Madame Bovary analisi del testo e riassunto
Madame Bovary analisi del testo e riassunto
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Madame Bovary analisi del testo e riassunto
MADAME BOVARY e ANALISI PSICOLOGICA di FLAUBERT
La sua struttura risulta di tre parti: la prima è di nove capitoli; la seconda di quindici; la terza di dieci. Flaubert nel libro usa la poetica dell’impersonalità. Mentre i narratori dell'Ottocento di tipo romantico, come Manzoni, Stendhal e Balzac erano onnipresenti sulla scena intervenendo continuamente nell'azione con commenti e giudizi, stabilendo un rapporto continuo e diretto con il lettore, Flaubert invece, anticipando in questo gli autori del naturalismo e del verismo, esce di scena, rinuncia ad intervenire nei fatti narrati commentando o giudicando, costruisce una rappresentazione oggettiva ed impersonale della realtà. Lo stesso Flaubert in una lettera alla sua amica Louise Colet del 1852, nell'affermare il principio della assoluta oggettività ed imparzialità della narrazione, scriveva: "L'autore, nell'opera sua, deve essere come Dio nell'universo, presente dappertutto e visibile in nessun luogo. Essendo l'arte una seconda natura, il creatore deve agire con procedimenti analoghi”.
Passiamo ora ad esaminare la prima parte del romanzo i cui primi otto capitoli possono essere così riassunti: 1) infanzia ed adolescenza di Charles; 2) incontro con Emma 3) dichiarazione d'amore; 4) il matrimonio 5) la casa Bovary a Tostes; 6) l'educazione di Emma; 7) la vita quotidiana e la routine matrimoniale; 8) il ballo al castello di Vaubyessard su invito del marchese di Andervilliers; 9) conclude la prima parte, raccoglie le fila dei capitoli precedenti e prepara la seconda parte del romanzo che comincia con l'arrivo dei Bovary a Yonville.
Incontriamo dunque la nostra eroina per la prima volta nella casa del padre in campagna. Quando Charles Bovary alza gli occhi su di lei Emma gli appare con un sorriso gentile sulle labbra mentre indossa un vestito azzurro guarnito di tre balze. L'azzurro, il cilestrino, il blu accompagnano spesso le descrizioni della bellezza di Emma: sebbene i suoi occhi siano neri, qualcosa di celeste l'avvolge sempre: é l'indizio per Flaubert della sua ambigua personalità, della sua nascosta sensualità.
Emma dunque al capezzale del padre, intenta a cucire delle bende, si punge le dita proprio come la bella addormentata nel bosco, ed entra con quella puntura nel letargo del matrimonio finché non verrà a svegliarla il bacio dell'adulterio. Flaubert inoltre ci mostra che Emma ama recitare. La prima recita con cui si presenta ai lettori é proprio quella della giovane ingenua e pudica, brava e obbediente, in cerca di un marito.
Flaubert manovra i suoi personaggi in modo che tanto Charles che il vecchio papà Rouault siano convinti che Emma é un fiore troppo prezioso per vivere in campagna: pelle bianchissima, mani delicate, piedini da parigina, vestiti azzurri ed eleganti, la pettinatura raffinata, tutto porta alla costruzione di un ritratto femminile di ragazza dolce e remissiva, ma un particolare contraddice la visione iniziale: "Ella portava, come un uomo, trattenuto da due bottoni del corsetto, un occhialetto di tartaruga". Questo occhialetto da uomo é una delle prime spie con cui Flaubert ci mette sull'avviso: Emma è una donna dalla personalità fortemente contraddittoria. Nel terzo capitolo della prima parte, assistiamo ad una scena di seduzione, rappresentata con ampiezza di dettagli visivi: da una parte Emma è intenta a cucire, da brava ragazza, dall'altra con la scena del liquore si mostra una esperta seduttrice.
Tuttavia Flaubert spiana la strada alla sua eroina: Charles resta improvvisamente vedovo.
Torniamo al racconto dell'infanzia di Emma che é tra le pagine del romanzo più illuminanti per capire la psicologia di questo personaggio. La sua infanzia é trascorsa in un convento di Orsoline dove oltre al ricamo, la danza ed il disegno ha sempre letto molto: leggeva di nascosto libri d'amore in cui si parlava di amanti lontani, di turbamenti di cuore, di giuramenti, di singhiozzi, di lacrime e baci e di signori coraggiosi come leoni ma dolci come agnelli.
Oltre alla lettura il convento le propone la vocazione religiosa: ma Emma non é interessata al rapporto con Dio: il suo rapporto con la fede é solo estetico e sensuale: le piaceva pensare a Cristo come al "fidanzato, lo sposo, l'amante celeste".
Morta la madre, la recita del convento non regge più ed Emma viene rispedita a casa. Dopo il matrimonio con Charles la vita coniugale prende il suo ritmo fatto di rituali ripetitivi che annoiano rapidamente la giovane sposa. Le parole "felicità", "amore", "ebbrezza", su cui aveva sospirato e che le erano apparse belle nei romanzi letti in convento le appaiono ora "ingannevoli e prive di senso".
Un fatto inatteso spezza la nebbia del menage coniugale: l'invito ad un ballo da parte del marchese d'Andervilliers. Nelle poche ore trascorse nell'ambiente ricco e raffinato del castello Emma respira l'aria a lei più congeniale: tutto é splendido ai suoi occhi, solo la figura del marito ne esce ancora più ridimensionata.
Tornata dal grande evento del ballo, Emma tenta di costruirsi una vita fittizia di lussi e di divertimenti: compra una carta topografica di Parigi e inventa delle passeggiate da compiervi, si abbona a riviste femminili, segue da lontano le serate all'Opera, l'apertura di un nuovo negozio parigino, una riunione mondana. Non suona più il pianoforte, diventa capricciosa, non mangia quasi più, beve aceto, si inonda di colonia, deperisce.
Il buon dottor Bovary, malgrado la cosa gli procuri un danno economico decide di trasferirsi a Yonville, sicuro che il cambiamento d'aria gioverà ad Emma che é incinta.
Pochi giorni prima della partenza, Emma mettendo ordine in un cassetto, si punge le dita (è la seconda puntura delle sue dita) con il filo di ferro del suo bouquet da sposa; Emma lo scaglia nel fuoco e lo vede consumarsi: questa immagine metaforica della distruzione del suo matrimonio è quella con cui Flaubert conclude la prima parte del romanzo. Nella seconda parte del romanzo, in attesa di sistemarsi nella nuova casa i Bovary alloggiano in una locanda dove incontrano il giovane Léon, praticante notaio, con il quale entriamo nel vivo del tema centrale del libro: l'adulterio.
Al capitolo terzo vi è il racconto della nascita della figlia di Emma: questa non la guarda neppure, "voltò la testa e svenne". La bambina viene chiamata Berthe e mandata a balia in una casa povera fuori Yonville. Nel visitare la figlia, Emma si imbatte un giorno in Leon che chiede di accompagnarla; questa è più interessata al casto corteggiamento del bel giovane che dalla presenza della neonata che la infastidisce.
Emma si innamora di Léon ma non osa confessarlo neppure a se stessa. Più si accorge di amarlo e più respinge questo amore: è trattenuta dalla pigrizia e dalla paura, non certo dalla lealtà nei confronti del marito.
Emma torna a casa sconvolta e l'autore ci fa assistere ad uno degli episodi più penosi del romanzo: Emma rifiuta il tentativo della piccola Berthe di abbracciare la madre che la respinge brutalmente causandone la ferita ad una guancia. Flaubert ci mostra che malgrado la recita, nel cuore di Emma non vi é amore ma solo insofferenza ed odio. Berthe per Emma è il simbolo dell’unione con Charles, l’uomo che l’ha portata alla sofferenza e ad una vita monotona e priva di significato. Così come con il bouquet, la rifiuta come del resto in tutto il poema; l’unico momento in cui lei stessa vorrà vederla è al giungere della morte.
Emma dunque non si concede a Lèon, detesta il marito e la figlia, per consolarsi indulge in acquisti che soddisfano la sua vanità ed il gusto per l'esotico che era lo stesso di cui si era nutrita in gioventù attraverso le letture. Cambia anche pettinatura prendendo ad arrotolarsi i capelli come un uomo, userà anche oggetti da uomo: pantaloncini alla turca, corsetto da cacciatore, cappello con la piuma, a simboleggiare una profonda mancanza di ordine interiore nella vita della protagonista. Léon intanto é partito; Emma deperisce, sviene, sputa sangue, passa le giornate stesa a letto a guardare la vita dalla finestra dalla quale un giorno appare finalmente la novità. Un bel giovanotto, vestito di velluto verde, attira l'attenzione di Emma.
Rodolphe, trentenne brutale e disinvolto con le donne, adocchia la sua preda; riesce a convincere Charles a mandarla a cavallo con lui per farla distrarre: ed ecco Emma, con un cappello da uomo in testa fermato da un velo azzurro, cavalcare al fianco del bel Rodolphe verso la perdizione. Le parole dell'uomo sono false e di cattivo gusto ma Emma non si accorge della loro falsità: é come se cadesse dentro uno dei romanzi d'amore di cui ha sognato di essere la protagonista. Nelle parole dell'uomo riconosce il linguaggio della sua cultura e cade nella trappola.
Finalmente Emma ha coronato il suo sogno identificandosi in una delle donne fatali che aveva tanto invidiato. La relazione tra i due va avanti; lei é sentimentale, ossessiva, indiscreta, impudica; lui volgare, annoiato, freddo, vendicativo. Lei gli impone la fuga. Lui prende tempo, finge di accettare ma pensa invece alle noie, alle spese, e le invia un cesto di albicocche con un messaggio nascosto.
A questo punto troviamo 2 sentimenti opposti di Rodolphe: da una parte il proprio orgoglio, per il quale rinuncia a Emma, divenuta ormai troppo ossessiva; dall’altra l’amore e la tenerezza: nonostante tutto si era infatti affezionato a lei che era anche passionale e sfrenata.
Il suo delirio dura quarantatrè giorni. Poi presa da una crisi mistica Emma si avvia verso la guarigione. A Bovary, per il bene della moglie, viene consigliato di farla svagare: i due decidono di andare a Rouen, a teatro. Qui avviene l'incontro fatale con Léon. I due si ritrovano e proprio Charles mette la moglie nelle condizioni di tradirlo. Egli torna a Yonville lasciando Emma a Rouen con Léon. I due si vedono in chiesa, lei é decisa a dirgli addio, ma nel consegnargli la lettera rimane sconvolta dalle parole giuste che lui sa usare per far breccia nel suo cuore: anche Léon sa usare lo stile del romanzo d'amore. Ancora una volta, Emma cade nella trappola del romanzo d'appendice. Ad Emma lui appare bellissimo. Léon non è più però un giovane inesperto come era quando abitava nel suo paese: ha conosciuto Parigi e l’alta società, le donne ed il successo.
Il romanzo si avvia ormai verso l'epilogo tragico. Tutta la sensualità repressa di Emma esce allo scoperto e Léon ne è prima attratto, poi spaventato: "Vedendola così sfrenata in amore, Léon si dice che la signora Bovary deve essere passata attraverso chissà quali prove di sofferenza e di piacere. Ma quello che al principio lo incantava, adesso un po' lo spaventa". In questa ultima parte del romanzo, la relazione con Lèon va avanti, dapprima in modo piano, poi la mancanza di soldi, il continuo firmare cambiali la rendono sempre più nevrotica e infelice. Casa Bovary ormai è una casa piena di debiti, la piccola Berthe gira con le calze bucate ma Emma, inguaribilmente, continua a procurarsi oggetti di lusso, sogna ancora amori principeschi, vende oggetti di famiglia con noncuranza; Léon, come a suo tempo Rodolphe, cerca ormai di liberarsi di lei, che, come dice Flaubert, è arrivata al fondo della sua depravazione, che non è solo l'adulterio, ma la scoperta compiaciuta del piacere e della libertà di procurarselo.
Il romanzo è ormai alle ultime battute. Emma di fronte alla richiesta ultima di saldare l'enorme debito che ha contratto con il mercante strozzino Lheureux, si abbassa fino a proporsi a lui; non ottenendo nulla, ricorrerà a tutti i suoi ex: Léon, Rodolphe, finanche il notaio Guillaumin dal quale si reca come ultima sponda e, di fronte alle viscide proposte amorose di lui, ella ha uno scatto di teatrale falsità che sembra riabilitarla agli occhi dei lettori. Emma, esauriti i tentativi di trovare soldi, si procura del veleno per topi immergendo le dita nel vaso di arsenico e ingurgitandolo rapidamente. Crede di morire subito, invece la sua agonia sarà lunghissima e terribile. Flaubert realisticamente si sofferma su ogni fase del supplizio della sua eroina; dal punto di vista del narratore realista questo è nelle regole, ma c'è qualcosa in più: Flaubert ci appare qui il giustiziere della sua protagonista.
Al capezzale della moribonda giunge il prete che unge con l'olio santo le parti del corpo di Emma che più avevano colluso con il peccato: la bocca, le mani, le narici, i piedi. Questa è la condanna finale dello scrittore nei confronti della sua eroina. La conclusione è raccapricciante: "Una convulsione la ributtò sul materasso. Tutti si avvicinarono. Non esisteva più." Emma viene vestita da sposa, con le scarpine indossate al celebre ballo e una coroncina di fiori in testa: gli oggetti-feticcio saranno sepolti con lei. Ma la perfidia di Flaubert non accenna a finire: il corpo di Emma sarà oltraggiato e descritto in modo orrido e grottesco, con le tempie ferite dalle forbici, gli occhi coperti da una tela di ragno bianchiccia. Infine gli ultimi due capitoli riguardano gli avvenimenti succeduti alla morte della protagonista.
ANALISI PSICOLOGICA DI EMMA, di CHARLES e DEGLI ALTRI PERSONAGGI
Sognava l’amore, la passione, come un grande uccello dalle piume rosa librato nello splendore dei cieli poetici; Sognava la ‘vita’, parola dal significato oscuro, come fiamma dalla quale ardiva di essere avvolta, divorata, consumata. E’ lei, Madame Bovary, una donna, uno spirito vagante, una fiammella lieve, precaria, che minaccia di spegnersi ad ogni alito di vento, ma che a tratti, divampa spasmodicamente, tentando di penetrare, conquistare ed essere conquistata dall’infinito che la circonda. Emma Roualt, figlia di un agitato contadino di Toastes, fin dall’infanzia si era nutrita di mielati romanzi che, come pesanti ed indelebili mattoni, avevano innalzato intorno a lei un muro sul quale era impressa l’immagine di un mondo inverosimile, intriso di violente e furiose passioni, che alimentavano giorno per giorno la sua fantasia, facendole credere che ogni uomo era destinato, un giorno, ad essere un eroino romantico.
Emma nella sua vita non riuscirà mai ad accarezzare, a sfiorare, a stringere sul suo seno quel grande uccello “dalle piume rosa”, e tutto ciò che riuscirà ad afferrare non le sembrerà altro che un pulcino con le ali tarpate, che la soffocherà e la renderà infelice, insoddisfatta; già! L’insoddisfazione, dal sapore amaro ed acre, avrà sempre un angolino nel cuore di Emma, incapace di cogliere e di apprezzare le piccole gioie di una vita che le apparirà sempre grama e smunta: lei, probabilmente, non si commuoverà mai dinanzi ad uno scenario che vede protagonisti un sole stanco e pallido che in punta di piedi, raccoglie i suoi bagagli, lasciandosi adombrare da una luna sfolgorante. A tratti si affaccia sulla finestra della sua vita la speranza che sia arrivato il momento di “vivere”, come aveva sempre desiderato vivere. Ed è questa l’impressione che Emma ha quando conosce Charles Bovary, un uomo mediocre, un sempliciotto dall’infanzia difficile. E’ ancora impressa nella mia mente l’immagine di quel ragazzetto deriso dai suoi compagni quando, entrato in classe, con il suo sformato cappello, si intirizzisce sulla sedia, come una foglia sotto il tocco della rugiada. La sua vita no, non è stata facile: il disprezzo di suo padre che trascorreva l’intera vita all’ombra delle gonnelle delle sue amanti, la fragilità di sua madre, oramai spossata dai dolori che le erano stati iniettati nelle vene, e poi il suo primo matrimonio con una cupa vedova che, la sera nel letto, lo sfiorava nei suoi piedi gelati, e che saprà donargli un’unica ricchezza: la sua eredità al momento della morte.
La vita di Charles, così tristemente funestata, sarà improvvisamente abbagliata da un faro nella notte, che lo accecherà per sempre: Emma. Un incontro banale, semplice, ma che condizionerà per sempre la vita dei due individui che viaggiano su binari della vita completamente opposti. Charles, in qualità di medico, si reca in casa dei Roualt per curare un infortunio subito dal padre di Emma e fa così la conoscenza di quella donna che a tratti gli farà assaporare il gusto della vera felicità, ma che talvolta lo farà cadere in un amaro vortice di incapacità e di insuccesso. Emma, all’ombra delle tendine nere della sua casetta, comincia ad immaginare come quell’uomo l’aiuterà a tuffarsi in quella vita forte e rigogliosa che ha coltivato nel suo cuore.
Arriva il tanto sospirato matrimonio: negli occhi di Emma, stretta nel suo abito di pizzo e nelle scarpe di satin, già si può scorgere il raccapriccio e l’angoscia che la avvolgono in un manto nero, facendola convolare a nozze non solo con Charles, ma anche con l’aridità e l’insoddisfazione. La sua speranza si spegne fin da quando giunge all’altare, dove pronuncia un incerto sì, seguito da una cerimonia contadina, animata da risate, battute maliziose, balli rozzi e visi infuocati per il vino dal colore sanguigno. Questa giornata è per Emma l’inizio di un viaggio a senso unico, un labirinto senza via d’uscita, caratterizzato soltanto da finestrelle dalle quali a tratti si affaccia per lasciarsi inondare da torrenti di luce.
Come poter immaginare i sentimenti che sbocciano, come tenere margherite, nel suo cuore? Come può quell’uomo mediocre e felice riuscire a cogliere negli occhi della sua amata, l’astio e l’amarezza che la stanno macinando?
Charles ama e pensa di essere amato da quella “perfetta” moglie dallo sguardo severo che gli scruta le spalle e prova compassione per la sua ingenuità, per quell’amore che sgorga puro dal suo cuore, ma che a lei non basta, perché talvolta l’amore sincero non è passione, non è fuoco.
Ancora li rivedo passeggiare, all’imbrunire sulla collina; ancora riesco a sentire il crepitio delle foglie sotto il tocco delle loro scarpe, il profumo del terriccio odoroso e il fruscio della vaporose sottane di Emma che si stringono in un forte abbraccio ai pantaloni di Charles: l’uno con la felicità dipinta sul viso, l’altra avvinghiata da un intrigo di spine; no, non può essere lei quella bambina con gli occhi ricolmi di ambizione che si è trasformata in una massaia buona, non è sua quella vita che a tutti i costi vuole estirparsi dalle radici dell’anima. Intanto i giorni passano lenti, tutti uguali tra loro come spighe di grano in un campo dorato e, come in un campo di grano, di tanto in tanto appaiono terre fertili, colorate del rosso delle mele, così nella vita di Emma talvolta si intravedono squarci di blu, il blu dell’ebbrezza, della felicità. Ricordo, quando invitati al ricevimento annuale del marchese di Vaubyessard, in ringraziamento per un soccorso prestatogli da Charles in seguito ad un incidente, Emma si vede proiettata nel gran mondo che conosce attraverso i romanzi, gode ogni istante di questa festa, non ne perde un solo dettaglio: conversazioni, spettacolo, piaceri di una serata indimenticabile, che rimarrà a lungo nei suoi ricordi e che condizionerà, da quel momento in poi, la sua vita che le sembrerà sempre più monotona, più triste e avvilente.
Charles, nella sua intima stupidità, capisce il cruccio della sua amata, e decide di trasferirsi a Yonville l’Abbaye, una piccola cittadina normanna, scrutata in tutta la sua grazia fin dal momento dell’arrivo dai coniugi a bordo dell’Hirondelle. Un nuovo sipario si apre nella vita di Emma, la scena sarà calcata da nuovi personaggi che reciteranno il loro ruolo agli occhi indagatori di Emma.
I coniugi sono accolti dal farmacista Homais, un uomo gretto, con lo sguardo intriso di ingenuità o di astuzia, considerato un gran saggio, anche se in realtà, tutta la sua sapienza è rinchiusa in una scatola forata da cui, ogni tanto sfumava. Conosce poi Léon, aiutante di un avvocato, un giovane dallo sguardo dolce, con il miele tra i capelli, incline all’amore, che addolcisce lo spazio che lo circonda.
Ricordo ancora la scena dell’incontro nel ristorante del paese; Emma e Charles varcano la soglia di quel rozzo locale, come sottofondo lo scoppiettar lento delle fiamme nel camino; un alito di calore sfiora la candida pelle di Emma, il suo sguardo è catturato dal rosso cardinale del fuoco che disegna delle immagini talvolta concrete, talvolta impalpabili, sempre molto suggestive. Su una sedia di paglia si dondola un giovane con gli occhi scuri e con un cappello che a tratti gli cade sul naso; gli occhi di Emma, richiamati dal pigolio della sedia, si posano immediatamente su di lui, e quella lieve sensazione di caldo, che impercettibilmente l’ha colta, diventa arsura che le pizzica la pelle e il cuore. Leon è per Emma come il lapillo di un vulcano arrabbiato e lo è non perché Leon sia davvero l’uomo che è da sempre in cima ai suoi pensieri, che le ha provocato dolori, frustrazioni indelebili, ma solo perché Emma si vuole convincere di ciò. Chiude gli occhi e grida al mondo di aver catturato la luna, e solo quando questo incendio si consuma fino a diventare misera cenere, grida “sottovoce” alla sua passionalità di tacere, e costei obbedisce; si rannicchia in un ritaglio di anima, ma è poi, col trascorrere della notte, di nuovo pronta ad illuminarsi, a volare nel cielo come un palloncino colorato alla ricerca della sua anima gemella. Ebbene, Leon è un pezzo del mosaico della vita di Emma, che è presente anche quando Emma dà alla luce una figlia, una creatura, frutto dell’ “amore” tra una donna confusa e un marito innamorato. Quando Berthe viene alla luce, viene affidata a una balia, e di tanto in tanto Emma si reca a farle visita. Ed è proprio durante una di queste uscite che si verifica un episodio, nel quale vengono a galla tutte le nascoste sensazioni di Emma: il suo volersi sentire corteggiata, l’emozionante sfiorarsi dei vestiti, il casuale intrecciarsi delle mani, paure e batticuori che Charles, nella sua grettezza, non le donava.
È una giornata fresca, il sole ha appena fatto capolino dietro le verdi colline; a sprazzi il viso di Emma è illuminato da un piccolo angolino di luce ed incespicando tra i rami e le foglie, la donna si avvia verso la dimora della balia. Ad un tratto si sente afferrare per un lembo del vestito e le si para davanti agli occhi impauriti una sagoma diversa da quella rozza e impacciata di Chalet: è Léon in tutta la sua eleganza e bellezza. Camminano insieme lungo sentieri tortuosi, incuranti dei virgulti che intralciano il cammino, il loro sguardo segue, infatti, una sola direzione, quella che li porta l’uno verso l’altro; giunti a destinazione, questo tenue ed ovattato scenario lascia il posto alla descrizione della squallida dimora della balia. L’animo di Emma, rinfrescato dalla rugiada che lenta sgocciola da quel giovane amore, sarà improvvisamente costretta a torcersi, a stropicciarsi per il dolore alla partenza di Léon per Parigi. Diventa allora facile preda di Rodolphe Boulanger, ricco proprietario terriero, di cui si innamorerà follemente, fino a chiedergli di portarla via con la sua bambina. Ma Rodolphe la abbandona e allora Emma si ammala.
Charles, preoccupato, pensa di aver trascurato troppo la moglie e la porta a teatro a Rouen. Là vuole il caso che Emma riveda Léon, col quale intreccia una relazione che la porterà ad un progressivo declino: le bugie, i debiti, la totale apatia nei riguardi della sua famiglia. Emma, nonostante l’amore offertole da Leon, non riuscirà mai a conquistare la felicità, non proverà mai la straordinaria sensazione di sentire un tuffo al cuore, di sentirsi iniettare nelle vene dosi di felicità; comincia ben presto a stancarsi di questo fuoco, che inizialmente le era parso così caldo e scoppiettante.
Sopraffatta dai debiti, incapace di sopportare il peso di una tale vergogna, finisce per avvelenarsi morendo dopo atroci sofferenze.
Charles scoprirà a poco a poco i tradimenti della moglie, ma non sarà capace di odiarla, riuscirà solamente a trovare dentro di sé un cantuccio, nel quale accogliere, fino alla vicina morte, il perdono per quella donna, che sognava l’amore, “quel grande uccello dalle piume rosa librato nello splendore dei cieli poetici”.
ANALISI DELL’OPERA
C'è una scena in Madame Bovary che divide il romanzo in due parti e con la sua ineluttabile forza decide il destino della protagonista. È quella dell'operazione andata a male, eseguita dal marito di Emma, il dottor Charles: un'operazione di strefopodia (raddrizzare un piede storto) di cui resta vittima Ippolito Tautin, stalliere all'albergo del Leon d'oro. È un'azione misera, meschina, l'ultimo episodio di un'esistenza già fallimentare ma che s'ingrandisce iperbolicamente nella struttura del romanzo, ne occupa simmetricamente il centro, e finisce con l'assumere lo stesso rilievo che l'assassinio ha in una tragedia greca o in un romanzo di Dostoevskij.
L'autore ebbe coscienza dell'importanza di questo episodio quale momento decisivo che prepara il ritmo discendente dell'azione e l'avvia verso la catastrofe? Senza alcun dubbio. E lo preparò con molta cura. Chiese a suo fratello, medico all'Hotel Dieu di Rouen, tutte le informazioni che dal punto di vista chirurgico avessero potuto essere utili. Non fu soddisfatto. Ricercò il libro che un dottore in medicina, direttore dei trattamenti ortopedici degli ospedali civili di Parigi, Vincent Duval, aveva dedicato all'argomento: Traité pratique du pied-bot. E, dopo aver letto e utilizzato quel volume e dopo averlo prestato al suo personaggio (anche Charles si fa arrivare da Rouen il trattato del dottor Duval), situò ironicamente l'azione come in un ideale teatro anatomico, tra i grandi numi della scienza chirurgica. Così, in un'attesa che raggiunge lo spasimo, Charles diventa l'eroe fasullo di una lezione d'anatomia degradata a fatto provinciale e grottesco.
Baudelaire, nell'articolo che preparò su Madame Bovary lo stesso anno della sua pubblicazione, dette a questa scena un rilievo ancora maggiore di quel che le avesse assegnato Flaubert. Dopo l'operazione fallita, una nera collera - scrive Baudelaire - da molto tempo accumulata e repressa, esplode nella sposa, in tutte le sue fibre. Le porte sbattono. Il marito interdetto, sbigottito per non aver saputo soddisfare con alcuna gioia dello spirito l'esaltata immaginazione della moglie, è relegato nella sua stanza. È in penitenza, il colpevole, l'ignorante! E Madame Bovary, disperata, grida: “Ah! perché non sono almeno la moglie di uno di quei vecchi scienziati calvi e curvi i cui occhi protetti dagli occhiali verdi, sono sprofondati eternamente negli archivi della scienza! Potrei incedere con fierezza al suo braccio”.
Questo breve monologo, così come lo leggiamo in Baudelaire, è declamato con la voce terribile della delusione e dell'ira da un personaggio che realizza finalmente, attraverso il destino di un altro, il proprio fallimento.
Per tenersi al corrente il marito s’era abbonato a un nuovo giornale: "L'Alveare medico". E se lo leggeva dopo aver mangiato. Ma, trascorsi pochi minuti, per il calore della stanza, aggiunto alla digestione, egli s'addormentava e restava lì, col mento appoggiato sulle mani e i capelli come una criniera sparsi fin sotto la lampada. Ed Emma lo guardava scrollando le spalle, pensava che avrebbe desiderato di avere almeno per marito uno di quegli uomini ardenti e taciturni che lavorano di notte sui libri. Avrebbe voluto che il nome di Bovary, ch’era anche il suo, fosse illustre, esposto nelle vetrine dei negozi e conosciuto in tutta la Francia.
È una scena dunque dominata dal silenzio, pieno di cose pensate e senza grida o porte che sbattono. È qui che Baudelaire ha operato le sue trasgressioni evidenziando il rapporto col marito che si va distruggendo. Prima Emma pensava al marito. Ora non pensa che a sé. È se stessa che vuole salvare.
Per chi legge Madame Bovary, è infatti evidente che tutti gli uomini sono per una ragione o per l'altra una massa di abbietti o di presuntuosi imbecilli o di vili o di teneri fanciulloni senz'anima. Nessuno di questi uomini si salva, l’unico essere dotato di qualità virili è una donna: Emma Bovary.
È questa che ha dato poi il suo nome a una certa maniera di sentire e di vivere, che pur essendo caratteristica d'un età, ha nondimeno le sue radici profonde nell'uomo umano d'ogni tempo. Senza nulla perdere della sua definitezza e concretezza individuale, essa, la povera donna, si è tramutata in simbolo, e rappresenta un mo’di vivere che è chiamato appunto bovarismo.
Bovarismo è un tumulto di desideri repressi, di ambizioni stroncate, di invidie personali, gusto per il disordine, fantasia per l’impossibile e fastidio del quotidiano. Questo; ma anche la desolata coscienza di essere così e di non poter cambiare.
LUOGHI
Tra i romanzi francesi di metà '800, impegnati ad analizzare la realtà complessa della società del tempo, "Madame Bovary' occupa un posto particolare: perfeziona gli strumenti tecnici del linguaggio realista e, tra questi, la descrizione degli ambienti, precisa fino al dettaglio.
Lo spazio nel romanzo è rappresentato soprattutto dall' ambiente provinciale della Normandia, che non si riduce mai a semplice sfondo, ma fa parte integrante della storia e della caratterizzazione dei personaggi.
Le descrizioni sono estremamente precise e nulla sfugge allo sguardo del narratore, che si posa su luoghi e oggetti, con un’ analisi tanto minuziosa e formalmente perfetta da aver fatto dire a qualche critico che tale stile "pietrificava il reale".
Molte sono le descrizioni di luoghi, sia spazi aperti (ampi paesaggi ed esigui villaggi di campagna, la città di Rouen ), sia spazi chiusi (le tre case abitate da Emma, il castello del marchese della Vaubyessard, la casa della balia, di Rodolphe, la stanza d'albergo dove Emma incontra Léon ) ambienti pubblici e non: tutti fanno riferimento a precisi ambienti sociali e culturali e, allo stesso tempo, contribuiscono a rappresentarli. Oltre che alla rappresentazione di ambienti, essi contribuiscono a quella dei personaggi.
Accanto a luoghi reali, nel romanzo sono rappresentati molti luoghi immaginari, che Emma vive in sogno e nel desiderio, e che, pur spesso tratti dalle sue letture, vengono a concretizzare quella rappresentazione del tutto artificiosa che la protagonista si è creata della realtà ( si pensi all' episodio del ballo, ai luoghi che Emma immagina di visitare con Rodolphe o ai suoi sogni sulla città di Parigi).Una caratteristica peculiare è anche la descrizione degli oggetti ,che non ha mai una funzione decorativa ; spesso, infatti, gli oggetti hanno una loro storia, oppure hanno un ruolo importante nella vicenda narrata e/o una funzione simbolica ( si pensi all'immagine ricorrente della 'finestra', cui spesso è associata Emma: rappresenta il luogo di confine tra il mondo esterno, quello della vita sognata, e il luogo interno-chiuso della non-vita, della realtà, dove il suo animo intristisce. La finestra unisce così la prigione alla fuga, l'illimitato al circoscritto).
TEMPO
La vicenda si svolge nell'800, all'interno di una classe sociale piccolo-borghese, caratterizzata dall'autore con estrema precisione. I riferimenti cronologici espliciti sono molto rari nel testo, tuttavia Flaubert dissemina in tutto il romanzo allusioni ad avvenimenti storici, pubblici e mondani, a personaggi celebri che permettono di situare nel tempo la vicenda narrata. Altri elementi, più legati alla vita quotidiana, permettono di situare gli avvenimenti indipendentemente da dati cronologici: l'abbigliamento, la cura dei neonati, l'istruzione dei giovani, i trasporti, l'illuminazione, la medicina e il ruolo del farmacista.
MESSAGGIO
Credo che il messaggio sia che a volte farsi travolgere delle passioni può essere pericoloso,può condurre anche alla morte.
COMMENTO
Per concludere questa schedatura, vorrei inserire il mio commento personale che non è positivo. Il libro non rientra nel mio genere preferito essendo un romanzo tragico e amoroso. Ritengo comunque che Flaubert abbia scritto un capolavoro che condanna e ci informa sulle condizioni delle donne borghesi dell’epoca. Sottolineo dell’epoca poiché il romanzo non è più attuale. Oggi le donne non sono più casalinghe chiuse in casa a badare ai figli. Sono uscite da questo ruolo e hanno ottenuto un lavoro fuori dalle mura familiari, hanno la possibilità di svagarsi e sono molto più libere. Oggi, sinceramente penso che sia molto difficile trovare un’Emma Bovary. Posso quindi dire che questo libro va oggi letto in chiave storica e non tanto come un manuale per una rivolta femminile del proprio ruolo.
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Madame Bovary analisi del testo e riassunto
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