Introduzione ai vangeli sinottici e agli atti degli apostoli

 

 

 

Introduzione ai vangeli sinottici e agli atti degli apostoli

 

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Introduzione ai vangeli sinottici e agli atti degli apostoli

 

Introduzione ai vangeli sinottici e agli atti degli apostoli

 

 

PARTE PRIMA

IL CONTESTO DEL NUOVO TESTAMENTO

 

 

IL CONTESTO STORICO

Schema riassuntivo dal 2000 a. C. al 333 a. C 

2000 a. C. Gruppi di seminomadi di stirpe semita provenienti dalla Mesopotamia, entrano in Palestina. I più importanti capostipiti sono: ABRAMO, ISACCO, GIACOBBE, ISRAELE.

1600 a. C. In seguito ad una carestia, gli antenati degli ebrei scendono in Egitto, dove acquistano un posto di preminenza nel paese. Dopo qualche secolo gli ebrei vengono impiegati come schiavi nei lavori forzati.

1250 a. C. Un gruppo di ebrei, guidati da Mosé, fugge dall’Egitto.

1050 a. C.In Israele si costituisce la monarchia: il primo re fu Saul.

1000 a. C. Successore di Saul fu Davide, il quale conquistò la città di Gerusalemme, e ne fece la capitale politica e religiosa dello stato.

950 a. C. A Davide successe il figlio Salomone. Con lui Gerusalemme si arricchì di splendidi edifici tra cui il Tempio, dove era custodita l’Arca dell’Alleanza.

926 a. C. Dopo la morte di Salomone, il regno entrò in crisi e si divise in due Stati. Al sud il regno di Giuda con capitale Gerusalemme, al nord il Regno d’Israele con capitale Samaria.

721 a. C. Il Regno d’Israele viene distrutto dagli Assiri.

587 a. C. Caduta del Regno di Giuda ad opera dei Babilonesi del re Nabucodonosor. La città di Gerusalemme con il Tempio, viene rasa al suolo. La popolazione viene deportata in Babilonia.

539 a. C. La Palestina diventa provincia persiana. Gli ebrei possono tornare in patria. Alcuni restano in Babilonia: nasce la prima comunità della diaspora. I rimpatriati possono ricostruire la città di Gerusalemme e il Tempio.

 

 

DA ALESSANDRO MAGNO A BAR KOKBA

 

Il mondo del Nuovo Testamento è comprensibile soltanto sullo sfondo della tormentata storia e delle situazioni verificatesi nei secoli precedenti. La Palestina subì di volta in volta la dominazione delle grandi potenze che si succedettero lungo i secoli nel Medio Oriente e ne fu, in qualche modo, plasmata.

 

1. La Palestina sotto Alessandro Magno e i Tolomei

Alessandro Magno sconfisse il re persiano Dario III nella battaglia di Isso (333 a.C.) e avanzò verso l’Egitto attraverso la Siria e la Palestina. L’ingresso dei Greci nel paese diede inizio a quel periodo - caratterizzato dall’incontro tra la cultura greca e quella orientale - che va sotto il nome di ‘Ellenismo (cf sotto). Gerusalemme e la Giudea, tuttavia, non furono completamente ellenizzate a motivo della spiccata resistenza all’assimilazione, propria del popolo e della cultura giudaica. Alessandro Magno morì all’età di 33 anni, nel 323 a.C. e il suo gigantesco impero incominciò subito a sfaldarsi. L’Asia Minore fu occupata da Antigono, la Mesopotamia e la parte meridionale della Siria da Seleuco e l’Egitto e la Palestina da Tolomeo.

2. La Palestina sotto i Seleucidi di Siria

Verso la fine del terzo secolo e l’inizio del secondo, il re di Siria Antioco III (223-187 a.C.) strappò ai Tolomei la Palestina, che si trovò, in questo modo, sotto il dominio dei Seleucidi, dinastia fondata da Seleuco dopo la morte di Alessandro Magno. Sotto Antioco IV (al potere dal 175 a.C. fino al 164) avvenne la sanguinosa rivolta dei Maccabei (maqqaba in aramaico significa martello). La sommossa fu occasionata da un altare pagano a Zeus Olimpio che Antioco fece erigere nel tempio, al posto dell’altare dei sacrifici, nel 167 a.C. In questo avvenimento gli Ebrei videro l’obbrobrio della desolazione, il segno dei tempi ultimi profetizzato da Dan 11,31;12,11. Giuda Maccabeo sconfisse il maresciallo di Antioco, occupò Gerusalemme e ristabilì il culto di YHWH, riconsacrando l’altare il giorno 25 del mese di Kasleu del 164 a.C. Quando Giuda morì nel 160  a.C., gli successe il fratello Gionata e a lui, nel 143 a.C., successe Simone, il terzo dei fratelli. Costui cadde improvvisamente vittima di un attentato nel 134 a.C. e il potere passò nelle mani di Giovanni Ircano (134-104) con il quale inizia la dinastia degli Asmonei.

3. Il Regno degli Asmonei

La politica di Ircano fu fortunata nelle sue imprese militari, ma trovò opposizione negli ambienti dei pii (comunità farisaiche sorte durante la rivolta maccabaica) che gli rimproveravano l’eccessiva ambizione di potenza e la poca pietà. A Ircano successe il figlio Aristobulo e, alla morte di costui, Alessandro Ianneo che si scontrò ferocemente con i Farisei attirandosi la loro profonda avversione. La moglie Salome Alessandra regnò dopo la morte del marito, mentre il figlio Ircano II occupò la carica di Sommo Sacerdote. Alla morte di Salome Alessandra, nel 67 a.C., i due figli – Arcano II  e Aristobulo, il primo appoggiato dai Farisei, il secondo dai Sadducei - si contesero il potere fino all’avvento di Roma.

 

 

4. La Palestina sotto i Romani

Pompeo occupò Gerusalemme nel 63 a.C. e mise piede perfino nel Santo dei Santi, dove solo il Sommo Sacerdote poteva entrare. La Palestina fu suddivisa in cinque distretti, ma il malcontento e le inquietudini non ebbero termine, anche a causa delle gravi e continue lotte che scossero l’impero romano. Nel contrasto tra Pompeo e Cesare, quest’ultimo riuscì vittorioso su tutti i fronti, ma nel 44 a.C. Cesare fu assassinato e il potere passò nelle mani di Antonio e Ottaviano. Antonio assunse il governo della parte orientale dell’impero e si stabilì ad Alessandria con Cleopatra, regina dell’Egitto, trascurando le regioni della Siria e della Palestina, dove, nelle lotte di potere interne, emerse la figura di Erode. Costui incontrò i favori di Antonio e Ottaviano e riuscì ad ottenere la nomina di re della Giudea dal senato romano. Abile, scaltro e violento, dapprima parteggiò per Antonio; poi, quando costui fu vinto da Ottaviano nella battaglia navale di Azio (31 a.C.), ottenne anche il favore del vincitore, che nel 27 a.C. aveva assunto l’appellativo di Augusto. Con la fine delle ostilità nell’impero anche la Palestina beneficiò della pace ed Erode, eliminato crudelmente ogni possibile oppositore al suo potere (suocera, moglie, figli), promosse l’attività edilizia in Gerusalemme (fortezza Antonia, ampliamento e ristrutturazione del tempio) e fuori (Sebaste, Cesarea, Masada), si circondò di colti ellenisti, favorì culti stranieri, ecc. L’archeologia ha riportato alla luce le strutture di difesa e le imponenti costruzioni erodiane. Secondo Matteo, verso la fine del suo Regno 7-6 a.C.?) nacque Gesù. Erode il Grande morì nel 4 a.C. e il suo regno venne diviso tra i suoi tre figli: Archelao divenne etnarca della Giudea e della Samaria (4 a.C. - 6 d.C.), Erode Antipa tetrarca della Galilea e Perea (4 a.C. - 39 d.C.: cf Lc 9,9; 13,32), Filippo tetrarca dell’Iturea e della Traconitide (4 a.C. 34 d.C.: cf Lc 3,1). Nel 6 d.C. Archelao, insolente verso Giudei e Samaritani e ribelle verso i Romani, venne deposto da Augusto e la Giudea passò sotto le dipendenze dirette dell’amministrazione romana. Dal 26 al 36 d.C. il procuratore romano fu Ponzio Pilato, mentre a Roma era imperatore Tiberio (14 d.C. - 37 d.C.), succeduto ad Augusto. Nel paese l’odio della popolazione giudea verso i Romani, alimentato dal gruppo degli Zeloti, covava comunque sempre sotto la cenere e finì per esprimersi in una sommossa che diede nelle mani dei ribelli la fortezza Antonia e tutta la città di Gerusalemme. L’imperatore Nerone affidò a Vespasiano il comando delle truppe per sopprimere la resistenza giudaica. L’esercito romano avanzò nella Galilea che, nel 67 d.C. era di nuovo sotto il controllo romano. Nel 69 d.C. Vespasiano fu proclamato imperatore dai suoi soldati e, dovendosi recare a Roma, passò il comando delle truppe al figlio Tito. Nel 70 d.C. Gerusalemme cadde in mano ai Romani e circa tre anni dopo cadde anche Masada, l’ultimo imprendibile baluardo di resistenza.

Il Giudaismo sopravvisse alla catastrofe grazie al movimento farisaico guidato dagli Scribi che si mise a capo della ricostruzione delle comunità giudaiche.

Nel Il sec. d.C. il Giudaismo palestinese tentò ancora di scuotersi di dosso il giogo romano. La rivolta scoppiò improvvisa negli anni 132-135 d.C., sotto l’imperatore Adriano, e fu guidata da Bar Kokba, salutato da Rabbi Aqiba come ‘il figlio della stella’ promesso da Nm 24,17. Sembrò che avesse inizio il tempo messianico, mà ancora una volta Gerusalemme fu presa e sulle sue rovine fu fondata una colonia romana con il nome di Colonia Aelia Capitolina.

 

 

 

5. La Palestina al tempo di Gesù

Al tempo di Augusto l’impero romano si estendeva: a Ovest fino alla Spagna e alla Gallia, a Nord fino alla Gran Bretagna, a Est raggiungeva il Reno, il Danubio e il Mar Nero e a Sud comprendeva l’Africa del Nord e l’Egitto. Gli abitanti dell’impero raggiunsero i 50 milioni; la sola Roma ne conteneva 1 milione, mentre la Palestina ne contava circa seicentomila. La maggior parte delle regioni era divisa in province, alcune delle quali dipendevano dal senato (province senatorie), altre erano poste sotto la tutela dell’imperatore (province imperiali) ed erano governate da un suo legato, assistito da capi militari e da procuratori. La provincia procuratoria della Giudea era sorvegliata dal legato della provincia imperiale di Siria, che vi poteva intervenire in caso di bisogno. La Galilea, da cui proveniva Gesù, costituiva la provincia settentrionale della Palestina e, secondo Giuseppe Flavio, era suddivisa il Alta e Bassa Galilea (Bell, 3.39). La posizione geografica assicurava alla regione prosperità di vita rurale e fertilità delle pianure, oltre a un’industria fiorente di pesca nel lago di Genesaret (o Tiberiade, come era chiamato allora). Benché circondata da città greche - come Tolemaide, Tiro e Sidone, le città della Decapoli, Gaba - che le valsero l’appellativo di Galilea delle Genti (Mt 4,15), la regione era decisamente ebraica.

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO SECONDO

 

IL CONTESTO SOCIO-CULTURALE E RELIGIOSO

1. L’ Ellenismo

Il concetto di Ellenismo fu coniato dalla storiografia del XIX sec. per indicare l’epoca della storia greca post-classica, da Alessandro Magno in poi. A lungo fu ingiustamente considerato come un’epoca di decadenza; più giusta, invece, è l’osservazione di chi ritiene che, in modo decisamente diverso dal periodo classico, l’Ellenismo produsse considerevoli opere di carattere letterario, tecnico, politico... Aspetti fondamentali di questo periodo:

a) Un forte elemento ellenistico pervase il Giudaismo influendone il pensiero e il lessico. In territorio orientale vengono fondate città greche, come Alessandria d’Egitto e Antiochia di Siria che portano l’impronta tipica della cultura greca.

b) Non è più la  polis a costituire l’orizzonte della coscienza, ma il cosmos. Si forma una coscienza cosmopolita e al posto della città-stato indipendente dell’epoca classica subentra lo stato in senso cultuale-geografico, al cui vertice è il sovrano assoluto, il sōtēr, che rende visibile la divinità e provvede al benessere del popolo da cui viene venerato.

c) La vita privata del singolo cittadino assume maggior rilievo; il concetto di libertà viene privatizzato e interiorizzato, insieme a un nuovo ideale di umanesimo.

d) Una simile concezione dello stato e della libertà porta ad un immobilismo sociale, con i proprietari fondiari al vertice, seguiti dall’aristocrazia finanziaria (commercianti, armatori), salariati e artigiani,... fino agli schiavi che si trovano in fondo alla scala sociale. Le donne avevano diritti nell’ambito privato, ma erano escluse dall’attività pubblica vera e propria.

1.1. Filosofie, correnti e religioni

I sistemi filosofici di questo periodo sono la sedimentazione delle tendenze al cosmopolitismo da una parte e all’individualismo dall’altra, con la preoccupazione dominante di mostrare all’individuo (non più sorretto dalla comunità) la via per organizzare la propria esistenza e la propria quotidianità. Vanno ricordate soprattutto quattro scuole: la platonica, la peripatetica, la stoica, l’epicurea.

1.1.1. La scuola platonica

Benché si fosse distanziata dalle sue origini, conservò il concetto basilare del mondo-delle-idee, reale, invisibile, eterno, come modello del mondo sensibile. Plutarco (50- 120 d.C) fu uno dei Platonici più in vista di questo periodo. Questa filosofia, comunque, rimase a livello accademico e fondamentalmente resta un errore interpretare espressioni e concetti neotestamentari alla luce di questa filosofia. È vero che Giovanni utilizza spesso contrasti quali ciò che è in basso - ciò che è in alto, spirito - carne, pane celeste - pane naturale, ma la matrice di queste categorie va ricercata piuttosto nell’ Antico Testamento e nel mondo giudaico.

1.1.2. I Peripatetici

Come già Aristotele, coltivarono una scienza empirica che plasmò anche la loro concezione filosofica ed etica. Nel loro sistema filosofico Dio è il primo motore immobile di un cosmo che è eterno. Il cammino etico dell’uomo consiste nel coltivare le virtù.

1.1.3. Gli Stoici

Nella Stoà emerge con chiarezza l’unicità della realtà divina che penetra il cosmo intero e lo dirige con la sua Provvidenza. È il logos che determina e compenetra il mondo materiale e dà armonia sia al macrocosmo sia al microcosmo (l’uomo). L’uso giovanneo di logos è diverso da quello che ne fanno gli Stoici. Per l’uomo il grado più elevato di virtù consiste allora nel vivere in totale armonia con la natura. Nel periodo neotestamentario Seneca ed Epitteto sono i due maggiori esponenti di questa scuola. A differenza degli Epicurei (cf dopo) e al pari dei Cinici (Diogene), gli Stoici rifiutavano di vedere nel piacere l’unica via per dare un senso alla vita e ritenevano che il principio della sapienza consistesse nella libertà interiore dai bisogni e perfino dalla morte.

1.1.4. La dottrina epicurea

Gli Epicurei fondano la loro dottrina sull’assoluta estraneità degli dei al mondo creato e sul benessere che l’uomo saggio può raggiungere trovando l’equilibrio dell’anima e dei sensi. L’assenza dal piacere sfrenato e dai turbamenti porta a una vita beata. Il dolore e la morte non devono turbare perché ciò che è dissolto è insensibile e non interessa.

1.1.5. Lo Gnosticismo

È un fenomeno complesso, contemporaneo al Cristianesimo, ma con radici precristiane. La sua massima sistematizzazione si ha, comunque, nel II-III sec. d.C. Suo caposaldo fondamentale è la degradazione ontologica del divino, all’insegna del pessimismo cosmologico e antropologico, in opposizione alla prospettiva essenzialmente ottimistica dell’Ellenismo. È un sistema fondamentalmente soteriologico: la salvezza si raggiunge mediante la gnōsis, la conoscenza della propria identità nascosta, capace di liberare la scintilla divina racchiusa nella materia. A ciò si perviene mediante l’intervento di un Rivelatore, il quale risveglia l’uomo dal suo torpore e gli insegna la via della reintegrazione nel mondo superiore.

1.1.6. Le religioni misteriche

Accanto alle filosofie menzionate e al fenomeno dello Gnosticismo c’era un pullulare di religioni misteriche che, mediante pratiche magiche, accessibili solo agli iniziati, rispondevano alle inquietudini e al bisogno di sicurezza degli uomini, promettendo un contatto liberante con le forze della divinità.

2. Il Giudaismo

Il termine Giudaismo può essere utilizzato per definire l’ebraismo nell’epoca posteriore all’esilio babilonese. Esso designa ciò che costituisce la natura, la vita, le convinzioni e i costumi di un giudeo (cf 2 Mac 2,21; 14,37-38 e anche Gal 1,14). Il concetto comprende, pertanto, una dimensione religiosa e morale insieme a un orizzonte culturale e sociale. Designa dunque la vita di un popolo, definita da alcuni tratti che ne costituiscono l’identità.

La Tôrah, intesa come dottrina, insegnamento e regola di vita, viene da tutti riconosciuta come lo specifico caratterizzante. Per cui, la confessione di Fede nel Dio unico, creatore, che ha scelto Israele come suo popolo da una parte, e l’obbedienza alla Legge, la fedeltà all’alleanza nel culto e nella condotta di vita dall’altra sono le colonne portanti di questa identità (cf Dt 6,4-9).

E tuttavia, al tempo di Gesù, il Giudaismo non è una realtà unitaria; non solo perché esiste un Giudaismo palestinese da un lato e un Giudaismo della diaspora dall’altro, ma anche perché, all’interno di questi due ambiti, resta un certo spazio per le diverse interpretazioni e posizioni.

 

2.1. Il Giudaismo palestinese

    2.1.1. Le istituzioni

Segno visibile dell’unità del Giudaismo era il tempio. Il culto sacrificale che vi si offriva rappresentava il centro dell’adorazione del vero Dio.

 

  1. Il tempio

Il centro di ogni pratica religiosa per i Giudei, era il Tempio di Gerusalemme. Il primo Tempio era stato concepito da re Davide, ed edificato dal figlio Salomone; distrutto nel 586 a.C. dal babilonese Nabucodonosor, fu riedificato grazie alle concessioni del persiano Ciro il Grande nel 538. Si tratta del cosiddetto secondo Tempio. All’epoca di Gesù esso era stato completamente rifatto da Erode il Grande, che aveva iniziato i lavori di restauro e ampliamento nel 20-19 a.C., e aveva terminato nel giro di un anno e mezzo il Tempio vero e proprio, rispettando il disegno tradizionale salomonico; ma i lavori sulle parti restanti terminarono solo nel 64 d.C., pochi anni prima della sua definitiva distruzione da parte dell’esercito del generale romano Tito. I vangeli fanno allusione alla lunghezza di questi lavori, ed all’imponenza delle opere realizzate. Sebbene quello di Erode fosse in realtà il terzo edificio, esso è considerato tradizionalmente come facente parte dell’epoca del secondo Tempio, considerandolo moralmente tutt’uno col Tempio dei reduci dall’esilio babilonese. Non è facile ricostruire quale fosse la disposizione precisa dei vari edifici, ma la struttura generale del santuario ci è nota. L’intero complesso misurava circa 121.000 metri quadri, circondato da un muro che correva per 256×288×430×443 metri.

 

 

 

 

Sul lato nord il tempio era collegato con la Fortezza Antonia, costruita da Erode sulle rovine di una precedente torre, e a sud est si trovava il famoso Pinnacolo di cui parlano i vangeli (Mt 4,5; Lc 4,9). L’ingresso principale (vi erano ingressi su tutti i lati, ciascuno con un nome: Porta nord, Porta dorata, etc.), preceduto da un locale per le abluzioni rituali (mikveh), si trovava sul lato sud, ed era costituito da una grande gradinata con due porte, una doppia e una tripla. L’atrio era costituito da portici e gallerie coperte che percorrevano tutto il lato esterno dell’edificio; quello sul lato sud, appunto, era detto Portico reale, mentre quello a est si chiamava Portico di Salomone (Gv. 10,23; At. 3,11), e guardava sul torrente Cedron. Oltrepassati i portici, ci si ritrovava nell’ampio Atrio dei Gentili, uno spiazzo accessibile anche ai pagani, occupato da cambiavalute, venditori di animali per i sacrifici, visitatori (Gv. 2,14; Mc 11,15), maestri della legge (Gv. 18,19); tutti gli stranieri che giungevano a Gerusalemme non mancavano di visitare il Tempio, di cui il Talmud scriverà: “Colui che non ha visto il Tempio di Erode in vita sua, non ha mai visto un edificio maestoso.”

Al centro dell’Atrio dei Gentili, si ergeva un luogo sopraelevato, separato dal resto con una balaustra di pietra che segnava il limite oltre il quale pagani e incirconcisi non potevano avanzare. Numerose iscrizioni in greco e latino ammonivano gli stranieri, come quella ritrovata nel 1871, che recita: “Nessuno straniero metta piede entro la balaustrata che sta attorno al Tempio e nel recinto. Colui che vi fosse sorpreso, sarà la causa per se stesso della morte che ne seguirà”. Superata la balaustrata, si entrava in un altro atrio, al quale si accedeva tramite nove porte; la più nota era la Porta bella, ove stazionavano numerosi mendicanti in attesa di elemosina (cf At 3,2), che introduceva nell’Atrio delle donne, così chiamato perché ad esse non era permesso superarlo. Quest’area più interna e circoscritta, separava i giudei dai pagani, ed era una sorta di luogo d’incontro; in esso si raccoglievano anche le offerte per la tesoreria del Tempio, amministrata dai Leviti, in recipienti a forma di corno (Mc 12,42-44). Sui quattro angoli, c’erano dei locali separati: il deposito della legna, dell’olio e del vino, la camera dei Nazirei e quella per l’ispezione dei lebbrosi. Tramite la Porta di Nicanore, il luogo ove le madri offrivano il sacrificio dopo la nascita del loro primogenito (Lc 2,22), si accedeva all’Atrio degli Israeliti. Il santuario aveva la pianta del tempio di Salomone: superato il parapetto che introduceva all’Atrio dei Sacerdoti, si trovava il grande Altare degli olocausti, collocato di fronte all’entrata del Tempio propriamente detto, ed il deposito dell’acqua. L’altare era costruito di pietra grezza mai toccata da strumenti metallici, con gli angoli decorati con protuberanze a forma di corno. Dodici gradini conducevano al Santo, con l’altare dei profumi (Lc 1,9) in legno di acacia rivestito di ori, ove si offriva due volte al giorno una speciale mistura di aromi (Es 30,1-10 e 34-36; 37,25-28. È l'incenso che offre Zaccaria in Lc 1,9), la tavola dei pani della proposizione (Es 25,23-30; 37,10-16; 40,22) ed il candelabro aureo a sette braccia (menorah), con ornamenti a fior di mandorlo, sul quale ardevano lampade ad olio. Poi, isolato da una spessa cortina, il Santo dei Santi, un locale cubico di nove metri di lato, spoglio e senza finestre, dove solo il sommo sacerdote nel giorno dell’espiazione poteva penetrare, vestito di semplice abito di lino bianco (Lev 16,12). Dopo che l’arca dell’alleanza era scomparsa con la presa di Gerusalemme del 587, il Santo dei Santi era vuoto.

b. La sinagoga

Il termine greco synagogé è adoperato dai LXX il più delle volte per tradurre l’ebraico ‘edah          (= assemblea). Nelle fonti giudaiche del primo secolo e nel NT designa anche il luogo di riunione dell’assemblea. L’origine della sinagoga è piuttosto oscura. È opinione comune che sia sorta durante l’esilio babilonese, ma la prima testimonianza è fornita da una iscrizione della sinagoga egiziana dedicata a Tolomeo III (246-221 a.C.). Si diffuse comunque rapidamente, sia in Palestina sia nella diaspora. Sul culto sinagogale al tempo del Nuovo Testamento non abbiamo elementi certi; conosciamo solo le linee maestre che consistevano in un momento eucologico (eukē = preghiera), nella lettura della Legge e nella sua spiegazione (cf Lc 4,16-30). Della preghiera sinagogale le due formule più in uso erano la preghiera detta Shemoné ‘esreh (Diciotto benedizioni) e il Qaddish. L’organizzazione del servizio liturgico, la designazione dei lettori e l’invito a commentare la Scrittura era compito del capo della sinagoga .

  1. Le feste

Le feste ebraiche si svolgono al ritmo delle stagioni, specialmente in primavera e in autunno. Hanno, infatti, un valore storico, agricolo e religioso. Iniziano la sera, al tramonto, perché nella Genesi, alla fine di ogni giorno della creazione, si legge: E fu sera e fu mattina, e la sera viene nominata prima della mattina. Grosso modo, si possono dividere in tre gruppi, i primi due di origine biblica e il terzo di origine rabbinica.

Il primo è il gruppo delle tre feste gioiose o di pellegrinaggio al Tempio: Pasqua, Pentecoste e la Festa delle Capanne.

Il secondo gruppo è quello delle feste austere o solenni: Capodanno e il Giorno dell'Espiazione. Queste feste, in antichità, erano accompagnate da offerte al Tempio, offerte sacrificali di animali e di prodotti della terra.

Il terzo gruppo, di origine rabbinica, comprende Purim e Hanukkah. Queste sono feste stabilite dai maestri, particolarmente gradite ai bambini e vissute allegramente dal popolo. Tutte ispirate ai grandi eventi dell’antico testamento, scandiscono la santificazione del tempo lungo l’intero corso dell’anno. Il corno di montone (shofar) è usato per annunciare le festività.
Ecco le celebrazioni festive più importanti:

Pasqua (Pesah).  In origine era un rito di primavera durante il quale si offrivano le primizie dell’orzo ed i primogeniti dei greggi. Questa festa, che cade nel mese di Aviv, chiamato poi mese di Nisan (metà marzo-aprile), fu trasformata in seguito nella commemorazione di un avvenimento fondamentale dell’ebraismo, la liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto. Nelle famiglie ebraiche è celebrata con particolare solennità e con un pasto rituale e commemorativo, il seder.

La festa del Capodanno (Rosh hashana). Si celebra il 1° Tishri (settembre-ottobre). Festeggia l’anniversario della creazione e inaugura il periodo in cui Dio giudica l’operato degli uomini nell’anno appena trascorso; tutti sono chiamati a rendere conto del creato affidato alle loro cure. Gli ebrei si salutano reciprocamente: «Possa tu essere iscritto e segnato per un buon anno». La festa adombra anche il futuro verso il quale si muove tutto il creato. Durante il culto solenne si suona lo shofar (corno d’ariete) il cui suono proclama l’inizio della redenzione messianica di Israele e dell’umanità.

La festa dell’Espiazione (Kippur). Viene celebrata il 10 di Tishri ed è un giorno di pentimento e di espiazione per le impurità del popolo, della nazione e dei singoli fedeli. Il gran sacerdote, con un complesso rito espiatorio, offre sacrifici per la purificazione sua e del popolo dalle impurità e dai peccati, pronuncia, l’unica volta nell’anno, il nome di Dio (JHWH), ed entra, l’unica volta nell’anno, nel «Santo dei Santi» del tempio per offrire il sangue e l’incenso. Si ritiene che a Kippur Dio decida i destini degli uomini secondo il loro pentimento.

La festa delle Capanne o tende o tabernacoli (Sukkoth). Si celebra alla fine della vendemmia per ringraziare JHWH dei suoi doni generosi. Inizia il 15 di Tishri (settembre-ottobre) e dura sette giorni. Vi è l’usanza di agitare verso i quattro punti cardinali il frutto del cedro e i rami della palma, del salice e del mirto, e di recitare Salmi. I rami vengono portati poi in processione verso la sinagoga. Secondo la tradizione giudaica, rappresentano gli uomini di ogni razza uniti in collaborazione. Le capanne dal tetto di rami o di paglia, nelle quali si consumano i pasti durante la festa, ricordano l’amore costante con il quale Dio assistette gli Israeliti nel deserto. La capanna della festa è stata sempre considerata un simbolo della capanna divina sotto il cui tetto saranno, un giorno, radunati tutti gli uomini. La nota gioiosa della festa è determinata dallo studio della Tôrah. All’ottavo giorno termina, e ricomincia, la lettura annuale del Pentateuco.

La festa della consacrazione (Hanukkah). Di origine post-biblica, fu istituita per ricordare la vittoria degli ebrei contro i dominatori della Siria nel 165, quando Giuda Maccabeo liberò Gerusalemme, ripulì il tempio da ogni contaminazione, riaccese il sacro candelabro e ristabilì il culto del vero Dio. Si celebra, con l’accensione progressiva di otto luci, il 25 di Kislev (dicembre).
La festa dei Purim. Ha i caratteri profani tipici del capodanno persiano (con feste di tipo carnevalesco, sospensione della vita normale, interruzione del potere costituito, elezione del re Carnevale...), ma è anche la commemorazione della vittoria di Israele grazie alla donna-eroe Ester. La casa viene illuminata in modo particolare. Si legge il libro di Ester e nelle famiglie è occasione di incontri, banchetti, mascherate. Viene celebrata nel periodo di febbraio-marzo.

La festa delle Settimane o Pentecoste. Questa festa, che si celebra sette settimane dopo la Pasqua, in origine aveva un carattere gioioso per la raccolta del grano, per il quale si esprimeva il profondo ringraziamento a Dio. Si offrivano oltre alle primizie del grano, olocausti e sacrifici per i peccati. In seguito la festa assunse anche il significato di celebrazione del dono della Tôrah sul Sinai. Nel giudaismo, dal XVI secolo in poi, è uso rimanere svegli e trascorrere la notte nello studio della Tôrah. Inoltre, nel moderno stato di Israele si portano offerte di primizie a beneficio del Fondo Nazionale Ebraico.

2.1.2. La società

Sotto il profilo cultuale, la società giudaica, nel suo insieme, è suddivisa in quattro gruppi: sacerdoti, leviti, israeliti e proseliti. Sotto il profilo sociale, le diversificazioni sono più complesse perché dipendono dalla posizione socio-economica, dalla cultura, ecc.

a. I Sacerdoti

Il sacerdozio in Israele si trasmetteva per via ereditaria. Al vertice era il Sommo Sacerdote che, dopo il ritorno dall’esilio (538), in mancanza del potere regale, era a poco a poco diventato l’autorità suprema di una società retta da un principio teocratico (FLAVIO, Contra Apionem, 2,16). Responsabile della Legge e del Tempio era anche presidente del Sinedrio. Era coadiuvato nelle sue funzioni da un certo numero di funzionari, chiamati capi dei sacerdoti che, insieme agli Anziani (aristocrazia laica) e agli Scribi farisei (dottori della Legge) componevano il Sinedrio, supremo tribunale di Israele (complessivamente 71 membri). I sacerdoti ordinari, incaricati del culto nel tempio, erano divisi in 24 classi (1 Cr 24,1-19), ciascuna delle quali, a turno, assicurava il servizio al tempio per una settimana. Le loro rendite provenivano dalla parte riscossa sui sacrifici e dalla decima prescritta dalla Legge (Lv 27,30- 33 e Nm 18,21-24), ma disattesa da molti.

b. I Leviti

La loro origine e la loro storia ancora non è chiarita del tutto. Erano i ministri subalterni del culto, costituendo una specie di basso clero. Assicuravano i servizi secondari come la custodia delle porte (leviti portinai), il canto (leviti musici), ecc.

c. Israeliti, Proseliti e Timorati di Dio

In seno alla comunità giudaica, oltre agli Ebrei a pieno diritto (Israeliti), ci sono da segnalare i Proseliti e i timorati di Dio: i primi si convertono al Giudaismo accettandone la fede, la circoncisione e tutti gli altri obblighi annessi, i secondi fanno propria la confessione di fede fondamentale in un unico Dio, senza sottomettersi alla circoncisione e alle prescrizioni dettagliate della Legge. Il fenomeno del proselitismo caratterizza soprattutto il Giudaismo della diaspora.

Sotto il profilo sociale possiamo riconoscere all’interno del popolo d’Israele varie stratificazioni. I ceti principali nei quali si articolava la società ebraica erano i seguenti:

a. Al primo posto nella posizione sociale ed economica c’era la ierocrazia Sacerdotale Sadducea, che poteva disporre delle prebende del tempio, sempre più cospicue a causa delle elargizioni provenienti dalla diaspora (cf FLAVIO, Ant., XIV 115). La nobiltà guerriera, filosadducea, il gruppo degli Anziani (aristocrazia laica) e i Sommi Sacerdoti, gestivano praticamente il mercato del tempio traendone evidenti vantaggi.

b. I possidenti terrieri, risiedevano soprattutto in Galilea; allontanatisi dalle campagne si erano trasferiti nelle città di nuova fondazione (come Tiberiade e Sefforide).

c. Gli Scribi

Sfuggono a una precisa collocazione sociale perché provengono da diverse classi (sacerdoti, anziani, ma anche lavoratori precari); il loro peso è considerevole. La loro funzione specifica consiste nell’interpretazione e nell’applicazione della Legge. La conoscenza delle Scritture e la competenza giuridica li rende onorati presso il popolo e indispensabili nei vari consigli e tribunali. Non a caso siedono numerosi nel Sinedrio.

d. Le altre classi sociali

Sotto l’aspetto economico-sociale l’ellenizzazione della Palestina, alla fine del secondo tempio, con la sua cultura e la sua lingua, provocò una discriminazione nei confronti degli strati più modesti della popolazione, a cui si accompagnò un’emarginazione economica, fonte di continue tensioni. In realtà sappiamo poco della classe media e delle classi più povere. La prosperità degli artigiani e dei commercianti, generalmente parlando, dipendeva dal tempio. Affermate erano le chaburòt artigianali e agricole dei Farisei. A Gerusalemme, inoltre, esistevano tutti i mestieri connessi con l’ospitalità e l’alloggio dei pellegrini. A Gerusalemme ogni Giudeo era tenuto a spendere la seconda decima (cf Dt 12,17-18). I piccoli proprietari terrieri si accontentavano spesso di consumare i loro prodotti o di vivere di scambi, senza una vera e propria attività commerciale. Molti vivevano del lavoro a giornata e molti erano i miserabili. Alla base delle condizione di produzione e della vita economica palestinese c’era la piccola attività agricola. Una fonte di costante tensione erano le tasse sul reddito fondiario e quelle pro capite. Le imposte indirette erano date in appalto e gli esattori erano particolarmente odiati. Verso il 24-23 a.C., nei primi anni del regno di Augusto, fu istituita un’imposta personale su chiunque non fosse cittadino di una città greca o romana; e questo ebbe effetti disastrosi soprattutto sulla maggioranza rurale della popolazione. Se da una parte, dunque, troviamo una minoranza di funzionari e agenti diversi, implicati vantaggiosamente negli affari; dall’altra troviamo una maggioranza crescente di vero proletariato, composto di contadini sradicati, residenti in centri urbani, incapaci di far fronte ai nuovi bisogni. Questa fascia sociale, Abbandonata dai possidenti e sempre più impoverita dalla fiscalità monarchica e sacerdotale, andava lasciando il proprio tradizionale fariseismo per abbandonarsi con facilità a correnti di pensiero apocalittico-messianico e al brigantaggio. La condizione degli schiavi e delle donne obbediva ai dettami socio-culturali del tempo. Il potere di sciogliere il matrimonio era nelle mani dei soli uomini (cf Dt 24,1); la liceità era determinata da motivi di varia natura (la scuola di Shammai più rigorista; quella di Hillel più possibilista).

2.1.3. Le cosiddette sette giudaiche

All’interno del Giudaismo esistevano diversi partiti che sostenevano punti di vista diversi non solo in materia politica, ma anche su questioni religiose. Farisei, Sadducei e Zeloti sono i più importanti gruppi religiosi. Un caso a parte costituiscono gli Esseni e i Samaritani. Sono soprattutto le scoperte dei rotoli del Mar Morto che ci hanno dato luce sulle sette giudaiche in Palestina, e in particolare sugli Esseni.

a. I Sadducei

La denominazione Sadducei va posta in relazione con il nome di Sadoq (cf 1 Re 2,35), il Sommo Sacerdote che essi consideravano come il loro lontano antenato. I Sadoqiti svolsero un ruolo determinante nella ricostruzione della comunità post-esilica, ma dall’epoca maccabaica, questa aristocrazia sacerdotale si compromise notevolmente. Si distinguevano da un lato per l’impostazione decisamente tradizionalista della fede, dall’altro per la disponibilità effettiva a venire a patto con correnti, usanze, costumi e credenze del mondo pagano circostante, talvolta fino a casi di corruzione (cf il comportamento di Giasone al tempo di Antioco in 2 Mac 4). Di qui la loro propensione al legame con la potenza occupante di turno: prima i Seleucidi, poi gli Asmonei e infine i Romani. Proprio per il loro tradizionalismo in campo di fede, rifiutavano tutte le dottrine scarsamente attestate nella Bibbia ebraica, come la resurrezione dai morti (cf Mc 12,18-27). Praticamente scomparvero con la distruzione di Gerusalemme del 70.

b. I Farisei

La loro origine sembra doversi ricondurre all’epoca e nell’ambito dei hassîdîm (“i pii”), che fecero resistenza attiva all’ellenizzazione di Antioco IV. Il nome deriva forse dall’ebraico erûšîm­ (“separati”) e mette in rilievo la loro distanza dalla massa degli ignoranti, rappresentata verosimilmente dal popolo, della terra. L’elemento caratterizzante i Farisei è l’estrema osservanza della Tôrah, la cui casistica di precetti e divieti non appariva affatto angosciante, certi come erano di vivere una vita fondata sulla Volontà di Dio. Paradossalmente potremmo dire che, mentre il fariseo Paolo di Tarso vede poi una conflittualità tra Legge e Vangelo, i Farisei risolvono il conflitto nel senso che la Tôrah è vangelo. L’osservanza zelante non ammetteva compromessi di sorta e la purità rituale era scrupolosamente rispettata. Per cui rifiutavano ogni contatto con i pagani che non avesse come scopo la conversione e sostenevano con decisione la chiamata alla santità di tutto il popolo. Sul piano dottrinale erano però più possibilisti e non rifiutavano a priori ogni dottrina nuova (resurrezione, angelologia e demonologia,...). Accanto al Pentateuco, consideravano normative anche tutte quelle tradizioni, interpretazioni e applicazioni che troveranno poi la loro codificazione scritta nella Mishnah e in seguito nei Talmud. Proprio a causa del loro rigore e della loro disponibilità erano molto seguiti dal popolo, fino a diventarne le naturali guide civili e spirituali, soprattutto quando, dopo la catastrofe del 70 d.C., venne meno il sacerdozio come classe sociale. È grazie ai dottori della Legge farisei che il Giudaismo riuscì a sopravvivere e a ricostituire a Jamnia, sulla costa mediterranea, una scuola, sotto la direzione di Rabbi Johanan ben Zakkai e riuscì a darsi il canone della Bibbia ebraica insieme alla vasta collezione di norme e tradizioni utili all’interpretazione. La polemica antifarisaica del Nuovo Testamento (e della setta essena) va vista all’interno dell’Ebraismo e non deve essere, pertanto, strumentalizzata.

c. Gli Zeloti

Il gruppo degli zelanti condivideva la dottrina dei Farisei, ma, a differenza di questi ultimi che erano sostanzialmente pacifisti, gli Zeloti rivendicavano il diritto di libertà e di autodeterminazione, rifiutando di riconoscere l’imperatore come signore, di pagare le imposte, e fomentando attivamente la ribellione contro Roma. Agli occhi dei Romani erano ladroni e banditi, ma godevano di grande stima tra il popolo a causa del loro ‘zelo’ per la Legge.

d. Gli Esseni

La conoscenza che abbiamo di loro è dovuta soprattutto alla scoperta dei documenti del Mar Morto. La loro origine è da ricercarsi tra quei Sadducei che, al tempo di Gionatan Maccabeo (160-143 a.C.), non condividendo la scelta dell’ellenizzazione, si distaccarono dalla setta di origine per unirsi agli hassidim (‘i pii’). L’origine sadducea, insieme a una visuale estremamente rigorista, spiega la loro opposizione ai Farisei. Giuseppe Flavio e Filone di Alessandria ne parlano come di una comunità esemplare per le sue virtù. Erano organizzati in parte come movimento monastico, in parte come membri che continuavano la vita nei luoghi abituali di esistenza. La comunità del convento praticava il celibato. Al centro della loro dottrina vigeva il principio secondo cui le esigenze della Legge vanno adempiute rigorosamente e pienamente. L’ingresso in comunità e l’accettazione delle regole dell’ordine, secondo i dettami del Maestro di Giustizia, assicurava la perfetta adempienza della Legge. Le concezioni escatologiche della Comunità hanno un’impronta dualistica (i figli delle tenebre da una parte e i figli della luce dall’altra) e l’attesa messianica sembrerebbe orientata verso la venuta del profeta, del messia sacerdotale e di quello davidico (1 QS 9.11). Sui rapporti tra Qumran e Nuovo Testamento è necessario mantenere un atteggiamento di doverosa prudenza.

e. I Samaritani

Giuseppe Flavio (Ant. 11,304ss.) mette in relazione lo scisma samaritano con le misure rigoriste di Esdra e Nehemia. Un certo Manasse, sposato con una donna non ebrea, si sarebbe rifugiato in Samaria per sfuggire all’ortodossia rigorista di Gerusalemme e così sarebbe sorta una comunità di Ebrei indipendenti da Gerusalemme, che aveva sede a Sichem. Altri storici, forse più verosimilmente, pongono l’episodio nell’epoca della conquista macedone. Lo scisma con cui i Samaritani rifiutarono il culto nel tempio di Gerusalemme è il risultato di continui dissapori, divergenze tra culture e tradizioni differenti. Un peso non indifferente ebbe sicuramente il fatto che i Giudei percepirono i Samaritani come ‘non puri’ nel senso che si erano mescolati, dopo la distruzione di Samaria, con i coloni Assiri. In quanto non puri non potevano partecipare alla riedificazione del tempio all’epoca di Esdra e Neemia. In ogni caso resta plausibile che una comunità come quella samaritana sia nata in seguito a un conflitto tra rigoristi e meno rigoristi. Ma, paradossalmente, proprio la comunità samaritana, nata da un desiderio di apertura, rimase legata a una pietà tradizionale, di tipo popolare. A ciò non è estranea l’accettazione del solo Pentateuco, unico testo biblico canonico al tempo del passaggio dal dominio persiano a quello macedone, epoca in cui verosimilmente venne formalizzata la rottura con l’ebraismo ortodosso di Gerusalemme. La comunità gerosolimitana, comunque, ritenne sempre illegittimo il tempio sul monte Garizim e il culto qui celebrato.

 

 

2.2. Il Giudaismo della diaspora

Diaspora deriva dal greco diaspeirō =  disperdere.

Al tempo di Gesù e della cristianità primitiva gli Ebrei che vivevano nella diaspora erano più numerosi di quelli che si trovavano in Palestina. Sotto Cesare Augusto, la popolazione ebraica dell’impero romano, è valutata intorno ai 4 milioni e mezzo, di cui soltanto un sesto viveva in Palestina. La lista di At 2,9-11 ci testimonia la diffusione del Giudaismo nel mondo. Perchè si possa parlare di diaspora, comunque, è necessario che i giudei dispersi costituiscano, fuori della Palestina, un’entità rappresentativa e strutturata .

2.2.1. Origine ed estensione della diaspora

Pur avendo visto la nascita durante l’esilio, è soprattutto nel periodo che va dalla morte di Alessandro Magno alle distruzioni di Gerusalemme nell’epoca cristiana che la diaspora giudaica tra le genti si afferma e si organizza.

Un forte gruppo di Ebrei si trovava in Mesopotamia, dove vide la luce il Talmud babilonese. Comunque, il centro culturale ed economico più importante del Giudaismo della diaspora fu Alessandria, dove visse Filone, l’esponente più rappresentativo del Giudaismo ellenistico, e dove venne alla luce la versione chiamata Settanta (LXX). In Egitto ci furono colonie militari di origine giudaica fin dal tempo di Tolomeo I (323-283). Anche a Cirene (Libia) vissero corporazioni ebree autonome. La diaspora orientale babilonese e iranica, dove predominava l’uso dell’aramaico, si differenziò, comunque, da quella occidentale, egiziana, siriana e mediterranea, dove il Greco divenne la lingua comune. La Palestina, con la sua lingua ebraica - aramaica e l’influsso della cultura greca, costituiva un punto d’incontro. Le facili comunicazioni tra Siria e Palestina spiegano la fondazione di comunità a Damasco e ad Antiochia.

2.2.2. Statuto giuridico e organizzazione dei Giudei.

Nell’impero romano agli Ebrei era concessa una certa autonomia di giurisdizione e una particolare tutela della loro religione, che impressionava i pagani per l’esclusivismo e alcuni tratti caratteristici, quali l’assenza di immagini nel culto, l’osservanza del sabato, ecc. L’impegno a far proseliti caratterizzava il Giudaismo della diaspora più di quello in Palestina. Giuridicamente gli Ebrei, al pari dei membri delle altre nazioni, erano degli stranieri, ma l’autonomia legislativa permetteva loro non solo di raggrupparsi e di far rispettare i loro diritti, ma anche di autoamministrarsi. Dappertutto formavano dei gruppi compatti, raggruppati generalmente attorno alla sinagoga per Io studio della Legge e la preghiera, a contatto con i pagani per gli affari correnti della vita, ma appartati per motivi religiosi e nazionali. Agli ebrei ricchi o influenti era concesso il diritto di cittadinanza, senza che essi perdessero la loro nazionalità o il loro statuto. Soprattutto in Egitto, le condizioni generali di vita dei Giudei si diversificarono quando si passò al sistema romano. Un certo liberalismo contribuì a moltiplicare le attività, ma anche a deteriorare la situazione di alcuni strati della popolazione, anche a motivo della politica fiscale di Roma.

2.2.3. Le relazioni con l’ambiente greco

Sommariamente parlando, potremmo affermare che, mentre in Palestina la penetrazione ellenistica provocò la crisi dell’epoca maccabaica, nella diaspora si affermò sempre di più il fenomeno conosciuto come l’ellenizzazione del Giudaismo. Senza mai tradire l’essenziale della fede giudaica e senza mai accondiscendere al sincretismo religioso, il Giudaismo assimilò molti valori di cui era portatrice la cultura locale. La traduzione della Tôrah sotto Tolomeo II (285-246) operò una specie di osmosi tra la cultura ellenistica veicolata dalla lingua greca e la genuina tradizione giudaica contenuta nel testo sacro. Ci si aprì ai nuovi orizzonti del medio platonismo e dello stoicismo, come a una nuova maniera di leggere i testi biblici mediante l’allegoria. Bisogna evitare, tuttavia, ogni tipo di contrapposizione frontale tra Giudaismo della Palestina e Giudaismo della diaspora, quasi che tra i due non ci fosse comunicazione. E non si deve dimenticare che proprio il carattere della fede giudaica, esclusivo e nazionale, attirò ostilità contro gli Ebrei della diaspora, accusati di ateismo perché non praticavano il culto degli dei e non offrivano sacrifici nell’assemblea sinagogale. Le satire di Marziale, Petronio e Orazio riprendono le notizie sprezzanti di Cicerone, Tacito e Celso. Sommosse che scoppiarono qua e là produssero molti morti tra i Giudei e durante la rivolta del 66 parecchi di loro furono massacrati a Cesarea, Antiochia e in altre città dell’impero.

2.2.4. La letteratura del Giudaismo ellenistico

La traduzione delle preghiere (come lo Shema’) e dei testi biblici necessari alla lettura sinagogale fu uno degli impegni primari del Giudaismo alessandrino. La cosiddetta Settanta (LXX), ossia la traduzione in Greco della Bibbia ebraica, è soltanto un’opera tra le più rappresentative dell’ampia letteratura prodotta dal Giudaismo ellenistico. La leggenda sul modo miracoloso in cui questa traduzione prese forma ci deriva dalla Lettera di Aristea, ma di fatto la LXX è il frutto di un lungo processo conclusosi verso la fine del II sec. a.C. Il fatto che il Cristianesimo primitivo abbia adottato la LXX come Scrittura sacra e l’abbia interpretata cristologicamente portò il Giudaismo del II secolo a sostituirla con altre traduzioni (Aquila, Simmaco, Teodozione).

La fioritura e la diversità della letteratura sorta nell’ambito del Giudaismo della diaspora, conservata per lo più in frammenti, non si lascia facilmente classificare. In ogni caso, gli apocrifi (o pseudoepigrafi), le opere di Flavio Giuseppe e di Filone sono una testimonianza della fertilità del pensiero giudaico e, insieme, un’attestazione del tentativo di conservare la propria identità aprendosi a tradizioni culturali differenti.

De Bello iudaico, di Flavio Giuseppe, ha visto la luce tra il 76 e il 79. L’edizione a noi pervenuta è in lingua greca e ha un fine apologetico: discolpare il partito pacifista che, sotto la direzione di Rabbi Johanan ben Zakkai e i dottori di Jamnia, aveva ripreso in mano la restaurazione del Giudaismo.

Antiquitates Iudaicae, sempre di Flavio, la cui prima edizione apparve nel 93-94 e la seconda intorno all’anno 100, è un’opera destinata a un pubblico colto. L’autore tesse indirettamente le lodi della sua nazione, raccontandone la storia fin dalla creazione.

Le opere di Filone di Alessandria (cf prima) costituiscono un brillante tentativo di sintesi fra il pensiero biblico e la riflessione filosofica eclettica del medio platonismo, del neopitagorismo e dello stoicismo. Uomo di indole contemplativa e intellettuale, nel suo De Vita contemplativa, fa l’elogio dei ‘terapeuti’, cenobiti giudaici insediati in Egitto. Nei suoi trattati filosofici e nei commentari al Pentateuco sviluppa il suo pensiero intriso di filosofia e teologia, guidato dalla convinzione che la fede giudaica è la vera filosofia, e manifesta un monoteismo insieme biblico e platonico.

 

 

 

 

Si fece chiamare Antioco Epifane, vale a dire “che manifesta la divinità”. I contemporanei, vista la sua condotta e la sua crudeltà, lo soprannominarono ironicamente Epimane che significa “pazzo”.

 

Fonte:  http://www.niccolov.it/dispense/Sinottici%20capitoli%20I%20e%20II.doc

Autore del testo:

Istituto Superiore di Scienze Religiose

Niccolò V  - La Spezia

Anno Accademico 2007-08

 

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