La crisi di fine secolo e la grande guerra
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La crisi di fine secolo e la grande guerra
CRISI DI FINE SECOLO E GRANDE GUERRA
La fine della bell' époque
[Un periodo di contraddizioni]
Il periodo che va dagli anni Ottanta dell’Ottocento alla Prima Guerra Mondiale è caratterizzato, almeno in apparenza, da una grande stabilità. La borghesia è riuscita a dar vita, assieme a parte dell’antica aristocrazia, a un élite dirigente carismatica e ben selezionata, ma allo stesso tempo mobile e aperta, capace di includere chiunque, per ricchezza prestigio o capacità, se ne mostri degno. Tuttavia dietro questa apparente stabilità si celano dirompenti contraddizioni. Considerato nel complesso, è un periodo di pace senza precedenti nella storia europea, che però sfocia nelle due guerre più distruttive che l’Europa – e il mondo – abbiano mai conosciuto. È il periodo in cui le istituzioni liberali e borghesi sembrano accogliere al loro interno anche le masse lavoratrici, disinnescando così le tensioni sociali degli anni precedenti; ma è anche l’epoca che vede per la prima volta il trionfo della rivoluzione proletaria e sfocia nel costituirsi dei regimi totalitari. È il momento in cui la potenza europea raggiunge il suo culmine; ma allo stesso tempo si avvia, inesorabilmente, verso il declino e la dissoluzione. Il consolidarsi delle conquiste tecnologiche e il benessere sempre più diffuso sembrano ratificare una volta per tutte l’ottimismo di chi vede nel sistema borghese il migliore dei sistemi possibili; contemporaneamente, le indagini sull’inconscio e sul funzionamento della vita psichica (individuale e poi collettiva) rivelano con sempre maggiore chiarezza il prezzo da pagare, il disagio e la sofferenza connaturate a un certo stile di vita.
[La guerra e le sue conseguenze] Tutte le contraddizioni sembrano esplodere con la guerra: una catastrofe demografica, materiale e morale che chiude definitivamente l’età d’oro della borghesia e mette drammaticamente allo scoperto tutti i nodi irrisolti: rivela il potenziale distruttivo della tecnologia e liquida la fiducia ottocentesca nella scienza e nel progresso; accelera le trasformazioni sociali e politiche e ratifica il nuovo ruolo svolto dalle masse; manda all’aria il presunto ‘concerto’ delle potenze europee e svela le tensioni insanabili dell’imperialismo. Negli anni dell’immediato dopoguerra gli stati europei, stremati sul piano economico e materiale, tenteranno di gestire questa situazione incandescente, imboccando vie molto diverse: , l'involuzione autoritaria, conservatrice e borghese; la rivoluzione proletaria e la costruzione di uno stato socialistae la difficile ricerca o conservazione di un assetto democratico.
Il completamento della seconda rivoluzione industriale
[Come cambia il sistema industriale] Abbiamo già visto (cfr contesto Ottocento 2) che nella seconda metà dell’Ottocento il sistema industriale subisce delle profonde trasformazioni (tanto che si parla di ‘seconda rivoluzione industriale’), le quali proseguono e arrivano a compimento nei primi decenni del Novecento. A cambiare è in primo luogo il volto delle imprese: l’entità crescente degli investimenti e delle risorse necessarie per avviare e gestire la produzione industriale spazza via molti piccoli imprenditori e le aziende a conduzione familiare e determina il formarsi di grandi imprese 'anonime', costituite da società per azioni che agiscono a livello internazionale («multinazionali») e spesso si associano per controllare completamente la produzione di un determinato bene; tra la prima e la seconda guerra mondiale si arriva così, quasi in tutti i campi, alla concentrazione monopolista (un’unica impresa controlla da sola tutto un settore di mercato ) o oligopolista (poche imprese si spartiscono lo stesso settore). Questi grandi gruppi industriali eliminano la concorrenza e determinano l’andamento del mercato; diventano poco alla volta talmente potenti da sfuggire al controllo dei singoli stati e da influenzarne – a proprio favore – le scelte politiche.
[L’evoluzione del lavoro in fabbrica] Contemporaneamente, cambia l’organizzazione interna del lavoro, grazie all’introduzione della catena di montaggio e alla razionalizzazione delle attività. Come avviene nel celebre sketch di Charlie Chaplin nel film Tempi moderni (in cui il povero operaio protagonista è ‘imboccato’ da una macchina che lo ingozza velocemente per risparmiare il tempo del pranzo) i tempi morti vengono ridotti al minimo o eliminati del tutto eil lavoro dell’operaio diventa più monotono e ripetitivo. Secondo l’ingegnere statunitense Fredrick Taylor, al quale si deve la prima applicazione sistematica delle nuove modalità ( il «taylorismo»), frazionare e analizzare con rigore le singole mansioni permette di ottimizzarne le resa, controllando in continuazione l’attività degli operai (ad esempio, attraverso la definizione di obiettivi minimi da raggiungere quotidianamente, o l’imposizione di norme contro le distrazioni). Se le operazioni da compiere vengono adeguatamente parcellizzate, non c’è bisogno di alcuna particolare abilità, né di alcuna formazione specifica e gli operai specializzati sono necessari solo per pochissime mansioni, mentre la stragrande maggioranza lavora «alla catena», ripetendo per ore e ore pochi, semplici gesti, al ritmo imposto dal nastro trasportatore.
[Produzione in serie, consumi di massa]Questi cambiamenti aprono la strada alla produzione in serie, che viene messa a punto nelle industrie automobilistiche americane, a cominciare dagli stabilimenti dello statunitense Henry Ford. La Ford modello T (una piccola utilitaria aperta, con cambio a due marce) è la prima automobile a essere prodotta in tanti esemplari uguali, con caratteristiche standardizzate: messa in commercio nel 1908, e ‘sfornata’ al ritmo di settanta, ottanta esemplari al giorno, diviene l’automobile più diffusa e viene venduta per diciannove anni. Si tratta di una vera rivoluzione, che interessa mano a mano tutti i settori della produzione industriale e si basa su due principi correlati: più diminuisce il tempo necessario a produrre un oggetto, più aumenta la quantità di oggetti prodotti a parità di tempo e ne diminuisce il costo; più diminuisce il costo, più aumenta il numero dei potenziali acquirenti, il che a sua volta richiede una maggiore produzione. Nasce così la produzione di massa per il consumo di massa: non più pochi beni esclusivi per pochi consumatori privilegiati, ma una miriade di beni tutti uguali per tanti piccoli consumatori.
[Il nuovo volto del mercato]Il mercato cambia dunque volto, e si avvicina straordinariamente ai meccanismi attuali: si diffondono i grandi magazzini e le catene di negozi, diventa usuale il pagamento a rate, acquistano grande importanza la pubblicità e la moda (per ‘lanciare’ prodotti sempre nuovi e incentivarne le vendite), si estendono le fasce di potenziali acquirenti (soprattutto donne, giovani e adolescenti). Alcuni oggetti divengono d’uso comune e fanno la loro comparsa in tutte le case: la radio, il ferro da stiro, il fornello a gas, l’aspirapolvere; altri sono più rari, ma comunque in rapida diffusione – in primo luogo proprio l’automobile. La promozione delle vendite e il controllo del settore commerciale diventano parte essenziale del sistema di produzione, cosicché aumenta vertiginosamente sia il numero dei dipendenti non impegnati direttamente nella produzione (contabili, impiegati, pubblicitari, esperti commerciali), sia l’entità degli investimenti nel settore del marketing.
Nuove forme di cittadinanza e di partecipazione
[L’affermarsi del ‘terziario]I primi anni del Novecento, benché apparentemente caratterizzati da una relativa tranquillità (per l’Europa è un periodo ininterrotto di pace, caso più unico che raro nella storia precedente), sono anni di grande fermento e trasformazione. In generale, aumentano i servizi pubblici da gestire (dalle poste alla rete ferroviaria, dallo smaltimento dei rifiuti all’illuminazione cittadina; dai trasporti urbani – in alcune delle città principali viene avviata persino la costruzione delle prime ferrovie sotterranee – al sistema scolastico; dall’esercito all’apparato giudiziario) e il settore «terziario» – così chiamato perché è un «terzo campo» che si aggiunge ai due tradizionali, agricolo e industriale – acquista nel giro di pochi anni un peso notevole: gli impiegati di vario livello, nel primo decennio del Novecento, rappresentano ormai un terzo della popolazione attiva. Per far funzionare la rete sempre più complessa dei servizi diventa necessario accrescere la pressione fiscale e passare dalla tassazione indiretta (che colpisce indiscriminatamente tutti, a prescindere dal reddito) a forme di tassazione diretta (cioè proporzionali al reddito), cosa che all’epoca suscitava grande scandalo (perché ‘punire’ chi riusciva a guadagnare di più, e utilizzare i suoi soldi per pagare i servizi rivolti indiscriminatamente a tutti?).
[Il nuovo ruolo dello stato]A ciò si aggiunge il ruolo crescente dello stato nel campo della politica economica, dal momento che la regola aurea del liberismo («lasciar fare», in modo che il mercato trovi da sé i suoi equilibri) non è applicabile a un sistema ormai troppo complesso. Lo stato agisce contemporaneamente su più fronti: da una parte sostiene le imprese e ne tutela gli investimenti, dall’altra interviene a mediare i conflitti sociali, imponendo delle garanzie minime per i lavoratori (assicurazioni su infortuni e malattie, cassa per la vecchiaia, limitazione delle ore di lavoro). In questo modo viene di fatto riconosciuta nuova dignità ai ceti più umili, e lo stato si impegna in prima persona per assicurarne la sicurezza sociale: la partecipazione delle masse alla vita politica è ormai un dato di fatto, e impone di adottare nuove forme di cittadinanza.
[Verso la società di massa]Nei primi anni del Novecento comincia insomma a delinearsi quella che verrà poi definita come «società di massa», le cui caratteristiche essenziali sono le seguenti:
- Il trionfo definitivo dell’urbanizzazione a scapito del mondo rurale
- Il peso crescente dei servizi e del settore ‘terziario’
- L’estendersi del lavoro dipendente e salariato (si pensi solo alla quantità di impiegati statali nel campo dei servizi)
- L’imporsi di nuove forme di aggregazione sociale e politica: non più la famiglia, il clan, il vicinato, ma i partiti
- La produzione in serie e il consumo di massa
- La standardizzazione dei bisogni, dei consumi, dei modelli di comportamento
[La crisi del liberalismo]Tutto questo porta a una crisi del modello politico impostosi nell’Ottocento: lo stato liberale, basato su una ristretta partecipazione alla vita politica (ce l'hai una percentuale dei votanti, giusto per far capire?) e sul liberismo economico non sembra più in grado di regolare le trasformazioni economiche e sociali in corso L’allargamento del diritto di voto poi (molti paesi europei introducono già prima della guerra il suffragio universale maschile) cambia in maniera radicale gli equilibri politici e pone problemi inediti: come gestire questa nuova mole di voti? Come conciliare identità individuale e coscienza politica? L’individuo vota per sé o in rappresentanza della sua classe e del suo partito? Di fronte a tutto questo nessuno sembra avere una soluzione pacifica, in grado di conciliare libertà individuali (e privilegi) con la partecipazione di massa (e domanda di uguaglianza): si prospettano invece tendenze autoritarie (la borghesia cerca di conscervare a tutti i costi il suo potere) e spinte rivoluzionarie (le nuove classi tentano di rovesciare il vecchio sistema).
La questione femminile
[La differenza di genere]Un problema a sé è rappresentato dalla questione femminile. Ancora agli inizi del Novecento è fortissima la coscienza di una ‘differenza di genere’ tra donne e uomini: le donne incarnano la sfera della natura e del privato, sono destinate a svolgere essenzialmente la funzione riproduttiva, a occuparsi della prole e della famiglia, mentre gli uomini – liberi da questi condizionamenti – possono dedicarsi alla cultura e alla cosa pubblica. Per l’epoca questo non significava sostenere una presunta inferiorità intellettuale delle donne non è chiarissimo, ma solo prendere atto di una diversità organica, strutturale e ineliminabile. L’identità femminile è completamente schiacciata sulla maternità, che sembra precludere qualsiasi partecipazione attiva alla vita pubblica e politica: come possono le donne occuparsi contemporaneamente dei figli e delle questioni che riguardano la collettività?
[Una nuova condizione femminile]Tuttavia, anche se lentamente, molte cose cominciano a cambiare: aumenta il controllo delle nascite, diminuisce il numero di gravidanze e di parti (e dunque, per le donne, la prospettiva di un ininterrotto sfinimento), le coppie riducono il numero di figli per poterli seguire meglio e offrire loro migliori opportunità di lavoro e collocazione sociale. Contemporaneamente, lo sviluppo del terziario e degli altri settori affini apre alle donne nuove opportunità di impiego, tanto che alcune categorie di lavori divengono tipicamente femminili: cresce vertiginosamente il numero delle maestre, delle telegrafiste, delle commesse, delle modiste, delle segretarie d’azienda, delle semplici impiegate…
[I primi movimenti femministi: le suffragette]In questo nuovo contesto si affermano i primi movimenti femministi: il più celebre e agguerrito è il movimento delle «suffragiste» o «suffragette» inglesi, che lottano affinché venga riconosciuto alle donne il diritto di voto (o suffragio, da cui il nome), per cui si dovrà però aspettare la fine della prima guerra mondiale (ma in Italia le donne voteranno per la prima volta solo il 2 giugno 1946). Eppure, nonostante il clamore delle iniziative e delle manifestazioni (alcune di grande effetto), il movimento delle suffragette riguarda soprattutto la borghesia, mentre coinvolge poco o nulla i ceti inferiori. Inoltre, il raggiungimento dei diritti politici non implica ancora una vera liberazione della donna: liberazione dai pregiudizi di inferiorità di genere, dal controllo sociale, dai tabù sessuali
I partiti di massa
[L’affermarsi dei partiti moderni]La nuova forma attraverso cui si esprime la partecipazione politica è il partito di massa: un’organizzazione politica rigidamente strutturata, con organi direttivi e strumenti di propaganda, che si fonda sul numero degli iscritti (di cui rappresenta gli interessi) e sul consenso di massa. La politica diventa sempre più una questione complessa, un mestiere per il quale bisogna essere preparati, da svolgere a tempo pieno; il singolo cittadino non può rapportarsi direttamente con le istituzioni (e con i candidati), ma deve passare attraverso la mediazione dei partiti, che controllano e dirigono le scelte elettorali. Gli effetti di una simile trasformazione sono difficili da valutare: se è vero che i partiti rappresentano per le masse una possibilità prima inedita di far valere le proprie opinioni e i propri diritti, è altrettanto vero che essi impongono la loro mediazione, e costringono i singoli ad accettare, volenti o nolenti, direttive stabilite dall’alto.
[I partiti di sinistra]I primi partiti a organizzarsi sono quelli d’ispirazione marxista: il partito socialdemocratico in Germania, i socialisti in Francia e in Italia, i comunisti rivoluzionari in Russia; l’unica eccezione considerevole è rappresentata dall’Inghilterra, dove l’esistenza di un movimento sindacale già da tempo solido e radicato impedisce l’attecchire del socialismo marxista, destinato a rimanere con poco seguito proprio nella patria della rivoluzione industriale e del sistema capitalistico. Ma i tentativi di stabilire una linea d’azione unitaria a livello europeo tra i diversi partiti di sinistra naufragano sistematicamente, sia a causa dei contrasti tra le diverse nazioni, sia a causa della spaccatura tra i ‘riformisti’ (che considerano ancora lontana la prospettiva rivoluzionaria e giudicano necessaria la partecipazione alla vita politica e l’alleanza con le forze liberali e democratiche per attuare al più presto le riforme necessarie a migliorare concretamente le condizioni di vita della classe operaia) e i rivoluzionari (che invece ritengono la rivoluzione prossima e inevitabile – e dunque rifiutano qualsiasi forma di ‘compromissione’ con i partiti e le istituzioni borghesi).
[La partecipazione cattolica]Un’altra grande novità è l’emergere, a fianco alle organizzazioni ‘rosse’ di ispirazione marxista, di quelle ‘bianche’, o cattoliche. Si tratta di una svolta decisiva: dopo decenni di totale rifiuto del mondo moderno, la Chiesa cattolica prende atto dell’irreversibilità delle trasformazioni avvenute e accetta di compromettersi con la realtà sociale e politica contemporanea. A seguito di questa apertura, quasi dovunque cresce la partecipazione dei cattolici alla vita politica e la richiesta di una maggiore giustizia sociale: la Chiesa continua a condannare la lotta di classe e gli atti di ribellione violenta; tuttavia, si impegna concretamente per migliorare le condizioni di vita della classe operaia, proponendosi come obiettivo la concordia sociale e la soluzione pacifica dei conflitti. In questo modo, i partiti di ispirazione marxista perdono il loro 'monopolio': non sono più gli unici a gestire la partecipazione politica delle masse, ma vengono affiancati (e in alcuni casi, nel tempo, persino superati) dalle organizzazioni e dai partiti cattolici.
Le premesse del conflitto
[Dal nazionalismo liberale a quello aggressivo] Se nella prima metà dell’Ottocento il nazionalismo aveva avuto quasi sempre una declinazione liberale o democratica (e dunque aperta alla fratellanza tra popoli, alla lotta comune delle nazionalità oppresse), sempre più spesso, dalla fine del secolo in poi, assume connotati aggressivi, esaltando la superiorità nazionale e giustificando la sottomissione degli stati e dei popoli considerati ‘inferiori’; si diffondono le ideologie razziste, basate sulla presunta distinzione tra razze superiori e inferiori, e soprattutto l’antisemitismo (ossia l’ostilità nei confronti degli ebrei), che accomuna incredibilmente cattolici (tradizionalmente ostili agli ebrei, colpevoli ai loro occhi di aver condannato e ucciso Gesù), comunisti (che accusavano i ricchi banchieri e industriali ebrei di essere i peggiori sfruttatori del proletariato) e uomini di destra (che consideravano gli ebrei un popolo di sediziosi e rivoluzionari – lo stesso Marx non era forse ebreo?). Questo nuovo nazionalismo ha i suoi riti sociali e le sue forme di aggregazione: dalla celebrazione del passato‒ dei padri fondatori della patria e degli episodi ‘leggendari’ della storia nazionale ‒ , alla competizione sportiva (sono gli anni in cui cominciano a essere presenti in tutti gli sport le squadre nazionali, e a partire dal 1896 vengono disputate ogni quattro anni le Olimpiadi).
[Il sistema delle alleanze] In concreto, il terreno principale di competizione e di conflitto tra i vari stati è rappresentato dall’espansione coloniale. Le potenze egemoni continuano ad essere la Francia e l’Inghilterra, ma anche Germania, Belgio e Italia si danno da fare per partecipare alla spartizione delle ultime zone appetibili (l’Africa centrale e orientale, i paesi balcanici sfuggiti al disgregarsi dell’impero turco, parte del Sud Est asiatico). Per far fronte al sorgere continuo di tensioni e di contrasti gli stati europei tendono a stringere alleanze in funzione difensiva o offensiva; si delineano così due schieramenti principali, la cui esistenza si rivelerà determinante nell’innescarsi del conflitto: del primo fanno parte le potenze liberali (la Francia tornata a essere una repubblica dopo la cacciata di Napoleone III, la consolidata monarchia parlamentare inglese), dell’altro gli ‘imperi centrali’ (Germania e Austria), accomunati invece dalla tendenza autoritaria e antidemocratica, mentre incerta rimane la collocazione dell’Italia (alleata degli 'imperi', nonostante la questione irrisolta delle terre irredente, ancora sotto il dominio austriaco) e della Russia (vicina idealmente alla Germania e all’Austria, ma a loro contrapposta per questioni di spartizione di zone d’influenza).
[Macchine da guerra pronte all’uso] Al sistema di alleanze si aggiunge la messa a punto di una moderna ed efficiente macchina militare. In tutti i paesi l’esercito, fondato sulla leva di massa e sulla coscrizione obbligatoria, è ormai un corpo enorme e rigidamente strutturato (la cui consistenza numerica si aggira tra i tre e i quattro milioni di uomini), dotato delle sue leggi e di fatto autonomo rispetto al potere civile, dipendente da una grande quantità di servizi d’appoggio (rifornimenti di viveri e di armi, trasporti, mezzi di locomozione, caserme). Per mantenere un simile apparato lo stato impegna ormai una parte considerevole del proprio bilancio, investe insomma sulla sua capacità bellica, e sul suo continuo potenziamento. La guerra è la conseguenza pressoché inevitabile di una così fatta politica.
Fonte: http://www.matteotti.it/NS/docs/dispense/CRISI%20DI%20FINE%20SECOLO%20E%20GRANDE%20GUERRA.doc
Sito web da visitare: http://www.matteotti.it
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