Paramorfismi e dismorfismi differenze
Paramorfismi e dismorfismi differenze
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Paramorfismi e dismorfismi differenze
Paramorfismi e Dismorfismi
PARAMORFISMI
Si tratta di deformità in genere transitorie, correggibili volontariamente, non sostenute da alterazioni scheletriche.
Sono il risultato di posizioni scorrette e atteggiamenti posturali viziosi che con il tempo sono causa di dolore. Di solito sono forme che si possono correggere attraverso esercizi specifici di rieducazione posturale. Sono in generale forme transitorie, che non comportano, se trattate adeguatamente, alterazioni delle strutture scheletriche. Sono forme reversibili (spesso regrediscono spontaneamente) ma devono comunque essere diagnosticate precocemente per essere trattate con successo soprattutto nell’età dello sviluppo.
Tali alterazioni, non trattate adeguatamente, possono degenerare in alterazioni irreversibili a carico dell’apparato scheletrico che prendono il nome di dismorfismi.
Esempi di paramorfismi sono:
- Deviazioni della colonna vertebrale per differente lunghezza degli arti inferiori, per contrattura unilaterale della muscolatura paravertebrale (da irritazione di una radice nervosa dello sciatico, ecc.)
Atteggiamento scoliotico
Deviazione della colonna vertebrale nel senso destra-sinistra che si può verificare su tutta la colonna.
La diagnosi radiografica (per misurazioni del grado di gravità) è indicata solo dopo il controllo della postura che individua eventuali:
- differenze nel triangolo della taglia.
- dislivelli delle spalle.
- presenza del gibbo dorsale o lombare che si evidenzia maggiormente flettendo il busto in avanti (segno che può essere assente nell'attegiamento scogliotico).
Si interviene, in tal caso con:
- Ginnastica posturale.
- Solette o scarpe ortopediche.
Per atteggiamenti scoliotici gravi o scoliosi vere e proprie, invece, si deve intervenire con corsetti ortopedici (busti). In casi estremi con l’intervento chirurgico.
Atteggiamento ipercifotico e iperlordotico
Sono causate da un basso tono muscolare a livello dorsale e lombare. Con una buona attività fisica questi due paramorfismi si possono evitare.
- Atteggiamento ipercifotico
Accentuazione della curva fisiologica dorsale del rachide che spesso si associa ad una iperlordosi lombare o cervicale compensatoria (cifolordosi).
- Atteggiamento iperlordotico
Accentuazione della curva fisiologica lombare.
DISMORFISMI
Sono quelle modificazioni della normale morfologia, sostenute da alterazioni congenite (malformazioni) o acquisite delle strutture muscoloscheletriche.
Esempi di dismorfismi sono:
- SCOLIOSI
Curvature patologiche irreversibili della colonna vertebrale nel piano frontale (in senso latero-laterale). Una alterazione della corretta forma della colonna vertebrale caratterizzata da una torsione della colonna nei tre piani dello spazio.
Questa deviazione è caratterizzata da:
- Curva primitiva.
Inclinazione laterale delle vertebre (asse di gravità spostato verso il lato della concavità).
- Curva compensatoria.
Rotazione compensativa dal lato opposto (tentativo di riportare la gravità al centro mediante una o più curve di compenso)
- Gibbo costale.
Asimmetria costale e conseguente deformazione della gabbia toracica.
Quando la scoliosi è associata a una deviazione sul piano sagittale (cifosi) si parla di cifoscoliosi.
- IPERCIFOSI e IPERLORDOSI
Curvature patologiche della colonna vertebrale nel piano sagittale che si accompagnano ad alterazioni strutturali dei corpi vertebrali.
Si parla di:
- Cifosi patologica o ipercifosi dorsale
Quando l’angolo della cifosi dorsale è maggiore di 35 gradi (curvatura convessa).
- Lordosi patologica o iperlordosi
Curvatura in avanti della colonna a livello lombare (il bacino ruotato anteriormente fà risultare la pancia sporgente).
- TORCICOLLO MIOGENO
Inclinazioni laterali del capo dovute una retrazione monolaterale del muscolo sternocleidomastoideo (viso e capo si presentano inclinati dalla parte della tensione muscolare e ruotati da quella opposta).
DEFORMAZIONI DEGLI ASSI OSSEI
Modificazione del normale rapporto tra due segmenti scheletrici adiacenti
L’anomalia può essere presente sin dalla nascita oppure essere acquisita successivamente (frattura mal consolidata, artrosi, ecc.). In alcuni segmenti del corpo un certo grado di flessione è fisiologico (esempio: flessione fisiologica del ginocchio).
Nel piano frontale:
- Varismo
L’angolo di deviazione è inferiore a 180° relativamente alla linea mediana del corpo.
(l'asse longitudinale del primo segmento scheletrico forma con quello del secondo segmento un angolo con il vertice verso l’esterno).
- Valgismo
L’angolo di deviazione è superiore a 180° relativamente alla linea mediana del corpo.
(l'asse longitudinale del primo segmento scheletrico forma con quello del secondo segmento un angolo con il vertice verso l’interno, verso la linea mediana del corpo).
Nel piano sagittale:
- Recurvato
quando sul piano sagittale l’angolo di deviazione è minore di 180° anteriormente.
- Procurvato
quando sul piano sagittale l’angolo di deviazione è maggiore di 180° anteriormente.
Nel piano trasversale:
- Rotazione interna
- Rotazione esterna
Scoliosi
Deviazione permanente laterale e rotatoria del rachide tipica dell’età evolutiva e spesso ingravescente fino a procurare danni estetici e funzionali anche gravi.
La rotazione dei corpi vertebrali si accompagna ad una deformazione dei dischi intervertebrali e a retrazioni (accorciamenti) muscolo legamentose.
CLASSIFICAZIONE
In rapporto alla genesi
- Idiopatiche o essenziali (Il 70-80% delle scoliosi)
Insorgono senza una causa apparente.
- Acquisite
Causate da lesioni di tipo traumatico, infiammatorio o indotte da lesioni di tipo neuromuscolare (es. poliomielite).
- Congenite
Scoliosi associata a un'anomalia dello scheletro a livello della colonna vertebrale o delle coste.
In rapporto all’età di prima osservazione
- neonatali
- infantili
- giovanili
- dell’adolescenza
Le scoliosi idiopatiche compaiono prevalentemente nell'età infantile e puberale, periodi in cui l'accrescimento osseo è elevato e i soggetti sono più esposti a squilibrio tra sviluppo scheletrico e muscolare.
In rapporto alla sede della curva primitiva
- lombari (D11 - L3)
- dorso-lombari (D6/D7 - L1/L2)
- dorsali (D4/D6 - D11/D12)
- cervico-dorsali
In rapporto all’entità della deviazione angolare
- inferiori a 25°
- tra 25° e 45°
- oltre i 45°
ANATOMIA PATOLOGICA
- curvatura principale
- curvatura di compenso
- rotazione
- deformazione dei corpi vertebrali
- deformazione del torace (gibbo)
- modificazioni degli organi endocavitari
DIAGNOSI
QUADRO CLINICO
- Assenza dell’allineamento delle apofisi spinose
- Slivellamento delle linee bisacromiali e bisiliache
- Asimmetria dei triangoli della “taglia”
- Evidente strapiombo del tronco rispetto al bacino
- Evidente presenza di “gibbo”
Bending Test (test della flessione anteriore) o Test di Adams
Procedura rapida che permette al medico specialista di distinguere rapidamente la scoliosi da un atteggiamento scoliotico.
Il paziente, in piedi a gambe tese e le mani unite, flette il busto in avanti.
Il medico esamina l'incurvamento dei processi spinosi e se a lato della colonna si formano delle gibbosità.
Se tali prominenze sono presenti quando il paziente è in piedi ma scompaiono quando flette il busto in avanti si parla di atteggiamento scoliotico.
QUADRO RADIOGRAFICO
- Alterazioni della forma dei corpi vertebrali
- Entità della rotazione
- Grado di curvatura
Metodo di Cobb
Misurazione "gold standard" di riferimento in gradi Cobb per valutazione radiologica in stazione eretta:
- Fisiologica cifosi toracica in età evolutiva = Tra 20° e 45° Cobb.
(Valori inferiori: "dorso piatto". Valori superiori: "ipercifosi toracica")
- Fisiologica lordosi lombare in età evolutiva = Tra i 20° e 65° Cobb.
- Età scheletrica del rachide
Test di Risser
Consente di stabilire il grado di sviluppo osseo valutando l'ossificazione delle creste iliache.
Il risultato può variare da Risser 0 (non esiste nucleo di ossificazione) a Risser 5 (ossificazione completa che si manifesta, in genere, 2-3 anni dopo la pubertà).
Fino a Risser 2 il rischio di peggioramento è del 50%, dopo Risser 2 Il rischio si riduce al 20%.
PROGNOSI
Quanto più attiva è l’osteogenesi (età puberale) tanto più può evolvere in senso sfavorevole la curvatura scoliotica. Più gravi sono le curvature dorsali e dorso-lombari
TERAPIA
Curva inferiore a 25° = Ginnastica correttiva
Controlli clinici ogni 6 mesi e radiografici annuali.
Educazione posturale e la regolare pratica di attività fisica.
Curva tra 25° e 45° = Ginnastica correttiva e corsetti ortopedici
Trattamento incruento per fermare o rallentare l'evoluzione della curva.
Chinesiterapia e elettrostimolazioni selettive della muscolatura paravertebrale.
Per situazioni più gravi: corsetti di vario tipo (Milwaukee, gessati, Lionese, Lapadula ecc.).
Curva superiore a 45° = Trattamento chirurgico
Corsetto gessato nei casi in cui l'accrescimento osseo debba ancora terminare o in seguito al trattamento chirurgico per immobilizzare temporaneamente il rachide.
Nei casi più gravi: trattamento chirurgico per bloccare la deformità impedendone l'evoluzione evitando così complicazioni respiratorie o neurologiche.
Ginocchio
Il ginocchio è la più complessa articolazione del corpo.
Le ossa che compongono questa articolazione sono solo 3:
- Rotula.
- Femore (nell'estremità dei condili femorali: mediale e laterale).
- Tibia (nell'estremità dei condili tibiali: mediale e laterale).
Ma questa articolazione deve la sua funzionalità alla presenza di numerosi elementi che la compongono:
per ammortizzare
- Menischi: Mediale (a forma di "C") e Laterale (a forma di "O").
In ciascun menisco si distinguono topograficamente: un corno anteriore, un corpo ed un corpo posteriore.
per mantenere posizione e rapporto delle varie parti
- Legamenti Crociati (Anteriore e Posteriore).
- Legamenti Collaterali (Mediale e Laterale).
- Tendini (Rotuleo e del muscolo quadricipide)
per avvolgere l’articolazione e contenere liquido sinosoviale che minimizza l’attrito:
- Capsula articolare e Membrana sinoviale.
Sintomi di base comuni a tutte le patologie del ginocchio
- Dolore più o meno acuto e costante, a volte legato a certi tipi di movimento;
- Diminuita o assente funzionalità dell’articolazione (al movimento o al carico);
- Tumefazione più o meno evidente.
Eventuali o successivi:
- Edema, arrossamento, calore nella zona.
- Versamento (di liquido sinoviale o sangue).
- Disallineamenti.
- Eccessiva mobilità della rotula (per lesione dei legamenti o alterazione delle strutture ossee).
La principale complicazione è la cisti di Baker, che si forma nella regione posteriore del ginocchio a causa dell’eccessiva produzione di liquido nell’articolazione.
PROCESSI PATOLOGICI A CARICO DEL GINOCCHIO
Distinti in patologie a carico di cartillagine o ossa:
1) Degenerative e/o infiammatorie
2) Traumatiche
3) Infettive
PATOLOGIE DEGENERATIVE E/O INFIAMMATORIE
- Artrosi del ginocchio o Gonartrosi
Malattia articolare cronico - degenerativa, progressiva che colpisce e degrada la cartilagine articolare (La più comune malattia del ginocchio in età senile).
Lo strato di cartilagine che riveste i condili femorali e i piatti tibiali si assottiglia progressivamente fino ad esporre l’osso sottostante. L'organismo reagisce producendo escrescenze periferiche appuntite, gli osteofiti.
Il liquido reattivo che si accumula all'interno del ginocchio artrosico tende a trovare sfogo posteriormente, determinando una raccolta fluida palpabile (cisti poplitea di Baker).
Nelle fasi più avanzate della malattia la capsula articolare si ispessisce e i muscoli si retraggono fino a determinare un ginocchio rigido, in genere semiflesso e varo.
CAUSE
- Aumento di peso.
- Ginocchio varo o valgo.
- Malattie infiammatorie (come l'artrite reumatoide).
- Malattie dell'osso a livello dei condili femorali (osteonecrosi).
- Postumi di fratture articolari del ginocchio
- Rottura del legamento crociato anteriore o dei menischi
SEGNI E SINTOMI
- Dolore invalidante e progressivo, accentuato dal movimento.
- Gonfiore (la membrana sinoviale reagisce alla presenza di micro corpuscoli intra articolari, derivati dalla degenerazione, producendo maggiore liquido sinoviale e le cisti di Baker nella parte posteriore) che aumenta i dolori del paziente.
- Deformazione dell'arto inferiore (in artrosi evolute) con aumento del varismo o valgismo.
DIAGNOSI
Radiografia (antero-posteriore e laterale) eseguita in carico (in piedi) che evidenzi:
- riduzione della rima articolare
- addensamento dell’osso subcondrale
- geodi (ovvero cavitazioni dell’osso)
- osteofiti (spuntoni ossei)
TAC e RMN risultano diagnosi superflue mentre Teleradiografia in carico (RX totale degli arti inferiori) e le proiezioni assiali della rotula (con ginocchio flesso) possono aggevolare la pianificazione della procedura di un intervento chirurgico.
TERAPIA
Iniziale trattamento incruento e medico per alleviare il dolore:
- Terapia farmacologica essenzialmente palliativa (antiinfiammatori e antidolorifici)
- Infiltrazione cortisonica (risolvere rapidamente un quadro infiammatorio locale ma è indicata per pazienti non candidati a procedure conservative visto che può deteriorare cartilagini, menischi e legamenti).
- Terapie (ad esito favorevole temporaneo) radarterapia e dall’elettroterapia.
Nelle artrosi poco avanzate:
- pulizia dell'articolazione in artroscopia (introducendo nell'articolazione della soluzione fisiologica che rimuove di tutti i micro corpuscoli, legati alla degenerazione cartilaginea)
Soluzione chirurgica nelle forme iniziali e per i più giovani:
- Viscosupplementazione locale (serie di 3-4 infiltrazioni endoarticolari di preparati a base di acido jaluronico per il miglioramento della lubrificazione del ginocchio e del trofismo delle cartilagini).
- Interventi correttivi (osteotomie) che, riallineando l'arto, arrestano o rallentano la degenerazione articolare.
- Trapianto di cartilagine (indicato in postumi traumatici o in malattie come l'osteocondrite dissecante dove vi sia una perdita isolata di cartilagine)
Soluzione chirurgica nelle forme avanzate e per i meno giovani:
- Protesi di ginocchio totale o monocompartimentale (sostituisce la cartilagine ormai inesistente).
A prescindete dal tipo di terapia il paziente dovrà mantenere o ridurre il peso e praticare esercizio fisico continuo, non agonistico.
- Lussazione congenita del ginocchio
Rara anomalia congenita caratterizzata da iperestensione del ginocchio evidente fin dalla nascita.
- Lussazione congenita della rotula
Patologia ereditaria che provoca instabilità della rotula (per mancato allineamento della muscolatura estensoria della coscia con la componente ossea) che esce spesso dal solco nel quale scorre normalmente, fino a trasferirsi stabilmente sulla faccia mediale (interna) del ginocchio.
- Rotula bipartita
Alterazione dello sviluppo della rotula: una parte di questo grande osso circolare che sta davanti al ginocchio non consolida con il resto della rotula e resta separato o unito da un ponte fibroso.
Quasi sempre asintomatico, raramente necessita di trattamento (intervento artroscopico).
- Ipoplasia della tibia
Rare deformità congenite della tibia.
- Pseudoartrosi congenita tibia
Rara malformazione della tibia dovuta a frattura intrauterina (che al momento della nascita presenta le caratteristiche della pseudoartrosi, ovvero non presenta alcuna tendenza alla consolidazione) o che si manifesta negli anni come complicanza di una tibia curva.
- Artrite reumatoide
Malattia autoimmune data da una predisposizione genetica associata ad un innesco esogeno (batteri, virus, tossine). La reazione immunitaria anticorpale aggredisce i tessuti articolari che vengono gradualmente erosi.
- Artrite psoriasica
Malattia reumatica infiammatoria cronica, a eziologia sconosciuta, associata alla psoriasi.
- Lupus eritematoso sistemico
Il LES è una rara malattia cronica autoimmune che può colpire diversi organi del corpo (in particolare: cute, articolazioni, sangue e reni). A livello articolare provoca dolore e gonfiore (Artrite).
- Gotta
Artrite causata da un aumento dei livelli di acido urico nei liquidi del corpo.
- Pseudogotta
Artrite acuta causata da calcio pirofosfato.
- Sclerodermia
Rara malattia ad andamento cronico di origine autoimmune che causa l'ispessimento e la perdita di elasticità della cute ed in molti casi, danni agli organi interni. Le articolazioni diventano gonfie e dolenti e si sviluppano contratture.
- Diabete
PATOLOGIE TRAUMATICHE
- Rottura dei Legamenti del Ginocchio
I 2 legamenti crociati (anteriore e posteriore) impediscono lo spostamento anteriore o posteriore della tibia rispetto al femore. Il crociato anteriore è sollecitato durante lo sport che nella maggioranza dei casi ne determina la rottura.
CAUSE
I crociati si rompono essenzialmente per traumi di tipo distorsivo e il crociato anteriore è più esposto al rischio di lesione perchè, a differenza del posteriore, la sua vascolarizzazione è insufficiente a sostenere i processi riparativi (una volta rotto, degenera irreversibilmente).
Spesso la rottura di un crociato si accompagna anche a lesione dei legamenti collaterali e dei menischi, costituendo così solo un elemento di un danno capsulo-menisco-legamentoso complesso.
La rottura o lesione totale del legamento crociato anteriore necessita, nei giovani sportivi, una sua ricostruzione chirurgica e l'abbandono della maggior parte delle attività sportive.
Praticare sport con una rottura del legamento crociato anteriore porta a rischio di distorsioni che se protratte negli anni incrementano l'usura della cartilagine.
Generalmente una rottura del crociato anteriore non necessita di un intervento d’urgenza ma si cerca di effettuare l'intervento prima che il menisco possa essere danneggiato.
SEGNI E SINTOMI
In acuto la rottura di un legamento crociato si presenta di solito con un importante versamento di sangue che distende l'articolazione. Il dolore e l'impotenza funzionale dipendono dalla rottura legamentosa e dalle eventuali lesioni associate.
Risolta la sintomatologia acuta in 2-3 settimane, se non vi sono lesioni associate, il paziente recupera buona parte della funzione articolare, ma residua sempre una sensazione di instabilità che impedisce la pratica sportiva.
DIAGNOSI
La diagnosi di lesione dei legamenti crociati è prettamente clinica (manovra di lachman, il cassetto anteriore e il jerk test o pivot shift test).
Per conferma, lo specialista richiede una risonanza magnetica, che dimostrerà l'interruzione parziale o totale dei fasci legamentosi e le eventuali lesioni associate (la RM si esegue in assenza di tumefazione).
TERAPIA
Il crociato posteriore può guarire spontaneamente cicatrizzando in 5 o 6 settimane di immobilizzazione in estensione seguite da un programma riabilitativo per il recupero dell'articolarità.
Il crociato anteriore, non avendo possibilità di guarigione, richiede solo l'immobilizzazione del ginocchio per alcuni giorni, fino alla diminuzione del versamento e del dolore. Un programma riabilitativo finalizzato al potenziamento del quadricipite permette di restituire un grado accettabile di stabilità.
Per i giovani o gli sportivi:
Chirurgia artroscopica ricostruttiva (sostituizione del legamento danneggiato con un innesto tendineo prelevato dal tendine rotuleo dallo stesso ginocchio).
- Rottura del Menisco
I menischi (mediale e laterale) sono fibrocartilagini a forma di semianello che si interpongono tra i condili femorali e i piatti tibiali:
- Aumentando la congruenza tra i condili femorali (convessi) e i piatti tibiali (piani).
- Distribuendo il carico uniformemente.
- Migliorando la stabilità del ginocchio.
- Aggevolando la nutrizione della cartillagine (migliorando la distribuzione di liquido sinoviale).
Si comprende dunque come la rimozione completa di un menisco possa provocare, nel lungo periodo, una degenerazione artrosica precoce.
CAUSE
- Traumi di tipo distorsivo (il più comune: violenta rotazione del femore sulla tibia vincolata a terra, con ginocchio semiflesso).
- Usura da meniscopatia degenerativa "anticamera" dell'artrosi (patologia tipica dell'età adulta e senile).
Il menisco mediale è più spesso interessato perchè è il meno capace di adattarsi a sollecitazioni improvvise e perchè sottoposto a maggior carico.
SEGNI
In acuto si ha dolore, impotenza funzionale e versamento (gonfiore) crescente.
Il ginocchio può sviluppare un blocco articolare che può risolvesi spontaneamente in qualche ora o richiedere un trattamento chirurgico urgente.
La meniscopatia degenerativa ha di solito una sintomatologia subdola, con presenza di dolore dopo affaticamento e in massima flessione. Raramente si osserva un versamento significativo.
DIAGNOSI
Risonanza magnetica preceduta da diagnosi clinica.
TERAPIA
Una lesione meniscale non può guarire a causa della struttura quasi completamente avascolare dei menischi.
Le fratture meniscali propriamente dette (determinate da un trauma acuto) vengono trattate solitamente con trattamento chirurgico prettamente artroscopico che non comporta mai la rimozione completa del menisco. I frammenti instabili del menisco vengono asportati, preservando il tessuto sano (meniscectomia selettiva).
Mentre nelle rotture periferiche recenti di soggetti giovani, è possibile eseguire la sutura della lesione visto che il margine periferico vascolarizzato permette una risposta riparativa.
Il post operatorio comporta un riposo per 4-6 settimane e successiva riabilitazione.
Per meniscopatia degenerativa è solitamente non inditato il trattamento chirurgico ma la viscosupplementazione locale (serie di 3-4 infiltrazioni endoarticolari di preparati a base di acido jaluronico per migliorare la lubrificazione del ginocchio e il trofismo delle cartilagini).
La terapia farmacologica (essenzialmente palliativa) è rappresentata prettamente da antiinfiammatori/antidolorifici.
- Condropatia (o condromalacia) rotulea
Superficie articolare "irregolare" della cartillagine della rotula abitualmente asintomatica.
- Lussazioni o Slogatura
Evento traumatico che causa la perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di un'articolazione.
- Tendiniti
Ripetizione cronica di microsollecitazioni (patolgia tendinea da sovraffaticamento) che causa lacerazioni del tessuto tendineo (riparate spontaneamente). Questa riparazione tende a degenerare il tessuto divenuto meno resistente (tendinosi) che se associato ad una risposta infiammatoria porta a tendinite.
- Distorsioni o Contusioni
Lesione di alcune fibre di uno o più legamenti in seguito ad un trauma o ad un movimento brusco.
- Fratture
Lesione ossea che consiste in una soluzione di continuo, completa o incompleta, con o senza spostamento dei frammenti che ne residuano.
LESIONI DELLA CARTILLAGINE
I tessuti cartilaginei sono tessuti connettivi costituito da particolari cellule, che prendono il nome di condrociti, immerse in una matrice extracellulare definitia matrice cartilaginea.
I condrociti prendono parte nel processo di formazione della matrice cartilaginea producendo proteoglicani (grandi molecole situate nello spazio extracellulare dei tessuti) e acido ialuronico che, unendosi, formano la matrice amorfa della cartilagine.
A seconda della quantità di fibre collagene ed elastiche presenti, si distinguono tre tipi di cartilagine:
- IALINA
Riveste le superfici articolari ossee delle diartrosi e costituisce: le cartilagini costali, lo scheletro della piramide nasale, della laringe, bronchi, trachea e del feto (sostituita da tessuto osseo durante i processi di ossificazione).
- FIBROSA
Matrice particolarmente ricca di fibre collagene orientate, in grado di sopportare grandi sollecitazioni in trazione perchè più "rigida".
Costituisce: dischi intervertebrali, menischi articolari, inserzioni tendinee e il tessuto di unione delle ossa in tutte le sinfisi.
- ELASTICA
Matrice ricchissima di fibre elastiche che la rendono pieghevole e adatta a sopportare sollecitazioni angolari senza rotture. Non subisce calcificazione se non in rarissime circostanze. Costituisce lo scheletro del padiglione auricolare, della cartilagine epiglottide, della tuba di Eustachio.
Le lesioni cartilaginee (post-traumatiche o degenerative) possono essere distinte in:
- lesioni condrali
(coinvolgono esclusivamente la cartilagine articolare)
- lesioni condrali miste
(associate ad alterazioni dell'osso subcondrale, sede di impianto della cartilagine articolare)
SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI
Le lesioni cartilaginee possono essere totalmente asintomatiche o possono manifestarsi con dolore, versamento, sensazione di blocco o cedimento.
Attualmente lo strumento diagnostico più attendibile è la RMN e l'artroscopia (che consente di evidenziare lesioni cartilaginee anche molto modeste e di palpare la cartilagine, saggiandone il grado di resistenza).
TERAPIA DELLE LESIONI CONDRALI
Le tecniche più utilizzate sono:
- Pulizia cartilaginea per mezzo di un sistema motorizzato (shaver) effettuata in artroscopia (tecnica che ha sostituito l'abrasione artroplastica) che rallenta il processo artrosico.
- Trapianto autologo di condrociti
Questa tecnica utilizza una soluzione "biologica" per rigenerare la cartilagine ialina degenerata.
La procedura (in artroscopia) prevede la valutazione del danno e il prelievo di un frammento di cartilagine sana da coltivare in vitro in laboratorio (3-4 settimane) e reimpiantare nel paziente.
Il soggetto deve essere sottoposto ad un programma di terapie fisiche e riabilitative il cui scopo è la mobilizzazione e il rinforzo muscolare.
I criteri di idoneità al trattamento comprendono:
- Presenza di difetti condrali di maggiori dimensioni (oltre 1,5 centimetri quadrati) di grado IV (in alcuni casi di grado III in pazienti sintomatici) in riferimento alla "stadiazione" del danno condrale dell'ICRS (da grado 0 "normale" a grado 4 "lesione osteocondrale").
- Lesioni preferibilmente a carico dei condili femorali (sede più favorevole al trattamento )
- Età tra 16 e i 45‑50 anni
- Eziologia traumatica e osteocondrite dissecante (ocd)
- Integrità dei menischi
- Correzione chirurgica delle instabilità legamentose e delle deviazioni assiali
- Pazienti sintomatici con precedenti fallimenti di trattamenti chirurgici cartilaginei
- Esclusione di pazienti in soprappeso
- Esclusione di pazienti artrosici.
- Esclusione di pazienti con malattie metaboliche, sistemiche, infettive e reumatiche.
ARTROSCOPIA
L'artroscopia è una tecnica chirurgica endoscopica mediante artroscopio (dispositivo a fibre ottiche).
Le immagini catturate dall'artroscopio sono visualizzate in tempo reale su di un monitor che permette al chirurgo di guidare i vari strumenti impiegati in chirurgia artroscopica come il palpatore (per saggiare la consistenza e la tensione dei tessuti) o il duckbill (strumento tagliente che "morde" il tessuto che si intende rimuovere).
La chirurgia artroscopica, essendo estremamente mini-invasiva, è gravata da un tasso di complicazioni nettamente inferiore rispetto alla chirurgia aperta.
La chirurgia meniscale è sicuramente quella più comunemente praticata. Attraverso due soli accessi praticamente puntiformi è possibile eseguire la regolarizzazione di quasi tutte le lesioni del menisco interno o esterno. Il recupero è solitamente rapidissimo (ripresa normale della funzionalità in poche settimane).
Ma anche la chirurgia ricostruttiva del legamento crociato anteriore è ormai divenuto routinario: in questo caso ai 2-3 accessi artroscopici va aggiunta un'incisione un poco più estesa nella sede di prelievo dell'innesto tendineo (che viene impiegato per sostituire il legamento lesionato). Il recupero è solitamente più lento (ripresa normale della funzionalità in circa 2-5 mesi).
PROTESI DEL GINOCCHIO
L’artroprotesi del ginocchio è una protesi artificiale (in leghe metalliche e materiali plastici) totale o parzialmente (protesi monocompartimentale) dell'articolazione.
Protesi totale
Indicata per ginocchio interessato da processo degenerativo globale.
La parte superiore della tibia (il piatto tibiale) e quella inferiore del femore (condili femorali) vengono asportate per uno spessore pari a 8-10 mm per far posto alle componenti protesiche.
La protesi è costituita da una componente tibiale e da una componente femorale, che vengono fissate all'osso. Sulla componente tibiale viene assemblato un inserto in polietilene, fisso oppure rotante a seconda del modello protesico.
Protesi monocompartimentale
Indicata per ginocchio interessato da processo degenerativo di un compartimento articolare del ginocchio (mediale, laterale o femoro-rotuleo).
La sostituzione protesica del ginocchio è indicata in tutte le gonartrosi, primarie e secondarie, nel momento in cui la sintomatologia non è più controllabile con le cure mediche e fisioterapiche.
Anche le artriti (artrite reumatoide soprattutto) possono richiedere un intervento protesico quando l'articolazione sia stata irreversibilmente danneggiata.
Il paziente può tornare ad una vita del tutto normale circa 4-6 settimane dopo l'intervento.
I rischi dell'intervento comprendono:
- Infezione periprotesica
La superficie metallica dell'impianto costituisce un terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie dell'organismo.
- Trombosi venosa con il rischio di embolizzazione polmonare.
Piede Torto Congenito
Deformità del piede (monolaterale o bilaterale) presente alla nascita, caratterizzata da uno stabile atteggiamento vizioso, per alterazioni dei rapporti reciproci delle ossa e dal conseguente adattamento delle capsule articolari, dei legamenti, dei tendini e delle fasce.
Alla nascita
- deviazione mediale e plantare dell’astragalo
- varismo, equinismo e supinazione del calcagno
- sublussazione mediale dello scafoide
- retrazione capsulolegamentosa postero mediale
- retrazione aponeurosi plantare
Eziopatogenesi
L’alterazione si manifesta con una lesione della miosina (in epoca fetale e non embrionaria) che perde per cause imprecisate la propria caratteristica contrattile e appare diminuita di volume, accorciata e contratta.
Le cause che provocano tale danno sono state solo ipotizzate, sono varie e possono essere:
- Cause meccaniche da forze esterne
- Oligodramnios
- Vascolare-ischemica
- Fumo
- Deficit nutrizionali ( acido folico)
- Teratogene
Queste cause però non sono sufficienti a causare da sole la deformità: si esplicano solo su una predisposizione genetica
Da un punto di vista ultrastrutturale sono state evidenziate anomalie a carico dei proteoglicani e presenza di fibrille di collagene nei muscoli della loggia posteriore.
Ne consegue una retrazione fibrosa cicatriziale e accorciamento di quel capo muscolare che tende a deformare l’osso sul quale s’inserisce. Il rapporto muscolo-tendine s’inverte con ispessimento e aumento di volume di quest’ultimi.
Dunque la deformità ossea è secondaria sia all’aumentata tensione muscolo-legamentosa e sia alle sollecitazioni anomale dal segmento osseo viciniore già deformato.
Le alterazioni anatomo-patologiche del PTC riguardano dunque sia la parte capsulo-legamentosa che la componente scheletrica. La prima, che si manifesta con una fibrosi del margine mediale del piede, principalmente riguarda:
- Ispessimento e accorciamento del legamento astragalo-scafoideo
- Ispessimento e accorciamento del tendine del tibiale posteriore
La deformità scheletriva, entro certi versi reversibile, riguarda tra l’altro:
- L’ipoplasia dell’astragalo con collo deviato medialmente e plantarmente.
- Lo scafoide è appiattito e deformato a cuneo con base interna.
- Il calcagno è modicamente ipoplasico e lievemente incurvato medialmente.
In complesso il piede presenta una torsione sul suo asse longitudinale, per cui la faccia plantare guarda medialmente e l'appoggio al suolo avviene solo sul margine esterno del piede e sull'avampiede.
Terapia
La tecnica manipolativa
La peculiarità della manovra riduttiva si fonda su tre momenti:
Il primo è quello di mantenere invariata la supinazione dell’avampiede che non deve essere assolutamente corretta per non aggravare il cavismo.
Il secondo momento sta nella riduzione gentile, ma ferma della lussazione astragalo-scafoidea esercitando una forza rotatoria esterna su questa articolazione evitando accuratamente di sollecitare l’articolazione calcaneo-cuboidea. Sempre a proposito di calcagno esso non deve essere assolutamente bloccato in quanto la correzione graduale anti-varo è secondaria alla manovra riduttiva dell’articolazione astragalo-scafoidea.
Il terzo momento è la graduale abduzione-extrarotazione del piede già ottenibile con il secondo-terzo gesso, appena si riduce la manovra riduttiva in supinazione.
La rotazione esterna del piede rappresenta uno dei momenti salienti della tecnica, perché in questo modo si riesce non solo a ridurre la lussazione astragalo-scafoidea, ma si ottiene anche una graduale distensione di quelle strutture capsulari e tendinee del margine mediale del piede, come detto, fortemente contratte e accorciate.
Una volta condotta la manovra correttiva, il piede viene immobilizzato con il gesso tradizionale che viene esteso fino all’inguine, per non perdere la graduale rotazione esterna del piede. Il gesso, eseguito a ginocchio mantenuto a 100°-110° di flessione, viene rinnovato ogni 8 -10 giorni.
Il tutore in abduzione
Il concetto di abduzione-rotazione esterna raggiunto gradualmente con i gessi viene alla fine stressato dall’utilizzo del tutore di Dennis - Brown che si caratterizza per la possibilità di mantenere il piede nella posizione suddetta ed anzi di aumentarla fino ad arrivare ai 70°.
Il tutore va mantenuto per 23 ore/die fino alla deambulazione, poi viene indossato solo per la notte per un periodo variabile, ma che non è mai inferiore ai 24 mesi e solitamente mai eccedente i tre- quattro anni di vita.
Il trattamento chirurgico
La tecnica operatoria consiste in una semplice resezione trasversale del tendine d’achille, senza necessità di sdoppiare ed allungare lo stesso Inutile dire che, se la tecnica è stata ben condotta, non c’è la minima necessità di eseguire un release chirurgico mediale.
Varianti
Richiedono tutte e 4 manipolazioni immediate.
1) equino varo cavo supinato
- equinismo: piede flesso plantarmente
- varismo: asse longitudinale del calcagno deviato medialmente rispetto all'asse longitudinale della gamba.
- supinazione: avampiede ruotato sul suo asse longitudinale in modo tale che la pianta è rivolta all'interno.
- cavismo: volta plantare accentuata.
Richiede:
- gesso femoro podalico (dopo il 15° giorno e per 3/4 mesi)
- tenoplastica e capsuloplastica
- osteotomie
2) Talo Valgo Pronato Piatto
- Talismo: flessione dorsale del piede.
- Valgismo: asse longitudinale del calcagno è deviato lateralmente rispetto all'asse longitudinale della gamba.
- Pronazione: avampiede ruotato sul suo asse longitudinale in modo tale che la pianta è rivolta all'esterno.
- Piattismo: appiattimento della volta plantare longitudinale.
Richiede:
- valve gessate
- calzature ortopediche
3) metatarso varo
Deformità caratterizzata dalla deviazione verso l'interno dei raggi metacarpali e delle dita.
Richiede:
- ortesi
- calzature ortopediche
4) piede reflesso
Rara deformità caratterizzata dall'inversione della volta plantare.
Richiede:
- gesso femoro podalico (dopo il 15° giorno e per 3/4 mesi)
- tenoplastica e capsuloplastica
- osteotomie
- atrodesi
Displasia Congenita dell’Anca
Anatomia dell’anca
L’articolazione dell’anca o articolazione coxofemorale, unisce il femore al bacino, essa permette i movimenti attraverso la testa del femore che si muove nell’acetabolo. La cartilagine, ricopre le due superfici ed ha la principale funzione di far scivolare le due superfici articolari l’una sull’altra e di distribuire al meglio i carichi che agiscono sull’anca.
Muscoli, legamenti e tendini circondano l’articolazione dell’anca. I muscoli si attaccano all’osso tramite un robusto tessuto, il tendine. Le due ossa sono legate l’una all’altra mediante nastri fibrosi chiamati legamenti.
Durante il movimento, la cartilagine permette lo scivolamento delle due superfici l’una sull’altra, i muscoli imprimono forza al movimento, i legamenti e i tendini sono di supporto ai muscoli. All’interno dell’articolazione e intorno ai legamenti è presente una sottile membrana che produce un liquido, il liquido sinoviale che permette all’articolazione di muoversi facilmente.
Displasia dell’anca
Si tratta di un’anomalia congenita dello sviluppo delle componenti dell’articolazione dell’anca, che porta alla progressiva perdita dei normali rapporti anatomici tra femore e bacino.
A carico dell'acetabolo le alterazioni sono:
- ridotta profondità della cavità cotiloidea
- sfuggenza del tetto cotiloideo
A carico della testa del femore le malformazioni sono:
- eccessivo valgismo del collo femorale
- antiversione del collo femorale
- ritardo nella comparsa del nucleo di ossificazione della testa femorale.
Colpisce 2 neonati su 1000, soprattutto femmine. E’ spesso evidente l’ereditarietà di questa malattia. Se la diagnosi viene fatta precocemente, è possibile ottenere un normale sviluppo dell’articolazione grazie all’uso di appositi tutori nei primi mesi di vita. Se invece non viene trattata, la displasia congenita dell’anca porta inevitabilmente ad un quadro di artrosi importante, con sovvertimento della normale anatomia dell’anca.
Nell'adulto si possono verificare due condizioni, a seconda che l'anca sia lussata oppure no. Nel primo caso, i problemi sono più spesso a carico della colonna (iperlordosi) e del ginocchio (valgo), che vengono costretti ad un sovraccarico funzionale di compenso. Nel secondo caso, un’anca sublussata o centrata ma con un acetabolo poco profondo (displasia residua) può sviluppare precocemente un’artrosi severa, che differisce da quella primaria per la grave limitazione della rotazione esterna e per l'importante accorciamento dell'arto.
Cause
Cause genetiche
- Alterazioni di sviluppo del cotile
- Alterazioni di sviluppo della testa femorale
- Alterazioni di sviluppo del labrum cotiloideo
- Lassità della capsula articolare
- Disordini neuromuscolari (mielodisplasia, spina bifida)
Cause meccaniche
- Posizione assunta dalle anche durante la vita intrauterina
- Tipo di parto (podalico)
Stadi evolutivi
- sublussazione: nucleo cefalico femorale ancora parzialmente in rapporto con l’acetabolo.
- lussazione: nucleo cefalico femorale lateralizzato e risalito al di sopra del ciglio cotiloideo.
- lussazione inveterata: produzione di un neocotile iliaco anteriore o posteriore, cavità acetabolare obliterata e accentuazione dell’ipoplasia del bacino.
Sintomatologia
Alla nascita il segno clinico più importante è il segno di Ortolani o “segno dello scatto”:
a paziente supino, con ginocchia flesse ed anche flesse ed abdotte, esercitando prima una pressione con il pollice sulla faccia mediale della coscia e poi con le altre dita sulla faccia esterna, nel momento in cui la testa del femore supera una salienza smussa si avverte la sensazione palpatoria di uno scatto.
Altri segni clinici di sospetto sono:
- asimmetria delle pliche cutanee delle cosce e delle natiche
- atteggiamento in lieve rotazione esterna dell’arto
- eventuale deviazione della fessura vulvare nelle bambine.
Nella fase di sublussazione si ha:
- limitazione dell’abduzione ad anche flesse
- lassità capsulo-legamentosa dell’anca quali:
il segno di Trelat o “della squadra” consistente, a paziente prono con le ginocchia flesse a 90 gradi, in una maggiore intra-rotazione dell’anca affetta;
il segno di Savariaud consistente nell’accorciamento dell’arto affetto, nel passaggio dalla posizione supina a quella seduta.
Nella fase di lussazione si nota:
- positività del segno di Galeazzi: a paziente supino, con le anche e le ginocchia flesse, il ginocchio del lato affetto si trova ad un livello inferiore
- aumento dell’extrarotazione e dell’accorciamento dell’arto
- deformità del profilo dell’anca lussata
- possibilità di palpare la testa femorale in sede anomala
- ritardo nell’inizio della deambulazione
- zoppia durante la deambulazione
- ipotrofia muscolare dei glutei e di tutto l’arto inferiore.
Trattamento
Nella fase di prelussazione è sufficiente applicare un cuscino divaricatore o un tutore che mantenga costantemente le anche in abduzione e flessione.
Nella sublussazione e lussazione il trattamento varia in rapporto alla gravità del quadro radiografico. Il trattamento incruento si attua applicando inizialmente una trazione a cerotti collegata ad un peso seguita dall’applicazione di un apparecchio gessato pelvi-malleolare bilaterale che mantenga le anche in flessione ed abduzione.
Nelle lussazioni inveterate la riduzione cruenta va integrata con la creazione di un sistema di contenimento della testa femorale in modo da poter compensare il deficiente sviluppo del tetto acetabolare.
Complicanze
- rigidità articolare
- aumento del valgismo e dell’antiversione del collo femorale
- predisposizione alla precoce insorgenza di coxartrosi.
Osteoartrosi Dell’Anca
L’osteoartrosi, più comunemente conosciuta come artrosi è una malattia degenerativa delle articolazioni, caratterizzata dall’alterazione e riduzione della cartilagine ialina e articolare e ipertrofia dell'osso, con produzione di osteofiti.
L'osteoartrosi (OA), la più comune di tutte le patologie articolari, inizia in modo asintomatico nel 2° e 3° decennio ed è estremamente diffusa all'età di 70 anni. La quasi totalità dei soggetti intorno ai 40 anni, mostra qualche alterazione patologica delle articolazioni sottoposte al carico, benché una parte relativamente piccola di essi presenti una sintomatologia. Vengono colpiti entrambi i sessi con la stessa frequenza, ma l'esordio è più precoce nel maschio.
Classificazione
L'OA viene classificata in:
- primaria (idiopatica): coinvolge le articolazioni interfalangee distali e prossimali (provocando la formazione dei noduli di Heberden e di Bouchard), la prima articolazione carpo-metacarpale, i dischi intervertebrali e le apofisi articolari vertebrali della colonna nei tratti cervicale e lombare, la prima articolazione metatarso-falangea, l'anca, il ginocchio.
Sottotipi della OA primaria comprendono la forma erosiva, quella infiammatoria e quella rapidamente distruttiva delle spalle e meno spesso delle anche e delle ginocchia negli anziani.
- secondaria: sembra risultare da condizioni che cambiano il microambiente dei condrociti. Queste includono anomalie articolari congenite, anomalie genetiche, malattie infettive, metaboliche, endocrine o neurologiche; malattie che alterano la struttura e la funzione della cartilagine ialina, i traumi (comprese le fratture) a carico della cartilagine ialina o dei tessuti circostanti.
Fisiopatologia
Le articolazioni normali hanno un coefficiente di frizione basso e normalmente non si logorano con un uso eccessivo o un trauma. La cartilagine ialina non presenta vascolarizzazione, né innervazione, né vasi linfatici. È costituita per il 95% da acqua e da matrice cartilaginea extracellulare e solo per il 5% da condrociti (unità morfologiche e funzionali del tessuto cartilagineo).
Lo stato di salute della cartilagine e la funzione dipendono dalla compressione e dal rilasciamento esercitata dal peso del corpo e dal movimento; cioè, la compressione sposta liquidi dalla cartilagine nello spazio articolare e nei capillari e nelle venule, mentre il rilasciamento consente alla cartilagine di riespandersi, iperidratarsi e assorbire i necessari nutrienti.
Il processo fisiopatologico dell'OA è progressivo. Scatenato da una modificazione del microambiente, il condrocita va incontro a mitosi e ad aumentata la sintesi di proteoglicani e di collagene tipo II (i principali elementi strutturali della cartilagine), quindi aumenta la sintesi ossea da parte degli osteoblasti. Con l'aumentata formazione ossea nell'area subcondrale, le proprietà fisiche dell'osso cambiano; l'osso diventa più rigido con diminuita elasticità e si verificano microfratture, seguite da formazione di callo, ulteriore rigidità e ulteriori microfratture. La metaplasia (sostituzione) delle cellule sinoviali periferiche comporta la formazione di osteofiti periarticolari.
Alla fine, si formano cisti ossee (pseudocisti) nel midollo, al di sotto dell'osso subcondrale. Le cisti ossee sono causate dalla fuoriuscita di liquido articolare nel midollo attraverso le spaccature della cartilagine ialina, con una reazione cellulare fibroblastica e osteoblastica. L'aspetto macroscopico è quello di una perdita di levigatezza con perdita di sostanza e irregolarità a carico della superficie della cartilagine ialina, fino alla formazione di grossolane ulcerazioni con perdita di sostanza, inizialmente focale, quindi diffusa, che lascia soltanto superfici ossee eburnee. Quando compaiono i sintomi clinici, sono praticamente sempre presenti un'attiva proliferazione sinoviale e una lieve sinovite.
Sintomi e segni
L'esordio è graduale, generalmente con interessamento di una sola o poche articolazioni. Il dolore è il sintomo più precoce e abitualmente si aggrava con l'esercizio e migliora con il riposo. La rigidità mattutina è presente dopo inattività.
Stadiazione
Stadio 1: restringimento interlinea assenza o iniziale osteofitosi
Stadio 2: maggiore restringimento interlinea geodi subcondrali - osteofitosi
Stadio 3: collasso e appiattimento della testa geodi voluminosi – osteofitosi marcata
Stadio 4: collasso osseo subcondrale aceta bolare alterazioni strutturali grossolane
L’anca può presentarsi in modo:
Eccentrico: la testa del femore oltre ad entrare in profondità nell’acetabolo si sposta verso l’alto, colpisce l’80% dei soggetti è consigliabile una Artroprotesi dopo 4 anni. L’età media insorgenza 61a l’età media intervento 65°
Concentrico: la testa del femore entra in profondità nell’acetabolo ma rimane in sede non si sposta colpisce il 20% dei soggetti è consigliabile una Artroprotesi dopo 10 anni. L’età media insorgenza 59a l’età media intervento 69°.
Diagnosi
La diagnosi viene effettuata generalmente sulla base dei segni e dei sintomi clinici o nei pazienti asintomatici, sui reperti RX.
L’RX ci indicherà come primo segno una riduzione della rima articolare (normale appare nera se è bianca le due articolazioni si toccano e c’è artrosi) il secondo segno è la presenza di osteofiti (l’osso cresce per aumentare la superficie di contatto).
Un altro segno tipico sono i Geonchi, piccole cisti piene di muco che formano dei buchi nell’osso (parti di osso si comprimono e muoiono formando le cisti)
La VES è normale o solo moderatamente elevata.
Prognosi e terapia
Il trattamento comprende la riabilitazione, che implica la prevenzione delle alterazioni funzionali iniziando il trattamento prima che si sviluppino le disabilità e la riduzione della gravità o della durata della disabilità.
L'esercizio (range di movimento, isometrico, isotonico, isocinetico, posturale, rafforzante) mantiene sana la cartilagine, le escursioni del movimento e sviluppa le capacità dei muscoli e dei tendini di ammortizzare le sollecitazioni. Esercizi giornalieri di "stretching" risultano essere estremamente importanti.
Non c'è evidenza che i FANS largamente usati abbiano alcun beneficio a lungo termine sull'OA. Nei pazienti con dolore refrattario o con più segni di infiammazione, l'aspirina o altri FANS possono essere utilizzati e possono offrire un buon sollievo sintomatologico.
Quando le terapie di tipo conservativo non hanno dato risultati, va presa in considerazione l'esecuzione di un intervento chirurgico con protesi dell'anca.
Protesi d’anca
L’artroprotesi d’anca (o protesi totale d’anca) è un’articolazione artificiale realizzata in leghe metalliche, materiali plastici e/o ceramiche, che sostituisce l’anca ammalata, eliminando la fonte del dolore in modo efficace e permanente.
La protesi d’anca è costituita da una coppa e da uno stelo, che vengono inseriti rispettivamente nell’acetabolo e nel femore. Sullo stelo viene assemblata una testa protesica, in metallo o ceramica, che si articolerà con la superficie interna della coppa. Durante l'operazione di sostituzione totale dell'anca, il chirurgo sostituisce la testa consumata dell'osso della coscia con un emisfero in metallo o in ceramica montato su un sostegno, mentre la superficie della cavità viene rifatta con una cuffia in polietilene (plastico) o in metallo ricoperto da una pellicola di polietilene.
La protesi potrà o essere fissata con il cemento (protesi cementata), o fissata solidamente (penetrazione dell’osso nella superficie in maniera biologica) a ressione senza cementazione.
Indicazione all'intervento
La sostituzione protesica dell'anca è indicata in tutte le coxartrosi, primarie e secondarie (cioè conseguenti a displasia, conflitto femoro-acetabolare, postumi di frattura...) nel momento in cui la sintomatologia non è più controllabile con le cure mediche e fisioterapiche. Anche le artriti (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica...) possono richiedere un intervento protesico quando l'articolazione sia stata irreversibilmente danneggiata.
La protesi è inoltre indicata negli stadi più avanzati della necrosi cefalica, quando non è più possibile ricorrere agli interventi di salvataggio della testa femorale.
La protesi d'anca può essere infine impiantata anche su frattura del collo femorale. In questo caso, se il cotile non è artrosico e il paziente è molto anziano, una protesi parziale (solo femorale) è preferibile, perchè può essere posizionata attraverso un intervento meno invasivo.
Come avviene l'intervento
L'intervento di protesizzazione dell'anca può essere eseguito mediante vie differenti (anteriori, laterali o posteriori), ciascuna caratterizzata da una corrispondente posizione della ferita chirurgica. Non esiste una via ideale, e la scelta dipende prevalentemente dall'esperienza personale dell'operatore. L'autore predilige un accesso laterale diretto, che comporta un'incisione longitudinale sul "fianco" lunga da 10 a 15 cm in funzione della corporatura.
Il collo e la testa del femore vengono asportati in una protesi standard, perchè questa sostituirà entrambi. Lo stelo viene così posizionato all'interno del canale midollare del femore, dopo un'apposita preparazione dello stesso.
Analogamente la coppa viene inserita nell'acetabolo dopo la rimozione del rivestimento cartilagineo residuo. In genere nelle protesi non cementate si impianta una coppa leggermente più grande della sede acetabolare preparata, ottenendo così un "incastro a pressione" (press-fit) che garantisce la stabilità. Se l'osso non è sufficientemente resistente, come capita nell'osteoporosi severa, può essere indispensabile ricorrere ad alcune viti accessorie.
Complicanze
L'infezione periprotesica è la complicazione più temibile, poichè la superficie metallica dell'impianto costituisce un terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie dell'organismo.
La trombosi venosa, con il rischio di embolizzazione polmonare, ha un'incidenza piuttosto bassa con gli attuali protocolli di prevenzione (che prevedono l'impiego di farmaci anticoagulanti e di calze elastiche durante tutto il periodo post-operatorio).
La lussazione consiste nella dislocazione della testa protesica al di fuori della coppa. Questa può avvenire nel periodo postoperatorio qualora il paziente eseguisse alcuni movimenti, quali la flessione dell'anca oltre 90° o l'atto di incrociare le gambe, che vanno tassativamente evitati nelle prime 6 settimane dopo l'impianto. La carenza di tono muscolare predispone a questa complicazione, che fortunatamente si risolve spesso con una riduzione incruenta.
Post-intervento
Dopo l'intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 4 e 8 giorni in funzione dell'età, delle malattie coesistenti, della capacità di seguire il programma riabilitativo.
La deambulazione inizia in genere in seconda giornata, con l'ausilio di stampelle per evitare di caricare l'arto operato. Negli impianti cementati è possibile eliminare le stampelle precocemente, non appena siano guariti i tessuti molli (entro 2 settimane), mentre in quelli non cementati è preferibile attendere 4-6 settimane per non disturbare il processo di osteointegrazione delle componenti.
La riabilitazione precoce dopo protesi d'anca, dovrebbe limitarsi all'insegnamento della deambulazione in appoggio sfiorante e degli esercizi di mantenimento del tono muscolare.
Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita normale.
Ernia del Disco Intervertebrale
L'ernia del disco è una affezione della colonna vertebrale consistente in una rottura o uno sfiancamento dell'anello fibroso del disco e conseguente dislocazione del nucleo polposo.
I corpi vertebrali sono separati da dischi cartilaginei, costituiti da un anello fibroso esterno e da un nucleo polposo interno. Le modificazioni degenerative (con o senza trauma) possono esitare in protrusione o rottura del nucleo attraverso l’anello fibroso a livello dell’area lombosacrale o cervicale; (dorsali rare e con pochi problemi) in tal modo il nucleo polposo si muove postero-lateralmente o posteriormente dentro lo spazio extradurale.
La sciatalgia compare quando il nucleo erniato comprime o irrita la radice del nervo; la protrusione posteriore può comprimere o irritare la cauda equina, soprattutto nel paziente con un restringimento congenito del canale spinale (stenosi spinale).
Eziologia
La degenerazione e quindi l'ernia del disco sono spesso legati a fattori congeniti genetico-familiari, attivati o rivelati poi da varie cause come stress e traumi vertebrali (trauma disorsivo), protratte posture viziate, maldistribuzione di carichi sulla colonna ed altri.
Il fumo, l'uso eccessivo dell'automobile ed il sovrappeso sono noti fattori favorenti l'usura del disco e quindi la formazione di un'ernia.
Trauma distorsivo
Il " colpo di frusta " viene definito come un trasferimento di energia con meccanismo di accelerazione-decelerazione che si sviluppa a carico del collo da cui derivano danni alle strutture ossee o ai tessuti molli con differenti manifestazioni cliniche.
Si tratta di un meccanismo che di solito si verifica in seguito ad un tamponamento automobilistico nel quale il collo ( che è la porzione più mobile del rachide ) subisce un brusco movimento di iper-estensione in una prima fase poi, in seguito all'arresto della spinta in avanti del tronco, si ha il movimento opposto di iper-flessione.
Si verifica quindi una sorta di meccanismo di "fionda " che inevitabilmente porta alla comparsa di diversi gradi di lesione dovuti soprattutto al superamento dei limiti di elasticità dei tessuti interessati.
Il paziente riferisce nella quasi totalità dei casi dolore localizzato alla regione cervicale o che si irradia alle spalle, rigidità della muscolatura paravertebrale e dei trapezi, limitazione della motilità del collo. Talvolta sono presenti cefalea, nausea e parestesie agli arti superiori, sintomi che variano a seconda dell'entità del danno e che regrediscono nel giro di alcuni giorni o nei casi peggiori di qualche settimana.
Si esegue una radiografia della colonna in due proiezioni ed eventualmente trans - buccale per valutare il dente dell'epistrofeo. I reperti radiologici sono di solito minimi o assenti; infatti si può parlare di colpo di frusta solo quando non si rilevano segni radiologici di danno delle vertebre cervicali, né segni clinici di lesione radicolare. Dall'esame radiografico si può evidenziare la perdita della fisiologica lordosi che nei casi più gravi risulta addirittura invertita.
Sintomi e segni
Il dolore, con tipica distribuzione radicolare, può presentarsi in modo improvviso e grave, oppure in modo insidioso. Peggiora con il movimento e con la manovra di Valsalva (un'espirazione forzata a glottide chiusa) o con gli atti del tossire, ridere, del torchio addominale.
Nelle sedi innervate dalla radice si potranno avere anche parestesie e sensazioni di intorpidimento; i riflessi profondi lungo la distribuzione della radice colpita sono diminuiti o assenti.
Nelle ernie lombosacrali, il sollevamento di un arto inferiore esteso (che stira le radici del nervo) può provocare dolore alla schiena o all’arto stesso, il dolore nelle ernie lombosacrali si irradia principalmente agli arti inferiori (presenza di nervi che controlla i movimenti inferiori)
Nell’ernia cervicale, la flessione o l’inclinazione del collo sono dolorose. I muscoli innervati dalla radice lesionata si indeboliscono, diventano atrofici, flaccidi e possono mostrare fascicolazioni, il dolore si irradia principalmente alla mano e al braccio.
Nell’ernia cervicale possiamo avere vertigini e cefalea per la presenza, nel processo trasverso dell’arteria, se la vertebra va incontro ad artrosi l’arteria non porta più sangue al cervello.
Diagnosi e terapia
Le rx della colonna mostrano spesso un restringimento dello spazio intervertebrale, presenza di osteofiti ed assenza delle punte articolari. La TAC o la RMN possono evidenziare le dimensioni del canale e mostrare la protrusione del disco. L’elettromiografia può essere utile per stabilire con esattezza la radice coinvolta.
La terapia deve essere conservativa, poiché la maggior parte dei pazienti, con lombalgia o nevralgia grave, guarisce nel 95% dei casi in tre mesi, senza il trattamento chirurgico, a meno che non presenti dei deficit neurologici progressivi o invalidanti. Un senso acuto di disagio può cessare attraverso il riposo e il rilassamento. È invece controindicato il prolungato riposo a letto. Gli analgesici, i blandi tranquillanti e i miorilassanti possono essere d’aiuto nell’alleviare il dolore.
Fonte: http://u.jimdo.com/www400/o/s5d0ef10cc4a06ea2/download/ma98580387400d957/1281630289/Ortopedia.doc
Sito web da visitare: http://infermieriuniti2.jimdo.com/materie/ortopedia/
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