Giovanni Verga
Giovanni Verga
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Giovanni Verga
la stagione del Verismo
giovanni verga
(catania 1840-1922)
1.vita
Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. Trascorse la giovinezza nella città natale e fu educato ai valori romantico-risorgimentali.
La formazione giovanile di Verga fu provinciale e attardata, ancora tutta interna al clima romantico. Fanno parte di questa fase di apprendistato letterario catanese i romanzi Amore e patria 1855-57), che restò inedito, I carbonari della montagna (1861-62), Sulle lagune (1863), Una peccatrice (1865).
Il passaggio dalla “preistoria” alla storia dell’arte verghiana avviene con il primo romanzo fiorentino, Storia di una capinera (1871). Elaborato in buona misura a Firenze, ma rivisto e completato a Milano, è il successivo romanzo, Eva (1873). E’ un romanzo di svolta, certo il più interessante e riuscito prima dei Malavoglia. Sempre a Milano esce Tigre reale (1875). L’ultimo dei romanzi con cui si conclude la fase tardoromantica e scapigliata di Verga è Eros, scritto dopo Tigre reale, ma uscito qualche mese prima, nel dicembre 1874. Di questo stesso anno è anche la novella di ambiente rusticano e siciliano Nedda. Del 1876 è la raccolta Primavera e altri racconti.
Dopo un primo soggiorno fiorentino nel 1865, Verga si stabilì nel 1869 a Firenze dove risiedette fino al 1872. Alla fine del 1872 Verga si trasferì a Milano dove restò fino al 1893. Qui Verga divenne amico di diversi scrittori scapigliati. A Milano, capitale economica oltre che letteraria, maturò l’adesione al Naturalismo e la nascita del Verismo.
L’adesione di Verga al Verismo avviene fra la fine del 1877 e la primavera del ’78. La prima opera verista di Verga è la raccolta di novelle Vita dei campi uscita nel 1880. Essa riunisce racconti scritti fra il 1878 (il primo in ordine cronologico che è anche il capolavoro della raccolta è Rosso Malpelo) e il 1880. Nel gennaio 1881 uscì a Milano I Malavoglia, il primo romanzo del progettato ciclo dei “Vinti”. Dopo l’insuccesso dei Malavoglia, opera nuova e sperimentale, Verga su sollecitazione del suo editore, scrisse rapidamente un altro romanzo, Il marito di Elena (1882), con cui dà congedo definitivo alla cultura romantica. Infatti a partire dalle raccolte Novelle rusticane e Per le vie (1883), e in Vagabondaggio (1887), tutti i personaggi appaiono dominati esclusivamente dalla roba, e cioè dalla logica economica e dalle leggi dell’interesse e dell’egoismo. Il secondo romanzo del ciclo dei “Vinti”, Mastro-don Gesualdo, uscì in rivista nel 1888 e in volume l’anno successivo, in una redazione molto corretta e complessivamente rielaborata.
Dopo Mastro-don Gesualdo Verga si dedicò anche al teatro, dove aveva già avuto un grande successo di pubblico nel 1884 con Cavalleria rusticana, grazie alla recitazione della Duse. Mise in scena La lupa e poi una rappresentazione della lotta di classe nelle zolfatare siciliane in Dal tuo al mio (1903).
Dopo il 1893 Verga si ritirò a Catania, dove sopravvisse lungamente alla sua opera. Nel 1920 fu nominato senatore. Morì a Catania il 24 gennaio 1922.
2. LA POETICA
Verga, a differenza di altri scrittori, non espose le proprie idee sulla letteratura e sull’arte in opere compiute; preferisce invece immergersi nel suo scrupoloso e concreto lavoro di scrittore.
Il canone fondamentale a cui si ispira è quello dell’impersonalità (per altro comune ai veristi), che egli intende innanzi tutto come "schietta ed evidente manifestazione dell’osservazione coscienziosa". Verga vuole indagare nel misterioso processo dei sentimenti umani presentando il fatto nudo e schietto come è stato "raccolto per viottoli dei campi, press’a poco con le medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare"; l’obiettivo è quello di giungere a un romanzo in cui la mano dell’artista sia invisibile e "l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé".
La novità di Verga sta nella distinzione tra autore e narratore e nella definizione e invenzione del narratore regredito. L’autore per essere impersonale deve rinunciare ai suoi pensieri e giudizi, alla sua morale e cultura perché non deve esprimere se stesso ma si deve nascondere impedendo così al lettore di percepire la sua presenza.
Verga cerca di realizzare l’eclissi dell’autore delegando la funzione narrante a un narratore che è perfettamente inserito nell’ambiente rappresentato, regredito al livello sociale e culturale dei personaggi rappresentati che assume la loro mentalità e non fa trapelare l’idea dell’autore. Il narratore assume così, un aspetto camaleontico evidente soprattutto nei Malavoglia. Verga vuole essere impersonale fino in fondo e, oltre a rinunciare alla sua mentalità ai suoi ideali e principi rinuncia anche alla sua lingua e cerca di adottare un tipo di espressione più vicina possibile agli umili rappresentati; l’autore cerca, infatti, di studiare la sintassi del dialetto siciliano e tenta di riprodurre tale struttura della frase nella lingua italiana, citando spesso proverbi che appartengono alla cultura locale. L’autore utilizza anche la tecnica del discorso indiretto libero tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, di far risuonare i modi tipici del linguaggio popolano e di identificarsi col pensiero della gente del posto.
E’ utilizzato anche l’artificio dello straniamento realizzato attraverso un modo di raccontare i fatti secondo cui quello che è normale appare strano e viceversa.
3. attività giovanile (prima fase)
Nell’attività letteraria del Verga si distinguono tre periodi; il periodo romantico patriottico, il periodo romantico passionale e il periodo verista. Al primo periodo appartengono i romanzi giovanili Amore e patria (incompiuto), I carbonari della montagna, Sulle lagune, tutti ispirati alla storia del Risorgimento e a motivi patriottici e amorosi.
Al secondo periodo romantico passionale appartengono i romanzi scritti durante il soggiorno fiorentino e milanese quando il Verga viene a contatto con la cultura positivistica e con gli ambienti della Scapigliatura. Sono romanzi in cui si narrano torbide storie d’amore e di morte in ambienti aristocratici e borghesi.
una peccatrice (1866) - È la storia dell’amore tra la contessa Narcisa e il giovane scrittore Pietro Brusio, il quale, dopo aver destato in lei una tormentosa passione, la trascura, spingendola al suicidio.
Storia di una capinera (1869) - Pubblicato nel ’71 dove Verga svolge un tema che in passato aveva ispirato vari autori tra i quali Manzoni. La fanciulla Maria, costretta dalla matrigna a farsi novizia, torna per breve tempo in famiglia conoscendo la libertà e innamorandosi di Nino, il fidanzato della sorellastra. Il ritorno al convento con la definitiva assunzione dei voti scatena in lei una follia mortale. Il romanzo ha il carattere di una confessione intima, orientata verso la resa dei sentimenti e di nascoste passioni ma vi è anche la documentazione dell’inflessibile autorità familiare e del rigido cerimoniale dei conventi.
Eva (1873) - Attraverso la vicenda del pittore Enrico Lanti, che conquista una danzatrice e, dopo averla lasciata, muore, si ripresenta il tema dell’amore passione che a un certo punto si esaurisce nella sazietà e nell’apatia.
Tigre reale (1873) - Compare un altro contrasto doloroso, anch’esso di stampo romantico, quello tra la seduzione di una passione d’amore e l’opposto richiamo alla semplicità degli affetti familiari: il diplomatico Giorgio La Ferlita è diviso tra Nata, la contessa russa sua amante, e la moglie Erminia.
Eros (1875) - Il marchese Alberto Alberti, dopo aver interrotto la sua relazione con l’amante Velleda, sposa la virtuosa e riservata Adele, ma, in seguito ad un nuovo incontro con Velleda, si rituffa nella vita dissoluta; la conclusione è il suicidio di Alberto sul letto di morte di Adele, ammalatasi per il dolore provato dopo l’abbandono del marito.
Nedda (1874) - La svolta verista si ha con la novella Nedda del 1874 ed è dovuta alla scoperta dei naturalisti francesi, all’amicizia col Capuana. Con Nedda il Verga abbandona i personaggi passionali, evoluti e raffinati dei romanzi giovanili e ritrae la vita degli umili, che vivono rassegnati e silenziosi tra gli stenti e le fatiche; abbandona anche le complicate analisi psicologiche ed i lirismi dei primi romanzi iniziando una narrazione in un linguaggio semplice e scarno.
[trama] Nella novella si narra la storia triste di Nedda che lavora come raccoglitrice di olive per curare la madre malata. Ella si innamora di un giovane, Janu, ma prima perde il suo uomo, morto per la caduta da un albero, poi la bambina nata da questa relazione.
4. Fase verista (seconda fase)
4.1 Vita dei campi (1880)
La prima opera verista di Verga è la raccolta di otto novelle col titolo complessivo di Vita dei campi, uscita nel 1880. Essa riunisce racconti scritti fra il 1878 (il primo in ordine cronologico è Rosso Malpelo) e il 1880. Protagonisti sono contadini, pastori, minatori di una società premoderna, quella delle campagne siciliane, in cui domina il latifondo (un’altra figura sociale è infatti quella del proprietario terriero). La novità non sta tanto nel fatto che gli attori di questi drammi siano di umile estrazione sociale, quanto nella scelta di assumere la loro prospettiva culturale e linguistica: la voce narrante non è più quella dell’autore, ma quella degli stessi personaggi popolari.
L’adesione alla nuova poetica è dichiarata esplicitamente nella lettera dedicatoria a Farina premessa alla novella L’amante di Gramigna, ma è evidente anche in un altro racconto programmatico, Fantasticheria, che illustra la genesi dei Malavoglia.
Sul piano stilistico, il tono di alcuni racconti è epico-lirico, con una forte componente simbolica che sottolinea la corrispondenza tra anima e paesaggio. Sul piano tematico, è di natura romantica il forte rilievo che assume in Vita dei campi il tema dell’amore-passione. Cavalleria rusticana, La lupa, Jeli il pastore, L’amante di Gramigna, ruotano attorno a questo motivo. Fra questi racconti spicca La lupa, in cui campeggia un personaggio femminile che sfida tutte le regole sociali per affermare – sino alla morte – i diritti della passione erotica.
E’ però significativo che il trasgressore - il quale in nome dell’amore attenta all’ordine familiare - finisca sempre sconfitto: in genere l’amante (uomo o donna che sia) è ucciso dal marito, oppure i due amanti chiudono la loro vita nell’emarginazione: nell’Amante di Gramigna, la donna che ha lasciato il fidanzato per seguire un bandito (Gramigna appunto), sarà condannata a vivere nella miseria e nella desolazione vicino alla prigione in cui è chiuso l’amante.
La prevalenza del motivo economico sull’amore è evidente in racconti come Jeli il pastore e Cavalleria rusticana, dove la donna tradisce accettando la corte di uomini più ricchi. Così Mara, protagonista di Jeli il pastore, diventa l’amante del padrone, mentre Lola in Cavalleria rusticana abbandona il povero Turiddu per sposare un agiato carrettiere, Alfio.
Capolavoro di Vita dei Campi è Rosso Malpelo. Qui la voce narrante è quella malevola della comunità di contadini e minatori che si accanisce contro il protagonista perché ha i capelli rossi e dunque sarebbe, di per sé, cattivo. Essa interpreta maliziosamente e negativamente qualunque gesto egli faccia. Per la prima volta Verga sperimenta quell’artificio di straniamento che userà poi largamente nei Malavoglia. Infatti il punto di vista del narratore popolare interpreta sempre come strano (in quanto comunque manifestazione e segno di cattiveria) qualsiasi gesto compia il personaggio. Ma il punto di vista dell’ autore, per quanto programmaticamente taciuto e nascosto, finisce sempre per emergere comunque dalla regia del racconto facendo capire che Rosso non è così cattivo come parrebbe.
Rosso Malpelo è un racconto terribile, perché mostra una realtà rovesciata, in cui è strano ciò che dovrebbe essere normale e in cui domina, a ogni livello sociale, la violenza del più forte sui più deboli.
4.2 I malavoglia (1881)
Verga progettò un ciclo di romanzi, denominato dapprima “La Marea”, poi “I Vinti”, che avrebbero dovuto rappresentare la vita dei pescatori e dei contadini (I Malavoglia), poi la borghesia di provincia (Mastro-don Gesualdo) e la nobiltà cittadina (La duchessa di Leyra), infine il mondo parlamentare romano (L’onorevole Scipioni) e quello più complicato e complesso di ogni altro, degli scrittori e degli artisti (L’uomo di lusso).
I Malavoglia uscirono dall’editore Treves di Milano nel gennaio 1881. E’ il primo romanzo verista di Verga, e uno dei capolavori della narrativa italiana degli ultimi due secoli. L’opera apre il ciclo dei “Vinti”, di coloro cioè che, nella lotta per l’esistenza, “ la corrente ha deposti a riva dopo averli travolti e annegati”.
[trama] Le vicende si svolgono nei primi anni dell’unità d’Italia, tra il 1863 ed il 1876 ad Acitrezza. Prendono le mosse da una piccola speculazione commerciale che padron ‘Ntoni intraprende per migliorare le condizioni della famiglia, aggravatasi quando il nipote ‘Ntoni va a fare il soldato e viene meno il suo lavoro. Padron ‘Ntoni acquista a credito dallo zio Crocifisso una partita di lupini, che Bastianazzo imbarca sulla "Provvidenza" per andare a venderli. Durante il tragitto una tempesta provoca la perdita del carico di lupini e la morte di Bastianazzo. A questa seguono altre disgrazie: la morte di Luca nella battaglia di Lissa, la morte di Maruzza per il colera, la perdita della casa del Nespolo per l’insolvenza del debito e degli interessi, il traviamento di ‘Ntoni, che, tornato cambiato dal servizio militare, non si adatta alla vita di stenti, si unisce a una compagnia di contrabbandieri e ferisce con una coltellata il brigadiere don Michele, che lo ha sorpreso in flagrante con gli altri. Durante il processo l'avvocato imposta la difesa sostenendo l'attenuante dell'onore per 'Ntoni che sapeva di una relazione della sorella Lia con Don Michele. ‘Ntoni è condannato a cinque anni di carcere e Lia, considerandosi colpevole verso il fratello scappa di casa e si perderà. Il disonore getta nella costernazione i Malavoglia: padron ‘Ntoni, affranto, si ammala e muore all’ospedale. Intanto Alessi, che ha sposato la Nunziata, con la sua laboriosità riscatta la casa del Nespolo, dove torna ad abitare insieme alla sorella Mena la quale rifiuta di sposare compare Alfio, perché si sente anche lei disonorata per la perdizione di Lia.
Nei Malavoglia si scontrano due concezioni della vita: la concezione di chi, come padron ‘Ntoni si sente legato alla tradizione e riconosce la saggezza dei valori antichi come il culto della famiglia, il senso dell’onore, la dedizione al lavoro, la rassegnazione al proprio stato; e la concezione di chi, come il nipote ‘Ntoni, si ribella all’immobilismo dell’ambiente in cui vive, ne rifiuta i valori ed aspira ad uscirne con il miraggio di una vita diversa. La simpatia latente del Verga è per padron ‘Ntoni e per il nipote Alessi, che ne riproduce il carattere e ricostruisce il focolare domestico andato distrutto. Attorno alle vicende dei Malavoglia brulica la gente del paese che partecipa coralmente ad esse con commenti ora comprensivi e pietosi, ora ironici e maligni.
Lo stesso Verga narratore sembra essere uno del posto che racconta e commenta col distacco impassibile del cronista, vale a dire di un anonimo narratore orale; da ciò nasce l’impressione di un Verga narratore camaleontico, che assume di volta in volta la maschera e l’opinione di tutti coloro che entrano in scena. Anche il paesaggio partecipa alla coralità della narrazione, ora quasi compiangendo, ora restando indifferente alla sorte degli uomini. Per quanto riguarda la lingua, il Verga accettò, per sua stessa confessione, l’ideale manzoniano di una lingua semplice, chiara, antiletteraria. Egli riuscì a creare una prosa parlata, fresca, viva, popolare, che riproduce, nella sintassi e nel lessico, il dialetto siciliano.
Nei Malavoglia è rigorosamente applicato il canone dell’imparzialità e dell’obiettività. Nella prefazione al romanzo, Verga sottolinea come lo scrittore di fronte alla propria storia non abbia il diritto di giudicare, ma solo di tirarsi fuori dal campo della lotta per "studiarla senza passione". Nella pratica poetica quest'idea si traduce in una tecnica di grandissima originalità. Abbondano i discorsi indiretti liberi, cioè gli interventi dei personaggi non mediati attraverso l’elaborazione del narratore. Anche le parti connettive del romanzo non lasciano mai trasparire la sovrapposizione dell’autore e sembrano uscire dalla bocca di un anonimo paesano, che sia come un portavoce dell’intera comunità di Acitrezza. Per rafforzare questo effetto Verga si avvale di un discorso indiretto tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, di far risuonare i modi tipici del linguaggio popolare e di identificarsi con il pensiero della gente del posto. Inoltre utilizza più di 150 proverbi che esprimono in modo pittoresco la mentalità dell'ambiente sociale rappresentato.
4.3 Novelle Rusticane (1883)
Novelle rusticane raccoglie dodici novelle scritte fra il 1881 e il 1883, di cui undici rusticane (una, Di là del mare, invece è d’ambiente borghese). Verga vi comincia a studiare il mondo in cui ambientare il prossimo romanzo: un mondo di campi, di malaria, di contadini, di osti, di piccoli impiegati, di quartieri popolari in cittadine di provincia (in Cos’è il re, Don Licciu papa, Il mistero, Malaria, Gli orfani, Pane nero, Storia dell’asino di San Giuseppe) ma anche di borghesi, di nobili, di preti, di notai, di proprietari terrieri (in I galantuomini, Libertà, Il reverendo, La roba). Né manca, in Libertà, l’analisi delle contraddizioni di classe nelle campagne.
Venuto meno il motivo dell’amore-passione, ancora presente in Vita dei campi, tende a scomparire anche il motivo del personaggio solitario e “diverso”, in lotta con l’ambiente. Dai singoli personaggi l’attenzione si sposta alla dimensione collettiva, analizzata nelle sue dimamiche sociali ed economiche. Fanno eccezione solo Il reverendo e La roba, imperniate su due arrampicatori sociali assai simili – un prete e un contadino divenuto ricchissimo – che si dedicano esclusivamente all’accumulazione della roba e anticipano già la figura di Gesualdo.
Permane talora, nella rappresentazione del paesaggio, un tono lirico (in Malaria) o epico-lirico (in La roba). Più spesso il pessimismo materialistico di questa seconda stagione verista preferisce note amare e spietate (per esempio in Storia dell’asino di San Giuseppe) o violentemente drammatiche (in Libertà).
4.4 Mastro-don gesualdo (1889)
[trama] In Mastro-don Gesualdo il Verga narra le vicende di un ex muratore, che con la sua tenace laboriosità è riuscito ad arricchirsi. Non gli basta però la potenza economica, egli mira ad elevarsi socialmente e sposa Bianca Trao, una nobile decaduta che ha avuto una relazione amorosa col cugino Rubiera ed è stata da lui lasciata, perché la madre, la baronessa Rubiera, si è opposta al matrimonio riparatore. Il matrimonio con Bianca non porta a Mastro-don Gesualdo la sperata soddisfazione, perché, ora che è diventato "don", si sente escluso non solo dalla plebe dalla quale proviene, ma anche dal mondo aristocratico, che lo considera un intruso e lo tratta con distacco. Egli porta nei due titoli che precedono il nome "Mastro-don Gesualdo" il suo dramma: per la plebe è diventato un "don", un signore quindi, e perciò appartiene a un altro mondo; per gli aristocratici rimane il "mastro" di sempre, e quindi è un estraneo al loro mondo. Ma il dolore maggiore gli deriva dal non sentirsi amato né dalla moglie né dalla figlia Isabella, che, d’altra parte, non è propriamente sua figlia, ma è nata dalla relazione di Bianca con Ninì Rubiera. Egli, che ignorava tutto ciò, fa educare la figlia in un collegio di nobili e la vizia accontentandola in tutti i desideri. Ma poi si scontra con lei quando Isabella si innamora del cugino Corrado La Gurna, e la fa sposare ad un nobile palermitano. Mastro-don Gesualdo, che nel frattempo ha perduto la moglie, è costretto a lasciare il paese in rivolta per i moti del ’48; poi, essendosi ammalato di cancro, va ad abitare a Palermo nel palazzo della figlia dove assiste allo scempio delle proprie ricchezze e muore solo e abbandonato da tutti.
Sul piano sociale il romanzo rappresenta la borghesia in ascesa di nuova formazione, avida e ambiziosa simboleggiata da Mastro-don Gesualdo, e le vecchie aristocrazie in declino, simboleggiate dai Trao.
Mastro-don Gesualdo è un uomo senza riposo, sempre attento a custodire i suoi beni e i suoi affari, morso dal cruccio interno della coscienza che ha del proprio fallimento famigliare e sociale. Il mito del progresso e dell’innalzamento delle nuove classi, tanto spesso sbandierato dalla cultura del Positivismo, è sottoposto ad una critica assai più radicale che nei Malavoglia, e tutto ciò mentre anche i privilegi e le tradizioni dell’ordine antico sono osservati con occhio lucido, senza alcuna indulgenza.
In questo romanzo lo scrittore, pur mantenendo la sua fedeltà al metodo impersonale e obiettivo, è indotto dalla maggiore complessità dei temi e dal maggiore approfondimento psicologico dei personaggi a usare soluzioni di linguaggio meno audacemente innovative rispetto ai Malavoglia. La lingua è quella d’uso comune, ma non propriamente popolare.
Fonte: http://www.liceoodierna.it/default,htm/LETTERATURA%20ITALIANA/verga.doc
Autore: Prof. A. Amato
Giovanni Verga
Giovanni Verga
Vita
Giovanni Verga nacque a Catania il 2 settembre 1840, discendente da una famiglia di antica nobiltà rurale. Il nonno fu deputato al Parlamento siciliano. Lo scrittore ebbe cinque fratelli e trascorse l'infanzia e l'adolescenza in Sicilia, scrivendo giovanissimo per i giornali e componendo romanzi storici a imitazione di Alessandro Dumas, scrittore allora assai noto. Frequentò scuole private, si iscrisse alla facoltà di Legge dell'università di Catania, senza conseguire la laurea, perché impegnato nel lavoro letterario. In questo suo proposito venne pienamente appoggiato dal padre, che contribuì alle spese delle prime pubblicazioni.
Fra il 1865 e il 1871 visse a Firenze, a quel tempo capitale d'Italia, dove ebbe i primi contatti letterari e relazioni e successi mondani.
Dal 1872 al 1893 abitò a Milano, dove fu in stretto contatto con gli ambienti letterari, che facevano di Milano la città più viva d'Italia. Importante fu l'amicizia che strinse con Capuana e con Arrigo Boito. Nonostante le molte relazioni amorose, ma non si sposò mai.
Inariditasi la vena creativa, si ritirò a Catania, dove morì il 27 gennaio 1922, quasi in solitudine, in seguito a una trombosi, assistito dalla nipote adottiva e dal fedele De Roberto.
Opere
Amore e patria; I carbonari della montagna (1862); Sulle lagune (1863); Una peccatrice (1866); Storia di una capinera (1871); Eva (1873); Nedda (1874); Tigre reale (1875); Eros (1875); Primavera e altri racconti (1876); Vita dei campi (1880); I Malavoglia (1881); Il marito di Elena (1882); Novelle rusticane (1883); Per le vie (1883); Cavalleria rusticana (opera teatrale, 1884); Drammi intimi (1884); In portineria (opera teatrale, 1885); Vagabondaggio (1887); Mastro don Gesualdo (1888); I ricordi del capitano d'Arce (1891); Don Candeloro e C.i (1894); Dal tuo al mio (1906)
L'attività letteraria di Verga si divide schematicamente in due fasi: nella prima compose romanzi e novelle di studio dell'alta società e degli ambienti artistici. In questi romanzi (Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Tigre reale, Eros) marcato è il dato autobiografico, forse c'è persino un bisogno di arricchire la propria esistenza con avventure affascinanti, ma realistiche. Associata, vi è la volontà di compiere un'analisi della società contemporanea, in special modo dei ceti alti, mettendone a nudo le magagne sentimentali e le menzogne convenzionali. Verga rappresenta già dei "vinti": tra i suoi personaggi vi è la dama che si avvelena per amore, la giovane che diventa monaca per volere della famiglia, il pittore sconfitto nelle sue ambizioni artistiche e nella sua passione per una ballerina, le passioni distruttive di una contessa russa morta di tisi.
Il verismo
Il verismo italiano costituisce lo sviluppo del naturalismo francese. Nella seconda metà dell'Ottocento, in Francia, Gustave Flaubert pubblica Madame Bovary, che viene accolta fra consensi di critica e guai giudiziari. Con quest'opera si fa iniziare il naturalismo. Essa si pone l'obiettivo di rappresentare oggettivamente la realtà, senza l'intervento diretto dello scrittore. C'è un distacco dell'autore dall'opera che scrive, che non viene influenzata da ideologie e dai valori morali personali.
I fratelli Goncourt aggiungono un altro principio: l'opera deve essere un documento del reale. Il romanzo deve trarre ispirazione da un episodio realmente accaduto. Ci deve essere un rapporto diretto con la realtà. Esigenze di scientificità che approdano poi al romanzo sperimentale di Zola, Teresa Raquin.
Nel romanzo sperimentale si rappresenta l'uomo come prodotto delle condizioni ambientali e di ereditarietà di carattere. Ciò porta a una denuncia della società. I condizionamenti sociali si manifestano con maggior forza fra gli strati più umili. Zola rappresenta perciò i bassifondi di Parigi. La sua visione della vita è deterministica; le sue opere propongono un uomo innocente, condizionato dalla famiglia e dalla società.
Capuana mette insieme i seguenti caratteri: l'impersonalità, la rappresentazione del reale, il romanzo sperimentale del naturalismo francese. Dà così l'avvio a una tendenza letteraria: il verismo, che si propone l'impersonalità nel ritrarre il reale. Siccome la realtà più urgente per noi sono la questione meridionale e le questioni sociali, il verismo diviene lo specchio della società meridionale. I caratteri della produzione verista sono il regionalismo, il provincialismo. Gli alfieri del verismo sono meridionali: Serao, Deledda, Capuana, Verga. Minore è il verismo settentrionale.
La fase verista: la poetica
Nel 1874 esce Nedda. Verga vi racconta la storia di una povera raccoglitrice di olive, vittima della miseria. Verga, in questa novella, non rappresenta più il mondo brillante dell'alta società milanese o fiorentina, ma quello umile e chiuso di un borgo siciliano. La nuova fase dello scrittore si arricchisce, in poco più di una dozzina di anni, di due raccolte di novelle, Vita dei campi dell'80 e Novelle rusticane dell'83.
Progetta, intanto, un ciclo di cinque romanzi, I vinti, e ne scrive i primi due, I Malavoglia dell'81 e Mastro Don Gesualdo dell'88, cui intercala un altro romanzo, Il marito di Elena, dell'82, incerto fra la vecchia maniera e la nuova.
Queste opere sono tutte ambientate in Sicilia, intorno a quella Catania che Verga conosceva perfettamente e a cui era legato da profondo affetto; i protagonisti sono uomini delle classi subalterne, contadini, pastori, pescatori, artigiani, arricchiti e no; se i personaggi sono individui appartenenti ai ceti elevati, si tratta quasi sempre di nobili di paese, lontani dal sentire e dai gusti dei personaggi verghiani di una volta.
I Malavoglia sono la storia di una famiglia, che cerca di emergere dalla miseria e conquistarsi condizioni di vita migliori; Mastro don Gesualdo inscena la sconfitta di chi, vinta la battaglia per una migliore condizione economica, aspira alla promozione sociale, sperando di conquistarla tramite un matrimonio che lo leghi alla nobiltà di un grosso borgo di provincia.
I tre romanzi non scritti del ciclo dei vinti, dovevano narrare la sconfitta di quella vanità aristocratica che può sussistere soltanto a un alto livello sociale ed economico (La duchessa di Leyra); la sconfitta nelle ambizioni politiche tese alla conquista del potere (L'onorevole Scipioni); la sconfitta nella più alta ambizione possibile, nell'aspirazione dell'artista alla gloria (L'uomo di lusso).
L'ideologia
Verga esprime la propria posizione ideologica in una novella di Vita dei campi, dal titolo Fantasticheria. Egli si immagina di recarsi ad Aci Trezza, il paese de I Malavoglia, in compagnia di una signora del gran mondo che, appena arrivata, mostra un fatuo entusiasmo per quella vita semplice, ma già il giorno dopo non ne può più e non capisce come altri possa condurvi l'intera esistenza. Mentre Verga, polemizzando la frivola superficialità della dama, afferma la sua adesione morale al coraggio virile con cui quegli uomini affrontano la vita.
Nelle sue opere più mature non vi è idillio, non vi sono "lavoratori sapienti", come quelli rappresentati dal Prati, che vanno al lavoro cantando, non vi è traccia del fastidioso e offensivo paternalismo, né di un facile ottimismo, ma vi imperversa la tragedia e il pessimismo virile; un intero mondo subalterno viene visto nella sua autonomia, composto non più da "buoni selvaggi" o da "buoni popolani" fra cui ritirasi arcadicamente, ma di uomini con cui trattare da persona a persona.
La visione di Verga è tragica e pessimista. Lo scrittore non crede nella Provvidenza e Dio è assente dai suoi libri. Non è nemmeno un socialista che creda in un trionfo finale del quarto stato, ottenuto attraverso l'unione e la lotta. Verga, invece, condivide la passione del suo tempo per la scienza e l'analisi sociologica e riesce a cogliere il moto e lo sforzo incessante verso il progresso; ma a lui interessano di più "i vinti", quelli che cadono lungo la strada; egli sa essere solo il poeta di chi resta ai margini, mentre la marea procede oltre.
L'ideologia sociale
La concezione della vita di Verga era tipicamente "borghese". Tuttavia molti erano gli elementi positivi: il superamento dello stato d'animo contraddittorio con cui egli guardava nelle sue prime opere l'alta società; il superamento del paternalismo ambiguo proprio della letteratura sociale dei "moderati"; la scoperta della dignità e dell'umanità delle plebi; l'analisi del risvolto negativo del progresso così mitizzato dai contemporanei e quindi delle lacrime e del sangue di cui grondava, dietro l'ottimismo e la facciata rilucente, il secondo Ottocento. Ma proprio perché borghese e quindi incapace di immaginare una società diversa, Verga guardava al presente e al futuro con pessimismo. Flirtò addirittura col nazionalismo.
Ne I Malavoglia, la critica ha sottolineato concorde il momento corale: storia di una famiglia, il romanzo si trasforma nell'epopea di un mondo unito nel destino e negli affetti e canta il lavoro, il legame con la tradizione, l'unità familiare, il culto del focolare domestico: non a caso il centro della vicenda è "la casa del nespolo", perduta e poi riconquistata.
In Mastro don Gesualdo, il pessimismo di Verga è ancora più cupo. Intorno al protagonista si agita un mondo di piccoli uomini voraci e pettegoli, tutti presi nella morsa della passione economica. Mastro don Gesualdo è visto come un eroe del lavoro, della tenacia, della forza che vince gli ostacoli e conquista, faticosamente, palmo a palmo, la sua "roba", finche la volontà di ottenere una promozione sociale lo travolge ed egli è sconfitto nei suoi affetti e muore.
L'arte e la lingua
Verga non ha mai delineato organicamente la sua poetica. Tuttavia la si può dedurre, oltre che da molte altre sue lettere, da una in particolare all'amico romanziere Salvatore Farina, premessa alla novella L'amante di Gramigna.
Verga accettò le linee generali del naturalismo francese, nella mediazione dell'amico Capuana; non accettò troppo il tema della razza o dell'ereditarietà, per quanto nel Mastro don Gesualdo non manchi qualche accenno; rappresentò l'ambiente e il momento storico, come elementi necessari alla spiegazione della psicologia dei singoli; i personaggi non vengono descritti, ma calati nell'azione, in modo che il loro animo si sveli attraverso il comportamento.
Verga concepì il romanzo come occasione di un'indagine critica della società, che ne comprendesse tutti gli strati sociali, dai più bassi ai più alti; accetto pienamente il principio dell'impersonalità. La lingua di cui si servì era composta di espressioni, vocaboli, costrutti propri del dialetto, a caratterizzare le persone messe in azione e a nascondere ancora meglio l'autore.
Caratteristiche delle opere
Amore e patria
Romanzo d'esordio, giovanile, in cui l'autore racconta un episodio della guerra di indipendenza degli Americani del Nord contro la Gran Bretagna.
L'opera mescola la passione amorosa a quella patriottica; gli uomini sono o eroi indomiti o vili traditori.
I Carbonari della montagna
Ambientazione in Sicilia e Calabria, dove i carbonari conducono nmel 1810-12 una guerra partigiana per l'indipendenza.
Un romanzo storico, la cui materia sono ancora l'amore e la patria, il tutto condito di sentimenti antifrancesi.
Il protagonista è Corrado, un eroe puro che morirà divenendo "oggetto della venerazione di tutte le genti d'Italia".
Lo stile è caratterizzato da una aggettivazione fiorita. Il romanzo anticipa alcuni temi che saranno poi sviluppati nelle opere maggiori.
Sulle lagune
Il terzo romanzo giovanile di Verga è ambientato a Venezia, di cui viene fornito un ritratto di maniera.
Si avverte l'influsso dell'Ortis sullo stile e sui contenuti. Le passioni sentimentali si intrecciano su quelle patriottiche. Un ufficiale dell'esercito austriaco si innamora di una veneziana. Il romanzo, che adotta la forma epistolare allora in voga nelle opere romantiche, si distingue per un maggiore approfondimento psicologico.
Una peccatrice
Pietro Brusio è un giovane catanese studente di Legge, che concepisce una travolgente passione per Narcisa Valderi, l'avvenente moglie del conte di Prato. Dapprima respinto, il giovane ottiene, grazie al successo letterario arrisogli con un dramma che lo rende famoso, l'agognato amore della donna.
La realizzazione dei desideri porta tuttavia la stanchezza. Preso atto della fine del loro amore, la donna si uccide. Il giovane resosi conto che il suo successo letterario è effimero fa ritorno al paese natale.
Pietro e Narcisa sono già due prototipi di quei "vinti", che animeranno i romanzi maggiori di Verga.
Una peccatrice risente di una certa enfasi stilistica.
Storia di una capinera
Romanzo di "genere romantico e sentimentale " ricorra ancora alla forma epistolare.
Una giovane educanda, Maria, a causa dello scoppio di una epidemia di colera, abbandona il convento e si ritira in campagna con la famiglia. Durante questo soggiorno si innamora, corrisposta, dio un giovane, Nino, che finirà però con lo sposare la sorellastra di Maria, Giuditta, cui andrà una ricca dote.
Tornata in convento, Maria si macera d'amore per Nino. Assiste dalla terrazza, col cuore spezzato, alle effusioni amorose dei novelli sposi, che sono venuti ad abitare proprio lì vicino. Il dolore, lo strazio condurranno Maria alla morte.
I toni sono spesso melodrammatici e esageratamente sentimentali. I critici, all'uscita del romanzo, vi ravvisarono la tesi sociale della condanna all'istituto della monacazione forzata. È vero, invece, che già in questo romanzo si avvertono il dolore e la solitudine che attanagliano i protagonisti della letteratura verghiana.
Eva
Enrico Lanti, un giovane pittore privo di mezzi, ma sensibile si innamora, essendone ricambiato, di Eva, un'attrice di teatro abituata a corteggiatori facoltosi.
Per amore di Enrico, Eva lascia il teatro, la carriera, il lusso, consapevole che così perderà molto del suo fascino agli occhi del suo nuovo amante.
Infatti, la quotidianità e la mancanza di denaro affievoliscono i sentimenti di Enrico. A questo punto la donna se ne va, riaccendendo in lui l'antica fiamma del desiderio.
Enrico finirà con l'uccidere il nuovo amante di lei e di lì a poco morirà di tisi in seno alla famiglia di origine.
La critica rimprovera a questo romanzo lo stile enfatico e l'aggettivazione troppo pletorica.
Intense le due figure di donna rappresentate: Eva, l'amante in grado di sacrificare tutto sull'altare dell'amore e la madre di Enrico, dignitosa col suo dolore immenso, ma silenzioso e rassegnato.
Nedda
Storia di una raccoglitrice d'olive, una creatura elementare, schiacciata anche nel fisico dalla povertà. Nedda lavora per mantenere la madre ammalata; si innamora di Janu, che viene colpito dalla malaria. Perse tutte le persone a lei care, Nedda rimane sola e disperata, oppressa dalla malvagità e dalle incomprensioni di chi le sta accanto.
L'opera segna il passaggio al "verismo", non è tuttavia un'opera completamente verista. Di verista c'è la concezione della vita, intrisa di amarezza e di fatalismo. Nedda accetta come inevitabile il dolore. Il linguaggio impiegato cerca di essere aderente alla realtà del personaggio rappresentato.
Tigre reale
Giorgio La Ferlita, un giovane siciliano, che ha intrapreso la carriera diplomatica, di bell'aspetto e di esaltata immaginazione si invaghisce della contessa russa Nata, donna avida e capricciosa.
A questa femme fatale fa da contraltare, nel romanzo, Erminia, la moglie siciliana di Giorgio, austera, semplice, dedita agli affetti e alle cure domestiche.
Eros
Il mondo elegante e raffinato è qui fatto oggetto di ironia, se ne denuncia la vacuità.
Alberto Alberti è uno scettico dalla viva intelligenza e dalla esasperata immaginazione, che passa da un amore all'altro.
La cugina Adele cerca di salvarlo dal suo nichilismo sposandolo e dandogli quegli affetti famigliari che gli sono sempre mancati. Ma fallirà. Morirà, anche per colpa del marito, il quale si suicida con un colpo di pistola.
Primavera e altri racconti
Novelle eterogenee, che hanno come denominatore comune l'amore e la ricerca del vero, al di là di ogni scuola letteraria.
Vita dei campi
Riprende l'ambiente e i personaggi di Nedda. Vi è la Sicilia delle classi diseredate. Vi è chi combatte per il pane e la sopravvivenza. I personaggi non sono più animati da passioni intellettualizzate, bensì da problemi pratici, da passioni istintive, non deformate dalla cultura. Si tratta di un mondo di gente semplice, nel quale risulta evidente la dura legge della sopravvivenza.. In evidenza particolare la violenza primitiva delle passioni immediate. Le annotazioni sul paesaggio sono estremamente sobrie.
Questa raccolta di novelle inizia una fase nuova nella produzione di Verga, che assimila la lezione del naturalismo francese. Forte si fa l'aspirazione al vero, alla scientificità, alla oggettività, a quella impersonalità di cui era stato maestro Flaubert.
Si assiste inoltre a una rivoluzione stilistica: l'autore scompare e il suo posto è preso dalla voce narrante popolare.
I Malavoglia
Padron 'Ntoni, capo di una famiglia di Aci Trezza, un paese a nord di Catania, ha un debito con lo zio Crocifisso per una partita di lupini malauguratamente perduta in mare nel naufragio della "Provvidenza", in cui il vecchio capofamiglia perde anche il figlio Bastianazzo.
Per pagare il debito, i Malavoglia compiono rinunce dolorose: sono costretti a vendere la casa del nespolo, che verrà poi ricomprata dal minore dei nipoti di padron 'Ntoni. Numerose le sventure che, nel corso della vicenda, si abbatteranno sulla famiglia. Molti i personaggi che compaiono nella narrazione. Oltre a padron 'Ntoni ci sono: Maruzza, detta la Longa, moglie di Bastianazzo, morirà vittima del colera e i cinque figli: 'Ntoni che, frequentando cattive compagnie finirà in carcere per contrabbando e, uscito dal carcere lascerà il paese; Mena, che, innamorata del carrettiere Alfio, non potrà sposarlo per le difficoltà economiche; Luca, il secondogenito di Bastianazzo, che muore nella battaglia navale di Lissa del 1866; Lia, che, oggetto di pettegolezzi di paese, se ne andrà per fare la prostituta e Alessi, che ricomprerà la casa di famiglia e continuerà l'attività del nonno; inoltre Nunziata (sposerà Alessi); il sensale Pièdipapera; il brigadiere don Michele, Santuzza (l'ostessa).
Padron 'Ntoni è il patriarca della famiglia. Egli trova la forza per combattere la sventura. I tre cardini della sua esistenza sono: la casa del nespolo, l'unità familiare, l'onestà. Il vero vinto del romanzo è il giovane 'Ntoni. La Longa è una donna schiva, riservatissima, ma di affetti profondi. L'amore materno è in lei profondissimo. Si manifesta quando la donna accompagna Luca, quando Luca stesso muore. Ella sembra identificarsi con l'Addolorata.
Aci Trezza è il luogo che vede il corso degli eventi. Povero paese di pescatori, ha vecchie case con gli scogli davanti. Gli avvenimenti politici giungono qui molto attutiti. Vengono recepiti in paese soltanto quegli avvenimenti che incidono profondamente sulla vita della gente. C'è pure qualche sporadico fermento rivoluzionario, per esempio lo speziale, ma prevale il pessimismo nei confronti della giustizia e della sua amministrazione, verso lo stato che ruba gli uomini migliori per arruolarli nell'esercito. L'ambiente è quello tipicamente paesano, che riassume le caratteristiche dell'isola: il pettegolezzo, i luoghi comuni dettati dall'ignoranza. Protagonista del romanzo è, in fondo, tutto il paese. Si è parlato di coralità de I Malavoglia. I personaggi del romanzo non sono generici, ma ogni personaggio ha una propria autonomia artistica.
Il marito di Elena
La protagonista è una sorta di Madame Bovary, insoddisfatta del proprio stato, cui il debole marito ha sacrificato i propri averi per consentirle una vita lussuosa.
Romanzo di analisi psicologica.
Novelle rusticane
Il fattore economica domina povere vite; ci si arrabatta per la roba.
Per le vie
Ambientato a Milano, ha per protagonisti i poveri, i derelitti, gli emarginati, gli umili. I temi trattati sono: la lotta per la vita, le solitudini, le piccole ambizioni, gli egoismi.
Vagabondaggio
Emerge un pessimismo sempre più cupo. Esistenze intrise di gelosia, malinconia, solitudine, egoismo, continuo vagabondare alla ricerca di una condizione migliore.
Mastro don Gesualdo
Gesualdo Motta è un intraprendente e ricco uomo di Vizzini. Si è costruito la sua ricchezza con le sue forti mani di lavoratore. Sposa Bianca Trao, discendente di una nobile famiglia decaduta e con questa progressione sociale aumenta il suo prestigio: i suoi affari migliorano ancora, ma la vita non gli dà che amarezze. La moglie e la figlia non lo amano ed egli morirà di cancro, a Palermo, in una solitudine dolorosa e tragica, nel palazzo del duca di Leyra, marito della figlia Isabella. Partecipano alla vicenda anche altri personaggi: Speranza, sorella di don Gesualdo, il canonico Lupi, la baronessa Rubiera, don Diego e don Ferdinando Trao, fratelli di Bianca, Diodata, la serva devota di don Gesualdo.
Mastro don Gesualdo è un titanico uomo solitario, energico, volonteroso, orgoglioso. Di fronte alle difficoltà e alle inquietudini sa rimboccarsi le maniche, rialzarsi, lottare. La fatica fisica e spirituale cui si assoggetta rende il suo culto per la roba privo di grettezza e di alto valore etico. Ha un bisogno insaziato d'affetto, che né la moglie, gelida e distante, né la figlia che assomiglia come carattere alla madre sanno colmare. La sua morte assurge alla dignità della tragedia. Egli muore solo, in un palazzo che gli è estraneo, fra gente cui è indifferente o inviso, mentre il suo patrimonio viene dilapidato dagli eredi, rendendo vana ogni sua fatica e svuotando di significato la sua esistenza.
Sullo sfondo la storia, il declino fisico e morale della nobiltà siciliana e l'ascesa della borghesia fondiaria.
I ricordi del capitano d'Arce
Racconti che prefigurano l'incompiuto romanzo del ciclo dei vinti La Duchessa di Leyra.
Don Candeloro e C.i.
Racconti di povera gente, avventure di artisti girovaghi, miseri guitti di provincia, storie di arrampicatori sociali, ambienti sociali regolati dalla legge dell'utile.
Il tono usato dall'autore è sarcastico e grottesco.
Dal tuo al mio
Ultimo romanzo di Verga mette in scena il dramma della nobiltà decaduta, ridotta ad arrabattarsi alla bell'e meglio per tirare avanti e nascondere il più possibile la miseria; nel contempo, l'ascesa della piccola borghesia che lotta per impossessarsi della proprietà e la questione "sociale" degli zolfatari.
Rosso Malpelo (commento)
Malpelo può sembrare un malvagio, seppure di una malvagità innocente e selvatica. In realtà la sua malvagità è il modo istintivo con cui egli si difende dagli uomini ed esprime la sua protesta di accattone, di sottoproletario condannato ai ferri, trattato a colpi di badile e di cinghia dal soprastante e persino dai compagni di lavoro. In questa creatura del limbo, costretta a vivere sotterra, ignara di ogni cosa che non siano la fatica e le battiture, è sorta per istinto una filosofia degna del Machiavelli, di una logica implacabile. La malizia è l'unico mezzo che gli è concesso per sfogare il suo oscuro istinto di rivolte, di ribellione inconsapevole. Il linguaggio, che pare derivato tutto dall'ambiente, non rivela mai l'intervento del letterato; come se il paese stesso, o meglio un diarista del popolo, raccontasse la vicende del protagonista.
Interessante anche la tecnica del racconto, che non procede ordinato, conforme ad uno schema logico di vicende, ma per aggiunzioni, riprese, ritorni su motivi tralasciati; quasi si trattasse di una rievocazione corale ad opera di un gruppo di cavatori, dinnanzi a una fiammata di sterpi.
Conclusioni
Nell'opera di Verga sono racchiuse la complessità e la ricchezza della vita. Egli compone, con le sue opere letterarie, un grandioso affresco dell'esistenza passando dai toni malinconici, drammatici, tragici a quelli ironici, comici, umoristici.
Un filo conduttore dell'opera di Verga può essere rinvenuto nell'amore, quello di "lusso", esasperato, verboso, travolgente e quello essenziale e silenzioso delle persone semplici.
Egli, inoltre, procede a uno scavo approfondito della natura umana, analizza e rappresenta l'inesausta lotta per la vita, inscena le solitudini che si sviluppano in un mondo inospitale.
Verga "dà alle sue creature dimensione poetica universale mediante uno stile epico-lirico unico, straordinariamente suggestivo, scaturito da felice "contaminatio" tra lingua e dialetto". (Zappulla Muscarà). D.H. Lawrence definì Verga uno scrittore "omerico", reincarnazione del genio ellenico, il solo scrittore moderno che possa contrapporsi a Dostoevskij.
Fonte: http://www.studenti.it/download/scuole_medie/Giovanni%20Verga.doc
Autore: non indicato nel documento
Collège SISMONDI
Gruppo di italiano
GIOVANNI VERGA. Vita e Opere
1840-1865 |
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Nato a Catania da una nobile famiglia, studiò privatamente con Antonio Abate, un sacerdote di idee liberali; allo sbarco di Garibaldi in Sicilia, fondò il settimanale «Roma degli italiani» e si dedicò al giornalismo politico. |
Amore e patria (1857) |
1865-1872 A Firenze |
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Dopo avervi soggiornato saltuariamente, si trasferì a Firenze nel 1869. Frequentò Francesco Dall'Ongaro (autore di novelle «rusticane»), Prati, Aleardi e Capuana. |
Una peccatrice (1866) |
1872-1893 A Milano |
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Trasferitosi a Milano, frequentò gli «scapigliati» Boito, Praga, Tarchetti. Ampliò sotto questi stimoli il proprio orizzonte culturale; lesse Balzac e Flaubert, i Goncourt e Zola. Si accorse ben presto che la società di «Banche e imprese industriali» era frutto di prevaricazioni e ingiustizie: di qui il progetto del ciclo «I vinti». Nel 1884 diede inizio all'attività teatrale; il dramma Cavalleria rusticana, musicato da Mascagni, inaugurò il teatro verista. Una lite col musicista per questioni di diritti d'autore amareggiò gli ultimi anni milanesi dello scrittore. |
Eva (1873) Nedda (1874) La lupa; In portineria (1898) |
1893-1922 Il ritorno a Catania |
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Fattosi più cupo il suo pessimismo, ripiegò, anche sul piano ideologico, su posizioni reazionarie, convinto dell'inutilità e pericolosità dei tentativi delle masse - che egli vedeva immerse in condizioni di inguaribile ignoranza - di riscattarsi dalle loro condizioni (fu tra i pochi intellettuali italiani che approvarono, nel '98, la sanguinosa repressione di Bava-Beccaris). Scarsa l'attività letteraria dell'ultimo periodo. Morì a Catania il 17 gennaio 1922. |
Dal tuo al mio (1906: prima uscito come romanzo) |
Il Verga «verista»
Componenti culturali e «manifesti»
Come la critica ha rilevato fin dall'inizio, tre fattori concorsero a formare il retroterra dell'arte verghiana, chiaramente espressi in altrettanti «manifesti»:
- l'evoluzionismo (prefazione ai Malavoglia);
- la questione meridionale (Fantasticheria);
- il naturalismo (dedica a S. Farina).
- L'evoluzionismo: da questa dottrina Verga derivò il senso della vita come lotta, individuale e di classe, «che produce la fiumana» del progresso. Ma l'ottimismo positivistico era estraneo a Verga, che, come leggiamo nella prefazione ai Malavoglia, vedeva il progresso attuarsi sempre a spese dei singoli, di quei «vinti che levano le braccia disperate e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d'oggi... che saranno sorpassati domani». Di qui l'idea, (espressa nello stesso «manifesto») del ciclo «I vinti», con esempi colti ad ogni livello della scala sociale: I Malavoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso. Di questi romanzi però solo i primi due videro la luce.
- La questione meridionale: le inchieste parlamentari sulla situazione del Mezzogiorno indussero lo scrittore a verificare proprio sulla sua terra l'ineluttabilità delle leggi economiche e di classe, contro le quali riteneva inutile, anzi esiziale ribellarsi. In Fantasticheria, una novella di Vita dei campi, rievocando con un'amica dell'alta società una vacanza trascorsa insieme ad Aci Trezza, tra piccola gente (i futuri personaggi dei Malavoglia), attaccata con strenua tenacia ai suoi affetti e alla sua casa, Verga tesse l'elogio della «morale dell'ostrica»: guai a staccarsene, ché, allorquando uno «per brama di meglio» volle tentare la sortita dal suo ambiente, «il mondo, da pesce vorace ch'egli è, se lo ingoiò, e i suoi prossimi con lui». Traspare chiaramente l'ideologia conservatrice di Verga, caratterizzata da una considerazione passiva, sebbene pietosa, delle pene degli «umili».
- Il naturalismo francese: stimolando la coscienza critica di un processo di conquista stilistica già da tempo in atto, guidò lo scrittore alla formulazione del principio dell'impersonalità, l'unico che gli sembrava adeguarsi alla obiettiva realtà storico-sociale che andava scoprendo: «Quando nel romanzo l'affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa, che il processo della creazione rimarrà un mistero (...) allora avrà l'impronta dell'avvenimento reale, l'opera d'arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore, alcuna macchia del peccato d'origine» (dalla dedica a Salvatore Farina di L'amante di Gramigna, in Vita dei Campi).
«Vita dei campi» (1880)
I temi ...
- In Vita dei campi (nove racconti tra cui La lupa, Cavalleria rusticana, Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, L'amante di Gramigna)il principio dell'impersonalità trova la sua prima espressione compiuta attraverso la rappresentazione obiettiva, anche se umanamente partecipe, dei meccanismi che regolano la vita, delle lotte feroci che essa impone, dell'irriducibile destino di sconfitta che grava sui deboli.
- Tuttavia emerge ancora dalla raccolta la sacralità di certi principi elementari che Verga vede inviolati nel mondo contadino della sua terra: principi che si manifestano in modo ancora mitico, attraverso una sorta di arcaica liturgia. La Lupa, nella novella omonima, sa che il genero, col quale ha stretto un legame incestuoso, la ucciderà, ma quando vede di lontano la falce dell'uomo brillare al sole, va consapevole incontro alla morte, che accetta come necessaria conseguenza della sua aberrante passione. Anche in Cavalleria rusticana la legge dell'onore si mescola a quella del sangue, secondo un rituale antichissimo, residuo di una civiltà primitiva, agli albori della storia.
- Talvolta la lotta per l'esistenza si configura come conflitto - di matrice ancora romantica - tra l'individuo, originariamente buono, e la società corrotta e corruttrice, perché intessuta di un gioco di egoismi che tendono a soverchiarsi. Ma il «primitivo» verghiano, pur ribellandosi ai comportamenti di questa società, è un vinto in partenza: Jeli il pastore si ribella al «signorino», che gli ha rubato la moglie e l'onore, e lo uccide, ma andrà in galera; Rosso Malpelo riesce in apparenza ad adeguarsi alle leggi della giungla (e si chiede perché la madre di Ranocchio morente si disperi «come se il figlio fosse di quelli che guadagnano dieci lire la settimana»), ma alla fine si rassegna alla sconfitta, e sparisce nella cava durante un'esplorazione che egli sa senza ritorno.
…e le tecniche
La vera novità della raccolta consiste nella tecnica narrativa, legata al principio dell'impersonalità.
Vari i procedimenti:
- Il «discorso indiretto libero», o «parlato filtrato» o «discorso rivissuto», (erlebte Rede). L'autore conduce la narrazione adottando il punto di vista o della comunità paesana (il «coro» paesano) o di un personaggio, regredendo alloro livello culturale e sociale: «Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi: ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo».
- A tal fine, è frequente il ricorso ad una sintassi zoomorfa, con paragoni tratti dalla vita animale, cioè dal mondo contadino in cui i personaggi si muovono.
- A questo «piano della regressione» si contrappone e si alterna il «piano oggettivo» che definisce la realtà storica della situazione.
Le «Novelle rusticane» (1883) e la «roba»
Le leggi ferree dell'economia possono corrompere anche il mondo «naturale» e i suoi valori: a questa più desolata conclusione giunge Verga nelle Novelle rusticane (Il reverendo, Pane nero, Malaria, La roba, Libertà ecc.), che si differenziano dalla prima raccolta proprio per questa insistenza sul motivo della «roba» («lì guaio è che non siamo ricchi, per volerci sempre bene», dice un personaggio di Pane nero).
- In Libertà la speranza della roba (e cioè della terra, nella quale s'identificava per la povera gente la «libertà» promessa dai garibaldini) travolge i contadini di Bronte in un'ubriacatura di sangue e di barbarica ferocia, che rivela un mondo sconvolto, sradicato da quelle leggi - frutto di una cultura e un costume patriarcali - che sembravano sorreggere, nonostante tutto, il mondo dei Malavoglia. Ma non meno spietata è la repressione di Bixio (l'episodio è storico), che infierisce con arresti e fucilazioni, finché tutto torna come prima: ai villani, di nuovo «col berretto in mano» di fronte ai padroni, rimarrà la persuasione che «all'aria ci vanno i cenci».
Le dure leggi nelle quali il «positivista» Verga crede fino in fondo - rigide e implacabili leggi «naturali» - tracciano nella novella il diagramma di un'esistenza dominata dal dolore: cosicché la lotta per la sopravvivenza appare più disumana per la inutilità e pericolosità inerente ai tentativi di mutare le cose, specie da parte dei ceti subalterni, secondo l'autore atavicamente irresponsabili e inetti.
- Libertà, come le altre novelle della raccolta, ha una cadenza ampia e grave, ottenuta mediante un periodare singolarmente ricco, che sviluppa in modo sinfonico, attraverso l'«indiretto libero» e il lessico popolareggiante, un gioco di «variazioni sul tema», che è comune a tutte le Rusticane.
Novità di Verga
Verga tra positivismo e incipiente decadentismo
- In un periodo in cui la lingua letteraria oscillava tra la restaurazione aulica di Carducci e il culto dannunziano della parola, Verga proponeva una soluzione linguistica popolare, pur senza ricorrere al dialetto.
- In una temperie psicologica in cui la narrativa «rusticale» e «sociale» manifestava accenti di sdegno e ambizioni di denuncia, ma non usciva in realtà da un patetico filantropismo (Dal l'Ongaro, Percoto, De Amicis, Fucini, Serao), Verga rappresentava con scarna obiettività un mondo negato alla speranza, aspro e severo, chiuso nella sua quotidiana fatica di vivere.
- Diverso e autonomo il suo «verismo» rispetto al naturalismo francese: oltre che per i motivi più evidenti legati al diverso ambiente rappresentato, anche perché privo di quella spinta combattiva che era il presupposto dello zoliano «romanzo a tesi», e che poteva nascere solo dalla fiducia in una possibile evoluzione positiva della società e della storia.
- Al contrario, l'opera di Verga, pur rappresentando sul piano letterario l'espressione più alta della cultura positivistica, perviene ad un'interpretazione dell'esistenza come solitudine - donde la chiusura sociale - e cosmica infelicità, che ha punti in comune con la visione decadente.
Da: F. GAVINO OLIVIERI, Storia della letteratura italiana '800 - '900, Nuove edizioni del Giglio, 1987, pp. 96-101.
Fonte: http://italiano.sismondi.ch/letteratura/autori/Verga/VERGA_bio-biblio.doc
Autore: non indicato nel documento
Giovanni Verga
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