trasparente, una folta macchia mediterranea ed i cosiddetti “Scogli dei tre cani”. La spiaggia Quaranta Remi si trova in una piccola caletta raggiungibile solo a nuoto dal Pozzo del Diavolo conosciuto anche come il Pozzo delle Chiavi, ideale per immersioni poco impegnative, ma affascinanti per la quantità di vita sottomarina.

Sulla piccola spiaggia di Fontania, nella costa meridionale di Gaeta, troviamo i resti di un’antica villa romana del I secolo a.C. e molteplici, incantevoli grotte. A brevissima distanza lo scoglio della “Nave di Serapo” (per la forma allungata simile ad una nave), un’oasi naturale unica ed un sito biologico piuttosto importante indicato ai subacquei alle prime armi, per la scarsa profondità dei fondali, e agli appassionati di fotografia naturalistica.

Infine la spiaggia finissima di Serapo, la spiaggia principale del comune di Gaeta, poco distante dal centro cittadino e a pochi chilometri dal Parco naturale del Monte Orlando. È la spiaggia dei Gaetani, lunga circa 1,5 km ed è stata data, quasi del tutto, in concessione dal Comune di Gaeta.


 

Oasi di Ninfa, un'esplosione di natura

Istituito nel 2000, in località Doganella, nel territorio dei Comuni di Cisterna di Latina e, parzialmente, di Sermoneta, esteso per circa 106 ettari di cui 36 classificati con Sito d’Importanza Comunitaria (SIC), il Monumento Naturale Giardino di Ninfa ricade interamente nella proprietà della Fondazione Roffredo Caetani.

Era una città medievale di cui esistono ancora diverse suggestive testimonianze come una parte del castello, le mura, il municipio completamente restaurato e resti di chiese ed edifici civili. Ma Ninfa è soprattutto una magnifica oasi naturalistica, unica al mondo, creata dove un tempo regnava la palude. Questo gioiello di natura e cultura, che il Gregorovius chiamò “la Pompei del Medioevo”, arrivato ai giorni nostri dal lontano 700 d.C., dopo alterne vicende che hanno visto la città passare sotto il dominio di famiglie di nobili potenti. Tra queste, la stirpe dei Caetani ne entrò in possesso alla fine del secolo XIII e ne è rimasta proprietaria fino al passaggio alla Fondazione che oggi ne perpetua la cura.

L’atmosfera che si respira è quella di un luogo magico, dove vivono, le une accanto alle altre, piante ed essenze floreali provenienti da ogni parte del mondo, come se il terreno ed il clima si adattassero ad esse e le fornissero tutti gli elementi tipici del loro habitat originario, necessari per crescere rigogliose.

Tutto sembra far parte di un progetto soprannaturale, alla cui bellezza contribuiscono il fiume Ninfa  i ruscelletti, il lago e la fauna variegata: il martin pescatore, l’airone cenerino, il pendolino, l’assiolo, il barbagianni, la gallinella d’acqua, la folaga, il germano reale e, ancora, il tasso, l’istrice, il  moscardino e la faina.

 

Parco Nazionale del Circeo

Il panorama più sorprendente del Lazio costiero? Zaino in spalla e scarponi ai piedi, occorre salire a fatica il ripido sentiero che parte dalla Torre Paola, non lontano da Sabaudia, oppure meglio seguire il percorso di cresta che ha inizio dalle mura ciclopiche di San Felice. Giunti in vetta a monte Circeo o dalle cime secondarie adiacenti, tirate il fiato e sgranate gli occhi.

Cinquecento metri più in basso, ai piedi del manto verde cupo dei lecci, l’azzurro dei laghi quasi tocca quello del mare separato solo dall’esile diaframma della duna. Rincorsi dai gabbiani, i pescherecci si perdono all’orizzonte verso le isole Pontine. E, con un po’ di fortuna, il volo fulmineo del falco pellegrino disegna rette nel cielo a caccia di prede.Queste ed altre le emozioni di un parco del Lazio, e non uno qualunque.

Primo ad essere istituito nel territorio regionale, nel lontano 1934, quello del Circeo tutela in ottomila ettari di estensione il tratto di litorale più integro della regione, compresi quattro laghi costieri, una vasta foresta di pianura,  la più selvaggia delle isole dell’arcipelago pontino (Zannone) nonché la montagna della leggendaria maga Circe, che secondo Omero incantò Ulisse e i suoi compagni durante il viaggio di ritorno a Itaca. Passeggiare lungo sentieri, fare birdwatching sulle sponde dei laghi e pagaiare nelle loro acque tranquille, pedalare in bicicletta all’ombra della grande foresta demaniale. Questo ed altro è una visita al parco nazionale. Un tuffo nella natura e nella leggenda del Lazio


 

Sabaudia

E’ un’oasi! Una parola sola per descrivere una città dove la natura si è divertita a lasciare i suoi segni più belli: la grande foresta della Selva del Circeo, la lunga ed imponente duna costiera ricca di vegetazione mediterranea, i laghi dei Monaci, di Caprolace e di Paola, resti archeologici, il mare ed il sole….garantiti. Fondata il 5 agosto 1933, conserva integro l’originale impianto urbanistico ed architettonico che le hanno fatto attribuire meritatamente il titolo di “Città del Razionalismo”: la Piazza del Comune con la torre civica alta 42 metri ed il palazzo municipale, l’ex casa del Fascio, la scuola, la chiesa dell’Annunziata, l’albergo, il cinema e gli altri edifici della fondazione. La realtà odierna è quella di una città turistica che ha raggiunto, ormai da anni, livelli qualitativi che ne fanno una delle mete estive ricercate ed amate da italiani e stranieri. Appena usciti dal nucleo di fondazione si è già sulle sponde del Lago di Paola (o di Sabaudia) accompagnato nei suoi numerosi bracci da una fitta vegetazione dalla quale non è raro vedere aironi, garzette ed una quantità di uccelli minori, levarsi in volo. Il lago è anche sede di allenamento e gare di canottaggio. Affascinante e suggestiva è l’immagine che si ha dal bordo della strada lungomare; in un unico colpo d’occhio, le acque rilassanti del lago, il cordone della duna, chilometri di quella spiaggia, spesso solitaria, lungo la quale era solito passeggiare Alberto Moravia, il mare, il verde ovunque e l’imponente mole del Promontorio del Circeo che domina da sud-est Sabaudia è sede della Direzione del Parco Nazionale del Circeo, con il Centro Visitatori, il Mueseo Naturalistico ed il Centro di Documentazione sull’Istruzione Scolastica e sull’opera Sanitaria nelle Paludi Pontine “Claudia Ortese”. Malgrado la sua giovane età, Sabaudia conserva importanti testimonianze di presenze che hanno preceduto di secoli la sua fondazione: il duecentesco Santuario della Sorresca, il Palazzo di Domiziano (uno dei complessi archeologici più importanti del basso Lazio), la cosiddetta Fonte di Lucullo, la piscina di F.Murena (alimentata dal mare). Si può completare il tour della città con una visita al Museo del Mare e della Costa.


 

San Felice Circeo

San Felice Circeo ha origini antichissime. In numerose grotte del monte Circeo, infatti, è stato rinvenuto prezioso materiale paletnologico: in particolare un cranio di uomo neanderthaliano. Ma è stato anche rinvenuto materiale archeologico del Paleolitico medio, del Paleolitico superiore e del Mesolitico.

San Felice è stata città volsca, conquistata dai Romani nel 393 a.C.,devastata dai Goti nel 410 d. C. e dai Saraceni nell'846, ricostruita e fortificata dai papi che la affidarono a Terracina. Il paese divenne poi feudo dei Frangipane nel 1185 e, dopo un periodo di sconvolgimenti, passò agli Annibaldi nel 1203. Diventò proprietà dell'Ordine dei Templari nel 1250 che, pochi anni dopo, scambiarono il possedimento del paese con altri beni. Nel 1301 fu acquistato dai Caetani che, tranne brevi intervalli, lo terranno fino al 1713. In quell'anno il centro fu venduto ai Ruspoli ; successivamente tornò alla Camera Apostolica.

Il piccolo centro della Pianura Pontina sorge su un'altura del versante orientale del Promontorio del Circeo che, protendendosi nel Tirreno, chiude il Golfo di Gaeta. Il nome deriva dall’antico Circeii, forse riferito alla mitica Maga Circe, o alla forma rotonda dell’altura su cui sorge l'abitato.

Da non perdere la Mostra permanente Homo sapiens et Habitat, una raccolta di reperti fossili di fauna e di uomini neaderthaliani che dimorarono nelle grotte del Circeo. Per gli appassionati di immersioni, da seguire l’itinerario subacqueo che porta alla Statua del Cristo Re.


 

Sermoneta

In cima ad una collina, a 257 metri di altezza sul mare, Sermoneta si erge in tutta la sua maestosità a dominare la pianura Pontina. Il borgo testimonia la grande ricchezza turistica del territorio della provincia di Latina, che sa accogliere i numerosissimi turisti non soltanto per il suo mare cristallino e per le sue isole di incomparabile bellezza, ma anche per i borghi del suo retroterra.

La fortuna di Sermoneta inizia alla fine del XIII secolo quando si insedia la famiglia Caetani che vantava tra i suoi autorevoli membri un Pontefice, papa Bonifacio VIII. Immediatamente fu eretto un grande ed imponente castello che fungeva da ala protettiva per i suoi abitanti e che fu il centro principale di un Feudo di grandi proporzioni.

Il castello Caetani è indubbiamente il simbolo di Sermoneta, il suo principale elemento di attrazione turistica; nel corso del 1400 visse il periodo di maggiore gloria e fama subendo notevoli migliorie architettoniche ed artistiche con la realizzazione di affreschi che andarono ad abbellire le diverse sale.

Nel 1499 papa Alessandro VI Borgia scomunicò i Caetani confiscando loro tutti i loro Feudi, di cui rientrarono faticosamente in possesso soltanto alcuni anni più tardi. Dopo un lungo periodo di abbandono, il castello è stato ripreso in mano dalla famiglia Caetani nel secolo scorso, restaurato e portato allo splendore di un tempo, grazie soprattutto agli interventi di consolidamento degli affreschi quattrocenteschi di scuola del Pinturicchio.

Il caratteristico ed inconfondibile aspetto di borgo medievale con le sue stradine, i vicoli e le piazzette tutte all’interno delle mura cittadine, conferiscono a Sermoneta quel sapore e quel gusto antico che invita ed accoglie il turista a scoprirla in tutto il suo fascino unico ed irripetibile.

Oltre al castello si suggerisce di visitare le bellissime chiese ed in particolare la Cattedrale Santa Maria Assunta che conserva al suo interno preziosi affreschi anche di Benozzo Bozzoli.


 

Sperlonga

Sperlonga è una ridente cittadina balneare che non ha dimenticato la sua origine agricola e conserva elementi caratterizzanti molto singolari: il nucleo abitato, con viuzze strette che si inerpicano sul colle, gli archetti che si aprono inaspettatamente su cortili o altre viuzze o su improvvisi squarci di cielo e di mare e che fanno tutt’uno con le abitazioni dai lindi colori mediterranei spruzzati a calce.

Le spiagge di sabbia, lunghe circa 10 km, hanno nomi tipici: ad est, delle Bambole, Capovento, Bazzano, Angolo; ad ovest, della Canzatòra e Amyclae. Le rocce modellate dal vento e in cui si aprono grotte marine, le torri costiere di difesa, la collina rigogliosa di flora mediterranea, con uliveti ed orti, il porticciolo per pescatori e piccole barche da diporto completano l’ambiente.

Importante testimonianza archeologica è la Villa della Grotta di Tiberio, portata alla luce alla fine degli anni ’50: comprende una grotta-ninfeo, un grande vivaio ittico e un impianto termale. Sul luogo è sorto il Museo Archeologico Nazionale e Villa di Tiberio, che raccoglie le ricostruzioni di grandi gruppi statuari, rinvenuti nell’area e che rievocano il mito di Ulisse. La raccolta comprende pregevoli reperti, in massima parte scultorei, riferibili all’apparato ornamentale della villa: accanto a opere di intento celebrativo della gens Iulia (rilievo di Venere Genitrice, erma del cd. Enea), figurano immagini di divinità (Dioniso, Athena, Salus), esemplari di ritrattistica (testa di Traiano e di un imperatore di età tetrarchica ecc.) ed elementi prettamente decorativi (statua di fanciulla panneggiata identificabile forse con Circe, putti, satirelli, maschere teatrali), databili soprattutto al I sec. d.C.


 

Terracina

Terracina è una delle città più grandi del litorale pontino, situata a circa 100km da Roma e 120 km da Napoli. La città è dominata dal suggestivo Tempio di Giove Anxur che fin dal II secolo a.C. sovrasta la città bassa che vanta un lungomare di circa 6 km, ricco di stabilimenti balneari, dotati dei migliori servizi.

Porta meridionale dell'Agro pontino, è uno dei principali centri turistici del Lazio, sia per la sua posizione marittima, sia per il patrimonio culturale. La città antica era raccolta su una collinetta affacciata sul mare, protetta da una robusta cinta di mura di varie epoche (l’ultima è bizantina), che raccoglie emergenze romane come il Foro emiliano e medioevali quali la Cattedrale di San Cesareo, il Palazzo Venditti, il castello Frangipane ed una serie di stradine che costruiscono un tessuto nel quale, sull’originaria maglia medioevale – romana, è venuta innestandosi una trama di piccoli negozi, ristoranti ed enoteche. 

La parte in pianura comprende un nucleo nato alla fine del Settecento, in seguito alla bonifica di Pio VI, che include la chiesa del Salvatore, grandioso edificio neoclassico progettato nel 1845 dall’architetto Andrea Sarti su precedente idea del Valandier, la piazza del Semicircolo, alcuni palazzi della prima metà del Novecento ed altri ambienti urbani. Molto bella la piazza del Municipio con il Duomo , antichissima costruzione ricavata dalla cella di un tempio probabilmente dedicato a Roma o ad Augusto. 

Il Palazzo Comunale e la Torre Frumentaria, tardo-medioevale, sono oggi la sede del Museo Archeologico, che raccoglie oggetti di scavi locali. Da visitare anche il Tempio Capitolino, risalente al I sec. a. C., tornato alla luce dopo lo scavo delle macerie causate dalla II guerra mondiale e la Cinta muraria detta Sillana perché realizzata dal console Silla. La parte litoranea è costituita dal Lungomare Circe che comprende numerosi stabilimenti balneari e strutture per l’ospitalità. 

Ottime complessi alberghieri, numerosi ristoranti, camping, negozi per lo shopping e il porto, evidenziano la struttura turistica. La cittadina è anche base peschereccia e punto d’imbarco per l’isola di Ponza. Terracina sorge sulle coste del monte S. Angelo, sulla cui vetta sorge il famoso Tempio di Giove Anxur da cui si scorge un ampio panorama che va dal golfo di Gaeta al promontorio epico del Circeo e, di fronte a sé, le isole di Ponza, Ventotene e la Riserva naturale di Palmarola.

Nella parte orientale del monte, lungo l’Appia, presso la cosiddetta Porta Napoli, si osserva la roccia fatta tagliare da Traiano per aprire il passaggio dell’Appia al mare. Monte S. Angelo è stato riconosciuto dalla Regione monumento naturale. Terracina è inoltre ricca di tradizioni popolari, come le feste del patrono, S. Cesareo, quella di S. Silviano e dell'Assunta oppure a luglio quella scenografica della Madonna del Carmine con la spettacolare processione a mare. 

L'economia della città è incentrata principalmente sul turismo, ma Terracina è particolarmente attiva anche con la pesca, l'agricoltura e l'allevamento delle bufale. Ed è proprio la mozzarella di bufala di Terracina che può vantare il riconoscimento di denominazione di origine protetta (DOP). Da ricordare e soprattutto da gustare prodotti particolari, come la Fragola e il Moscato di Terracina, vino ad Indicazione Geografica Tipica (Igp), il Casanese e l’Aleatico. 

http://www.ilmiolazio.it/it-IT/educationaltours/Documents/mare_it.doc

 

Fonte: http://www.ilmiolazio.it/it-IT/educationaltours/Documents/mare_it.doc

Sito web: http://www.ilmiolazio.it/

Autore del testo: Regione Lazio assessorato al turismo

 

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