Alessandro Manzoni poesie e analisi del testo

 

 

 

Alessandro Manzoni poesie e analisi del testo

 

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Alessandro Manzoni poesie e analisi del testo

 

Alessandro Manzoni

 

Marzo 1821

 

Manzoni scrisse quest'ode a metà del marzo 1821, quando sembrava che l'esercito sabaudo, sotto la reggenza di Carlo Alberto, dovesse oltrepassare il confine sul Ticino e combattere insieme ai lombardi che si erano sollevati contro il dominio austriaco. Le attese non furono soddisfatte, anzi il re Carlo Felice, subentrato al reggente, inasprì la repressione contro i patrioti. La lirica non fu pubblicata, anche per ragioni di sicurezza personale; pare anzi che l'autore la bruciasse, per poi riscriverla a memoria nel '48, quando, in coincidenza con le Cinque Giornate di Milano, fu data alle stampe.

 

METRO

Ode di tredici strofe di otto decasillabi, ognuna delle quali si compone di due metà metricamente uguali: il quarto e l'ottavo verso sono tronchi e rimano tra loro, gli altri sono piani; il secondo e il terzo sono in rima baciata, così come il sesto e il settimo. Lo schema è abbcdeec (solo nella prima strofa il primo verso rima col quinto).

 

I

1      Soffermati sull'arida sponda,

2 volti i guardi al varcato Ticino ,

3 tutti assorti nel novo destino ,

4 certi in cor dell'antica virtù

5 han giurato: non fia che quest'onda

6 scorra più tra due rive straniere:

7 non fia loco ove sorgan barriere

8 tra l'Italia e l'Italia, mai più !

 

II

9      L'han giurato: altri forti a quel giuro

10 rispondean da fraterne contrade,

11 affilando nell'ombra le spade

12 che or levate scintillano al sol .

13 Già le destre hanno strette le destre;

14 già le sacre parole son porte :

15 o compagni sul letto di morte,

16 o fratelli su libero suol.

 

III

17      Chi potrà della gemina Dora,

18 della Bormida al Tanaro sposa,

19 del Ticino e dell'Orba selvosa

20 scerner l'onde confuse nel Po;

21 chi stornargli del rapido Mella

22 e dell'Oglio le miste correnti,

23 chi ritogliergli i mille torrenti

24 che la foce dell'Adda versò,

 

IV

25      quello ancora una gente risorta

26 potrà scindere in volghi spregiati,

27 e a ritroso degli anni e dei fati,

28 risospingerla ai prischi dolor :

29 una gente che libera tutta,

30 o fia serva tra l'Alpe ed il mare ;

31 una d'arme, di lingua, d'altare,

32 di memorie, di sangue e di cor .

 

V

33      Con quel volto sfidato e dimesso ,

34 con quel guardo atterrato ed incerto ,

35 con che stassi un mendico sofferto

36 per mercede nel suolo stranier ,

37 star doveva in sua terra il Lombardo;

38 l'altrui voglia era legge per lui ;

39 il suo fato, un segreto d'altrui ;

40 la sua parte , servire e tacer.

 

VI

41      O stranieri, nel proprio retaggio

42 torna Italia, e il suo suolo riprende;

43 o stranieri, strappate le tende

44 da una terra che madre non v'è.

45 Non vedete che tutta si scote,

46 dal Cenisio alla balza di Scilla ?

47 non sentite che infida vacilla

48 sotto il peso de' barbari piè ?

 

VII

49      O stranieri! sui vostri stendardi

50 sta l'obbrobrio d'un giuro tradito ;

51 un giudizio da voi proferito

52 v'accompagna all'iniqua tenzon

53 voi che a stormo gridaste in quei giorni :

54 Dio rigetta la forza straniera;

55 ogni gente sia libera, e pera

56 della spada l'iniqua ragion .

 

VIII

57      Se la terra ove oppressi gemeste

58 preme i corpi de' vostri oppressori,

59 se la faccia d'estranei signori

60 tanto amara vi parve in quei dì ;

61 chi v'ha detto che sterile, eterno

62 saria il lutto dell'itale genti?

63 chi v'ha detto che ai nostri lamenti

64 saria sordo quel Dio che v'udì?

 

IX

65      sì, quel Dio che nell'onda vermiglia

66 chiuse il rio che inseguiva Israele ,

67 quel che in pugno alla maschia Giaele

68 pose il maglio , ed il colpo guidò;

69 quel che è Padre di tutte le genti,

70 che non disse al Germano giammai:

71 va, raccogli ove arato non hai ;

72 spiega l'ugne ; l'Italia ti do.

 

X

73      Cara Italia! dovunque il dolente

74 grido uscì del tuo lungo servaggio;

75 dove ancor dell'umano lignaggio,

76 ogni speme deserta non è

77 dove già libertade è fiorita,

78 dove ancor nel segreto matura,

79 dove ha lacrime un'alta sventura

80 non c'è cor che non batta per te.

 

XI

81      Quante volte sull'Alpe spiasti

82 l'apparir d'un amico stendardo!

83 quante volte intendesti lo sguardo

84 ne' deserti del duplice mar!

85 ecco alfin dal tuo seno sboccati ,

86 stretti intorno a' tuoi santi colori ,

87 forti, armati de' propri dolori ,

88 i tuoi figli son sorti a pugnar.

 

XII

89      Oggi, o forti, sui volti baleni

90 il furor delle menti segrete :

91 per l'Italia si pugna, vincete!

92 il suo fato sui brandi vi sta .

93 O risorta per voi la vedremo

94 al convito de' popoli assisa ,

95 o più serva, più vil, più derisa,

96 sotto l'orrida verga starà.

 

XIII

97      Oh giornate del nostro riscatto!

98 oh dolente per sempre colui

99 che da lunge, dal labbro d'altrui,

100 come un uomo straniero, le udrà!

101 che a' suoi figli narrandole un giorno,

102 dovrà dir sospirando: io non c'era;

103 che la santa vittrice bandiera

104 salutata quel dì non avrà.

 

 

 

 


ANALISI

 

L'ode ha come intestazione la dedica a Toedoro Koerner, poeta tedesco che lavorò per la corte di Vienna, morto giovanissimo combattendo come volontario contro Napoleone. La dedica ha una duplice funzione: serve ad escludere un nazionalismo unilaterale, suscitatore di odio indiscriminato nei confronti del popolo avversario, e vale a richiamare il fatto che anche i popoli germanici hanno dovuto soffrire e combattere per la libertà in un passato recente e perciò dovrebbero riconoscere le istanze patriottiche italiane. Entrambe le puntualizzazioni rientrano nel quadro ideologico manzoniano, ben presente in Marzo 1821: l'affermazione teologica che Dio "è Padre di tutte le genti" (v.69) non può consentire che sul piano etico-politico si mettano gli interessi della propria nazione al di sopra di quelli delle altre; perciò la rivendicazione della libertà e dell'indipendenza potrà avvenire solo secondo un'idea di giustizia superiore, fondata in Dio, che tutte le parti devono riconoscere. Da tale impostazione di pensiero deriva, nell'ode, l'insistenza nel sottolineare che i patrioti italiani stanno dalla parte del giusto, mentre i nemici austriaci sono nel torto, e ciò è dimostrato per mezzo delle loro stesse parole (cfr. vv. 49-56).

Quando Carducci biasimava in Marzo 1821 il tono troppo cristiano e troppo meditativo, incapace - a suo dire - di «alimentare l'odio e l'entusiasmo», e proponeva, a tutto sfavore dell'ode manzoniana, il confronto con Il giuramento di Pontida di Berchet, non faceva altro che rimarcare l'evidente distanza ideologica tra sé e Manzoni; tuttavia, le sue osservazioni ci invitano a mettere in luce una contraddizione o, almeno, una singolarità stilistica insita in Marzo 1821, che nasce proprio dall'esortare alla guerra, ma senza odio per il nemico, dallo spingere all'azione, ma fermandosi a meditare.

L'ode civile di Manzoni contiene molti dei moduli espressivi tipici della lirica patriottica. Innanzi tutto, il ritmo si presta ad un facile apprendimento mnemonico: la marcata cadenza dei decasillabi non è quasi mai attenuata da enjambement,  ed è sempre di nuovo conclusa, nel breve giro di quattro versi, dalla battuta forte del verso tronco. Tuttavia, la facile cantabilità del metro appare troppo meccanica quando, nella parte centrale della lirica, deve esprimere periodi e concetti più complessi.

Un'altra scelta stilistica consueta nella poesia risorgimentale è l'ampio uso di sineddochi e metonimie: nel nostro caso abbiamo la serie di parole-chiave "onda", "rive", "spade", "altare", "sangue", "suolo", "terra", "ugne", "stendardo", santi colori", "brandi", "orrida verga"; inoltre appartengono concettualmente allo stesso tipo di figura retorica l'espressione "le destre hanno stretto le destre", la menzione dei molti affluenti alpini del Po per significare le regioni del Piemonte e della Lombardia, la designazione dell'intera Italia per mezzo delle sue estremità ("tra l'Alpe e il mare", "Dal Cenisio alla balza di Scilla"), l'immagine del "maglio" posto "in pugno" a Giaele.

Sul piano tematico, poi, è dato ampio spazio all'idea dell'ora decisiva, sviluppata attraverso i temi del giuramento, del destino, della storia che giunge a un bivio. Anche questi sono luoghi comuni della letteratura politica, e nazionalistica in particolare. Il giuramento compare, ad es., anche nell'inno di Mameli e nel già ricordato Giuramento di Pontida. Il campo semantico del destino è toccato esplicitamente almeno tre volte (vv. 4, 27, 92) e ad esso si connette un perentorio aut-aut, che appare a sua volta come la prosecuzione della formula del giuramento: o l'Italia sarà "libera tutta, / O fia serva tra l'Alpe ed il mare", "O risorta per voi la vedremo /...O più serva, più vil, più derisa, ecc.". Anche il lungo e affollato adynaton che riempie tutta la terza strofa convalida l'idea di destino, poiché sta a significare che la fusione delle genti italiane in una sola nazione è fatale come è fatale che le acque dei fiumi padani si mescolino nel Po. Il linguaggio del destino si colora, come spesso avviene, di intonazioni religiose: troviamo allora "le sacre parole", i "santi colori", l'Italia "risorta" "al convito dei popoli assisa" (che è immagine biblica ed escatologica, qui degradata a valore laico e mondano), "la santa vittrice bandiera". Si può subito osservare che questo lessico religioso non contiene nulla di propriamente cristiano.

Non è difficile immaginare che con l'insieme di queste scelte stilistiche Manzoni intendesse dare ai suoi versi proprio quel carattere di entusiasmo patriottico che secondo Carducci non è stato ottenuto. In realtà, in Marzo 1821, gli elementi comuni della poesia politico-nazionalistica si mescolano in un impasto non omogeneo con temi di andamento più meditativo; questi occupano soprattutto le strofe centrali dell'ode. La quinta raffigura con evidenza e drammaticità pittorica il quadro storico della Lombardia dominata, attraverso i tratti fisionomici (il "volto", il "guardo") del "mendico sofferto / per mercede" e attraverso un gioco efficace di contrapposizioni ("suolo straniero" - "sua terra"; "altrui voglia" - "legge per lui"; "suo fato" - "segreto d'altrui"). Le strofe dalla settima alla nona costituiscono il nucleo morale e religioso della poesia: qui, come si diceva sopra, la questione dell'indipendenza nazionale viene vista non solo in ragione delle esigenze italiane, ma alla luce di un principio universale di giustizia che gli austriaci hanno prima affermato a loro favore e poi trasgredito. Qui la generica e ambigua religiosità del "destino" viene ricondotta ad uno dei temi fondamentali della fede biblica: Dio ascolta le invocazioni degli uomini ed interviene nella storia. E' questo uno dei motivi di più profonda meditazione nella spiritualità manzoniana, ma esso è oggetto di una sensibile evoluzione. Nelle odi civili, sia pure in maniera via via più sfumata, il poeta sembra “sapere” dove si trovi la Provvidenza, con chi si schieri e a chi, di conseguenza, debba assicurare la vittoria. In Aprile 1814 l'appoggio divino è visto dalla parte della coalizione antinapoleonica ("dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto", v.64) per ridare libertà ai popoli europei. L'anno dopo, nel Proclama di Rimini, è Murat (cognato e generale di Napoleone) a combattere, come Mosè, col favore di Dio. Ma già nel Cinque maggio, di pochi mesi posteriore a Marzo 1821, e poi nell'Adelchi, nel romanzo, in quel lacerante frammento che è Natale del 1833 la presenza di Dio nel mondo si manifesta per vie misteriose, non attraverso il trionfo sullo scenario del mondo, ma piuttosto nella solitudine e nello scacco, «dov'è silenzio e tenebre la gloria che passò». (G.D.)

Il Cinque Maggio

 

Il 5 maggio del 1821 Napoleone moriva nell'esilio dell'isola di Sant'Elena, nel centro dell'Atlantico. La sua scomparsa destò un'enorme impressione, nonostante l'imperatore fosse uscito di scena ormai da sei anni.

Si racconta che Manzoni, profondamente colpito da quella morte, compose l'ode in soli tre giorni. La straordinaria esistenza di Bonaparte rappresentava, ai suoi occhi, la manifestazione più emblematica del raggiungimento della gloria mondana e della sua eclissi. La morte pone gloria e caduta di fronte al giudizio della storia e soprattutto a quello di Dio.

 

METRO

Diciotto strofe di  sei settenari ciascuna. Il primo, il terzo e il quinto verso sono sdruccioli e privi di rima; il secondo e il quarto sono piani e rimanti tra loro; la rima tronca del sesto verso lega le strofe a due a due.

 

I

1      Ei fu . Siccome immobile,

2 dato il mortal sospiro,

3 stette la spoglia immemore

4 orba di tanto spiro,

5 così percossa, attonita

6 la terra al nunzio sta ,

 

II

7      muta pensando all'ultima

8 ora dell'uom fatale ;

9 né sa quando una simile

10 orma di piè mortale

11 la sua cruenta polvere

12 a calpestar verrà .

 

III

13      Lui folgorante in solio

14 vide il mio genio e tacque ;

15 quando, con vece assidua ,

16 cadde, risorse e giacque ,

17 di mille voci al sonito

18 mista la sua non ha :

 

IV

19      vergin di servo encomio

20 e di codardo oltraggio ,

21 sorge or commosso al subito

22 sparir di tanto raggio ;

23 e scioglie all'urna un cantico

24 che forse non morrà.

 

V

25      Dall'Alpi alle Piramidi,

26 dal Manzanarre al Reno ,

27 di quel securo il fulmine

28 tenea dietro al baleno ;

29 scoppiò da Scilla al Tanai,

30 dall'uno all'altro mar .

 

VI

31      Fu vera gloria? Ai posteri

32 l'ardua sentenza ; nui

33 chiniam la fronte al Massimo

34 Fattor, che volle in lui

35 del creator suo spirito

36 più vasta orma stampar .

 

VII

37      La procellosa e trepida

38 gioia d'un gran disegno ,

39 l'ansia d'un cor che indocile

40 serve pensando al regno;

41 e il giunge, e tiene un premio

42 ch'era follia sperar ;

 

VIII

43      tutto ei provò: la gloria

44 maggior dopo il periglio ,

45 la fuga e la vittoria,

46 la reggia e il tristo esiglio:

47 due volte nella polvere ,

48 due volte sull'altar .

 

IX

49      Ei si nomò: due secoli,

50 l'un contro l'altro armato,

51 sommessi a lui si volsero,

52 come aspettando il fato;

53 ei fe' silenzio, ed arbitro

54 s'assise in mezzo a lor .

 

X

55      E sparve , e i dì nell'ozio

56 chiuse in sì breve sponda ,

57 segno d'immensa invidia

58 e di pietà profonda,

59 d'inestinguibil odio

60 e d'indomato amor.

 

XI

61      Come sul capo al naufrago

62 l'onda s'avvolve e pesa,

63 l'onda su cui del misero,

64 alta pur dianzi e tesa,

65 scorrea la vista a scernere

66 prode remote invan;

 

XII

67      tal su quell'alma il cumulo

68 delle memorie scese!

69 oh quante volte ai posteri

70 narrar sé stesso imprese ,

71 e sull'eterne pagine

72 cadde la stanca man!

 

XIII

73      Oh quante volte, al tacito

74 morir d'un giorno inerte ,

75 chinati i rai fulminei ,

76 le braccia al sen conserte,

77 stette, e dei dì che furono

78 l'assalse il sovvenir!

 

XIV

79      E ripensò le mobili

80 tende , e i percossi valli ,

81 e il lampo de' manipoli ,

82 e l'onda dei cavalli ,

83 e il concitato imperio ,

84 e il celere ubbidir.

 

XV

85      Ahi! forse a tanto strazio

86 cadde lo spirto anelo,

87 e disperò; ma valida

88 venne una man dal cielo ,

89 e in più spirabil aere

90 pietosa il trasportò;

 

XVI

91      e l'avviò, pei floridi

92 sentier della speranza,

93 ai campi eterni , al premio

94 che i desidéri avanza ,

95 dov'è silenzio e tenebre

96 la gloria che passò .

 

XVII

97      Bella Immortal! benefica

98 fede ai trionfi avvezza!

99 scrivi ancor questo , allegrati;

100 ché più superba altezza

101 al disonor del Golgota

102 giammai non si chinò .

 

XVIII

103      Tu dalle stanche ceneri

104 sperdi ogni ria parola :

105 il Dio che atterra e suscita,

106 che affanna e che consola ,

107 sulla deserta coltrice

108 accanto a lui posò .

 

 

ANALISI

 

Ciò che per prima cosa colpisce l'orecchio, alla lettura del Cinque maggio è il ritmo fortemente scandito dei suoi settenari. L'abbondante presenza di versi sdruccioli comporta, oltre alla scelta di un certo numero di latinismi (solio, sonito, subito, Tanai, scernere, manipoli, floridi, coltrice), il continuo ritrarsi e allungarsi della cadenza e l'uso frequente dell'enjambement. Le parole sdrucciole, infatti, sono in maggioranza aggettivi e avverbi (immobile, immemore, attonita, subito, ecc.), categorie grammaticali che raramente concludono la proposizione. Le inarcature dopo i versi sdruccioli risultano, perciò, marcate dal sovrapporsi di due opposte tensioni: quella a staccare i versi, dovuta alla metrica (lunga pausa bisillabica dopo l'ultimo accento), e quella a legare i versi, dovuta alla sintassi. Anche all'inizio del verso, Manzoni opera in modo da evitare una monotona uniformità ritmica dei settenari; il tipo di verso scelto, piuttosto breve, permette la prima battuta solo sulla prima o la seconda sillaba, ma questa possibilità di variazione è sfruttata appieno, con una continua alternanza delle due scansioni ritmiche iniziali, che producono una cadenza palpitante, come di sistole e diastole.

 

La sintassi dell'ode alterna frequentemente (specie nella prima metà) sentenze concise e proposizioni più ampie; ne risulta così un ritmo espressivo oscillante tra contrazioni e rilassamenti, che riprende, sotto un altro aspetto, lo stesso movimento già notato a livello metrico. Si prendano ad esempio i primi due periodi: il primo occupa due sillabe (Ei fu), il secondo si stende sino al termine della seconda strofa, e mentre uno consiste in una sola proposizione, l'altro è composto da una principale e da quattro subordinate. La forma sintattica dei periodi tende ad imitare gli stati emotivi suggeriti dal contenuto. Dopo l' Ei fu iniziale, altre frasi brevissime e analoghe alla prima per costruzione (tutto ei provò...Ei si nomò... ei fe' silenzio...E sparve) segnano i nodi essenziali della narrazione. Quando l'atteggiamento è riflessivo, le frasi si dispongono con complesse articolazioni di subordinate, inversioni sintattiche e ricchezza di aggettivazione (vedi ad es. i vv 1b-12, 19-24, 32b-36, 61-68, 91-96, 99-102). Per contro, le serie di parole coordinate o correlate compaiono nella III strofa (cadde, risorse e giacque), ritornano nella V (Dall'Alpi alle Piramidi...) per culminare nell'VII, occupata da un solo verbo, dalla sequenza di cinque complementi diretti e da una duplice frase nominale (due volte nella polvere, / due volte sull'altar). La presenza via via più ampia della paratassi, nelle prime strofe, corrisponde all'accentuarsi della concitazione narrativa ed emotiva. Dalla X strofa in poi, l'ode è complessivamente dominata da un tono meditativo, ma nella XVI strofa, dove il turbinoso movimento delle azioni militari riprende forma nel ricordo, ricompare il ritmo incalzante e la costruzione paratattica dell'VIII.

 

Anche a livello tematico, l'ode può essere suddivisa in due sezioni, che hanno rispettivamente per oggetto il tempo della gloria e il tempo del silenzio nella vita di Napoleone. Nella prima, l'immagine dell'ex imperatore morto costringe il poeta - e il mondo intero - a rievocare la storia grandiosa delle sue imprese (vv. 1-54). La decima strofa fa da cerniera tra le due parti: segnala il permanere dei sentimenti suscitati dal Bonaparte (invidia, pietà, odio, amor), e l'uscita della sua persona dalla scena politica (espressa in modo lapidario: E sparve). Nella seconda sezione dell'ode (vv. 61-87), si smorzano di colpo i clamori e le accese emozioni della ribalta mondana, e il testo si volge a raffigurare la vita interiore e sconosciuta di Napoleone in esilio. Già nelle prime strofe il poeta si è dichiarato immune da sentimenti personali nei confronti del grande personaggio e si ritiene  perciò abilitato a penetrare nel segreto di quell'anima.

Le strofe dedicate all'isolamento di Sant'Elena racchiudono, a loro volta, due movimenti simmetrici e opposti alla parabola politica del Bonaparte: la caduta (ma questa volta spirituale, nella disperazione) e la risalita (nella speranza religiosa). L'intera esistenza di Napoleone appare allora una vicenda esemplare sulla quale sviluppare una riflessione morale. Nonostante la rapida stesura, il Cinque maggio non è affatto una lirica improvvisata, ma nasce dalla lunga meditazione sulla sorte degli uomini, ed è pertanto legata agli Inni sacri (C.F. Goffis); la composizione dell'ode avvenne infatti durante il travagliato periodo di gestazione della Pentecoste, con cui presenta contatti linguistici, figurativi e concettuali.

(G.D.)

 


Il Natale

 

Secondo l'ordine delle feste liturgiche, "Il Natale" è la prima lirica del ciclo degli "Inni Sacri". Il racconto della nascita di Gesù, che segue la narrazione evangelica unendo ad essa il colore delle rappresentazioni popolari, è inserito nel contesto di un denso discorso teologico, nel quale si confrontano la Natura, incapace di salvare l'uomo, e la Grazia redentrice. Il rapporto tra Grazia e Natura fu al centro della riflessione teologica del giansenismo, del quale alcuni critici vedono in questo inno più di un'eco.

 

 

METRO

Sedici strofe di sette settenari ciascuna, legate a coppie dalla rima tronca del verso finale; il primo e terzo verso sono sdruccioli e liberi da rima; il secondo e quarto sono piani e rimano tra loro; il quinto e sesto, piani, sono a rima baciata.

 

 

I

1      Qual masso che dal vertice

2 di lunga erta montana,

3 abbandonato all'impeto

4 di rumorosa frana,

5 per lo scheggiato calle

6 precipitando a valle,

7 batte sul fondo e sta;

 

II

8      là dove cadde, immobile

9 giace in sua lenta mole;

10 né, per mutar di secoli,

11 fia che riveda il sole

12 della sua cima antica,

13 se una virtude amica

14 in alto nol trarrà:

 

III

15      tal si giaceva il misero

16 figliol del fallo primo,

17 dal dì che un'ineffabile

18 ira promessa all'imo

19 d'ogni malor gravollo,

20 donde il superbo collo

21 più non potea levar.

 

IV

22      Qual mai tra i nati all'odio,

23 quale era mai persona

24 che al Santo inaccessibile

25 potesse dir: perdona?

26 far novo patto eterno?

27 al vincitore inferno

28 la preda sua strappar?

 

V

29      Ecco ci è nato un Pargolo,

30 ci fu largito un Figlio:

31 le avverse forze tremano

32 al mover del suo ciglio:

33 all'uom la mano Ei porge,

34 che si ravviva, e sorge

35 oltre l'antico onor.

 

VI

36      Dalle magioni eteree

37 sgorga una fonte, e scende,

38 e nel borron de' triboli

39 vivida si distende:

40 stillano mele i tronchi

41 dove copriano i bronchi,

42 ivi germoglia il fior.

 

VII

43      O Figlio, o Tu cui genera

44 l'Eterno, eterno seco;

45 qual ti può dir de' secoli:

46 Tu cominciasti meco?

47 Tu sei: del vasto empiro

48 non ti comprende il giro:

49 la tua parola il fe'.

 

VIII

50      E Tu degnasti assumere

51 questa creata argilla?

52 qual merto suo, qual grazia

53 a tanto onor sortilla

54 se in suo consiglio ascoso

55 vince il perdon, pietoso

56 immensamente Egli è.

 

IX

57      Oggi Egli è nato: ad Efrata,

58 vaticinato ostello,

59 ascese un'alma Vergine,

60 la gloria d'Israello,

61 grave di tal portato

62 da cui promise è nato,

63 donde era atteso uscì.

 

X

64      La mira Madre in poveri

65 panni il Figliol compose,

66 e nell'umil presepio

67 soavemente il pose;

68 e l'adorò: beata!

69 innanzi al Dio prostrata,

70 che il puro sen le aprì.

 

XI

71      L'Angel del cielo, agli uomini

72 nunzio di tanta sorte,

73 non de' potenti volgesi

74 alle vegliate porte;

75 ma tra i pastor devoti,

76 al duro mondo ignoti,

77 subito in luce appar.

 

XII

78      E intorno a lui per l'ampia

79 notte calati a stuolo,

80 mille celesti strinsero

81 il fiammeggiante volo;

82 e accesi in dolce zelo,

83 come si canta in cielo

84 A Dio gloria cantar.

 

XIII

85      L'allegro inno seguirono,

86 tornando al firmamento:

87 tra le varcate nuvole

88 allontanossi, e lento

89 il suon sacrato ascese,

90 fin che più nulla intese

91 la compagnia fedel.

 

XIV

92      Senza indugiar, cercarono

93 l'albergo poveretto

94 que' fortunati, e videro,

95 siccome a lor fu detto

96 videro in panni avvolto,

97 in un presepe accolto,

98 vagire il Re del Ciel.

 

XV

99      Dormi, o Fanciul; non piangere;

100 dormi, o Fanciul celeste:

101 sovra il tuo capo stridere

102 non osin le tempeste,

103 use sull'empia terra,

104 come cavalli in guerra,

105 correr davanti a Te.

 

XVI

106      Dormi, o Celeste: i popoli

107 chi nato sia non sanno;

108 ma il dì verrà che nobile

109 retaggio tuo saranno;

110 che in quell'umil riposo,

111 che nella polve ascoso,

112 conosceranno il Re.

 

 

 

La Pentecoste

(1822)

 

I

1      Madre de' Santi; immagine

2 della città superna;

3 del Sangue incorruttibile

4 conservatrice eterna;

5 tu che, da tanti secoli,

6 soffri, combatti e preghi;

7 che le tue tende spieghi

8 dall'uno all'altro mar;

 

II

9      campo di quei che sperano;

10 Chiesa del Dio vivente;

11 dov'eri mai? qual angolo

12 ti raccogliea nascente,

13 quando il tuo Re, dai perfidi

14 tratto a morir sul colle,

15 imporporò le zolle

16 del suo sublime altar?

 

III

17      e allor che dalle tenebre

18 la diva spoglia uscita,

19 mise il potente anelito

20 della seconda vita

21 e quando, in man recandosi

22 il prezzo del perdono,

23 da questa polve al trono

24 del Genitor salì;

 

IV

25      compagna del suo gemito,

26 conscia de' suoi misteri,

27 tu, della sua vittoria

28 figlia immortal, dov'eri?

29 in tuo terror sol vigile,

30 sol nell'obblio secura,

31 stavi in riposte mura,

32 fino a quel sacro dì,

 

V

33      quando su te lo Spirito

34 rinnovator discese

35 e l'inconsunta fiaccola

36 nella tua destra accese;

37 quando, segnal de' popoli,

38 ti collocò sul monte,

39 e ne' tuoi labbri il fonte

40 della parola aprì.

 

VI

41      Come la luce rapida

42 piove di cosa in cosa,

43 e i color vari suscita

44 dovunque si riposa;

45 tal risonò moltiplice

46 la voce dello Spiro:

47 l'Arabo, il Parto, il Siro

48 in suo sermon l'udì.

 

VII

49      Adorator degl'idoli,

50 sparso per ogni lido,

51 volgi lo sguardo a Solima,

52 odi quel santo grido:

53 stanca del vile ossequio,

54 la terra a Lui ritorni:

55 e voi che aprite i giorni

56 di più felice età,

 

VIII

57      spose che desta il subito

58 balzar del pondo ascoso;

59 voi già vicine a sciogliere

60 il grembo doloroso;

61 alla bugiarda pronuba

62 non sollevate il canto;

63 cresce serbato al Santo

64 quel che nel sen vi sta.

 

IX

65      Perché, baciando i pargoli,

66 la schiava ancor sospira?

67 e il sen che nutre i liberi

68 invidiando mira?

69 non sa che al regno i miseri

70 seco il Signor solleva?

71 che a tutti i figli d'Eva

72 nel suo dolor pensò?

 

X

73      Nova franchigia annunziano

74 i cieli, e genti nove;

75 nove conquiste, e gloria

76 vinta in più belle prove;

77 nova, ai terrori immobile

78 e alle lusinghe infide,

79 pace, che il mondo irride,

80 ma che rapir non può.

 

XI

81      O Spirto! supplichevoli

82 a' tuoi solenni altari;

83 soli per selve inospite;

84 vaghi in deserti mari;

85 dall'Ande algenti al Libano,

86 d'Erina all'irta Haiti,

87 sparsi per tutti i liti,

88 uni per Te di cor,

 

XII

89      noi T'imploriam! placabile

90 spirto discendi ancora,

91 a' tuoi cultor propizio,

92 propizio a chi T'ignora;

93 scendi e ricrea; rianima

94 i cor nel dubbio estinti;

95 e sia divina ai vinti

96 mercede il vincitor.

 

XIII

97      Discendi Amor; negli animi

98 l'ire superbe attuta:

99 dona i pensier che il memore

100 ultimo dì non muta:

101 i doni tuoi benefica

102 nutra la tua virtude;

103 siccome il sol che schiude

104 dal pigro germe il fior;

 

XIV

105      che lento poi sull'umili

106 erbe morrà non colto,

107 né sorgerà coi fulgidi

108 color del lembo sciolto

109 se fuso a lui nell'etere

110 non tornerà quel mite

111 lume, dator di vite,

112 e infaticato altor.

 

XV

113      Noi T'imploriam! Ne' languidi

114 pensier dell'infelice

115 scendi piacevol alito,

116 aura consolatrice:

117 scendi bufera ai tumidi

118 pensier del violento;

119 vi spira uno sgomento

120 che insegni la pietà.

 

XVI

121      Per Te sollevi il povero

122 al ciel, ch'è suo, le ciglia,

123 volga i lamenti in giubilo,

124 pensando a cui somiglia:

125 cui fu donato in copia,

126 doni con volto amico,

127 con quel tacer pudico,

128 che accetto il don ti fa.

 

XVII

129      Spira de' nostri bamboli

130 nell'ineffabil riso;

131 spargi la casta porpora

132 alle donzelle in viso;

133 manda alle ascose vergini

134 le pure gioie ascose;

135 consacra delle spose

136 il verecondo amor.

 

XVIII

137      Tempra de' baldi giovani

138 il confidente ingegno;

139 reggi il viril proposito

140 ad infallibil segno;

141 adorna le canizie

142 di liete voglie sante;

143 brilla nel guardo errante

144 di chi sperando muor.

 

 

 

 

 

Ognissanti

 

 

Dopo la composizione dei primi Inni sacri negli anni dal '12 al '15 e la Pentecoste, elaborata a più riprese tra il '17 e il '22, abbiamo la testimonianza, datata 183O, dell'intenzione di Manzoni di lavorare sul tema della festa di Ognissanti (ma di questo tentativo resta solo il titolo); l'idea di un nuovo inno sacro dedicato alla celebrazione di tutti i santi prese corpo nel 1847, ma rimase incompiuto. Per gran parte della sua vita, dunque, Manzoni ebbe in mente un complesso di liriche legate al ciclo annuale delle grandi feste della liturgia cattolica. Accanto alla persistenza dell'idea, la storia di queste poesie manifesta la crescente esigenza di qualità formale da parte del poeta e, parallelamente, la difficoltà a portare a termine i suoi progetti. Ognissanti, scritta a oltre venticinque anni di distanza dall'epoca delle poesie più note e dell'Adelchi, si segnala per la novità del linguaggio e del metro rispetto alla precedente produzione lirica manzoniana e per la modernità dello stile nell'intero panorama della poesia italiana di metà Ottocento.

I manoscritti ci restituiscono un testo in  cui è incompleta la frase iniziale e il resto è costellato di varianti. Riproduciamo il testo come l'ha ricostruito Ireneo Sanesi per l'edizione nazionale delle opere di Manzoni.

 

 

METRO

14 strofe di quattro versi novenari, legate a due a due dalla rima tronca dell'ultimo verso; gli altri versi sono piani, il secondo e il terzo in rima baciata. Schema: abbc,deec.

 

 

 

I

1      Cercando col cupido sguardo,

2 tra il vel della nebbia terrena ,

3 quel Sol che in sua limpida piena

4 v'avvolge or beati lassù ;

 

II

5      il secol vi sdegna e superbo

6 domanda qual merto agli altari

7 v'addusse; che giovin gli avari

8 tesor di solinghe virtù .

 

III

9      A Lui che nell'erba del campo

10 la spiga vitale nascose ,

11 il fil di tue vesti compose ,

12 de' farmachi il succo temprò ,

 

IV

13      che il pino inflessibile agli austri

14 che docile il salcio alla mano,

15 che il larice ai verni, e l'ontano

16 durevole all'acque creò ;

V

17      a Quello domanda, o sdegnoso,

18 perché sull'inospite piagge ,

19 al tremito d'aure selvagge ,

20 fa sorgere il tacito fior ,

 

VI

21      che spiega davanti a Lui solo

22 la pompa del pinto suo velo ,

23 che spande ai deserti del cielo

24 gli olezzi del calice, e muor.

 

VII

25      E voi che gran tempo per ciechi

26 sentier di lusinghe funeste

27 correndo all'abisso , cadeste

28 in grembo a un'immensa pietà ;

 

VIII

29      e, come l'umor , che nel limo

30 errava sotterra smarrito,

31 da subita vena rapito

32 che al giorno la strada gli fa,

 

IX

33      si lancia e, seguendo l'amiche

34 angustie, con ratto gorgoglio,

35 si vede d'in cima allo scoglio

36 in lucido sgorgo apparir,

 

X

37      sorgeste già puri , e la vetta,

38 sorgendo, toccaste, dolenti

39 e forti , a magnanimi intenti

40 nutrendo nel pianto l'ardir ,

 

XI

41      un timido ossequio non veli

42 le piaghe che il fallo v'impresse :

43 un segno divino sovr'esse

44 la man, che le chiuse, lasciò.

 

XII

45      Tu sola a Lui festi ritorno

46 ornata del primo suo dono ;

47 te sola più sù del perdono

48 l'Amor che può tutto locò ;

 

XIII

49      te sola dall'angue nemico

50 non tocca né prima né poi ;

51 dall'angue, che, appena su noi

52 l'indegna vittoria compiè,

 

XIV

53      traendo l'oblique rivolte,

54 rigonfio e tremante, tra l'erba,

55 sentì sulla testa superba

56 il peso del puro tuo piè.

 

 

 

 

ANALISI

 

La lirica inizia (vv. 1-4) con un periodo privo della proposizione principale, nel quale, non essendo espresso in modo esplicito il soggetto dell'azione, diviene protagonista lo "sguardo" che "cerca" "cupido", tra la "nebbia" dell'esistenza terrena, la luce del "Sole" divino. Se l'occhio ancora non vede, la voce del poeta, invece, si rivolge già direttamente ai "beati", stabilendo un colloquio misterioso e nello stesso tempo intimo tra realtà mondana e oltremondana, tra tempo ed eterno. Tutta la poesia è costruita sulla relazione tra il regno dei fenomeni naturali e il regno dei santi. Il colloquio con i beati, avvolti dalla luminosa pienezza di Dio, sembra non solo alleggerire il velo di nebbia che separa gli uomini dalla visione divina, ma anche svelare la verità profonda del mondo creato.

Dalla seconda all'ultima strofa la poesia si articola in tre momenti: il primo di questi (vv. 5-24) risponde alla domanda del "secol", cioè del mondo lontano da Dio, sull'utilità delle virtù nascoste della santità; il secondo (vv.25-44) si rivolge ai santi che hanno sperimentato il peccato e la misericordia del perdono divino; l'ultimo (vv.45-56) è un inno alla Vergine, vincitrice del serpente diabolico. I lettori di questa lirica incompiuta, compresi i contemporanei del poeta che ebbero occasione di vederne gli abbozzi, definirono dedicata ai santi contemplativi la prima parte e ai santi penitenti la seconda.

Una simile suddivisione appare spontanea e giustificata dal testo, a condizione però di non irrigidirla troppo, come se si trattasse di una classificazione precisa degli abitanti del cielo, di tipo dantesco: il disegno complessivo dell'inno risulterebbe poco chiaro e disorganico. Per quale motivo, infatti, isolare e mettere uno di fronte all'altro i soli due gruppi dei contemplativi e dei penitenti? Inoltre la prima quartina si riferisce evidentemente a tutti i beati, senza distinzioni. Che l'autentica virtù sia ignota al mondo e conosciuta solo da Dio doveva apparire a Manzoni come una verità, certo più palese nel caso della vita contemplativa, ma comunque valida per ogni esistenza santa, forse per ogni esistenza in genere. Tale verità, poi, risalta con la massima evidenza nella festa di tutti i santi, quando si celebra pure la virtù sconosciuta di anime ignote al mondo e anche alla chiesa. Un discorso analogo si può fare per la sequenza dei vv.25-44, che si rivolge ai santi in quanto peccatori. Non si deve insistere troppo nel considerarli una categoria particolare di santi, perché - come dice san Paolo – “tutti hanno peccato”, e il testo stesso di Ognissanti eccettua solo Maria dall'esperienza della colpa (vv. 45-48). Certo, il discorso diventa più evidente se applicato a coloro in cui fu più netto un cambiamento di vita operato dalla conversione, ma vale per tutti.

Veniamo ora all'analisi dei versi 5-24. Alla questione “a che giova la santità?”, Manzoni risponde spostando il destinatario della domanda: "a Quello domanda". Il vero problema, cioè, non sta tanto negli argomenti con cui possono essere formulate sia la domanda che la risposta, ma piuttosto nel chi si sceglie per interlocutore. Poiché la santità è innanzitutto un dialogo con Dio, i criteri utilitaristici del "secol", chiusi entro un orizzonte puramente mondano, risultano a loro volta inutili, e superbi in quanto pretendono di giudicare col proprio metro qualsiasi realtà. Domandare a cosa servano i santi equivale a domandare a Dio perché ha creato "il tacito fior", del quale nessuno, se non Dio stesso, potrà godere la vista e il profumo.

Deve essere chiaro che l'esotico fiorellino, evocato per stare in analogia col santo ignorato dal mondo, non è solamente una delicata immagine. Posto in questo modo, il problema si allarga e sottopone l'intera natura alla domanda: “Chi è il destinatario, l'interlocutore di tutto ciò che esiste?”. La spiga, le fibre tessili, le piante medicinali, i vari legnami (vv. 9-16) sono esempi dei doni della Provvidenza, ma l'”inutile” fiore fa un dono più grande: costringe a porsi la domanda decisiva. La risposta al "secol" "sdegnoso" è, dunque, il rinvio ad una nuova domanda; e, del resto, la fede per Manzoni non consiste in una certezza positiva, afferrabile come un possesso indisturbato, ma nella ricerca di un dialogo con l'Invisibile, con colui che splende oltre "il vel della nebbia terrena". Il "tacito fior" spande "gli olezzi del calice" ai "deserti del cielo": il mondo dei fenomeni non rivela Dio se non come assenza.

Anche la sezione centrale della lirica (v. 25-44) sviluppa una lunga e complessa immagine naturale, nella quale gli elementi ideativi di maggior peso sono il movimento dell'acqua "in salita", contro natura, e il suo fluire, faticoso e gioioso insieme, per "amiche angustie". La tensione e lo sforzo contenuti nel concetto sono riprodotti nel testo a livello sintattico, metrico e lessicale.

Il vocativo iniziale "E voi" trova il proprio predicato principale ben sedici versi più avanti (v. 41), costringendo il lettore a correre tenendo in sospeso la voce lungo un labirinto di proposizioni subordinate. Lo stesso avviene per le proposizioni relative che fungono da espansioni del "voi": i tre verbi "cadeste", "sorgeste", "toccaste", coordinati e dipendenti dal "che" del v. 25 sono sgranati nello spazio di dodici versi, e tra il primo e il secondo si trova tutta la metafora protratta dell'"umor", articolata in sette proposizioni.

Ancora, sono da notare i numerosi enjambement (molto più rari nella precedente produzione manzoniana) e, tra questi, quello che dà rilievo all'ossimoro "amiche / angustie". Il verbo "sorgeste", che fa da sbocco sintattico ed espressivo alla proposizione iniziata da "e, come..." (v. 29), evoca la parola “sorgente”, richiamata dalla similitudine, e insieme l' idea del “risorgere”, nel significato forte che ha nel cristianesimo. Prima di "sorgeste" la struttura sintattica è tortuosa, a mimare l'itinerario sotterraneo; i versi seguenti (vv. 37-40) connotano ancora un percorso di innalzamento spirituale, ma con una cadenza più semplice e solenne, sebbene ancora vibrante. La catena sonora "sorgeste-sorgendo", "sorgeste-toccaste", "dolenti-intenti-pianto", "sorgendo-nutrendo" lega i quattro versi in uno sviluppo ricco di echi interni; i termini-chiave appartengono alle due serie semantiche della contrizione ("dolenti", "pianto") e dell'energia che proviene dalla grazia ("forti", "magnanimi intenti", "ardir"), che si richiamano e si contrappongono dialetticamente, e, per accrescerne la tensione, sono disposti nei due ossimori "dolenti / e forti" (in enjambement, come ai vv. 33-34) e "nel pianto l'ardir".

A conclusione di una minuta analisi simbolica e stilistica di Ognissanti, il poeta e critico Franco Fortini afferma: “La poesia del tempo non conosceva ancora una rottura così risoluta del rapporto fra metro e sintassi, se non in Leopardi”.

G.D.

 

 

 


Il Natale del 1833

 

Il giorno di Natale del 1833 moriva Enrichetta Blondel, prima moglie di Manzoni. In sua memoria il poeta tentò di comporre una lirica che non riuscì però a portare a compimento.

 

METRO

Strofe di otto settenari, di cui il primo, il terzo e il quinto sdruccioli,l'ultimo tronco e gli altri piani. Rimano il secondo e quarto verso, come pure il sesto e settimo; i versi finali di strofa hanno tutti la stessa rima.

Schema abcbdeef,...f.

 

 

14 marzo 1835

Tuam ipsius animam pertranvibit gladius

Luca 2,35

 

I

1      Sì che tu sei terribile!

2 sì che in quei lini ascoso,

3 in braccio a quella Vergine

4 sovra quel sen pietoso,

5 come da sopra i turbini

6 regni, o Fanciul severo!

7 è fato il tuo pensiero,

8 è legge il tuo vagir .

 

II

9      Vedi le nostre lagrime,

10 intendi i nostri gridi;

11 il voler nostro interroghi,

12 e a tuo voler decidi :

13 mentre a stornare il fulmine

14 trepido il prego ascende,

15 sordo il tuo fulmin scende

16 dove Tu vuoi ferir .

 

III

17      Ma tu pur nasci a piangere ;

18 ma da quel cor ferito

19 sorgerà pure un gemito,

20 un prego inesaudito :

21 e questa tua fra gli uomini

22 unicamente amata........

 

IV

23      Vezzi or ti fa, Ti supplica

24 suo pargolo, suo Dio ,

25 ti stringe al cor, che attonito

26 va ripetendo: è mio!

27 Un dì con altro palpito,

28 un dì con altra fronte,

29 ti seguirà sul monte ,

30 e ti vedrà morir.

 

V

31    Onnipotente!

cecidere manus

 

 

ANALISI

 

L'idea che regge l'impianto di questa poesia incompiuta è un duplice contrasto. E si tratta di un contrasto tanto teso e drammatico da aver impedito a Manzoni di giungere ad una conclusione poeticamente - e forse esistenzialmente - soddisfacente. Il Natale, festa di vita per il mondo cristiano, ma giorno di lutto, quello del 1833, per Manzoni che in quella data perse l’amatissima moglie Enrichetta. E quel Bambino di cui si celebra la nascita è l'immagine di un Dio misericordioso e amico degli uomini oppure di una forza impietosa che non si cura delle sofferenze umane? Così, la lirica si apre con un verso di sconcertante violenza rispetto alle espressioni tipiche della poesia devota: il poeta si rivolge direttamente, ex abrupto, a Gesù bambino e lo chiama "terribile", cioè suscitatore di terrore. La questione posta è tale da scuotere alle fondamenta una disposizione religiosamente acquietante. Il “Sì che Tu sei terribile” suona al limiti della bestemmia. È, però, un'accusa a Dio che la fede biblica conosce e fa propria, ed è proprio con le parole ed entro le strutture di pensiero della Sacra Scrittura che Manzoni cala la sua esperienza di dolore e tenta di impostare il suo Natale del 1833. Nella Bibbia, è il libro di Giobbe a rappresentare il giusto provato dalla sventura che istituisce il processo a Dio, a chiedergli ragione del male che colpisce l'innocente. Nel testo manzoniano che stiamo studiando gli echi dell'antico libro sapienziale sono certi: tutta la seconda strofa costituisce il capo d'accusa rivolto a Dio; il sintagma "Come da sopra i turbini" del v. 5 ha precisi riscontri nel libro biblico (Giobbe, 38,1; 40,1 Vulgata); l'ultima parola del testo - "Onnipotente!" - richiama l'ultima risposta di Giobbe a Dio (Gb. 42,2); infine, in un foglio di appunti per Il Natale del 1833 compaiono due versi che sono un'esplicita parafrasi di una notissima espressione di Giobbe (“Il Dio che me la toglie / Il Dio che me la diè”; cfr. Gb. 1,21). Anche l'apostrofe "Tu sei terribile", rivolta a Dio, è ripresa dall'Antico Testamento (salmo 75, 8). La novità manzoniana, ed anche forse il maggior pregio poetico della lirica per lo stridore che vi introduce, sta nel rivolgersi non al Dio inaccessibile dell'antica Alleanza ma al neonato di Betlemme: in lui si riuniscono paradossalmente tutta l'onnipotenza divina e tutta la debolezza umana. In tale paradosso, al cuore dell'annuncio cristiano, Manzoni trova la risposta, se non la soluzione, all'enigma della sofferenza in un mondo che pure è amato da Dio. La risposta è che "tu pur nasci a piangere", cioè che il Figlio di Dio incarnandosi percorre lo stesso destino degli altri uomini. Il modello esistenziale del cristiano non potrà allora essere diverso da quello di Maria, per la quale l'inizio stesso della gioia materna convive con la profezia che “una spada le trapasserà l'anima”. Come il preannunzio profetico abbrevia i tempi e fa coesistere il presente col futuro, così Manzoni sovrappone l'immagine di Maria estasiata dal pathos della dolcezza materna e quella della Mater dolorosa che segue il figlio sul monte della crocifissione (vv. 23-30).

Il distintivo retorico del Natale del 1833 è l'ossimoro, la contraddizione, ma è l'intera esistenza cristiana, secondo il poeta degli Inni sacri, ad essere posta sotto il segno della contraddizione, dal momento che Gesù stesso è detto signum contradictionis dal vecchio Simeone, nella stessa profezia citata in testa alla poesia. E, in fondo, è un ossimoro del gesto scrivere di propria mano cecidere manus; è esibire la contraddizione denunciare la propria impossibilità a rappresentare poeticamente il paradosso che lega fede ed esistenza per mezzo di una citazione poetica. (G.D.)

 

              Soffermati...Ticino:  il poeta immagina che i Piemontesi, dopo aver attraversato il Ticino per liberare la Lombardia, si soffermino a contemplare il fiume che fino ad allora faceva da confine tra il regno dei Savoia l'impero absburgico.

              assorti...destino:  profondamente coscienti e partecipi del destino che si prepara per l'Italia.

              certi...virtù:  sicuri nel proprio animo di saper rinnovare il valore degli antenati. L'"antica virtù" recuperata conduce al "novo destino".

              non fia...mai più: non avvenga ("fia") mai più che l'acqua del Ticino scorra tra due rive appartenenti a Stati stranieri; non sia questo mai più un luogo dove sorgano barriere tra terre italiane.

              altri forti...al sol:  altri patrioti rispondevano allo stesso giuramento da altre regioni italiane ("fraterne contrade") per partecipare alla liberazione del Lombardo-Veneto. Il movimento insurrezionale per l'indipendenza nazionale, preparato attraverso il lavoro delle società segrete ("affilando nell'ombra le spade"), può ora dispiegarsi alla luce del sole.

           le sacre parole son porte:  le sacre parole del giuramento sono offerte ("porte") dagli uni agli altri, sono scambiate.

              Chi potrà...dolor:  colui che potrà distinguere, una volta mescolate nel Po, le acque della doppia Dora (Baltea e Riparia), della Bormida che confluisce nel Tànaro, del Ticino e dell'Orba contornato da boschi; colui che potrà sottrarre al Po ("stornargli") le correnti mescolate del torrente Mella e dell'Oglio e le acque dei molti affluenti che vi si riversano attraverso l'Adda, quello potrà ancora dividere gli Italiani risorti in masse umane senza dignità ("volghi spregiati") e, andando contro la storia e il destino, spingerli indietro verso l'antica oppressione ("prischi dolor"). Il lungo periodo è costruito secondo la figura retorica di pensiero detta adynaton, cioè "impossibile": come è impossibile separare le acque dei fiumi, altrettanto sarà impossibile dividere il popolo italiano che insorge per la propria libertà.

              una gente...il mare:  una nazione che sarà tutta libera o tutta serva ("tra l'Alpe ed il mare", cioè in tutta l'estensione del suo territorio)

              una...cor:  con un unico esercito, un'unica lingua, un'unica religione, un'unica eredità storico-culturale, un'unica stirpe, un unico sentire. Da questa enumerazione emerge il concetto manzoniano di nazione.

             sfidato e dimesso:  sfiduciato ed umile.

             guardo atterrato ed incerto:  sguardo abbattuto a terra e privo di fiducia in se stesso.

             con che...stranier:  con il quale sta un mendicante tollerato per misericordia in un paese straniero.

             l'altrui...per lui:  la volontà di altri (gli Austriaci) diveniva legge per il Lombardo.

             il suo fato...altrui:  il suo destino nascosto nelle decisioni d'altri.

             la sua parte:  il suo compito.

             retaggio:  possesso ereditario.

             dal Cenisio...Scilla:  il Moncenisio rappresenta i monti delle Alpi, cioè l'estremità settentrionale dell'Italia; lo scoglio di Scilla, sullo stretto di Messina, indica le regioni più meridionali. Tutta l'espressione vale "da un capo all'altro".

             non sentite...piè?:  non vi accorgete che l'Italia freme sotto l'oppressione dei piedi stranieri ("barbari"), tanto da diventare malsicura ("infida") per quegli stessi piedi?

             sui vostri...tradito:  le vostre bandiere sono macchiate dalla vergogna ("obbrobrio") di un giuramento tradito. Nella fase finale della lotta contro la Francia bonapartista, gli Austriaci avevano promesso agli Italiani la libertà e il rispetto del principio dell'identità nazionale; ma dopo la sconfitta di Napoleone l'impegno non era stato rispettato, causando i moti dell'aprile 1814.

             un giudizio...tenzon:  l'affermazione solenne del carattere sacro dell'indipendenza nazionale (espresso più sotto, ai vv.54-56), proclamato da voi stessi Austriaci, vi accompagna  - e pesa come un giudizio - alla guerra ingiusta che vi accingete a combattere.

             a stormo:  col massimo clamore.

             in quei giorni:  durante la lotta contro Napoleone.

             pera...ragion:  muoia, cessi per sempre l'iniquo criterio della forza.

             preme i corpi:  è diventata la tomba.

             se la faccia...quei dì:  se nei giorni della vittoria vedeste afflitta la faccia dei dominatori stranieri ("estranei signori").

             chi...genti?:  chi vi ha detto che le sofferenze degli italiani saranno per sempre ("eterne") vane, senza frutto di libertà ("sterili")?

             quel Dio che v'udì:  quello stesso Dio che udì le vostre invocazioni e vi aiutò a liberarvi dagli stranieri. La frase è densa di riferimenti all'Antico Testamento (cfr. Esodo 3,7; salmo 38,13): nella prospettiva biblica del Manzoni ogni popolo oppresso trova nelle vicende dell'antico Israele il proprio paradigma.

             quel Dio...Israele:  quel Dio che travolse nel mar Rosso ("onda vermiglia") il crudele ("rio") esercito egiziano che inseguiva il popolo ebreo.

             Giaele:  è un'altra citazione tratta dall'Antico Testamento. Mentre gli Israeliti erano oppressi dalla superiorità militare dei Cananei, Dio umiliò i loro nemici facendo uccidere il generale cananeo Sìsara da una donna, Giaèle, che gli piantò un chiodo nella tempia (cfr. Giudici 4).

             maglio:  grosso martello.

             raccogli...non hai:  la frase ricalca quella che nel Vangelo è riferita a Dio: «mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso» (Matteo 25,24). In questo modo al "Germano" viene addebitata non solo la rapacità ma anche l'empietà, perché si è arrogato un potere di dominio sul mondo che solo Dio detiene.

             spiega l'ugne:  apri le unghie, cioè prepara gli artigli della tua rapacità.

             uscì:  si diffuse.

             dove ancor...non è:  dove ancora la speranza della dignità umana non è del tutto desolata.

             dove...sventura:  dove la grande sofferenza di un popolo suscita commozione ("ha lacrime").

             Quante...stendardo:  quante volte gli italiani volsero lo sguardo oltre le Alpi, in attesa che apparisse di là un esercito venuto a liberarli.

             intendesti:  fissasti, facesti attento.

             ne' deserti...mar:  nell'Adriatico e nel Tirreno, sulla cui superficie non appariva alcuna flotta amica.

             sboccati:  usciti.

             santi colori:  la bandiera tricolore, creata all'epoca della repubblica Cispadana e scelta durante i moti del '21 a rappresentare la vagheggiata nazione italiana.

             armati de' propri dolori:  temprati dalle sofferenze patite.

             sui volti...segrete:  sfolgori sui volti il furore coltivato in segreto nell'animo.

             il suo fato...sta:  il destino d'Italia dipende dalle vostre armi (i "brandi" sono le spade).

             al convito...assisa:  libera e degna di sedersi accanto alle altre nazioni.

             orrida verga:  lo scettro dei dominatori stranieri.

             oh dolente...udrà!:  avrà per sempre motivo di addolorarsi colui che udrà raccontare le giornate del riscatto nazionale la lontano e dalla parola di altri, come uno straniero, cioè senza aver vissuto in prima persona il momento epico della lotta di liberazione.

             quel dì:  nel giorno della vittoria.

 

            Ei fu:  egli (Napoleone) è morto. L'assenza del nome sottolinea la grandezza del personaggio: la sua scomparsa è un fatto di tale notorietà da non far sussistere dubbi sull'identità di colui di cui si parla.

            Siccome...sta:  come la salma (spoglia), non più consapevole di se stessa (immemore), privata di una così grande anima (orba di tanto spiro), rimase immobile dopo aver esalato l'ultimo respiro, così la terra sta colpita e stupefatta nell'apprendere la notizia.

            muta...fatale:  riflettendo in silenzio sull'ultima ora di vita di quell'uomo mandato dal destino (uom fatale).

            né sa...verrà…:  e non sa quando un altro uomo altrettanto grande verrà a lasciare la sua impronta sulla polvere insanguinata dalle guerre (cruenta), del mondo.

            Lui...tacque:  il mio spirito poetico (il mio genio) vide Napoleone (lui) nello splendore della sua grandezza imperiale (folgorante in solio; "solio" è latinismo letterario per "seggio reale") e tacque, cioè non lo celebrò con versi adulatori.

             con vece assidua:  con incalzanti vicende.

             cadde, risorse e giacquecadde con la sconfitta di Lipsia del 18 ottobre 1814 e con il conseguente esilio all'isola d'Elba; risorse tornando al potere nel periodo dei Cento giorni (10 marzo - 17 giugno 1815); giacque, dopo la definitiva sconfitta di Waterloo, del 18 giugno 1815.

            di mille...non ha:  non ha mescolato la sua voce allo strepito (sonito) di mille voci, che hanno cantato le fortune e i rovesci dell'imperatore. Il soggetto è sempre il mio genio.

            vergin...oltraggio:  non macchiato (vergin) dalla lode (encomio) servile, né da insulti vili, perché diretti contro chi è ormai caduto.

            sorge...raggioil mio genio si leva ora commosso all'improvvisa scomparsa di un uomo tanto luminoso (raggio si lega al folgorante del v. 13). La voce del poeta, che aveva taciuto mentre mille voci risuonavano, si alza ora in mezzo al silenzio attonito del mondo.

            urna:  sepolcro.

            Dall'Alpi...al Reno:  allude alle campagne d'Italia (1796 e 1800), alla campagna d'Egitto (1798-99), alla campagna di Spagna del 1808-09 (il Manzanarre è un piccolo fiume che scorre presso Madrid), alle guerre combattute in Germania, al di là del Reno (1805-06, 1809, 1813).

            di quel securo...baleno:  l'effetto pratico dell'azione di quell'uomo sicuro di sé‚ e delle proprie decisioni seguiva immediatamente e infallibilmente il momento dell'ideazione, così come il colpo del fulmine segue sempre il balenare della sua luce.

             scoppiò... mar:  il verbo scoppiò prosegue la metafora del fulmine e si adatta perfettamente al carattere bellico dell'azione di Napoleone. Il campo geografico che vede impegnato il grande condottiero va da un capo

            posteri:  le generazioni che verranno.

            ardua sentenza:  difficile giudizio.

            nui...stampar:  noi riconosciamo senza esprimere un giudizio, umilmente (chiniam la fronte), che Dio (Massimo Fattor) ha voluto imprimere in Napoleone un segno più grande del suo spirito creatore.

            La procellosa...disegno:  la gioia tempestosa (procellosa) e trepidante di un progetto ambizioso.

            La procellosa...altar:  le due strofe sono rette sintatticamente dalla proposizione tutto ei provò, posta al centro di questi versi; i sostantivi gioia, ansia, gloria, fuga, vittoria, reggia, esiglio sono le esplicitazioni di tutto.

            l'ansia...sperar: l'insofferenza di un cuore che obbedisce a comandi superiori (serve; si riferisce a quando Napoleone eseguiva come generale la politica del Direttorio), ma avendo di mira il potere assoluto, che poi riesce a raggiungere, e ottiene una ricompensa che era follia sperare.

            periglio:  pericolo.

            la fuga:  la disastrosa ritirata dopo la campagna di Russia.

            due volte nella polvere: dopo le sconfitte di Lispia e di Waterloo.

            due volte sull'altar:  prima di quelle due sconfitte, nel periodo dell'Impero e dei Cento giorni, Napoleone occupò una posizione di massima gloria (sull'altar). Cronologicamente e logicamente i vv. 47-48 andrebbero invertiti; probabilmente l'autore li ha disposti in quest'ordine per esigenze di rima.

            Ei si nomò... in mezzo a lor:  fece udire al mondo il suo nome; ed ecco, il Settecento e l'Ottocento, così contrastanti tra loro per costumi e ideologie (da un lato l'ancien regime ma anche l'illuminismo e la rivoluzione francese, dall'altro la restaurazione, il romanticismo, i nuovi principi di  libertà  nazionale), si volsero intimoriti (sommessi) a Napoleone come aspettando da lui il giudizio del destino; egli impose il silenzio e si sedette come giudice in mezzo a loro.

            E sparve:  eppure anche un uomo simile scomparve dalla scena. L'espressione costituisce una delle tante proposizioni lapidarie, cioè brevi e cariche di significati, dell'ode.

            .in sì breve sponda:  nei limiti ristretti dell'isola di Sant'Elena.

            segno:  oggetto.

            Come sul capo...scese:  come l'onda si avvolge e preme sul capo del naufrago, quella stessa onda sulla cui sommità poco prima (pur dianzi) la vista del disgraziato (misero) spaziava alta e tesa cercando invano di distinguere rive lontane (prode remote), alla stessa maniera scese su quell'anima il cumulo delle memorie. Quegli stessi eventi che hanno condotto Napoleone "sulla cresta dell'onda", gravano  come inquietante ricordo sulla sua coscienza negli anni dell'esilio.

            imprese:  intraprese, cominciò.

            eterne pagine:  scritti che sarebbero rimasti come un documento di perenne valore; ma forse eterne significa anche che non progredivano, che erano interminabili.

            giorno inerte:  trascorso nell'inerzia, nell'ozio.

            chianti i rai fulminei:  abbassato lo sguardo inquieto e penetrante. Nella strofa compare una similitudine implicita tra Napoleone e il giorno inerte; al morir del giorno i raggi del sole calano dietro l'orizzonte, allo stesso modo in cui i rai fulminei di Napoleone vengono chinati. E' suggerita la cornice romantica del tramonto silenzioso (tacito), in cui l'eroe sprofonda nella nostalgia per i tempi passati.

            le mobili tende:  le tende degli accampamenti, rapidamente spostate.

               i percossi valli:  le trincee prese d'assalto.

             il lampo dei manipoli:  il rapido accorrere dei plotoni di fanteria dalle armi lampeggianti.

             l'onda dei cavalli:  la corsa ondeggiante e travolgente degli squadroni di cavalleria.

            il concitato imperio:  il succedersi febbrile degli ordini.

            forse...cielo:  forse il dolore straziante dei ricordi fece cadere lo spirito affannato di Napoleone nella disperazione. Ma venne una mano forte  (valida, latinismo) dal cielo, la mano di Dio, e lo trasse pietosamente in un'aria più respirabile, cioè in una dimensione spirituale di serena speranza. L'immagine della man dal cielo è di origine biblica: "Stese la mano dall'alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque" (salmo 18,17).

             floridi: fioriti.

            campi eterni:  la vita eterna, il paradiso.

            avanza:  supera, oltrepassa.

            la gloria che passò:  il verso ricorda il detto transit gloria mundi, (passa la gloria del mondo) che, a partire dal testo classico della spiritualità medievale L'imitazione di Cristo, è diventata un'espressione comune dell'ascetica cristiana.

            Bella Immortal:  riferito a fede, del verso successivo.

            scrivi ancor questo:  scrivi anche questo trionfo tra le tue vittorie.

            che più superba...non si chinò:  perché‚ mai si è inchinato davanti alla croce di Cristo (disonor del Golgota) un uomo più superbo e più potente. Il Golgota è il monte sul quale avvenne la crocefissione di Gesù, che è detta disonor perché‚ era il supplizio più infamante, destinato agli schiavi. Scrivendo a G.B. Pagani, Manzoni notava che questo verso dipende da s. Paolo e dai grandi predicatori francesi.

            Tu...parola:  tu, pietà cristiana, allontana ogni parola d'imprecazione (ria) dagli stanchi resti (cenere) di Napoleone; in altri termini, di fronte al ritorno di un uomo davanti al suo Creatore, ogni parola di condanna deve cristianamente essere abbandonata. L'aggettivo stanche ricapitola le ansie depressive del prigioniero di Sant'Elena, raffigurate nei vv. 61-87.

            il Dio...consola:  i due versi ricalcano il ritmo oppositivo del cantico di Anna dell'Antico Testamento: "Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta" (Primo libro di Samuele 2,6-7). Applicati alla biografia del Bonaparte essi richiamano le alterne vicende ricordate ai vv. 16, 47-48.

            sulla deserta...posò:  sul letto abbandonato dagli uomini (deserta coltrice) di Napoleone morente, Dio gli fu vicino. 

 

             cupido:  colmo di desiderio.

             tra il vel...terrena:  la nebbia autunnale che caratterizza di frequente il clima della ricorrenza di Ognissanti è evidentemente metafora dell'opacità della realtà terrestre che impedisce la visione di Dio.

             quel Sol...lassù:  quel Sole, cioè Dio, che avvolge voi che ora siete beati nella pienezza della sua limpida luce, lassù in cielo.

            il secol...virtù:  il mondo ("secol") non vi apprezza, e nella sua superbia si domanda quale merito vi condusse alla santità ("agli altari"); a che cosa servano i tesori di virtù schive custodite nella solitudine.

            A Lui...e muor:  il lungo periodo va normalizzato sintatticamente così: "domanda a Quello, o sdegnoso (v.17), a Lui che nascose la spiga nell'erba ecc. (vv.9-16) perché fa sorgere il tacito fiore ecc. (vv.18-24).

            nell'erba...nascose:  mise in mezzo alle altre erbe la spiga di grano che dà la vita, grazie al suo nutrimento.

            il fil...compose:  fece il filo dei tuoi vestiti, creando le piante tessili.

            de' farmachi...temprò:  dosò le sostanze farmaceutiche, attraverso i succhi delle erbe medicinali.

            che il pino...creò:  che creò il pino che non si piega ai venti ("austri"), il salice maneggevole, il larice resistente all'inverno e l'ontano all'acqua.

            inospite piagge:  terre inospitali, disabitate.

            al tremito...selvagge:  al soffio di venti che percorrono luoghi selvaggi.

            tacito fior:  fiore che rimane sconosciuto, di cui nessuno si accorgerà.

            la pompa...velo:  la magnificenza dei suoi petali colorati. Il senso complessivo delle quattro strofe è che il significato e il valore della santità va domandato a Dio, il quale ha creato in natura ciò che è necessario all'uomo, ma anche il fiore ignorato da tutti e privo di utilità pratica, che dispiega la sua bellezza e il suo profumo solo per il suo creatore. La santità vissuta nel nascondimento, come il fiore sconosciuto, trova il suo valore in rapporto a Dio e non è apprezzabile secondo un metro utilitaristico.

            E voi...lasciò:  quest'altro complesso periodo che si estende per cinque strofe deve essere normalizzato sintatticamente così: "E voi (vocativo) che... correndo...cadeste...e, come l'umor...(segue la similitudine fino al v.36), sorgeste...e toccaste la vetta..., un timido ossequio non veli le piaghe (proposizione principale) che... vv.25-26  E voi...funeste:  il poeta si rivolge ai santi che giunsero a Dio dopo aver camminato per vie cieche (perché incapaci di condurre alla visione di Dio) e piene di tentazioni mortali ("lusinghe funeste").

            correndo all'abisso:  può essere inteso contemporaneamente come l'abisso della morte, termine inevitabile dell'esistenza umana secondo una prospettiva atea (cfr. Leopardi, Canto di un pastore errante, vv.32-36); come il vuoto di senso di una vita costruita sulle "lusinghe" terrene; come l'abisso della perdizione eterna.

            un'immensa pietà:  la misericordia di Dio.

            umor...apparir: come l'acqua ("umor") che scorreva dispersa sotto terra in mezzo al fango ("limo"), risucchiata improvvisamente da una fenditura del terreno che le apre la strada alla superficie ("al giorno"), si slancia verso l'alto e, seguendo la via stretta ("angustie") ma amica, appare gorgogliando rapida in un limpido fiotto sulla sommità della roccia. È agevole riportare al significato simbolico i vari elementi della similitudine: "l'umor" rappresenta i santi che hanno conosciuto il peccato; il "limo" è il peccato, la lontananza da Dio; la "vena" è la via della vita cristiana che conduce "al giorno", cioè alla luce divina; la forza sottintesa nella similitudine che consente all'acqua di salire (in natura ha a che fare con il principio dei vasi comunicanti) è la grazia di Dio che permette all'uomo di procedere contro le passioni terrene; il verbo "si lancia" indica l'entusiasmo con cui il convertito intraprende la via cristiana; "l'amiche angustie" sono la “porta stretta” di cui parla il Vangelo, cioè la morale austera, fonte però di gioia spirituale, che contraddistingue il vero cristiano.

            sorgeste già puri:  va posto in correlazione con "cadeste" del v. 28. La caduta "in grembo a un'immensa pietà", cioè l'esperienza della conversione che presuppone l'incontro con l'amore di Dio, produce immediatamente la purificazione dalla vita passata.

            dolenti e forti:  addolorati per il ricordo dei peccati e forti per la potenza della grazia di Dio.

            a magnanimi...ardir:  alimentando, nel pianto della penitenza, l'ardire che osa tendere a grandi e generose propositi (di santità).

            un timido...v'impresse:  una devozione ancora immatura non nasconda le tracce ("piaghe", perché il peccato è come una ferita dell'anima) che il peccato segnò su di voi. L'esempio letterario dell'atteggiamento raccomandato qui da Manzoni è padre Cristoforo che, portando sempre con sé il “pane del perdono”, vuole mantenere vivo il ricordo del proprio delitto e, perciò, viva la coscienza di avere bisogno del perdono di Dio e degli uomini: questa coscienza è tutt'uno con la santità del frate cappuccino.

            un segno divino:  il segno del perdono.

            Tu sola...dono:  tu sola, Vergine Maria, facesti ritorno a Dio con l'anima pura da peccato, così come la ricevesti in dono.

            te sola...locò:  Dio ("l'Amor che può tutto") collocò solo te nella condizione di non aver bisogno del suo perdono.

            dall'angue...tuo piè:  da quel serpente che, non appena ebbe compiuto la sua spregevole vittoria su noi uomini, spingendo Adamo ed Eva a peccare, si sentì schiacciare la testa dal tuo piede, mentre, gonfio e tremante, muoveva tra l'erba le sue spire oblique. Subito dopo il racconto del primo peccato, in un brano che la tradizione cristiana chiama "protovangelo", la Genesi narra che Dio si rivolse al serpente dicendogli: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; essa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Genesi, 3,15). La tradizione ha visto in questa donna Maria che, attraverso suo figlio, annienta la potenza del tentatore.

            dall'angue...né poi:  non toccata dal serpente ("angue") nemico degli uomini, da Satana, né prima della nascita (col peccato originale) né dopo.

 

            Tuam...gladius:  una spada trapasserà anche la tua anima. Il versetto, tratto dal vangelo di Luca (2,35), appartiene alla profezia che il vecchio Simeone fa a Maria quando questa presenta al tempio Gesù nato da poco: il bambino – dice l'anziano uomo di Dio - è la salvezza mandata dal Signore e sarà luce per tutte le genti, ma avverrà anche che una spada (di dolore) trafiggerà l'anima di sua madre (in riferimento, ovviamente, alla morte in croce di Gesù).

            Sì...terribile:  è riferito a Gesù bambino. Il verso è la citazione del salmo 75, che al v. 8, rivolto a Dio, dice: “terribile tu sei, e chi starà fermo di fronte a te nell'ora della tua ira?”.

            Sì che...severo: o Fanciullo duro, che incuti timore, è proprio vero che nascosto in quelle fasce di lino, in braccio alla Vergine Maria, sopra il suo seno misericordioso, eserciti il tuo potere come dalla tua sede celeste, posta sopra i turbini. La frase nel suo insieme vuol dare risalto al contrasto tra l'apparente dolce debolezza di Gesù bambino e la sovrana potenza che in lui si nasconde, uguale a quella del Dio maestoso delle immagini veterotestamentarie. Il Signore che parla dal turbine compare più volte nel libro di Giobbe, che è il testo biblico della meditazione sulla sofferenza innocente.

            È fato...vagir:  dal pensiero di Gesù dipende il destino di tutti, il suo vagito di bimbo in fasce nasconde la legge che tutto governa.

            e a tuo voler decidi:  disponi le vicende umane come vuoi tu.

            mentre...ferir:  mentre la preghiera sale trepidante al cielo supplicando di allontanare il colpo della sventura ("stornar la folgore"), sorda alle preghiere la sventura cala dove tu vuoi colpire.

            Ma tu...piangere:  ma anche tu nasci per soffrire.

            ma da quel cor...inesaudito:  ma anche dal cuore angosciato di Gesù sorgerà un'implorazione, una preghiera non esaudita. Si tratta della preghiera nell'orto degli Ulivi, poco prima della cattura: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice. Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Marco 14,36).

            e questa tua...amata:  Maria, amata da Gesù in modo unico fra tutti gli uomini. Nel manoscritto seguono due versi cancellati e illeggibili. In un foglio di appunti per questa poesia compaiono in corrispondenza alla fine della terza strofa i due versi: "Nel guardo Tuo rapita / Ebbra del Tuo respir".

            Vezzi...suo Dio:  Maria, ora che sei appena nato, ti vezzeggia, ti invoca suo bambino e suo Dio.

            attonito:  stupefatto. È riferito a "cor".

            Un dì...monte:  un giorno, il giorno della passione e morte di Gesù, con ben diversa commozione, manifestata da un ben diversa espressione sul volto ("altra fronte") ti seguirà sul monte Golgota.

            Cecidere manus: caddero le mani. Queste parole che segnano la rinuncia del poeta a portare a termine la composizione della lirica, sono una citazione tratta dall'Eneide di Virgilio (VI,32), dove si racconta che Dedalo per due volte si era accinto a raffigurare il volo e la caduta del figlio Icaro e per due volte erano venute meno le sue mani di padre.

 

 

Fonte: http://quattrosecoli.files.wordpress.com/2012/07/manzoni-poesie.doc

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