Latino appunti

 


 

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Il latino e la sua storia


Il latino è una lingua indoeuropea del gruppo delle lingue italiche, parlata a Roma (Roma anche in latino), città ancor oggi capitale d’Italia, e nel Lazio (regione in cui la città si trova) almeno dagli inizi del I millennio a.C.
Questo vuol dire che il latino appartiene all’ampio gruppo delle lingue “sorelle” (sanscrito, iranico, slavo, greco, lingue italiche, lingue germaniche, ecc.) derivanti dall’indoeuropeo, che non rappresenta un concetto etnico, cioè legato ad una stirpe, ma essenzialmente linguistico. Con il termine indoeuropeo si intende infatti la  protolingua preistorica non attestata da testimonianze scritte, ma unicamente ricostruita, da cui si ritiene abbia avuto origine la maggior parte delle lingue antiche e moderne diffusesi in gran parte dell'Europa, dell'Iran, dell'India e in alcune regioni dell'Anatolia, dell'Asia centrale, fino ai confini della Cina occidentale. La nozione di indoeuropeo deriva appunto dalla fusione dei nomi delle due regioni estreme dell'area considerata, cioè l'Europa e l'India.
Il “protolatino” sarebbe penetrato nella penisola italica dal Nord e sarebbe rapidamente arrivato a stabilirsi nel Lazio, dove nell’VIII sec. a C. (per tradizione il 753) fu fondata la città di Roma, che rapidamente estese il suo potere sulle regioni confinanti e successivamente nei secoli ampiamente in Europa e nell’area mediterranea.
Nella storia della lingua latina si possono individuare varie fasi, che vanno da quella più antica (latino pre-letterario e arcaico, fino al 240 a.C., quando per convenzione inizia la letteratura latina) a quella più matura ( latino letterario e classico, dal III sec. a.C. al I d.C.) a quella già declinante (latino imperiale, dal I sec. d.C. alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel V sec. d.C.), per finire all’epoca della trasformazione della lingua in forme progressivamente modificate, che passano attraverso il latino post-classico, il latino cristiano e quello medievale.
Anche in epoca classica il latino conobbe due varietà di registri espressivi, che si possono individuare in una lingua d’uso, nota come “latino volgare”, usato nel parlare quotidiano, a noi poco conosciuto perché documentato da scarsissime testimonianze scritte, e una lingua letteraria, usata dagli scrittori latini, ampiamente documentata dalla vasta produzione letteraria di numerosissimi scrittori di grande valore artistico e culturale.
L’espansionismo politico dei Romani comportò la diffusione della lingua d’uso quotidiano, quella parlata normalmente sia dai legionari, cioè dai soldati, sia dall’enorme apparato burocratico che seguiva le conquiste, nonché da tutti coloro che  si introdussero in queste zone per esercitare attività mercantili. Iniziava pertanto a diffondersi nell’impero una lingua romana parlata, lingua che i vinti dovevano imparare per tenere i contatti con i conquistatori, e che a poco a poco, penetrava più o meno a fondo nelle diverse aree geografiche, ma che avrà comunque conseguenze linguistiche e culturali importantissime nei secoli successivi.
Il latino divenne pertanto importante come lingua ufficiale dell'Impero romano, usato come lingua franca in particolare nella parte occidentale dell’Impero. In quella orientale, tale idioma si diffuse fra il I e il IV secolo nella penisola balcanica (in particolare in Dacia, ricostituitasi come provincia nella seconda metà del III secolo a sud del fiume Danubio, in Mesia, e anche nella Macedonia settentrionale) e in alcune zone dell'Asia. Tuttavia non riuscì a scalzare la koinè diàlektos, cioè la lingua greca usata al di fuori dalla penisola Ellenica, come lingua di cultura e d'uso nel Mediterraneo orientale, neppure a Costantinopoli, città nella quale il latino, piuttosto diffuso soprattutto fra le classi più elevate fino al 450 circa, andò sempre più retrocedendo davanti al greco che divenne, nel terzo decennio del VII secolo, la lingua ufficiale dell'Impero Romano d'Oriente, o Impero bizantino, che durerà fino al 1453, quando cadrà sotto la dominazione ottomana.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) e il conseguente insediamento delle popolazioni barbariche (Franchi, Goti, Vandali, ecc.) in quelli che erano stati i territori dell’Impero Romano, in particolare nei secoli VII e VIII, il latino subì un progressivo imbarbarimento, ma rimase l’unica lingua colta usata in tutta Europa, che successivamente venne anche ripristinata durante la “Rinascita carolingia”, voluta da Carlo Magno (tra l’VIII e il IX sec. d.C.), che chiamò le menti migliori del suo tempo per  risanare una cultura che sembrava ormai precipitare nell’imbarbarimento.
In questo periodo il latino della letteratura fu salvaguardato dalla Chiesa, che da un lato salvò letteralmente, specie nei monasteri, una parte del patrimonio letterario antico, e dall’altro adattò la lingua latina ai propri fini liturgici e sacrali, facendone una lingua particolare, universale e sacra ad un tempo, grazie anche agli arricchimenti che provennero dal greco e dall’ebraico.
Il latino, però, venne ancora usato per molti secoli come unica lingua scritta nel mondo che era stato romano. Nelle cancellerie dei re, nella curia romana, nella liturgia della Chiesa cattolica, nella produzione dei libri l'unica lingua era il latino; ma era un latino sempre più corrotto e sempre più influenzato dal linguaggio parlato. Infatti in un periodo difficile da stabilire con precisione tra il tardo impero e l'alto Medioevo il latino volgare aveva incominciato a differenziarsi dando origine prima al protoromanzo e poi alle prime fasi di quelle che sono le attuali Lingue romanze o neolatine.
Infatti verso l’anno Mille, mentre la lingua latina scritta proseguiva la sua strada fatta di un sostanziale recupero delle forme regolari e di un rinnovato interesse per i migliori scrittori antichi ,  il latino cosiddetto “volgare”, ovvero parlato, andava ormai trasformandosi nelle varie parlate nazionali, di cui abbiamo le prime testimonianze, in Francia e in Italia, tra il IX e il X sec. d.C.
Sono queste appunto le lingue romanze o neolatine (italiano, francese, spagnolo, portoghese e rumeno, oltre a lingue a diffusione locale, come il ladino, parlato in una zona delle Alpi Orientali, e il sardo, parlato nell’isola della Sardegna) che derivano direttamente dal latino volgare.
Dopo il Mille nacquero le università (la prima fu quella di Bologna), e l'insegnamento, per persone che giungevano da tutta l'Europa, era rigorosamente in latino: un latino certo che non poteva più dirsi la lingua degli antichi Romani. I dotti delle università elaborarono un latino particolare, detto scolastico, adatto ad esprimere i concetti astratti e ricchi di sfumature elaborati dalla filosofia dell'epoca, chiamata appunto scolastica.
Il latino conobbe una nuova e felice stagione in età umanistico-rinascimentale, cioè a partire dal Quattrocento in Italia, per poi diffondersi con il Cinquecento anche in altri paesi soprattutto dell’Europa Occidentale, con un ritorno alla classicità, molto ideale e limitato all’ambito letterario.

Per tutte queste ragioni parole di origine latina si trovano spesso anche in molte lingue moderne di altri ceppi, soprattutto nell’inglese, per il fatto che, anche dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, per più di un millennio il latino fu, nel mondo occidentale, la lingua franca della cultura, della scienza e dei rapporti internazionali, e come tale influì sulle varie lingue locali. Quando venne meno questa sua funzione, dopo la Rivoluzione Francese, alla fine del Settecento, essa fu assunta dalle lingue vive europee del tempo e, in ambito letterario  e nella diplomazia, dal francese. Quest'ultima, essendo una lingua romanza, continuò a promuovere parole di origine latina negli altri idiomi fino alla metà del Novecento, quando si andò gradualmente imponendo in Europa e nel mondo, come lingua franca, l'inglese, che pur essendo di ceppo germanico presenta, come abbiamo detto, soprattutto nel lessico, un gran numero di termini di origine latina.
La Chiesa Cattolica mantenne sempre il latino in tutte le pratiche e le celebrazioni religiose (eccetto che per la predicazione e la confessione personale), fino al Concilio Vaticano II (1962-1965).
In seguito alla scoperta dell'America (1492) e soprattutto alla politica coloniale degli stati europei, alcune lingue romanze (francese, spagnolo e portoghese) insieme ad altri idiomi dell'Europa occidentale, in cui l'impronta latina era forte, fra cui l'inglese, si erano poi diffuse in gran parte del mondo.
La lingua latina si è sviluppata grazie anche al contributo di tutte le lingue dei popoli con cui è entrata in contatto durante l'epoca romana, ed in particolare con gli idiomi italici e con quelli parlati nel Mediterraneo orientale (greco soprattutto). Attualmente le lingue con maggiore somiglianza al latino sono il sardo per la pronuncia, l'italiano per il lessico, il rumeno per la struttura grammaticale.
Il latino ecclesiastico formalmente rimane la lingua della Chiesa cattolica romana ancora oggi ed è la lingua ufficiale della Santa Sede, benché lo Stato della Città del Vaticano usi come lingua corrente l’italiano, riservando l’uso del latino ai documenti ufficiali.
Il latino è usato per designare i nomi nelle classificazioni scientifiche degli esseri viventi.
La storia della lingua latina è quindi lunga e varia nel tempo. Per questo esistono in tutto il mondo una grandissima quantità di testi scritti in latino in epoche diverse e di argomenti molto differenti tra di loro, sono testi letterari, religiosi, storici, filosofici, teologici, giuridici, scientifici ed altri ancora. Si calcola che la maggior parte dei documenti (libri, manoscritti, epigrafi, ecc.) prodotti in lingua latina non risalgano al periodo classico, il cui patrimonio di testi ammonta a circa 600 unità, dato che moltissimi sono andati perduti, bensì ai periodi successivi, cioè al Medioevo e all'età moderna. Studi recenti hanno, infatti, rivelato l'esistenza di un patrimonio letterario che conta oltre 18000 testi accertati, la maggior parte dei quali resta tuttora inedita
Il latino è a tutt'oggi materia di studio obbligatorio in Italia nei licei classici, scientifici, linguistici, sociopsicopedagogici, mentre in molti altri paesi è lingua facoltativa. (Il latino è ancora lingua ufficiale della Santa Sede, benché lo Stato della Città del Vaticano utilizzi come lingua corrente l'italiano, riservando l'uso del latino ai documenti ufficiali.)
Domande di comprensione della lezione:
Rispondete a queste domande.  Nella prossima lezione troverete le risposte esatte (tranne per l’ultima che è a risposta aperta); così potrete confrontare con il vostro e fare l’autocorrezione. Questo metodo di lavoro verrà usato per tutto il corso.


1) Quali sono le altre lingue indoeuropee, oltre il latino?
2) Quali sono le varie fasi della storia della lingua latina?
3) Dopo la caduta dell’Impero Romano dove sopravvive l’uso della lingua latina?
4) Quali sono le lingue romanze o neolatine?
5) Oltre che lingua ufficiale della Santa Sede, il latino è studiato nei licei italiani; tu quali altre occasioni di studio o di uso di questa lingua conosci?


Fonte: http://www.es.catholic.net/catholic_db/archivosWord_db/i_lezione.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

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La dinastia Giulio-Claudia
I quattro successori di Augusto detennero il potere per 50 anni, anche se non riuscirono mai a continuare la politica di Ottaviano perché il titolo di princeps era troppo legato alla sua persona e non istituzionale.
Se Augusto con la sua auctoritas era riuscito a sostenere le pressioni dei suoi nemici, i suoi successori ricorsero a forme di repressione, anche violenta, nei confronti di oppositori politici o intellettuali.
Tiberio
Salito al potere in età già matura (55 anni), si mosse all’inizio in continuità con l’azione di Augusto e, durante il suo governo, mostrò ottime doti nell’amministrazione delle finanze pubbliche e della burocrazia imperiale. In seguito, a causa di un carattere scontroso e dell’influenza negativa di Elio Seiano, guastò i rapporti con l’aristocrazia senatoria. Tiberio, ritiratosi a Capri, lasciò il potere in mano a Seiano. Il suo potere però crebbe sempre di più finchè Tiberio si convinse di doversene sbarazzare e lo fece assassinare.
Caligola
A Tiberio succese Gaio, suo nipote, detto Caligola per le calzature (caligae) che indossava quando seguiva il padre nei campi di battaglia. Sali’ al potere con un vasto consenso ma presto si alienò le simpatie dell’aristocrazia senatoria a causa del suo modo di interpretare il ruolo di imperatore: si ispirò ad Alessandro Magno e ai monarchi dell’oriente ellenistico. Focalizzò la sua politica interna ed estera sull’oriente in impegni dispendiosi e infruttuosi. Fu assassinato in una congiura.
Claudio
A Caligola successe Claudio, zio del primo, e la sua fama fu pesantemente influenzata da Seneca che scrisse una satira menippea per ridicolizzarlo dopo la sua morte. Nonostante ciò e la sua fama di uomo impacciato e inadatto al potere, Claudio resse l’impero con dignità: risollevò le finanze pubbliche dissanguate da Caligola, promosse importanti opere, rafforzò ed ampliò i confini dell’impero, conquistando la Britannia. Mori’ forse avvelenato dalla moglie Agrippina.
Nerone
Figlio di Agrippina, sali’ al potere appena sedicenne e, oltre a sua madre, ebbe come precettori Arfanio Burro e Lucio Seneca. Nerone si mostrò inizialmente rispettoso e moderato verso il senato, ma solamente per un quinquennio (quinquennium Neronis). Infatti dopo si sarebbe trasformato in una specie di “mostro”; in realtà continuò sulla linea intrapresa da Caligola di trasformare l’impero di Roma in un impero ellenistico. Le varie uccisioni che provocò (Agrippina, Britannico, la moglie Ottavia) e l’allontanamento di Seneca rientravano in un progetto di accentramento del potere di tipo assolutistico. Cercò l’appoggio dei ceti più poveri e perseguitò molti membri del senato. Uno degli eventi più importanti del suo governo è la “congiura dei Pisoni” che cercò di attentare allo stesso Nerone; essa falli’ ma ebbe pesanti conseguenze come il suicidio forzato di personaggi come Seneca, Petronio e Lucano.
Il Clima culturale
In questo periodo mancò una politica culturale vera e propria e infatti si parla di fine del mecenatismo. Unica eccezione fu la prima parte del regno di Nerone che fu appassionato di letteratura, musica e teatro, e intrattenne rapporti con intellettuali come Nerone, Petronio e Lucano.
Le esperienze letterarie del tempo furono molteplici: storiografia, erudizione e retorica che si trasforma in un puro esercizio di stile ma non potranno esprimere le loro idee. Retorica e storiografia sono le branche più danneggiati da questo clima culturale.
Seneca
Vita
Nasce a Cordova, colonia romana in Spagna, in un anno non precisato (4 a.C o 1 d.C.), da ricca famiglia equestre. Suo padre, Seneca padre detto il Retore, aveva soggiornato giovanissimo a Roma.
Seneca giunse a Roma grazie alla zia e qui riceve una vasta educazione letteraria e storica, studiando anche retorica e filosofia (Ebbe come maestro anche lo stoico Attalo).
Sempre grazie alla zia ottiene la questura e nel frattempo ottiene grande successo dalla sua attività oratoria.
Nel 39 d.C Caligola lo condanna a morte con un pretesto poiché disdegnava l’oratoria di Seneca; tuttavia un’amica dell’imperatore (forse Agrippina) riusci a salvarlo dalla condanna. Alla morte di Caligola, Claudio, suo successore, condanna Seneca all’esilio in Corsica dal 41 al 49 d.C. sempre per motivi pretestuosi. In questi anni cerca di ingraziarsi Claudio con l’elogio al figlio Polibio nella Consolatio ad Polybium. Agrippina, dopo essere diventata la nuova moglie di Nerone, alla morte di Messalina, fa ottenere a Seneca il perdono e la pretura, il tutto al fine di farlo diventare il maestro di suo figlio, il futuro imperatore Nerone. Alla morte di Claudio, Seneca scrive una satira menippea, l’Apokolokyntosis, per vendicarsi di Claudio in cui ridicolizza l’apoteosi dell’ imperatore.
Salito al potere Nerone, Seneca diventa il suo consigliere politico e “amicus” dell’imperatore sedicenne insieme a Burro. Questo periodo, il “quinquennium Neronis”, viene considerato di buon governo in cui anche Seneca, accumula un ingente patrimonio che crescerà fino a farlo diventare uno dei più ricchi di Roma. Fu un periodo di grande produzione per Seneca (Dialogi, Trattati, Tragedie). Quando nel 59 d.C. Nerone decide di eliminare la madre Agrippina, Seneca rinuncia al progetto di educare l’imperatore a un governo improntato a un’ autocrazia illuminata.
Alla morte di Burro, si ritira a vita privata e si dedica ai suoi studi: in questo otium scrive importanti opere come il De beneficiis, le Naturales Quaestiones e le Epistulae morales ad Lucilium.
Nel 65 d.C. viene scoperta una congiura di Pisone e Seneca, ritenuto in qualche modo complice, viene costretto al suicidio.
Opere
Seneca ha sempre coltivato i generi più disparati: all’ambito filosofico – morale possiamo ascrivere i Dialogi, i due trattati, le Naturales quaestiones e le Epistulae morales ad Lucilium; oltre alle tragedie, a una satira menippea e a diversi epigrammi.
Dialogi
Si tratta di 10 componimenti in 10 libri (tranne il De Ira che ne comprende 3); essi sono differenti dai dialoghi platonici poiché è assente lo scampio di idee tra i protagonisti, ma piuttosto si tratta di monologhi in cui l’autore si rivolge direttamente al dedicatario. Sono una riflessione continua, in cui l’argomento viene trattato in modo non sistematico, ma sulla base di una serie di immagini e metafore. In base alla loro struttura e contenuto, si dividono tradizionalmente in:

  • Dialogi di consolazione: Riflessioni rivolte a un destinatario, per consolarlo della scomparsa, temporanea o definitiva, di una persona cara. Origine in Grecia nel IV secolo per effetto di diverse correnti: il “discorso” lenisce la sofferenza, l’Accademia influisce col concetto di immortalità dell’anima, e lo stoicismo si riscontra nel controllo delle passioni. Temi principali sono: la fugacità del tempo, la precarietà della vita e dei beni, l’imprevedibilità del futuro. Fanno parte di questo gruppo: Consolatio ad Marciam (la figlia dello storico Cordo, il fine è consolarla della perdita del figlio), ad Polybium (dedicata a Polibio, liberto di Claudio, per consolarlo della perdita del fratello; il vero scopo è però quello di ottenere la revoca dell’esilio), ad Helviam matrem (per consolare la propria madre mentre è in esilio; per Seneca il saggio non conosce esilio se vive sempre con dignità).
  • Dialogi di tipo speculativo: Fanno parte i tre libri del De Ira, dedicati al fratello Novato, dopo la morte di Caligola. Sono una trattazione, ricca di esempi, sulle caratteristiche e le conseguenze dell’ira; essa viene considerata come una vera e propria malattia dell’animo, distruttrice della ragione. Il testo si propone come trattato medico, individuando cause e rimedi di tale malattia. Il De brevitate vitae è dedicato al suocero Paolino che aveva raggiunto tutti i traguardi possibili nella vita politica. Il tema principale è la brevità del tempo concesso all’uomo; esso non deve essere sprecato in attività futili ma utilizzato per il raggiungimento della saggezza. Il De vita beata è dedicato ancora al fratello Novato, affronta il tema della felicità e della via per raggiungerla. Essa non consiste nell’avere beni materiali ma nel vivere secondo natura e nell’esercizio della virtù che basta da sola a se stessa. E’ incentrato sulla discussione di problematiche dottrinali dello stoicismo.
  • Trilogia dei dialogi a Sereno (cortigiano e funzionario imperiale): Sono tre dialogi scritti in un ordine che rappresenta un “percorso” per il raggiungimento della salvezza. Il De constantia sapientis mira a valorizzare la figura del saggio stoico; egli si pone, grazie a una virtù “divina”, al di sopra degli altri uomini e degli eventi esterni. Il De tranquillitate animi viene scritto in un periodo di insicurezza per Seneca che comincia a pianificare un ritiro a vita privata. Il testo inizia con una lettera di Sereno chiedente aiuto e consiglio in quanto soffre di una “noia di vivere” in seguito al ritiro in otium. Seneca suggerisce una via per uscire da questa condizione: un equilibrio tra otium e impegno nella vita pubblica. Tema principale è la serenità dell’animo. Il De otio,  giunto mutilato sia dell’inizio sia della fine, tratta il rapporto tra vita attiva (negotium) e vita contemplativa (otium);  in certe occasioni il saggio deve partecipare alla vita politica, in altre deve ritirarsi.
  • Un ultimo dialogo è il De providentia, dedicato a Lucilio, il cui tema principale è la razionalità immanente al cosmo, tipica dello stoicismo. Affronta il tema della contraddizione tra provvidenza e il fatto che la sorte sembra premiare i malvagi e punire i buoni. Per Seneca, dolore  e sventura sono considerati dal saggio mezzo per il rafforzamento dell’animo e esercizio della virtù.

Trattati

  • De clementia: Trattato politico in due libri sul programma di governo del sovrano illuminato, identificato nella figura dell’imperatore Nerone, dedicatario dell’opera. Seneca lo elogia per aver governato finora con umanità, mitezza d’animo e per aver dimostrato clementia, cioè la virtù che distingue il sovrano dal tiranno e che garantisce la stabilità dell’impero.
  • Il De Beneficiis è articolato in sette libri, dedicati a Ebuzio Liberale, scritti negli ultimi anni di attività di Seneca. Tratta di uno dei fondamenti del vivere civile: il beneficio; di come riceverlo e concederlo, e della conseguente riconoscenza e ingratitudine. Il valore del beneficio consiste del fatto stesso di donare. Si sviluppa su due piani diversi: il primo su un discorso teorico che mira a creare un modello di comportamento umano, studiando la fenomenologia del dare e del ricevere; e un secondo discorso, più pratico, sui comportamenti realmente praticati che ha avuto modo di osservare o leggere nella storiografia.

Naturales Quaestiones
Sono un opera dossografica (raccolta di argomenti eruditi) in otto libri, dedicata a Lucilio al quale si rivolge direttamente nell’opera. Ogni libro tratta di un particolare fenomeno naturale (fuochi celesti, tuoni e fulmini, acque terresti, ecc.); tuttavia la discussione scientifica è sempre unita a un intento morale, quello etico – pedagogico di miglioramento dell’uomo. Infatti Seneca sottolinea il carattere naturale di questi eventi sottraendoli alla superstizione e negando ogni aspetto di un prodigio. Uno degli scopi dell’opera è quindi la liberazione dell’uomo dalle sue paure irragionevoli, dovute all’ignoranza, e in particolare dal timore della morte. Non si tratta quindi di un’opera puramente scientifica ma anche di carattere filosofico.

Epistulae morales ad Lucilium
Riconosciute come il capolavoro di Seneca, sono una raccolta di lettere di argomento etico e parenetico indirizzate all’amico Lucilio (124 lettere pervenute). Lucilium Iuniore era un cavaliere romano che era stato governatore e procuratore. Le lettere sono senza dubbio reali ma è evidente che Seneca le ha scritte per un pubblico più ampio che il solo Lucilio. Contengono l’espressione del pensiero filosofico di Seneca; sono componimenti di tono colloquiale, intimo e discorsivo. In esse coesiste la dimensione teoretica con quella pratica: la riflessione si accompagna all’esperienza concreta. Lunghezza delle lettere e stili sono vari. L’obiettivo delle lettere è il progresso morale: viene trascurata la logica e vengono valorizzati temi cari allo stoicismo quali la miseria dell’uomo di fronte alle avversità della vita e all’assalto delle passioni e del male; il ruolo essenziale dell’introspezione; il rifugio nella solitudine della saggezza.

Tragedie
Scrisse 9 coturnate (tragedie di argomento greco) che si riallacciano alle tematiche del teatro tragico latino precedente e anche ad altri generi letterari come la poesia di Orazio, Virgilio e Ovidio. Il modello greco è presente negli argomenti. La produzione tragica di Seneca è di grande importanza perché si tratta delle uniche opere drammatiche pervenuteci nella loro interezza. Caratteristiche delle tragedie senecane sono la rappresentazione di passioni sconvolgenti, il gusto del macabro, il linguaggio espressionistico. L’autore è spesso negativo e l’autore fa largo uso di elementi ripresi dalla tradizione non solo tragica, ma anche epica. Grande ricchezza di particolari nelle descrizioni di scenari che rendono facile l’immaginazione del lettore o dell’ascoltatore nelle recitationes.
Apokolokyntosis (Apoteosi della zucca)
Satira menippea (parte in prosa e parte in poesia; finalità non serie ma di ridicolizzare) scritta dopo la morte dell’imperatore Claudio per vendicarsi di quest’ultimo per averlo mandato in esilio in Corsica per 8 anni. La trama è la seguente: Dopo la sua morte, Claudio arriva in cielo dove, di fronte a Giove, cerca di farsi riconoscere e di chiedere la propria beatificazione. Tuttavia nessuno degli dei lo riconosce e lo ossequia a causa del suo aspetto deforme e dalla parlata incomprensibile; una volta riconosciuto dalla dea Febbre, viene portato da Ercole davanti a un cosiglio di dei per votare la sua beatificazione. Augusto a quel punto si scaglia contro Claudio accusandolo di aver fatto uccidere tanti familiarie cosi tutti gli dei bocciano la sua apoteosi. Claudio viene cosi accompagnato da Mercurio negli inferi dove viene costretto a giocare per sempre a dadi con uno strumento truccato; solo per intromissione di Caligola viene consegnato al liberto Meandro che lo avrebbe aiutato nelle inchieste giudiziarie.
Alla parodia letteraria, con citazioni di passi di poesia greca e latina, si accompagna la descrizione grottesca del protagonista e di altri personaggi minori.
Temi
Come Cicerone, Seneca si può considerare un eclettico in quanto sebbene si dichiari apertamente vicino alla corrente dello stoicismo, accetta apporti da altre scuole (cinica, neopitagorica, epicurea). Egli non cerca mai una sistematizzazione del pensiero stoico ma volto a fini pratici e quindi con un intento pedagogico e parenetico.
Un altro tema importante senecano è la contrapposizione tra otium e negotium, già radicata nella cultura latina. Lo stoicismo, rispetto a questa contrapposizione, ha un atteggiamento ambivalente: da una parte richiede l’impegno del saggio nella vita politica, dall’altra ne può giustificare il ritiro se per validi motivi.
Il tema predominante in Seneca è la meditazione sul tempo e sulla morte. Partendo dall’idea che la morte è una cosa inevitabile per tutti gli uomini, la sua idea si riferisce al pensiero stoico secondo cui l’anima sopravvive dopo la morte, ma solo sino al momento della conflagrazione che distruggerà l’universo. Il suicidio viene visto, secondo la visione stoica della realtà, in un atto di liberazione del “carcere” del corpo. Seneca fa suo anche il pensiero stoico dell’analisi e la critica delle passioni (De ira, De clementia)
Fortuna
Nel Medioevo, Dante pone Seneca nel limbo fra gli “Spiriti magni”; nell’epoca della riforma viene letto e studiato da intellettuali come Calvino ed Erasmo; le tragedie senecane influenzeranno Alfieri e Foscolo.

 

Fedro
Vita
Abbiamo poche notizie biografiche su Fedro e derivano tutte dalla sua opera. Nato intorno al 15  a.C. in Tracia o Macedonia, giunge a Roma in età giovanile ed entra nella familia di Augusto che lo libera. Subi’ un processo da parte di Seiano, oggetto di alcune allusioni nelle sue favole. Mori’ senza aver ottenuto la notorietà.

Opera
Scrisse 94 favole in senari giambici, divise in 5 libri pubblicati separatamente. La favola costituisce un genere nuovo nella letteratura latina, ma già noto in Grecia; infatti egli prende ad esempio il favolista greco Esopo senza imitarlo passivamente, ma procedendo con l’attività di emulazione. Egli nei prologhi e negli epiloghi dichiara la sua originalità rispetto a Esopo: se Esopo ha trovato la materia, egli l’ha trasposta in senari, rielaborata e abbellita. Presenta una novità dei soggetti, infatti si stacca dalla favola esopica in cui i protagonisti erano tutti animali personificati in maniera elementare (volpe è furba, leone è malvagio); nelle favole di Fedro compaiono infatti anche figure umane, personaggi storici o mitologici.
L’intento di Fedro è dichiarato esplicitamente: “muovere il riso e stimolare la vita del saggio con una riflessione”; dunque la favola, attraverso la narrazione divertente, fornisce un insegnamento morale, ispirato al senso comune.
Emerge una critica ai vizi degli uomini che rientra in una visione pessimistica della realtà in cui il debole e l’onesto sono sempre vittime che non hanno possibilità di migliorare la loro condizione.
La struttura delle favole è semplice, c’è un vivace dialogo tra due personaggi in contrasto fra loro. La breve massima che riassume il contenuto e offre la chiave di lettura della favola si può trovare all’inizio o alla fine del brano.
Lo stile è medio, la sintassi regolare e lineare, e la lingua è soprattutto il  sermo cotidianus  in uso fra le persone colte.

  • Fortuna

Fedro non ebbe grande fortuna presso i suoi contemporanei; ignorato anche da Seneca, fu ricordato però da Marziale. Fu riscoperto soprattutto nel quattrocento in cui molti favolisti si ispirarono a lui tra cui Jean de La Fontaine.

Petronio
Vita
Non avendo notizie certe sull’identità, si usa identificare l’autore del Satyricon con un certo Petronio Arbitro grazie alla testimonianza degli Annales di Tacito.
Egli sarebbe stato un elegantiae arbiter (maestro di cerimonie) presso la corte di Nerone, e caratterizzato da una personalità eccentrica e gaudente. Fu coinvolto nella congiura dei Pisoni e si suicidò come Seneca e Lucano. Alcuni elementi che confermano questa ipotesi sono: la presenza di attori, gladiatori e cantanti dell’età neroniana; la presenza di liberti tra i personaggi (infatti nell’epoca di Nerone ebbero una buona visibilità pubblica); le allusioni ai lussi e agli eccessi della corte imperiale; la discussione della decadenza dell’eloquenza.
Il Satyricon
Un genere coposito
Il titolo presenta alcuni spunti di riflessione:

  • Satyricon in greco è genitivo e quindi si presuppone che il titolo originale potesse essere Satyricon libri che a sua volta può essere tradotto in due modi: “libri di storie di satiri” o “libri di storie satiriche”. Dato che i satiri, creature mitologiche bestiali e licenziose, sono del tutto assenti nell’opera, la seconda ipotesi è la più probabile.

E’ possibile quindi ricercare dei collegamenti con il genere lettario della satira. Lo stesso titolo può essere riconducibile alla parola latina satura, cioè “satira” come genere letterario. Infatti dalla satira luciliana e oraziana prende la ricerca di argomenti e registri linguistici quotidiani, la critica aspra dei vizi e il gusto della parodia letteraria. Dalla satira menippea trae la struttura del “prosimetrum” ,cioè è scritto parte in prosa e parte in poesia.
Tuttavia il Satyricon non può essere ricondotto solo al genere satirico in quanto, sebbene l’opera ci sia pervenuta mutila, il gran numero di personaggi, le ampie digressioni e i numerosi luoghi citati fanno pensare a un’opera di notevole estensione e quindi non può essere una vera e propria satira.
Effettivamente il Satyricon viene definito dagli storici uno dei primi “romanzi” della letteratura latina ma anche questa ipotesi è molto problematica. Alcuni sostengono che sia una parodia del romanzo greco: infatti essi presentano avventure e amori virtuosi e contrastati che si compiono attraverso azioni eroiche e peripezie; nell’opera di Petronio è presente una struttura comunque avventurosa, ma al centro ci sono legami omosessuali e una sessualità esplicita e eccessiva.
Sono presenti anche alcuni riferimenti all’Odissea di Omero: la presenza di una donna di nome Circe, l’allusione al gregge di Polifemo e all’antro del Ciclope.
Dal momento che è impossibile collocare quest’opera in un particolare genere letterario, si considera che Petronio abbia compiuto una cosciente mescolanza di generi diversi in un intento parodistico e sperimentale.
All’interno della narrazione sono inserite delle favole cinque novelle, cioè racconti popolari ricchi di elementi folkloristici e a volte magici.
Trama riassunta
La vicenda è incentrata sulla figura di Enclopio, narratore in prima persona, e dei suoi compagni Gitone, bellissimo e suo amante, e Asclito, rivale in amore. Essi sono quindi i “vertici” di un triangolo amoroso omosessuale. La parte precedente a quella che ci è pervenuta potrebbe essere ambientata a Marsiglia, dalla quale i due amanti fuggono verso l’Italia dopo aver suscitato l’ira del dio Priapo.
Qui inizia la parte che è giunta fino a noi.  Essi si ritrovano in una Graeca Urbs (alcuni l’hanno identificata con Pozzuoli, Cuma o Napoli) e dopo essersi ritrovati insieme,  passano le più contorte disavventure tra cui ricordiamo quella in cui si introducono di nascosto alla cena di un importante liberto arricchito, Trimalchione, per seguire il rettore Agamennone. Questa scena è la cosiddetta Cena Trimalchionis ed è una delle più riuscite. Nel finale la scena si sposta a Crotone dove la vicenda si complica e si intreccia ulteriormente.
Fantasia e Realismo
Alcuni aspetti del Satyricon, come la mancata contestualizzazione di alcuni luoghi (la Greca Urbs), o anche la stessa Crotone appaiono legati a un mondo più immaginario che reale; mentre altri come le strade, le piazze, le locande, i bordelli o le navi appaiono molto più riconoscibili al pubblico ed è per questo che si parla del “realismo” di Petronio. Sono realistici anche i personaggi che animano la narrazione per due motivi:

  • Esprimono la realtà davvero esistente al tempo, soprattutto quella bassa e degradata
  • Alcuni soggetti sociali alludono a figure e situazione politiche e sociali del tempo

Cena Trimalchionis
Questo episodio è stato ispirato sia dalla satira oraziana sia dal Simposio di Platone, richiamato da evidenti particolari. I protagonisti del romanzo riescono a ottenere, con vari espedienti, un invito a partecipare al banchetto offerto dal potente liberto ai suoi amici, spesso anche loro liberti arricchiti. Trimalchione rappresenta al meglio tutti gli eccessi della figura di Nerone. In questa scena si denota un’ossessione di Trimalchione verso la morte dalla sua attenzione verso il proprio testamento e la scena macabra del suo finto funerale inscenato al banchetto. E’una scena tutt’altro che lieta, infatti è pervasa da discorsi sulla morte e sulla caducità della vita. Essa si spinge a tal punto che gli invitati sono invogliati alla fuga dal banchetto. Quindi se realismo e fantasia sembrano convivere all’interno del Satyricon, sono presenti contemporaneamente anche le due finalità del romanzo: intrattenimento e riflessione.
Lingua e stile
La lingua del Satyricon è contraddistinta dal plurilinguismo, cioè l’utilizzo di diversi registri linguistici a seconda della situazione e dei personaggi.
Esso è visibile per due motivi:

  • L’utilizzo del “prosimetrum” cioè l’alternarsi di prosa e poesia
  • I personaggi parlano seguendo il linguaggio tipico della loro classe sociale; i personaggi colti usano un latino semplice ma elegante e i personaggi socialmente più bassi usano il sermo plebeius, caratterizzati da espressioni colloquiali.

Fortuna
Egli fu trascurato dai suoi contemporanei poiché non accontentava nessuno, non salvava né poveri né ricchi. Solo nell’ Umanesimo, quando fu ritrovata la Cena Trimalchionis si cominciò ad apprezzare la sua opera ed ebbe la fortuna che meritava. In Italia Gian Battista Marino riprese parti del Satyricon nel suo Adone e nella letteratura inglese, Oscar Wilde ne “Il ritratto di Dorian Gray” racconta dell’ammirazione che Dorian ha verso Petronio e il suo modo di vivere.

 

Lucano

  • Vita

Nasce a Cordova, in Spagna, nel 39 d.C. da Anneo Mela, fratello di Seneca. Egli è dunque il nipote di quest’ultimo. Come Seneca, giunse giovane a Roma dove apprese la disciplina stoica ed entrò nelle grazie dell’imperatore Nerone al quale dedicò anche una lode (Laudes Neronis). Il rapporto tra il poeta e l’imperatore si ruppe ed egli fu coinvolto nella congiura dei Pisoni e fu costretto al suicidio come Seneca. Morì ad appena 26 anni.

  • Opere

Come Seneca, Lucano sperimentò diversi generi letterari le cui testimonianze sono andate perdute.
La sua opera principale è senza dubbio il Bellum Civile.
Bellum civile
Noto anche come Pharsalia (“gli eventi di Farsalo”), è un poema epico che tratta della guerra civile tra Cesare e Pompeo, culminata proprio con la battaglia di Farsalo del 48 a.C.. Il testo si interrompe al X libro per la morte dell’autore. Il progetto originale era probabilmente di 12 libri, in linea con il modello dell’Eneide e del poema epico.
Sono presenti 3 personaggi principali, ognuno dei quali portatore di valori:

  • Cesare: viene visto in prospettiva molto negativa, come un tiranno. Egli è un monarca autocratico, troppo facile al furor, all’impatientia , e all’ira. Nel testo viene paragonato a un fulmine che colpisce violentemente e improvvisamente. Probabilmente avrebbe dovuto evocare la figura di Nerone.
  • Pompeo: egli ha sicuramente le simpatie del poeta; infatti egli è un difensore della repubblica e della libertas in generale. Tuttavia egli agisce in maniera passiva e poco incisiva. Inoltre mostra un eccessivo attaccamento alla ricchezza che la sua condizione nobiliare gli aveva garantito. Nel testo viene paragonato a una possente quercia che agisce solo con il nome, senza agire davvero. E’ una quercia che fa ombra solo con i suoi rami.
  • Catone l’Uticense: a lui dovevano essere dedicati i libri rimasti incompiuti. Egli rappresenta l’esempio di virtù e integrità morale che rappresenta con un forte impegno civile e dedicando la vita alla patria e alla difesa della libertas. Il suicidio con cui si toglie la vita non è una via di fuga dal mondo, ma un atto di protesta contro la tirannide cesariana e di rivendicazione della dignità umana, in accordo con la filosofia stoica alla quale aderiva.

Aspetti del tutto particolari del Bellum civile, rispetto agli altri poemi epici sono:

  • Assenza degli dèi: le divinità sono del tutto assenti nella vicenda, non interferiscono con le azioni dei personaggi. Sono citate nel testo solo per motivi di erudizione. Lucano non crede a una provvidenza o a un disegno divino ma mette in luce l’incidenza che ha la fortuna sugli eventi storici.
  • Necromanzia e irrazionale: sono presenti nel testo molte profezie e pratiche oscure legate allo studio di esseri morti fatte da maghi. Queste profezie sono spesso negative e nefaste, e ciò fa pensare che la concezione del mondo che ha il poeta è il bilico tra un “mondo allo sbando”, e una in cui c’è una realtà dominata da sventure.

Lingua e stile
Lo stile è aulico e sublime che accentua pathos e drammaticità. Il poeta utilizza spesso espressioni sentenziose e retoriche, espressioni antitetiche e ossimori. Il lessico è elevato e la sintassi caratterizzata da un periodare spezzato. C’è una particolare attenzione dell’autore verso i dettagli macabri e oscuri (racconta di uccisioni, stragi e torture) che mette in luce l’illogicità del reale, il rovesciamento dei valori tradizionali e il senso di smarrimento del pubblico.

Fortuna
Lucano ebbe una fortuna enorme nei posteri. Tra i suoi contemporanei fu apprezzato da Petronio che inserì passaggi del Bellum Civile nel suo Satyricon. Anche Marziale e Giovenale lodano Lucano per il suo grande successo. Nel Medioevo ebbe grande fama: Dante, nella Divina Commedia, lo colloca nel limbo, tra gli Spiriti Magni, e Petrarca si ispira a lui per la sua opera Africa. Anche Torquato Tasso si ispirò al Bellum Civile.

 

Persio
Vita
Nacque nel 34 d.C. a Volterra da una famiglia di rango equestre. Perse il padre a soli sei anni e ricevette un’educazione da sole donne. Fu inviato a Roma a imparare grammatica, retorica e filosofia. Divenne allievo di Anneo Cornuto, filosofo stoico e crebbe in un ambiente di tipo aristocratico,stoico e in opposizione aperta al regime di Nerone. Trascorre la sua vita in maniera isolata e dedita agli studi, occupandosi della sua opera principale, il libro delle Satire. Morì a soli 28 anni nel 62 d.C. per una malattia allo stomaco.

Opera
Scrisse solo un libro, composto da 6 satire, per un totale di 650 versi. Da un punto di vista strutturale, sembra che il poeta riprenda la satira oraziana e luciliana (satira a tema e satira di tipo epistolare), tuttavia egli attua diversi cambiamenti. Il rapporto di complicità che c’era tra Orazio e il suo pubblico, in cui l’autore faceva anche autoironia, viene sostituito da un rigido moralismo, di matrice stoica, col quale prende le distanza dalla società.
I temi delle satire sono: diatribici (“conosci te stesso”), argomenti letterari (in cui rivendica le sue scelte stilistiche, elogia il suo maestro Cornuto), descrizione di individui viziosi e corrotti, l’aurea mediocritas oraziana applicata alla ricchezza. In generale, egli si scaglia pesantemente contro i vizi che colpivano la società corrotta romana e lo fa utilizzando la moralità e la rigidità della filosofia stoica.
Argomenti delle satire:

  • Satira 1: argomento letterario, è un attacco alla vanagloria ai poeti contemporanei e ai servi che applaudono alle satire scritte dai loro padroni, anche se sono povere di ispirazione.
  • Satira 2: attacco agli uomini che si affidano al culto di una divinità per un interesse particolare e egoistico.
  • Satira 3: satira contro i giovani che si distolgono dagli studi filosofici per darsi alla vita di piacere e gaudente.
  • Satira 4: tema del “conosci  te stesso”; conoscersi è un valore fondamentale per ricoprire ruoli di responsabilità civile e morale.
  • Satira 5: ringraziamento rivolto al maestro Anneo Cornuto per gli insegnamenti ricevuti.

Lingua e stile
Lo stile è oscuro e difficile per scelta dell’autore. Sono complicati anche la sintassi e il lessico. Nelle Satire, Persio riversa tutta la sua tensione morale; non vi è dunque il linguaggio leggero che si trovava in Orazio. E’ un tono violento e duro. Egli dichiara apertamente di volersi rifare a Orazio e Lucilio , i fondatori della satira, ma da essi si distacca in diversi modi: soprattutto da Orazio, per la sfrontatezza e la durezza dei suoi contenuti. Per quanto riguarda l’aggressività delle sue satire si ispira a Lucilio, per l’ironia si rifà a Orazio. Il linguaggio utilizzato è ricco di metafore corpose, crude e corrosive che lo rendono espressivo e unico nella letteratura latina. A tal proposito introduce costrutti inconsueti e espressioni violente, accostando ad esempio termini presi da un lessico colto, a termini popolari o volgari (“saliva mercurialis” è l’acquolina in bocca che si ha quando si sta per concludere un affare e“pallentes mores” sono i costumi pallidi,malati).
Utilizza spesso lessico preso dal campo della medicina perché riteneva il compito dello scrittore di satire, alla stregua di quello di medico: egli doveva essere un terapeuta delle coscienze, si doveva occupare della morale dei cittadini. La sua iunctura (mettere insieme parole contrastanti) è diversa da quella oraziana, è una acer iunctura (aspra), quella oraziana è più morbida e leggera.

Fortuna
Persio ebbe un grande successo immediato tra i suoi contemporanei (es. Quintiliano dice che, se non fosse morto così giovane, avrebbe ottenuto ancora più successo). Nel Medioevo, Dante lo colloca nel Limbo,tra gli Spiriti Magni, insieme a Lucano, Orazio, Omero e altri. Nel Rinascimento venne messo da parte, dalla maggior parte dei letterati,per i suoi temi oscuri; tuttavia Parini si ispirò a lui per Il Giorno, e Monti tradusse tutte le sue opere.

Giovenale
Vita
Nacque ad Aquino (vicino a Frosinone) tra il 50 e il 65 d.C., ricevette una buona educazione retorica e esercitò l’avvocatura. Alcune fonti indicano come luogo della sua morte l’Egitto, dove era in esilio.

L’opera
Consiste in 16 satire suddivise in 5 libri, che non sono tutti giunti a noi. I critici hanno individuato nel corpus di satire di Giovenale due momenti distinti:

  • Indignatio: (libri 1-7) caratterizzata un tono forte e disgustato dai vizi della società
  • Un atteggiamento più distaccato e ironico, un tono più pacato

Nella seconda parte si fanno più forti le influenze della satira oraziana, più distaccata. Alcuni collegano questa trasformazione alla disillusione delle speranze di un miglioramento della società. Alla tensione morale dell’indignatio si sostituisce una visione più rassegnata e distaccata della realtà. Egli si scaglia contro le donne, che egli considera tutte prostitute e meretrici, e contro l’omosessualità dilagante (se un uomo potente avesse avuto un rapporto con un altro uomo senza subire, avrebbe mantenuto la sua virilità). E’ una satira più pesante e moralistica rispetto ai suoi predecessori; nei suoi componimenti Giovenale non scherza e non gioca col pubblico. La sua visione della vita è quella del ceto medio italico, che radici nella morale catoniana, sobria, contadina, repubblicana e xenofoba: ora, nella nuova Roma cosmopolita, egli assiste a uno sconvolgimento di questi valori e alla caduta di questa visione del mondo.

  • Uno dei temi più usati da Giovenale è la decadenza della nobilitas: l’antica nobiltà era stata in gran parte sterminata dagli imperatori più sanguinari, come Domiziano. Nella satira 4, Giovenale fa un ritratto di questa classe sociale, o meglio di ciò che ne rimane: uomini di valore ridotti a un gruppo di servili adulatori; al posto dei nobili ora ci sono i liberti arricchiti, i favoriti degli imperatori, gli stranieri (Greci) e i servi astuti.
    Secondo la sua visione, la società era basata sul denaro, sul commercio, sulla speculazione e l’esasperata ricerca del lusso; di conseguenza egli sottolinea ,con un forte pessimismo, gli elementi di collegamento con l’età precedente a quella contemporanea, più vicina alla sua visione del mondo.
  • Un altro tema importante è lo stato di cliente: Giovenale racconta la decadenza di questa figura, gli sgarbi e le discriminazioni che subisce un cliens dal suo padrone. Egli lamenta la sottomissione di questi “clienti”, costretti a subire prestazioni sessuali dal padrone e dalle sue donne senza potersi opporre.
  • Un altro tema caro a Giovenale è quello del matrimonio: questo istituto, considerato fondamentale da Giovenale, è affrontato nella satira 6 ed è influenzato dalla misoginia (odio verso le donne) del poeta verso le donne in generale. Il suo fine è quello di criticare il declino del matrimonio, causato dalla corruzione morale della donna, incapace di resistere al desiderio sessuale, e dalla debolezza del carattere dei mariti e della società in generale.

Lingua e stile
Il realismo di Giovenale, è inteso a rappresentare l’aspetto più negativo della realtà contemporanea, descritta con caratteristiche perverse e mostruose. Il sarcasmo è uno stile molto utilizzato, con punti di pathos molto alti. Il linguaggio poetico è di registro basso e colloquiale proprio della tradizione satirica, mescolato a un linguaggio alto e aulico e ad alcuni arcaismi.

Fortuna
La sua opera fu poco apprezzata dai contemporanei, e molto apprezzata dagli scrittori cristiani a causa dell’impianto morale dei suoi componimenti. Nel Medioevo viene apprezzato molto, soprattutto da Boccaccio. Elementi della sua poetica sono stati ripresi da Parini, Alfieri e Carducci.

L’Età dei Flavi (69-96 d.C.)
Sono i primi imperatori che non appartengono alla dinastia Giulio-Claudia, e quindi non potevano godere della condizione di discendenti diretti di Cesare e Augusto. I Flavi dovettero quindi legittimare il loro potere con la forza del diritto e militare (ciò è valido per Vespasiano e Tito, ma non per Domiziano che fu un tiranno spietato).
Contesto storico
Con Vespasiano, si ebbe la legittimazione del principato. Intraprese la carriera militare e, una volta al potere, regolò il ruolo dell’imperatore con la lex de imperio Vespasiani. Fu talmente contrario a Nerone e alla sua politica orientalizzante, che fece espellere da Roma intellettuali Greci e asiatici, e istituì scuole superiori pubbliche. Ottenne la vittoria definitiva sugli ebrei grazie all’azione del figlio Tito che distrusse e incendiò il tempio di Gerusalemme. La sua precisa politica economica fece risanare il deficit pubblico e ciò permise di costruire importanti opere architettoniche a Roma (Colosseo).
Tito aveva incrementato la sua fama grazie a imprese militari e alla morte del padre Vespasiano, salì al potere ma regnò per poco tempo. Di questi anni è l’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano, verso le quali l’imperatore si mostrò così generoso e disponibile che si guadagnò il titolo di “amore e la delizia del genere umano”.
Domiziano era il fratello dispotico di Tito, che si distinse per importanti imprese militari, rafforzo imprese militari e frontiere. Egli accentrò tutto il suo potere nelle sue mani, facendosi chiamare dominus  e deus. Il senato veniva svuotato sempre di più dei suoi poteri consultivi. Utilizzò tecniche violenze nella persecuzione contro i filosofi greci, cristiani ed ebrei. Una congiura, ordita dalla sua stessa moglie, mise fine alla sua tirannide nel 96 d.C.
Contesto culturale
La cultura al tempo dei Flavi fu pesantemente condizionata dal peso dell’istituzione imperiale. Infatti, sebbene gli imperatori avevano ricevuto una formazione militare, sapevano benissimo che la cultura serviva a formare nuove leve e mantenere alto il consenso verso il potere imperiale (letteratura del consenso)
L’età flavia fu caratterizzata da un nuovo interessa per la poesia epica (Stazio, Italico, Flacco), dove gli autori cercavano sempre di elogiare la casa regnante. Ciò dimostra che l’adulazione fosse un obbligo per i poeti che volessero una certa visibilità e fama da parte dell’imperatore. Il controllo da parte del potere imperiale sulla cultura favorì un “conservatorismo culturale” cioè un ritorno al classicismo, in contrasto con gli eccessi e le stravaganze dell’età neroniana.

Stazio
Vita
Nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d.C. da un maestro di retorica di ceto equestre. Si trasferì a Roma per sviluppare la carriera letteraria e partecipò a gare di poesia come gli Augustalia e i Ludi Albani dove vinse. Fu molto apprezzato dall’alta società romana e usava la letteratura come mezzo di sostentamento poiché non era di famiglia agiata. Dopo una sconfitta in una rivalità letteraria ai Ludi Capitolini, tornò a Napoli dove morì nel 96 d.C.

Opere
La sua produzione fu ampia.  Scrisse due poemi epici, la Tebaide e l’Achilleide, e una raccolta di componimenti d’occasione in cinque libri, le Silviae.
Tebaide: poema epici in 12 libri. Narra della lotta tra Eteocle e Polinice, due fratelli, figli di Edipo e Giocasta, per la conquista di Tebe. L’argomento appartiene al “ciclo tebano” ed era già stato trattato da Eschilo nell’antica Grecia (I sette contro Tebe), Sofocle ed Euripide.

 

Fonte: http://files.splinder.com/6ddc6c064f3d1ae316b34ccd1c771427.doc
Autore: Paolo Esposito

 

Nascita letteratura latina 240 a.C. Livio Andronico (schiavo liberato) presenta la sua prima tragedia.
Inscriziona su pietra o bronzo in lingua latina-Cista Fioroni.
Fasti-nefasti, calendario ufficiale romano.
Annales redatti dal Pontefice massimo,Leggi delle XII tavole-Carmen Saliare in onore di Marte,12 ancili. Carmen Arvale-collegio 12 sacerdoti istituito da Romolo in onore di Acalarenza,purificazione campi.
Fescennini Versus-genere popolare contadino. Carmina triunphalia.
Generi teatrali greci- Palliata(comico) Cothurnata(tragico) calzari alti
Generi teatrali romani-Togata Praetexta
Ludi romani in onore di Giove Ottimo Massimo 240-ludi romani,Megalenses,Apollinares,Plebeii
207-fondata confraternita autori e attori,55 primo tetro di pietra a Roma.
Atellana- sottogenere teatrale,sorta di farsa finale.

 

 Livio Andronico 272 a.C finisce guerra con Taranto, Livio Salinatore lo portò a RM.Livio grammaticus,240 prima rappresentazione teatrale.Traduzione odissea di Omero(Odusia)-Tragedie:Achilles,Aiax mastigophorus, Equos troianus,Aegisthus. Commedie:Gladiolus(sciaboletta) (primo autore pallaite)



Gneo Nevio,cittadino romano plenus superbia campana,letteratura come mezzo di contrasto politico,Scipioni. Scontro/Scambio saturni con Metelli, imprigionato.Opere: Bellum Poenicum(4000/5v)forte sperimentalismo.Romulus,fondazione di Roma-Clastidium,Clasteggio battaglia contro Galli.Tragedie:circolo troiano Hector proficiscens,Lycurgus(Dionisio).Comica-Tarentilla.

 

Plauto(250-55) Sarsina,Umbria.Primo a non provenire da una zona di cultura greca,cittadino libero.(amorale)Palliate ambiente greco:Amphitruo(Alcmena,Anfitrione, Sosia),Alularia(pentola d’oro), Bacchides(sorelle gemelle-intrigo amanti), Casina(Vecchio VS figlio), Curculio(parassita),Menaechmi(commedia equivoci scambi di presona), Miles gloriosus(servo Palestrione,soldato Pirgopolinice), Pseudolus(schiavo VS Ballione ruba ragazza. 120 comedie, indagine filologica di Varrone: spurie,pseudo plautine, 20 plautine. Influenza Menandro Commedia Attica Nuova IV secolo Atene. Contaminazione commedia greca con farsa indigena,effetto comicità straripante.Maschere fisse,surrealismo, meta-teatro, linguaggio (Pirandello, 6 personaggi in cerca di autore)Elementi che caratterizzano grandezza di Plauto, originalità, bravura. Prologo- esposizione fabula diverso Terenzio.

 

Catone-Processo di filoellenizzazione a Roma che si espande dopo vittoria di Scipione 272 che conclude guerre puniche-Rozza e primitiva Roma vinta da greci culturalmente.
Polibio si innamora di Roma, Panezio-Posidonio,filosofi giunsero a RM.
Culto personalità, Nobiliore porta Ennio nella campagna del 189a.C creazione circoli intellettuali(degli Scipioni). Catone il censore si oppone al processo di grecizzazione in difesa del mos maiorum, culto personalità pernicioso per Roma(Circolo scipioni-Terenzio,due Scevola, Lucilio,Ennio)Homo sum:humani nihil a me alienum puto.Opera storica Origines-protagonista popolo romano-De agricoltura, come si deve gestire proprietà agricola. Catone VS Carneade, Critolao(filosofi greci che devono essere cacciati).Origines, prima opera storica in latino in cui non c’erano nomi dei condottieri-Praecepta ad filium, enciclopedia latina del sapere-Carmen de moribus, raccolta pensieri di argomento morale legati all’etica del mos maiorum.

 

Il pater Ennius Rudiae,Puglia 239 a.C portato a RM da Catone nel 204, incontrato militante in Sardegna. Diviene protetto di M.Fulvio Nobiliore(battaglia Ambracia). Primo a prendere in considerazione filosofia greca. Evemerismo, Olfico pitagorica, metempsicosi(sogno Omero)ispirazione Euripide. Oprere:Hedyphagetica, esametri, Saturae(episodi autobiografici)testi filofeggianti Euhemerus, Epicharmus. Fabule palliate, togate,Tragedie(Achilles,Andromacha). Annales, poema epico in esametri dattilici, 18 libri(restano 600 versi).Poesia celebrativa, Ambracia,Scipio. Utilizzo aggettivi composti(unione di parole che prese da se hanno significato autonomo).Tragedie coturnate, circolo triano: Alexander, Andromacha aechmalotis, Hecuba, Iphigenia, Medea Exul(modelli tragici ateniesi V secolo Eschilo, Sofocle,Euripide. Commedie: caupuncula-ostessa,Pancratiastes-lottatore.

 

Marco Pacuvio-tragedie(brindisi 220 a.C) ambiente scipionico,tragedie:Iliona, Niptra-I lavacri, Dulorestes-Oreste schiavo.

 

Lucio Accio(Pesaro 170) I Parerga, in senari giambici-poema georgico. coturnate-preteste, Epinausimache-battaglia alle navi, Philocteta.

 

Cecilio Stazio e Terenzio racolgono eredità Plauto, si ispirano modelli Commedia Nuova greca.
Cecilio Stazio 230/20 Milano-Commedie palliate, Gamos(le nozze), Synéphebi, epistola, Plocium-la collana, Pugil-il pugilatore.
Ricchezza metri, vivace fantasia comica, gusto per il farsesco, più vincolato a Commedia Nuova ateniese di Plauto.(spunti riflessivi su condizione umana), sorta di scandaglio psicologico.

 

Terenzio(?185/4 Cartagine)Giunto a Roma come schiavo di Terenzio Lucano, liberato, entrò nella cerchia protetti di Scipione Emilano/Gaio Lelio. Muore durante viaggio in Grecia per trovare copioni di commedia. Commedia seria,austera,pensosa,contenuti moraleggianti simili a Menandro.
Commedie:Andria, Hecyra(suocera Sostrata),Heautontimorumenos-il punitore di se stesso), Adelphoe, Eunuchus, Phormio(homo sum: nihil a me alienum puto). Non esistono maschere fisse. Teatro che vuole educare, insegnare, scelte linguistiche “piane”analisi interiore. Giulio Cesare accusava il poeta, in un epigramma, di mancare di vis comica(dimidiatus Menander). Hecyra, difficoltà nella rappresentazione.Contaminatio di 2 commedie menandree, Andria e Perinthia.
Prologo polemico, non esistono tipi esistono persone(humanitas). Poeta perfido, Luscio di Lanuvio.Prologo utilizzato per bocca di attore, mezzo di battaglia culturale.Accusato di aver usato contaminatio,di aver fatto da prestanome-tetro verosimile nn + surreale come Plauto.

 

Poetae novi, sprezzante definizione usata da Cicerone per indicare tendenze innovatrici che si affermano durante il I secolo, rifiutavano la tradizione nazionale(Ennio). Si rifanno ai poeti ellenistici(Alessandro Magno III-IV secolo), interesse per metrica, ricerca di lessico, stile sofisticato. Prediligono epigramma e epillio(poema mitologico)
Gaio Valerio Catullo (verona 87-57) Rimangono 116 carmi, Liber 3 sezioni: Nugae, Carmina docta(epitalami,componimenti mitologici),Elegie(distici,2 versi esametro e pentametro).
Lutezio Catulo, Valerio Edituo,Porcio Licino, Valerio Catone, Furio Bibaculo, Marrone Atacino, Elvio Cinna, Licionio Calvo.

 

Fonte: http://riappunti.net/latino/Nascita%20letteratura%20latina%20240%20a.doc

autore non indicato nel documento di origine del testo

 

Basi storiche del Lessico Europeo: il Latino (2009)

Sulla base degli appunti degli studenti

 

Martedì 3 Marzo 2009

 

Il lessico è una struttura della lingua: è l’insieme delle parole o degli elementi designativi,. Quindi il lessico raccoglie gli elementi linguistici che hanno un riferimento nella realtà. Un elemento designativo è ad esempio gatto, mentre -arum, desinenza del genitivo femminile plurale, non lo è.
Per lessico europeo s’intende il lessico delle diverse lingue europee. L’Europa è una nozione geografica e politica: che comprende diverse lingue le quali fanno parte delle istituzioni dei rispettivi paesi.
Il tedesco è una lingua germanica, come l’inglese, ma a differenza dell’inglese esso il proprio lessico lo ha costruito: per quanto riguarda le parole di cultura, il tedesco ha preso parole latine e le ha tradotte.
Es:          


Italiano

Latino

Tedesco

espressione

expressio

aus+druck

 

televisione

 

tele*+visio

 

fern+seher

 

  
* Dal greco, significa “a distanza”

Il materiale è del tedesco ma la forma è del latino Questo tipo di parole prende il nome di  calchi, cioè parole costruite con il materiale di una lingua sul modello di un’altra lingua. È ciò che fece il latino in origine costruendosi sul greco.
Ciascuna lingua ha il suo bagaglio di parole ma non tutte sono proprie sin dalle origini.
Il latino, come lingua, letteratura e cultura, ha costituito una delle basi storiche del lessico europeo. 

SEMANTICA: la semantica in linguistica è lo studio del SIGNIFICATO e dei concetti ad esso collegati (cioè la rappresentazione mentale che abbiamo delle parole)

TRIANGOLO FONDAMENTALE DI ODGEN E RICHARDS : triangolo equilatero con il lato di base indicato da un segmento tratteggiato e gli altri due lati espressi con segmenti continui. Al vertice c’è il pensiero o referenza, all’angolo di base a sinistra di chi guarda il simbolo o parola, all’angolo di base a destra il referente o cosa. Il triangolo nel modo migliore il meccanismo della designazione (rapporto tra segno linguistico e realtà).In esso si mostra mediante il segmento tratteggiato che non esiste un rapporto diretto tra le parole e le cose, ma che  esso è mediato dal pensiero.

SEGNO:         Secondo Ferdinand de Saussure è l’UNIONE DI  SIGNIFICANTE (cioè la forma  sonora  che si realizza pronunciando, ad esempio, la parola LIBRO (forma grafica se stiamo scrivendo) e SIGNIFICATO (rappresentazione mentale che abbiamo della parola (es.: libro – ma non è l’oggetto libro, ma il “concetto libro”)
Una parola è un segno (anche una frase è un segno, per quanto complesso)
Le proprietà del segno sono: 1) DISTINTIVITA’, 2) LINEARITA’, 3) ARBITRARIETA’
Il SEGNO non ha alcun rapporto diretto con il REFERENTE, ma con l’immagine mentale.
La linea tratteggiata esprime l’impossibilità di andare dal SEGNO al REFERENTE: bisogna passare attraverso il PENSIERO.

“pensiero”   > testi > significati

Es. significato del termine latino religio:       non possiamo attribuire il nostro significato attuale di RELIGIONE, ma dobbiamo andare al triangolo ed attraverso i TESTI capire il pensiero per risalire ai significati (quindi passando attraverso la testualità).

Esistono strumenti che forniscono una testimonianza dell’uso della parola: i Tesauri. Sono dizionari che riportano le attestazioni, cioè tutti i frammenti di testo in cui una parola ricorre. Essi rappresentano l’unico strumento per arrivare al significato di una parola.

Testi testimoniano dell’uso di una parola
Testo: successione di enunciati, che si realizza come discorso (scritto o orale) dotato di coerenza. Il testo testimonia l’uso (messa in atto di una potenzialità) della parola.

TLL  Thesaurus Linguae Latinae: Tesauro contenente molte attestazioni realizzato da un equipe di tedeschi.

TLL  
http://www.thesaurus.badw.de/

LESSICO   sistema  delle parole di una lingua
PAROLA:      UNITA’ del linguaggio umano, istintivamente percepita dai  parlanti.
La parola non è atomica cioè costituita da un solo elemento, ma è “articolata” cioè costituita di parti , dal latino “articulus diminutivo di “artus” cioè piccola parte.
Sono presenti anche parole monoblocco cioè costituite da un unico “arto”, ma tendenzialmente sono articolate.

Es. remittebantur
sequenza di morfemi ciascuno di essi lo possiamo ritrovare in altre combinazioni

      re- prefisso, indica ‘azione ripetuta’
mitt- basesemantica ‘portare’
- eba-  suffisso dell’imperfetto
-nt    desinenza della terza persona plurale
-ur    desinenza del passivo

Caratteristiche dei morfemi

  • Ricorsività: (i morfemi ricorrono in altre combinazioni)
  • Semanticità: (ogni morfema porta un significato).

 

  • Il latino e altre lingue moderne

Le lingue romanze sono lingue europee che troviamo anche fuori della loro patria storica (Africa, Asia, America). Il rapporto con  il latino è particolarmente stretto: le lingue romanze sono il latino.
Quando le lingue romanze, in epoche diverse, hanno acquistato la loro identità, non c’è stata una frattura netta, tutto è avvenuto in modo impercettibile e continuo. Si potrebbe dire che il latino non è mai morto completamente ma si è trasformato cambiando moltissimo.
Le lingue germaniche, a differenza di quelle romanze, non sono il latino anche se ne presentano alcuni elementi.
L’inglese è quasi una lingua romanza per le sue caratteristiche ma appartiene alla famiglia delle lingue germaniche. L’antico inglese deriva dalle lingue parlate da Angli, Sassoni e Juti, popolazioni germaniche passate in Gran Bretagna dal V secolo d.c. ed ha il suo lessico “puro” germanico. Le popolazioni germaniche, che avevano spinto le popolazioni celtiche nelle aree marginali (Scozia, Cornovaglia, Irlanda dove allora non si parlava inglese) furono a loro volta sottomesse dai Normanni che con Guglielmo il Conquistatore(diventato re nel 1066 dopo la battaglia di Hastings) istituirono un solido regno francese nella fertile Inghilterra. Alla corte normanna si parlava francese: proprio a causa di questa conquista il lessico dell’inglese cambia completamente arrivando ad essere costituito per il 50% da parole francesi. Anche la grammatica subisce alcuni cambiamenti. L’inglese è una lingua nuova nata dall’innesto di una lingua neolatina su una lingua germanica. Esso è oggi la lingua dominante nel mondo, in ciò favorita anche dalla ricchezza del lessico e la semplicità della grammatica (non solo per ragioni politiche). Le basi storiche del suo lessico sono doppie, francesi e germaniche.

  • Le lingue romanze

 

Presentiamo di seguito le lingue romanze secondo una prospettiva geolinguistica.
Per capire le dimensioni della diffusione del latino è necessario ricordare che l’Impero Romano si estendeva in tutto il Mediterraneo (ciò spiega perché S. Agostino, originario di Tagaste, città del Nord dell’Africa, parlasse latino). Il latino era parlato anche in Oriente verso la terra degli sciiti, in Germania, Britannia, (già conquistata all’epoca di Cesare), nella Gallia, (conquistata proprio da Cesare), in Spagna ed in Anatolia. La lingua che aveva resistito di più al latino era il greco nel Mediterraneo orientale. Al tempo di Cristo (1-33.d.C.) in Palestina si  parlava l’aramaico, lingua semitica, ed il greco (il Nuovo Testamento è infatti scritto tutto in greco; anche il Vecchio Testamento era stato tradotto in greco, che era la lingua della cultura). La Palestina però faceva parte dell’Impero Romano e quindi si parlava anche latino. I greci bizantini, conquistati da Roma, parlavano greco ma si autodefinivano “romaioi” cioè cittadini romani: la cittadinanza romana, riconosciuta a tutte le popolazioni inglobate nell’Impero, era un importante elemento di forza e coesione per un insieme di territori tanto vasto. Il latino era quindi parlato in tutta Europa, ma sopravvivevano altre tradizioni linguistiche (invece del celtico nella Gallia conquistata da Cesare, così come di quello parlato in Spagna dai celtiberi, non era rimasto niente).
Le lingue romanze sono quelle che, discostandosi dal latino, acquistano la loro identità. Esse sono:

  • Il Romeno, che si è conservato molto simile al latino (però ha acquistato ad esempio l’articolo posposto);
  • Il Dalmatico, lingua estinta (con la morte dell’ultimo parlante Tuon Udain, Antonio Udino dell’isola di Veglia), che si parlava fino alla fine dell’800 sulla costa orientale del Mare Adriatico;
  • L’Italoromanzo, parlato dalle Alpi alla Sicilia, e diviso in dialetti;
  • Il Sardo, che molti ritengono un dialetto e che invece è una vera e propria lingua romanza, molto simile all’italiano e al latino: a tale proposito è nota la frase di Dante nel De Vulgari Eloquentia “Gramaticam tamquam simiae imitantur” e cioè “imitano il latino” (che nel Medioevo era chiamato “gramatica”) come scimmie; infatti il sardo sembra latino ma parlato da persone che non lo conoscono ma lo imitano (si pensi alle –u finali, a “cras” che significa “domani” e a “gianna” che indica la porta, da “ianua”);
  • Il Retoromanzo, costituito da alcune varietà che non comunicano tra di loro, perché sono lingue di nicchia; ne è un esempio il romancio in Svizzera, diversi dialetti ladini nelle valli dolomitiche, il friulano;
  • Il Francoprovenzale, che comprende un gruppo di dialetti parlato dalle Alpi Occidentali ai Pirenei: di questa varietà fa parte  il patoi, parlato in Valle d’Aosta; il provenzale si parla ancora nel sud della Francia ed è una varietà dell’Occitano;
  • Il Catalano, parlato in Catalogna, regione della Spagna Orientale, anch’esso varietà dell’Occitano;
  • Il Francese, che è una lingua molto compatta, la langue du roi, che corrisponde al dialetto di Parigi e che mise in ombra, tutti gli altri dialetti perché imposto dallo Stato che era molto centralizzato. Un momento fondamentale che mostra questa politica è l’editto di Villers-Cotterêts promulgato  nel 1539, con cui Francesco I proibiva l’uso del latino in tutti i documenti pubblici;
  • Il Castigliano o Spagnolo;
  • Il Portoghese.

Alcune di queste lingue si sono diffuse fuori dall’Europa tramite il colonialismo: si tratta del Francese (Canada, Africa Settentrionale), dello Spagnolo (America e Filippine) e del Portoghese (Africa, America Meridionale). Quando questi territori ottennero l’indipendenza conservarono le lingue dei dominatori.

 

Martedì 10 Marzo 2009

LINGUA LATINA: lingua italica estinta, appartenente alla famiglia linguistica indoeuropea.
FAMIGLIA LINGUISTICA: gruppo di lingue che hanno corrispondenze dal punto di vista grammaticale e lessicale, e che condividono una stessa lingua madre (per esempio le  lingue romanze che riconoscono come lingua madre il latino).
FAMIGLIA LINGUISTICA INDOEUROPEA: la più importante famiglia linguistica, comprendente lingue divise in grandi gruppi, che riconoscono convenzionalmente come lingua madre l’indoeuropeo. Originariamente diffusa in uno spazio che va dall’India all’Atlantico, oggi con alcune sue lingue (inglese, spagnolo, portoghese) è diffusa in tutto il mondo.
IPOTESI DELL’INDOEUROPEO COME LINGUA MADRE: l’ipotesi fu avanzata nei primi decenni dell’ottocento, in concomitanza del movimento romantico, poiché si scopre che un’antica lingua dell’India, il sanscrito (lingua letteraria classica), ed alcune lingue europee, come il greco ed il latino, sono genealogicamente apparentate. Infatti le corrispondenze tra le lingue, dal punto di vista grammaticale (declinazione, nome, verbo) erano impressionanti. Esempio:
numero nove                          sanscrito: navam           latino: novem     
voce del verbo dare:              sanscrito: dadami           greco: didomi
Nel caso del verbo DARE,tra greco e sanscrito, ritroviamo le stesse desinenze ed il raddoppiamento delle sillabe DI  DA. Da queste ed ulteriori corrispondenze si è ritenuto che ci fosse una lingua madre antica.
La radice di una parola indoeuropea per essere autentica, cioè formalmente corretta, dovrebbe essere costituita secondo l’ordine CVC (consonante-vocale-consonante) ed essere monosillabica. Tipica radice indoeuropea *TEG
La vocale interna può mutare secondo le forme *TOG (grado forte)
*TG (grado ridotto)
(le vocali indoeuropee possono essere e/o/-)
teg può essere la radice della parola latina tego (copro)
toga (striscia di tela bianca che i romani usavano come drappeggio)
tēgulum  (tegola)
teg                      teg-o                       tog-a                    tēg-ulum

I più importanti gruppi linguistici dell’indoeuropeo sono: le lingue Indoarie in India   (in particolare  il sanscrito); le lingue iraniche (persiano antico e moderno)  e  l’armeno nel Medio Oriente; l’ittito  nel Vicino Oriente insieme ad altre lingue minori parlate nel territorio dell’odierna Turchia; il greco, il latino, le lingue minori dell’Italia antica (osco, umbro, venetico) e l’albanese inserite nel bacino del Mediterraneo; ed infine nell’Europa continentale le lingue slave (russo, bulgaro ecc.), le lingue baltiche (lituano, lettone ecc.), le lingue germaniche (tedesco, olandese, inglese, lingue scandinave ecc.), e lingue celtiche (irlandese, gallese ecc.).
Nell’Italia antica, prima della latinizzazione , si parlavano altre lingue (che hanno lasciato testimonianze scritte, in cui viene utilizzato un alfabeto derivato da quello greco):
Venetico: lingua parlata nell’Italia nord-orientale, conserva molte documentazioni scritte che vanno dal VI sec a.C. al II sec a.C.   
Umbro: lingua parlata nell’Italia centro-meridionale, conosciuta soprattutto attraverso le Tavole Eugubine, tavole che contenevano le leggi ed i rituali della città umbra.
Osco: lingua parlata nell’Italia centro-meridionale, negli attuali territori di Abruzzo, Marche, Campania. Era la lingua degli Osci e dei Sanniti, e ha molte somiglianze con l’umbro. Gli Osci provenivano da un grande popolo, i Sabini, i quali ogni anno in primavera, si spostavano verso nuovi territori per colonizzarli.

 

LA STORIA DEL LATINO
La lingua latina si suddivide in Latino arcaico, classico e volgare.                            
Il latino arcaico: fa parte delle lingue latino-falische, della famiglia linguistica indoeuropea. Testi e documenti pervenutici: Fibula Prenestina ( una fibbia sulla quale c’è un’iscrizione); il Lapis Niger; gli Scipionum elogia (iscrizioni funebri, composte in versi saturni), ecc.                                                                                                     Latino classico: fonologia          sistema dei suoni di una lingua. Il latino aveva vocali lunghe e brevi che costituivano fonemi diversi, ma nelle odierne lingue romanze, questa opposizione fonologica, tra vocali lunghe e brevi, non si è conservata. Il latino non aveva le consonanti affricate.(cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_latina). 
Latino tardo: dal quale sono nate le lingue romanze odierne.
Regola di “rifonologizzazione” (trasformazione di un’opposizione fonologica:      )
vocali lunghe  --->    diventano chiuse. 
 vocali brevi --->            diventavano aperte.                                                  
Questa regola vale per il latino tardo comune; successivamente i diversi gruppi linguistico romanzi hanno regole diverse.    

ELEMENTI DI GRAMMATICA LATINA 

Morfologia: studio delle forme grammaticali . Dal punto di vista tipologico il latino è una lingua flessiva , ovvero una lingua i cui morfemi grammaticali non sono liberi ma legati alla radice della parola, o comunque al tema (= l’unione della radice e di uno o più suffissi, legati alle desinenze, ovvero alle categorie grammaticali che si trovano nella parte finale della parola, che hanno la funzione di legare le parole nella frase in modo corretto,  cfr. i termini in grassetto con le definizioni riportate sull’Atlante di materiali e citazioni).
Morfologia nominale: il latino distingue sei casi e cinque classi di flessione (declinazioni).
Il caso è una categoria grammaticale, che esprime la relazione del nome rispetto al verbo o ad altri nomi della frase. Essi sono: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo. Nel latino tardo i casi sono scomparsi, l’unico caso sopravissuto è l’accusativo, dal quale derivano le parole delle lingue romanze . Declinazioni: 1ª tema in –a ( dal quale sono derivati nomi femminili);  2ª tema in –ŭ dal quale sono derivati i nomi maschili); 3ª temi in consonante ed in ĭ; 4ª tema in ū; 5ª tema in ē.       
Il genere il latino aveva tre generi: maschile, femminile, neutro. Nelle odierne lingue romanze ci sono solo tracce del neutro, riorganizzate in un sistema a due generi. Sopravvivenza del neutro plurale in –a: frutta, uova.
Semplificazione della morfologia del latino: -perdita dei casi; perdita di uno dei generi; perdita dei paradigmi delle declinazioni tranne per la 1ª e la 2ª.

  
Martedì 17 Marzo 2009

Testo: «Una storia della lingua latina» di Poccetti Paolo, Poli Diego, Santini Carlo.       Carocci editore.                                                                                                                 
1°capitolo: “Identità ed identificazione del latino”.

Problema del latino: Il latino è una lingua morta o viva? La definizione di lingua morta è totalmente accettabile? In realtà si potrebbe parlare di una presunta morte in quanto non c’è stato mai il giorno che possa essere definito di morte del latino. Se, infatti, per altre lingue come nel caso del dalmatico, possiamo parlare di morte nel momento in cui è morto il penultimo parlante di dalmatico, essendo la lingua uno scambio comunicativo tra parlanti, (lasciando così l’ultimo unico parlante nell’isola di Veglia in Dalmazia) non è possibile fare questo discorso con il latino che risulta ancora vivo in due casi:                    
1)Il latino è ancora usato per la comunicazione.
2)Quel latino che non è più usato per la comunicazione, sopravvive ed è usato per comunicare nelle lingue che da esso derivano.                        
Latino: 
Lingua scritta: il latino nel Medioevo era chiamato GRAMATICA, indicando così la lingua scritta, alta, illustre.
Lingua parlata: il “vulgare” ovvero le diverse varietà linguistiche parlate nella penisola italica.
Dante Alighieri, nel “De vulgari  eloquentia”,cercava tra i volgari italiani, quello: “illustre,cardinale, aulico e curiale”. Nell’opera egli paragona il volgare illustre all’immagine della pantera, il cui odore permette di  percepirne la presenza ma non di scorgerla. Il latino continua a vivere in Europa come “odorosa pantera”.

Aspetti della sopravvivenza del latino:
1) MODELLO DELLA SINTASSI
Frase altamente strutturata, con proposizione reggente ed una serie di proposizioni subordinate. CONSECUTIO TEMPORUM.                                           
La vera traduzione del latino è presente in Boccaccio, con il Decamerone. La caratteristica della sua prosa, che è latineggiante, rievoca la struttura della lingua latina classica

  • CORRETTO/SCORRETTO come categorie riferite alla performance, ma anche agli autori modello.

 Molti autori classici hanno dettato legge in questo senso, tra questi Quintiliano con l’opera: “INSTITUTIO ORATORIA”. Tra coloro che non fanno un uso canonico del lessico e della lingua latina, e che quindi non sono assunti come modelli, troviamo: Plauto (II sec. A. C.) autore di commedie e  Petronio (I sec. D.C.),autore del romanzo “Satyricon”. Entrambi gli mautori, colti e influenzati dal modello greco, inseriscono nelle loro opere elementi del linguaggio popolare come artificio letterario.

  • ANALISI LOGICA.                                                                              

L’analisi    logica è l’analisi della frase effettuata in modo da riconoscere le funzioni delle parole,. Il concetto di analisi logica deriva dal latino, che si adegua alla nozione dei greci. LOGICA = LOGOS ovvero «racconto»  «pensiero». Quindi partendo da questo concetto, l’analisi logica consiste nel ritrovare le categorie del pensiero nelle categorie grammaticali presenti nella frase.
Osservare le conseguenze determinate dalla scomparsa dei casi.

Si possono riconoscere diversi momenti interpretabili come “morte” del latino:

  • Editto di Villers-Cotterêts emanato da Francesco I nel 1539. L’editto proibiva l’utilizzo del latino negli atti pubblici, istituendo il francese come unica lingua d’utilizzo nell’amministrazione e nel diritto.(cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Ordinanza_di_Villers-Cotter%C3%AAts)
  • Traduzione della Bibbia dal latino al tedesco, effettuata da Martin Lutero fra il 1522 e il 1534.
  • Concilio Ecumenico Vaticano II indetto da papa Giovanni XIII nel 1959, che aboliva l’obbligo di celebrare i riti religiosi in latino, e riconosceva le lingue volgari, adatte per la celebrazione dei sacramenti.

Il latino è una lingua eminentemente scritta. PLACITI CASSINESI: atti notarili, che rappresentano le prime testimonianze di italiano, contenenti sequenze in volgare italiano. http://it.wikipedia.org/wiki/Placiti_cassinesi
Si osservino, nelle formule volgari, i tratti morfologici sopravvissuti.

 

Giovedì 19 Marzo 2009

  • lingua scritta e lingua orale: l’Appendix Probi

 

Anche all’epoca latina c’era una differenziazione tra lingua scritta e lingua orale. C’è stata una fase in cui l’ingerenza del parlato nello scritto è diventata fortissima perché il canone non era più sufficiente a resistere agli attacchi della lingua parlata. Nelle diverse parti dei territori si parlavano forme diverse di latino. Perciò alcuni studiosi hanno pensato che l’evoluzione del latino e la sua differenziazione sia testimonianza dell’influsso sul latino “dei substrati linguistici locali, cioè delle lingue prelatine parlate nell’Impero”. Tra queste lingue ricordiamo quella degli Etruschi, che non erano una popolazione indoeuropea e il cui idioma era quindi completamente diverso dal latino: era una lingua isolata. Di questa lingua non ci sono rimasti molti testi. Il latino parlato nella zona dove abitavano gli Etruschi, proprio in quanto questi parlavano una lingua così diversa, era molto corretto, perché non c’erano interferenze. Un esempio di interferenza è “munno” in romanesco o “munn” in napoletano rispetto al latino classico mundus. Gli Etruschi avevano questa parola ma era totalmente diversa per cui non ci sono interferenze. La scelta del Toscano come lingua nazionale è dovuta non solo alla sua storia letteraria, ma anche al fatto che esso è comprensibile a tutti i parlanti di altri dialetti italiani, perché non modifica molto il latino, soprattutto nella fonetica.
Un documento importante del rapporto fra lingua scritta e orale è l’Appendix Probi, l’appendice di Probo”. Si tratta di un documento trovato a Roma, che consiste in un elenco delle forme corrette e scorrette di 227 parole latine trovato in appendice ad un libro di grammatica, Institutiones Gramaticae, attribuito ad un autore sconosciuto di nome Probo e che risale all’incirca al III-IV secolo a. C. L’interesse del testo è sulle forme sbagliate: il maestro che lo utilizzava, infatti, aveva annotato gli errori più frequenti dei suoi alunni,. Il testo mostra ad esempio che il passaggio alla palatalizzazione all’epoca era già in atto a Roma, da dove il testo proviene. È interessante sottolineare inoltre che nella maggior parte dei casi sono le forme scorrette quelle che sono sopravvissute, per cui gli errori che col tempo sono diventati la norma. 

SPECULUM non SPECLUM 

la u atona cade

AURIS non ORICLA 

è un fenomeno di ampia diffusione lessicale nel tardo latino: oricla è femminile e deriva da auriculam in cui notiamo l’introduzione del suffisso diminutivo cul molto diffuso

 

 

 
Nel latino tardo i suffissi sono spesso presenti nei nomi delle parti del corpo (ad esempio cerebrum diventa cerebellum con l’aggiunta del suffisso –ellu); è un fenomeno strano e per spiegarlo sono state fatte varie ipotesi: la prima afferma che questi nomi derivano dal modo di parlare dei cuochi e che si tratta di diminutivi tipici di macellai (che spesso erano anche cuochi); in base alla seconda ipotesi, invece, con l’introduzione dei suffissi il significante della parola era semioticamente più grande e quindi si percepiva meglio. Quando cade la flessione nominale il caso che si usa è l’accusativo.
Il linguista francese Jules Gilliéron, interessato in particolare alla dialettologia francese, aveva notato che in Francia non c’erano derivati della parola ape e dopo attenti studi aveva capito che, in base alle leggi fonetiche del francese, della parola apem era rimasta solo la è: secondo Gilliéron la parola abeille che designa appunto l’ape, deriva non da apem ma da apiculam, cioè la forma estesa di apem. Gilliéron, per rafforzare l’idea che è sia stato sostituita dai contadini francesi perché troppo breve, apporta come esempi altri due modi per designare l’ape in francese: mouchette (che a sua volta presenta il suffisso diminutivo -ette) e mouche à miel (mosca da miele). Anche questo sarebbe un fenomeno del latino tardo dovuto ad un reazione tra gramatica e lingua parlata, che è la dimensione naturale, quella orale, della lingua stessa.
N.B. in italiano nel lessico tecnico dell’apicoltura l’ape operaia (femmina sterile) si chiama “pecchia”, termine che deriva da apiculam; la u breve è caduta e la i breve è diventata e chiusa; in apiculam ritroviamo il fenomeno dell’ampliamento della base lessicale tramite un suffisso; la vocale iniziale a- è caduta in quanto è stata sentita come parte dell’articolo (la [a]pecchia)

 

Un caso particolarmente interessante presente nell’Appendix Probi è

OSTIUM non OSTEUM

che è un caso di ipercorrettismo: è  un fenomeno di base psicologica della lingua parlata per cui il parlante, consapevole di essere tendenzialmente portato a fare un certo errore, si corregge anche laddove l’errore non c’è. Un esempio lo troviamo nel poemetto in romanesco “Er servitor de piazza Ciovile”   del poeta dell’800 Giuseppe Gioacchino Belli, in cui si legge:

Chi ha ccallo..., dico caldo, di staggione,
o un caldo a un piede, o acqualche occhiopullino,
capa o la capandella o el Capandone

In questo caso l’ipercorrezione riguarda la parola “caldo” che viene corretta con la sua versione dialettale “callo” mentre nel verso successivo accade l’opposto e “callo”, cioè l’ispessimento della pelle che interessa diverse zone del piede, viene reinterpretato come “caldo”.
Nell’Appendix Probi osserviamo inoltre che:

  • cadono sempre le –m finali anche in avverbi come olim o idem;
  • è già in atto la metatesi delle declinazioni che decreterà la sopravvivenza solo della prima e della seconda declinazione;
  • estensione nell’uso dei suffissi;
  • il nominativo è il primo caso a sparire perché era il più breve; ciò è riaffermato dallo stesso Gilliéron per il quale le forme che hanno più elementi sono quelle che rimangono;
  • nella Roma del III-IV secolo c’era ancora un ampio uso del greco che era la lingua franca del Mediterraneo;
  • gli esempi riguardanti l’incertezza tra consonanti semplici e geminate mostrano l’influenza dell’etrusco, perché a Roma, a quell’epoca, le geminate già erano scomparse.

Ecco ancora qualche esempio:

 

NURUS non NURA

nurus, nome della IV declinazione, diventa della seconda

PECTEN non PECTINIS

pecten è una parola greca che troviamo qui già usata nella forma espansa

NOBISCUM non NOSCUM
VOBISCUM non VOSCUM

notiamo che la flessione (nello specifico dell’ablativo) già se n’è andata

PUSILLUS non PISINNUS

da pisinnus, che non è una deformazione ma una parola popolare, deriva piccino

DIGITUS non DICTUM

è una fase di passaggio in cui la g subisce l’influenza della t che segue e diventa sorda

 

Martedì 24 Marzo 2009

  • Etnonimo, glottonimo, logonimo.

 

Etnonimo, glottonimo e logonimo sono tre termini del metalinguaggio della linguistica, cioè della lingua formata dai termini tecnici con cui si parla della lingua. Per metalinguaggios’intende una lingua caratterizzata da un lessico speciale che ha valore nella disciplina a cui appartiene.
I concetti di etnonimo, glottonimo e logonimo, in quanto termini del metalinguaggio, per convenzione vanno scritti con la minuscola. Questi tre sostantivi hanno in comune il suffissoide –onimo che corrisponde al greco –onoma cioè “nome”. Abbiamo quindi:

  • ETN – ONIMO       =  nome di popolo                            es: romanus
  • GLOTT – ONIMO  =  nome di una lingua                      es: latinum
  • LOG – ONIMO       =  nome di un’attività linguistica     es: loqui, dicere.

 

Nel caso della situazione di Roma antica non c’è coincidenza tra etnonimo e glottonimo, perché abbiamo i Romani che parlano la lingua latina;nelle lingue romanze, invece, questa coincidenza c’è (italiani – italiano ; francesi – francese ecc). Le lingue neolatine vengono chiamate anche romanze e ciò può essere spiegato attraverso la ricerca etimologica dell’origine del glottonimo “romanze”.
La nozione di “logonimo” è stata introdotta da Silvestri nel corso di un convegno dal titolo «Le parole per le parole. I logonimi nelle lingue e nel metalinguaggio».
Nel libro «Una storia della lingua latina» Poccetti discute sul binomio latinum-romanum: le due denominazioni si sovrappongono necessariamente, latino e lingua di Roma, e ciò è dovuto all’uso che si faceva in latino di questi termini. Nell’epitaffio del poeta Nevio si legge: “obliti sunt Romai loquier lingua Latina” e cioè “a Roma si sono dimenticati come si parla in lingua latina”. Latine loqui, cioè “parlare in lingua latina”, è un’espressione glottologonimica (si allude al fatto che per eleganza si parlava il greco).
Si è sempre tenuto distinto il concetto di Roma da quello di Lazio: ancora oggi c’è una sorta di patriottismo laziale. La coscienza etnologia è diversa da epoca a epoca e da luogo a luogo. I laziali erano molto orgogliosi già in epoca antica, come attesta la frase di uno storico “sono romano nato in Lazio”. Questa doppia identità continua a manifestarsi con la sopravvivenza del glottonimo “latino”. È invece una scelta imposta quella del glottonimo “toscano”, cioè il dialetto scelto come lingua d’Italia: lo stesso Manzoni, nella sua scelta politica di utilizzarlo nella stesura dei Promessi Sposi, impiega espressioni proprie del fiorentino.
In latino scrivono personaggi che hanno diverse origini, non solo laziali. Il latine loqui si oppone alla tendenza, molto forte all’epoca, di parlare in greco. Ciò non meraviglia perché è quanto sta avvenendo attualmente con l’inglese: ad esempio molto spesso si tende ad applicare ad un’altra lingua costruzioni proprie dell’inglese. Soprattutto nella lingua tecnica i termini inglesi diventano calchi in italiano. Un esempio è la parola “processare” nel senso di “elaborare”. Dal verbo inglese to process deriva anche processore, cioè l’insieme dei circuiti per l’elaborazione dei dati. Il significato introdotto a partire dal termine inglese si scontra ovviamente con il significato originale. Un altro errore dovuto all’influenza dell’inglese è lingua madre invece di lingua materna, dovuto alla traduzione erronea di mother language. In italiano quest’espressione si scontra con il termine del metalinguaggio che indica una lingua da cui derivano altre lingue (ad esempio l’indoeuropeo o il latino).
ROMANUS e LATINUS  presentano una morfologia caratteristica degli etnonimi (il suffisso –nus). Il termine “latino” era già presente altrove: ad esempio era il nome di uno dei figli illegittimi di Ulisse. Poi c’è un’attestazione etrusca: scrivono prima dei romani. Su alcuni oggetti sono state rinvenute delle scritte come “latinna” o “mi latinna” cioè “io sono del latino” oppure “mi Tites latinna” che significa “sono di Tito il latino”. Queste espressioni riguardano oggetti appartenenti ad una popolazione che viveva nel Lazio. Non ci sono attestazioni così antiche del termine “romanus”. Con il termine “latino” non ci si riferisce solo all’appartenenza geografica al Lazio, ma si vuole designare anche ciò che attiene alla produzione linguistica, ad un particolare modo di parlare. Il latino era quello che parlava in quel modo. Il latine loqui diventa anche un’ideale linguistico e significa parlare in quel modo. Indica un buon modo di esprimersi, privo di barbarismi. Sermo è un logonimo che significa “discorso” o “tecnica del discorso” e indica quindi un discorso strutturato.
Il Lazio è formato da popoli che si riconoscono nella lingua latina. Essi si riconoscono nel trinomio Lazio-Roma/altro che può essere proposto anche in altro modo e cioè Roma - Latium/altro o Roma/Latium – altro: nel primo caso Lazio e Roma coincidono, nel secondo il Lazio è assimilato al resto del mondo. Questa seconda opposizione spiega l’importanza del riconoscimento della cittadinanza romana. Civis romanus sum, che sottolinea appunto la cittadinanza romana, è un concetto che si oppone a latine loquor,che ha un valore puramente di identificazione culturale ed etnica ma non giuridica come la prima espressione. Roma era solo una città e il Lazio era per dimensione poco più grande mentre tutto il resto, “l’altro” era ovviamente enorme. I popoli italici che pretendevano la cittadinanza, la ottennero al termine delle guerre sociali, espressione che deriva da soci cioè “alleati” (di Roma). Il latino era contrapposto soprattutto al greco, l’unica lingua che lo potesse eguagliare.
Il concetto di romanus, inizialmente solo giuridico e politico, inizia a colorarsi di elementi linguistici: ad un certo punto i greci parlano di “he ton romaion dialektos” cioè la lingua dei romani, che corrisponde al latino. Nel greco ellenistico no troviamo l’espressione “latinus”.
Il concetto di urbanitas è una nozione latina culturale che deriva da urbs che significa “città” ma più precisamente Roma, la città per eccellenza. Urbanitas definisce quindi tutto ciò che è corretto, canonico, ben fatto nel comportamento. Nasce il gioco di parole urbi et orbis, “la città e il mondo”. Urbis et orbis è un’espressione di epoca imperiale dove l’urbs era diventata tutta il mondo secondo la tendenza etnocentrica di riconoscere solo ciò che si conosce. Roma è identificata con il mondo e quindi anche il Lazio è Roma. Tutto il resto era ultimus, cioè il confine dell’orbis, il mondo sconosciuto.
Le lingue romanze sono la sopravvivenza dell’urbs. Significativa è la sopravvivenza del latino in Romania, che è circondata da popoli di lingua slava.
Si crea un’opposizione tra latinus e romanus: il primo è la lingua scritta e corretta, il secondo è la lingua parlata. Un’enciclica del Concilio di Tours dell’813 d. C. diceva di fare le prediche in «rustica romana lingua» e non in latino. Fino al Concilio Vaticano II (1962-65) la Chiesa Cattolica ha conservato l’ideale letterario della purezza del latino per i riti religiosi. Per secoli c’è stata un’incomprensibilità del rito.
“Romano” diventa sinonimo di “rustico”, (da rus = campagna) e si contrappone a urbanus che diventa sinonimo di raffinato, corretto. La città è il luogo dove si parla bene, correttamente, la campagna quello dove si parla male. Quest’opposizione tra campagna = negativo e città = positivo è un concetto risalente alla tarda latinità, e si riflette anche nella contrapposizione paganus - miles Christi (soldato di Cristo assimilato alla milizia urbana). Paganus significa paesano e deriva da pagus = “villaggio”; questo termine è diventato sinonimo di “non cristiano” perché il Cristianesimo si diffuse inizialmente nell’urbs ad opera della predicazione degli apostoli di Gesù Pietro e Paolo, i quali predicano in greco a Roma. Al di fuori dell’urbs, nel pagus, cioè in campagna, rimangono coloro i quali sono ancora legati a divinità e riti naturalistici ed, appunto, pagani. Tale contrapposizione si rafforza quando nell’urbs si crea “l’esercito di Cristo” , che con la spada spirituale conquisterà il resto del mondo. La sede della religione cattolica è Roma e la sua lingua è il sermo latinus. Ancora oggi la prima stesura delle encicliche viene fatta in latino.

Giovedì 26 Marzo 2009

  • I logonimi latini

 

Per logonimo si intende un elemento del lessico (verbo, nome aggettivo, avverbio) che si riferisce all’attività linguistica. Un esempio tipico è il verbo «parlare». Ci sono state varie classificazioni dei logonimi, ad esempio in base alla modalità o alla struttura dell’attività linguistica.
Lo studio dei logonimi può essere volto a scoprire quali e quanti logonimi latini sono rimasti nelle lingue romanze e quali significati essi hanno assunto nelle stesse.
Definire la dimensione dell’etimologia è importante. “Basi storiche” significa basi etimologiche, perché la storia di una parola è la sua etimologia. In latino il verbo “parlare” non esiste: esso deriva da parabolare, che appartiene al latino tardo mentre loqui non è sopravvissuto nelle lingue romanze se non in termini dotti (loquace, locuzione ecc). L’analisi etimologica può essere svolta in varie direzioni. È possibile risalire all’etimologia di un nome o vedere se un nome latino ha un antecedente o un equivalente in altre lingue indoeuropee oppure da una parola latina si può fare una ricostruzione “in avanti” arrivando ad una delle lingue romanze, per vedere come un elemento è sopravvissuto.

La diacronia è un modo di affrontare lo studio linguistico che pone in primo piano le circostanze in cui le lingue si trasformano nel tempo. Si stabiliscono dei punti di riferimento nel tempo come la lingua indoeuropea, ricostruita attraverso la comparazione delle diverse lingue indoeuropee e che non ha né tempo né  luogo.
In un’ipotetica  ricostruzione diacronica possiamo prendere come punti di riferimento:

  • l’indoeuropeo (anche se si potrebbe andare ancora più indietro) vedendo de una parola latina o la sua radice possono essere ragionevolmente ricondotti all’indoeuropeo;
  • il latino arcaico;
  • il latino classico;
  • le lingue romanze.

Wilhelm Meyer Lübke, uno studioso svizzero(1861 –1936), si è dedicato allo studio di quella fase intermedia tra latino e lingue romanze, il latino preromanzo, a cui si può accedere col metodo comparativo, confrontando tra loro le lingue romanze. Meyer Lübke appartiene alla scuola dei neogrammatici e ne applica il metodo, partendo dalle lingue romanze per risalire alla loro origine. Scrive il Romanisches Etymologisches Wörterbuch , dizionario etimologico delle lingue romanze, in cui i lemmi sono identificati da parole latine sopravvissute..
Nella ricerca etimologica possiamo partire dall’italiano, dallo spagnolo o dal francese e così via utilizzando dei dizionari etimologici . Nel caso dell’italiano uno strumento molto utile è il dizionario Lessico Etimologico Italiano iniziato dal tedesco Max Pfister e tutt’ora in lavorazione. Inoltre ci sono:

  • Dizionario Etimologico Italiano (DEI) di Battisti-Alessio (da non confondere con quello di Francesco Bonomi);
  • Dizionario Etimologico della lingua italiana(DELI) di Cortelazzo-Zolli.

 

Alcune forme latine o tardo latine possono sopravvivere nei dialetti. In questo processo si va sempre da una pluralità (di lingue) ad un’unità (la lingua madre da cui tutte derivano). Il latino continua in tanti latini attestati dai vari dialetti e dalle varie parlate. Ecco perché Meyer Lübke testimonia l’etimologia di tutti i dialetti romanzi che conosce. Pfister, Battisti-Alessio e Cortelazzo-Zolli tengono tutti in conto la radice etimologica dei dialetti.
Il primo dizionario etimologico delle lingue romanze fu redatto da Friederich Christian Diez (EWRS, Etymologisches Wörterbuch der romanischen Sprachen) prima del metodo neogrammatico e attualmente non è più utilizzato.
Giovanni Semerano (1911-2005) , dotto direttore della Biblioteca Laurenziana e poi della Biblioteca Nazionale di Firenze, personaggio vissuto fuori dell’Università, ma accreditato da una sua probabile appartenenza ad ambienti massonici, è citato in modo inopportuno nell’ambito dell’etimologia latina, con un suo dizionario pubblicato a Firenze da Olschki. Sostiene che l’indoeuropeo non è mai esistito e che tutte le lingue dell’Europa (comprese il latino e il greco) derivano dall’accadico, l’antica lingua dei babilonesi. Semerano ha approfittato dell’omertà di molti linguisti italiani, che non sono stati sufficientemente energici nel respingere le sue idee, e le sue protezioni lo hanno purtroppo accreditato (anche su Internet), ed i suoi volumi continuano a circolare. Semerano rappresenta un momento molto grave della sociologia culturale italiana, non solo per le sue idee non scientifiche, ma per l’acquiescenza acritica di chi le ha appoggiate “fraternamente”.

 

  • Dizionari etimologici della lingua latina 
    • A. Ernout- A. Meillet DELL - Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine, Histoire des mots (Paris, 1932). Meillet è stato il più importante linguista all’inizio del ‘900 ed è il capostipite della scuola linguistica francese. Il suo lavoro nel dizionario riguarda proprio il percorso a ritroso dal latino all’indoeuropeo. Il grandissimo lavoro di Ernout riguarda invece l’Histoire des mots: per ogni parola egli riporta la famiglia di parole a cui essa appartiene, con diminutivi, derivati e composti e per ognuno si dà la spiegazione del significato.

             Esempio: al lemma caro-carnistroviamo:

  • carnifex = colui che degli uomini fa carne; da cui deriva carnificina;
  • carnarius = amante della carne.
  •  carnalis, carnalitas, carnatio da cui incarnatio (derivato tardo della lingua della Chiesa)

A questo punto interviene Meillet con il significato originale, che è “pezzo di carne” ed in cui il nucleo semantico più antico è “pezzo”. Meillet osserva che in particolare nelle lingue italiche ci sono continuatori di queste radici: così nell’Osco c’è carneis,  che significa “carne”; l’Umbro conserva caru che significa carne e cartu che significa “distribuzione, dare parti”. Meillet chiama in causa altre parole di altre lingue: horundr, della lingua irlandese arcaica che significa “pelle”; viene spiegato che ciò deriva dai sacrifici rituali che prevedevano l’offerta alla divinità di parti di animali. Il valore di caro-carnis come “porzione, fetta” deriva dalla preparazione della carne sacrificale per i riti religiosi antichi. Il significato originale di curtus (da cui deriva l’italiano corto) è “mozzato, tagliato”. La storia della parola viene ricostruita sia nel latino che nelle lingue italiche e indoeuropee. In tutte le voci c’è un riferimento al dizionario di Meyer- Lübke (ad esempio nel caso di caro-carnis troviamo M-L 1706),  Il REW attribuisce un numero a ciascun lemmai e ciò ne facilita l’uso.

    • LEW Lateinisches Etymologisches Wörterbuch (1938-1954) fatto la prima volta da Walde nel 1906 e poi rifatto da J. B. Hoffman, entrambi tedeschi. Walde aveva fatto anche un dizionario comparato delle lingue indoeuropee, poi rifatto da uno studioso polacco, J. Pokorny. Meillet si basa anche sul lavoro di Walde per le sue etimologie.

Ricapitolando gli strumenti per indagare l’etimologia latina sono:

      • il dizionario Ernout-Meiller;
      • il dizionario Meyer- Lübke che testimonia la sopravvivenza di una parola nelle lingue e nei dialetti romanzi;
      • i vari dizionari etimologici delle lingue romanze.
      •  

L’ETIMOLOGIA

Cos’è il significato?
L’etimologia è la ricerca scrupolosa del significato, dal greco ‘scienza del vero’.
Eugenio Coseriu  (linguista di origine rumena, studioso di lingue classiche e romanze, si è occupato anche di teoria del linguaggio)  distingue per il significato 3 livelli:

  • Designazione     Bezeichnung
  • Significato         Bedeutung
  • Senso                 Sinn

dove

  • è il rapporto tra la parola intesa come segno e la realtà (il termine designazione contiene la parola segno “ zeich”)
  • è il valore che una parola ha dentro la lingua a cui appartiene, collegato al sistema linguistico.(Bedeutung significa pensare)
  • è il valore che la parola ha nell’atto linguistico in cui compare, collegato all’uso.

Tali componenti sono universali, cioè sono presenti in tutte le lingue.
Quale verità cerchiamo con l’etimologia?
Cerchiamo di ricostruire prima la designazione.
Es.it. strada  <  lat. via strata     era una via pavimentata e particolarmente curata
strata:  participio di sternere cioè stendere.
Nelle lingue morte la designazione spesso la troviamo nell’uso, cioè nel testo.

L’Ernout- Meillet si basa sulla ricerca della 2ª componente di Coseriu, il significato (Bedeutung).

LOGONIMI LATINI
Il vocabolario latino offre molti termini che valorizzano i diversi modi e le diverse funzioni del parlare. Il patrimonio di logonimi del latino è ricchissimo.
Abbiamo infatti termini diversi in base a:

  • situazioni, destinatari ed istanze referenziali dell’enunciazione orale;
  • diverso uso delle modulazioni della voce;
  • funzione illocutiva o perlocutiva dell’atto linguistico della domanda, del saluto;
  • diverse modalità e situazioni del silenzio.

Alcuni di questi verbi sono delocutivi, cioè derivano da una locuzione che costituisce un atto linguistico; esempi: negare = dire nec; autumare = dire autem (ma) e quindi argomentare ecc.

dīco, is , dixi, dic–tum, dicere  (radice deik- ) = mostrare con la parola.

Significa “indicare”greco deik-nu-mi

 

Martedì 31 marzo 2009

Le parole per le parole - I logonimi nelle lingue e nel metalinguaggio, a cura di Cristina Vallini presentazione di Tullio De Mauro. Roma, Il Calamo 2000.
(Leggere i testi di De Mauro, Vallini, Silvestri)

Logonimi: parole che designano le attività linguistiche.
De Mauro ha redatto un elenco di termini che finiscono in  -onimo. Esempio: etnonimo, omonimo ecc. L’autore aggiunge all’elenco il termine LOGONIMO, dandone una definizione completa anche nell’omonimo Dizionario della lingua Italiana. La definizione:
Logonimo: s.m. TS ling. [1997; comp. Di logo- e -onimo] parola o termine indicante aspetti e parti di frasi e testi e della loro realizzazione e ricezione.
Notiamo nella definizione l’uso del vocabolo termine e del vocabolo parola che hanno referenze diverse, in quanto il vocabolo Parola designa una realtà non solo linguistica ma anche umana e quotidiana, è più vago e poetico. Il vocabolo Termine è molto preciso e definito. (cfr. La distinzione effettuata da Leopardi nello Zibaldone : http://www.pelagus.org/it/libri/ZIBALDONE,_di_Giacomo_Leopardi_142.html)
Meccanicamente pensiamo che l’attività linguistica sia soltanto il parlare, in realtà non è proprio così, perché l’atto linguistico (in quanto comunicazione) comprende anche l’ascoltare, è un circuito comunicativo. Quindi il parlare consiste nella realizzazione di frasi e testi e la loro ricezione. I logonimi fanno parte dell’attività umana.

Metalinguaggio
Un linguaggio A che parla di un linguaggio B si dice metalinguaggio. Se A e B coincidono e  se A parla dei suoi stessi segni, si dice che A funge da metalinguaggio riflessivo. La distinzione tra linguistico e metalinguistico viene esemplificata con l’uso del  sillogismo(dal  greco συλλογισμός ovvero ragionamento concatenato). Esso è  composto da una premessa, una suppositio materialis ed una suppositio formalis. Esempio:  Tutti gli uomini sono mortali.
Tutti i greci sono uomini .
Tutti i greci sono mortali .
Questo è un sillogismo valido. Ci sono, chiaramente sillogismi perfetti dal punto di vista strutturale, ma sbagliati dal punto di vista semantico. Esempio:  Mus est syllaba (suppositio materialis)
Syllaba non rodit caseum (suppositio formalis)
                                                                                Ergo mus non rodit caseum(suppositio formalis)
Questo sillogismo è perfetto, ma non valido dal punto di vista semantico, dato che si confondono linguaggio e metalinguaggio. In quanto mus è una sillaba dal punto di vista del metalinguaggio (la parola mus è una sillaba), ma il termine significa topo, e quindi il sillogismo fallisce (mus è una sillaba, la sillaba non mangia il formaggio, quindi mus non mangia il formaggio).
De Mauro propone una classificazione di logonimi, ripartendoli in sette classi. In queste classificazione esplicita due limitazioni: 1) tratta solo di verbi, lasciando da parte i lessemi nominali e aggettivali; 2) limita la classificazione ai lessemi verbali semplici, lasciando il patrimonio di polirematiche: es. far parola, abbassare la voce ecc. Ecco la classificazione:

VERBI GENERALMENTE SEMIOTICI: comunicare, esprimere, segnalare ecc.
VERBI GENERALMENTE E GENERICAMENTE LINGUISTICI: dire , parlare.
VERBI DISTINTIVI DI MODALITÀ FONETICHE DEL DIRE: (modo di pronunciare le parole) strillare, bisbigliare ecc.
VERBI DISTINTIVI DI MODALITÀ SEMANTICO-TESTUALI: dialogare, conversare, disputare ecc.
VERBI DI MODALITÀ E CONSEGUENZE PERLOCUTIVE E GIURUDICHE DEL DIRE: (atto perlocutivo indica la conseguenza di un atto nella realtà) minacciare, promettere ecc.
VERBI SCRIBENDI: annotare, digitare ecc.
VERBI ERMENEUTICI: (ovvero riguardanti l’interpretazione linguistica) decodificare, tradurre, volgarizzare ecc.

Giovedì 2 aprile 2009

Saggio “LOGOS E LOGONIMI” di  Domenico Silvestri

λόγος  = logos       λέξις= lexis           ξ = K(g) + s  diventato quindi  x
log-  radice                          leg-  radice  
Notiamo, in questo caso una mutazione vocalica interna, ovvero l’apofonia vocalica, per la quale nella stessa radice si alternano diverse vocali. Esempio in latino:  facio, feci.
Che cos’è il Logos? Che cosa vuol dire? Il termine Logos ha avuto una storia molto importante e per capirne il significato, non possiamo solo limitarci alla traduzione del termine. Possiamo riportare qualche esempio di traduzione della parola Logos, come nel caso del Vangelo di Giovanni che si apre dicendo: « Ἐν  ἀρχῇ  ἦν  ὁ  λόγος» ovvero «In principio era il Logos». Il Vangelo fu successivamente tradotto da S. Girolamo in latino, riportando la parola Logos come Verbum, e quindi in italiano Verbo. Il problema della traduzione risulta evidente perché la parola verbo in italiano designa solo e soltanto una categoria grammaticale, se fossimo parlanti stranieri avremmo sicuramente delle difficoltà nel comprendere la traduzione :« In principio era il Verbo».                   Silvestri va alla ricerca del significato della parola Logos in diversi testi greci, e ne conclude che sono stati attribuiti diversi significati al termine. Il suo discorso parte dal concetto di Logos e mondo: da Eraclito a Wittgenstein. Nei Frammenti di Eraclito ritroviamo: «La saggezza di quello che ascolta non me, ma il logos consiste nel riconoscere che una sola cosa sono tutte le cose». In questo caso il Logos è entità di connessione, il pensiero è connessione. Tutte le cose sono legate e riconducibili ad un principio di unità. Eraclito afferma che per tutti l’esperienza consiste nella connessione, ma purtroppo gli uomini comuni sono condannati alla disconnessione.       Analizzando il Tractatus logico- philosophicus di Wittgenstein, scritto in assiomi, si ha che: “Il mondo è tutto ciò che accade”; “Il mondo è la totalità dei fatti” ; “I fatti nello spazio logico sono il mondo” ; “ Lo stato di cose è un nesso di oggetti” quindi il mondo è un nesso tra le cose. Bisogna ben ricordare questo concetto di mondo come nesso. Quindi avremo: se il logos ontologico è il  mondo, ovvero una totalità di fatti, di stati di cose, di nessi, anche il logos linguistico, in quanto pensiero, è un totale di fatti linguistici, di stati di cose linguistiche, di nessi linguistici. Inoltre nell’ultimo canto della Divina Commedia, Dante scrive:                                                                  

« Nel suo profondo vidi che s’interna,   legato con amore in un volume,  ciò che per l’universo si squaderna»,  ovvero il legame di tutto quello che nell’universo è spaginato. Linguisticamente LEGAME ha alla base una radice leg- di legato. Anche in questo caso rientra il concetto di connessione. Quindi per Silvestri il Logos è entità di connessione.
Lexis: la capacità di realizzare il Logos. Lexis è parlare, mettere in atto il logos (pensiero linguistico). Il parlare presuppone il pensare, mettere insieme parti di parole. Sempre Dante nel II canto dell’Inferno:  « Diverse lingue, orribili favelle,   parole di dolore, accenti d’ira,  voci alte e fioche e suon di man con elle».
In questa terzina ritroviamo una climax discendente, si parte da un massimo di diversità ad un minimo rappresentato da un suono. Questa terzina riportata da Silvestri indica la sensibilità logonimica di Dante. 
Esempi di “autocertificazione” linguistica                                                                                                  

Gli oschi, erano convinti che i defunti che scendevano agli inferi, potevano  aiutarli, e si servivano di loro mandando maledizioni scrivendole su una lamina di piombo.                                                

  Per esempio: “ nep fatíum nep deíkum pútians” ovvero “non possano né parlare né dire”. La maledizione si svolge secondo una climax ascendente evidente. Quindi Logos:connessione  Lexis:attività di connessione attraverso il discorso.  
Classificazione dei logonimi proposta da Silvestri
Silvestri distingue tra due grandi aree: 1)Area (evoluta) della selezione e della combinazione
2)Area (primordiale) della manifestazione e dell’interazione
Alla prima area appartengono i due principi di selezione e combinazione della lingua formulati da Jakobson, consistenti nello scegliere da un repertorio e poi combinare gli elementi scelti.   (Logos come combinazione ed unione). In questa area Silvestri colloca i logonimi relazionali(introversi). Questi logonimi sono detti introversi perché descrivono l’organizzazione interna della lingua, le sue relazioni, ne esprimono la natura. Qui viene fuori la radice log- / leg-  che ha i valori primari di “mettere insieme, raccogliere”. Esempio: greco  λέγω,  ovvero conto,scelgo, metto insieme e quindi   “parlo” . Oppure in latino lego  ovvero legare, mettere insieme, leggere.                                 Sempre alla prima area appartengono i logonimi referenziali (estroversi) ovvero manifestano a cosa serve la lingua. Esempio: greco φημί    latino dīco  ovvero rispettivamente “illuminare con le parole” e “far brillare con le parole”. Essi indicano la loro referenza verso il mondo.                                               Alla seconda area appartengono i logonimi fenomenico-manifesti e processuali-interattivi. Caratteristiche fonetiche dei logonimi.
Studiare le fotocopie messe a disposizione.                                           
N.B. per i riferimenti a Jakobson, vedere l’Atlante e La forbice e il ventaglio.
R. Jakobson, Saggi di linguistica generale. http://books.google.it/books?id=Gx_5FAv9-QcC&pg=PA27&lpg=PA27&dq=jakobson+selezione+e+combinazione&source=bl&ots=H1-agGdfFc&sig=7I_C_uA830l_YLbdyjCf3mazPag&hl=it&ei=ELnfSd53x4ewBs29zdsI&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2

 

 Martedì 07 aprile 2009

  • Marouzeau : “Le latin langue de paysans

 

Nel saggio “Le latin langue de paysans” Marouzeau fa un elenco di termini entrati nel lessico comune. La parola “cultura” deriva dal verbo colo, da cui deriva anche “coltivare” che può essere riferito alla terra o, con uno slittamento letterario, ad hobby, passione cc. Lo slittamento letterario si verifica ancora di più con “cultura”. La tesi di Marouzeau è che molti termini entrati nell’uso comune e ce hanno occupato un campo referenziale molto ampio, all’inizio avevano un valore molto ristretto. Ecco alcuni esempi:

    • Egregio aggettivo che denota rispetto, significa, dal latino e-gregius, “fuori dal gregge”ed indica quindi qualcuno che si distingue dalla massa: il gregge è infatti caratterizzato dall’indistinto, dalla massa (di ovini).
    • Verso (inteso come unità poetica), deriva dal latino vertor che significa “giro” e si riferisce all’attività agricola dell’aratura, in cui alla fine di ogni fila si torna indietro (ed appunto alla fine di ogni verso si va a capo).

Sono tutte metafore, perché di usa un termine fuori dal suo campo solito. La metafora si basa sulla fantasia che ha portato a spostare la referenza di questi termini dalla lingua dei campi alla lingua comune.

  • DA Poccetti Una storia della lingua latina :

urbanitas vs rusticitas

Il latino era impregnato di termini rurali: ciò faceva si che alla coscienza dei romani, tutto ciò che era legato alla campagna fosse sgradito, perché la campagna era legata al passato: si rifiutano le origini.
Il fatto che Roma fosse sempre stata legata al suo contesto campagnolo è evidente anche dallo studio del dialetto romano. Un esempio molto interessante è La vita di Cola Di Rienzo , uno scritto in romanesco che narra la vita di Nicola di Lorenzo, politico romano del ‘300. La cronaca della sua vita, opera di un anonimo romano, è stata scritta in un tipo di linguaggio simile anche al napoletano. Perché a Roma, dove si doveva conservare il latino più puro, viene fuori questo tipo di latino? Perché la città di Roma, la cui popolazione era stata decimata dalle pestilenze nel Medioevo, fu ripopolata da gruppi di individui provenienti dal contado, in particolare da quello sabino. Di conseguenza il romanesco diventò un dialetto meridionale, italico. Il latino di Roma, anche nella suo passaggio al volgare, fu influenzato fortemente dalla campagna. C’è un destino di Roma nel suo legame con la campagna. Il dialetto parlato dagli abitanti del contado romano (discendenti dei Sabini) era molto simile al napoletano ed era un modo di parlare tipico delle popolazioni non romane. La vita di Cola Di Rienzo attesta quel tipo di romanesco, che non è come quello moderno che si è “rilatinizzato”, cioè “toscanizzato”.  Bisogna ricordare quanto detto a proposito degli  Etruschi, che parlavano il latino correttamente perché non c’erano interferenze con la loro lingua originale, che era molto diversa dal latino. Alle origini di Roma ci sono Latini, Sabini ed Etruschi e quest’alternanza di popolazioni è evidente anche dal tradizionale alternarsi dei sette re (ad esempio Romolo era romano, Numa Pompilio, suo successore, era un sabino mentre Tarquinio il Superbo era etrusco). Quando queste popolazioni iniziarono a parlare latino i Sabini lo facevano con il proprio accento, e gli Etruschi senza accento.
Queste considerazioni costituiscono il contenuto del saggio di Clemente Merlo “Lazio sannita ed Etruria latina” (pubblicato dapprima negli Studi Etruschi, I, 1927, poi nell’It. dial. III, p. 84-92) con cui, iniziando la serie delle monografia ispirate al principio del sostrato etnico, Merlo faceva risalire all’etrusco il noto fenomeno dell’aspirazione di -k- latina intervocalica in Toscana e all’osco-umbro l’assimilazione dei nessi nd> nn e mb>mm che caratterizza ancora oggi il volgare romanesco così come gli altri dialetti dell’Italia centro-meridionale. La toscanizzazione del romanesco è dovuta all’elezione al soglio pontificio di papi appartenenti alla famiglia de’ Medici (Leone X e Clemente VII nel Cinquecento).  La corte papale diventa il modello del parlare. Si imitano i nobili, i cortigiani come avvenne a Napoli con l’arrivo delle corti francese e spagnola. Con l’arrivo dei papi medicei il dialetto romanesco si allontana dai dialetti meridionali, avvicinandosi al toscano: il sermo urbano diventa fiorentino.

Coscienza linguistica, riflessione metalinguistca e politica della lingua (p1.3)
I parlanti non subiscono passivamente la lingua ma criticamente essi scelgono dei modelli piuttosto che altri. Poccetti mette in nesso l’abitudine conservatrice della lingua latina che è cambiata quando essa ha dovuto accettare l’introduzione del greco. I romani non volevano aprirsi ai greci per timore della corruzione che essi avrebbero potuto portare. Abbiamo quindi uno scontro tra l’ammirazione per la cultura greca e una sorta di blocco verso la stessa dovuto a motivi politici. Roma, soprattutto con le conquiste dell’Impero vedeva sempre nuove realtà che venivano istintivamente rifiutate ma che poi forzatamente dovevano essere accettate.

  • Differenze tra civitas e polis 

 

La parola italiana “città” deriva dal latino civitas. In greco città si diceva “polis”. Ecco un confronto:

  • Civitas è un sostantivo derivato che viene da cives ( = cittadini) ed indica quindi “l’insieme dei cittadini”;
  • Polis è un sostantivo primario e da esso deriva polites ( = cittadini) che sono gli abitanti della polis e per questo il concetto primario è quello di polis.

 In latino prima ci sono i cives: il valore originario di “città” coincide con quello di “cittadinanza”; la città è l’insieme dei cittadini di Roma. La conoscenza della lingua è implicata dalla cittadinanza. I popoli conquistati da Roma volontariamente apprendono la lingua come elemento imprescindibile per ottenere il riconoscimento della cittadinanza romana. Il latino diffonde la cittadinanza.
L’Editto di Caracalla, nel 212 d.C., estenderà finalmente la cittadinanza a tutti gli uomini liberi dell’Impero.  

Giovedì 16 aprile 2009

  • Il posizionamento del latino nelle opere di alcuni importanti storici tra XVIII e XIX secolo

 

È ormai generalmente accettata l’idea che l’italiano derivi dal latino e che quest’ultimo sia lingua madre originale a partire dalla quale si sono formate diverse altre lingue, dette romanze o neolatine. Tuttavia l’ipotesi che il latino fosse stato costruito a tavolino partendo dal greco è stata sostenuta da molti studiosi, anche con argomentazioni molto convincenti. Ancora oggi ci sono teorie alternative rispetto a quelle più diffuse. Tra queste vi è anche un fenomeno opposto al tentativo di sminuire l’importanza del latino, e cioè c’è stato chi ha sostenuto che il latino fosse una lingua talmente “meta” che è stato ed è ancora ritenuto l’origine di tutte le lingue, addirittura dell’etrusco, che secondo molti studiosi non appartiene nemmeno all’area indoeuropea. Si tratta di ipotesi diverse, ognuna delle quali è portatrice di affermazioni forti, come quella appena citata per la quale l’etrusco deriverebbe dal latino. Vediamone alcune da vicino.

Scipione Maffei: nel 1727 pubblica Ragionamento sugli Itali primitivi. In esso ci sono alcuni passaggi in cui Maffei sembra voler dire che l’etrusco fosse una lingua estesa a tutta la penisola. C’è, in quest’affermazione, un conflitto con l’idea attuale per cui la prima lingua di generale attestazione in Italia è il latino, che per apposizione si è sovrapposta alle altre. Invece Maffei sostiene che l’etrusco sia una lingua originaria della penisola.

Stanislao Bardetti: gesuita, è autore dell’opera De’ primi abitatori dell’Italia (1769), in cui vi sono numerose pagine dedicate alle lingue per dimostrare vicinanze tra i popoli; la lingua è sempre stata usata dagli storici per dimostrare le proprie teorie riguardanti i legami tra popoli diversi. Anche Bardetti parla di un’origine e di una lingua comuni ai primi Itali. Egli usa un approccio prescientifico (e non scientifico), rifacendosi a datazioni bibliche, e riporta il 641 come anno della confusione delle lingue, stabilendo che il popolo originario della penisola fossero gli umbri; parla inoltre dell'ebraico come di una lingua originaria. In sostanza Bardetti propone che a) uno dei popoli originari della penisola italiana fossero gli umbri e che b) che questi derivassero dai galli. Lo storico respinge l’idea che l’italiano derivi dal latino e la sostituisce con l’ipotesi di una discendenza semitica. Come si è visto, non sempre il latino è riconosciuto come lingua madre.

Verso fine secolo troviamo un’opinione che si discosta dalle altre: nel 1788 Gian Rinaldo Carli pubblica in cinque volumi Delle antichità italiche; in esso, ricordando i tentativi dei suoi colleghi di trovare la lingua originaria, la quale ogni volta coincideva o aveva legami con la propria, il Carli afferma che le popolazioni e le relative lingue che dovevano essere isolate e studiate sono tre e sono le lingue di:

  • autottoni
  • aborigeni
  • umbri.

Secondo il ragionamento di Carli, se nel solo Lazio antico Plinio isolava ben 53 lingue, nella penisola ce ne dovevano essere molte di più. Per questo l’illuminista istriano suggerisce di basarsi sullo studio solo di lingue che abbiano dei documenti, cioè delle testimonianze (scritti, lapidi, incisioni ecc…). In base a questo principio il Carli individua le lingue di:

  • tirreni
  • latini
  • sabini.

Poi stila un elenco di lingue di cui non c’erano monumenti, tra cui quella degli umbri. Per quanto riguarda gli etruschi, secondo il Carli essi dovevano il loro nome alla parola tua cioè "incenso" che rimetteva alla pratica del sacrificio rituale. Tuttavia in base a quanto affermato da Plinio fino all’epoca di Troia nelle cerimonie sacrificali non si usava l’incenso ma le essenze di scorze di arancia e cedro affumicate e quindi quest’etimologia del nome etrusco non convinceva. Del resto gli etruschi non vengono mai nominati ma storici come Tucidide o Erodoto parlano di “tirreni”. Il Mar Tirreno è infatti il mare etrusco. In greco troviamo tursenoi che per il fenomeno del raddoppiamento diventa turrenoi; in questo tipo di parole la liquida spesso cambia di posto per cui turrenoi diventa trurrenoi; alla desinenza greca si sostituisce poi quella italica –trusc.

Luigi Lanzi: alla sua epoca fu un grande etruscologo aprendo la strada a considerazioni di tipo scientifico, pur commettendo un grande errore metodologico. Nel suo Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d'Italia (1789) Lanzi nota la somiglianza e quindi la parentela linguistica tra le lingue italiche. Il latino viene messo allo stesso livello di lingue minori. Il suo errore è nel considerare che tutto derivi dal greco, perfino il nome del Lazio che invece deriva da latino (Latium). Lanzi fa invece derivare Lazio da lato = ampio. Per quanto riguarda il significato ciò è plausibile, ma non lo è il fatto che i latini avrebbero preso la parola con cui definivano se stessi dal greco. Si stabilisce una dipendenza cronologica dal greco, idea molto difficile da eliminare.

Lorenzo Pignotti: è autore della Storia della Toscana (1813), in cui sostiene che tra i cambiamenti apportati dalla caduta dell’Impero Romano ci sarebbe il mutamento nella lingua. Secondo Pignotti il latino aveva resistito agli attacchi degli stranierismi e delle interferenze. Però dopo la caduta dell’Impero la penisola era stata invasa da popoli stranieri: per lo storico aretino questi stranieri erano numericamente inferiori. In conclusione la lingua latina era riuscita a conservarsi ed era destinata a farlo. Questo dimostra la filiazione tra italiano e latino.

Ottavio Mazzoni Toselli: secondo la tesi esposta in Origine della lingua italiana (1831) l’italiano deve tutto alla lingua gallica. Toselli rifiuta l’idea di una filiazione dell’italiano dal latino. Le lingue antiche più parlate erano l’etrusco, il latino e la lingua gallica. La linguistica scientifica era già nata. Per Toselli nell’italiano non si sarebbe addirittura conservato nessun vocabolo del latino. In mancanza di evidenze lessicali che lo legassero al latino, per ricostruire le origini della lingua italiana le altre due lingue possibile erano l’etrusco e il gallico tuttavia i Toscani avevano da tempo sostituito l’etrusco con il gallico, per cui esso non era più parlato. A sua volta il latino deriva dal greco e dal celtico e non aveva una sua dignità di lingua originale. L’autore fa poi una distinzione tra lingua dotta e lingua volgare. Quella che noi chiamiamo latino era la lingua scritta ma che nessuno parlava, mentre la lingua parlata a Roma era l’osco. A prova di ciò Toselli adduce il grande successo delle Atellanae, tipo di spettacolo comico burlesco in osco. Questo storico sostiene addirittura che in alcuni dialetti, come il bolognese, ci siano parole che hanno resistito al latino (ad esempio la prima voce del verbo essere).

Cesare Balbo: a metà dell’Ottocento individua tre lingue nell’ Italia antica:
1) tirrena, parlata da etruschi ed oschi e non di origine indoeuropea;
2) iberica, parlata da liguri, siculi e itali indoeuropea (impossibile quindi che parlassero della stessa lingua dei tirreni, infatti questa è indoeuropea;
3) celtumbra, molto diversa dalle altre. .
Il latino non c’è.   
Le tavole eugubine sono sette tavole a partire dalle quali si è ricostruito l’umbro che era in stretta connessione con l’osco.

Giandomenico Romagnosi: propone che l’italiano debba esser fatto risalire non al latino ma all’osco. C’è però un difetto tipologico: il latino è riconosciuto come invenzione letteraria, modello artificiale. Ci sarebbe un’evidente continuità tra osco e latino.

Per l’esame:

  • Le Parole per le parole. I logonimi nelle lingue e nel Metalinguaggio, a cura di Cristina Vallini (Il Calamo 2000). Testi di De Mauro, Silvestri, Vallini. 
  • Riprendere l’elenco dei logonimi latini indicati nel programma 2006, individuarne il significato e classificarli in base ai criteri di De Mauro e Silvestri.
  • Studiare l’articolo di Marouzeau; individuare i significati latini dei termini trattati (elencati sotto), individuandone l’etimologia e verificandone la continuazione nelle lingue di studio moderne (italiano, spagnolo, francese, inglese).
  • Una storia della lingua latina, di Poccetti, Poli, Santini (Carocci 1999). Capitolo I, Paragrafi 1, 2, 3.

 

LOGONIMI LATINI:
La valorizzazione e la diversificazione delle funzioni del parlato risaltano dalla ricchezza terminologica che offre il vocabolario latino in rapporto alla varietà delle forme e delle situazioni, dei destinatari e delle istanze referenziali nell’enunciazione orale (dicere, loqui, fari, fateri, fabulari, orare, nuntiarecon relativi composti, aio, inquam, spondere, nuncupare, verba/verbis concipere, nominare, calare, autumare, axare, indigitare, clarigare, negare, negumare, vocificare),in relazione al diverso uso delle modulazioni della voce (queri, clamare, appellare, vocare, ululare, murmurare; (h)eiulare, iubilare, quiritare, da cui italiano gridare, francese crier), in rapporto alla funzione illocutiva e perlocutiva dell’atto linguistico della domanda (quaerere, petere, (inter)rogare, postulare, percontari, flagitare, precari, poscere, venerare/-ari, obsecrare, supplicare), della risposta (respondere, redhostire), de! saluto (salutare, salvere, (h)avere, valere) fino alle diverse modalità e situazioni del silenzio (silere, tacere, favere linguis).
Un certo numero di questi verbi sono delocutivi, derivati, cioè, da una locuzione che costituisce un atto linguistico: salutare è “dire salutem”, salvere è “dire salve”, quiritare è “invocare Quirites”, negare è dire nec ( non)”, (h)eiulare è emettere (h)ei ( un gemito)”, autumare è “dire autem(connettore frastico, donde “argomentare”), ovare è “levare euhoe(grido di esultazione bacchica) e forse anche parentare commemorare invocando parentes”.

LOGONIMI LATINI   (da Ernout-Meillet)

Termini significativi per Marouzeau: pecunia, colo, ager, laetus/laetamen, felix, fecundus, fenus, locuples, frugi, fructus/frumentum, egregius, sincerus, robur, imbecillus, caducusrivalis, peccare, ni-hilum, flocci, nauci, stipulari, inchoare/incohare, stimulare, instigare, maturare, radicitus, impedire/expedire, de-fendere, tribulare, versus, delirare, praeuaricari, putare, legere/legulus, cernere/cribrum, explorare, agmen/ager, examen, iuuencus, propago, saeculum

 


Ecco alcuni link utili esplorati durante la lezione:
http://www.unich.it/filosofia/didattica/aa20072008/online/careri/lezione_03.ppt
http://it.wikipedia.org/wiki/Latino_volgare
http://www.orbilat.com/Languages/Latin_Vulgar/Vocabulary/Appendix_Probi.html

Che è possibile leggere interamente cliccando il seguente link: http://www.pelagus.org/it/libri/TUTTI_I_SONETTI_ROMANESCHI_1,_di_Giuseppe_Gioachino_Belli_13.html

Ecco un link utile esplorato durante la lezione:
http://www.orbilat.com/Encyclopaedia/M/Meyer-Luebke_Wilhelm.html

Per un elenco di dizionari etimologici in varie lingue, romanze e non, si può consultare il link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Dizionario_etimologico , in cui però si riscontrano numerose arbitrarietà.

I cui dizionari etimologici delle lingue greca e latina sono citati nell’elenco stilato sulla pagina di Wikipedia di cui alla nota 2

Durante l’ultima parte della lezione è stata esplorata l’ultima sezione (denominata “Logonimi Latini”) degli appunti online presenti nella pagina della docente, appartenenti all’a.a. 2006-2007, accessibile tramite il link:
http://docenti.unior.it/cvallini/argomenti_latino_2006.doc

Il testo dell’opera è reperibile tramite il seguente link, esplorato durante la lezione:
http://bepi1949.altervista.org/cronica/cronica.html

L’opera è disponibile in formato digitale su Google Libri

Il titolo completo è Storia della Toscana sino al principato con diversi saggi sulle scienze, lettere e arti di Lorenzo Pignotti istoriografo regio, Pisa, co' caratteri di Didot, 1813-1814.

 

 

Fonte: http://cta.iuo.it/HomePages/cvallini/latino_2009.doc

autore non indicato nel documento di origine del testo

 

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