Italia unita e la destra storica riassunto

 


 

Italia unita e la destra storica riassunto

 

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Italia unita e la destra storica riassunto

 

L’Italia unita e la destra storica

 

La classe politica dell’Italia unita

A partire dal 1861 per la classe dirigente l’obiettivo principale era la salvaguardia dell’unità conseguita.

I gruppi liberali e democratici si resero però conto che le masse popolari erano avverse ai principi dello stato unitario; si proposero quindi il compito di creare uno Stato e il senso della sua sovranità attraverso il rispetto delle leggi: era necessario definire un organismo statale, realizzare l’effettiva sovranità dello stato nazionale e l’integrazione della società civile; realizzare queste cose non era però un compito facile.

 

La classe politica che diresse l’Italia negli anni dopo l’unità fu quella formatasi negli anni del Risogimento.

La Destra :

Era formata dagli eredi del liberalismo moderato di Cavour, e venne detta storica per l’importanza della sua azione; tra i suoi esponenti vi furono: Bettino Ricasoli, Marco Minghetti, Urbano Rattazzi, Alfonso La Marmora, Quintino Sella.

Era legata al mondo dei proprietari terrieri settentrionali e aperta agli interessi del mondo finanziario, con connotati culturali di tipo aristocratico-borghese.

La Sinistra:

Era invece formata da uomini legati alle cospirazioni mazziniane ed al volontariato garibaldino. Tra i suoi esponenti vi furono: Agostino Depretis, Francesco Crispi, Giovanni Nicotera, Francesco De Sanctis. Erano legati ai ceti commerciali e industriali; richidevano azioni più energiche per risolvere i problemi di Roma e Venezia e appoggiavano le iniziative di Garibaldi.

Tra Destra e Sinistra c’erano molte affinità, tra cui la prossimità delle rispettive basi elettorali e l’assenza di profonde divisioni ideali.

Fu però la Destra ad avere la maggioranza in parlamento e al governo fino al 1876.

 

Il sistema elettorale durante la formazione del Regno era quello dei plebisciti a suffragio universale, che divenne un suffragio a base censitaria; queste restrizioni elettorali furono mantenute perché si riteneva che la partecipazione politica poteva allargarsi solo dopo la diffusione dell’istruzione e del benessere.

I candidati alle elezioni non erano esponenti di partiti organizzati, ma notabili locali.

 

La costruzione dello Stato italiano

Le basi dello stato unitario furono poste tra il 1861 e il 1865 dalla Destra.

La classe dirigente liberale scelse un’ordinamento dello stato di tipo acentrato, soprattutto per evitare che autonomie troppo ampie e non controllate dall’alto potessero favorire le forze dominanti nelle singole località, certamente non disponibili a promuovere il progresso.

Nel marzo 1965 furono proclamate delle leggi che estesero a tutto il Regno l’ordinamento amministrativo piemontese e che lasciarono un’autonomia molto ridotta agli enti locali. Il sindaco era nominato dal re, mentre fu posto un prefetto per controllare gli atti delle amministrazioni comunali → unificazione amministrativa.

Ci fu anche l’unificazione dei codici e l’unificazione delle tariffe doganali e della moneta.

Questa unificazione fu detta “piemontesizzazione”, cioè adozione delle norme piemontesi. Contro ciò operavano i gruppi clericali e reazionari, d’intesa con Pio IX e con i Borboni.

 

Politica finanziaria:

lo Stato italiano nacque con un bilancio in deficit; la politica della Destra si orientò quindi verso il contenimento della spesa pubblica e l’aumento delle entrate con l’aggravio delle imposte; venne anche reintrodotta la tassa sul macinato, avversata dai ceti popolari.

La spesa pubblica (costruzioni ferroviarie ed armamenti) privilegiò le regioni del centro nord mentre il Meridione ebbe pochi benefici. Queste popolazioni, non abituate a una forte pressione fiscale si ribellarono; inoltre l’eliminazione delle dogane interne privò molte imprese meridionali della protezione in passato offerta dal regime doganale borbonico. A tutto ciò si aggiunsero l’obbligo di leva e le incomprensioni tra le popolazioni meridionali e il nuovo apparato di funzionari statali piemontesi. Di questo malcontento approfittarono gli agenti pontifici e borbonici; nacque il fenomeno del brigantaggio, formato da bande che si opponevano alle forze governative. Lo stato italiano, per eliminare il fenomeno, emanò nel 1863 la Legge Pica e inviò nel sud reparti militari.

Erano ostili allo stato unitario anche le popolazioni rurali siciliane, che portarono alla rivolta di Palermo nel 1866 ed alla diffusione della mafia; nell’area napoletana nacque invece la camorra.

 

L’annessione del Veneto e di Roma (III Guerra di Indipendenza)

10 novembre 1859: pace di Zurigo; gli accordi di Villafranca vengono ufficializzati e lì

Austria conserva il Veneto e il Mantovano.

1866: l’Italia entra in guerra con la Prussia contro l’Austria. Dal punto di vista militare la guerra però non va bene, tuttavia gli austriaci vengono sconfitti dai prussiani a Sadowa.

3 ottobre 1866: pace di Vienna tra Italia ed Austria; Mantova e il Veneto vengono ceduti a Napoleone III e poi all’Italia.

Grazie alla III Guerra d’Indipendenza all’unificazione mancavano ora solo le terre del Trentino e della Venezia Giulia, ed inoltre lo stato italiano era ufficialmente riconosciuto dall’Austria e dalla diplomazia europea.

 

Questione di Roma:

L’annessione di Roma al Regno d’Italia era necessaria per spostare la capitale a Roma, per limitare le iniziative insurrezionali di Garibaldi e perché si riteneva che Torino non potesse rimanere a lungo la capitale del Regno, anche per far tacere le accuse di piemontesizzazione.

Occupare Roma però non era semplice perché Napoleone III difendeva Pio IX.

Un altro problema era quello che riguardava la futura configurazione dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa, la quale aveva ostacolato l’unificazione italiana. I rapporti tra la Chiesa e lo Stato peggiorarono ancora quando i governi italiani, per esigenze finanziarie, vararono nel 1866-1867 un pacchetto di leggi che espropriarono e misero in vendita i beni appartenenti agli ordini ed alle corporazioni religiose.

Per risolvere la questione romana il presidente del consiglio Ricasoli nel 1861 si rivolse al pontefice chiedendo alla Chiesa di rinunciare al potere temporale.

Con il governo seguente di Rattazzi Garibaldi diede il via ad un’azione, che però venne bloccata dall’esercito regio sull’Aspromonte nel 1863.

1864: il governo di Minghetti stipula con Napoleone III la Convenzione di settembre, in base alla quale la Francia si impegnava a ritirare il suo presidio militare da Roma, mentre l’Italia si impegnava a non attaccare lo Stato pontificio.

Il pontefice, deluso per questo accordo, emana l’enciclica Quanta cura, contro il liberalismo.

1865: la capitale italiana è trasferita da Torino a Firenze.

1867: Garibaldi riprende l’iniziativa, ma anche questa volta, a Mentana, viene fermato dai soldati francesi in difesa del papa.

1870: le truppe francesi sono allontanate da Roma a causa della guerra con la Prussia, nella quale Napoleone è sconfitto a Sedan. Le truppe piemontesi comandate da Cadorna ne approfittano e penetrano nello Stato pontificio. Il 20 settembre c’è la breccia di Porta Pia; i soldati occupano Roma tranne il Vaticano. I plebisciti seguenti sanciscono l’annesisone del Lazio.

Per risolvere il rapporto con il papa il parlamento italiano votò nel 1871 la legge delle guarentigie. Pio IX non accettò però la legge e riconfermò l’opposizione all’avvenuta unificazione italiana, come era emerso dal Concilio Ecumenico Vaticano I.

L’opposizione del papa all’unificazione ebbe numerose conseguenze: tenne la borghesia catotlica lontana dal processo di costruzione dello Stato, alimentò nelle classi poplari l’estraneità alle istituzioni.

Nonostante ciò lo Stato italiano continuò nel suo progetto, dimostrando la propria adesione al liberalismo per quanto riguarda la separazione tra Stato e Chiesa.

 

Fonte: http://blog.reteluna.it/comunicazionelecce/wp-content/uploads/2009/03/riassunti-storia-contemporanea.doc

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