Teologia fondamentale

 

 

 

Teologia fondamentale

 

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Teologia fondamentale – prof.ssa Rossi 

 

Sono indicati anche i riferimenti alle tesi d’esame, ma è solo un riferimento generico perchè la risposta è generalmente diffusa in punti diversi del testo.

 

Lezione del 17/2/2010

 

FTesi di esame 1 : Cosa si intende per Teologia Fondamentale?

In cosa consiste la teologia fondamentale? Già il nome indica che si occupa dei fondamenti, dei punti saldi, ma vediamone la storia.

Nei primi anni, le prime comunità cristiane avvertirono la necessità di giustificare l’idea che Dio avesse realmente parlato, e quale ruolo rivestiva la fede. Per questa ragione il genere letterario degli scritti che furono prodotti fu indicato con il nome di apologetica.

Nel medioevo il ruolo era diverso, si poteva dare per scontata l’idea di vivere in una società Cristiana, i termini usati erano quindi inizialmente quelli di Rivelazione e Profezia (in senso ampio), poi Sacra Dottrina, Insegnamento Sacro, etc.

Un successivo momento di crisi (XVII-XVIII sec.) è sopravvenuto con le idee illuministe, si assumerà quindi nuovamente un tono di difesa attraverso le DEMONSTRATIO (religiosa) e DEMONSTRATIO CRISTIANA, per giustificare rispettivamente la Rivelazione divina e la sua realizzazione attraverso Cristo (il contesto era la convivenza tra protestanti, luterani e cattolici).

La stessa materia è oggi oggetto della Teologia Fondamentale, i contenuti sono gli stessi, ma oggi, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, si preferisce indicare con un nome che non mostri intenti difensivi ma dialogici.

 

Lezione del 24/2/2010

 

LA RIVELAZIONE

Il fenomeno della rivelazione, in sé, non è uno specifico del Cristianesimo, ma per quanto riguarda l’intensità sì. Perché nel nostro caso non esistono mediatori, per questo si parla di pienezza e definitività della Rivelazione Cristiana.

Diamone ora una definizione ampia.

Si tratta di un Messaggio, perché ha un contenuto, ma è un messaggio complesso, arduo. Soprannaturale, perché ha natura divina, se la sua natura non è divina abbiamo un capo carismatico, non una rivelazione. Può avere un Mediatore che lo riceve, ma è tale solo se lo porta all’umanità, vera destinataria del messaggio. E’ accompagnata da un fenomeno straordinario, come un miracolo. Possiamo quindi avere diversi modelli:            

Epifanico: manifestazione di Dio (es. : chi vede me vede il Padre)
Profetico: la voce
Veritativo: si intuisce integralmente la verità (es. ispirazione Biblica)

Quelli elencati possiamo definirli modelli massimi, ma esistono infinite varianti.

FTesi di esame 2 : Che cosa si connota con l’espressione “Rivelazione naturale” e in che cosa si differenzia dalla Rivelazione Biblica?

 

A questo punto è necessario dire che nella storia della Rivelazione ci sono state alcune formalizzazioni teoriche (puntualizzazioni), esaminiamole:

1Tutto ciò che è nella Bibbia fa parte della Rivelazione, anche la Creazione, nonostante non sia ancora un messaggio di Salvezza. Si tratta di una questione non secondaria, che fa riferimento alla Salvezza dei popoli vissuti in ere precedenti, esiste una rivelazione naturale, che orienta al bene anche chi non conosce Cristo.
S. Agostino, ispirandosi a Platone, parlava di Res et Signa, realtà come segno di Dio. Anche san Francesco enfatizza la presenza di Dio nella natura, contrapponendosi ad una visione che sottolinea la fondamentale alterità di Dio.

Dio si manifesta ad Adamo ed Eva senza modalità eccezionali, perché si trovava nella loro stessa dimensione, non vi era ancora il peccato.

Anche Sapienza 14 e Rm 2 si esprimono in questo senso “veramente stolti coloro che non hanno riconosciuto Dio nella bellezza delle Sue creature” a dimostrazione che una certa coscienza di Dio possiamo averla anche facendo ricorso alla sola ragione, in assenza di Rivelazione.

Dalla riflessione che nella natura è contenuta la rivelazione discende che la natura deve fare il suo corso, principio a fondamento della legge naturale.

2 – La rivelazione serve solo in questa vita? La Gloria di Dio è una rivelazione o no? Sì, ma è una Rivelazione gloriosa attraverso la luce inaccessibile di Dio. Per questo si parla di visione e non di ascolto, siamo in un contesto epifanico. Possiamo quindi affermare che èuna Rivelazione.

3Storicità: Rivelazione ebraica e cristiana. La Rivelazione si attua nella storia e compone una Storia, quella della Salvezza. Dio attua le sue concatenazione di rivelazioni.
I Cristiani aggiungono che la concatenazione è ascensiva verso la pienezza del tempo, l’incarnazione di Cristo. Inoltre affermano che dopo Cristo la storia cammina verso Dio, non gli è più nemica, la Santità si accumula e cresce. Hegel dice che la storia va verso un miglioramento, per i Cristiani no, l’uomo è sempre lo stesso, ma la storia della Salvezza sì.
Alcuni momenti sono più fondanti, sono le grandi tappe della storia della Salvezza: Creazione, Alleanza, liberazione dall’Egitto, Momento Profetico, Momento Sapienziale (rielaborazione di quanto accaduto, Cristo)


Lezione del 3/3/2010

 

Come affermavamo la scorsa lezione, RIVELAZIONE vuol dire che dio si manifesta in modo soprannaturale attraverso la Sua parola.  Rivelazione, quindi, vuol dire:

  1. Locutio Dei

E’ una rivelazione che ha carattere autoritativo, anche quando parla di un aspetto specifico e in questo modo lo chiarisce. La Scrittura appartiene a questa dimensione.

  1. Magnalia Dei

E’ la storia della Salvezza. E’ la grande opera di Dio, non solo parole ma anche fatti storici, costruzione della storia con eventi straordinari.

  1. Illuminazione (o ispirazione)

E’ un fenomeno interiore, come l’ispirazione degli esegeti biblici.

  1. Autocomunicazione di Dio

E’ il culmine della rivelazione, si tratta dell’incarnazione di Dio e del dono della Grazia.

 

FTesi di esame 4 : In quale senso la Rivelazione è storica?

 

I punti dall’1 al 3 sono in comune con l’Ebraismo, il 4 è specifico del Cristianesimo.
L’insieme dei quattro punti costituisce la rivelazione storica. Ma per comprendere la sua collocazione dobbiamo considerare anche una fase precedente ed una successiva alla rivelazione storica.

PRIMA: in assenza di Rivelazione in senso proprio possiamo parlare di rivelazione naturale, ma in questo caso non vi è una vera e propria possibilità di cogliere Dio.

DOPO: non avremo una locutio, Dio non attuerà grandi opere né fuori né  dentro noi, l’unico grande atto è la comunicazione trinitaria, l’illuminazione avrà un corrispettivo nel lumen gloriem, perché anche nel paradiso è necessaria un’elevazione in grado di mostrarci la Gloria di Dio.

Ricapitolando: prima c’è la natura, durante c’è la Parola di Dio e la Grazia, dopo c’è il lumen gloriem.

Sul piano storico:
Anche i medioevali ammettevano la rivelazione naturale parlando di umanità sub lege, divenuta poi sub gratia con il dono della Rivelazione, destinata poi ad un futuro in gloriam. (verificare questa frase)
Con la sconfitta delle crociate le comunità ebraiche di Spagna e Francia subiscono una ritorsione e costrette ad abbandonare il territorio, in qualche modo pagano l’insuccesso della conquista di Gerusalemme. San Tommaso, ed anche buona parte del pensiero cristiano, hanno invece un pensiero conciliante verso gli ebrei.  Nel XVII-XVIII secolo si torna ad un’apologetica più aggressiva, la Chiesa punta all’oggettività della Rivelazione ed al suo essere l’unica giusta, questa convinzione giustifica anche il ricorso alla forza.

FTesi di esame 3 : Quali sono gli elementi fondamentali della rivelazione secondo il testo conciliare Dei Verbum al n.2?

Nel XX secolo, il Concilio Vaticano II riflette sulla Rivelazione nella Costituzione Apostolica DEI VERBUM, una della quattro costituzioni fondamentali prodotte dal Concilio, ed alla base storica aggiunge una chiave soggettuale.
Al numero 2 dà un definizione molto ampia di Rivelazione: 
2. Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione (2).
Il messaggio è quindi duplice e mostra l’oggetto della Rivelazione:

  • Rivela se stesso (autocomunicazione di Dio)
  • E cosa vuol fare con gli uomini (disegno di Salvezza). Il fine è “invitarli alla comunione con sé esprimendosi attraverso parole ed eventi”.

C’è quindi una collaborazione, a volte parlano i profeti a volte gli eventi, i primi spiegano gli eventi, i secondi confermano le parole. Anche i Sacramenti sono parole ed eventi, la Chiesa quindi continua la Rivelazione. Il termine ebraico DA BAR rende in un solo termine la parola ma anche l’azione di Dio.

FTesi di esame 6 : In quale senso Cristo è la pienezza della Rivelazione?

FTesi di esame 17 : Che cosa vuol dire “Rivelazione privata” e in quale rapporto sta con la Rivelazione pubblica?

La Dei Verbum continua affermando che la Parola di Dio raggiunge il suo compimento perfetto in Cristo che è assieme rivelatore e rivelazione. Perché la parola perfetta di Dio che attua ciò che promette è Cristo: pienezza (fa riferimento all’attesa) e compimento (compie, è efficace) della Rivelazione. Dopo Cristo non ci sarà alcuna altra Rivelazione su questa terra. Le rivelazioni private sono su un altro piano, perché vivacizzano ciò che è già nella Bibbia, ma non aggiungono nulla.
Quando si parla della presenza in Cristo di caratteristiche della rivelazione e del rivelatore nello stesso tempo, si fa riferimento anche a precisi contenuti biblici come il battesimo di Gesù (la voce “questo è mio figlio”) o la trasfigurazione, o l’affermazione “chi vede me vede il Padre”.

FTesi di esame 4 : In quale senso la Rivelazione è storica?

La Dei Verbum parla anche di storia, sia quando sottolinea l’importanza della storicità degli eventi, ma anche perché Dio agisce attraverso la storia con la morte e la resurrezione di Cristo. E attraverso la storia c’è un carico di santità, un di più, che aumenta nel tempo e si accumula nella Chiesa, anche se questo non significa che ciascuno, in ogni tempo, non debba cominciare da zero il suo percorso di fede, ma che può contare su un numero maggiore di esempi da seguire.

Riepiloghiamo schematicamente i punti salienti della Dei Verbum:

  1. Soggetto della Rivelazione (DIO)
  2. Oggetto : 1 – se stesso    2 – mistero redentivo (la Sua volontà: la nostra salvezza)
  3. Mezzo: parole ed eventi
  4. Fine: comunione gloriosa
  5. Pienezza: Cristo Rivelazione e rivelatore, perché in Lui siamo in Comunione con Dio
  6. Sacramenti: parole e gesti che rivelano dio e la Salvezza e scandiscono la storia salvifica di ciascuno di noi

N.B. Una domanda di esame sarà : presentare la Rivelazione secondo la Dei Verbum (in particolare par.2)

 


Lezione del 10/3/2010

 

Dialogo ecumenico ed interreligioso

 

La Rivelazione di Dio è il fondamento del dialogo, che può essere:

Ecumenico
Oggetto specifico: Chiese Cristiane
Finalità: piena unità visibile  (Fede, Sacramenti, Testimonianza comune)
Fonti: Bibbia, tradizioni

Interreligioso
Oggetto specifico: altre Fedi (Grandi religioni)
Finalità: conoscenza reciproca, rispetto, cooperazione per il rispetto dei diritti umani
Fonti: testi sacri diversi che non consentono, quindi, unità della fede
Criticità specifiche: mancano autorità di riferimento, solo associazioni: chi è l’interlocutore?

 

Per le due le forme di dialogo il fondamento, ed anche il significato, è triplice:

Storico: tutte le religioni hanno interagito e si sono influenzate reciprocamente

Pratico: oggi le religioni convivono anche nel quotidiano

Teologico: è il vero fondamento, siamo un’unica famiglia umana che tende a Dio, antropologicamente religiosi. Il decreto NOSTRA ETATE (documento del Concilio Vaticano II di riferimento per il dialogo interreligioso) parla di comune origine, comune destino, una sola famiglia. Questo costituisce anche il significato per l’uomo: trovare il senso ed il fine della sua vita.

Rivediamo ora in dettaglio le finalità:

  • Conoscenza come base per il dialogo, ma conoscenza autentica.
  • L’ostacolo principale è il pregiudizio, dobbiamo quindi permettere agli altri di raccontarsi con il loro linguaggio, le loro categorie. In questo modo ci racconteremo anche noi in modo nuovo.
  • E’ necessario evitare termini negativi, che mettono in rilievo una mancanza, come l’appellativo di non cristiani. Giovanni Paolo II usava l’espressione: fratelli e sorelle nella fede.
  • Chi inizia il dialogo? E’ il dialogo stesso che ha inizio da sé, nella sua dimensione antropologica. Siamo creati ad immagine della Trinità, quindi siamo naturalmente esseri relazionali verso il prossimo.
  • Enucleare convergenze e divergenze facendo attenzione a non cadere in due pericolosi errori:

 

  • IRENISMO : cioè falso dialogo, cercare forzatamente parallelismi anche dove non esistono, nascondere le diversità. Il dialogo, invece, è un’esigenza di verità.
  • PAURA della perdita di identità. E’ necessario mettersi in gioco per crescere e rafforzare le proprie idee.

Dialogo viene dal greco : διάλογος

Dal punto di vista cristiano è necessario passare attraverso due modi di pensare costruiti attraverso i secoli:

IL DIALOGO E L’ANNUNCIO che è anche un documento del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso che contiene i principi cui si ispira la Chiesa.

(il documento è su http://www.internetica.it/dialogo-annuncio.htm)

Come si concilia la missione evangelizzatrice con il dialogo?
Con il motto PAR CUM PARI cioè da pari a pari

L’interrogativo, data la sua complessità, è ancora aperto. Il documento afferma che il dialogo è testimonianza, e questo presuppone che si ha a cuore la libertà delle persone a cui ci rivolgiamo, questa predisposizione aiuta la coesistenza tra il dialogo e l’annuncio.
Noi non possiamo rinunciare all’idea della definitività ed unicità della Rivelazione di Cristo, per questo il primo principio è quello avere ben presente che è impossibile affrontare il dialogo senza l’integrità della propria fede. Il contenuto della propria Fede non è oggetto di compromesso. Ma nello stesso tempo la verità non è in possesso di alcuno, ma è una persona da cui lasciarsi guidare.

Sempre secondo il Dialogo e l’annuncio, le forme del dialogo sono quattro, elencate in forma non prioritaria (tratto dal documento):

a) Il dialogo della vita, che si ha quando le persone si sforzano di vivere con lo spirito aperto e pronta a farsi prossimo, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umani.
b) Il dialogo dell’azione, nel quale i cristiani e gli altri credenti collaborano per lo sviluppo integrale e per la liberazione del loro prossimo
c) Il dialogo dello scambio teologico, nel quale gli specialisti cercano di approfondire la propria comprensione delle loro rispettive eredità spirituali, e di apprezzare, ciascuno i valori spirituali dell’altro.
d) Il dialogo dell’esperienza religiosa, nel quale le persone, radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio nel campo della preghiera e della contemplazione, della fede e dei modi di ricercare Dio o l’Assoluto.
Esaminiamo ora i CONTENUTI del dialogo:

La posizione ufficiale della Chiesa Cattolica è espressa dal documento del Concilio Vaticano II NOSTRA AETATE (DICHIARAZIONE SULLE RELAZIONI DELLA CHIESA
CON LE RELIGIONI NON CRISTIANE) in cui si afferma che tutte le religioni sono un canale in cui Dio si rivela. Nel documento si afferma la possibilità di Salvezza nonostante l’ appartenenza alle altre religioni, differenziando tra:

  • Religioni monoteiste
  • Religioni che hanno un’idea di trascendenza (Induismo, Buddismo, etc.)
  • Filosofie o stili di vita (Shintoismo, Confucianesimo, etc.)

 

Oggi aggiungiamo anche le religioni tradizionali (con riferimento soprattutto all’Africa)

Poi Giovanni Paolo II con l’Enciclica REDEMPTORIS MISSIO opera un grande passo in avanti nella teologia del dialogo interreligioso e della Salvezza: il termine nonostante è sostituito da attraverso. Ma ciò avviene sempre per mezzo di Cristo, per irradiazione, grazie ai germi di verità disseminati dallo Spirito Santo.

Quindi nei secoli si è passati da un Cristo contro o sopra le altre religioni ad un Cristo dentro e incontro a queste. Si tratta, quindi, di riscoprire l’homo religiosus , i tratti di umanità creati per la trascendenza, che cercano il legame con Dio.

Come avviene in concreto il dialogo oggi:

Un progetto triplice del Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC), [da wikipedia: è l'organo principale che raduna le differenti Chiese cristiane nel mondo. Si descrive come una «comunità fraterna di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore, secondo le Scritture, e si sforzano di rispondere insieme alla loro vocazione comune per la gloria di un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo». Il CEC è stato fondato nel 1948 e ha sede a Ginevra (Svizzera)]. La missione è:

1) Rispetto e fiducia tra le religioni. Promuove il dialogo anche tramite progetti locali.
2) Comprensione Cristiana di se stessi anche come frutto del dialogo.
3) Aiuto ai Cristiani nelle situazioni di conflitto.

Soprattutto le strutture che lavorano al primo punto stanno portando a termine un codice di comportamento: in che modo le diverse religioni possono essere fedeli al proprio mandato senza cadere nel proselitismo? E’ soprattutto indirizzato alla realtà missionaria.

Un altro progetto concreto che la chiesa sta compiendo è il dialogo tra Cristiani ed Ebrei. In questo senso vanno lette le richieste di perdono di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per chi, all’interno della Chiesa, ha causato loro del male. Ripercorriamone le tappe:

1920-30-40: conoscenza reciproca, Giovanni XXIII, di passaggio, si ferma a benedire gli ebrei che escono dalla sinagoga. Cambiamento del linguaggio la frase “perfidi giudei” (preghiera per la conversione dei giudei) fu eliminata nel 1959 da Giovanni XXIII. Vi sono state azioni comuni (fanno parte delle iniziative per il dialogo della vita, così come progettato da Dialogo e Annuncio)

Ma vi sono anche punti non risolti:

1 – L’alleanza con il popolo ebraico non è stata revocata (Giovanni Paolo II). In che relazione è con la Nuova Alleanza?

2 – Cristo era ebreo e lo è stato fino al suo ultimo giorno (Giovanni Paolo II), Anche su questo punto c’è stata una riflessione teologica.

I punti risolti, invece, sono:

1 – Riconoscimento delle colpe

2 – formazione, sussidi prodotti dalla Chiesa Cattolica: “Il popolo ebraico e la sua scrittura” (è necessario anche imparare dagli ebrei come leggere la Scrittura)

3 – Elementi simbolici (come la visita al muro del pianto) che creano reciprocità

4 – DABRU EMET, un appello firmato da alcuni intellettuali ebrei americani che rispondono all’apertura al dialogo dei cristiani e sottolineano alcuni punti fermi in comune:

  • Ebrei e cristiani adorano lo stesso Dio
  • I cristiani possono assecondare la rivendicazione ebrea dello stato di Israele
  • Ebrei e cristiani accettano i principi morali della Torah
  • Il nazismo non fu un fenomeno cristiano
  • Troppe differenze inconciliabili tra ebrei e cristiani non saranno risolte fino a che Dio non salverà il mondo intero, come promesso nella scrittura
  • Una nuova unità tra ebrei e cristiani non indebolirà la fede ebraica
  • Ebrei e cristiani devono collaborare agli ideali della giustizia e della pace

Nota: La frase "Dabru Emet" (Direte la verità) viene dal verso: "Ecco ciò che voi dovrete fare: parlate con sincerità ciascuno con il suo prossimo; veraci e sereni siano i giudizi che terrete alle porte delle vostre città" (Zac 8,16)

Lezione del 17/3/2010

FTesi di esame 5 : Che cosa viene rivelato da Dio nell’AT?

Contenuti fondamentali della Rivelazione presente nell’Antico Testamento

Dunque, abbiamo visto come l’oggetto rivelato sia duplice:

  • DIO (com’è)
  • La Sua volontà (Salvezza)

 

e come questa rivelazione avvenga in due modi costituiti da

  • Eventi
  • Parole

 

Possiamo utilizzare questi principi per cogliere gli elementi di Rivelazione dell’Antico Testamento, e per farlo analizzeremo aspetti come il profetismo, l’Alleanza, il nome di Dio, ed altro.
Un altro elemento per riconoscere la Rivelazione, come sappiamo, è l’elemento di soprannaturalità che deve accompagnarla, che indica la diretta ed esplicita provenienza divina, altrimenti non è Rivelazione in senso stretto ma ci troviamo in presenza di una rivelazione naturale.

Parleremo di ECONOMIA SALVIFICA, cioè della distribuzione nel corso del tempo dei benefici di Dio. San Paolo parla di pedagogia, anziché di economia, per sottolineare l’elemento educativo. Dio non ha rivelato tutto all’inizio, ma lo ha distribuito nel tempo secondo una volontà che costituisce il mistero della Sua sapienza, ed ha posto, in questo percorso, delle tappe fondamentali. Esaminiamo gli eventi:

LA CREAZIONE

È la rivelazione di un’azione di Dio, ma come abbiamo visto ha anche un aspetto legato alla dimensione più naturale, l’essere umano potrebbe conoscere Dio (v. rivelazione naturale, lezione del 3 marzo).

La domanda cui risponde la Creazione è duplice:

  • chi siamo
  • chi ci ha creati

 

Analizziamone gli aspetti:

  1. La creazione è tutta opera di Dio, quindi anche gli aspetti più scientifici e razionali aiutano nella comprensione. Nella cultura ebraica la natura, che non ha un termine esatto per esprimerla, viene interpretata come segno della volontà di Dio, è una concezione originale, diversa da quella greca a lei contemporanea, in cui anche il principio da cui hanno origine le cose, l’arché, appartiene alla sfera naturale.

 

  1. Jahve non appartiene al mondo ( non è né maschio né femmina, non è stato creato, non riceve comandi, etc.). E’ la divergenza principale dai filosofi naturalisti.

 

  1. Fuori di Dio non esisteva nulla. Dio è sempre esistito ma la Sua creazione no, per i filosofi greci, invece, il cosmo è sempre esistito, il principio che cercavano era quello di sussistenza, non di creazione.
  1. Dio crea attraverso una parola assoluta, che esprime l’infallibilità dell’azione creatrice di Dio. Ogni altra Sua parola, dunque, è altrettanto infallibile.

 

  1. In questo mondo la creatura umana ha una dignità superiore agli altri esseri, perché è in rapporto diretto con Dio. Ha una dimensione trascendentale, ed è proprio questa la parte che riscatta e sopravvive al corpo, principio della vita interiore.

L’uomo ha tre dimensioni

  • Corpo: potrebbe anche essere il primate a rappresentare la materia, l’argilla plasmata nella Bibbia, quindi l’uomo giunto ad un certo grado di evoluzione ha ricevuto l’anima da Dio, questo non contraddice la Scrittura (purché si attribuisca il dono dell’anima a Dio, non all’evoluzione biologica)

 

  • Anima: principio organizzatore del corpo, è già effetto del vero io che è lo spirito (che non è corporale, è aperto verso Dio)
  • Spirito: E’ questa la dimensione in cui esiste il peccato, ed è in forza di questa dimensione che possiamo e dobbiamo essere salvati

 

  1. Dio è sempre presente nella sua creazione, cioè costruisce qualcosa per abitarla (simbolicamente rappresentato dal passeggiare nel giardino dell’Eden)

L’ALLEANZA

E’ molteplice:

  • con Noè (arca)
  • con Abramo (discendenza)
  • con l’umanità (Cristo, ma siamo chiaramente nel NT)
  • con Mosè (la più esplicita)

 

con Mosè ci troviamo nel contesto del Decalogo e della Teofania. Alleanza vuol dire accordo con gli uomini per attuare la pace (rispetto agli attacchi del male, etc.).
Gli elementi essenziali sono:

  • Promessa
  • Impegno reciproco
  • Sigillo (secondo le tradizioni, banchetto, aspersione del sangue, etc.)
  • Sanzioni (maledizioni etc.)

 

La specificità è che Jahvè non ha alcun interesse personale all’alleanza, si tratta di un atto gratuito di amore. Dio scende a patti come se fosse sullo stesso livello, chiede un impegno e dà un beneficio (liberazione, terra promessa, promesse come il paradiso, la salvezza, la grazia e la gloria) ma anche l’impegno che chiede è un beneficio per l’uomo.
La Bibbia afferma, poi, che l’Alleanza non ci sarà per l’infedeltà dell’uomo e la sua incapacità a rispettare gli impegni.
A noi chiede l’impegno morale che nell’AT è il decalogo e nel NT è l’amore. Ma anche l’amore è un dono più che un impegno: In SPE SALVI si afferma che chi non ha conosciuto l’amore non ha conosciuto la vita.

 

LA SALVEZZA

Tutti gli atti nell’AT sono salvifici.

Per il momento vuol dire liberazione dalla schiavitù, vuol dire anche vittoria sui nemici (che nel NT saranno nemici spirituali). Prosperità, anche materiale (non manca niente a coloro che amano Dio). Eliminazione dell’ingiustizia, sia nella società (con l’esperienza di Israele, che dentro di noi). Liberazione dalla paura e dall’insicurezza, perché Jahvè è presente, questo si collega al Regno di Dio, presenza che trasforma la collettività.

Come si collega la Salvezza alla vita morale? La morale nell’AT protegge la dignità della persona. Se dio ci parla dobbiamo promuovere la dignità anche dell’altro, perché anch’egli è interlocutore di Dio. E’ una morale rigida e impegnativa, soprattutto per i popoli dell’epoca. Ma è rigida soprattutto perché è una morale del cuore, non basta non fare, o fare, ma richiede la convinzione esplicita.  Perché anche la presenza di Dio non è un semplice atto, ma una presenza viva e reale.

Il peccato qual’é?

  • Fallimento delle aspettative
  • Deviazione (non conduce alla meta)
  • Danno (a sé e agli altri)
  • Ribellione (infedeltà)
  • Violazione (di un accordo, per ricucire il quale l’uomo non può nulla, la salvezza verrà da Dio, perché il danno è individuale ma anche collettivo, di ogni cosa che facciamo vi è una traccia anche fuori di noi, nelle conseguenze che provoca)
  • Rottura della pace (fuori e dentro di sé)

 

La reazione di Dio è di salvezza ma anche di giudizio (questo aspetto è presente soprattutto nell’AT). Il giudizio è di Dio, in prima battuta, poi sarà di Cristo nella Parusia, e poi è anche il giudizio che esprimiamo noi stessi durante la confessione

Limiti della morale nell’Antico Testamento.

Il limite principale, si può dire anche l’unico, è l’azione militante, cioè la legittimazione della guerra come strumento di Dio per attuare la promessa, l’odio per i nemici. Il Nuovo Testamento affermerà l’obbligo di amare i nemici.

 

FTesi di esame 5 : Che cosa viene rivelato da Dio nell’AT?  (continua)

Dopo gli eventi esaminiamo ora le Parole.

Abbiamo già accennato al senso letterale ed al senso spirituale (vedi primo semestre). Bisogna ribadire che il senso della scrittura non va inteso come mitico, nel senso comune del termine, non è un linguaggio fittizio ma esprime ciò che esiste veramente. solo che intende esprimere ciò che è fuori dall’esperienza normale, quindi non può utilizzare strumenti linguistici tradizionali, ma piuttosto un linguaggio pre-logico. non esperienziale, non concreto, non scientifico, ma letterario, spesso simbolico.
E le realtà che esprime con il linguaggio simbolico sono:

  • L’origine della razza umana: nessuno era presente, il linguaggio mitico è l’unico strumento a disposizione per poter esprimere in termini umani una realtà misteriosa.
  • La natura di Dio, stessa condizione del punto precedente
  • La relazione tra Dio e l’essere umano
  • Padre/figlio?
  • Creatore/creatura?
  • Perdonante?
  • Giudicante?
  • La caduta dell’uomo. In cosa consiste la colpa originaria?
  • Inoltre il mito nell’AT esprime anche
  • il domani
  • divisioni archetipiche (maschio/femmina, bene/male, luce/tenebra)
  • l’istituzione delle società; perchè sbagliare dev’essere punito?
  • Il significato di Spirito di Dio (non è ancora Trinità, ma è già chiaro che è una forza creatrice, effricace)

 

 

Nella prossima lezione tratteremo i nomi di Dio. E’ l’unica grande parola donata nell’AT: Elhoim, Shaddai, Sabaoth, Jahve... E’ una questione cruciale, perché nella sensibilità ebraica dare il nome vuol dire entrare in rapporto. Il nome esprime la natura della persona. Inoltre:            

Ricevere il nome vuol dire volontà di esser conosciuto.
Dare il nome vuol dire dominare.

Dio vuol esser conosciuto, ma approfondiremo questo argomento nella prossima lezione.

 

Lezione del 24/3/2010

 

Riprendiamo il discorso sulle paroledell’Antico Testamento:

CONOSCERE:

  • Nel linguaggio ebraico è “fare esperienza”, cioè conoscenza esistenziale, non teoretica.

 

  • Questo implica il concetto di persona. Dio è Persona, quindi può entrare in contatto con noi
  • La conoscenza è un processo continuo, ecco perché la rivelazione è una storia. Dio si rivela progressivamente.

 

  • Dio necessita di interpretazione, ma non interpretazione umana: è Dio che spiega le sue parole, la conoscenza avviene attraverso Cristo, che è la sua PAROLA. Quindi uno solo è il maestro, quella della Chiesa possiamo considerarla solo interpretazione autorevole.

 

PROFETI: tipici dell’AT, nel NT questa figura si trasformerà. Non si tratta di veggenti, che vedono il futuro, ma di uomini che sanno leggere la Parola di Dio nella storia. Abbiamo profeti maggiori, minori, scrittori, etc.
Il profeta non si autocandida, è prescelto, ma non vorrebbe esserlo, spesso chiede esplicitamente di non esserlo, non si sente all’altezza. E’ consacrato dal suo stesso agire fedele. Ha una conferma nelle cose che accadono, che si rivelano essere conformi alla Parola di dio.

STORIA: la scrittura non è un testo di storia, ma è importante che la Rivelazione sia ben interpretata nei fatto storici, che sono i canali attraverso cui Dio parla.

ISTITUZIONI: la legge è stata data da Dio e le istituzioni devono solo rispecchiare in esse quest’alleanza. Il concetto di potere politico come fedeltà alla legge sarà poi ribaltato nel NT. Perché l’istituzione divina è più importante della Legge (Torah). L’istituzione, nel NT, rientra nell’ordine del sociale.

COMPIMENTO: quando sarà realizzata la Salvezza. Una parte di Israele è pronta a ricevere la realtà di Cristo, un’altra tende a spostare in avanti il compimento, fino a farlo divenire escatologico.

NOME DI DIO: da una parte il nome di dio non può essere mai conosciuto, perché nominare un concetto vuol dire possederlo. Però Israele ha anche l’impressione nettissima di averlo ricevuto sul Sinai ed anche altrove.
Questa tensione si risolve con il nome stesso YHWH, il tetragramma, che gli ebrei non possono pronunciare, perché è una forma del verbo essere che rimane incompiuta se non aggiungiamo il predicativo del soggetto. Il tetragramma (rivelato da Dio) invece si ferma alla forma verbale. Quindi da una parte si rivela (perché afferma il suo essere) poi indica una realtà stabile: IOsono, il resto è partecipazione all’essere. Inoltre è anche presenza: io sono qui, presso, vicino. Ed anche: io non ho composizione (cioè opposizioni, separazioni, anima/corpo, bene/male etc.) ma incomposto, semplice.
Inoltre la forma verbale imperfetta ebraica è continuativa: sono, ero, sarò …

Nel NT la forma greca è una citazione di questo principio che Gesù rivendica su Sé. Ma anche altre forme sono utilizzate nell’AT, esaminiamole:

EL o ELOIM (plurale): è un termine generico utilizzato per la divinità che nell’AT viene usato anche al plurale per sottolineare la potenza assoluta, la superiorità rispetto alle altre divinità. La potenza è anche sottolineata da: EL SHADDAI

MELEK : generico, come re, sovranità sulla storia, tutto ciò che accade è per Sua decisione

SABAOTH: Dio degli eserciti

ADONAI : significativo, perché presta le vocali al tetragramma ed anche perché è nel NT dove si può tradurre mio Signore.

Questi nomi Gesù li utilizzava anche su di Sé, ricevendo per questo accuse di blasfemia.

Il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe : cioè il Dio della storia di Israele, sottolinea che è l’unico, sempre lo stesso. Per questo non può essere raffigurato (perché ciò lo moltiplicherebbe)

MESSIA : vuol dire UNTO, nel NT diventa Cristo, prescelto da Dio per compiere l’azione in favore dell’umanità. Figura salvifica, inizialmente incarnata dal re che infatti veniva unto, poi dal re degno di essere re di Israele. Poi dopo il Messia diverrà colui che rifonderà il Regno di Dio, il nuovo Regno, ed incarna quindi l’intervento salvifico definitivo di Dio.
Questa metamorfosi del nome Messia durerà un millennio, alla fine sarà associato al servo sofferente, o al figlio dell’uomo. Quindi una figura debole, che si identifica con espiazione, sacrificio. Cristo ci rivela tutte le verità che dobbiamo conoscere su noi stessi, il passato, il presente, il futuro. Ma non è solo Colui che rivela, quindi l’oggetto del nostro corso, ma anche Colui che salva, oggetto del successivo corso di Cristologia.


FTesi di esame 9 : Che cosa viene rivelato di Dio specificamente nel NT?

 

Affrontiamo ora la Rivelazione nel NUOVO TESTAMENTO: cosa continua e cosa cambia.

CONTINUA

CAMBIA

Automanifestazione di Dio

Cristo è Dio, non troviamo più profeti, mediatori, etc.

Si rivela con parole e atti

Tra queste parole ci sono quelle definitive, la parola che attua. Gli atti sono la morte e resurrezione, la grande azione salvifica, definitiva.

Esperienza di Dio attraverso azioni di Dio

Ora avviene attraverso le azioni umane di Gesù, non più attraverso eventi naturali, storici in senso ampio, etc.

 

Da un certo punto di vista con il NT il nostro compito è più semplice, il linguaggio è il nostro, c’è una maggior eloquenza. Ma c’è anche una difficoltà in più, perché essendo più solidale con noi è anche più difficile riconoscere Dio, infatti lo riconosciamo principalmente nella risurrezione.
C’è un’apparente chiarezza, ma a ben vedere se utilizziamo la logica puramente umana è tutt’altro che chiaro: dio ha sacrificato il Figlio per salvare i servi. Le stessa misericordia, la pazienza, non sono sempre semplici da comprendere con la nostra logica.
Quindi c’è sempre stato un aspetto duplice nello studio della rivelazione:

L’approccio Cristologico: Cristo riconosciuto come Maestro, Profeta, il più grande tra i profeti, dei dottori, che lascia trasparire la superiorità di Dio.

FTesi di esame 7 : Storicità dei Vangeli e Cristo storico

 

L’approccio storico: Cristo ha voluto condividere tutto della natura umana.
Storicità dei Vangeli: in che misura è storicamente accaduto? Come si presentava Gesù? Questo punto è stato risolto dopo un grande dibattito. I Vangeli hanno dei criteri di verifica della loro validità storica:

  • Attestazione multipla: le cose sono vere perché affermate da più di un Vangelo e a volte anche al di fuori dei Vangeli.
  • Discontinuità: dobbiamo ritenere accaduto ciò che era incomprensibile per la mentalità dell’epoca (pensiamo alla singolarità del termine Abbà utilizzato da cristo per il Padre, inconcepibile rivolgersi a Dio così per i contemporanei di Cristo per i quali era impronunciabile persino il Suo nome)
  • Coerenza con la personalità fuori dal comune di Gesù. Quindi, ad esempio, sono veri certamente i racconti in cui è padrone della situazione.

 

La storia, però, è solo una superficie attraverso cui si attua una storia molto più essenziale, che è la storia della Salvezza. Quindi anche le discordanze non hanno alcuna importanza.

 

Lezione del 14/4/2010

 

FTesi di esame 8 : Qual’è la valenza rivelativa delle parole e delle opere di Cristo?

 

La Rivelazione in Gesù Cristo

Esistono criteri per enucleare una componente storica dalla Scrittura, rispetto ad un'altra molto più ampia e complessa e che viene dispiegata anche nel tempo ad opera della Chiesa. Questo significa che per capire la Scrittura non basta leggerla ma è necessario conoscere anche l’opera esegetica della Chiesa.

Cristo è soggetto ed oggetto della rivelazione definitiva, reale, ultima. La prima enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, così afferma: La Chiesa non cessa di ascoltare le Sue parole, le rilegge di continuo, ricostruisce con la massima devozione ogni particolare della Sua vita […] La Chiesa rimane nella sfera del mistero della Redenzione, che è appunto diventato il principio fondamentale della sua vita e della sua missione.

Cosa sappiamo del Gesù storico? Le notizie ci giungono dagli storici dell’antichità, dai documenti rinvenuti, dall’archeologia e dalla Scrittura.
L’ambiente è quello palestinese, il popolo è quello dell’Alleanza narrato dall’Antico Testamento. Troviamo diversi gruppi che partecipano da protagonisti al momento storico:

Farisei: praticavano la Torah con scrupolo ed intransigenza, in modo letterale.
Sadducei: rappresentavano la casta sacerdotale che andava gradualmente perdendo prestigio.
Zeloti: professavano un messianismo molto terreno, in termini rivoluzionari, ponendo al centro l’obiettivo della liberazione dalla dominazione romana.
Esseni: erano mistici, vivevano separatamente in comunità contemplative.

Le istituzioni erano il Sinedrio, il Tempio, la sinagoga.

Gesù nasce tra il 6 e l’8 avanti Cristo, lo slittamento è dovuto ad un errore di conteggio di un monaco (Dionigi il Piccolo). La tradizione vuole che sia nato a Betlemme ma potrebbe anche essere nato a Nazareth, è falegname fino all’età in cui intraprende l’attività di rabbino, per uno o due anni, poi inizia la vita pubblica fatta di predicazione e miracoli. La lingua in cui si esprime è l’aramaico, un dialetto galileo. Anche il Nuovo Testamento, pur essendo scritto in greco, per costruzione testuale mostra la mens semitica da cui è originato.
In breve tempo si inimica la classe dirigente ebraica (Farisei e Sinedrio) per discorsi che essi ritengono inaccettabili: pretesa di essere il figlio di Dio, segni messianici o apocalittici presenti nelle sue parole (distruggete questo Tempio ed il lo ricostruirò) che implicavano la fine dell’ebraismo, almeno nel senso istituzionale, ed anche l’uso stesso di forme verbali nomo tetiche (vincolanti, normative) come “ma io vi dico”  e infine l’aperta critica mossa ai Farisei per la rilevanza che davano al rispetto formale della Legge.  Per queste ragioni è condannato dai sacerdoti Anna e Caifa. Ma la Palestina era una provincia romana, per comminare la pena di morte era necessario il consenso del governatore romano.
Ponzio Pilato non sembra favorevole alla condanna capitale per Cristo, la flagellazione è, infatti, una condanna che viene inflitta in alternativa alla morte, mai in aggiunta, questo fa pensare che avesse voluto propendere per questa soluzione più clemente. In quest’ottica si può far rientrare anche il gesto di introdurre la figura di Erode, come per evitare uno scontro frontale tra Cristo ed i sacerdoti ma Erode non ha interesse ad intervenire.
Quindi Cristo viene condannato a morte, forse la condanna è stata eseguita il 7 Aprile. Viene crocifisso con i chiodi perché è venerdì, è necessario che perisca velocemente dal momento che il sabato, festa ebraica, non possono essere esposti cadaveri, considerati impuri. Si ipotizza che la morte sia avvenuta per infarto, più coerente con l’urlo di cui riferisce la scrittura, l’asfissia non l’avrebbe consentito. Alcuni studiosi ritengono che un primo infarto abbia colpito Cristo pochi giorni prima, nel Getsemani, quando sudò acqua e sangue.  Come ogni condannato avrebbe dovuto esser sepolto in una fossa comune, ma Giuseppe di Arimatea, un personaggio influente, offrì un  sepolcro nuovo di sua proprietà.
Della Sindone non vi è traccia nel Vangelo, dei momenti immediatamente successivi alla morte si parla solo a proposito della paura degli apostoli che lo incontrano mentre sono rinchiusi nel Cenacolo. Lo riconoscono, quindi ha il suo aspetto, ma passa attraverso le porte chiuse, quindi ha una natura diversa.

La storia della Sindone fino al 1300 è vaga, successivamente se ne conoscono tutti gli spostamenti e le vicissitudini. Dalla Francia fu spostata a Torino per consentire a S.Carlo Borromeo di raggiungerla a piedi, in seguito ad un voto, ed è rimasta lì. Poi di recente donata dai Savoia alla Santa Sede.
Gli esperimenti per dimostrarne scientificamente l’autenticità hanno dato esiti alterni, ma i responsi negativi sono giunti da esperimenti condotti con estrema superficialità.

 

Lezione del 21/4/2010

 

La Rivelazione di Dio è avvenuta attraverso la storia, è per questo che abbiamo affrontato lo studio del Gesù storico.            Restano due questioni per chiudere la lezione precedente, anche se di poca importanza: l’età della morte e la bellezza di Gesù. L’età, secondo alcuni studi sarebbe maggiore dei 33 anni normalmente attribuiti, potrebbe essere superiore di 3 o 4 anni. Sulla questione della bellezza di Gesù sono nate diverse tradizioni legate all’iconografia che è prevalsa, in modi diversi, nel corso della storia. Se dobbiamo attenerci all’aspetto dell’etnia giudaica del tempo dobbiamo immaginare un Gesù non troppo alto e non chiaro di pelle né di capelli. Prendendo alla lettera alcuni salmi è stato anche affermato che Gesù non avesse una particolare presenza estetica.

Abbiamo visto che la Rivelazione è avvenuta con eventi e con parole. Gesù incarna entrambi questi aspetti: è evento perchè si è incarnato in  un uomo, nella storia, è Parola perchè è il Verbo fatto carne. Anzi è il primo grande evento della Parola che si fa carne, prima la Parola giungeva solo tramite i profeti.

Poi la vita di Gesù è in ogni momento evento e parola, in una relazione reciproca: l’evento è spiegato dalla parola, la parola (il segno) trova conferma nell’evento. Le opere di Gesù sono soprattutto miracoli, ma non miracoli fini a se stessi, cioè strumenti di proselitismo, ma segni, il miracolo si lega subito all’insegnamento ed è strumento di insegnamento della Parola e del Disegno di Dio, quindi della Salvezza.


Il miracolo ha quindi sempre una natura semeiologica (natura di segno)

Ed è un segno:

  • che Cristo è figlio di Dio, il verbo fatto carne. (segno cristologico)
  • del disegno che Dio ha predisposto attraverso l’incarnazione del Verbo. E’ un disegno di Salvezza molto chiaro nel caso della guarigione, ma vale anche quando è semplicemente abbondanza di frutti: anche se sto bene Dio mi porta a stare meglio. (segno soteriologico)
  • non è solo un’azione che termina qui, ma fa intravedere uno spiraglio della vita eterna cui siamo destinati, la realtà definitiva, il miracolo è sempre un’anticipazione. (segno escatologico)

 

In tutti questi sensi i miracoli di Gesù sono solo Suoi, i miracoli successivi compiuti nella storia dell’umanità fino ai giorni nostri, non hanno queste caratteristiche, non servono a rivelare ma a ricordare, perchè la rivelazione pubblica è finita. Quindi sono segni che vivacizzano la fede ma non la fondano.
Un’altra differenza riguarda gli esorcismi: Gesù ne ha compiuti molti, quelli successivi sono compiuti solo in suo nome.

I miracoli di oggi devono essere provati, ad esempio le guarigioni devono essere certe e definitive. Il segno deve dare poi frutti spirituali, la fede deve esser protagonista dell’evento o deve venire come sua conseguenza. Deve esserci, inoltre, conformità con il messaggio Evangelico.

FTesi di esame 10 : Che cosa viene rivelato in particolare nel mistero pasquale?

Il maggior miracolo è il Mistero Pasquale, ciò che il segno della croce rappresenta: passione, morte, resurrezione. Questi rivelano perfettamente:

  • la natura Divina (rivela il Padre)
  • la natura misericordiosa (perchè perdona)
  • la natura salvifica (perchè redime)
  • l’obbedienza alla volontà del Padre
  • la potenza (perchè risorge glorioso)

 

Non è facile capire il mistero della croce, afferma Benedetto XVI, i cristiani sembrano essere ancora lontanissimi dalla consapevolezza che Dio li ama (Deus Caritas Est). In particolare è difficile pensare che Dio ama il singolo uomo. E’ una realtà troppo grande, non possiamo comprenderla, la sperimentiamo, gli orbitiamo intorno. Forse la Chiesa delle origini ne aveva una percezione più prossima.

Veniamo ora alle parole di Gesù, che sono altrettanto efficaci: viene chiamato rabbi, maestro, è il più grande dei maestri ed anche dei profeti. Mostra tutta la sua autorità nei discorsi più importanti, come quello della montagna, attraverso la forma verbale che lo pone sullo stesso piano della Legge dell’AT: “è stato scritto ... ma io vi dico...”.

Il contenuto dell’insegnamento è la Trinità ma anche se stesso: ha avuto l’incarico della Sua missione, ma tornerà nella veste di Giudice.

(N.B.: La Parusia non è rivelazione, che come dicevamo è conclusa, perchè in quel momento Cristo giudica, non salva. Semplificando: la Rivelazione è qui e sarà in Paradiso. Per questa ragione la Parusia non è oggetto di questo corso di Teologia intesa come Teologia della Rivelazione )

 

Lezione del 28/4/2010

 

Abbiamo visto come Cristo riveli il Padre attraverso eventi e parole, in questo modo non ne rivela solo l’esistenza ma la natura, Dio è Uno e Trino in una relazione di conoscenza e di amore.
Quindi l’uomo, oltre ad avere intelligenza e libertà, può accedere alla conoscenza del Padre seguendo Cristo, la Via, lasciandosi aiutare dallo Spirito Santo.
Benedetto XVI nella sua prima enciclica, Deus Caritas Est, scrive che l’uomo ancora non si è reso ancora pienamente conto di cosa vuol dire essere amato da Dio. Invece noi abbiamo accesso a Dio, possiamo conoscerlo e sapere che ci ama.
Anche nelle religioni antichi gli Dei potevano incontrare gli uomini, ma dovevano scendere al loro livello, e quindi corrompersi. Rispetto ad esse costituiscono una grande novità anche la rivelazione del nostro destino e le resurrezione dalla morte, al punto che, come abbiamo visto, nei diversi idiomi non esistevano parole adatte a raccontare questi eventi. Un ulteriore elemento di originalità è l’esaltazione, la gloria, Cristo ora siede alla destra del Padre. Qui si conclude l’argomento Rivelazione.

FTesi di esame 11 : Che cosa significa “tradizione” in generale?

 

Però Giovanni dice che la Rivelazione è sì il nucleo essenziale, ma molto di più c’è attorno, e si riferisce alla vita degli apostoli che hanno vissuto con Cristo. E’ possibile recuperare questa conoscenza? Da alcuni punti di vista sì, da altri no.

Il fedele, autonomamente, non può. Il rischio è quello di cadere nell’ermeneutica del sospetto, priva di fondamento, una soluzione individuale deve trovare riscontro in un percorso collettivo di tradizione tramandata e rinnovata. Non siamo più autorizzati ad immaginare ciò che ha fatto Cristo al di fuori della Scrittura.
Però gli stessi apostoli, che hanno dato vita alla Chiesa, iniziato la prassi, possono costituire il ponte per andare oltre la scrittura. La loro è una tradizione viva, fa riferimento alla vita trascorsa con Gesù, dobbiamo distinguerla dalla tradizione orale, e le diamo il nome di Tradizione Apostolica.
Se confrontiamo la mole di informazioni contenute nel catechismo della chiesa Cattolica con la Scrittura, ci rendiamo conto che molto è stato aggiunto, perché la Scrittura è solo il necessario per la salvezza. Come ha fatto la Chiesa a edificare questa conoscenza aggiuntiva?
L’integrazione della Scrittura con la dottrina è avvenuta, ed avviene tuttora, in una fase che chiamiamo Post Apostolica, che approfondiremo meglio in una lezione successiva.
Basti dire che quest’attività avviene ad opera della chiesa e dei suoi rappresentanti, ed ha un’autorità che è proporzionale alle verità di fede trattate. E’ il vescovo, che ratifica un dato una certa indicazione, che deve mostrare come questa non sia contraria alla fede apostolica.

FTesi di esame 12 : Quali sono le fasi di formazione della tradizione?
FTesi di esame 13 : Qual è il rapporto tra Tradizione e Scrittura?

Quindi il fenomeno della tradizione nella Chiesa non si è esaurito. Quando un argomento è molto vicino all’insegnamento apostolico, cioè si sta recuperando l’autorità degli apostoli, allora diviene un dogma e viene comunicato all’intera comunità dei fedeli trasmettendone la rilevanza.  In altri casi, meno evidenti, è dichiarato apertamente che quel tipo di intervento vale in quella situazione contingente e non ha lo stesso valore universale ed autoritativo. Cronologicamente possiamo immaginare una sequenza composta così:

 

1 – Tutto ciò che Gesù ha insegnato e fatto

. . . -------------  S C R I T T U R A  ------------------- . . .

2 – Tradizione apostolica
3 – Tradizione post-apostolica (che può avvicinarsi al punto 2 ma deve dichiararlo esplicitamente)

Ma che vuol dire esattamente tradizione? Letteralmente significa trasmettere, ma in modo vivo, esistenziale. E’ ciò che la Chiesa fa ed in cui crede che rende vivo e vitale ciò che è scritto.

Esempi pratici sono: la Liturgia, molte preghiere, la confessione individuale, perché sono cose nate nel tempo, non citate esplicitamente nella Scrittura. La tradizione ci dà, quindi, le forme.  

Altri casi sono più complessi: ad esempio il celibato. La Chiesa Orientale e quella Occidentale hanno tradizioni diverse, da questo possiamo comprendere come si tratti di un argomento non così definito e chiaro. Ma la tradizione deve essere sempre basata sulla scrittura, soprattutto quella post-apostolica.

La tradizione va vista anche come un legame ininterrotto. L’imposizione delle mani con cui i vescovi ordinano i sacerdoti è un segno della continuità, di un incarico che si trasmette a partire da Pietro attraverso una successione apostolica. Questo introduce il problema dei sacerdoti e dei vescovi ordinati al di fuori della Chiesa riconosciuta, pensiamo al caso degli anglicani ed ai lefebvriani. La trasmissione dei contenuti, invece, non è soggetta a questo tipo di problema.

 

Lezione del 5/5/2010

 

Riprendiamo il discorso sulla tradizione. Nella chiesa la tradizione ha un significato tecnico: tutto ciò che interpreta con autorità le cose che riguardano la nostra fede. Tutto ciò che la chiesa crede e fa. Ha, inoltre, un significato attivo: la Chiesa trasmette.
Ma ciascuno trasmette in modo diverso, ogni soggetto ha la sua autorità, e lo stesso soggetto ricopre più ruoli (es. Papa: Vescovo di Roma/Pastore universale), il garante è lo Spirito Santo.

A volte, invece, l’accento non è sul trasmettere in sé, ma sul cosa si trasmette (concetto di deposito della fede).

Quindi la tradizione ha un aspetto attivo dato dal soggetto ed uno passivo dato dai contenuti.
Una chiave di lettura diversa la vede suddivisa in reale (res) e verbale (insegnamenti, monumenti della tradizione)

Ma un principio deve essere chiaro: non si può arrivare a Cristo senza attraversare la Chiesa (quindi la tradizione). E’ un atteggiamento che troviamo nei luterani, che ignorano l’interpretazione e fanno riferimento sempre direttamente alla Scrittura. Per noi questo non ha senso perché la tradizione deriva direttamente dagli apostoli, ed essi sono l’unico ponte che ci permette di superare la distanza con Cristo. Rivediamo le componenti della tradizione:

  • La fase apostolica è normativa, paradigmatica, costitutiva. Perché è lì che iniziano le prime formulazioni kerigmatiche (Cristo morto, risorto, etc.), le prime formule di fede.
  • Le formule dei sacramenti
  • La disciplina del culto (liturgia)
  • La fase post-apostolica, in cui ci troviamo noi e che proseguirà fino alla fine dei tempi.

 

Affrontiamo ora la questione dei rischi e dei criteri.

1 – REGULA FIDEI (o regula veritatis) : è necessario garantire che i vescovi siano fedeli alla Chiesa antica apostolica, alla tradizione costitutiva. Per questo il criterio è: l’insegnamento di qualsiasi soggetto della tradizione post-apostolica deve avere un fondamento nella Scrittura. Scrittura e tradizione devono coincidere per Origine, contenuto, fine. Ma la tradizione serve ad interpretare qualche contenuto non chiaro (modo autorevole/modale), quindi non a completare, e a difendere dalle eresie. Es. dogma dell’Immacolata Concezione, è conforme alla Scrittura, è stato solo esplicitato. Ma attenzione: è necessario non confondere la tradizione con l’esegesi biblica, che ha un grado di libertà maggiore.

2 – FORMALITAS . Deve esser specificato formalmente che tipo di legittimazione la chiesa dà (dogma, Documento Conciliare, etc.) Perché è dal tipo di formalità che il fedele si sente più o meno responsabilizzato.

Ora tre criteri che ci avvicinano alla Chiesa antichissima, quindi non solo alla Scrittura ma alla fede delle prime comunità:

3 – ANTIQUITAS Esprime la misura della durata di una certa tradizione.  Es. quarta parte del rosario (recente) celibato (origine lontana)

4 – UNIVERSALITAS Ciò che dappertutto la chiesa fa. Es. Rosario (universale), formula della confessione (universale)

5 – CONSENSUS il consenso dei fedeli, non del singolo fedele ma della comunità intesa come popolo di Dio. Avviene spesso che per i santi, i martiri, esista una consapevolezza così diffusa che costituisce una forma di garanzia in sé. La chiesa avverte che lì c’è il segno di dio.

 


Lezione del 19/5/2010

 

Nelle lezioni scorse abbiamo considerato la questione che non possiamo avere accesso a Cristo se non attraverso la Tradizione. Ma come capire se lo facciamo in maniera corretta, cioè se ci stiamo muovendo coerentemente a Cristo? Rappresentiamo il contesto in una forma grafica unitaria che riprende anche i contenuti delle ultime lezioni:

 

 

PAROLA DI DIO
(Gesù Cristo)
(Norma Suprema)
(Spirito Santo)

 

 

AUTORIVELAZIONE

|
|
|
|

 (è Dio stesso che continua
a conservare la Sua parola)
AUTO TRASMISSIONE

1
Tradizione orale

2
Scrittura
TRADIZIONE APOSTOLICA

 

3
TRADIZIONE POST-APOSTOLICA
Identificabile con il “modo”, cioè la norma normata secondaria

(è riferita a Cristo, quindi non più raggiungibile)

Anche detta Norma Normata (da Cristo) ma anche Normans (cioè normante) verso la tradizione post-apostolica

 

 

Le tre aree tematiche 1,2 e 3 possiamo considerarle identiche in quanto a ORIGINE, FINE, CONTENUTO ma allora, si potrebbe pensare, qual è la rilevanza della tradizione post-apostolica? E’ quella di fornire un’interpretazione autorevole, è questo che ci distingue, ad esempio, dai protestanti che fanno riferimento direttamente alla Scrittura.  Nello stesso tempo, può accadere che l’autorità non venga espressa per ragioni ecumeniche, in favore dell’unità dei cristiani, ad esempio evitando l’introduzione di dogmi che possano risultare problematici per i Protestanti o gli Ortodossi (es. dogmi sugli esseri umani, come nel caso della Madonna). Possiamo anche dire che sono differenti nel modo: implicito per la Scrittura ed esplicito per la tradizione.

Per esser certi che il passaggio da 1 (Cristo) a 3 (Tradizione post-apostolica) avvenga in modo proprio, abbiamo a disposizione tre criteri.

A) Fondato sulla Scrittura
B) Valore universale
C) Antichissima tradizione

FTesi di esame 14 : Quali sono i luoghi della Tradizione?

 

Dove troviamo la tradizione? E’ un discorso analogo a quello delle fonti della teologia (costitutive o secondarie, cioè post-apostoliche, anche dette “luoghi della tradizione”)

Veniamo così introdotti all’ultimo argomento importante del corso, i soggetti della tradizione.


 

SOGGETTI DELLA TRADIZIONE

Ricevono dagli Apostoli (come loro l’hanno ricevuto da Cristo) il mandato di interpretare.

Il primo soggetto della tradizione è lo Spirito Santo, è Lui l’autore dell’ispirazione biblica e quindi anche dell’interpretazione. Anche qui possiamo avvalerci di una rappresentazione grafica:

 

 

SPIRITO SANTO

 

 

Pluralità

|
|

Singolarità

Infallibilità IN CREDENDO

 

Infallibilità IN DOCENDO

 

Si intende il POPOLO DI DIO, cui possiamo riferirci anche con l’espressione CONSENSUM FIDELIUM

L’infallibilità sostiene individualmente il capo della Chiesa ma anche tutto il popolo di Dio che ha una certezza della Fede con cui dà il proprio consenso al Magistero

 

 

 

Ci si riferisce ai responsabili della Fede cioè il MAGISTERO

Allo stesso modo possiamo dettagliare gli aspetti legati al Magistero

 

 

 

MAGISTERO

 

 

individuale

|
|
Universale (non infallibile)

Universale (infallibile)

Magistero ordinario

Magistero straordinario

Magistero straordinario infallibile

 

Vescovi nella propria diocesi

Si riferisce anche al Papa quando interviene nella propria Diocesi

 

A) Può riferirsi al Papa (quando agisce universalmente, non come Vescovo di Roma)

B) Ed anche alla collegialità dei Vescovi, come nel caso della redazione del Catechismo della chiesa Cattolica

 

Dogmatico, infallibile, definitivo, irriformabile.
E’ l’interpretazione della Fede. Deve applicarsi su una materia di fede molto importante (dogmatica oppure morale, ma per la morale non si è mai applicato)

 

 

 

 

Le condizioni affinché abbia validità il Magistero Straordinario Infallibile sono: 

1) Materia di fede o di costume, che sia centrale per la Salvezza.
2) Chiara espressione della intenzione di esprimere un contenuto dogmatico attraverso la forma, quindi utilizzando le formule espressive dovute.
3) Il collegio episcopale deve essere in comunione con il Papa.

Esiste, in realtà, quello che viene definito Privilegio Petrino, cioè la possibilità, per il Papa, di agire anche senza il consenso del collegio dei Vescovi. Il Papa deve però chiaramente esprimere nella formula che agisce come Pontefice, Pastore Universale della Chiesa, ma è un’opportunità che al momento non è mai stata utilizzata in questi termini così unilaterali. Di fatto la proclamazione dei dogmi avviene sempre all’interno dei Concili.

Quindi i soggetti che consideriamo legati al principio di infallibilità sono 2:

1) Il Papa
2) I Vescovi in comunione con il Papa

 

Lezione del 26/5/2010

 

Esaminiamo in maggior dettaglio il DOGMA

FTesi di esame 15 : Come si definisce un dogma?

E’ una verità rivelata implicitamente nella scrittura, proclamata esplicitamente dal magistero straordinario infallibile. E’ di origine divina e riguarda una materia dogmatica oppure morale, anche se questo secondo caso non si è mai avverato. Vedi anche lezione precedente.

FTesi di esame 16 : Si può modificare una formula dogmatica?

Il dogma è  immutabile, si può solo sviluppare, esplicitare, dettagliare ulteriormente, ma non modificare nel contenuto. Tuttavia, dal momento che il contenuto deve risultare comprensibile anche in un futuro molto lontano, è prevista la possibilità teorica di riformularlo con parole diverse rispettando alcune regole. Elenchiamo le 4 più importanti:

1) I termini utilizzati devono avere lo stesso contenuto e mantenere la stessa proporzione.
2) Abbia la stessa forza memorativa. La nostra fede si basa su un memoriale, cioè esperienza tramandata, deve quindi collegarsi con i momenti dell’esperienza ed in particolare con il linguaggio biblico.
3) Abbia forza pronostica (in un certo senso è l’opposto della forza memorativa) deve proiettarsi verso il futuro e garantire la stabilità del significato.
4) Sia in continuità con gli altri dogmi.

Quindi è evidente che rimane quasi solo una possibilità teorica quella del cambiamento dell’espressione linguistica, che in pratica non si verifica mai.

L’obbedienza al dogma deve essere totale.

A questo proposito, esaminiamo ora i diversi gradi di obbedienza previsti :

 

1) Tutto ciò che è rivelato esplicitamente nella Bibbia rappresenta una verità che possiamo indicare con l’espressione FIDES DIVINA (oppure verità de rivelatione, oppure de fide revelata, oppure rivelatio immediata divina)

2) Il dogma prevede l’espressione FIDES CATHOLICA (oppure de fides definita oppure dogma irreformabile). Ha lo stesso valore (cioè richiede lo stesso grado di adesione ed obbedienza) della fides divina ma è definita dalla Chiesa.

In questi primi due punti si richiede l’adesione piena e completa dell’intelletto e del cuore.

Poi abbiamo le

3) Verità di fede, che troviamo nella tradizione e che richiedono OSSEQUIO, cioè sottomissione, per esempio l’obbedienza ai vescovi ed al Papa, e si chiamano verità DE FIDE ECCLESIASTICA . Hanno un peso minore, per esempio il digiuno è normato differentemente dalle diverse conferenze episcopali nazionali.
Rientrano in questa categorie le verità non di fede definita ma tuttavia definibile, e si indicano con l’espressione proxima fidei.

 

Per concludere il corso un accenno alle rivelazioni private che non costituiscono programma di esame ma che abbiamo trattato in diversi punti. E’ utile ricordare che queste costituiscono segni che aggiungono credibilità, ma non credendità, proprio perchè la Rivelazione è conclusa ed autosufficiente, quelle private sono un di più.

 

http://aula6.altervista.org/teologiafondamentale.doc

 

 

 

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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