Ugo Foscolo
Ugo Foscolo
Ugo Foscolo
(1778-1827)
Nasce il 26 febbraio 1778 a ZAKINTHOS (Zante).
Nel 1788 dopo la morte del padre si trasferisce a Venezia con la famiglia. Basa la sua formazione su studi letterari classici e moderni, nonché su letture filosofiche e si fa notare come precoce talento poetico.
Giovane molto impulsivo animato da forti sentimenti democratici attira l’attenzione della polizia; per sfuggire ai primi arresti si trasferisce a Milano dove conosce Parini e Monti.
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Nel 1797 si trasferisce a Bologna. Si arruola nella Guardia Nazionale combattendo al fianco di Napoleone e compone l’ode a Bonaparte Liberatore. La firma del trattato di Campoformio con cui Venezia viene ceduta all’Austria, gli apre gli occhi sui limiti della politica napoleonica.
Lavora alla stesura del romanzo autobiografico “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, pubblicato nel 1802, scrive la “Notizia intorno a Didimo Chierico”. Compone le Odi, i Sonetti. In qualità di capitano dell’esercito va in Francia, nel 1806 torna in Italia e compone i Sopolcri, pubblicati nel 1807. Nel 1808 fu nominato professore di eloquenza all’Università di Pavia, dove tenne l’orazione inaugurale “Dell’origine e dell’ufficio della letteratura” ma poche lezioni a causa della soppressione della cattedra.
Nel 1812, dopo vari viaggi, torna a Firenze dove frequenta i salotti della contessa D’Albany. Nel ’13 riceve l’invito dagli austriaci a dirigere un giornale “La biblioteca italiana”. Rifiuta l’opportunità sceglie l’esilio volontario in Svizzera.
Ammalato, poverissimo e materialmente isolato, muore il 10 settembre 1827, in uno squallido sobborgo di Londra, assistito dalla figlia.
FOSCOLO - IL RUOLO DELL’EROE
Ne “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” troviamo il prototipo dell’eroe romantico che soffre e si comporta secondo criteri sentimentali. L’eroe romantico è la novità letteraria dell’800, si contrappone all’eroe classico che combatte per la religione.
Il romanzo è modellato sui “Dolori del giovane Werther” di Wolfgang Goethe. Le affinità sono evidenti: entrambe le opere hanno una struttura epistolare; in entrambe domina il tema di una passione fatale; sia Jacopo che Werther rappresentano il tipo dell’eroe sentimentale e generoso, connotato dal fallimento e dall’isolamento, ma capace di elevarsi al di sopra del mondo. Nel Werther non c’è il tema patriottico che è invece presente in Foscolo unito al tema sentimentale. Werther non deve combattere contro la società ostile, ma soffre per amore. Ortis è un personaggio romantico condannato all’inazione è sradicato dalla realtà crede fermamente nei suoi ideali e per questi pronto a rinunciare a tutto. L’eroe e la società sono collocati su due piani diversi: la società agisce secondo il criterio dell’utile mentre Ortis secondo quello sentimentale.
Jacopo, come Foscolo, subisce la delusione storica dovuta al fallimento degli ideali di patria, di eroismo, di virtù e di amore. Il suicidio rappresenta la protesta di chi con la morte reagisce ad ogni forma di dittatura e alla realtà ostile; non è quindi un gesto di rinuncia e di resa di fronte alle avversità, ma un gesto dimostrativo. Durante il periodo risorgimentale Ortis rappresentò per i giovani patrioti una figura esemplare e anche Mazzini ne risentì l’influsso.
Il suicidio era già stato concepito da Goethe come un sentimento di distruzione appartenente ad alcuni individui che in particolari momenti della vita se ne sentono irrimediabilmente attratti in quanto viene a mancare in loro la capacità di sopportare le sofferenze.
Per Ortis il suicidio non arriva improvviso, ma già dalle prime pagine del romanzo si intravede il suo destino di sconfitta. Ortis non è soltanto un giovane amante infelice, ma un patriota tradito nei suoi ideali. Il suicidio non è provocato solo dalla delusione d’amore, ma anche dalla delusione politica susseguente all’abbandono di Venezia agli austriaci. Ortis, angosciato di fronte allo spettacolo della patria schiava dello straniero, è pessimista sulla natura umana e sulla società in genere.
L’Ortis è quindi il manifesto della ribellione al dispotismo napoleonico ed alla morale dei benpensanti: la ribellione di un giovane intellettuale isolato, che non cerca collaborazione in alcuna classe sociale.
Se si considerano le sue relazioni con gli altri personaggi del romanzo, possiamo dedurre una costante: egli è “innamorato impotente della propria città”. Infatti dal punto di vista politico si vede sottrarre la patria in seguito al trattato di Campoformio e nell’ambito sentimentale gli è sottratta Teresa. Antagonisti dell’eroe-Ortis sono due figure autoritarie, il Signor T*** e Napoleone, dalle caratteristiche ambivalenti, ottimi e crudeli, che il protagonista non può interamente odiare. Solidale è invece la madre, confinata, però, in un ruolo inattivo. L’impossibilità di agire conduce Ortis a rivolgere l’azione contro se stesso, il suicidio.
Nel sonetto A Zacinto , nel quale il poeta sviluppa il tema dell’esilio, canta la patria ideale, esprime il nuovo concetto romantico dell’eroe, grande per la forza e la dignità con cui sa sopportare le ingiurie della sventura, gli oltraggi della vita: la condanna al finito, che si oppone allo slancio infinito dell’io. Nasce la poesia dei “vinti” soccombenti e tuttavia superiori al destino. La sensibilità è quindi romantica: parla di una vicenda dolorosa, Foscolo definisce se stesso in relazione e contrapposizione con Ulisse.
Dal paragone emerge l’eroe romantico che ha il fato avverso e l’eroe classico che ha il destino amico. Omero cantò l’esilio di Ulisse e il suo ritorno, Foscolo canta invece il suo esilio e il suo non ritorno.
Nel carme “Dei Sepolcri” Foscolo riflette sul tema della tomba. Rendere le tombe tutte uguali sembrava al poeta un’offfesa ai meriti. Da un lato dice che non è importante la tomba, ma poi si accorge che anche nella morte gli uomini forti devono essere ricordati: ci sono degli uomini che combattono per affermare dei valori.
Quindi la tomba serve per conservare il ricordo degli uomini forti che costituisce un esempio per i posteri. Anche quando la tomba sarà distrutta, resteranno le azioni degli uomini esaltate dalla poesia. Foscolo capisce che la storia ha un suo divenire, va verso la civiltà grazie agli uomini meritevoli per il loro contributo nella società.
La tomba non ha solo un valore privato, ma è importante per un popolo come esempio di civiltà: suscita i sentimenti migliori.
Le tombe dei grandi incitano a emulare le imprese, ad affermare nel mondo quegli ideali di verità, bellezza, libertà, giustizia per i quali essi lottarono. Ogni popolo trova nelle tombe dei propri uomini illustri l’espressione più alta delle proprie tradizioni, della propria civiltà e un incitamento a continuarle.
Questo carme è sorretto da uno spirito energico e attivo di rivalsa, da uno spirito non domato, in virtù del quale il poeta è tratto a rivolgersi con commozione e fiducia alle glorie del passato, traendo da esse speranza per l’avvenire e travalicando così le angustie e le miserie dell’età contemporanea.
La successiva incarnazione di Foscolo è quella di Didimo Chierico, che rappresenta il poeta negli anni maturi, quando capisce che l’arte aiuta a vivere. Didimo più che vivere discorre e sentenzia sul mondo, sugli uomini, sulla letteratura.
Lo stile non ha più l’accento passionale dell’Ortis, ma è pacato, condensato in massime venate d’umorismo.
Didimo è lontano dagli eroici e appassionanti furori ortisiani. E’ l’Ortis che si rivela più disingannato che rinsavito. Foscolo attribuisce a questo personaggio il carattere di colui che tiene nascoste le passioni o le lascia appena trasparire come “calore di fiamma lontana”.
Con Jacopo e Didimo il poeta fissò due esempi di comportamento
LE PRINCIPALI OPERE
EDIPPO (1795-96) E’ la prima tragedia che sarà ritrovata e pubblicata nel 1979 nell’archivio di Silvio Pellico e attendibilmente attribuita a Foscolo.
TIESTE (1797) E’ da considerarsi un’opera giovanile di ispirazione alfieriana in cui la figura del protagonista è stata irrimediabilmente colpita negli affetti e nell’amor di patria.
A BONAPARTE LIBERATORE (1797) E’ un’ode dedicata a Napoleone, personaggio da lui stimato particolarmente, che mette in evidenza spiriti di libertà.
A LUIGIA PALLAVICINI CADUTA DA CAVALLO (1800) Tale ode è stata pubblicata nel 1802 insieme ad 8 sonetti nel “Nuovo giornale dei letterati” di Pisa. E’ un inno alla bellezza e alla leggiadria di ascendenza pariniana e montiana, ricca di quadri mitologici dove spicca la poetica del “sublime”.
ALL’AMICA RISANATA (1802) E’ un’ode dedicata ad Antonietta Fagnani Arese. La celebrazione della bellezza consolatrice si trasforma in esaltazione della poesia eternatrice.
ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS (1802) E’ un romanzo epistolare, la vicenda è una duplice tragedia: è privata perché descrive un amore irrealizzabile ed è pubblica per la patria venduta. Infatti il protagonista è un esiliato innamorato e corrisposto da Teresa la quale si sposa con Odoardo provocando il suicidio di Ortis.
POESIE (1803) E’ un volume che comprende dodici sonetti e le due odi, già pubblicate precedentemente, che erano considerate da Foscolo stesso quanto di meglio avesse composto fino a quel momento.
DEI SEPOLCRI (1806-07) E’ un carme che vuole dimostrare che i sepolcri sono utili dal punto di vista affettivo, civile e simbolico. All’inizio si precisa l’inutilità delle tombe per chi ascolta la voce della ragione, ma l’autore afferma che agli spiriti magnanimi “l’urne de’ forti” ispirano azioni generose.
DELL’ORIGINE E DELL’UFFICIO DELLA LETTERATURA (1809) E’ uno scritto di critica letteraria tra i più mediati e impegnativi dove Foscolo prende in considerazione la natura del linguaggio, l’uso sociale della parola, la funzione etico-politica che i letterati possono svolgere, il problema del pubblico medio-borghese a cui dovrebbe indirizzarsi una intelligente produzione narrativa.
AJACE (1811) Tragedia di argomento classico che identifica Napoleone col personaggio di Agamennone, esprime allusioni antifrancesi.
LE GRAZIE (1812-13) E’ un inno con una serie di frammenti lirici che celebrano il mondo ideale e sereno dell’armonia, dell’arte e della bellezza in contrasto con lo squallore e la crudeltà della storia.
RICCIARDA (1812-13) E’ l’ultima tragedia che in un primo momento fu censurata e successivamente rappresentata a Bologna dove riscosse un certo successo.
NOTIZIE INTORNO A DIDIMO CHIERICO (1812-13) Fu premessa alla produzione del “Viaggio sentimentale di Yorik” di Laurence Sterne e descrive un personaggio autobiografico, sereno, pacato, ironico e distaccato che rappresenta l’altra faccia del “romantico” e cupo Foscolo-Jacopo Ortis.
LA POETICA
Foscolo assegnava alla poesia il compito di eternare e tramandare nei secoli il ricordo dei più alti valori umani. La poesia è creatrice di valori, di nuovi ideali e di civiltà; si ispira alla realtà e tende ad intensificare la vita.
Nell’orazione sul tema “Dell’origine e dell’ufficio della letteratura” Foscolo si preoccupa di scoprire la funzione etico-politica che spetta ai letterati. Dal discorso emerge una funzione dell’arte piuttosto contemplativa che non combattiva.Foscolo sostiene perciò:
“Ufficio dunque delle arti letterarie dev’essere e di rianimare il sentimento e l’uso delle passioni, e di abbellire le opinioni giovevoli alla civile concordia, e di snudare con generoso coraggio l’abuso e la deformità di tante altre che, adulando l’arbitrio de’ pochi o la licenza della moltitudine, roderebbero i nodi sociali e abbandonerebbero gli Stati al terror del carnefice, alla congiura degli arditi, alle gare cruente degli ambiziosi e alla invasione degli stranieri”.
Il letterato deve quindi smorzare le passioni al fine di raggiungere l’equilibrio tra potenti e deboli.
Il poeta parte da premesse sensistiche e materialistiche, che culminano nella constatazione del nulla eterno e dell’impossibilità per l’uomo di conoscere la realtà delle cose, il perché dell’esistenza. Assume importanza il ruolo delle illusioni, di quei valori (patria, bellezza, amore, gloria, affetti familiari) che hanno una funzione consolatrice.
Foscolo attribuisce alla poesia la facoltà di “creare” miti: in virtù della poesia l’uomo “tenta di mirare oltre il velo che ravvolge il creato(…) crea le deità del bello, del vero, del giusto e le adora”.
L’autore si inserisce in un’atmosfera densa di cambiamenti politici e culturali. Registra in se stesso la crisi dell’illuminismo, dovuta alla delusione storica e al fallimento della ragione, e anticipa le tematiche romantiche.
Foscolo, a differenza degli illuministi, non concepisce il ruolo dell’intellettuale come quello dello “scienziato” che mette al servizio della società il proprio bagaglio culturale. Egli ritiene infatti che compito dell’intellettuale è quello di rappresentare la coscienza collettiva in quanto il pensiero scientifico e razionale non rispecchia l’animo umano.
La poesia può solamente esaltare i grandi valori della civiltà, ma non può riscattarla: Foscolo ha una visione negativa della storia in cui prevalgono le iniquità dei rapporti sociali e con la poesia tenta di sovrapporsi a questi valori.
Rappresenta il nuovo modello di intellettuale che concepisce il lavoro letterario come impegno politico ed analizza la realtà con l’illusione di poterla cambiare.
Fonte: http://www.storiadilioni.it/angolo%20dello%20studente/TEMI%20SVOLTI/UGO%20FOSCOLO.doc
Ugo Foscolo
Poeta e scrittore italiano (Zante, 1778 - Turnham Green, presso Londra, 1827).
Foscolo nasce nell'isola greca di Zante (già Zacinto), allora possedimento della Repubblica di Venezia, da un medico di bordo d'antica famiglia veneziana e da madre greca di modeste origini. Battezzato col nome di Niccolò, cui egli aggiunge dal 1797 e poi sostituisce, quello di Ugo, compie a Spalato i primi studi. Nel 1792 raggiunge la madre a Venezia, dove essa si è trasferita dopo essere rimasta vedova e che il poeta considererà sempre come la sua vera patria, nonostante il vivo attaccamento all'isola dell'infanzia.
Formazione classica e sensibilità romantica nel giovane Foscolo
I primi anni veneziani sono decisivi per la formazione culturale del Foscolo che acquisisce fra il 1793 e il 1797 una notevole padronanza delle lingue antiche e moderne, della cultura classica e delle nuove idee illuministiche, grazie alle vastissime letture personali testimoniate dal Piano di studi del 1796 e alla frequentazione della vicina università di Padova, dove segue le lezioni del sacerdote Melchiorre Cesarotti.
Illuminista moderato, insegnante di greco e di ebraico, il Cesarotti concorre inoltre, soprattutto con la traduzione dei Canti di Ossian, al diffondersi in Italia del gusto e dei modelli stilistici dei preromantici, destinati a esercitare una profonda influenza sul giovane Foscolo il cui temperamento esuberante e passionale trova contemporaneamente espressione nella relazione amorosa con la dama letterata Isabella Teotochi Albrizzi e in una sempre più coinvolgente partecipazione alle vicende politiche.
Modelli e grandiosità neoclassiche si intrecciano a enfatiche accensioni sentimentali già nelle prime opere in cui rivela la sua precoce vocazione poetica, dalla raccolta del 1794, apparsa postuma nel 1831, alla tragedia Tieste, rappresentata nel gennaio del 1797. In essa si manifesta inoltre quell'adesione alle idee giacobine, alimentata dalla lettura di Locke, Montesquieu, Rousseau, che lo mette in contrasto col regime oligarchico dominante a Venezia costringendolo in aprile ad abbandonare la città e a rifugiarsi nella Repubblica Cispadana, dove si arruola fra i cacciatori a cavallo dell'esercito napoleonico.
Il bonapartismo
La speranza di trasformare Venezia in una repubblica democratica grazie all'intervento francese anima il sonetto A Venezia, le odi A Bonaparte liberatore e Ai novelli repubblicani, i versi sciolti Al Sole, tutti composti nello stesso anno. Se per un verso queste posizioni si ricollegano al libertarismo alfieriano, tentando di superarne il limite individualistico e di dargli concreto sbocco politico, d'altra parte preannunciano quel moderatismo realistico che verrà in evidenza nel Foscolo maturo e che lo porterà a restare sempre fautore del regime napoleonico. Al pari di molti patrioti italiani dell'epoca, nota il De Ruggiero, Foscolo si mostra meglio disposto «ad apprezzare la libertà civile che non quella politica» e finisce così col professare «un liberalismo che ha per vertice la dittatura».
Il bonapartismo stesso è tuttavia vissuto da Foscolo in modo critico e contraddittorio, con frequenti oscillazioni fra impennate indipendentiste e diretta partecipazione alle imprese militari del Bonaparte. Causa di particolare delusione e amarezza è il trattato di Campoformio dell'ottobre 1797 con cui Napoleone cede all'Austria Venezia e che costringe nuovamente all'esilio il poeta, rientrato nella città dopo la caduta del regime oligarchico.
Ma questo avvenimento non provoca una sostanziale modifica del suo orientamento politico. Stabilitosi a Milano, dove conosce alla fine del 1797 Parini e diventa amico di Monti, Foscolo inizia una vivace collaborazione con la rivista liberale il Monitore italiano, proseguita l'anno successivo a Bologna attraverso il Monitore bolognese e il Genio democratico, e torna a combattere con l'esercito napoleonico nell'aprile 1799 contro la coalizione austrorussa. Dopo essere stato ferito a Cento e aver preso parte alla difesa di Genova, dove ristampa l'ode A Bonaparte liberatore, egli svolge per conto del governo napoleonico alcune missioni diplomatiche e compone nel 1802 l'Orazione a Bonaparte, in cui lo invita a unificare l'Italia. Essa evidenzia il significato e i limiti del liberalismo foscoliano, particolarmente là dove scrive: «E col popolo tutto io chiamo libertà il non avere (tranne Bonaparte) niun magistrato che Italiano non sia, niun capitano che non sia cittadino».
A questa intensa attività politica s'intrecciano intanto nuove relazioni amorose con Isabella Roncioni e Antonietta Fagnani Arese e un'altrettanto instancabile attività letteraria. Contrassegnata da materiali importanti nel quadro della formazione letteraria del Foscolo, come il romanzo autobiografico incompiuto Sesto tomo dell'Io o le lettere ad Antonietta Fagnani Arese poi confluite nel vastissimo Epistolario, essa culmina con la pubblicazione nel 1802 del romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis iniziato nel 1797, apparso una prima volta l'anno seguente e poi ripetutamente rivisto.
Le «Ultime lettere di Jacopo Ortis»
L'Ortis si colloca non a caso nel filone del romanzo epistolare, ossia del genere settecentesco che più aveva dato spazio a un autobiografismo e a un'analisi dei sentimenti già di gusto romantico. Il riferimento autobiografico è trasparente sia nell'intreccio sia nell'ispirazione dell'opera, influenzata da modelli famosi nel genere come La Nuova Eloisa di Rousseau o I dolori del giovane Werther di Goethe.
Attraverso la finzione delle lettere inviate dal giovane patriota Jacopo all'amico Lorenzo vengono narrate le disavventure politiche e amorose del protagonista, costretto a fuggire da Venezia dopo il trattato di Campoformio e isolatosi nei suoi nativi Colli Euganei. Qui s'innamora di Teresa, giovane figlia d'un conte che è però già promessa a Odoardo. Non potendo offrirle di dividere la sua sorte di profugo, Jacopo si rimette in viaggio per l'Italia traendo nuovo motivo di sconforto dallo spettacolo di sottomissione e oppressione che gli si presenta in tutta la penisola. Dopo aver vanamente cercato di avvicinare Alfieri, aver incontrato Parini e aver visitato le tombe dei grandi italiani in Santa Croce, Jacopo torna sui Colli Euganei dove apprende che Teresa ha sposato Odoardo e si uccide.
In questo atto, come nota Binni, si esprime la suprema protesta del Foscolo «contro una realtà troppo diversa dai suoi ideali e dal suo bisogno di vita alta e virile». Ma il romanzo, come nota sempre Binni, ci fa anche assistere allo «sdoppiamento fra autore e personaggio, tra il Foscolo collaboratore-critico del potere napoleonico e l'Ortis intellettuale disperato e suicida». Al personaggio il poeta assegna il compito di esprimere quel pessimismo esistenziale, quel sentire tormentoso e romantico, quel subitaneo trapasso dall'entusiasmo alla disperazione e quella disillusione politica cui seguitano a opporsi l'adesione intellettuale del Foscolo alla filosofia meccanicistica settecentesca e agli ideali giacobini. Questo contrasto si riflette anche nel modo complesso e contraddittorio di sentire la morte, che tanta parte avrà nella successiva poesia foscoliana: da un lato «fatal quiete» che pone fine ai travagli dell'esistenza e da cui l'autore si rivela romanticamente attratto anche nel successivo sonetto Alla sera; dall'altro ricordo e simbolo attraverso i sepolcri degli uomini illustri, di vite intensamente vissute che «A egregie cose il forte animo accendono», come avrà a esprimersi nei Sepolcri.
Le «Odi» e i «Sonetti»
Proprio il tentativo di armonizzare idee o modi di sentire così contrastanti anima la produzione poetica immediatamente successiva, dalla traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco (1803), alle Poesie pubblicate lo stesso anno. Esse comprendono due famose odi (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All'amica risanata) e dodici sonetti gli ultimi dei quali (In morte del fratello Giovanni, A Zacinto, Alla sera) sono fra le più alte espressioni della lirica italiana.
A differenza dei primi, anteriori al 1802 e maturati nel clima stesso del romanzo, gli ultimi sonetti rivelano un più maturo equilibrio che porta il poeta a trasfigurare la vicenda autobiografica fino a farne motivo di una meditazione intensa e di una rappresentazione pacata, squisitamente classica nella forma. Una visione più armoniosa e rasserenata esprimono anche le due odi che, in uno stile apertamente neoclassico, elegante e lieve, propongono un altro motivo centrale della successiva poetica foscoliana, quello dell'«aurea beltade» unico «ristoro» concesso agli uomini dal destino.
Si tratta tuttavia di una bellezza «non più decorativa come per gli scrittori neoclassici, ma già romanticamente identificata con la stessa coerenza del comportamento morale e politico» (Bonfiglioli).
La bellezza come i sepolcri, come la poesia stessa, ha valore in quanto simbolo e mito capace di suscitare nobili sentimenti e di stimolare ad azioni generose.
Comincia così a delinearsi quella religione delle «illusioni» (i sepolcri la bellezza, la poesia), come tali criticamente giudicate dalla ragione illuminista ma tuttavia accolte dal poeta come i soli valori capaci di consolare l'uomo e di conferire senso alla sua travagliata esistenza.
I «Sepolcri»
A questa visione si accompagna nel Foscolo una considerazione più distaccata della vicenda politica, di cui pure seguita a essere attivo protagonista nonostante i crescenti dissensi col governo francese in Italia.
Determinati soprattutto da una mai sopita aspirazione indipendentista che alimenta i sospetti delle autorità, essi spingono infine il poeta a lasciare nel 1804 la penisola per recarsi come ufficiale napoleonico nella Francia del nord, dove si sta preparando una spedizione contro l'Inghilterra. Qui Foscolo ha la relazione con l'inglese Fanny Emerytt da cui nascerà la figlia Floriana e comincia a tradurre il Viaggio sentimentale di Laurence Sterne.
Nel marzo 1806, sfumato il progetto napoleonico, ritorna a Milano. Ma nel frattempo la trasformazione della Repubblica Italiana in Regno d'Italia (1805) con la diretta assunzione della corona da parte di Napoleone, che governa tramite il viceré Eugenio di Beauharnais, rende sempre più stretta la dipendenza dai Francesi accentuando il disagio del Foscolo nei confronti del regime.
Poco dopo, viene esteso al Regno d'Italia (5 settembre 1806) l'editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per vietare la sepoltura fuori dei cimiteri comuni e l'uso dei monumenti funebri. È questo il motivo occasionale che spinge Foscolo a scrivere il carme Dei Sepolcri, originariamente pensato come epistola in versi all'amico Ippolito Pindemonte, cui è diretto.
Alimentato da motivi comuni a tutta la poesia sepolcrale inglese, e dalla riflessione foscoliana sulla morte, quale si era sviluppata dall'Ortis ai sonetti, il poema rappresenta il momento di più alto e felice equilibrio raggiunto dalla lirica foscoliana fondendo razionalità illuministica, forma classica e nuova sensibilità romantica. Al centro del carme vi è la meditazione sull'esistenza umana che è sì perenne fluire, travolto dalla «forza operosa» del tempo secondo una concezione materialistica mai rinnegata dal poeta, ma che può attingere un superiore significato ove si stabilisca un ideale legame fra i vivi e i morti.
Il culto delle tombe, inutile ai defunti e che l'editto napoleonico vorrebbe eliminare sostituendovi le fosse comuni, diventa così essenziale ai viventi in quanto perpetua il ricordo degli illustri trapassati stimolando a rinnovarne le imprese e realizza quella continuità fra le generazioni e fra le stirpi che rappresenta a parere di Foscolo l'unica forma possibile d'immortalità.
In questo modo i sepolcri vengono ad avere una funzione simbolica e mitica, rasserenante e consolatoria, ma anche quella più immediatamente politica di incitare alla lotta per la libertà sull'esempio dei grandi. Proprio su questo ruolo fondamentale dei sepolcri nella storia di una nazione si sofferma la parte centrale del carme, traendone spunto per incitare alla liberazione e all'unificazione d'Italia.
Questo auspicio d altra parte offre spunto per un confronto con l'eroica lotta dei Greci contro i Persiani a Maratona o con la sfortunata difesa di Troia da parte di Ettore, riportando a riflessioni di significato più universale. Attraverso la figura di Ettore, cantato da Omero, il poeta esalta insieme all'eroismo sfortunato e al patriottismo la funzione eternatrice della poesia che, vincendo «di mille secoli il silenzio», ne immortala il ricordo finché il sole «risplenderà sulle sciagure umane».
Nella celebrazione dei sepolcri , inutili solo ai vili e ai mediocri che non lasciano «eredità d'affetti», si fondono così meditazione filosofica, potente lirismo e passione civile, eloquenza e poesia. Qui si saldano, come non accadrà più nelle opere successive, la forte tensione politica a lungo dominante nel Foscolo, e la tendenza più tardi prevalente a rifugiarsi in una dimensione atemporale trascendente la storia, in una sorta di religione delle «illusioni» seppure tutta laica e terrena.
Dalle «Lezioni sulla letteratura» alle «Grazie»
Tale equilibrio si rompe invece o vien meno nell'ultimo Foscolo, parallelamente al suo definitivo abbandono del giacobinismo giovanile.
Sia l'influenza delle letture preferite nella maturità, da Vico a Hobbes a Machiavelli, agli «ideologhi» francesi, sia la deludente esperienza del nuovo ordine napoleonico, cui resta tuttavia complessivamente legato, inclinano sempre più Foscolo verso un realismo politico che considera le speranze rivoluzionarie come vuote utopie. Alla tesi di Rousseau secondo cui l'uomo deve recuperare la libertà dello stato di natura mettendo fine alle diseguaglianze della società civile, egli oppone che la disegualianza è una condizione ineliminabile, determinata dalle stesse leggi della natura. La società è congenitamente un «aggregato di pochi, che comandano per mezzo della spada e delle opinioni, e di molti che servono». L'intellettuale, visto da Foscolo come portatore di verità sulla base di una concezione sostanzialmente aristocratica della letteratura, non può «pigliare tutte le parti degli uni senza offendere le ragioni degli altri» ma deve tendere piuttosto a farsi mediatore fra il potere e il popolo, che seguita a essere considerato con distacco.
Queste posizioni, già implicite nel bonapartismo del Foscolo, si precisano soprattutto dal 1809 quando egli ottiene la cattedra di eloquenza all'università di Pavia, particolarmente nelle sue Lezioni su la letteratura e la lingua (1809-11) introdotte dalla celebre orazione inaugurale Dell'origine e dell'ufficio della letteratura (22 gennaio 1809).
Poco dopo, la cattedra viene soppressa dalle autorità francesi che nel 1811 vietano anche le repliche della seconda tragedia foscoliana, l'Aiace, velatamente antinapoleonica, e tolgono al poeta l'incarico di revisore dei testi teatrali. Questi fatti, insieme alla clamorosa rottura con Monti contro cui scrive Ragguaglio dell'Accademia de' Pitagorici (1810), decidono il Foscolo a lasciare il Regno d'Italia per recarsi a Firenze dove conosce un periodo di relativa tranquillità, ha una relazione con Quirina Mocenni e attende alla stesura delle sue ultime opere importanti: la terza tragedia (Ricciarda), la traduzione assai libera e originale del Viaggio sentimentale di Sterne, pubblicata con la Notizia intorno a Didimo Chierico d'intonazione autobiografica, le parti fondamentali delle Grazie.
Ripreso anche in seguito, ma mai concluso, questo poemetto segna l'aperta adesione del Foscolo ai canoni neoclassici. Attraverso una ricerca formale che approda a risultati di grande raffinatezza si esprime ormai una concezione elitaria della poesia, che a tratti raggiunge ancora risultati di alto lirismo ma «in un dominio privato e non in senso civile» (Salinari). La funzione civilizzatrice avuta dalla poesia nel corso della storia è il tema stesso dei tre inni solo parzialmente svolti in cui si articola il poema e ne sottolinea il carattere didascalico. Nel primo, dedicato a Venere, si canta la nascita delle Grazie che accompagna i primi progressi della civiltà. Nel secondo, dedicato a Vesta, s'immagina di innalzare alle Grazie un altare sul colle Florentino di Bellosguardo e si chiamano a celebrarne il culto tre donne amate dal poeta. Nel terzo, dedicato a Pallade, si celebra con versi che sono fra i più belli di tutta l'opera il velo tessuto per proteggere le Grazie dalle passioni umane e rendere così possibile la loro azione nel mondo.
Il periodo londinese
Al tentativo del poeta di rifugiarsi in una distaccata lontananza dalle travagliate vicende quotidiane si oppone tuttavia il precipitare degli avvenimenti politici e il crollo dell'impero dopo la sconfitta dell'esercito napoleonico nel 1813 a Lipsia.
Foscolo ritorna a Milano per partecipare alla difesa del Regno d'Italia contro gli Austriaci. Successivamente valuta la possibilità di collaborare da posizioni critiche col nuovo regime, che cerca di assicurarsene i servigi offrendogli la direzione della rivista Biblioteca italiana. Ma nel 1815, quando si pone concretamente la necessità di prestare giuramento di fedeltà all'Austria, Foscolo rompe ogni indugio e fugge da Milano riprendendo definitivamente la via dell'esilio.
Dalla Svizzera, dove pubblica nel 1816 una nuova edizione dell'Ortis e la satira in prosa latina Ipercalisse, passa a Londra, dove resterà fino alla morte. Qui viene accolto con simpatia dai liberali inglesi e ritrova, in circostanze fortunose, la figlia Floriana che gli rimarrà affettuosamente legata per tutta la vita. Ma presto i suoi comportamenti improntati a scontrosa intolleranza ne provocano l'isolamento, mentre le difficili condizioni economiche lo costringono a un duro lavoro in campo editoriale e giornalistico che concorre a logorarlo fisicamente e ad aggravare le sue condizioni di salute, rese precarie dall'idropisia. Nonostante ciò il Foscolo continua a svolgere un'intensa attività intellettuale, curando la quarta edizione dell'Ortis (1817), tentando di riprendere il poemetto le Grazie e producendo soprattutto importanti opere di critica letteraria come il Saggio sullo stato della letteratura italiana nel primo ventennio del secolo decimono ( 1818), i Saggi su Petrarca (1821), il Discorso sul testo della Divina Commedia e il Discorso storico sul testo del Decamerone, entrambi del 1825. Si tratta di contributi che innovano profondamente la critica italiana, rompendo con la tradizione settecentesca. Egli continua inoltre a seguire con lucida attenzione le vicende italiane, offrendoci un'analisi dell'esperienza giornalistica italiana che resta fra le più penetranti e intervenendo attivamente nella polemica fra «romantici» e «classici», a favore di questi ultimi.
Ma la sua vita è resa sempre più gravosa dalla malattia e dai disagi economici. Dilapidato il piccolo patrimonio della figlia è costretto a nascondersi nei più squallidi quartieri londinesi per sfuggire ai creditori, che lo fanno imprigionare nel 1824. Scarcerato ma ridotto in miseria deve adattarsi a vivere nel piccolo villaggio di Turnham Green, dove muore il 27 settembre 1827 a soli 49 anni.
Nel 1870, per decisione del governo italiano, i suoi resti vengono trasferiti a Firenze, nella chiesa di Santa Croce a lui tanto cara.
La collocazione di Foscolo fra classici e romantici
Concordemente ritenuto uno dei massimi poeti italiani, Foscolo resta tuttavia figura di non facile collocazione nel quadro della storia letteraria.
Per numerosi aspetti egli anticipa il romanticismo e di una sensibilità romantica è testimonianza la stessa rottura che in lui si opera rispetto alla figura del letterato tradizionale, con una stretta associazione fra vita e opera, produzione poetica e impegno politico.
Ma è contemporaneamente necessario sottolineare i persistenti legami con una concezione aristocratica di derivazione settecentesca sia in campo letterario sia politico. È da rilevare, soprattutto, come la sua tensione civile, «crucciosamente chiusa in se stessa», tradisca i limiti propri anche al «distacco e disprezzo» alferiano verso «la plebe» (Timpanaro), mentre il suo modo di intendere la poesia, segnatamente nelle Grazie, sembra rappresentare piuttosto il punto d'arrivo e la più alta sintesi del classicismo settecentesco che non un superamento di esso. Tale classicismo anzi, in quanto viene distaccandosi dai problemi politico-sociali per farsi celebrazione «della poesia consolatrice, in un mondo storico considerato ormai irrecuperabile alla bellezza e alla magnanimità» (Carretti), si allontana dallo stesso neoclassicismo illuministico ricollegandosi a quello accademico e riproponendo, come scrive Asor Rosa, «una poesia di tipo sublime (vecchia idea della retorica classicista italiana». Anche la polemica condotta da Foscolo contro i romantici durante il suo periodo londinese «consiste fondamentalmente in una rivendi( azione della poesia pura» (Timpanaro) .
Questo è uno dei motivi che possono spiegare la limitata influenza esercitata dal Foscolo sulla letteratura italiana dell'Ottocento e sugli scrittori romantici, «convinti che l'arte dovesse tener conto in primo luogo della società com'era» e «abbassarsi fino al livello di comprensione, di gusto e di predominanti idealità del pubblico contemporaneo» (Asor Rosa).
Ma un altro motivo è senza dubbio da vedere, all'opposto, nell'adesione del Foscolo al meccanicismo illuminista e nel suo conseguente fastidio per il moralismo cattolico dei romantici lombardi. Anche quando sfocia nella «religione delle illusioni» la sua poesia resta tenacemente laica rifuggendo da ogni apertura a quella visione religiosa e cristiana della vita che sostanzia invece gran parte del romanticismo italiano, da Pellico a Settembrini o a Manzoni. Da questo punto di vista gli è piuttosto accostabile Leopardi, che analogamente inscrive il suo profondo pessimismo esistenziale entro una visione laica e materialistica pervenendo tuttavia, attraverso un maggior approfondimento ideologico, a rifiutare il culto della poesia, al contrario di Foscolo.
Fonte: http://www.studenti.it/download/scuole_medie/Ugo%20Foscolo.doc
Ugo Foscolo
UGO FOSCOLO
La vita e la personalità
La vita e l’opera di Ugo Foscolo si svolgono all’insegna della contraddizione: dentro la vita, dentro l’opera, tra l’una e l’altra. Foscolo è infatti caratterizzato da una personalità contraddittoria, divisa tra razionalità e irrazionalità. La produzione poetica da lui approvata è assai ridotta: un carme, due odi e dodici sonetti. Con lui abbiamo una nuova condizione dell’intellettuale: Foscolo diventa scrittore di professione, vive cioè grazie al suo lavoro. Nonostante ciò Foscolo resta tuttavia un letterato sostanzialmente tradizionale (per formazione, cultura, ideologia, aspirazioni). Egli conserva un margine di non vendibilità, così che l’intellettuale conserva (o crede di conservare) u margine di indipendenza e di autenticità assolute.
Ugo Foscolo nasce il 6 febbraio 1778 a Zante, un’isola dello Ionio allora appartenente alla Repubblica Veneta. In realtà il suo nome di battesimo era Nicolò, ma lui lo volle cambiare. L’origine greca della madre influì sul gusto classico di Foscolo. L’infanzia passa a Spalato, Zante (dalla zia) e a Venezia (dalla madre). Durante l’adolescenza ha la prima formazione culturale e le prime prove letterarie, che sviluppano già un attaccamento al gusto classico.
Egli si impegna anche nel campo politico in favore della causa della Francia rivoluzionaria dopo la discesa di Napoleone in Italia (’96) e per questo deve lasciare la città di Venezia. Ma la cessione di Venezia agli Austriaci con il Trattato di Campoformio è la grande delusione della vita di Foscolo, le cui posizioni ideologiche – politiche piegano sempre più verso il pessimismo. Si sposta poi a Milano (amicizia con Vincenzo Monti) e poi a Bologna, dove inizia la stampa delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Partecipa attivamente anche alla difesa della Repubblica Cisalpina, diventando anche comandante. Nel frattempo, scrive odi a persone da lui amate (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All’amica risanata), ultima le Ultime lettere di Jacopo Ortis e, tra il 1802 e 1803, pubblica varie edizioni delle poesie: dodici sonetti e due odi. Poi si sposta in Francia, dove da una relazione con una profuga inglese (Sophia Hamilton) nasce sua figlia Mary, chiamata poi dal poeta Floriana. Nel 1806 ritorna in Italia, ma il suo atteggiamento franco e risoluto, quando non spavaldo e litigioso, verso i francesi e i letterati più affermati gli procura un numero sempre maggiore di nemici (tra cui lo stesso Monti); Foscolo passa da una polemica all’altra, alternando i toni della satira a quelli delle accuse dirette. successivamente si trasferisce a Firenze (dove scrive Le Grazie). Il Regno Italico passa poi sotto il dominio austriaco, e non volendo giurare fedeltà al nuovo potere, fugge in esilio (30 marzo 1815). Va in Svizzera, Germania ed infine in Inghilterra, dove si apre l’ultima fase dell’esistenza foscoliana, segnata da incalzante miseria e da frustrazioni e amarezze. Vengono in luce i due aspetti della personalità foscoliana: l’alacrità del lavoro, la dignità della vita, il rispetto dei propri ideali da un lato; la ricerca di lusso e la prodigalità, il temperamento polemico, la passionalità incoerente e rovinosa dall’altro. Dal settembre 1816 fissa la sua residenza a Londra, dove nonostante l’instancabile attività di scrittore vive in miseria (in carcere per debiti) e con una saluta che peggiora sempre più, e soccorso anche dalla figlia Floriana (trasferitosi da lui nel 1821) Foscolo muore di idropisia il 10 settembre 1827. Sepolto prima al cimitero di Chiswick, iresti di Foscolo vennero trasportati nel ‘71 in Santa Croce a Firenze, accanto a quelli di altri grandi italiani.
Le idee: letteratura e società
Dall’Illuminismo Foscolo deriva una visione laica e immanente della storia e della società, nonché una solida prospettiva materialistica. Ma se l’Illuminismo concepiva l’intellettuale come uno “scienziato” al servizio della società, Foscolo lo vede non come un operatore sociale ma una coscienza collettiva.
Il giovane Foscolo assegna alla natura primitiva il valore più alto, e non all’intervento tecnico e scientifico della civiltà. Si arriva così ad una radicalità ideologica che sfocia nella tensione distruttiva dell’Ortis; egli rifiuta il progresso scientifico. Egli ha una concezione pessimistica della storia e da alla poesia una funzione molto importante: universalizzare i valori parziali della classe dirigente e legittimarne il dominio umanisticamente; la poesia deve essere interprete dei valori nobili e deve avere la forza capace di renderli, da parziali, ad universali. tuttavia a Foscolo i ceti dominanti gli risultarono inadeguati a questa funzione di trasformare i valori particolari in valori generali. Per questo fu aspra la sua critica verso il potere reale e verso la poesia in ascesa. Per lui la letteratura non deve essere una successione più o meno casuale di episodi, valutabili sulla base di questa o quella retorica o poetica; e diventa un fenomeno calato nelle diverse condizioni storiche e nelle diverse esperienze umane e culturali: giudicabile perciò solamente attraverso l’attenzione a tali dati.
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis, ovvero il mito della giovinezza
La composizione impegnò a lungo l’autore: tra i primi abbozzi e l’edizione definitiva corrono oltre vent’anni. Ciò spiega anche alcune disuguaglianze di ispirazione e di registro.
La prima edizione uscì verso la fine del ’98 a Bologna, ed era formata da 45 lettere. L’impegno militare costrinse Foscolo a interrompere la stesura, completata a sua insaputa da Angelo Sassoli per interessamento dell’editore. Successivamente uscirono varie edizioni, con la definitiva uscita nel 1817 a Londra.
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis sono costituite da una raccolta ordinata delle lettere indirizzate da Jacopo all’amico Lorenzo Alderani fra l’11 ottobre 1797 e il 25 marzo 1799; vi sono anche alcune lettere indirizzate all’amata Teresa e ad altri. Lorenzo presenta le lettere con tenui interventi di cerniera fra il mittente e il lettore, assumendo fra l’altro la funzione di narrare ciò che Jacopo non avrebbe evidentemente potuto, il suicidio. La vicenda prende inizio con il Trattato di Campoformio, e quindi da una delusione politica causata dal suo attaccamento a Napoleone. Jacopo fugge così sui Colli Euganei, dove si innamora di Teresa e ne riamato. Il padre di lei vuole però darla in moglie al mediocre ma ricco Odoardo, e Teresa è ferma nell’obbedienza. Jacopo allora si allontana da Teresa viaggiando per l’Italia, le cui tappe più importanti furono Milano e Ventimiglia. Tornando ai Colli Euganei, dopo aver appreso delle avvenute nozze di Teresa, la incontra per l’ultima volta strappandole un bacio; quindi si pugnala al cuore.
Il romanzo rimanda ai grandi modelli europei di romanzo epistolare, dalla Nouvelle Héloise di Rousseau al Werther di Goethe, e soprattutto al secondo per quanto riguarda la vicenda. Ma Foscolo da anche un taglio autobiografico all’Ortis, proiettando il proprio carattere impetuoso e passionale, nonché le proprie specifiche esperienze, politiche e sentimentali, al personaggio principale. Nell’Ortis è venuta meno ogni fiducia positiva nei valori civili e nella storia, vista come territorio dominato dal caso e dall’irrazionalità. Sui valori che il protagonista persegue ostinatamente grava senza scampo il senso della vanità e la mancanza di significato. soprattutto per il taglio molto soggettivo del racconto possiamo dare al testo una lettura preromantica, anche se sono molti gli elementi di distacco di Foscolo dal Romanticismo (su tutti rifiuto dei miti della Provvidenza e del progresso). Nel suicidio Jacopo brucia definitivamente gli ultimi baluardi che lo difendevano dalla vera realtà, cioè le illusioni. Le illusioni presenti nel romanzo sono soprattutto due, e fra loro correlate: l’amore e la poesia. Alla prima corrisponde il personaggio di Teresa, portatrice angelica di una bellezza incontaminata e sempre sfuggente, ma portatrice anche di un amore impossibile. Alla poesia spetterebbe il compito di unificare i contrasti interiori del soggetto, di purificare le passioni; di trasmettere infine un senso di equilibrio, di armonia e di durata capace di vincere le oscure forze che regolano la vita umana e il suo consumarsi. Ma Jacopo si accorge di non essere portato per la poesia che non può dagli riscatto.
L’impossibilità di Jacopo a uscire dalla giovinezza corrisponde a un rifiuto radicale della realtà storica ed esistenziale. Il suo suicidio segna il futuro di Foscolo: il mito della giovinezza lascia il posto a miti di rinuncia, di distacco, di perdita – il mito dell’esilio, il mito della tomba. La sintassi è percorsa dalle emozioni del narratore – protagonista, e con continue esclamazioni, reticenze, interrogazioni, incisi coinvolge maggiormente il lettore.
Werther – Carlotta – Alberto
Jacopo – Teresa – Odoardo … caratteristiche:
1) protagonista è narratore: forte coinvolgimento, tono personale
2) scarto cronologico minimo tra tempo della azione di Jacopo e tempo della narrazione – valutazione emotiva della storia
3) destinatario – Lorenzo Alderani – lettore capace di sensibilità e di eroismo – opera per Italia di inizio ‘800.
Lorenzo Alderani al Lettore
“Al lettore.
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta, e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime che ora mi si vieta si spargere sulla sua sepoltura. E tu o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell’eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai spero la tua compassione al giovane infelice del quale potrai forse trarre esempio e conforto.
Lorenzo Alderani”
“Il sacrifico della patria è consumato…”
Questa è la prima lettera del romanzo. Jacopo si rivolge all’amico Lorenzo mentre con il Trattato di Campoformio Napoleone cedeva la Repubblica Veneta all’Austria. Abbiamo quindi il crollo dell’illusione politica che trascina tutte le altre. Jacopo ha lasciato la nativa Venezia, su consiglio della madre, per ritirarsi sui Colli Euganei e sfuggire così le persecuzioni che contro di lui metteranno prevedibilmente in opera gli austriaci. Il tono è già molto pessimista, e c’è già il richiamo al tema della morte e del suicidio.
L’amore per Teresa
Uno dei numerosi brani in cui Jacopo parla dell’amore per Teresa. Descrivendo con un misto di sacralità e di morbosità il sonno della donna amata, Jacopo mostra qui bene la prevalente natura lirica e descrittiva dell’opera. All’inizio abbiamo la descrizione di Teresa addormentata su un divano, e la sua è una visione quasi angelica. Ma per non addolorarla, decide di scappare. Allora invoca Dio, chiedendo il perché di questa sofferenza, perché non può amare Teresa e non può essere felice e vivere in eterno con Teresa stessa.
“Le passioni sono effetto delle illusioni”
- Jacopo dice che dopo il bacio fatto a Teresa tutto gli sembra più bello, più armonioso, più piacevole soprattutto la natura. Se non ci fosse l’Amore, sulla terra dominerebbe il caos, gli animali nemici tra loro, il sole un fuoco malefico e il Mondo un pianto continuo. Egli sogna le muse in riva al lago, in una atmosfera paradisiaca. Poi assegna un alto valore alle Illusioni, senza le quali la vita sarebbe solo noia e dolore; le illusioni corrispondono ad una religione laica per Foscolo, attraverso l’Amore, la Bellezza e la Poesia.
- in questo seconda lettera (25 maggio 1798) la tempesta della passione è descritta attraverso la natura. La natura in effetti corrisponde e partecipa quasi al tormento che percuote il suo animo. Così inizia una lunga descrizione della natura che lo circonda mentre egli corre, e questa stessa natura sembra assecondarlo nel suo stato d’animo. Egli arriva alla conclusione che “le nostre passioni non sono, in fine del conto, che gli effetti delle nostre illusioni. Seguita a fare ragionamenti sulla natura, sulla sua condizione, ma è felice perché sa di essere amato, sa che sulla sua tomba una fanciulla verserà le sue lagrime. Per Foscolo la tomba è l’ultima cosa, non esiste un aldilà.
La sepoltura lacrimata
1) Inizialmente ricorda una scena da fanciullo, quando assieme al padre e agli anziani del paese andava a piantare e coltivare. Questo lo proietta nel futuro, quando lui sarà vecchio e i nipotini suoi e di Teresa lo scherniranno affezionamene, e quando un vecchio lo pregherà sulla sua tomba…ma poi ritorna alla realtà, e cioè che lui patria non ha: “O illusioni! e chi non ha patria, come può dire: lascerò qua o là le mie ceneri?”
2) In questa seconda lettera Foscolo fa un’ampia riflessione sulla sepoltura, dicendo che se qualcuno verrà a lacrimare sulla sua tomba, la morte sarà meno dura (“…il suo gemito vince il silenzio e l’oscurità della morte”). Ma calandosi nella realtà, si accorge che difficilmente avverrà, Teresa non verrà a versare i suoi pianti sulla sua tomba, anche se lui è ciò che spera. Ma l’ultima immagine è molto pessimista: “Lorenzo, rispondi soltanto: Era uomo, e infelice”.
Le lettera da Ventimiglia (19 – 20 febbraio 1799)
In questa lettera vive un radicale pessimismo sia sulla condizione esistenziale degli uomini sia sulla situazione politica dell’epoca, in particolare dell’Italia. Ogni cosa vive sulla distruzione della precedente. All’inizio della lettera c’è la descrizione della natura che rispecchia l’animo di Jacopo: muto e triste. il paesaggio è tipicamente romantico (cupo, ombroso, rupi, burroni). Egli critica gli Italiani che troppo spesso guardano alle glorie passate, ma queste non servono a nulla e anzi sono motivo di vergogna. Del passato rimangono infatti solo le tombe dei grandi, ed inutile il passato se c’è la debolezza politica attuale. L’universo si controbilancia (la morte di uno mi da la vita di un altro e viceversa). La nostra grandezza deriva dalla caduta di molti popoli sotto i Romani, così come Alessandro conquistò e distrusse molti popoli, così come Roma conquistò l’Italia e i suoi vari stati, come l’Europa conquistò l’America. Come dice Foscolo “la terra è una foresta di belve”. I governi impongono giustizia ma loro per primi l’hanno violata. Gli uomini hanno creato gli dei, e la Chiesa ne ha poi vestito i panni. La sola virtù è la compassione. Verso la fine abbiamo anche imprecazioni contro la natura: perché ci ha dato la ragione se non riusciamo a trovare i rimedi contro le calamità? Perché dunque lui fugge? Allora decide di tornare nella sua patria dove potrà essere udito l’ultimo suo lamento (idea di suicidio), ma spera anche che il suo spirito sarà confortato dai sospiri della ragazza amata che “gli interessi degli uomini e il mio destino feroce mi hanno strappata dal petto”.
“Io moro incontaminato”
All’inizio abbiamo dolci ricordi dei luoghi felici da lui visitati, delle passeggiate assieme all’amata Teresa. Il ricordo si sposta poi alla sera del 13 maggio, sera del primo bacio tra Jacopo e Teresa, sera che dice gli è sempre rimasta impressa nella mente, e da quel momento nessuna donna è stata degna di un suo sguardo, perché lui amava solo lei. Teresa è vista come una figura angelica, e lui ripete di averla amata, e di amarla tutt’ora. Ma ora i due si separeranno per sempre, perché lui ha scelto di morire, a causa dei suoi sentimenti e del suo amore per Teresa; lui “muore incontaminato, padrone di sé stesso”, mentre alla fine rivolgendosi direttamente a Teresa la discolpa totalmente per la sua morte.
Le Odi
Le due odi corrispondono a fasi diverse dell’esperienza poetica foscoliana. La più antica (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, composta tra la fine del ’99 e poco dopo) si ricollega al gusto galante arcadico. Più intensa e personale è invece l’ode All’amica risanata, composta nel 1802 per Antonietta Fagnani Arese, amante del poeta. Qui la bellezza della donna sprigiona, pur attraverso la nivea compostezza neoclassica, un indefinito turbamento sensuale. In questa ode alla bellezza della donna corrisponde la bellezza della poesia, che della prima è specchio (o coscienza) e opportunità di durata.
All’amica risanata
Ode composta da sedici strofe si sei versi ciascuno, 5 settenari e un endecasillabo, con rime secondo lo schema abacdD. L’amica ritornata sana, va con la sua bellezza in mezzo agli altri, ma nessuno deve dirle che la bellezza decade. All’inizio c’è una similitudine: come Venere sorge dal mare, tu ti risollevi dal letto con la tua bellezza, sola consolatrice degli uomini. Le Ore e le Grazie sono invidiose, per cui dicono a lei che la bellezza è fugace, ma la bellezza può anche essere resa immortale (come la donna naturalmente) grazie alla poesia. Per dimostrare ciò porta degli esempi: Artemide (dea greca della morte, prima era comune mortale), la guerriera Bellona ed infine la stessa Venere, venerata all’inizio dell’ode e qui rapportata anche alla sua stessa donna amata.
Alla sera (1802 – 1803)
La sera, immagine della morte e del nulla, riesce a trasmette al poeta un senso di distanza dal presente, negativamente connotato, e a placare le sue tempeste interiori. È un sonetto con rime alternate sia nelle quartine che nelle terzine. abbiamo anche qui la presenza di un tema romantico (l’inquietudine), la descrizione dell’estate (la sera arriva tardi) e dell’inverno (la sera arriva presto). Mentre verso la fine del sonetto se ne va la quotidianità e le preoccupazioni.
A Zacinto (1802 – 1803)
Il tema è quello tipicamente foscoliano dell’esilio, qui spostato alla rievocazione mitica della propria isola natale 8da cui il titolo vulgato, non d’autore, A Zacinto). Il senso generale del testo è questo: Zacinto si specchia in quel mare dal quale nacque la dea Venere, che illuminò le isole greche del suo sorriso, inducendo Omero a cantarne la bellezze a raccontare il viaggio di Ulisse, che infine riuscì a ritornare nella amata isola Itaca; diversamente da lui, il poeta sa che il ritorno a Zacinto gli sarà impossibile, dato che sarà sepolto in terra straniera, così che alla sua isola natale può rivolgere solamente la sua poesia. Zacinto è: 1)la sua patria; 2)sacra; 3)feconda (natura e luminosa). la bellezza compensa la sepoltura illacrimata.
Struttura e contenuto Dei sepolcri
I Sepolcri possono essere definiti sia un carme (genere di poesia impegnata e solenne), sia una epistola in versi in quanto ha un destinatario (il poeta Pindemonte) ma anche u poemetto filosofico, anche se manca la componente narrativa. I caratteri innovativi dei Sepolcri sono l’intento filosofico, cioè il procedere per argomentazioni, e la forte carica attualizzante (frequenti rapporti tra passato e presente). I Sepolcri sono costituiti da 295 endecasillabi sciolti, e il testo può essere diviso in quattro parti. Prima parte: si affronta qui il tema dell’utilità delle tombe, che da un punto di vista materialistico sarebbe inutili, ma da un punto di vista morale esse sono molto importanti perché il ricordo di una persona per bene permette al morto di restare ancora in vita, almeno nella memoria delle persone più a lui care. E qui troviamo anche una critica per la sepoltura del poeta Parini, che è sepolto in una fossa comune forse assieme a ladri e assassini e non gli si può dare il giusto merito per la sua virtù. Seconda parte: vengono analizzati i vari culti dei morti e il senso della civiltà. Egli afferma che il culto cattolico è sbagliato perché incute timore, mentre quello antico greco – classico è corretto perché permette un dialogo tra vivi e morti. Ma degno di lode è anche il modello inglese che presenta i camposanti simili a giardini, mentre critica l’Italia per il suo disinteressamento a questo problema e si augura un repentino cambiamento. Terza parte: in questa sezione vengono esaltate le tombe esemplari (esempi di virtù e stimolo a seguirli) dei grandi, e più specificatamente l’esempio di Santa Croce, da cui deve partire il riscatto italiano perché è una memoria del passato. e abbiamo qui un esempio del passato, Vittorio Alfieri, che proprio a Santa Croce si recava spesso. Abbiamo inoltre un esempio sul senso e l’importanza della morte: i Greci che in difesa della loro patria e senza paura della morte combatterono con eroismo la battaglia di Maratona. Quarta parte: si analizza il valore morale della morte, con l’esempio delle armi di Achille (portate dal mare sulla tomba di Ajace). La morte compensa dunque le ingiustizie della vita. Una funzione centrale è assegnata alla poesia, il cui compito è appunto quello di celebrare le virtù presenti e antiche e di conservarne il ricordo anche dopo che i segni materiali da esse lasciati sono stati dispersi dal tempo. Per dimostrare ciò riporta nuovamente un esempio del mondo classico: Troia è caduta distrutta dai Greci, ma grazie ad Omero il suo ricordo, ed in particolare di Ettore, è ancora vivo e sulla tomba di Ettore stesso si piangono quei valori fondamentali anche per la civiltà attuale.
La poesia è composta da endecasillabi. Il carme è del 1806. Il carme è argomentativo: è male che le tombe siano lontane dal corpo perché possono ricordare imprese eroiche o persone amate. La terra è sacra se al corpo è associata una pietra ed un nome, e qualcuno pone un fiore ed un pianto. La vita potrebbe essere eterna se ci fossero i ricordi dati da un luogo e da un nome sulla tomba. La morte vince l’uomo, la tomba vince la morte, il tempo vince la tomba, la poesia vince il tempo. Da quando uomo ha conosciuto la civiltà ha avuto il culto dei sepolcri. esempio della chiesa di Santa Croce a Firenze (Machiavelli, Galileo, Michelangelo). Firenze è beata per la presenza di questi importanti letterati e per la bellezza. Dante e Petrarca respirarono l’aria benestante di Firenze, ed è ancora più beata perché conserva il ricordo dei pochi eroi italiani. Alfieri era adirato contro gli dei della patria e non trovava consolazione tra gli esseri viventi, così si recava spesso a Santa Croce. Parla di Elettra. Paragone forzato tra Ettore e Foscolo stesso.
• Foscolo con il riferimento al mondo classico non implica l’imitazione di un modello perfetto e definitivo, ma al contrario impone una responsabilizzazione del presente, intesa anche quale coscienza della modernità. Il classicismo è visto come attualizzazione del passato: Foscolo prende episodi del passato che producono significato nel presente, li mette a confronto.
• Solo chi è considerato degno dai posteri può essere eterno. il sepolcro è l’incarnazione della memoria, nella tomba si identifica la memoria concreta del passato, la civiltà. La poesia rende eterni, i grandi valori classici possono aiutare alla creazione di nuovi valori; è il compito di Foscolo: far rinascere nuovi valori per il riscatto dell’Italia.
• Anche Foscolo si sente quasi morto. Anche la sua è una vita raminga, si compara a Parini, spera di avere una degna sepoltura e i posteri lo apprezzino come poeta. La morte gli renda giustizia così come ad Ulisse (vita raminga) ed a Aiace. grazie ai valori del passato la civiltà crescerà. Omero: identità nazionale. Foscolo: sentimenti di patria e virtù civili.
Le Grazie, la bellezza sopra le rovine
L’elaborazione fu lunga (tra il 1812 – 13). Voleva creare un testo con tre inni distinti ma correlati (Venere, Vesta, Pallade). C’è pessimismo sul presente, incompiuto perché dopo il ritorno a Milano nuova fuga in SVI e ING. Primo inno: a Venere, la Grecia e l’origine della bellezza e della civiltà nella Grecia classica. Secondo inno: Da Grecia a Italia, il Rinascimento italiano e la bellezza perduta; equilibrio e armonia valori perduti da imitare. Terzo inno: fuga delle Grazie e trionfo della barbarie. Poesia e bellezza importanti anche se messe da parte. Non c’è ordine, difficile trovare una linea logica, più facile vari frammenti con tema centrale. endecasillabi sciolti, no rima, musicalità avvolgente e rallentata. Utopia estetica foscoliana: mondo irrealizzabile dove c’è solo il bello.
Il velo delle grazie
Foscolo vuole ispirarsi al Canova e fare una scultura alle Grazie. Giovinezza passa col tempo, fuit du temps, il velo con le sue immagini (guerriero e prigionieri, scena di amor materno…) è immortale.
Fonte: http://ducaserale.altervista.org/italiano/UGO_FOSCOLO13.doc
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