Autismo
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L’autismo
L’autismo viene considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo pervasivo dello sviluppo che si manifesta entro il terzo anno di età con gravi deficit nelle aree della comunicazione (turbe qualitative e quantitative del linguaggio), dell’interazione sociale (turbe qualitative e quantitative delle capacità relazionali, con tendenza evidente all’isolamento), dell’immaginazione (uso inappropriato e stereotipato di oggetti) e con problemi di comportamento (auto ed etero aggressività, iperattività fisica accentuata, ipersensibilità alle variazioni dell’ambiente circostante o delle figure di riferimento affettivo); e pur accompagnandosi ad un aspetto fisico normale, perdura per tutta la vita. Per queste ragioni, nella letteratura di riferimento, i bambini autistici vengono descritti come “bambini bellissimi ma distanti…chiusi in una torre d'avorio”, chiamati “bambini della Luna, per la loro distanza dagli altri, o bambini pesci, per il loro silenzio”, affascinanti e inquietanti “per il mistero che li circonda” (U.Frith, “L'autismo. Spiegazione di un enigma”). A causa della patologia, le persone “autistiche” incontrano gravi difficoltà e limitazioni nell'adattamento sia in ambito familiare che sociale e scolastico. La caratteristica più evidente è l'isolamento accertato dall’assenza di risposta verbale e non verbale (assenza di contatto oculare e della mimica) alle stimolazioni verbali e ambientali, dalla difficoltà a stare con coetanei e adulti, dai disturbi del comportamento (iperattività fisica accentuata, comportamenti ossessivi e spesso privi di senso, ecc.). Scoperto nel 1943 dallo psichiatra infantile Leo Kanner e pur essendo da sempre esistito, sebbene l’evidenza della multicausalità del disturbo, l’autismo ancora oggi è un mistero per la ricerca scientifica: ipotesi biologiche, genetiche, farmacologiche, cognitive si sviluppano e si confondono ma senza mai arrivare ad una completa definizione. E non accertando le cause, non è possibile stabilire una cura per l’autismo. Le terapie o gli interventi, di tipo medico ed educativo/comportamentale, vengono scelti in base ai sintomi specifici di ogni individuo mantenendosi comunque oggetto di controversie rispetto alla loro efficacia. Tutto questo fa sì che “solitudine e inadeguatezza” nell’affrontare le difficoltà del vivere quotidiano siano diventati un modus vivendi delle persone con disturbo autistico, delle loro famiglie e degli operatori professionisti. La famiglia è il più delle volte costretta all’isolamento dalla vita pubblica e sociale principalmente a causa della scarsa informazione presente tanto nella gente comune quanto negli stessi operatori professionisti orientati o disorientati dai modelli di ricerca sposati, della mancanza di personale disponibile adeguatamente formato all’assistenza, dell’assenza reale di un coordinamento e di una semplice “comunicazione” tra i servizi, di una mancata “mediazione” tra la persona autistica e il suo contesto di vita. E non solo…Le fonti di informazioni relative agli studi epidemiologici e le indagini statistiche più citate sull’incidenza del fenomeno riportano dati allarmanti. Si stima che:ogni 10.000 persone nate 4/5 sono affette da autismo primario (media mondiale basata su indagini a larga scala condotte negli Stati Uniti ed in Inghilterra) ogni 10.000 persone 20 sono affette da sindrome autistica o comportamenti autistico-simili (media mondiale). È da notare che le stime sull'incidenza dell'autismo variano considerevolmente a seconda del paese, passando da circa 2 ogni 10.000 in Germania, ad addirittura 16 ogni 10.000 in Giappone. Plausibili motivi di discrepanza sul tasso d'incidenza possono derivare da differenti criteri di diagnosi, fattori genetici e/o influenze ambientali. Il rapporto tra uomini e donne è di 4 a 1 (media mondiale). In Italia si suppongono 100.000 persone con autismo. In Sicilia, secondo la valutazione dell’ICD10 si suppongono: circa 10.000 casi attesi di sindrome autistica circa 2.000 casi attesi di autismo primario. 04 / 11 / 2007
Fonte: http://portalesostegno.altervista.org/alterpages/files/AUTISMO.docx
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Storia dell’AUTISMO
È solo da pochi anni che la psicopatologia grave della fanciullezza viene studiata con l’attenzione e l’importanza che merita, in quanto depositaria di numerose informazioni sui meccanismi psicomentali legati allo sviluppo dell’individuo.
E’ infatti solo dal 1980, con la pubblicazione del DSM-III (APA, 1980), che il disturbo autistico viene incluso in una classificazione diagnostica come entità clinica separata ed indipendente.
La parola "autismo" deriva dal greco "autús" che significa "se stesso” e, come malattia o modello particolare di struttura psichica, si evidenzia drammaticamente per l’isolamento, l’anestesia affettiva, la scomparsa dell’iniziativa, le difficoltà psico-motorie, il mancato sviluppo del linguaggio.
Accanto a queste espressioni, di per se già disturbanti e fortemente disabilitanti, gli autistici dimostrano una importante incontinenza emotiva che si espleta con urla, corse afinalistiche, ipercinesie, a volte aggressività, angoscia e terrore.
Con la pubblicazione del DSM-IV il disturbo autistico viene inserito fra i disturbi generalizzati dello sviluppo, cioÉ fra quei disturbi caratterizzati da una grave e generalizzata compromissione in diverse aree dello sviluppo.
L’inclusione dell’autismo in questa categoria diagnostica può essere meglio compresa ripercorrendo a ritroso la storia dei tentativi classificatori della psichiatria di fronte alla complessità e varietà del disagio mentale.
Portare l'attenzione al percorso dello sviluppo del concetto di autismo e della sua definizione può risultare interessante per comprendere la complessità e polivalenza che oggi il termine "autismo" esprime.
Ad inizio secolo per formulare una diagnosi di psicopatologia di un bambino oppure di un adolescente ci si avvaleva di schemi diagnostici pensati e sviluppati per soggetti adulti e basati su una categorizzazione tripartita della patologia mentale, che comprendeva: schizofrenia, malattie affettive e nevrosi.
Il primo inquadramento diagnostico dei disturbi “psicotici” ad insorgenza molto precoce può essere attribuito a Krapelin, che aveva ricondotto tutti i casi di psicosi infantile al gruppo della demenza precoce.
Il termine autismo viene utilizzato per la prima volta nel 1908 da Eugen Bleuer (1857-1939), psichiatra svizzero tra i primi sostenitori dalla teoria psicoanalitica, per riferirsi ad una particolare forma di ritiro dal mondo, causata, comunque sempre, dalla schizofrenia.
Egli modificò, infatti, il concetto di schizofrenia individuandone un importante sintomo nel ritiro dalla vita sociale strutturata nel sé, come egli osservava negli adulti schizofrenici.
Secondo Bleuer (1908), l'autismo era caratterizzato da un restringimento delle relazioni con le persone e con il mondo esterno, così estremo da escludere qualsiasi cosa eccetto il SÈ proprio della persona.
Ma É solamente nel 1943 che Leo Kanner (psichiatra infantile) utilizzo il termine autismo per indicare una specifica sindrome da lui osservata in 11 bambini che chiamò autismo precoce infantile, e che ancora oggi, nella sua forma più classica, porta il suo nome.
Kanner descrisse i suoi pazienti come tendenti all’isolamento, autosufficienti, felicissimi se lasciati soli, “come in un guscio”, poco reattivi in ambito relazionale; la maggior parte di loro apparivano muti o con un linguaggio ecolalico, alcuni mostravano una caratteristica inversione pronominale (il “tu” per riferirsi a loro stessi e l’”io” per riferirsi all’altro), molti avevano una paura ossessiva che avvenisse qualche cambiamento nell’ambiente circostante, mentre altri presentavano specifiche abilità molto sviluppate (memoria di date, ricostruzione di puzzles, ecc.) accanto, però, ad un ritardo mentale generalizzato.
Kanner con lo studio degli undici bambini aveva ipotizzato "un'innata incapacità a comunicare" degli autistici quale causa di tale comportamento di chiusura.
Da tale prima ipotesi l'autore si allontanò negli anni seguenti.
Kanner e suoi collaboratori, partendo dall’analisi delle famiglie che si presentavano alla loro attenzione, fecero la deduzione avventata che i genitori (specie la mamma), troppo "freddi, distaccati e perfezionisti, privi di senso dell'umorismo e che trattavano le persone sulla base di una meccanizzazione dei rapporti umani", fossero, con il loro comportamento, la causa dell'autismo dei figli.
Kanner, però, non aveva tenuto conto che le famiglie che arrivavano alla sua attenzione non rappresentavano affatto la generalità delle famiglie con casi di autismo, ma solo una esigua parte di esse.
Dovevano passare più di trent'anni perché un ricercatore, Sanua, utilizzando una corretta metodologia statistica, potesse confutare la tesi del "genitore-frigorifero", "autismogeno".
L’autore comunque, già prima degli studi di Sanua, aveva ritrattato la sua ipotesi, rivolgendo le proprie scuse ai genitori dei bambini autistici per averli ingiustamente colpevolizzati.
Kanner, parlando di autismo infantile, scrisse: "…fin dal 1938, é giunto alla nostra attenzione un numero di bambini le cui condizioni differiscono cosÏ marcatamente e unicamente da qualsiasi altra riportata finora, che ogni caso merita - e, spero, eventualmente riceverà - una dettagliata considerazione delle sue affascinanti particolarità" (Trad. da L. Kanner, 1943).
In questo modo, per la prima volta, venne definito un gruppo particolare di soggetti, affetti da una sindrome particolare.
I casi di Kanner presentavano, nei primi anni di vita, disturbi che erano caratterizzati da:
- · "an extreme autistic aloneness", nel senso di un rimanere mentalmente soli.
Kanner scrisse a proposito di Frederick, un suo paziente: "…se lo lasciavo solo egli si divertiva davvero... Non l'ho mai visto piangere per richiamare l'attenzione..."; la madre di Charles, un altro piccolo paziente di Kanner, disse: "Non riesco a 'raggiungere' il mio bambino ... Non mi presta attenzione o mostra di non riconoscermi quando entro nella stanza ... La cosa più impressionante é il suo distacco e la sua inaccessibilità ...";
- · "an anxious obsessive desire for the preservation of sameness", osservata nella ripetizione di semplici movimenti o espressioni e pensieri; in elaborate routine; in una estrema limitatezza di interessi.
"…Fino a un certo punto”, diceva la madre di Frederick, “gli piace rimanere attaccato alle stesse cose. Su una delle librerie di casa si trovavano tre pezzi in un certo ordine. Ogni volta che questo veniva cambiato, lo riportava sempre al vecchio ordine. Dall'età di sei anni riesce a contare fino alle centinaia e a leggere i numeri, ma non ha alcun interesse nei numeri se sono applicati agli oggetti ...".
A proposito di Virginia, Kanner diceva: "La bambina si divertiva per ore mettendo insieme le figure dei puzzle, unendoli fino a comporli …gradualmente ha mostrato una marcata tendenza verso lo sviluppo di uno speciale interesse che ha completamente dominato le sue attività quotidiane ..."; e a proposito di Charles: "Da quando aveva un anno e mezzo, ha iniziato a impiegare ore a far ruotare giocattoli e i tappi delle bottiglie e barattoli ...".
- · la presenza di "islets of hability" quali una memoria meccanica eccellente, la capacità di ricordare strutture e sequenze complesse, un vocabolario stupefacente, fuorchÈ per l'uso dei pronomi.
Donald, come riferisce l’autore: "Era stato incoraggiato dalla famiglia a imparare e recitare poesie corte, e aveva imparato anche i Ventitré Salmi e le venticinque domande e risposte del Catechismo Presbiteriano ...".
E Charles: "Poteva distinguere diciotto sinfonie. Riconosceva il compositore non appena iniziava il primo movimento ..."; Elaine, invece: "Leggeva molto bene, ma leggeva velocemente, mescolando le parole, non pronunciando chiaramente, e non dando l'enfasi giusta. La quantità di informazioni che possedeva era davvero vasta e la sua memoria pressoché infallibile ...".
Kanner, diversamente da Bleuer, credeva che ”… questi bambini fossero giunti nel mondo con un’innata incapacità di formare il tipico contatto affettivo, biologicamente determinato, con le persone, proprio come altri bambini presentano innati handicap fisici o intellettuali".
La longevità di Kanner gli permise di descrivere anche l'evoluzione a distanza della sindrome che da lui aveva preso il nome.
Gli stessi undici bambini oggetto del primo lavoro del '43 furono rivisitati oltre trent’anni dopo.
Purtroppo però quei soggetti non erano più bambini ripiegati su se stessi, con presunte buone potenzialità nascoste, ma gravi handicappati mentali adulti, in molti casi con elementi psicotici gravissimi.
Nella maggior parte dei casi si trattava di soggetti ora istituzionalizzati e totalmente dipendenti, con l'eccezione di pochissimi che erano sÏ autosufficienti e in grado di svolgere e mantenere un lavoro, ma con grandi disturbi delle capacità relazionali e di socializzazione.
Il dato iniziale ottenuto con questo primo studio di Kanner, circa la gravità della prognosi a distanza dell'autismo infantile precoce, venne successivamente riconfermato da un ulteriore studio dell’autore che prendeva in considerazione tutti i 96 soggetti diagnosticati come autistici, che aveva potuto osservare durante la sua lunga carriera.
Fonte: breve citazione da http://autismo.inews.it/coselautismo/Autismo%20-%20Riccardo%20Grassi.doc
Sito web da visitare: http://autismo.inews.it/
Autore del testo: Riccardo Grassi
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