Storia contemporanea l' ottocento riassunto del libro di Sabbatucci, Vidotto

 


 

Storia contemporanea l' ottocento riassunto del libro di Sabbatucci, Vidotto

 

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Storia contemporanea l' ottocento riassunto del libro di Sabbatucci, Vidotto

riassunto del libro di Sabbatucci, Vidotto, Il mondo contemporaneo ('800 e '900)

STORIA CONTEMPORANEA. L’OTTOCENTO
RIASSUNTI

CAP. 5 LE ORIGINI DELLA POLITICA CONTEMPORANEA

Lo Stato e i suoi strumenti

In Francia e nell’Europa continentale, con la scomparsa dei privilegi della Chiesa e dei ceti, con la codificazione delle norme giuridiche, con il rafforzamento dell’amministrazione lo Stato ottenne il monopolio della forza legittima. Era il Complimento di un processo di accentramento, la costruzione dello Stato moderno.
L’itinerario dell’Inghilterra fu diverso per l’assenza di una burocrazia stabile, furono le élites espressione dell’aristocrazia a governare il paese.
Al di fuori dell’Inghilterra, lo Stato moderno assunse la forma dello Stato burocratico-amministrativo,controllato dalla nobiltà e dalle assemblee di ceto. Il sistema di potere tradizionale venne sostituito da un sistema di potere legale, fondato su norme di legge, al quale dava esecuzione un ceto di funzionari-burocrati. Il rispetto e l’applicazione delle norme erano garantiti dalla burocrazia amministrativa. Il funzionario statale aveva una formazione giuridica, l’amministrazione pubblica si dotava di un personale tecnico di educazione giuridica.
In Francia vi furono le prime applicazioni della statistica, scienza al servizio dello Stato, descrive l’andamento dei fenomeni sociali ed economici; nel corso dell’800 tutti gli stati si dotarono di un’organizzazione di statistica, la principale attività di raccolta di dati statistici sarà legata ai censimenti.
L’espansione dello stato burocratico-amministrativo coincise con il progressivo affermarsi delle istituzioni rappresentative e con la nascita dei partiti politici.

Da sudditi a cittadini

Al finale della costruzione dello stato moderno corrispose l’avvio dei primi sistemi politici rappresentativi fondati sulla parità dei diritti civili e politici e su un parlamento elettivo. La rivoluzione francese aveva trasformato i sudditi in cittadini. La sovranità apparteneva al popolo e ai suoi rappresentanti nella monarchia rappresentativa; il sovrano non era più il centro del potere dato il ruolo riconosciuto all’amministrazione (monarchia amministrativa). Nei regimi repubblicani la sovranità apparterrà solo al popolo e ai suoi rappresentati.
Lo sviluppo dei sistemi politici era legato alla costituzione che fonda lo stato come insieme di ordinamenti giuridici e politici.
L’ordinamento politico retto da una legge fondamentale, basato sul principio della separazione dei poteri e sulla superiorità della legge su ogni forma di privilegio e di arbitrio, si definisce come Stato di diritto.
Lo sviluppo dei sistemi politici rappresentativi dell’800 si caratterizzò in Europa per la presenza di due diverse forme di governo: il governo costituzionale, in cui il capo dell’esecutivo era responsabile solo di fronte al sovrano; il governo parlamentare in cui l’esecutivo rispondeva solo al parlamento.
Significativo fu il dibattito sui sistemi elettorali: si confrontarono il principio liberale sostenitore di un suffragio ristretto alle élites e il principio democratico del suffragio universale maschile.

Liberalismo e democrazia

Il termine “liberalismo” serviva a designare un orientamento ideale, un visione del mondo fondata sull’idea di libertà, si identificava con un programma teorico e con alcune idee-base (tolleranza, libertà di opinione, divisione dei poteri…) con i valori e gli interessi materiali di un determinato ceto sociale, con istituti che erano stati operanti e in alcuni paesi lo erano ancora.
Il liberalismo europeo si proponeva come un regime in cui i diritti fondamentali del cittadino (libertà di stampa, pensiero, associazione) fossero rispettati, la proprietà, l’iniziativa privata e il libero commercio fossero salvaguardati, in cui l’autorità del potere centrale fosse limitata e controllata da organismi rappresentativi. In questo senso il pensiero liberale si distaccava da quello democratico, che aveva come cardine l’idea di sovranità popolare, intesa come governo di tutto il popolo. Per i democratici la forma di governo ideale era la repubblica e il canale legittimo di espressione della volontà popolare era l’assemblea eletta a suffragio universale. I liberali si preoccupavano di costituire meccanismi giuridici e istituzionali atti a garantire i diritti individuali, i democratici insistevano sulla libertà in “positivo” e vedevano nella politica il mezzo per l’attuazione del “bene comune”. La costituzione, il parlamento elettivo, la garanzia delle libertà individuali erano obiettivi validi per gli uni come per gli altri.
Mill contestò l’ottimismo implicito nelle tesi liberiste, sostenne la necessità di un intervento dei pubblici poteri per risolvere i problemi delle classi più disagiate, si batté per le riforme politiche e sociali che consentissero una più equa distribuzione della ricchezza.
Tocqueville, aristocratico di orientamento liberal-moderato, considerava la democrazia come il frutto di un processo inarrestabile.

L’idea di nazione

Ideali nazionali e la stessa idea di nazione rappresentarono, nell’Europa del primo 800, un’assoluta novità sul piano politico e culturale. L’idea moderna di nazione nacque con Rousseau e con la sua concezione dello Stato come espressione di un popolo, di una comunità di cittadini, capace di esprimere una volontà comune. Ma fu soprattutto la cultura romantica tedesca del 700-800 a scoprire la nazione, a esaltarla in quanto comunità “naturale”, unita da legami di lingua, di cultura e di sangue, e a vedere in essa il principio basilare di ogni organizzazione sociale e politica.
Le due componenti alla base dell’idea di nazione, quella di origine rousseauiana e rivoluzionaria e quella naturalistica dei romantici tedeschi, erano molto diverse. In Germania, il movimento nazionale assunse un carattere esclusivista e conservatore, in altri paesi che avevano una lunga storia unitaria, l’idea di nazione poteva esprimersi in forme tradizionaliste o reazionarie. In quei paesi dove l’indipendenza andava conquistata, o riconquistata, il sentimento patriottico assumeva quasi automaticamente una connotazione rivoluzionaria, tendeva a collegarsi con le ideologie liberali e democratiche.

Cattolicesimo politico e cattolicesimo sociale

Superato il periodo rivoluzionario e napoleonico, la Chiesa di Roma si chiuse nella difesa della propria tradizione, proponendosi come un pilastro dell’assolutismo legittimista. Il tradizionalismo religioso poteva sfociare in utopie reazionarie: come quella a sfondo teocratico sostenitrice di un assolutismo monarchico fondato sul diritto divino dei re; il cattolicesimo liberale, che sosteneva la possibilità e l’opportunità di affermare i valori della religione nel quadro delle libertà costituzionali. I cattolici liberali avevano l’obiettivo di salvare la Chiesa dai pericoli derivanti da una identificazione con l’antico regime. Per i cattolici liberali lo Stato doveva non solo rispettare i diritti della Chiesa, ma anche mantenere un carattere cristiano alla sua legislazione.
Ozanam fu il fondatore di una società che riuniva, con fini assistenziali e caritativi, esponenti dell’aristocrazia; richiamando le classi agiate ai doveri della solidarietà umana, incoraggiando la formazione di associazioni di mestiere sul modello “interclassista” delle corporazioni medievali, inaugurò la corrente del cattolicesimo sociale.

Il pensiero socialista

La diffusione in Europa delle ideologie socialiste rappresentò una risposta al diffondersi del processo di industrializzazione, alla crescita del proletariato di fabbrica e alle nuove dimensioni assunte dalla questione sociale. Il nucleo del pensiero socialista stava nella convinzione che, per superare i mali e le ingiustizie del capitalismo industriale era necessario colpire alla radice i principi informatori della società capitalistico-borghese e sostituirli con i valori della solidarietà e dell’uguaglianza, mettere sotto controllo i processi produttivi, costruire insomma una società nuova, nelle istituzioni politiche e soprattutto nelle strutture economiche.
Il legame con i problemi della rivoluzione industriale è evidente nei due principali precursori del socialismo moderno: Saint-Simon e Owen.
Owen industriale, promotore e organizzatore di cooperative di consumo fra i lavoratori.
Saint-Simon fu uno dei primi a capire appieno la novità dell’industrialismo e a esaltarne le potenzialità di progresso, teorizzò l’avvento di una società liberata da ogni forma di parassitismo e governata dai tecnici e dai produttori. Le sue teorie altri le interpretarono in senso socialistico, cercarono di fondare su di esse una vera e propria religione laica, il sansimonismo, influenzò il pensiero socialista successivo e alcuni settori della sinistra democratica (es: i mazziniani).
Fu nella Francia di Luigi Filippo che il socialismo conobbe i suoi più ampi sviluppi teorici, che spesso assunsero una connotazione utopistica, con rappresentante Fourier, la sua era un’utopia radicalmente anti-industriale che mirava ad assicurare un’equa distribuzione delle risorse e a risolvere il problema della felicità individuale attraverso una nuova concezione del lavoro; pensava a una società organizzata in tante piccole comunità autosufficienti dal punto di vista economico.
Rigidamente collettivista, basata sulla proprietà statale dei mezzi di produzione e sullo stretto controllo pubblico era l’utopia di Cabet, che fu uno dei primi a usare il termine “comunismo”.
Blanqui si dedicò a studiare i mezzi per abbattere il sistema borghese tramite l’insurrezione che avrebbe consegnato il potere nelle mani del popolo: fu lui a elaborare per primo il concetto di “dittatura del proletariato”, che sarebbe poi stato ripreso da Marx ed Engels.
Blanc, capostipite del socialismo riformista, era convinto che la soluzione dei mali del capitalismo poteva venire solo da un intervento dello stato come regolatore dei processi produttivi.
Proudhon sviluppò il suo pensiero in direzione di un cooperativismo a sfondo anarchico più che socialista.
Negli anni 30 e 40, le idee socialiste conobbero una certa diffusione anche in Germania, trovarono sostenitori in piccoli gruppi d intellettuali e di artigiani, dato che le condizioni politiche lasciavano poco spazio all’espressione del dissenso, i nuclei socialisti si organizzavano soprattutto all’estero, uno di questi gruppi, la Lega dei comunisti, affidò l’incarico di stendere il suo manifesto programmatico a due intellettuali: Karl Marx e Friedrich Engels.
Engels, figlio di un industriale, aveva vissuto in Gran Bretagna e studiato le opere degli economisti classici. Marx, di formazione filosofica, era insoddisfatto di un’attività puramente speculativa. Nel manifesto dei comunisti, uscito a Londra nel ’48, Marx ed Engels si fecero assertori di un nuovo socialismo, definito “scientifico” che univa una carica rivoluzionaria a un solido fondamento economico e filosofico. Il nucleo del “socialismo scientifico” sta in una concezione materialistica e dialettica della storia, vista come un susseguirsi di lotte di classe, di scontri fra interessi economici. I rapporti economici costituiscono, per gli autori del Manifesto, la struttura di ogni società. Le ideologie e le istituzioni politiche, a cominciare dallo Stato, sono solo sovrastrutture che servono a organizzare e a legittimare il dominio di una classe sulle altre. La borghesia ha svolto, nella fase della sua ascesa, una funzione rivoluzionaria. Dando vita al capitalismo industriale, ha accresciuto le capacità produttive dell’umanità ed ha abbattuto le disuguaglianze giuridiche della società feudale ma ha suscitato contraddizioni che non riesce più a risolvere e ha prodotto il proletariato. Il sistema capitalistico-indistriale fa crescere il numero dei proletari e li riduce a una massa indifferenziata, dequalificata e destinata a diventare misera e pronta alla rivolta; il proletariato è dunque una classe naturalmente rivoluzionaria che una volta organizzata approfitterà dell’inevitabile crisi del capitalismo per prendere il potere.
Queste idee non ebbero un seguito ampio e immediato in un movimento operaio europeo.  
 



 

 

 

 

 

 

 


CAP. 10 SOCIETA’ BORGHESE E MOVIMENTO OPERAIO

La borghesia europea

Le rivoluzioni del ’48-49 si erano concluse con un totale fallimento. Le istituzioni rappresentative erano state quasi cancellate dal ritorno dei metodi assolutistici, faceva però riscontro un processo di profondo mutamento della società: un processo che aveva per principali protagonisti i ceti borghesi e le classi proletarie.
Nel ventennio successivo al 1848, la borghesia europea conobbe una stagione di crescita e di affermazione, la borghesia riuscì a presentarsi come portatrice e depositaria degli elementi di novità e trasformazione (lo sviluppo economico, il progresso scientifico), il termine “borghesia” serviva a definire una gamma molto ampia di figure e posizioni sociali, dagli artigiani, contadini piccoli proprietari ai magnati dell’industria e della finanza. Fra questi due estremi si collocavano i ceti “emergenti” la cui fortuna era legata allo sviluppo dell’industria: imprenditori e dirigenti d’azienda, banchieri e grossi commercianti. Accanto a loro, la borghesia più tradizionale (avvocati, medici, ingegneri) e quella che occupava i gradi medio-alti della burocrazia statale, un gradino più basso occupavano gli impiegati, insegnanti, piccoli commercianti che formavano il ceto medio o piccola borghesia. Nel complesso la borghesia costituiva una fascia piuttosto ristretta della popolazione. La borghesia europea tendeva a esprimere una propria cultura e un proprio stile di vita, uno stile di vita borghese è ravvisabile nell’abbigliamento, il principale segno distintivo di una condizione sociale e dall’arredamento, requisiti tipici della casa borghese erano la solidità e la funzionalità. I valori fondamentali e della cultura borghese restavano quelli tradizionali: l’austerità, la moderazione, la propensione al risparmio. La struttura della famiglia era patriarcale, basata quindi sull’autorità del capofamiglia e sulla subordinazione della donna, nella società borghese la donna era generalmente esclusa dalle attività lavorative e simbolo del focolare domestico.

Ottimismo borghese e cultura positiva

Il borghese europeo della seconda metà dell’800 era animato da una robusta fede nel progresso generale dell’umanità. Questo ottimismo appoggiava su due pilastri: lo sviluppo economico e le conquiste della scienza. Negli anni 1850-70, la chimica, la fisica, la biologia e tutte le scienze della natura conobbero importanti progressi teorici.
Sui progressi della scienza si fonda essenzialmente a quella nuova corrente intellettuale, il positivismo, per ogni indirizzo filosofico che considerava la conoscenza scientifica basata su dati reali, positivi. io presentando in forum scienziato naturalista Charles Darwin, nell'opera "l'origine delle specie"  formulò  una  teoria dell'evoluzione. la maggiore lotta è soggetta a un incessante processo evolutivo, miraggio l'idea medesima di selezione naturale che determina e la sopravvivenza. Nel nostro è solo non è che il risultato dell' evoluzione di organismi inferiori. le teorie darwiniane influenzarono il dibattito filosofico,la teoria evoluzionistica contraddiceva in di le credenze religiose fornì gli elementi per una storia del genere umano alternativa a quella delle sacre scritture. Dal punto di vista ideologico politico, il positivismo poteva dar  luogo a esiti diversi e conservatori che terrorizzavano un sistema politico autoritario e gerarchico.  i progressisti pensavano a una società organizzata democraticamente. Nella seconda metà dell'800, il positivismo fu l' ideologia tipica della borghesia in ascesa, contribuì ad alimentare la fiducia nel progresso dell'umanità e a sostenere la convinzione di poter controllare, grazie alla scienza, il corso della natura e degli stessi processi sociali.

 

 

 


Lo sviluppo economico

Dalla fine degli anni 40 l'economia europea conobbe una fase di forte espansione. Gli effetti si fecero sentire in tutti gli Stati europei e interessarono tutti i settori dell'economia. I risultati più consistenti si ebbero nell'industria che fece registrare un vero e proprio boom, ci fu uno sviluppo dei settori siderurgico e meccanico. Si diffusero nell'Europa continentale e le innovazioni che avevano costituito il nucleo della rivoluzione industriale inglese: la macchina a vapore, i filatori e i telai meccanici, il combustibile minerale (carbon coke). I costi crescenti degli impianti e l'accresciuta concorrenza di ebbero un forte impulso alla tendenza verso l'aumento delle dimensioni delle imprese e verso le concentrazioni aziendali. Si moltiplicarono le società per azioni. L'eccesso di fiducia nelle capacità espansive del mercato fu all'origine di due crisi scoppiate nel 57-58 e nel 66-67, che interruppero temporaneamente il corso positivo dell'economia mondiale. Furono le prime “crisi cicliche” del capitalismo moderno: provocate da un eccesso di produzione di determinate merci (crisi di sovrapproduzione) esse furono di breve durata.
I fattori che resero possibile il boom degli anni 50 e 60 furono cinque principali: 
1. nei paesi dell'Europa centro orientale furono cancellate molte leggi che fino allora avevano inceppato le attività economiche, leggi che proibivano un prestito a interesse.
2. caddero le barriere che essi frapponevano alla libera circolazione delle merci: dazi di entrata e di uscita. Il trionfo delle lo scambio favorì la modernizzazione dell'apparato produttivo. 
3. lo sfruttamento di nuovi giacimenti minerari nell'Europa continentale aumentarono in misura considerevole la disponibilità delle materie prime più importanti come il carbone.
4. la scoperta di nuovi giacimenti auriferi di metalli preziosi. Ne deriva un rapido aumento della circolazione monetaria, le banche assunsero una funzione decisiva nel promuovere lo sviluppo, nacquero "banche di investimento" con la funzione di fornire prestiti per operazioni commerciali e sostenere iniziative con finanziamenti. 
5. causa l'effetto dello sviluppo industriale fu l'affermazione e la diffusione di nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, come la ferrovia, prodotto della rivoluzione industriale.

La rivoluzione dei trasporti e dei mezzi di comunicazione

La rivoluzione trasporti intorno a metà del 800 influenzò abitudini modo di pensare della gente comune: l'del borghesi che commerciava non viaggiavano per l'istruzione ma anche i ceti popolari. Gli sviluppi più spettacolari si ebbero negli stati uniti, le ferrovie penetrarono nelle colonie britanniche (India e Australia) e nell'America Latina, restavano escluse buona parte dell'Asia l'intera Africa. violente o fu l'affermazione del vapore nel campo dei trasporti marittimi. Un'altra trasformazione non meno radicale si ebbe nel campo della comunicazione dei messaggi, grazie alla diffusione del telegrafo elettrico; il telegrafo di Morse è del 1844. in breve tempo l'intera Europa si coprì di pali e di fili, l'adozione di nuove tecniche di isolamento dei fili metallici consentì cavi telegrafici sottomarini. Gli oceani erano solcati da una fitta rete di cavi ed era possibile per un europeo a scambiare telegrammi con tutti i continenti. La comunicazione dei messaggi era così svincolata per sempre dalla dipendenza dei mezzi di trasporto e la velocità delle notizie aumentava in modo vertiginoso: da tre mesi a tre minuti. Una rivoluzione nella rivoluzione si verificò nel settore giornalistico: la nascita di agenzie specializzate basate sull'uso del telegrafo.

La città moderna

nell'Europa dell'800 ci fu lo sviluppo dei grandi centri urbani, processo chiamato urbanesimo che ha portato gradualmente la maggioranza della popolazione dei paesi industrializzati a trasferirsi dalle campagne nelle città. Lo sviluppo industriale creavano occasioni di lavoro, i trasporti rendevano più facili gli spostamenti, alimentavano così un imponente flusso migratorio dalla campagna alla città. Questo flusso determinava nei grandi centri un sovrappopolamento, favorendo le malattie infettive in e mantenendo la mortalità a livelli molto elevati. Col mutare delle dimensioni, le città cambiavano anche il loro aspetto e le loro strutture. Per secoli e secoli la pianta delle città era stata definita dalle cinte murarie, la zona abitata prese ad allargarsi coprendo gli spazi vuoti circostanti il vecchio nucleo urbano. La vita ruotava intorno ai nuovi centri, alle stazioni ferroviarie, la borsa, i centri commerciali, il tribunale e i palazzi dei ministeri; attorno a questi si sviluppava il quartiere degli affari. I ceti popolari espulsi dei centri storici andavano ad addensarsi, assieme ai nuovi immigrati, nelle grandi periferie. Diventava netta la separazione fra le periferie operaie, tirate sul in fretta, sovraffollate, malsane e i quartieri residenziali borghesi. Differenza importante rispetto alla vecchia città, che faceva coabitare ricchi e poveri nelle stesse strade o nei medesimi edifici. Queste trasformazioni si producevano nella maggior parte dei casi modo spontaneo, sotto la spinta della speculazione edilizia. Un esempio di progetto consapevolmente studiato, fu la ristrutturazione di Parigi condotta per incarico di Napoleone III da Haussmann, che aprì una serie di larghi viali (boulevards) 15 nuovi ponti sulla Senna, nuove stazioni ferroviarie il, un nuovo sistema di fognature, parchi e edifici pubblici. Quasi tutte le grandi città europee videro moltiplicarsi le iniziative dei poteri pubblici, volte a risolvere i problemi igienici, l'epidemia, facilitare gli spostamenti. La rete fognaria fu migliorata, l'approvvigionamento idrico divenne più diffuso, quartieri della periferia illuminanti e vennero organizzate le reti di trasporto pubbliche. Londra ha già negli anni '70, disponeva di un nel sistema di ferrovie metropolitane. La città diventava più vivibile più ordinata e più attrezzata; ci fu lo sviluppo di più ampi apparati burocratici per il governo delle città e nuovi corpi di polizia, la formazione di amministratori, architetti, ingegneri specializzati nei problemi della convivenza urbana servì a disciplinare i processi di organizzazione e ad attenuare il carattere spontaneo. La grande città si avviava a diventare un sistema organizzato.

Il mondo delle campagne

A la metà dell'800, in tutta l'Europa continentale erano i lavoratori della terra a costituire il grosso della popolazione attiva. Il mondo contadino comprendeva una miriade di realtà economiche e di figure sociali diverse, con forti differenze fra stato e  stato. La gran Bretagna era formata da lavoratori salariati, la Russia dai servi della gleba, la Francia dalla piccola proprietà contadina. In buona parte dell'Europa orientale, la privatizzazione della terra andò a vantaggio dei grandi latifondisti, per la maggior parte dei contadini significa un il passaggio a braccianti senza terra, condizione analoga per i contadini del mezzogiorno d'Italia. I progressi limitati realizzati dall'agricoltura europea valsero a modificare nella sostanza le condizioni di vita delle masse contadine. I lavoratori agricoli occupavano i gradini inferiori della scala sociale, i redditi erano bassi, l'alimentazione povera, l'analfabetismo diffuso, la partecipazione alla vita politica quasi inesistente. Milioni di lavoratori, in buona parte contadini, lasciarono il vecchio continente per andare a dissodare le terre vergini del nord America. Ancora più imponente fu il numero di coloro che abbandonarono le campagne per cercare lavoro nei grandi centri industriali. 

Il proletariato urbano e il movimento operaio dopo il 48 

Proletariato delle città -> gli operai di fabbrica costituivano ancora una minoranza. Numerosissimi erano invece i lavoranti di piccole officine e botteghe artigiane, i domestici, i manovali, numerosi erano i lavoratori occasionali, i mendicanti, le prostitute: quello che Marx chiamava proletariato degli straccioni. Con lo sviluppo della grande industria e la decadenza della piccola impresa artigiana, il proletariato di fabbrica venne assumendo una maggiore consistenza. I salari nell'industria erano superiori a quelli del settore agricolo, senza mai elevarsi molto al di sopra del livello di sussistenza, ma per altri aspetti (orari di lavoro, condizioni abitative) la vita dell'operaio non era migliore di quella del lavoratore agricolo. La condizione operaia contrastava col quadro di prosperità offerto dall'alta borghesia, cominciò così a maturare una nuova coscienza di classe, la consapevolezza di una condizione comune, unita alla spinta di associarsi per mutare questa condizione.
Le prime forme di associazioni operaie si rivolgevano ai lavoratori più evoluti e meglio pagati e si dedicavano alla cooperazione e al mutuo soccorso fra i soci.
Dopo le repressioni del 48-49, che avevano colpito i nuclei operai più combattivi, il movimento associativo fra lavoratori appariva ovunque indebolito.
Il movimento operaio inglese aveva rinunciato ai progetti politici delegando alla sinistra liberale la rappresentanza parlamentare. Ci fu Il rafforzamento delle organizzazioni sindacali di mestiere (trade unions), che conobbero uno sviluppo, coronato dalla costituzione del Trade Unions Congress che riuniva i delegati di tutti i maggiori sindacati e il nucleo basilare del movimento operaio britannico.
Peggiore era la situazione del movimento operaio francese, i pochi nuclei organizzati operavano nella clandestinità e dividevano le loro simpatie fra il comunismo insurrezionista di Auguste Blanqui e il federalismo a sfondo anarchico di Pierre-Joseph Proudhon. Le teorie proudhoniane non potevano dirsi socialiste, basate come erano sulla avversione a ogni forma di collettivismo, si inserivano in un filone libertario e autonomistico della democrazia francese e si adattavano alla struttura sociale di un paese in cui la maggioranza dei contadini erano piccoli proprietari e in cui l'artigianato e il commercio minuto conservavano un peso notevole anche nelle città. Le dottrine di Proudhon ebbero fortuna anche in Italia e influenzarono le elaborazioni dei primi teorici socialisti nel nostro paese (Pisacane, Ferrari).
In Italia, il proletariato di fabbrica era ancora inesistente e i pochi nuclei di operai e artigiani organizzati in società di mutuo soccorso subivano soprattutto l'influenza di Mazzini, fautore della cooperazione e avverso alla lotta di classe e a ogni forma di collettivismo.
In Germania, si stava formando una forte classe operaia e un movimento socialista esisteva già prima del 48, questo trovò un leader in Ferdinand Lassalle,che basava le sue concezioni socialiste su una teoria dello sfruttamento capitalistico simile a quella di Marx. 

Marx e  " il capitale " 

Pubblicando, all'inizio del 48, il manifesto dei comunisti Marx ed Engels avevano gettato le basi per una nuova concezione del socialismo, avevano indicato al proletariato europeo un programma rivoluzionario. Il fallimento dei modi del 48 costrinsero Marx a ripensare il processo rivoluzionario. Marx dedicò il suo tempo allo studio dell'economia politica: l'analisi economica divenne sempre più la base fondamentale del suo "socialismo scientifico ". Il frutto fu il capitale, una descrizione delle leggi e dei meccanismi su cui si fonda il modo di produzione capitalistico. Contiene anche una storia del capitalismo, una previsione circa i suoi futuri sviluppi e un'indicazione dei compiti che spettano al nuovo soggetto rivoluzionario: il proletariato industriale.
Fondamento principale di Marx è la teoria del valore- lavoro: il valore di scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro mediamente impiegato per produrla. Il lavoro è una merce e viene comprato e venduto sulla base del valore-lavoro che esso contiene (cioè dei costi relativi alla formazione e al sostentamento dell'operaio). La caratteristica della merce lavoro è di produrre un valore superiore ai propri costi di produzione, di rendere più di quanto non costi.
La differenza fra il valore del lavoro e il valore del prodotto è detta plusvalore. L'imprenditore acquista sul mercato il lavoro (la forza lavoro) e vende il prodotto di questo lavoro, realizza così un profitto. Da esso si forma il capitale, che si accumula e cresce su se stesso mediante l'impiego di nuova forza lavoro.
Per formulare questa teoria Marx si basa sugli economisti classici Smith e Ricardo
Man mano che si sviluppa, il capitalismo produce secondo Marx, i germi della sua dissoluzione. La  concentrazione del capitale in poche mani si accompagna alla formazione di una massa proletaria sempre più numerosa è sempre più misera; alla tendenza espansiva fa riscontro l'incapacità del sistema di allargare in proporzione all'area di assorbimento dei suoi prodotti (di cui le periodiche crisi di sovrapproduzione) alle forme sempre più organizzate della produzione industriale si contrappone il carattere " anarchico " della concorrenza.
Il socialismo non era presentato come il sogno di un mondo migliore ma veniva fatto scaturire dalle leggi stesse dello sviluppo economico, oltre che dall'azione del proletariato organizzato. La penetrazione delle dottrine di Marx nel movimento operaio europeo non fu immediata né incontrastata.

L'internazionale dei lavoratori: marxisti e anarchici 

Il movimento operaio avvertì presto l'esigenza di un collegamento internazionale. La prima occasione fu offerta nel 1862 dalla visita di una delegazione di lavoratori francesi all'Esposizione universale di Londra. I delegati presero contatto con i dirigenti delle Trade Unions britanniche e stabilirono di dar vita a un'organizzazione permanente di coordinamento, aperta ai rappresentanti di altri paesi, con il nome di associazione internazionale dei lavoratori. Assuntosi il compito di redigere lo statuto provvisorio, Marx riuscì a inserire nel documento alcuni punti che qualificavano l'associazione in senso classista, evidente era l'affermazione dell'autonomia del proletariato e la priorità data alla lotta contro lo sfruttamento.
L'associazione internazionale dei lavoratori ebbe una capacità scarsa di rappresentare realmente le organizzazioni operaie dei singoli paesi e di guidare la loro attività, e il suo funzionamento fu compromesso dall'eterogeneità delle sue componenti e dalle aspre rivalità che dividevano i suoi capi. Si contrapposero i socialisti veri e propri da un lato, e i proudhniani dall'altro, fautori di un sistema fondato sulle cooperative e sulle autonomie locali. Il russo Michail Bakunin fu un teorico dell' anarchismo moderno, aveva partecipato ai moti del 48 esule in  Italia e in Svizzera, partecipò alle attività dell'Internazionale e si schierò sulle posizioni di Marx. Ma le posizioni dei due leader erano nettamente divergenti su una serie di problemi -> Per Bakunin l'ostacolo principale che impediva all'uomo il conseguimento della piena libertà era costituito dall'esistenza stessa dello Stato. Lo Stato era, insieme alla religione, lo strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la maggioranza della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Compito dei rivoluzionari era quello di liberare le masse dall'influenza della religione e dal potere statale. Abbattuto questo, il sistema di proprietà privata sarebbe caduto; il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente.
Queste concezioni erano distante da quelle di Marx -> lui vedeva nella religione e nello Stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti, ma li collocava nella sfera della sovrastruttura, li considerava cioè come un prodotto della struttura economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di quella struttura, ossia del sistema capitalistico, avrebbe reso possibile la distruzione della Stato borghese. Anche per Marx l'avvento del comunismo avrebbe portato "l'estinzione dello Stato" ma questo dopo una fase transitoria, quella della "dittatura del proletariato". Per Marx, inoltre, il protagonista del processo rivoluzionario era il proletariato industriale. Per Bakunin invece erano le masse diseredate. Mentre Marx non credendo nella possibilità di trasformare il sistema borghese dall'interno, riteneva utile che la classe operaia cominciasse a combattere le sue battaglie già dentro il sistema, Bakunin era decisamente contrario: per lui l'unica forma possibile di lotta era la rivolta armata.
La lotta fra i marxisti e gli anarchici bakuniani (o, come allora si disse, fra "autoritari" e "antiautoritari") si sviluppò all'inizio degli anni '70, soprattutto sui problemi riguardanti i compiti e la struttura dell'Internazionale.
Marx ed Engels riuscirono a far approvare una risoluzione che trasferiva la sede centrale dell'Internazionale da Londra a New York. Decidendo il trasferimento lontano dall'Europa, Marx aveva consapevolmente decretato la morte dell'Internazionale che fu sciolta nel 1876, in quanto la giudicava uno strumento inefficace e puntava invece sullo sviluppo nei vari Stati di forti partiti socialisti. L’Internazionale anarchica conservò in molti paesi europei un seguito e un' influenza considerevoli.
Il bakuninismo si adattava a quei paesi e a quei ceti sociali che non avevano ancora conosciuto la rivoluzione industriale. Fu questa la forza dell’anarchismo ma fu anche la causa del suo inarrestabile declino di fronte allo sviluppo dell'industria.

Il modo cattolico di fronte alla società borghese

Anche il mondo cattolico assunse un atteggiamento critico nei confronti di una civiltà che si basava su presupposti laici e che tendeva a relegare la religione nell'ambito delle superistizioni e delle credenze popolari. Capofila di questa crociata ideologica fu quello stesso Papa Pio IX che si preoccupò di riaffermare la più rigida ortodossia dottrinaria e di incoraggiare le pratiche di devozione, soprattutto il culto mariano. Fu proclamato il dogma dell'immacolata concezione (con cui si stabiliva che la vergine era stata concepita libera dal peccato originale). Dal 1858 Lourdes, luogo di una apparizione della Madonna, divenne meta di ininterrotti pellegrinaggi. Lo scontro fra Chiesa cattolica e la cultura laico-borghese ebbe il culmine quando Pio IX emanò l'enciclica quanta cura, una condanna al liberalismo, alla democrazia, al socialismo e l'intera civiltà moderna. Il Papa fece pubblicare, con l'enciclica, una sorta di elenco o sillabo degli "errori del secolo", erano raccolti tutti i principi basilari della tradizione illuminista e della cultura liberale ottocentesca: dalla sovranità popolare alla laicità dello Stato, alla libertà di stampa e di opinione. Il sillabo suscitò sorpresa e scalpore in tutta Europa, fra chiesa e stato la frattura si allargò quando nel concilio vaticano I Pio IX fece proclamare il dogma dell'infallibilità del Papa nelle sue pronunce ufficiali in materia di fede e di morale che rafforzava l'autorità del pontefice nei confronti dell'episcopato. La condanna della civiltà borghese lasciava un certo spazio ai movimenti cristiano-sociali che si svilupparono grazie l'arcivescovo di Magonza Ketteler -> esso non si limitava infatti a fare appello alla pietà e al senso di responsabilità delle classi più elevate, ma invocava l'intervento dello Stato, sotto forma di leggi e iniziative assistenziali a favore dei lavoratori, e auspicava lo sviluppo della cooperazione e del mutuo soccorso e fra i lavoratori stessi. Su questa base si realizzarono i primi esperimenti di moderno associazionismo cattolico, fondato sulle unioni di mestiere, sulle cooperative e sulle case rurali e artigiane.

 

 

CAP. 11 L’UNITA’ D’ITALIA

La seconda restaurazione 

In Italia, dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848-49, il ritorno dei sovrani legittimi segnò l'arresto di qualsiasi esperimento riformatore. Le conseguenze di questa "seconda restaurazione" furono gravi: mancata evoluzione delle strutture politiche e sviluppo economico soffocato. Il lombardo-veneto, la regione economicamente più avanzata, fu sottoposto a un pesante regime di occupazione militare cui si accompagnò una forte pressione fiscale che colpiva gli imprenditori, i commercianti e soprattutto i ceti popolari. L'impero asburgico vide allargarsi il risentimento e l'incomprensione che separava la monarchia dalle popolazioni italiane. Negli stati del centro nord (Granducato di toscana, ducati di Modena e Parma) il ritorno dell'antico regime accentuò il distacco fra le corti e l'opinione pubblica borghese, i moderati furono tenuti in disparte o costretti all'esilio. lo stato pontificio, venne riorganizzato secondo il vecchio modello teocratico-assolutistico, democratici e liberali furono perseguitati e il potere restò nelle mani di una ristretta oligarchia di prelati con al vertice il segretario di stato cardinale Antonelli. nel regno delle Due Sicilie il ritorno al sistema assolutistico fu integrale e la repressione durissima: centinaia di oppositori furono condannati. In campo economico, la politica dei governi Borbonici fu improntata a un gretto conservatorismo, il mantenimento di alti dazi doganali ostacolavano sviluppo dell'agricoltura volta all'esportazione, vi fu una forte limitazione della spesa statale e i settori più sacrificati furono quelli dell'istruzione e delle opere pubbliche. L'arretratezza economica e sociale e la durezza della repressione fecero del regno delle Due Sicilie un modello negativo agli occhi dell'opinione pubblica liberale europea, questo isolamento fu uno dei fattori principali che avrebbero determinato, nel 1860, il rapido crollo dello stato borbonico. 

L'esperienza liberale in Piemonte e l'opera di Cavour 

Nel Piemonte sabaudo poté sopravvivere l'esperimento costituzionale dello statuto albertino. Il regno di Vittorio Emanuele II cominciò con un duro scontro fra la corona e la Camera elettiva, composta in maggioranza da democratici. Nell'agosto del 49 fu conclusa la pace di Milano con l'Austria, la Camera rifiutò di approvarla. La corona e il governo, presieduto dal moderato Massimo D'Azeglio, decisero di sciogliere la camera e di indire nuove consultazioni, mentre il re indirizzava agli elettori un messaggio (programma di Moncalieri) in cui li invitava a scegliersi dei rappresentanti di orientamento più moderato, lasciando intendere che, lo stesso statuto avrebbe corso seri pericoli e riuscì a raggiungere il suo scopo. La nuova Camera, formata in maggioranza da moderati, approvò la pace di Milano. Fu così che il governo D'Azeglio potè portare avanti l'opera di modernizzazione dello Stato già avviata, una tappa fondamentale fu un progetto di legge presentato dal ministro della Giustizia Siccardi che riordinava i rapporti fra Stato e Chiesa, ponendo fine agli anacronistici privilegi di cui il clero godeva. La battaglia per l'approvazione della leggi Siccardi vide emergere il Conte Camillo Benso di Cavour, aristocratico, proprietario terriero e giornalista: negli anni giovanili si avvicinò alle idee liberali, all'indomani della rivoluzione del 1830 in Francia, abbandonò la carriera militare, per dedicarsi agli studi, ai viaggi, agli affari e alla cura del patrimonio familiare; nella 1847-48 decise di dedicarsi all'attività politica, l'ideale politico di Cavour era un liberalismo moderato, era convinto che la tendenza, inarrestabile, verso un sempre maggiore allargamento delle basi dello stato dovesse essere attuata con gradualità e incanalata in un sistema monarchico-costituzionale, fondato sulla libertà individuale e sulla proprietà privata. Il liberalismo cavouriano aveva dunque un piglio più moderato e più pragmatico, vedeva nello sviluppo produttivo la premessa indispensabile per il progresso politico e civile. Cavour entrò a far parte del gabinetto D'Azeglio nel ottobre 1850, come titolare del ministero dell'agricoltura e commercio. Nel1852, quando D'Azeglio dovette dimettersi per contrasti col re, fu incaricato di formare il nuovo governo.
Cavour si era reso protagonista di una rivoluzione parlamentare, promuovendo un accordo fra la più progressista della maggioranza moderata e la componente più moderata della sinistra democratica; dall'accordo, che fu definito connubio, nacque una nuova formazione politica di centro, che relegava all'opposizione le due pattuglie dei clericale-conservatori e dei democratici e intransigenti. In questo modo Cavour poté allargare la base parlamentare del suo governo e spostare nel classe verso sinistra, gli consentì di rendere più incisiva la sua azione riformatrice in campo politico ed economico. Premessa essenziale della sua politica fu l'adozione di una linea liberoscambista, furono stipulati trattati commerciali con Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna; abolito il dazio sul grano e vi furono progressi anche nel campo delle opere pubbliche, furono costruiti strade canali, sviluppate le ferrovie che servirono da stimolo per l'industria siderurgica e meccanica; uno sviluppo spontaneo ebbe invece l'industria della seta. Le condizioni delle classi subalterne, nelle città e nelle campane, non conobbero miglioramenti sostanziali, anche a causa delle imposte indirette; l'analfabetismo è elevato dopo 12 anni di politica cavouriana, il Piemonte poteva vantare, in termini di sviluppo economico e civile, un bilancio lusinghiero: una agricoltura in espansione e modernizzata, un'industria all'avanguardia, un sistema creditizio potenziato e riorganizzato intorno a una banca centrale, una rete di trasporti efficiente e scambi commerciali con l'estero. 

 

Il fallimento dell'alternativa repubblicana 
 
Le sconfitte dello 48-49 non avevano mutato la strategia di Mazzini e dei mazziniani, convinti che l'unità italiana sarebbe scaturita da un moto insurrezionale, Mazzini si preoccupò di intensificare i contatti con i maggiori esponenti del movimento democratico europeo. Sul piano pratico i risultati furono fallimentari, la polizia austriaca inferse duri colpi all'organizzazione mazziniana, molti furono gli arresti e le condanne capitali. Mazzini ritenne di poter tentare la carta dell'insurrezione, a Milano operai e artigiani assalirono con armi improvvisate i posti di guardia austriaci e ne seguirono nuovi arresti e nuove condanne a morte. Mazzini fondò a Ginevra il Partito d'azione, intensificò i suoi sforzi per crearsi una base fra gli artigiani e gli operai delle città del nord: molte fra le società operaie di mutuo soccorso nate in questo periodo, soprattutto in Piemonte e in Liguria grazie alla libertà di associazione garantita dallo Statuto, furono controllate dai mazziniani e si ispirarono al credo repubblicano e patriottico.
All'inizio degli anni 50 si delinearono nuovi orientamenti che, mettevano in discussione la guida politica di Mazzini e la sua strategia. Vi è chi auspicava una collaborazione con tutte le forze interessate al conseguimento dell'unità. Vi era chi criticava l'impostazione mazziniana e la considerava poco aperta ai problemi sociali e alle esigenze delle classi subalterne. Due libri di corsivo Giuseppe Ferrari e di Carlo Pisacane e introdussero il tema del socialismo nel movimento risorgimentale, sostenevano che la lotta per l'indipendenza nazionale avrebbe avuto successo solo se avesse saputo legare a sé le classi popolari, identificandosi con la loro lotta per l'emancipazione economica e spirituale. Per Ferrari qualsiasi iniziativa italiana era legata a forze rivoluzionarie in Francia, Pisacane pensava che l'Italia meridionale offrisse, per le sue caratteristiche di paese arretrato, il terreno adatto per la rivoluzione; le dottrine di Pisacane si fondavano su presupposti assai fragili, ma rappresentavano la prima importante espressione in Italia di un filone di pensiero socialista, distinto da quello democratico-mazziniano. le divergenze ideologiche non impedirono, a Pisacane e a Mazzini di trovare collaborazione in un nuovo progetto insurrezionale, da attuarsi nell'Italia meridionale. La spedizione sbarco a Sapri, iniziando la marcia verso l'interno. Nel progetto di Pisacane in manco l'adesione dei contadini, la colonna dei rivoltosi fu annientata dalle truppe borboniche e Pisacane si uccise per non cadere prigioniero. Il fallimento esasperò il dissidio già in atto fra i democratici e coincise con la nascita ufficiale di un movimento indipendentista filopiemontese. Inizia torre del movimento fu Daniele Manin, il capo del governo repubblicano in Venezia nel 48-49, aveva proposto una forma di governo dell'Italia unita e l'unione di tutte le correnti, moderate e democratiche, intorno all'unica forza in grado di raggiungere l'obiettivo: la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II. A questa proposta aderirono molti, importantissima fu l'adesione di Giuseppe Garibaldi. Nel luglio 1857 il movimento si diede una struttura organizzativa e assunse il nome di società nazionale, l'associazione dichiarava un di anteporre la causa dell'unità " ad ogni forma politica " e di ritenere necessaria al raggiungimento di tale scopo l'azione popolare e utile il concorso governativo piemontese.

La diplomazia di Cavour e la seconda guerra di indipendenza 

Nei primi anni del suo governo, Cavour era non aveva tre suoi obiettivi l'unità italiana. La sua azione fu orientata ad allargare i confini del Piemonte e in politica estera ad avvicinare il Piemonte all'Europa più moderna e sviluppata; un passo importante in questa direzione fu quando il governo piemontese ripose positivamente all'invito Francia e Inghilterra di associarsi alla guerra contro la Russia. In questo modo il Piemonte ottenne di partecipare come stato vincitore alla conferenza di Parigi e di potere sollevare la questione italiana. Cavour era protestò contro la presenza militare austriaca nelle Legazioni pontificie e denunciò il malgoverno dello stato della chiesa e del regno delle Due Sicilie come causa perenne di instabilità e dunque come minaccia alla pace e all'equilibrio europeo. L'esperienza del congresso di Parigi fu avara di risultati concreti. Cavour ne uscì convinto che era necessario mantenere viva l'agitazione patriottica ed assicurarsi l'appoggio dell'unica grande potenza europea: la Francia di Napoleone III. Per raggiungere lo scopo un, Cavour potè contare sull'imperatore, desideroso di ripetere la politica italiana del primo Napoleone, ma anche sulla paura suscitata in lui dal ripetersi delle agitazioni mazziniane. Fu il gesto isolato di un mazziniano ad affrettare i tempi dell'alleanza franco-piemontese: Orsini un repubblicano romagnolo attentò alla vita dell'imperatore lanciando tre bombe contro la sua carrozza, ma fallì. Orsini fu arrestato, si dichiarò pentito per le conseguenze del suo gesto e scrisse due lettere all'imperatore per scongiurarlo di far propria la causa del movimento nazionale italiano. L'alleanza franco-piemontese fu sancita, gli accordi ipotizzava una nuova sistemazione dell'intera penisola italiana, che avrebbe dovuto essere divisa in tre Stati. Dietro questo progetto c'erano due diversi disegni: quello di Napoleone III, che mirava a porre l'Italia sotto il suo controllo, è quello di Cavour che contava sulla forza d'attrazione del Piemonte nei confronti degli altri stati italiani. Premessa indispensabile era la guerra contro l'Austria. Il governo piemontese fece il possibile per farsi salire la tensione con lo stato vicino: manovre militare al confine, armamento di corpi volontari. Il governo asburgico inviò un ultimatum al Piemonte che Cavour respinse. Un primo scontro con gli austriaci a Montebello, vennero sconfitti gli asburgici nella battaglia di Magenta; un successivo contrattacco austriaco fu respinto nelle due battaglie di Solferino e San Martino. Napoleone III decise di interrompere la campagna e propose agli austriaci un armistizio, firmato a Villafranca, Verona. L'impero asburgico rinunciava alla Lombardia e la cedeva alla Francia (che poi l'avrebbe girata al Piemonte). L'armistizio suscitò lo sdegno dei democratici italiani e colse di sorpresa lo stesso Cavour, che rassegnò le dimissioni e fu sostituito dal generale La Marmora. fra i motivi che avevano spinto l'imperatore in al ripensamento c'erano le pressioni dell'opinione pubblica francese impressionata dai costi della guerra ed anche la nuova situazione che si era venuta a creare nell'Italia centro-settentrionale e che vanificava il progetto di nuova sistemazione dell'Italia, a Firenze e nei ducati di Modena e Parma delle insurrezioni avevano costretto alla fuga i vecchi sovrani, la sollevazione si estese allo Stato della Chiesa, costringendo le truppe pontificie ad abbandonare Bologna e la Romagna. I governi provvisori che subito si costituirono si pronunciarono per l'annessione al Piemonte, dopo Villafranca, il governo sabaudo inviò nelle regioni liberate dei commissari straordinari, dopo la firma in novembre della pace di Zurigo con l'Austria, Napoleone III decise di accettare il fatto compiuto. Cavour, tornato a capo del governo, negoziò la cessione alla Francia di corsivo Nizza e della Savoia, in cambio dell'assenso francese alle annessioni nell'Italia centrale.

Garibaldi e la spedizione dei mille 

Allargando suo confini verso la Lombardia e l'Italia centrale, lo stato sabaudo cessava di essere uno Stato dinastico e si avviava diventare uno stato nazionale. Tornò d'attualità l'idea di una spedizione di volontari nelle regno delle Due Sicilie, dove era salito al trono Francesco II, ed era la Sicilia ad offrire un terreno favorevole per la rivoluzione. Furono due mazziniani siciliani esuli in Piemonte, Crispi e Pilo, a concepire il progetto di una spedizione nell'isola, come prima tappa cercarono di organizzare una rivolta locale prima dello sbarco dei volontari e di assicurare alla spedizione una guida politica e militare e garantirsi nel contempo un qualche appoggio dal governo piemontese ha. L'insurrezione popolare scoppiò a Palermo, mentre Pilo accorreva in Sicilia, Crispi convinse Giuseppe Garibaldi ad assumere la guida della spedizione. Garibaldi, repubblicano convinto, aderì alla Società nazionale e collaborò con la monarchia sabauda. Poco più di mille volontari presero il mare e sbarcarono a Marsala accolti con entusiasmo dalla popolazione, i volontari puntarono su Palermo e all'arrivo Palermo insorse; dopo due di combattimenti i contingenti governativi furono costretti ad abbandonare il capoluogo, dove Garibaldi proclamo la decadenza della monarchia borbonica. Nell'isola si formava un governo civile provvisorio sotto la guida di Crispi. A Palermo sbarcarono altri volontari e col loro apporto, Garibaldi potè muovere all'attacco delle truppe borboniche e sconfiggere a Milazzo. La rapidità con cui si era consumato il collasso delle regime borbonico in Sicilia aveva costretto Cavour e i moderati italiani a rivedere frettolosamente la loro strategia. Quando i contadini avevano intravisto la possibilità di liberarsi non solo dal malgoverno borbonico, ma anche dal secolare sfruttamento, avevano dato vita a una serie di violente agitazioni; i contadini insorti si preoccupavano di raggiungere i propri obiettivi particolari disinteressandosi dei fini generali della guerra, nacque così un contrasto insanabile, sfociato in episodi di dura repressione. Ma intanto i proprietari terrieri, spaventati dalle agitazioni agrarie, guardavano sempre più all'annessione al Piemonte come all'unica efficace garanzia per la tutela dell'ordine sociale. 

L'intervento piemontese e i plebisciti 

Garibaldi riuscì a sbarcare in Calabria, Francesco II abbandonò la capitale per rifugiarsi nella fortezza di Gaeta. Il giorno dopo, Garibaldi fece il suo ingresso trionfale a Napoli, ma che è liberata rischiava di diventare la base per una spedizione nello stato pontificio. Un'impresa che avrebbe provocato l'intervento francese e che avrebbe rimesso in discussione e l'assetto monarchico e moderato dello stesso Regno sabaudo. Non restava, per il governo piemontese, altra scelta se non quella di prevenire l'iniziativa di garibaldina con un intervento militare. Dopo che Cavour ebbe ottenuto l'assenso di Napoleone III, impegnandosi a non minacciare Roma e il Lazio, le truppe regie varcarono i confini dello stato della chiesa, invasero l'Umbria e le Marche che sconfissero l'esercito pontificio nella battaglia di Castelfidardo. Mentre Garibaldi abbatteva i Borbonici nella grande battaglia di Volturno, l'esercito sabaudo di inizio la marcia verso Mezzogiorno. Il parlamento piemontese autorizzò il governo a decretare l'ammissione di altre regioni italiane allo Stato sabaudo. Garibaldi non aveva possibilità di opporsi, una volta esclusa l'ipotesi di uno scontro fratricida, in tutte le province meridionali in Sicilia si tennero plebisciti, agli elettori veniva lasciata la scelta se accettare o respingere l'annessione allo Stato sabaudo; ampia fu la maggioranza dei si. Garibaldi si ritirava a Caprera in volontario l'isolamento e mentre Mazzini partiva verso l'ennesimo esilio il 17 marzo 1861 il primo parlamento nazionale proclamata Vittorio Emanuele II re d'Italia.

Le ragioni dell'unità 

A poco più di un decennio dal fallimento delle rivoluzioni del 48-49, il processo di unificazione nazionale italiana si compiva così in tempi straordinariamente rapidi e con modalità non previste nemmeno da coloro che ne erano stati i principali artefici. L'Italia unita si presentava come il risultato dell'allargamento di uno stato regionale rivelatosi forte e da questo Stato l'intero paese si vedeva imporre sovrano e istituzioni, leggi e coordinamenti. In Italia lo Stato nazionale nacque dalla combinazione di un'iniziativa dall'alto (la politica di Cavour e della monarchia sabauda) e di un'iniziativa dal basso (le insurrezioni e la spedizione da garibaldina nel sud). L'unità non sarebbe stata raggiunta in tempi così brevi, senza una serie di circostanze favorevoli a livello internazionale: la neutralità della gran Bretagna, l'isolamento del regno delle Due Sicilie e dello stesso impero asburgico, l'appoggio di Napoleone III. 

"seconda restaurazione" cioè il ritorno dei sovrani legittimi dopo il fallimento delle rivoluzioni del 48-49.

 

 

 

CAP 12 L’EUROPA DELLE GRANDI POTENZE (1850-1890)

La lotta per l'egemonia continentale 

Dopo il 1848-49 la scena europea continuò a essere occupata dagli stessi protagonisti: le cinque " grandi potenze " (Francia, Gran Bretagna e, Austria, Prussia e Russia) quegli Stati che potevano esercitare un ruolo attivo negli affari internazionali, in una continua competizione per l'egemonia. Il ventennio 1850-70 fu caratterizzato da conflittualità e instabilità: tentativo della Francia di Napoleone III di riaffermare la sua posizione di massima potenza continentale. L'indebolimento dell'Austria facilitò l'ascesa della potenza prussiana, l'aspirazione della Prussia di riunire attorno a sé un grande stato nazionale tedesco costituivano una minaccia per la Francia, che aveva fondato la sua egemonia sulla debolezza e sulla frammentazione della Germania: l'unità tedesca passava attraverso lo scontro con la Francia. L'esito fatale per il Secondo Impero elevò la Germania unita al ruolo di maggiore potenza continentale, garante di un nuovo equilibrio, questo equilibrio sarebbe entrato in crisi (in dopo l'uscita di scena del suo principale artefice, il cancelliere Bismarck). 
Forme di governo: la Gran Bretagna consolidò le sue istituzioni liberali, la Francia era una repubblica, regimi a forte vocazione autoritaria (l'impero di Napoleone III, la Austria degli Asburgo e la Germania di Bismarck) subirono una evoluzione, si ebbe un maggior peso degli organismi elettivi, una allargamento dell'area degli aventi diritto al voto e una sensibilità ai problemi sociali. 

La Francia del secondo impero e la guerra in Crimea 

La Francia di Napoleone III rappresentava un caso anomalo, era diversa dai regimi monarchici tradizionali, il nuovo regime era modello politico di nuovo genere detto bonopartismo dove esisteva il principio della sovranità popolare, che si voleva espressa attraverso i plebisciti, legittimava in realtà un potere fondato sulla forza delle armi. All' autoritarismo e al centralismo, Napoleone III univa la pratica del paternalismo e la ricerca del consenso popolare, verificato attraverso le elezioni della Camera a suffragio universale. Oltre al sostegno delle campagne, l'imperatore cercò ed ottenne quello della borghesia urbana, della finanza e dell'industria. Un altro aspetto è quello definito tecnocratico, la tendenza cioè a da affidare sempre maggior potere ai tecnici e a ravvisare nella trionfo della tecnica e della civiltà industriale la via più sicura per la realizzazione del bene comune.Napoleone III non poteva prescindere dalle tradizioni belliche del Primo Impero (tradizione bonapartista), la prima occasione fu quella della questione d'Oriente: i all'origine vi era l'aspirazione della Russia ad espandersi in direzione del Mar Nero e dei Balcani, approfittando della crescente incapacità dell'impero ottomano a esercitare un controllo sui suoi domini europei, la Russia aprì le ostilità contro l'impero ottomano. Alla reazione del governo inglese, che temeva un tracollo dell'impero ottomano, si associò subito Napoleone III interessato all'affermazione della presenza francese in nel Mediterraneo. Una flotta anglo-francese sbarco nella penisola di Crimea e cose l'assedio alla piazzaforte di Sebastopoli. Un congresso delle potenze europee tenuto a Parigi confermo la "neutralizzazione" del Mar Nero, l'impero ottomano vide garantita la sua integrità e confermata la sua sovranità suoi principati di Serbia, Moldavia e Valacchia. La Francia non ottenne risultati concreti ma accrebbe il suo prestigio nella politica estera del Secondo Impero. L'episodio più significativo fu l'alleanza col Piemonte culminata nella guerra contro l'Austria. Dal conflitto la Francia uscì però indebolita, il risultato principale fu la formazione di uno Stato nazionale italiano sotto la guida del Piemonte, fu lontano dai progetti di Napoleone III, che aveva sperato di subentrare all'Austria nel ruolo di potenza egemone in un'Italia sempre divisa.

Il declino dell'impero asburgico e l'ascesa della Prussia 

Sopravvissuto alle tempeste del 48-49 grazie alla sua struttura burocratico-militare loro Stato degli Asburgo d'Austria tentò di riorganizzarsi sulla base del vecchio sistema assolutistico, il centralismo amministrativo fu rafforzato. Il problema della monarchia asburgica era la coesistenza all'interno dell'impero di diverse nazionalità, ciascuna con le proprie aspirazioni all'autonomia. L'abolizione della servitù della gleba aveva giovato ai contadini e che avevano potuto riscattare le terre che costituivano il sostegno più sicuro per la monarchia.
altro pilastro fu l'alleanza con la Chiesa cattolica sancita da un concordato fra l'impero e la Santa Sede. La monarchia sacrificò le esigenze della borghesia appoggiandosi sulla chiesa e sui contadini così l'impero mancò in sviluppo economico senza riuscire a mantenere il ruolo di primissimo piano che aveva. La Prussia ripropose la sua candidatura alla guida della nazione tedesca e  all'egemonia sul Centro Europa, fidando sulla forza del suo sviluppo industriale e e sulla stretta integrazione della sua economia con altri Stati tedeschi. L'abolizione degli ordinamenti feudali non aveva scalfito il potere dei nobili latifondisti, gli Junker, un gruppo sociale ristretto, conservatore che esercitava un peso preponderante nella vita dello Stato: occupavano i più alti gradi dell'amministrazione statale. La presenza vertici dello Stato di un ceto di aristocratici-proprietari terrieri non ne detto effetti negativi, l' autoritarismo politico e conservatorismo sociale si rivelarono componenti essenziali di quella "via prussiana " allo sviluppo. In Germania esisteva un efficiente sistema di comunicazioni interne, una rete ferroviaria e un'alta diffusione dell'istruzione elementare. Il tradizionalismo degli Junker e le aspirazioni nazionali della borghesia trovarono una convergenza nella politica di potenza dello Stato prussiano e nello sviluppo di un'adeguata forza militare. Il rafforzamento dell'esercito venne in primo piano con il nuovo sovrano Guglielmo ! che cercò di far approvare dal Parlamento un progetto di riforma delle forze armate, la maggioranza d'liberale del parlamento prussiano si oppose però al progetto, così Guglielmo I decise di sfidarlo e nominò cancelliere il Conte Otto van Bismarck esponente degli Junker. Esso si impegnò a realizzare il progetto di riforma dell'esercito. L'uso spregiudicato della forza, unito alla abilità diplomatica, consentì alla Prussia di realizzare l'unificazione tedesca. Il primo ostacolo sulla via dell'unificazione era costituito dall'Austria, il contrasto si fece acuto quando dopo essersi accordate per strappare alla Danimarca dei ducati, entrarono in conflitto circa l'amministrazione dei territori conquistati. Bismarck si alleò col neocostituito Regno d'Italia assicurandosi oltre alla neutralità della Russia, anche quella di Napoleone III. La guerra durò soltanto tre settimane e inflisse agli austriaci una sconfitta. Si giunse alla firma della pace di Praga, la Austria cedette il Veneto a l'Italia e dovette accettare lo scioglimento della vecchia Confederazione germanica. Gli stati tedeschi situati a nord del fiume Meno entrarono a far parte di una nuova confederazione della Germania del nord, quelli situati a sud del Meno rimasero invece indipendenti. I nuovi equilibri in Europa centrale spinsero L'impero asburgico a spostare il centro dei suoi interessi verso l'area danubio-balcanica per cercare una soluzione per il problema delle nazionalità, di impero fu diviso in due Stati: austriaco e ungherese (impero austro-ungarico) uniti nella persona del sovrano, ma ciascuno con un proprio Parlamento e governo a. Il parlamento prussiano ratificò le spese effettuate dal governo senza l'approvazione della Camera. Con Quel voto la borghesia è rinuncio a guidare il processo di unificazione nazionale e accettò di collocarsi in una posizione subalterna nei confronti della monarchia e dell'aristocrazia terriera.

La guerra franco-prussiana 
 
La Prussia di Bismarck  e di Guglielmo I poteva realizzare l’ultima fase del suo ambizioso programma: l’unificazione di tutti gli Stati, tranne la Austria, in un grande Reich tedesco sotto la colonna degli Hohenzollern. L’ultimo ostacolo è rappresentato dalla Francia di Napoleone III. L’occasione per il conflitto fu offerta dalla Spagna dove il trono è rimasto vacante, il governo provvisorio spagnolo aveva offerto la corona a Leopoldo di Hohenzoller Sigmaringen, parente del re di Prussia. La prospettiva spaventava la Francia, che si sentiva minacciata di accerchiamento; l’opinione pubblica francese insorse tanto da indurre il principe di Hohenzoller a declinare la proposta. Bismarck all’indomani di un incontro fra Guglielmo I e l’ambasciatore francese, comunico’ alla stampa un telegramma a lui indirizzato dal re, il testo, manipolato, lasciava intendere che il rappresentante di Napoleone III fosse stato bruscamente congedato; questo provocò in Francia un furore nazionalistico e dichiarò guerra alla Prussia. La Francia però aveva una scarsa preparazione militare ed a Sedan, l’imperatore cadde prigioniero dei tedeschi e. Nella capitale in ormai minacciata dai prussiani, si formava un governo provvisorio. Il governo fu costretto a lasciare Parigi e a chiedere l’armistizio, le vittorie prussiane avevano fatto cadere le residue resistenze degli Stati tedeschi indipendenti nei confronti dell’unificazione. Nel 1871 Guglielmo I fu incoronato imperatore tedesco. Bismarck impose le condizioni di pace alla Francia col trattato di Francoforte e la Francia fu costretta a corrispondere una indennità di guerra e a mantenere truppe d’occupazione tedesche sul proprio territorio fino al completo pagamento e dovette cedere al Reich l’Alsazia e la Lorena; per la Francia si trattò di una umiliazione nazionale e il desiderio di riparare avrebbe condizionato per quasi mezzo secolo la politica francese e l’intero equilibrio europeo. 

La Comune di Parigi 
 
Mentre si stava ancora negoziando la pace con la Germania, la Francia e ebbe una crisi interna causata dalla sconfitta e dalle tensioni politiche e sociali. Il popolo di Parigi insorse e decretò la fine del regime napoleonico, la città aveva vissuto la caduta dell’impero come l’inizio di una riscossa nazionale; e diverso era l’orientamento delle campagne e dei centri minori e, dove c’erano tendenze conservatrici e si desiderava la firma della pace. In la frattura si delineano dopo Le elezioni della nuova assemblea nazionale che risultò composto in maggioranza da moderati e conservatori. A presiedere il governo fu chiamato Adolphe Thiers, rappresentante della Francia moderata rinuncio. Il nuovo governo si affrettò ad aprire trattative con i vincitori per la conclusione della pace, ma quando furono note le durissime condizioni imposte da Bismarck, il popolo di Parigi protestò e il governo varò una serie di misure (trasferire la sede del parlamento o da Bordeaux a Versailles) che ebbero l’effetto di aumentare l’irritazione delle masse popolari parigine. La capitale fu così lasciata a se stessa è indotta a riconoscersi e nell’unica struttura organizzata è rimasta nella città: la Guardia nazionale. Quando il governo ordino la consegna delle armi per la difesa della capitale, la guardia nazionale e rifiutò e indisse e le elezioni per il consiglio della comune. Termine “ Comune “ è aveva il significato di organo di autogoverno cittadino. La Comune del 1871 assunse i tratti di un’esperienza rivoluzionaria e, i dirigenti diedero vita al più radicale esperimento di democrazia diretta: Fu abolita la distinzione fra potere esecutivo e legislativo, tutti funzionari furono resi relativi e continuamente revocabili, l’esercito fu sostituito da Milizie popolari armate. Alcuni stabilimenti industriali furono affidati a cooperative di lavoratori, che ma non fu possibile andare più la per le condizioni assolutamente anomali in cui l’esperimento si svolse: racchiusa entro i confini di una sola città, isolata dal resto del paese, la Comune sarebbe sopravvissuta solo se fosse riuscita a coinvolgere anche i piccoli centri e le campagne. Non duro più di due mesi, il tempo necessario a Thiers per raccogliere un esercito abbastanza forte per muovere alla conquista della capitale, le truppe governative procedettero all’occupazione di Parigi. Per la seconda volta il movimento rivoluzionario francese in si trovò sconfitto e fisicamente decimato. 

La svolta del 1870 e l’equilibrio bismarckiano

La nuova concezione dello Stato in Germania, andava contagiando l’intera Europa. Si affermava l’ideologia della forza, della politica di potenza fondata sullo sviluppo degli eserciti permanenti e degli armamenti di terra e di mare. Quelle che seguì il1870 fu per l’Europa occidentale un periodo di pace; compiutisi i processi di unificazione nazionale italiano e tedesco, vennero meno i motivi di rivalità e di attrito, ma le tensioni si spostarono ai margini del continente, nella penisola balcanica e nel Mediterraneo, nell’Asia e nella Africa per il possesso delle colonie, ma si trattava di guerre combattute lontano dalla madrepatria, il risultato fu che dallo1871 al1914 nessuna regione d’Europa fu mai attraversata da eserciti in guerra. La pace fu assicurata dall’indiscussa egemonia dell’impero tedesco, dopo la vittoria sulla Francia e la proclamazione del Reich gli obiettivi della politica tedesca mutarono radicalmente e Bismarck divenne il custode più geloso dell’equilibrio europeo. Il cancelliere tedesco intitola Francia stipulassero una alleanza con un’altra qualsiasi delle grandi potenze, lo scopo fu raggiunto il Germania potè contare sulla tradizionale tendenza dell’Inghilterra a non impegnarsi sul continente europeo, inoltre riuscì a legare a sé le altre due potenze maggiori, Russia e Austria-Ungheria, e la stessa Italia. fulcro del sistema bismarckiano fu il patto dei tre imperatori fra Germania, Russia e Austria: un patto difensivo, fondato sulla solidarietà dinastica fra i  tre imperatori autoritari e aveva per mira la tutela degli equilibri conservatori all’interno dei singoli Stati. L’alleanza aveva un punto debole: la vecchia rivalità fra Austria e Russia nella penisola balcanica.
L’esercito turco intervenne in Bosnia, in Erzegovina e in Bulgaria schiacciando rivolte scoppiate fra le popolazioni slave. La Russia protettrice dei popoli slavi entrò in guerra contro la Turchia e la sconfisse imponendole una pace che contemplava la creazione di uno Stato bulgaro, l’indipendenza della Serbia e del Montenegro, della Bosnia e dell’Erzegovina. Questo accordo avrebbe sancito l’egemonia russa sui Balcani, provocò però l’immediata reazione dell’Austria e dell’Inghilterra. 
Bismarck convocò un congresso fra le grandi potenze a Berlino dove si giunge a un accordo: Serbia Montenegro conservarono l’indipendenza, la Bulgaria conservò l’indipendenza  ma entro confini più ristretti, la Bosnia e l’Erzegovina diventarono autonome ma affidate in “amministrazione temporanea” all’Austri, la gran Bretagna ottenne Cipro. In questo modo Bismarck creò le premesse per un contrasto tra Francia e l’Italia.
Bismarck si impegnò a rimettere insieme l’alleanza con l’Austria e la Russia. L’intesa fu raggiunta sulla base di una divisione dei Balcani, nel 1881 firmato un nuovo patto dei tre imperatori, nel 1882 fu completato dalla stipulazione della Triplice alleanza, che univa la Germania all’Austria-Ungheria e all’Italia, ma la costruzione aveva elementi di fragilità: l’fra Italia e Austria c’era sempre in sospeso la questione del Trentino e della Venezia e Giulia; e nell’area balcanica i rapporti fra i vari Stati rischiava di far saltare la precaria intesa fra Russia e Austria-Ungheria. I contrasti del Regno di Bulgaria mise in crisi il patto dei tre imperatori, Bismarck scelse gli accordi bilaterali, mantenne l’alleanza con l’impero asburgico e stipulò con la Russia il trattato di contro-assicurazione: un patto di non aggressione che impegnava la Russia a non aiutare la Francia in caso di attacco alla Germania, e la Germania hanno unirsi alla Austria in una guerra contro la Russia.
I contrasti coll’imperatore Guglielmo II avrebbero determinato, insieme ad alcuni insuccessi in politica interna, la caduta del cancelliere e la fine del suo sistema di alleanze.

La Germania imperiale 
 
Il Reich tedesco era un organismo complesso, fondato in apparenza su larga autonomia, ma in realtà accentrato intorno al nucleo della vecchia Prussia. Formato da 25 Stati con propri governi e propri parlamenti, i cui poteri erano però limitati al campo amministrativo,al governo centrale, presieduto da un cancelliere responsabile di fronte all’imperatore, aspettavano le scelte politiche. Il potere legislativo  è esercitato dalla Camera e eletta a suffragio universale e da un Consiglio federale composto da rappresentanti di singoli Stati, cui spettava il compito di ratificare o meno le leggi votate dalla Camera. La Camera  elettiva aveva margini d’azione molto ridotti, il potere esecutivo è concentrato nelle mani dell’imperatore e del cancelliere. Il potere del cancelliere si fondava sull’alleanza fra il mondo industriale e bancario e la aristocrazia terriera e militare ; questo non impedì in Germania lo sviluppo di nuovi e forti movimenti politici di massa prima che altrove. Alle tradizionali formazioni liberali e conservatrici si aggiunse il Centro, partito di dichiarata aspirazione cattolica; nacque anche il Partito socialdemocratico tedesco (spd). con una massiccia adesione operaia, il Centro poggiava su una base sociale piuttosto composita, formata da agricoltori e ceti medi urbani e reclutata negli Stati cattolici. La lotta di Bismarck contro i cattolici , chiamata Kulturkampf (battaglia per la civiltà) ebbe il culmine quando il governo del Reich e mano una serie di misure in volte ad affermare il carattere laico dello Stato e a porre sotto sorveglianza l’attività del clero cattolico. Ebbe però l’effetto di stimolare l’orgoglio e la compattezza dei cattolici tedeschi, che, sotto la guida di Ludwig Windthorst riuscirono a raddoppiare la loro rappresentanza parlamentare. Bismarck fu indotto ad attuare le misure anticattoliche e a varare una nuova legislazione ecclesiastica più moderata. Il fallimento del kulturkampf, fu imposta dalla necessità di fronteggiare l'ascesa della socialdemocrazia. Il governo un varo dei provvedimenti rivolti contro il movimento socialdemocratico: Le leggi ponevano gravi limitazioni alla libertà di stampa e di riunione e dichiaravano illegali le associazioni, costringendo la socialdemocrazia a una condizione di semiclandestinità. Bismarck non si imitò alle misure repressive, il parlamento approvò leggi di tutela delle classi lavoratrici, che costituivano assicurazioni obbligatorie per gli infortuni sul lavoro, le malattie e la vecchiaia, facendone gravare il peso in parte sugli imprenditori, in parte sullo Stato, in parte sui lavoratori stessi. In un'epoca in cui le attività previdenziali e assistenziali erano affidate ai privati o a istituzioni religiose, la legislazione sociale di Bismarck è avanzata, essa si collegava a una corrente di riformismo conservatore in voga fra gli intellettuali tedeschi, fra i professori e per questo definita "socialismo della cattedra": dove l'espressione "socialismo" indicava l'attribuzione allo Stato di ampi poteri di intervento nella sfera dei rapporti economico-sociali. Il Reagan Bismarck mirava a integrare le masse lavoratrici nello Stato in una posizione subalterna, questa operazione però non impedì la nascita di un movimento sindacale guidato dal leader socialdemocratici. Le leggi eccezionali in non bloccarono la crescita elettorale della socialdemocrazia. L'affermazione socialdemocratica sancì il fallimento della politica bismarkiana nei confronti del movimento operaio. 

La Terza Repubblica in Francia

dopo la guerra civile, la Francia rilevò segni di ripresa. L'assemblea nazionale decise l'introduzione del servizio militare obbligatorio. Nel 73 fu ultimato il pagamento dell'indennità di guerra dovuta ai tedeschi e. Alla fine degli anni '70 la Francia aveva recuperato parte del suo prestigio internazionale, cominciava a incamminarsi verso le conquiste coloniali. La ripresa si fondò sul patriottismo dei contadini e della piccola borghesia, sull'efficienza dell'organizzazione bancaria che consentì di utilizzare il risparmio nazionale per l'espansione imperialistica. L'più travagliato fu processo di stabilizzazione politica, la forma repubblicana di governo può lungo in forse, dato che i membri dell'assemblea nazionale erano favorevoli alla restaurazione della monarchia; solo le fratture interne allo schieramento monarchico consentirono il varo di una costituzione repubblicana. La costituzione della Terza repubblica prevedeva che il potere legislativo fosse esercitato da una Camera eletta a suffragio universale maschile e da un Senato composto da membri in parte vitalizi e in parte elettivi, il presidente della Repubblica, capo dell'esecutivo, veniva eletto dalle camere riunite e godeva in teoria di poteri molto estesi. La costituzione costituì un successo per i repubblicani francesi che riuscirono ad assicurarsi una solida maggioranza. Il presidente della repubblica cercò di opporsi facendo ricorso allo scioglimento della Camera, ma le nuove lezioni conformarono la maggioranza repubblicana, così che si dimise. da allora le prerogative del Capo dello Stato sarebbero state fortemente ridimensionate. A dominare la scena furono si repubblicani dell'ala moderata, gli  opportunisti con capo Gambetta che a Jules Ferry. La forza stava in un legame con l'elettorato "medio", quelle dei commercianti, impiegati e dei piccoli agricoltori. I repubblicani più avanzati o radicali, si definirono in contrapposizione agli opportunisti costituirono un raggruppamento autonomo. Fuga sotto la guida dei governi repubblicano-moderati che la Francia potè consolidare e le sue istituzioni democratiche e superare le fratture provocate dalla guerra civile del 71. Fu deciso il ritorno del Parlamento a Parigi, il Senato fu reso completamente un elettivo, furono trovate tre leggi: quella che garantiva la libertà di associazione sindacale, quella cambiava le autonomie locali, l'elettività dei sindaci e e in quella che introduceva il divorzio. L'azione dei governi repubblicani fu incisiva nella affermazione della laicità dello Stato, in particolare del settore della scuola, l'istruzione elementare fu resa obbligatoria e gratuita e posta sotto il controllo statale, mentre le università e gli istituti superiori gestiti dal clero furono un privati del diritto di rilasciare titoli legali di studio. L'indebolimento dei poteri del presidente della repubblica ebbero come conseguenza negativa una altissima instabilità dei governi. Un altro male storico della Terza Repubblica fu la corruzione diffusa nelle alte sfere del potere, scandali politico-finanziari mise spesso dura prova la solidità delle istituzioni.

L'Inghilterra vittoriana 

Nel periodo successivo al 18 per la 48, la Gran Bretagna visse una lunga stagione di stabilità politica, tranquillità sociale e prosperità economica. Il Regno Unito era, sotto quasi tutti gli aspetti, la più progredita tra le grandi potenze europee: nell'industria, rete ferroviaria, flotta mercantile. Il ventennio 1848 -66 l'un, caratterizzato dalla presenza dei liberali al governo, segnò un ulteriore consolidamento del sistema parlamentare, sistema nato in Gran Bretagna, che subordinava la vita di un governo alla fiducia del Parlamento; alla corona era affidato un ruolo essenzialmente simbolico di personificazione dell'identità nazionale, ruolo che si manifestò nel corso del regno della regina Vittoria. Il sistema parlamentare non era però sinonimo di democrazia. In gran Bretagna vigeva il sistema bicamerale, molti poteri spettavano ancora alla Camera alta, ossia alla camera dei Lords, alla quale si accedeva per diritto ereditario o per nomina regia. La Camera elettiva (la camera dei comuni) era espressione di uno strato ristretto della popolazione: avevano diritto al voto il 15% del totale dei maschi adulti. La riforma elettorale rappresentò il principale oggetto di dibattito, la lotta per l'allargamento del suffragio fu condotta soprattutto dagli intellettuali radicali. Le cose cambiarono quando la guida dei liberali fu assunta da William Gladston, questi presentò un progetto di legge che prevedeva una limitata estensione del diritto di voto. Il progetto incontrò la resistenza dell'ala moderata del partito: il che provocò la caduta del governo liberale e il ritorno al potere dei conservatori. Ma furono proprio i conservatori, con leader Disraeli, ad assumere l'iniziativa di una riforma elettorale più avanzata. La nuova legge aumentava la consistenza del corpo elettorale, a mentendo al voto i lavoratori urbani a reddito più elevato e. I conservatori che furono sconfitti e Gladstone ritorno al potere a capo di un governo progressista, sotto questo governo un l'Inghilterra conobbe un periodo di incisive riforme. Il sistema di istruzione pubblica fu incrementato e migliorato, fu ridimensionato il ruolo della Chiesa nella scuola, fu affermato nella amministrazione pubblica il principio del reclutamento tramite concorsi. La stagione delle riforme non fu interrotta dal ritorno al potere dei conservatori, Disraeli diede priorità alla politica coloniale, al consolidamento dei possedimenti indiani; ma per la sua politica imperiale cercò anche il consenso delle masse popolari, sotto suo governo furono approvati importanti provvedimenti in materia di assistenza ai lavoratori. L'esperimento di conservatorismo popolare si concluse nel 1880, quando Disraeli fu sconfitto nelle elezioni. Tornato al potere Galdstone corresse parzialmente le linee della politica estera britannica; una nuova legge allargò ancora il corpo elettorale, comprendendovi la maggioranza dei lavoratori agricoli. Si occupò anche della questione irlandese, costretto a fare affidamento su una agricoltura povera, l'Irlanda vide aggravare le sue condizioni alla fine degli anni '70. La reazione del movimento nazionale irlandese si espresse sia in azioni terroristiche sia in una intensa pressione esercitata in Parlamento dalla rappresentanza irlandese per ottenere l'autonomia dell'isola. Gladstone tentò la riforma agraria e, successivamente concesse all'Irlanda una ampia autonomia politica, quando presentò in Parlamento il suo progetto, Gladstone dovette affrontare l'opposizione dei conservatori e la ribellione di una parte del suo stesso partito. Il fallimento del progetto di autonomia provocò la caduta del governo di Gladstone.

La Russia di Alessandro II 

Il primato dell'arretratezza spettava indubbiamente all'impero russo. Più del 90% della popolazione era occupato nell'agricoltura e contadini erano soggetti alla servitù della gleba: erano cioè legati alla terra che coltivavano, dunque comprati e venduti assieme ad essa e subordinati ai proprietari, cui erano tenuti a fornire un canone in denaro o un contributo in lavoro sulle terre aeronavali. L'organizzazione della lavoro agricolo era fondata sui mir: comunità di villaggio dove assemblee composte dai capifamiglia assegnavano ai contadini i fondi da coltivare e curavano l'esazione delle imposte dovute ai signori. L'impero zarista era l'unico privo di istituzioni rappresentative e governato da un apparato burocratico-poliziesco. All'immobilismo delle strutture sociali e politiche faceva singolare riscontro l'eccezionale livello della vita intellettuale, l'800 fu il secolo d'oro della letteratura russa: Tolstoj e Dostoevskij. 
Gli intellettuali russi si divisero in due correnti contrapposte. Agli occidentalisti vedevano nell'adozione dei modelli politici e culturali offerti dai paesi più avanzati il mezzo più idoneo per risollevare le sorti della nazione russa, si opponevano gli slavofili: Contro il razionalismo e l'individualismo della cultura occidentale, alle tradizione dei popoli slavi, alla religione ortodossa alle antiche istituzioni comunitarie radicate nella società russa. Salì sul trono imperiale Alessandro II che iniziò varando una serie di riforme con lo scopo di indurre la modernizzazione nella burocrazia, nella scuola, nel sistema giudiziario e nell'esercito; ma la riforma più importante fu la abolizione della servitù della gleba. I serbi acquistarono la libertà personale e la parità giuridica con gli altri cittadini, ebbero la possibilità di riscattare le terre che coltivavano e di trasformarsi così in piccoli proprietari. I contadini si videro assegnata una quantità di terra più piccola di quella che coltivavano prima e dovettero pagare per entrare in possesso; molti contadini riuscirono ad acquistare le terre ma subentrò presto un clima di delusione e di malcontento fino ad arrivare a ribellioni. Collo le travagliati vicende legate all'emancipazione dei serbi si chiuse la stagione liberalizzante del regno di Alessandro II. in Russia si assistè a un appesantimento del clima politico e a un nuovo inasprimento della censura e dei controlli polizieschi; si diffusero atteggiamenti di rifiuto totale dell'ordine costituito, che poteva sboccare nell'individualismo anarchico e radicalmente pessimista dei cosiddetti "nichilisti" (nulla). I "populisti", intellettuali rivoluzionari, tentarono di compiere opera di educazione culturale e di proselitismo politico fra le masse. Nucleo ideologico comune era l'utopia di un socialismo agrario che facesse leva sul è proletariato delle campagne. L'incomprensione delle masse contadine e la durezza della repressione poliziesca finirono con l'isolare sempre più i populisti e con lo spingerli verso la pratica cospiratoria. Alessandro II fu ucciso da un attentatore anarchico.

 

 

CAP 13 I NUOVI MONDI: STATI UNITI E GIAPPONE

Sviluppo economico e fratture sociali negli Stati Uniti

nella metà del XIX secolo: gli Stati Uniti d'America offrivano l'immagine di un paese in crescente espansione, con un conseguente ininterrotto flusso migratorio proveniente dall'Europa. I confini degli Stati Uniti continuavano a spostarsi verso ovest, la produzione agricola progressiva, la regione del nord-est conosceva un rapido sviluppo industriale. Ma aveva profonde fratture interne: esistevano tre diverse società, corrispondenti a diverse zone del paese, ciascuna col suo sistema economico, i suoi valori, le sue tradizioni. Gli Stati della nord-est erano sede di colonie britanniche, era la zona più progredita (New York, Boston, Filadelfia) dove si concentravano i commerci con l'Europa e dove principalmente si indirizzava l'ondata migratoria. Era un ambiente influenzato dai valori del capitalismo imprenditoriale, dominato dei gruppi industriali, commerciali e bancari. Negli Stati del sud vi era una società agricola profondamente tradizionalista che fondava la sua economia sulle grandi piantagioni di cotone, la manodopera era costituita da schiavi neri; il ceto dei grandi proprietari è una ristretta minoranza che però dominava la vita politica e sociale, e svolgeva una funzione sociale simile a quella di una aristocrazia. 
A queste due società se ne contrappone ora una terza: quella dei liberi agricoltori e allevatori di bestiame che popolavano gli Stati dell'ovest. Erano società in rapida evoluzione, l'agricoltura restava legata all'etica e ai valori della frontiera: di iniziativa individuale, l'indipendenza, l'uguaglianza delle opportunità. Fu proprio l'ovest a costituire il pomo della discordia e l'elemento risolutore, nel contrasto che oppose il 
Nord industriale e il Sud schiavistico. L'idea della schiavitù mal si conciliava con la mentalità democratica diffusa nel nord (in dove era attivo un movimento abolizionista) era anche incompatibile con la filosofia di un capitalismo moderno e. L'economia delle piantagioni costituiva una macchina produttiva redditizia, alimentava un imponente flusso di esportazioni verso l'Europa. Con gli anni 40 e 50 sviluppo industriale si allargò a nuovi settori, diminuì l'importanza della produzione cotoniera e si fecero più strette le relazioni fra il Nord-Est industriale e L'ovest agricolo: quest'ultimo trovava nelle aree urbane ampi sbocchi per i suoi prodotti e costituiva un ottimo mercato per l'industria meccanica con le macchine agricole. Su queste premesse si inserì l'acutizzarsi dello scontro sulla schiavitù, al centro del dibattito c'era la possibilità di introdurla nei territori di nuova acquisizione. L'estensione dell'economia delle piantagioni ai nuovi territori era richiesta dai viaggiatori del Sud, che volevano allargare i la cultura del cotone alle terre vergini, ma incontrava l'opposizione del Nord e dell' Ovest. Lo scontro fece sentire i suoi effetti anche in campo politico. Nei decenni precedenti la scena era di due grandi partiti, il Partito democratico con ideali di democrazia rurale, di liberismo economico, di rispetto dell'autonomia dei singoli Stati. il Partito whig si riallacciava alla tradizione del federalismo nell'invocare un rafforzamento del potere centrale. I partiti entrarono in una profonda crisi. I democratici, identificandosi alla causa dei grandi proprietari estremisti, persero consensi al nord e all'ovest. Il partito whig, diviso fra una corrente progressista e una conservatrice, si dissolse. Dall'ala progressista nacque il Partito repubblicano, decisamente antischiavista e accolse le rivendicazioni degli industriali sia quelle dei coloni all'ovest; riuscì a portare alla presidenza Abramo Lincoln un avvocato di convinzioni democratiche.

La guerra di secessione e le sue conseguenze

Nonostante fosse un convinto avversario della schiavitù, Lincoln non era abolizionista radicale, aveva negato qualsiasi intenzione di abolire la schiavitù dove essa già esisteva. La vittoria repubblicana nelle elezioni del 60 fu sentita nel Sud con l’inizio di un processo che avrebbe portato alla vittoria degli interessi degli industriali. Di qui la decisione di 11 Stati del Sud di staccarsi dall’Unione e di costituirsi in una Confederazione indipendente. La secessione suscitò la reazione del potere federale. Ebbe inizio nel 1861 una guerra civile, quando le forze confederate (ossia i secessionisti del Sud) attaccarono nella Carolina del Sud, occupata dall’esercito unionista. Conclusasi nel 1865, quando l'esercito un pianista occupava buona parte del Sud, i confederati sia resero. Pochi giorni dopo Lincoln cadeva vittima di un attentato per mano di un fanatico sudista. la guerra durata quattro anni, era stata la prima guerra totale dei nostri tempi: la prima che avessi coinvolto la società civile e in cui fossero stati utilizzati i nuovi mezzi offerti dallo sviluppo tecnologico e industriale. Nel 1862 fu decretata la liberazione degli schiavi in tutti gli Stati della Sud. La vittoria nordista non valse a colmare le disuguaglianze sociali, né potè cancellare i pregiudizi razziali. Negli anni successivi alla guerra, il Sud fu governato da uomini dell'ala radicale del Partito repubblicano; il risultato fu una reazione di rigetto che si espresse in forma di lotta clandestina (Ku Klux Klan) più tardi determinare la riscossa del Partito democratico negli Stati del Sud. 
La guerra civile americana: 1861-1865

nascita di una grande potenza

chiuso il capitolo della guerra di secessione,riprese la colonizzazione dei territori dell'ovest. Intorno al 1890, la conquista della west poteva considerarsi compiuta e la nazione americana aveva raggiunto l'estensione attuale. 
Vittime furono le tribù dei pellerossa, contro di essi il governo federale condusse a una serie di campagne militari, gli indiani cercarono di resistere ma furono decimati dalle guerre e confinanti nelle riserve. La popolazione statunitense che ammontava a 39 milioni di persone, passò a 62 nel 1894, questo aumento fu dovuto all'afflusso di immigrati provenienti dall'Europa. Tale era il bisogno di manodopera che il governo federale spalancò le porte all'immigrazione, nella società americana andarono a fondersi culture, tradizioni, valori ed energie di tutti i paesi del vecchio continente. Gli Stati Uniti conobbero una rapida crescita dei grandi centri urbani, la spinta all'urbanesimo diede alle città nordamericane l'aspetto di grandi metropoli. La crescente mobilità dei redditi e delle occupazioni faceva anche risaltare i contrasti sociali, che apparivano evidenti nella stessa fisionomia delle metropoli, con i loro grandi centri della finanza e del commercio ma anche con le loro sacche di povertà. La crescita economica non  ebbe proiezioni al di fuori delle Americhe. Gli stati uniti non intervennero attivamente nell'emisfero meridionale. In una sola occasione gli stati uniti dovettero fronteggiare in la minaccia del reinserimento di una potenza europea vicino ai propri confini, fu quando Napoleone III cercò di imporre l'influenza francese sul Messico. L'occasione era stata offerta da una grande guerra civile: quella che nella Repubblica messicana opponeva le forze democratiche alle correnti conservatrici e clericali. il presidente democratico Juàrez aveva sospeso il pagamento dei debiti con l'estero e i maggiori Stati creditori (Francia, gran Bretagna e Spagna) avevano allora reagito. Napoleone III volle profittare dell'occasione per impiantare nel continente americano una sorta di stato satellite. Fu così creato una Impero del Messico, la cui corona fu offerta a Massimiliano d'Asburgo, ma le forze patriottica e risposero con una violenta guerriglia e vista l'impossibilità di domarla, Napoleone III richiamo le sue truppe abbandonando lo sfortunato Massimiliano che fu fucilato. 

La Cina, il Giappone e la penetrazione occidentale 

Alla metà del secolo XIX la Cina e il Giappone si trovarono a fronteggiare la pressione delle potenze europee e degli stati uniti, che miravano a imporre la loro presenza commerciale in mare e chiuse alla penetrazione occidentale. 
Conseguenze: in Cina si ebbe una crisi interna, in Giappone c'erano le premesse per la nascita di una nuova potenza mondiale.
La Cina è era lo stato più popoloso del mondo, la sua organizzazione politica era fondata su un forte potere centrale, incarnato dall'imperatore e rappresentato da una classe di potenti funzionari (i mandarini), l'agricoltura era basata su un complesso sistema di irrigazione, era legata alla burocrazia imperiale, dal momento che era allo stato a farsi carico della sistemazione idraulica dei terreni. L'impero cinese era rimasto inaccessibile ai viaggiatori e ai commercianti occidentali e, e non aveva relazioni diplomatiche con l'estero. Agli stranieri era consentito di operare solo nel porto di Canton, questo isolamento mascherato a una profonda debolezza: la società cinese aveva perso quel primato scientifico e tecnologico di cui aveva goduto; il ceto burocratico ostacolava ogni mutamento nelle tecniche produttive e nei sistemi di governo. 
Occasione dello scontro sul contrasto fra il governo imperiale e la Gran Bretagna e a proposito del commercio dell'oppio. la droga, prodotta nelle piantagioni indiane veniva esportata clandestinamente in Cina, dove il suo consumo era proibito un; ne era derivata tensione fra il governo cinese e la gran Bretagna, ritenuta responsabile. Quando la Cina fece sequestrare il carico di tutte le navi straniere il governo inglese decise di intervenire militarmente. Gli inglesi vinsero e la Cina dovette cedere alla gran Bretagna la città di Hong Kong, e aprire al commercio straniero altri quattro porti. La "prima guerra dell'oppio", e ebbe l'effetto di sconvolgere gli equilibri sociali su cui si reggeva l'impero e di far convergere su di esso le mire espansionistiche di altre potenze. La Cina si trovò ad affrontare una gravissima crisi interna, culminata con la ribellione contadina chiamata rivolta dei Taiping, è un nuovo scontro con la gran Bretagna assistita dalla Francia: il conflitto viene chiamato impropriamente " seconda guerra dell'oppio " che si concluse con una nuova capitolazione della Cina, costretta ad aprire al commercio straniero anche le vie fluviali interne. 
Negli stessi anni ci fu l'incontro-scontro fra le potenze occidentali e l'impero del Giappone. La società giapponese era organizzata secondo uno schema tipicamente feudale, l'imperatore (mikado) in era un capo religioso ed esercitava un potere simbolico. Il governo era nelle mani di una dinastia di feudatari, i Tokugawa, che si trasmettevano la carica degli Shogun: era una autorità militare, una specie di sovrano assoluto che amministrava e teneva legati a sè i grandi feudatari (daimyo) che godevano di poteri assoluti nei loro feudi. Al di sotto dei daimyo stavano i samurai, piccola nobiltà dedica al mestiere delle armi. Mercanti e artigiani erano un gruppo numericamente debole e politicamente emarginato, le proprie industrie erano sotto il diretto controllo dello shogun, attività produttiva di rilievo era all'agricoltura (in particolare la cultura del riso). I contadini versavano in condizione di notevole disagio a causa della forte pressione fiscale. Una struttura economica sociale così arcaica aveva potuto mantenersi grazie all'assoluto isolamento, il commercio con l'estero era vietato l'solo il porto di Nagasaki è aperto i mercanti stranieri. L'isolamento fu rotto dall'iniziativa delle potenze occidentali, gli Stati Uniti chiesero il libero accesso nei porti e l'apertura di relazioni commerciali, a loro si unirono la gran Bretagna, la Francia e la Russia. Lo shogun fu costretto a firmare degli accordi commerciali che assicuravano alle potenze occidentali anche possibilità di penetrazione economica.

La “restaurazione Meiji” e la nascita del Giappone moderno 

La firma dei trattati del 58 suscitò in tutto il paese un'ondata di risentimento nazionalistico, guidata dai grandi feudatari e i samurai, e si indirizzo contro lo shogun. ad esso fu contrapposta la figura dell'imperatore. I daiymo giunsero prendere iniziative autonome contro la presenza straniere in Giappone. Le forze congiunte dei sei maggiori feudi dichiararono decaduto lo shogun e diedero vita a un governo che aveva sede a Tokyo e si richiamava all'autorità dell'imperatore che acquistò l'appellativo di imperatore illuminato (Meiji Tenno). la " restaurazione Meiji".
intellettuali militari funzionari assunsero i posti-chiave nel governo una volta rovesciato lo shogun, questa élite era consapevole dell'inferiorità politica e militare del Giappone rispetto alle potenze occidentali e l'arretratezza delle sue strutture a economico-sociali: era decisa a colmare il dislivello. L'operazione fu condotta con rapidità e il Giappone compì quella transazione dal sistema feudale allo Stato moderno che nella maggior parte dei paesi europei si era realizzata in tempi lunghissimi. Nel 1871 fu proclamata l'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, e i ferri furono trasformati in circoscrizioni amministrative. Fu introdotto l'obbligo dell'istruzione elementare, fu unificata la moneta e fu creato un sistema fiscale moderno. La modernizzazione economica stava sia nell'agricoltura sia nell'industria, fu importata la tecnologia straniera. Rapida fu la crescita delle infrastrutture: ferrovie, comunicazioni telegrafiche, organizzazione bancaria.
Si compì in Giappone una " rivoluzione dall'alto", realizzata senza alcuna partecipazione attiva delle classi inferiori, non preparata dalla borghesia e non seguita da uno sviluppo della democrazia politica. Furono le classi dirigenti tradizionali a guidare la trasformazione e a gestirla in prima persona, trasformando Giappone in oligarchia industriale e finanziaria. Il processo si accompagnò alla conservazione dei tradizionali valori culturali e religiosi.
L'esperienza giapponese è stata accostata a quella della Germania bismarckiana, ma la restaurazione Meiji resta un caso assolutamente unico.

 

 

CAP. 14 LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Il capitalismo a una svolta: concentrazioni, protezionismo, imperialismo 

Il sistema dell'economia capitalistica subì delle trasformazioni: seconda rivoluzione industriale. si modificarono le tecniche produttive, nascita di nuove branche dell'industria, cambiarono i rapporti fra i vari settori della produzione, fra i poteri statali e l'economia nel suo insieme. Cambiarono i rapporti economici internazionali e le gerarchie mondiali, la gran Bretagna fu superata da Germania e Stati Uniti. 
La nuova fase ebbe inizio con una improvvisa crisi di sovrapproduzione nel 1873, caratterizzata dalla caduta dei prezzi definita grande depressione. La caduta dei prezzi fu un prodotto delle trasformazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche che permisero di ridurre i costi di produzione. Vi fu un rallentamento dei ritmi di crescita globale, il volume degli scambi commerciali continuano a crescere. Ci fu un declino dei valori della libera concorrenza. Nacquero le grandi consociazioni (holding) e per il controllo finanziario di diverse imprese, i consorzi fra aziende dello stesso settore, concentrazioni (trusts) fra imprese e prima indipendenti, che potevano essere orizzontali (aziende dello stesso settore) o verticali (imprese interessate alle diverse fasi della lavorazione di un prodotto). Queste assunsero dimensioni imponenti, negli Stati Uniti e in Germania, fino a determinare in qualche caso un regime di monopolio. Negli Stati Uniti una compagnia, la Standard Oil di Rockefeller, controllava il 90% della produzione petrolifera del paese. Solo le grandi banche o i gruppi di banche consociate potevano assicurare gli imponenti e costanti flussi finanziari necessari alla nascita e alla crescita dei colossi della siderurgia e della meccanica, della chimica e dell’elettricità, per i quali profitti, per quanto elevati, non erano sufficienti a ricostituire il capitale di investimento. Fra tante imprese si crea uno stretto rapporto di compenetrazione: le banche controllavano quote rilevanti dei pacchetti azionari dell’industria, ma magnati dell’industria sedevano nei consigli di amministrazioni delle banche. Questo intreccio  fu definito “ capitalismo finanziario “.
I governi varcarono l’aria dei loro interventi, attraverso l’inasprimento delle tariffe doganali, volto a scoraggiare le importazioni a proteggere in tal modo la produzione interna. Fu la  Germania di Bismarck a indicare la strada varando, nuovi dazi fortemente protezionistici. Solo la gran Bretagna primo paese esportatore del mondo, restò estranea alla tendenza generale, ma nel fu danneggiata, reagì rinsaldando  e ampliando il suo impero d’oltremare e intensificando gli scambi con le colonie.
 

 


la crisi agraria e le sue conseguenze 
 
Il settore dell’economia europea in cui la caduta dei prezzi si fece sentire con maggiore intensità fu quello agricolo. L’agricoltura europea realizzò progressi tecnici, concimi chimici, meccanizzazione e, opere di bonifica e di irrigazione. Questi progressi interessarono solo determinati paesi come l’Inghilterra , la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi, la Danimarca e l’Europa orientale. La persistenza del latifondo di origine feudale e delle antiche gerarchie sociali e la povertà dei coltivatori costituivano ostacoli per l’innovazione tecnologica. Negli Stati Uniti ci fu una nuova agricoltura: la disponibilità di terre da dissodare si accompagnava all’adozione di tecniche avanzate e il coltivatore poteva affrontare di investimento. I progressi della navigazione determinò un abbassamento dei costi di trasporto, consentirono ai prodotti dell’agricoltura nordamericana di raggiungere i mercati dell’ Europa che ne ricevette un colpo durissimo, il declino o la rovina di molte aziende agricole con conseguente aumento delle tensioni sociali entro il mondo rurale e l’intensificazione dei movimenti migratori verso le aree industriali e verso i paesi d’oltreoceano. Per far fronte alle conseguenze della crisi agraria i governi europei finirono per imboccare la strada dell’protezionismo, però i dazi doganali non impedirono un generale declino del settore agricolo dell’economia europea.

scienza e tecnologia

fra il 1870 e il 1900 fecero la loro prima apparizione a la lampadina è l’ascensore elettrico, il motore a scoppio, i pneumatici, il telefono, il g fumo, la macchina da scrivere, la bicicletta, il tram elettrico, l’automobile. È stato soprattutto questo proposito che si e parlato di seconda rivoluzione industriale, vi furono anche a dei progressi realizzati dalle scienze fisiche e chimiche, le scoperte di Hertz sulle onde elettromagnetiche. Ma la vera novità fu l’applicazione delle scoperte ai vari rami dell’industria.

le nuove industrie

gli sviluppi più interessanti si concentrarono in industrie giovani, come la chimica ho al ramo della metallurgia che produceva l’acciaio e il settore elettrico. L’acciaio (lega di ferro e carbonio) con l’impiego di nuove tecniche fu possibile produrne grandi quantità a costi relativamente modesti e trovò infinite applicazioni: rotaie delle ferrovie, con razze delle navi da guerra, utensili domestici, macchine industriali, edifici, ponti. In occasione dell’esposizione universale di Parigi, l’ingegnere francese Alexandre Eiffel ne realizzò una torre. Non meno importanti furono gli sviluppi della chimica. La crescita delle nuove industrie fece aumentare la domanda di prodotti “ intermedi “ cioè destinati ad essere impiegati come reagenti chimici in altre lavorazioni (acido solforico, la soda). Legato ai progressi della chimica fu lo sviluppo dei settori farmaceutici e alimentare. Per l’industria alimentare la svolta fu l’invenzione di nuovi metodi per la sterilizzazione, la conservazione, l’inscatolamento dei cibi e la refrigerazione.

Motori a scoppio ed elettricità

La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata un’invenzione motore a scoppio e dall’utilizzazione sempre più larga dell’elettricità. Due ingegneri tedeschi riuscirono a, separatamente, a montare il motore a scoppio su veicoli a ruote, realizzando così, nel 1885, le prime automobili Tom. Il combustibile è era un distillato del petrolio che prese poi il nome di benzina, Diesel in tentò il motore a nafta che porta ancora il suo nome. I primi apparecchi elettrici  (la pila di Volta) risalivano ai primi decenni dell’800, la prima applicazione su vasta scala siede con lo sviluppo della telegrafia via filo. L’invenzione decisiva una lampadina ideata da Edison nel 1879. Nacquero le prime grandi centrali termiche capaci di fornire energia elettrica a interi quartieri urbani. Con l’energia idrica si costruirono le centrali idroelettriche. Il telefono fu inventato da Meucci nel 1871.

le nuove frontiere della medicina

anche la medicina subì un’evoluzione profonda, la trasformazione scientifica della medicina si fondo sulla diffusione delle pratiche igieniste, sullo sviluppo della microscopia ottica, se progressi della chimica e della farmacologia, sulla nuova ingegneria sanitaria con la costruzione dei grandi “policlinici“. 

Il boom demografico 

La rivoluzione tecnologica non si limitò a cambiare la qualità della vita degli abitanti ma ne allungò considerevolmente la durata media. Il boom demografico dell’Europa del nord America è cominciato in coincidenza con la rivoluzione industriale. I progressi della medicina e dell’igiene, sommandosi allo sviluppo dell’industria alimentare, determinarono in Europa una riduzione della mortalità, si ebbe così un sensibile aumento della popolazione.

 

 

 

CAP 15: IMPERIALISMO E COLONIALISMO

La febbre coloniale

negli ultimi decenni del secolo XIX , la tendenza delle potenze ad espandersi, a costruire imperi coloniali nei territori d’oltremare, conobbe una forte accelerazione. La nuova scansione venne assunta come un obiettivo di politica nazionale da parte dei governi. Alla penetrazione commerciale subentrò l’assoggettamento politico e di sfruttamento economico.
La tendenza di imporre un controllo a territori dell'Africa, dell'Asia e del pacifico, che furono ridotti a veri e propri colonie (assoggettati all'amministrazione diretta dei conquistatori) o di protettorati (il controllo è esercitato in modo indiretto, conservando gli ordinamenti preesistenti). I territori delle potenze protette vennero ampliati -> la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, il Belgio, l'Italia, in Giappone e gli Stati Uniti. la febbre coloniale dilagava in tutta Europa, i fattori all'origine erano gli interessi economici, l'accaparramento di materie prime a basso costo, gli sbocchi commerciali e gli investimenti ad alto profitto. Le motivazioni politico-ideologiche erano il nazionalismo, la politica di potenza, razzismo e spirito missionario. Le grandi esplorazioni ebbero per teatro soprattutto l'Africa, con la prospettiva di grandi ricchezze nascoste nei territori per esplorare. Il risultato fu che, alla fine del processo di espansione, il mondo intero risultò spartito in imperi e zone di influenza fra le maggiori potenze. 

Colonizzatori e colonizzati 

Le conquiste coloniali furono segnate da l'uso sistematico e indiscriminato della forza contro le popolazioni indigene, soprattutto nell'Africa nera, ci furono frequenti rivolte delle popolazioni locali contro i nuovi dominatori che si concludevano spesso con veri e propri massacri. Dal punto di vista economico, ci furono effetti positivi sui paesi che ne furono investiti: vennero messi a coltura nuove terre, introdotto nuove tecniche agricole, costruite infrastrutture, avviate attività industriali e commerciali; tutto ciò a prezzo di un depauperamento di risorse materiali e umane, un vero e proprio sfruttamento coloniale. La trasformazioni delle economie dei paesi sottomessi furono orientate verso le esportazioni, fu messo in moto un processo di sviluppo in funzione degli interessi dei colonizzatori; nuovi paesi passarono dalla povertà al "sottosviluppo". i sistemi culturali legate strutture politico-sociali più organizzate come dell'Asia e del Nord Africa si difesero meglio: seppero opporre una resistenza più consapevole agli apporti estranei che la presenza europea inseriva nella loro società, finirono poi con l'assimilare questi apporti. diverso fu il caso dell'Africa più arcaica, animista e pagana, le trasformazioni prodotte dalla presenza degli europei alterarono gli equilibri delle comunità di tribù e di villaggio e gli stessi universi culturali. sul piano politico però, l'espansione coloniale finì col favorire la formazione o il risveglio di nazionalismi locali, il bisogno di autogovernarsi e di decidere il proprio destino.

Espansione in Asia

Gli europei avevano già messo radici profonde nel continente asiatico, dare un nuovo impulso fu l'inaugurazione nel 1869 del canale artificiale di Suez, che metteva in comunicazione il Mediterraneo col Mar Rosso, abbreviando i collegamenti marittimi fra l'Europa e l'Asia. La nuova via fu gestita da una compagnia internazionale controllata da Francia e Gran Bretagna. L'espansione subì una accelerazione seguendo il consolidamento della dominazione inglese in India, la penetrazione della Francia nella penisola indocinese, avanzata dell'Impero russo verso l'Asia centrale e l'Estremo Oriente. l'India fu governata e amministrata da una compagnia privata, la compagnia delle Indie orientali, che agiva come una diretta emanazione del governo inglese. la dominazione inglese non aveva mutato di molto i caratteri della società indiana, l'economia restava fondata su un'agricoltura poverissima e arretrata, l'effetto della presenza inglese è stato quello di distruggere, con l'importazione di tessuti dalla gran Bretagna, l'industria cotoniera locale. La struttura sociale era basata su una rigida divisione in caste, il potere statale rappresentato dall'antico impero Moghul, era carente, il senso dell'appartenenza alla casta o alla comunità locale prevaleva su qualsiasi legame con l'autorità centrale. I colonizzatori inglesi si erano appoggiati sui sacerdoti induisti (brahmini) per assicurare l'ordine e la riscossione delle imposte, i loro tentativi di avviare un processo di modernizzazione, diffondendo la lingua inglese la cultura occidentale, provocarono reazioni di stampo tradizionalistico-religioso. Soppressa nel 1858 la Compagnia delle Indie, il paese passò sotto la diretta amministrazione della corona britannica, rappresentata da un viceré. La regina Vittoria fu proclamata imperatrice dell'India. La penisola indocinese, abitata da popolazioni di religione buddista, era divisa in una serie di regni, (l'attuale Vietnam) Siam (oggi Thailandia) e Cambogia. La penetrazione francese, avviata sull'onda della guerra dell'oppio, che si limitò alle numerose missioni cattoliche, furono le persecuzioni contro i missionari a favorire il pretesto per un intervento militare: la Francia riuscì a estendere il suo protettorato a tutto l'Annam, la gran Bretagna, per evitare che i possedimenti francesi giungessero a ridosso dell'India, procedette all'occupazione del regno di Birmania. La Francia rispose, assicurandosi il Laos. Quanto al Siam, si accordarono per mantenerlo indipendente. Sul fianco orientale dell'India, la gran Bretagna doveva guardarsi dalla Francia, su quello nord-occidentale della Russia. L'impero zarista seguiva due direttrici di espansione: i verso la Siberia e l'Estremo Oriente e verso l'Asia centrale. La Siberia vidi incrementate le attività produttive commerciali. Il governo zarista ritenne opportuno rinunciare all'Alaska, venduto agli Stati Uniti. Nel 1891 fu avviata la costruzione della ferrovia transiberiana, la più lunga del mondo che, completata nel 1904, collegò Mosca a Vladivostok (9 mila chilometri), l'impero zarista riuscì a incamerare l'intera regione del Turchestan, fronteggiandosi a lungo con la gran Bretagna fino a giungere a un accordo, con cui si definivano le frontiere fra il Turchestan e il Regno dell'Afghanistan, che veniva mantenuto e dipendente. Anche gli arcipelaghi del pacifico vendere inglobata negli imperi coloniali inglese e tedesco. La Gran Bretagna dominava sulla Australia e la Nuova Zelanda, isole Figi, le Salomone e le Marianne, la nuova Guinea fu divisa fra tedeschi e inglesi. Nell'area del Pacifico e si andavano affacciando due nuove potenze: il Giappone e gli Stati Uniti. In seguito a contrasti per la Corea, stato della Cina, i giapponesi mossero guerra all'impero cinese e dovette rinunciare a la Corea e cedere a Giappone vari territori. La prospettiva di uno sgretolamento dell'impero provocò la nascita di un movimento conservatore, nazionalista e xenofobo che si proponeva la restaurazione integrale delle antiche tradizioni imperiali. Trovò suo braccio armato e in una società segreta e paramilitare, nota come movimento dei boxers,nel 1900, in seguito a violenze compiute dai boxers contro la presenza straniera, le grandi potenze si accordarono per un intervento militare congiunto della rivolta fu sedata e Pechino venne occupata.

Le origini dell'imperialismo americano

gli Stati Uniti d'America proiettarono verso l'esterno il  loro prorompente dinamismo economico, assicurandosi il controllo di territori anche lontani: di praticare una sorta di " imperialismo informale " fondato sull'esportazione di merci e dei capitali. L'espansionismo statunitense si esercitò in due direzioni, verso il Pacifico e verso l'America Latina. La manifestazione della nuova politica si ebbe con l'intervento a Cuba dove i, era in atto una violenta rivolta contro i dominatori spagnoli, la fondamento di una corazzata americana nel porto dell'Avana, portò alla guerra contro la Spagna, che fu sconfitta, Cuba divenne una repubblica indipendente, sottoposto alla tutela degli Stati Uniti che si assicurarono, oltre al controllo di Caraibi, anche un dominio in Asia orientale.

la spartizione dell'Africa

Quando gli europei procedettero alla conquista dell'Africa ben poco restava in piedi delle antiche civiltà locali, la regione sahariana e quella della costa nord-occidentale erano controllate da regni musulmani, cristiano era invece l'impero etiopico.
Elementi di coesione politica o religiosa erano assenti nell'Africa centrale e meridionale, quelle che restavano erano società tribali disaggregate, dedite la caccia, alla pastorizia nomade o a un’agricoltura primitiva, dissanguate dalla tratta degli schiavi e terribili lotte.
I primi atti della nuova espansione furono l'occupazione francese della Tunisia, nel 1881, e quella inglese dell'Egitto; in entrambi i paesi, le potenze europee avevano consistenti interessi economici e strategici. La Tunisia, l'Algeria e l'Egitto erano sotto l'influenza francese, quest'ultima aveva un’importanza fondamentale per la Gran Bretagna dopo la costruzione del canale di Suez.
Un nuovo l'Egitto e la Tunisia si erano lanciati in programmi di modernizzazione, che avevano finito però col dissestare le finanze dei due paesi, costretti ad aumentare la pressione fiscale, così fecero salire il debito nei confronti delle banche europee. Per tutelarsi Francia Inghilterra, paesi creditori, scelsero la strada dell'intervento militare: la Francia inviò un contingente militare a Tunisi e impose un regime di protettorato.

 

In Egitto la nascita di un forte movimento nazionalista, parve mettere in pericolo il controllo internazionale sul canale di Suez e in seguito allo scoppio dei moti anti europei ad Alessandria, il governo inglese inviò in Egitto un corpo di spedizione che sconfisse le truppe e assunse il controllo del paese. Da allora l'Egitto divenne di fatto una semicolonia britannica.
Gli inglesi si trovarono impegnati nel Sudan dove era scoppiata una rivolta capeggiata dal Mahdi, integralista islamico che lanciò le tribù sudanesi in una guerra santa contro le forze anglo-egiziane, sconfiggendole a più riprese, conquistando la città di Khartun e fondando un proprio Stato. L'azione dell'Inghilterra in Egitto provocò il risentimento della Francia, suscitando rivalità e contribuì a scatenare la corsa alla conquista dell'Africa nera.
I primi contrasti vi furono nel bacino del Congo, dove re Leopoldo II del Belgio si era costruito una sorta di impero personale che suscitò l'opposizione del Portogallo, che rivendicava la foce del Congo per la contiguità con la sua vecchia colonia dell'Angola. La questione fu oggetto di una conferenza internazionale a Berlino: il principio adottato fu quello della effettiva occupazione come unico titolo atto a legittimare il possesso di un territorio. In concreto, la conferenza riconobbe la sovranità personale di re Leopoldo sull'immenso territorio Congo belga (Zaire) che allora si chiamò stato libero del Congo. Alla Francia andarono l'attuale Repubblica del Congo, alla Germania il Togo e il Camerun, all'Inghilterra il basso Niger (l'attuale Nigeria) la Francia si assicurò il possesso dell'alto corso del fiume, territori immensi, anche se in gran parte desertici, che si estendevano dall'Atlantico al Sudan, dal bacino del Congo al Mediterraneo.
La Gran Bretagna si concentrò sull'Africa sud-orientale per il controllo dell'Oceano Indiano, si impadronì del Kenya e dell'Uganda. Questo disegno si scontrava però con la Germania che si era assicurata il controllo del Tanganika, ma il contrasto fu regolato da un trattato e l’Inghilterra riconobbe l'Africa orientale tedesca ricevendo Zanzibar, in questa regione gli inglesi si trovarono in rotta di collisione con i francesi, un contingente dell'esercito britannico si incontrò con una colonna francese che aveva occupato la fortezza di Fascioda sul Nilo. L'incontro rischiò di trasformarsi in un conflitto ma il governo francese acconsentì a ritirare le sue truppe e ne seguì una distensione nei rapporti franco-inglesi.
All'inizio del 900, la spartizione dell'Africa era pressoché completa, oltre alla Liberia un'restavano indipendenti l'impero etiopico, la Libia e il Marocco.

Il Sudafrica nella guerra anglo-boera

Alla colonizzazione dell'Africa australe l'imperialismo europeo britannico si scontrò con un nazionalismo locale di origine europea, quello boero, provocando un conflitto coloniale fra i due popoli bianchi cristiani. I boeri che avevano colonizzato la regione del Capo di Buona Speranza erano caduti sotto la sovranità dell'Inghilterra quando aveva ottenuto la colonia, molti di loro avevano dato vita a un massiccio esodo verso nord, dove avevano fondato le due repubbliche dell'Orange e del Transvaal, ma la scoperta di giacimenti di diamanti in quel luogo risvegliò l’interesse della Gran Bretagna, che lasciò mano libera alla politica aggressiva. Promotore di questa politica fu Rhodes, primo ministro della Colonia del Capo, che aveva il quasi monopolio della produzione diamantifera. La scoperta di nuovi giacimenti auriferi attirò nelle due repubbliche un gran numero di immigrati inglesi e i boeri videro il pericolo di una “ricolonizzazione”, la tensione crebbe finché non fu il presidente del Transvaal a dichiarare guerra all' Inghilterra. I boeri furono sconfitti e i territori furono annessi all'impero britannico, in seguito però, ottennero uno stato di autonomia e diedero vita all' Unione sudafricana.

 

 

 

 

CAP 16 STATO E SOCIETA’ NELL’ITALIA UNITA

L’Italia nel 1861

Al momento dell’unità l’Italia aveva un tasso medio di analfabetismo pari al 78%, pochissimi facevano uso corrente della lingua italiana.
L’Italia era uno dei paesi europei con il maggior numero di città, ma la maggior parte di esse era priva di attività produttive di rilievo. La maggioranza degli italiani viveva nelle campagne e traeva i suoi mezzi di sostentamento dalle attività agricole -> l’agricoltura occupava il 70% della popolazione e contribuiva per il 58% al prodotto lordo, ma nel suo complesso non era affatto favorita dalle condizioni naturali; solo nella zona irrigua della Pianura Padana si erano sviluppate aziende agricole moderne che univano l’agricoltura all’allevamento dei bovini e impiegavano manodopera salariata. Il tutta l’Italia centrale dominava la mezzadria -> la terra era divisa in poderi, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, ciascun podere produceva il necessario per la famiglia che viveva e lavorava sul fondo e per il pagamento del canone in natura dovuto al padrone -> Il contratto era basato sulla ripartizione degli oneri e dei ricavi fra il proprietario e il coltivatore (corrispondeva al proprietario metà del prodotto). Il regime di mezzadria costituì un ostacolo all’innovazione tecnica e allo sviluppo di un’agricoltura moderna.
Nel Mezzogiorno e nelle isole, le campagne meridionali portavano l’impronta del latifondo: grandi distese con la popolazione concentrata in pochi e grossi borghi rurali; i contratti agrari erano basati sullo scambio in natura, e i rapporti fra i signori e i contadini erano caratterizzati da forme di dipendenza personale. L’autoconsumo e lo scambio in natura rappresentavano, al momento dell’unità, una realtà largamente diffusa.
Mancava un sistema di comunicazioni rapide fra le varie parti della penisola. Una rete ferroviaria nazionale era in pratica inesistente, al nord c’erano strade ferrate e la rete stradale era gravemente carente al sud. Vaste zone del paese erano impraticabili.
Fra gli uomini politici settentrionali ben pochi avevano diretta delle condizioni del Mezzogiorno; lo stesso Cavour non si era mai spinto a sud di Firenze. Gli uomini cui toccò il difficile compito di realizzare la vera unificazione del paese, dopo quella politica, si trovarono di fronte a una realtà mal conosciuta e mal compresa.

La classe dirigente: Destra e Sinistra

Nel 1861 poche settimane dopo la proclamazione dell’unità, moriva in conte Cavour, i suoi successori si attennero alla politica da lui già impostata una politica rispettosa delle libertà costituzionali, accentratrice, liberista in campo economico, laica.
Il gruppo dirigente che governò il paese nel primo quindicennio di vita unitaria era diverso per provenienza geografica, per formazione culturale e per esperienze politiche, questi uomini formavano tuttavia un gruppo dirigente abbastanza omogeneo. Nei primi parlamentari dell’Italia unita, la maggioranza si collocava a destra, più che una forza di destra, essa costituiva un gruppo di centro moderato: la vera destra si era autoesclusa dalle istituzioni in quanto non ne riconosceva la legittimità. un fenomeno analogo si verificò nella sinistra democratica, i mazziniani rifiutarono di partecipare e la Sinistra si appoggiava su una base sociale più ampia dai gruppi piccolo e medio-borghesi delle città, gruppi di operai e artigiani. La Sinistra si contrappose alla maggioranza moderata facendo proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale: il suffragio universale, l'il decentramento amministrativo, il completamento dell'unità, da raggiungersi tramite la ripresa dell'iniziativa popolare. Destra e Sinistra erano entrambi espressione di una classe dirigente molto ristretta, la legge elettorale concedeva infatti diritto di voto solo quei cittadini che avessero compiuto i 25 anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di imposte all'anno. Gli iscritti nelle liste elettorali erano meno del 2% della popolazione totale e del 7% dei maschi adulti, bastavano poche centinaia di voti per eleggere un deputato; risultava così esasperato il carattere oligarchico e personalistico della vita politica. La lotta politica si imperniava su singole personalità più che su programmi definiti. 
Questi caratteri della vita politica e ebbero l'effetto di accentuare l'isolamento della classe dirigente.

Lo Stato accentrato, il Mezzogiorno, il brigantaggio

I leader della Destra erano disposti a riconoscere in teoria la validità di un sistema decentrato, basato sull'autogoverno delle comunità locali. Nei fatti, però, prevalsero le esigenze che spingevano i governanti a stabilire un controllo stretto capillare su tutto il paese -> un modello di Stato accentrato, basato cioè su ordinamenti uniformi per tutto il tuo Regno e su una rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro.
Le premesse dell'accentramento statale erano implicite nel modo stesso in cui si era giunti all'unificazione del paese, mediante successive connessioni al Regno di Sardegna. Decisiva è bastata l'opera svolta dal ministero La Marmora che aveva varato senza alcun controllo parlamentare leggi come la legge Casati sull'istruzione -> creava un sistema scolastico nazionale e stabiliva il principio dell'istruzione elementare obbligatoria; la legge Rattazzi sull'ordinamento comunale e provinciale -> affidava il governo dei comuni a un consiglio eletto e a un sindaco, questa legge fu estesa poi a tutto il Regno in via definitiva con la legge di unificazione amministrativa del governo Ricasoli. Ciò che spinse la classe dirigente a scegliere questa soluzione e ad accantonare ogni progetto di decentramento amministrativo fu la situazione del Mezzogiorno dove il malessere delle masse contadine si sommò a una diffusa ostilità verso il nuovo ordine politico, che non aveva portato nessun mutamento. tutte le regioni del Mezzogiorno continentale erano percorse da bande di irregolari, dove i briganti veri e propri si mescolavano ai contadini insorti, le bande assalivano i piccoli centri e li occupavano, massacrando i notabili liberali e incendiando gli archivi comunali. I governi postunitari reagirono rafforzando i contingenti militari già presenti nel sud. Nel 63, il Parlamento approvò una legge che istituiva, nelle provincie dichiarate “in stato di brigantaggio” un regime di guerra: tribunali militari per giudicare i ribelli, fucilazioni. Il “grande brigantaggio” fu sconfitto. Rimasero però irrisolti i nodi politici e sociali che avevano reso possibile la diffusione del fenomeno, mancò l’attuazione di una politica capace di ridurre la cause del malcontento -> legate alle aspirazioni contadine alla proprietà della terra.
Non ottenne risultati la vendita dei terreni dell’asse ecclesiastico, patrimonio fondiario appartenente a ordini e congregazioni religiose, che non servì a migliorare la situazione dei piccoli proprietari e dei contadini senza terra, che non erano in grado di concorrere all’acquisto dei fondi. Le scelte di politica economica messe in atto dai governi della Destra si rivelarono tutt’altro che vantaggiose per l’economia del Mezzogiorno; ne risultò accentuato il divario fra le regioni del Sud e quelle del Centro-Nord.

La politica economica: i costi dell’unificazione

Esisteva anche il problema dell’unificazione economica del paese -> si trattava di uniformare sistemi monetari e fiscali diversi, rimuovere la barriere doganali, costruire un’efficace rete di comunicazioni stradali e ferroviarie per la formazione di un mercato nazionale.
La classe dirigente moderata si mosse sulla strada percorsa da Cavour -> la legislazione doganale vigente nel Regno sardo fu estesa al territorio dei vecchi Stati; rapido fu lo sviluppo delle vie di comunicazione. Ne trassero giovamento le produzioni agricole più specificamente rivolte all’esportazione delle colture specializzate, con progressi in termini di incremento produttivo. Nessun vantaggio immediato venne invece al settore industriale, che fu penalizzato dall’accresciuta concorrenza internazionale; declinarono così i settori siderurgico e meccanico.
La scommessa liberista dei governi postunitari ebbe effetti positivi: consentì una rapida integrazione del nuovo Stato nel contesto economico europeo, lo sviluppo agricolo rese possibile, inoltre, una accumulazione di capitali che consentirono la realizzazione delle cosiddette infrastrutture.
Dopo un ventennio di vita unitaria, l’Italia era una nazione più unita, più avanzata politicamente e civilmente, ma non era un paese molto più ricco di quanto già non fosse, il tenore di vita non aveva registrato mutamenti di rilievo, responsabile fu la dura politica fiscale per coprire i costi dell’unificazione. 
La situazione si aggravò dopo la guerra contro l’Austria, per rinsanguare le casse dello Stato, i governi ricorsero, nel 67, il corso forzoso, ossia la circolazione obbligatoria della carta-moneta emessa dalle banche autorizzate (lo Stato non era più tenuto a convertire in oro i biglietti di banca e poteva autorizzarne la stampa in maggior quantità). Infine, furono inasprite le imposte, ne fu varata una nuova: quella sulla macinazione dei cereali -> tassa sul macinato, si trattava in pratica di una tassa sul pane, che colpiva le classi più povere. Questa tassa accrebbe l’impopolarità della classe dirigente e provocò agitazioni sociali su scala nazionale della storia dell’Italia unita. La repressione fu durissima, con largo impiego dell’esercito.
La politica di duro fiscalismo ottenne alla fine gli effetti sperati -> le condizioni del bilancio statale migliorarono fino a raggiungere il pareggio.

 

Il completamento dell’unità

Fra i molti compiti che i governi della Destra storica furono chiamati ad assolvere c’era anche quello di completare l’unità -> riunire alla madrepatria il Veneto, il Trentino, Roma e il Lazio. I leader della Destra si affidavano ai tempi lunghi delle vie diplomatiche, la Sinistra restava fedele all’idea della guerra popolare e vedeva nella lotta per la liberazione di Roma l’occasione per un rilancio dell’iniziativa democratica.
Era la presenza del Papa a Roma a costituire il problema più spinoso per via dei rapporti con la Francia, che manteneva un suo corpo di occupazione a Roma e costituiva per l’Italia l’alleato più sicuro. La questione era grave poiché i cattolici rappresentavano la maggioranza della popolazione e nella scuola pubblica erano gli ecclesiastici a fornire quasi la metà del corpo insegnante. Cavour, che si era espresso sulla questione con la frase “libera Chiesa in libero Stato”, aveva già avviato trattative informali con il Vaticano -> assicurava al clero e al papa piena libertà di esercitare il proprio magistero spirituale, in cambio della rinuncia al potere. Le proposte cavouriane si scontrarono però con papa Pio IX. Il fallimento di questi tentativi finì col ridare spazio all’iniziativa dei democratici. Garibaldi tornò in Sicilia e rilanciò il progetto di una spedizione contro lo Stato pontificio, ma il disegno di ripetere il gioco si rivelò impraticabile. Quando Napoleone III fece capire di essere deciso a impedire con la forza un attacco contro Roma, Vittorio Emanuele II fu costretto a sconfessare l’impresa garibaldina. Quindi decretò lo stato d’assedio in Sicilia e nel mezzogiorno. 2000 volontari sbarcati in Calabria sotto il comando di Garibaldi furono intercettati all’Aspromonte dall’esercito regolare, Garibaldi fu ferito e arrestato.
Preoccupati di ristabilire i rapporti con la Francia, i governanti italiani riannodarono le trattative con Napoleone III e conclusero un accordo, la “Convenzione di settembre” dove si impegnavano a garantire il rispetto dei confini dello Stato pontificio, ottenendo il ritiro delle truppe francesi dal Lazio.
Il governo trasferì la capitale da Torino a Firenze.
La liberazione del Veneto fu offerta da una proposta di alleanza militare italo-prussiana rivolta al governo italiano da Bismarck, che si apprestava allora ad affrontare la guerra con l’Impero asburgico e rese possibile la grande vittoria prussiana a Sadowa. Ma, per le forze armati nazionali la guerra si risolse in un insuccesso.
La Prussia avviò le trattative per l’armistizio e dalla pace di Vienna del 1866 l’Italia ottenne il solo Veneto.
La situazione creata dopo l’esito deludente della guerra con l’Austria diede slancio ancora una volta all’attività dei gruppi democratici d’opposizione. Mazzini intensificò la propaganda per una rifondazione repubblicana dello Stato.
Garibaldi ricominciò a progettare una spedizione a Roma. L’azione dei volontari avrebbe dovuto appoggiarsi su un’insurrezione preparata dagli stessi patrioti romani; si sperava di evitare così l’intervento francese. Ma i calcoli si rivelarono errati. Il governo francese infatti, inviò un corpo di spedizione nel Lazio e l’insurrezione a Roma fallì.
Il governo italiano decise di mandare un corpo di spedizione nel Lazio e di avviare un negoziato col papa ma Pio IX rifiutò ogni accordo.
Nel 1870 le truppe italiane, con una breccia entrarono nella città presso Porta Pia e un plebiscito sanzionava a schiacciante maggioranza l’annessione di Roma e del Lazio.
Il trasferimento della capitale da Firenze a Roma fu effettuato nell’estate del 1871, dopo che lo Stato italiano ebbe regolato con una legge i rapporti con la Santa Sede -> La legge delle guarentigie (cioè delle garanzie) con la quale il Regno d’Italia garantiva al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale; nel complesso la Chiesa guadagnò libertà e capacità d’influenza.
Il papa comunque restò intransigente nei confronti dello Stato e l’invito ad astenersi da ogni partecipazione alla vita politica dello Stato, rivolto dal clero ai cittadini, si trasformò in un esplicito divieto con la formula del non expedit (“non è opportuno” che i cattolici partecipino alle elezioni politiche).

La sinistra al potere

Negli anni 70 si verificarono nel quadro politico italiano dei mutamenti.
Aumentò il numero dei deputati “di centro”, si accentuarono le fratture interne alla Destra e accanto alla vecchia Sinistra piemontese, guidata da Agostino Depretis, e alla cosiddetta Sinistra Storica (ex garibaldini come Crispi, Cairoli e Zanardelli) veniva emergendo una Sinistra giovane, attenta alla tutela dei propri interessi.
A mettere in crisi la maggioranza fu La Destra, che si presentò divisa nella discussione alla Camera di un progetto per la gestione statale delle ferrovie -> il governo presentò le dimissioni. Il re chiamò a formare il nuovo governo Depretis, che costituì un ministero formato da uomini della Sinistra. Nelle elezioni la Sinistra riportò un netto successo. con la rivoluzione parlamentare del 1876, si apriva una nuova fase nella storia politica dell'Italia unita. Si allontanava l'età delle lotte risorgimentale mentre scomparivano Mazzini e Vittorio Emanuele II (cui successe il figlio Umberto I) Pio IX e Garibaldi. La Sinistra parlamentare aveva accolto nel suo seno componenti moderate o conservatrici, la nuova classe dirigente riuscì a esprimere il desiderio di democratizzazione della vita politica e tentò di allargare le basi dello Stato, seppe venire incontro alle esigenze di una borghesia in crescita. Il protagonista fu Depretis, capo del governo per oltre dieci anni e. Il programma della Sinistra era: allargamento del suffragio elettorale, riforma dell'istruzione elementare che ne assicurasse l'effettiva obbligatorietà e gratuità, sgravi fiscali soprattutto nel settore delle imposte indirette, a decentramento amministrativo. quest'ultimo fu accantonato.
La prima riforma attuata fu quella dell'istruzione elementare con la legge Coppino -> ribadiva l'obbligo della frequenza scolastica portandolo fino a nove anni. Restavano tuttavia irrisolti i modi che impedivano una reale attuazione dell'obbligo scolastico e che erano legati alle condizioni di povertà, alla insufficiente capacità dei comuni di provvedere ai compiti loro spettanti.
L'ampliamento del suffragio avvenne con la nuova legge elettorale del 1882, che concedeva il diritto di voto a tutti i cittadini che avessero compiuto il ventunesimo anno di età e avessero superato l'esame finale del corso elementare obbligatorio, o dimostrassero di saper leggere e scrivere. Il requisito del censo era mantenuto, in alternativa a quello dell'istruzione, e contemporaneamente abbassato di circa la metà. Grazie la nuova legge accedeva alle urne la piccola borghesia urbana, gli artigiani e gli operai del nord.
Furono le preoccupazioni suscitate dall'allargamento del suffragio e dal conseguente prevedibile rafforzamento dell'estrema sinistra a favorire quel processo di convergenza fra le forze moderate che nacque da un accordo elettorale fra Depretis e il leader della Destra che prese il nome di " trasformismo ". A la sostanza stava nel venir meno delle tradizionali distinzioni ideologiche fra destra e sinistra e nella rinuncia, da parte di quest'ultima, a una precisa caratterizzazione programmatica. Si compiva così un mutamento nella fisionomia della Camera, sostituendo a un modello "bipartitico" un altro basato su un grande centro che tendeva a inglobare le opposizioni moderate e a emarginare le ali estreme.
La svolta moderata di Depretis ebbe come conseguenza il definitivo distacco dalla maggioranza dei gruppi democratici più avanzati, questo gruppo fu chiamato radicale.

Crisi agraria e sviluppo industriale

Cause della caduta della Destra: malcontento provocato dalla sua politica economica, sia fra i ceti popolari, gravati dalle imposte, sia fra la borghesia produttiva, desiderosa di una linea che incoraggiasse gli investimenti. I governi della Sinistra cercarono di andare incontro a queste esigenze -> la tassa sul macinato fu ridotta e abolita del tutto nell'84, fu aumentata la spesa pubblica per coprire le accresciute esigenze militari e terre accontentare le richieste dei gruppi di interesse. Questa politica avvio un processo di industrializzazione, provocò la ricomparsa di un forte e crescente deficit nel bilancio statale. Gli sviluppi dell'agricoltura erano stati più quantitativi che qualitativi, non avevano modificato nella sostanza i rapporti di produzione nè comportato progressi nelle tecniche e, a mutamenti significativi si erano avuti nella Bassa Padana con i lavori di bonifica, in tutto il resto d'Italia la situazione dell'agricoltura non era cambiata né molto migliorate erano le condizioni dei lavoratori delle campagne, sottopagati, malnutriti e analfabeti.
nel 1881 l'Italia cominciò a risentire gli effetti della crisi agraria che si manifestò con un abbassamento dei prezzi, un calo della produzione e un aumento della conflittualità nelle campagne, comma un rapido incremento dei flussi migratori verso i centri urbani e verso l'estero, abbandonarono definitivamente l'Italia più di due milioni di persone. La crisi agraria costituì un fattore di ritardo per il decollo industriale italiano. Gli esponenti della Sinistra erano avversi in linea di principio all'intervento dello Stato nell'economia, queste convinzioni liberiste furono però scosse dall'andamento dell'economia nazionale. Un primo mutamento di rotta si ebbe con i dazi doganali. Nel 1884 un nuovo grande complesso siderurgico, le Acciaierie di Terni, fu realizzato con l'aiuto dello stato, ma l'industria siderurgica non potendosi reggere sulle sole commesse statali, aveva bisogno per sopravvivere di una elevata protezione doganale, si giunse così al varo di una nuova tariffa generale -> produsse una serie di conseguenze negative e accentuò gli squilibri fra i vari settori dell'economia e fra le varie zone del paese: I dazi doganali non proteggevano in modo uniforme i diversi comparti produttivi, al forte sostegno alla siderurgia si scontrava la scarsa protezione dell'industria meccanica e il declino dell'industria della seta. L'introduzione del dazio sul grano provocò un rialzo del prezzo dei cereali che danneggiò i consumatori, venne colpito il settori delle culture specializzate in, che si reggeva sulle esportazioni. La tariffa è ebbe come conseguenza una rottura commerciale degenerata in una guerra doganale con la Francia.

La politica estera: la Triplice alleanza e l'espansione coloniale

per la politica estera italiana gli anni della sinistra segnarono una svolta decisiva: svolta che si compì nel 1882, quando il governo Depretis, a basato sul mantenimento di buone relazioni con la Francia, stipulò con la Germania e la Austria-Ungheria il trattato della Triplice alleanza. Rappresentava una netta rottura con la tradizione risorgimentale. Il movente era di natura internazionale le stava nel desiderio di uscire da una situazione di isolamento diplomatico, che era apparsa in tutta la sua evidenza dall'affare tunisino. L'Italia considerava la Tunisia, per la vicinanza e per la presenza di immigrati siciliani, come il naturale sbocco di una sua eventuale azione coloniale; l'ma non aveva potuto opporsi quando a muoversi era stata la Francia.
Per uscire dall'isolamento, l'Italia non aveva altra strada se non quella dell'accordo, la triplice era un'alleanza di carattere difensivo, impegnava gli Stati firmatari a garantirsi reciproca assistenza in caso di aggressione. L'Italia veniva coinvolta senza ottenere alcun vantaggio immediato, anzi rinunciando alla rivendicazione delle terre del Trentino e la Venezia Giulia dal dominio austriaco.
In occasione del rinnovo della Triplice, furono inserite nel trattato due nuove clausole: modifiche territoriali nei Balcani di comune accordo fra Italia e Austria, la Germania si impegnava a intervenire a fianco dell'Italia in caso di un conflitto in Marocco e in Tripolitania provocato dai francesi.
Il governo aveva ritenuto opportuno porre le basi per una piccola iniziativa coloniale nell'Africa orientale e acquistò la baia di Assab con successivo invio di un corpo di spedizione che procedette all'occupazione della zona che confinava con l'impero etiopico o Abissinia, e s molto arretrato con una popolazione di fede cristiana in cui l'autorità dell'imperatore (negus) era limitata rispetto a quella dei signori locali (ras). quando tentarono di allargare il loro controllo territoriale verso l'interno, dovettero scontrarsi con la reazione del negus Giovanni IV e dei ras locali, 500 militari italiani furono sorpresi dalle truppe abissine e sterminata. La Camera accordò al governo i finanziamenti richiesti per l'invio di rinforzi.

Movimento operaio e organizzazioni cattoliche

La crescita di un movimento operaio organizzato fu rallentata, in Italia, da ritardo nello sviluppo industriale e dall'assenza di un proletariato di fabbrica moderno. L'unica organizzazione operaia diffusa fu quella delle società di mutuo soccorso, associazioni concepite come strumenti di educazione del popolo con scopi di solidarietà e rifiutavano la lotta di classe. Persero naturalmente terreno via via che lo scontro sociale si faceva più aspro.
La crescita del movimento internazionalista si dovette all'opera di agitatori (come Costa) che, fedele al credo bakuniano, concentravano i loro sforzi nelle organizzazioni di moti insurrezionali, facendo leva sul proletariato delle campagne. Il fallimento convinse Costa ad elaborare un programma concreto dando vita a un partito -> Partito socialista rivoluzionario di Romagna, che avrebbe dovuto essere il primo nucleo di un " partito rivoluzionario italiano " e che rese possibile l'elezione di Costa nell'82. Il partito rimase una formazione regionale. Vennero sorgendo numerose associazioni e alcune di esse decisero di unirsi in una formazione politica autonoma -> Partito operaio italiano, un organismo rigidamente classista che fu protagonista dei primi grandi scioperi agricoli. Sorsero le federazioni di mestiere a carattere nazionale, le prime Camere del lavoro (organizzazioni sindacali) e si poneva a questo punto il problema di una organizzazione politica unitaria a livello nazionale, ma non era di facile attuazione a causa della frammentazione organizzativa del movimento operaio e del suo scarso grado di maturazione ideologica. L'unico teorico marxista in Italia era filosofo napoletano Labriola e contribuì alla conoscenza del pensiero di Marx in Italia. Fu un intellettuale milanese, Turati, il principale protagonista delle vicende che portarono alla fondazione del Partito socialista italiano, la posizione di Turati fu molto chiara: l'affermazione dell'autonomia del movimento operaio dalla democrazia borghese, il rifiuto dell'insurrezionismo anarchico, il riconoscimento del carattere prioritario delle lotte economiche; un progetto generale di socializzazione dei mezzi di produzione.
Nel 1892 si riunirono a Genova i delegati di circa 300 fra società operaie, leghe contadine, circoli politici e associazioni di varia natura -> si delineò la frattura tra una maggioranza favorevole all'immediata costituzione di un partito e una maggioranza contraria, i delegati della maggioranza, guidati da Turati, dichiararono costituito il Partito dei lavoratori italiani che modifico il nome nel 1895 in partito socialista italiano.
La massa dei cattolici militanti, fermi nella fedeltà al Papa e nel conseguente rifiuto dello Stato non organizzavano scioperi né insurrezioni, ma costituivano una forza eversiva nei confronti delle istituzioni unitarie di cui non riconoscevano la legittimità. Un gruppo di ecclesiastici e laici decise di dar vita a una organizzazione nazionale -> Opera dei congressi, controllata dal clero, il suo programma si riduceva a una dichiarazione di ostilità nei confronti dei liberismo laico, della democrazia e del socialismo, una professione di fedeltà al pontefice e alla dottrina cattolica. Qualche segno di apertura si ebbe con papa Leone XIII quando il movimento cattolico italiano accentuò il suo impegno sul terreno sociale, sorsero così, le società di mutuo soccorso, cooperative agricole e artigiane controllate dal clero.

La democrazia autoritaria di Francesco Crispi

nel 1887 morì Depretis, il suo successore fu Francesco Crispi, che ricopriva allora la carica di ministro degli Interni. Per quasi quattro anni la presidenza del Consiglio fu ricoperta da Crispi che impresse una svolta all'azione di governo: accentuò le spinte autoritarie e repressive, si fece promotore di una opera di riorganizzazione e di razionalizzazione dell'apparato statale.
Approvata una legge comunale e provinciale che allargava il diritto di voto per le elezioni amministrative, a tutti cittadini maschi maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o pagassero almeno cinque lire di imposte all'anno.
Nel 1889 fu varato un nuovo codice penale -> codice Zanardelli, che aboliva la pena di morte e non negava il diritto di sciopero, ma poneva gravi limiti alla libertà sindacale che lasciava alla polizia anche i poteri discrezionali; di questi poteri i governi si valsero con frequenza intervenendo contro il movimento operaio e le organizzazioni cattoliche e circoli irredentisti di ispirazione repubblicana.
Nei progetti di Crispi ci fu l'affermazione del ruolo dell'Italia come grande potenza, anche nel settore coloniale. Per realizzare suo programma, Crispi, che non aveva mai nascosto la sua ammirazione per la Germania bismarckiana, puntò su rafforzamento della Triplice alleanza con conseguente ulteriore inasprimento dei rapporti italo-francesi. Il rafforzamento della Triplice e doveva garantire l'Italia da nuove iniziative francesi e servire da base per una più attiva presenza nello scacchiere africano.
I possedimenti italiani furono ampliati e riorganizzarsi col nome di Colonia Eritrea, venivano poste le basi per una nuova iniziativa di espansione in Somalia.
La politica coloniale di Crispi suscitava perplessità, alla stessa maggioranza risultava troppo costosa e messo in minoranza alla Camera, Crispi si dimise nel 1891.
la presidenza del Consiglio passò al piemontese Giovanni Giolitti.

Giolitti, i Fasci siciliani e la Banca romana

Giolitti si era segnalato come critico severo della politica economica della sinistra, in politica finanziaria mirava a un equa ripartizione del carico fiscale che risparmiasse i ceti disagiati e  colpisse con aliquote più alte i redditi maggiori (il principio oggi accettato della progressività delle imposte) in politica interna fu difficile attribuirgli una collocazione precisa, aveva idee avanzate: sia sostenne le misure preventive o repressive nei confronti del movimento operaio e delle organizzazioni popolari.
Giolitti non viene meno a questa linea quando, si sviluppò in Sicilia un vasto movimento di protesta sociale.
La caduta del governo fu dovuta alle conseguenze di un grave scandalo politico-finanziario, quello della Banca romana e, uno dei maggiori istituti di credito italiani, uno dei cinque che godevano del privilegio di stampare biglietti a corso legale. Avendo impegnato somme cospicue nell'edilizia alla fine degli anni 80, la crisi economica aveva colpito il settore delle costruzioni facendo fallire molte delle imprese debitrici, una inchiesta parlamentare rivelano un intreccio che legava il mondo politico agli ambienti della speculazione edilizia è bancaria. Molti deputati erano stati finanziati dalla banca romana e lo stesso governo, con Crispi come con Giolitti, per ottenere anticipazioni di denaro fu coinvolto. Accusato di aver coperto le irregolarità d'Giolitti fu costretto a dimettersi nel 1893. Le accuse furono manovrate dallo stesso Crispi per sbarazzarsi di un presidente del Consiglio giudicato troppo debole, a sostituirlo fu richiamato proprio Crispi.

Il giorno di Crispi e la sconfitta di Adua

torna dal governo Crispi,, in campo economico, una politica di risanamento del bilancio basata su pesanti inasprimenti fiscali e completò la riorganizzazione del dissestato sistema bancario, con una legge che istituiva la Banca d'Italia. Questa avrebbe tenuto, nel 1926, il monopolio dell'emissione.
In materia di ordine pubblico lo stato d'assedio fu proclamato in Sicilia e in Lunigiana dove si era verificato un tentativo di insurrezione, la repressione militare fu dura.
Vennero approvate dal Parlamento un complesso di leggi limitative della libertà di stampa, di riunione e di associazione, le leggi avevano come obiettivo principale il Partito socialista -> ha le persecuzioni non riuscirono a distruggere la rete organizzativa su cui si reggeva il partito. La situazione spinse inoltre i dirigenti socialisti a riscoprire il valore delle libertà politiche e a riannodare i contatti con le forze di democrazia " borghese ". Si spiega così la decisione di attuare l'originaria intransigenza in materia elettorale e di ammettere limitate alleanze con i partiti progressisti: nelle elezioni politiche del 1895, i socialisti riuscirono a fare leggere 12 candidati, questo successo aumentò le difficoltà del governo Crispi.
Il colpo definitivo per Crispi venne dal fallimento del suo tentativo di conciliare la politica di austerità finanziaria col mantenimento di un alto livello di spese militari e con una ripresa coloniale. Crispi aveva cercato di stabilire una forma di protettorato sull'Etiopia con la firma del trattato di Uccialli, che conteneva notevoli ambiguità: gli italiani rilessero un riconoscimento del loro protettorato sull'Etiopia, Menelik lo interpretò come un normale patto di amicizia e di collaborazione. Quando l'equivoco venne alla luce, i rapporti italo-etiopici si deteriorarono. Gli italiani ripresero la loro penetrazione dall'Eritrea verso l'interno, scontrandosi con la reazione etiopica. L'azione fu un disastro, la sconfitta ebbe ripercussioni Italia: manifestazioni contro la guerra d'Africa, ed il governo fu costretto a dimettersi.
suo successore fu il leader di destra Rudinì, e non restò che concludere una pace con l'Etiopia.

 

 

 

 

CAP 17 VERSO LA SOCIETA’ DI MASSA

Che cos'è la società di massa

"massa" -> moltitudine indifferenziata al suo interno, aggregato omogeneo in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo, se ne parlava già dopo la Rivoluzione francese dove il "popolo" fu protagonista sulla scena politica.
Alla fine dell'800, col diffondersi dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione, solo nei paesi avanzati dell'Europa e della Nord America, si vengono delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo " società di massa ".
Nella società di massa i cittadini vivono in agglomerati urbani, gli uomini sono quindi a più stretto contatto ma rapporti hanno spesso un carattere anonimo e impersonale. Il sistema delle relazioni sociali  fa capo alle grandi istituzioni nazionali: apparati statali, partiti e organizzazioni che esercitano un peso sulle scelte. Quasi tutti sono entrati, come produttori o come consumatori di beni e servizi, nel circolo dell'economia di mercato. La società di massa è una realtà complessa, risultante dall'intreccio di una serie di processi economici, di trasformazioni politiche, di mutamenti culturali. 
 
Sviluppo industriale e razionalizzazione produttiva

l'economia dei paesi industrializzati conobbe una fase di espansione. Se il periodo 1873-95 era stato caratterizzato soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, gli anni 1896-1913 furono segnati da uno sviluppo generalizzato della produzione; crebbe livello medio dei salari e il reddito pro capite. la crescita generalizzata dei redditi determinò a sua volta l'allargamento del mercato. I beni cominciarono a essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale, si moltiplicarono i negozi, i grandi magazzini e nuovi canali di vendita a domicilio e per corrispondenza, forme di pagamento rateale e cartelloni pubblicitari. Il mercato di massa spinse le imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e di razionalizzazione produttiva -> fu introdotta la catena di montaggio, simbolo in positivo e in negativo della nuova era industriale, fu il risultato di una serie di tentativi volti a migliorare la produttività, e il tentativo più organico e più fortunato lo si dovette a Taylor.
Il metodo di Taylor si basava sullo studio sistematico del lavoro in fabbrica e sulla fissazione di regole e ritmi cui gli operai avrebbero dovuto uniformarsi, eliminando gli sprechi di tempo. Le tecniche del taylorismo assicurarono notevoli progressi, tipico fu il caso della Ford PLI col suo nome a una nuova filosofia imprenditoriale (il fordismo) basata sui consumi di massa, sui prezzi competitivi e sugli altri salari. I sistemi tayloristici incontrarono una ostilità fra i lavoratori che si sentivano spossessati di qualsiasi autonomia e vedevano subordinato il loro lavoro agli automatismi delle macchine.

Le nuove stratificazioni sociali

la società di massa tende a creare uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali -> rende più complessa la stratificazione sociale.
Nella classe operaia c'era la distinzione fra la manodopera generica e i lavoratori qualificati.
l'espansione del settore dei servizi e la crescita degli apparati burocratici e facevano aumentare il ceto medio urbano. La crescita dei lavoratori autonomi fu dovuta alla moltiplicazione degli esercizi commerciali e all'emergere di nuove attività che compensava la scomparsa di alcuni vecchi mestieri. I dipendenti pubblici crescevano con l'aumento delle competenze dello Stato, crescevano anche gli addetti al settore privato che svolgevano mansioni non manuali: più tardi sarebbero stati chiamati "colletti bianchi ".
I ceti medi rifiutavano ogni identificazione con le masse lavoratrici.

istruzione e informazione

un ruolo importante fu svolto dalla scuola. Si cercò di dare attuazione pratica al principio secondo cui l'istruzione non era un bene riservato ai membri di una elite sociale, nessuno doveva essere escluso. Per assicurare questo servizio era necessario l'intervento dello Stato e delle amministrazioni locali. La scolarizzazione diffusa poteva rappresentare un canale pacifico di promozione sociale, un mezzo per educare e per ridurre la criminalità, uno strumento di nazionalizzazione delle masse, attraverso cui lo Stato poteva diffondere i valori patriottici.
A partire dagli anni 70, tutti i governi di Europa si impegnarono per rendere l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita, per sviluppare quella media e superiore per portare l'insegnamento sotto il controllo pubblico.Il processo di laicizzazione e di statizzazione del sistema scolastico ebbe tempi, forme e risultati diversi a seconda dei paesi. Meno spinto in Gran Bretagna, più radicale in Francia, più rapido in Francia e Germania. L'effetto fu un aumento generalizzato della frequenza scolastica.
Legato ai progressi dell'istruzione fu l'incremento nella diffusione della stampa quotidiana e periodica -> Si allargava così parlare di coloro che contribuivano a formare l'opinione pubblica e diventò più facile accedere alle informazioni.

Gli eserciti di massa

un contributo allo sviluppo delle società di massa venne dalle riforme degli ordinamenti militari realizzate in tutta Europa.
Venne fondato il servizio militare obbligatorio, all'attuazione si opponevano però due ostacoli: primo di carattere economico (le risorse finanziarie degli Stati non erano sufficienti a mantenere, armare e addestrare tutti gli uomini giudicati abili)
secondo di natura politica (come e per quanto avrebbero potuto negare il diritto di voto a coloro ai quali si chiedeva di mettere a repentaglio la propria vita? E perché avrebbero dovuto addestrare quelle masse potenzialmente rivoluzionarie?).
Alcuni fattori spingevano la trasformazione degli eserciti, 1 politico-militare: senza grandi masse non era possibile avere un esercito che era uno strumento indispensabile anche in tempo di pace. 2 la tecnologia che l'industria consentivano la produzione di armi in misura tale da coprire le esigenze di grandi eserciti.

Suffragio universale, partiti di massa, sindacati

società di massa non è sinonimo di società democratica, tuttavia in Europa tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, il cammino verso la società di massa si accompagnò alla tendenza a costante verso una più larga partecipazione alla vita politica. Il segno più evidente di questa tendenza fu l'estinzione del diritto di voto -> in quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale furono approvate leggi che allargavano il corpo elettorale fino comprendervi la totalità o la stragrande maggioranza dei cittadini maschi maggiorenni. Il suffragio universale maschile fu introdotto in Italia nel 1912.
Questo determinò mutamenti di rilievo nelle forme organizzative e nei meccanismi della lotta politica -> si affermò un nuovo modello di partito, quello proposto per la prima volta dai socialisti, basato sull'inquadramento di larghi strati della popolazione attraverso una struttura permanente, articolata in organizzazioni locali, a capo di un unico centro dirigente. Appariva chiaro come, in nessun paese, la vita pubblica potesse più essere considerata un terreno riservato a ristretti gruppi.
Ci fu una rapida crescita delle organizzazioni sindacali.
Sino alla fine della secolo XIX, il sindacalismo operaio era una realtà storica solo in Gran Bretagna (Trade Unions). Negli ultimi anni dell'800 le organizzazioni dei lavoratori crebbero in tutti i paesi europei e riuscirono a far valere il proprio diritto all'esistenza. I sindacati si fermarono in grandi organismi nazionali, i più importanti furono quelli di ispirazione socialista come la Commissione centrale dei sindacati liberi tedeschi, o la francese Confederation generale du travail, o la Confederazione generale del lavoro (CGL) nata in Italia nel 1906.

La questione femminile

l'epoca che vide sorgere della società di massa registrò l'emergere della " questione femminile ". Il problema dell'inferiorità delle donne era rimasto estraneo al pensiero liberale e democratico ottocentesco. I primi movimenti di emancipazione femminile, nati alla fine del 700 in Francia e in Inghilterra avevano avuto scarsissimo seguito ed erano stati subito dimenticati. Le donne erano escluse dappertutto dall'elettorato attivo e passivo, e in molti paesi, anche dalla possibilità di accedere agli studi universitari e alle professioni. Quella del lavoro extradomestico non era una scelta di emancipazione ma una necessità. Tuttavia i maggiori contatti col mondo esterno, le esperienze collettive, la partecipazione alle agitazioni sociali portarono le donne lavoratrici a una più viva coscienza dei loro diritti e delle loro rivendicazioni nei confronti dell'intera società. Ciononostante, il movimento per l'emancipazione femminile rimase ristretto a minoranze e privo di un  seguito consistente. Solo in Gran Bretagna il movimento femminile riuscì a imporsi concentrando la sua attività per il diritto suffragio (le suffragette).
Nel complesso il movimento operaio non si mostrò troppo sensibile nei confronti delle rivendicazioni femministe. 

Riforme e legislazione sociale 

All'inizio del 900, grazie alla pressione delle organizzazioni sindacali, furono introdotte forme di legislazione sociale -> sistemi di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza per la vecchiaia e, sussidi per i disoccupati.  Si cercò di impedire lavoro dei fanciulli e furono introdotte in limitazioni agli orari e fu sancito il diritto al riposo settimanale. All'azione dei governi si affiancò quella delle amministrazioni locali, ci fu l'estensione dei servizi pubblici (gas, acqua, trasporti). L'iniziativa degli organi di governo locale si esplicò anche nel campo dell'istruzione, dell'assistenza e dell'edilizia popolare. Per sopperire all'aumento delle spese le amministrazioni locali dovettero ricorrere a nuove forme di impostazione fiscale, aumentarono le imposte dirette (sul reddito o sul patrimonio) e venne introdotto il principio della progressività (aumento delle aliquote in relazione all'aumento della base imponibile).

I partiti socialisti e la Seconda Internazionale

alla fine dell'800 sorsero partiti socialisti che cercavano di organizzarsi sul piano nazionale. Furono i partiti socialisti a proporre per primi il modello di quel " partito di massa " che si sarebbe affermato come la forma di organizzazione politica più diffusa nelle democrazie europee. Il primo partito fu quello socialdemocratico tedesco sotto la guida di August Bebel, con ideologia marxista. In Francia nacque un partito chiamato Sezione francese dell'internazionale operaia (Sfio), in Gran Bretagna i marxisti non riuscirono a imporre la loro egemonia sulle Trade Unions, nacque nel 1906 il Partito laburista che si fondava sull'adesione delle organizzazioni sindacali. I partiti operai europei si proponevano il superamento del sistema capitalistico è gestione sociale dell'economia, si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti, partecipavano attivamente alla lotta politica in tutti facevano capo a un'organizzazione socialista internazionale.
La nascita della Seconda Internazionale nel 1889, vi fu quando i rappresentanti di numerosi partiti europei si riunirono a Parigi che approvarono alcune deliberazioni, fra cui quella della giornata lavorativa di otto ore e proclamava una giornata mondiale di lotta per il primo maggio. La ricostituzione dell'internazionale fu sancita ufficialmente a Bruxelles nel 1891, e si stabilì l'esclusione degli anarchici. La Seconda Internazionale fu più che altro una federazione di partiti nazionali autonomi e sovrani, e svolse la funzione di coordinamento.
Il movimento operaio europeo ebbe una dottrina ufficiale -> il marxismo.
presero corpo due tendenze: quella a prendere atto dei mutamenti nella situazione politica e sociale per valorizzare l'aspetto democratico-riformistico dell'azione socialista; e il tentativo di bloccare le tentazioni legalitarie e parlamentaristiche recuperando l'originaria impostazione rivoluzionaria del marxismo. 
L'interprete in della prima tendenza fu il tedesco Bernstein -> il proletariato non si in dove riva, ma migliorava la sua condizione; il capitalismo rivelava una capacità di modificarsi e di superare le crisi; lo Stato borghese diventava Stato democratico, in questa situazione i partiti operai dovevano abbandonare l'intransigenza e collaborare.
La società socialista sarebbe nata da una trasformazione graduale realizzata grazie al lavoro delle organizzazioni operaie e del movimento sindacale. In questo stava, per Bernstein, la sostanza del socialismo, le sue tesi, definite revisioniste, furono respinte da tutti i maggiori esponenti del marxismo. Negli stessi anni il movimento operaio vide emergere nuove correnti di estrema sinistra, che condannavano il revisionismo, contestavano la politica " centrista " dei dirigenti socialdemocratici tedeschi, accusati di una pratica riformista e legalitaria.
Una dissidenza tutta particolare, fu quella che si sviluppò nella socialdemocrazia russa, dove il protagonista fu Nicolaj Lenin; egli contestava il modello organizzativo della socialdemocrazia tedesca e  gli contrappone ora il progetto di un partito votato alla lotta, formato da "rivoluzionari di professione", questa concezione, che affidava a una ristretta elite il ruolo di guida intellettuale e di avanguardia delle classi lavoratrici, contrastava con la tradizione del movimento operaio occidentale, ma si adattava alla situazione del partito russo, costretto alla clandestinità. In un congresso, le tesi di Lenin ottennero la maggioranza dei consensi. Il partito si spaccò in due correnti: menscevica, con capo Martov e quella bolscevica con capo Lenin.
Un'altra dissidenza di sinistra, è ebbe origine in Francia che prese il nome di sindacalismo rivoluzionario. I sindacalisti francesi si muovevano su una linea arcaico-rivoluzionaria del tutto estranea alle impostazioni della Seconda Internazionale. Furono i dirigenti sindacali francesi a formulare la teoria secondo cui è compito dei sindacati era quello di addestrare i lavoratori alla lotta contro la società borghese e. Il momento più importante era lo sciopero, utile a rendere i lavoratori consapevoli della loro forza e a prepararli al grande sciopero generale rivoluzionario che avrebbe segnato la fine dell'ordine borghese.
Il sindacalismo rivoluzionario non riuscì a tentare solide radici nei principali partiti socialisti.

I cattolici e la "Rerum novarum"

nella società la Chiesa fu spezzata e disorientata dai nuovi processi sociali che sconvolgevano gli orizzonti della società tradizionale.
aveva una struttura organizzativa capillare: parrocchie, associazioni caritative, movimenti di azione cattolica; l'esistenza di queste strutture permise ai cattolici di impegnarsi nell'inquadramento dei lavoratori in organismi di massa, in concorrenza con quelli di ispirazione socialista e classista. L'impegno dei cattolici su questo terreno ebbe un impulso decisivo durante il pontificato di Leone XIII. Questi, favorì il riavvicinamento fra i cattolici e le classi dirigenti di quei paesi dove c'era tensione fra Stato e Chiesa; incoraggiò la nascita di nuovi partiti cattolici e cercò di riqualificare il ruolo della Chiesa in materia di questione sociale.
Il documento più importante fu l’enciclica Rerum novarum, dedicata ai problemi della condizione operaia, ribadiva la condanna del socialismo e riaffermava l’ideale della concordia fra le classi; ma indicava anche, il rispetto dei doveri spettanti alle parti sociali:i doveri degli operai erano la laboriosità, la regolatezza e il rispetto delle gerarchie, il dovere degli imprenditori: retribuire i lavoratori con la “giusta mercede” e rispettarne la dignità. La parte più interessante dell’enciclica riguardava il movimento associativo fra i lavoratori -> la creazione di società operaie e artigiane veniva incoraggiata.
La Rerum novarum diede una spinta potentissima allo sviluppo dei movimenti cattolici, vedeva nelle associazioni cattoliche uno strumento di collaborazione fra le classi.
Parallelamente venne emergendo, in Italia e in Francia, una tendenza politica definita democrazia cristiana e che mirava a conciliare la dottrina cattolica con l’impegno sociale, con la prassi e gli istituti della democrazia.
Sorse una corrente di riforma religiosa: il modernismo -> si proponeva di reinterpretare la dottrina cattolica in chiave “moderna”, applicando i metodi della critica storica e filologica allo studio delle sacre scritture; aspirava a conciliare l’insegnamento della Chiesa, depurato dalle componenti più rigidamente dogmatiche, col progresso filosofico e scientifico e con la civiltà moderna.
La democrazia cristiana e il modernismo godettero di qualche spazio di tolleranza, questi spazi si chiusero quando salì il nuovo Papa Pio X, legato una visione più tradizionale dei compiti della Chiesa e del laicato cattolico. I democratico-cristiani si videro proibita ogni azione politica indipendente dalle gerarchie ecclesiastiche. Il modernismo fu scomunicato. La condanna pontificia però, non arrestò gli sviluppi del movimento democratico-cristiano aveva una sua base sociale e uno spazio ben definito nella vita politica europea.

Il nuovo nazionalismo

alla fine dell'800 la nazione -> insieme di valori politici culturali, costituiva un fattore centrale, ma gli ideali nazionali venivano modificandosi. Il nazionalismo era stato ispiratore di movimenti di liberazione.
La crescita dei movimenti socialisti suscitò un ritorno di spiriti patriottici e guerrieri in seno alla borghesia conservatrice. La battaglia per i valori nazionali fini col legarsi alla lotta contro socialismo, il nazionalismo tendeva a spostarsi a destra, si sganciava dalle sue matrici illuministi e democratiche per riscoprire quelle romantiche e tradizionaliste, si collegava alle teorie razziste che pretendevano di stabilire una gerarchia fra razze. Il precursore di queste teorie fu francese Gobineau, si fondavano su argomentazioni pseudo scientifiche che si collegavano ad antichi pregiudizi. In Francia il nazionalismo fu un terreno di incontro fra movimenti di diversa origine uniti nella polemica contro una classe dirigente repubblicano-moderata. Una forte componente antiebraica, unita a una impostazione anticapitalistica e antiborghese, fu presente nei movimenti nazionalisti e dei paesi di lingua tedesca, nei quali l'antisemitismo si appoggiava su presupposti razzisti. In Germania le teorie della razza conobbero le formulazioni più organiche -> il mito di una " razza ariana " depositaria delle virtù più nobili e ne vedeva l'incarnazione più pura nel popolo tedesco. il nazionalismo tedesco cercava le sue basi nel mito del popolo, concepito come comunità di sangue e come legame quasi mistico con la terra d'origine; questo mito fornì la base alle ideologie e ai movimenti pangermanisti, che auspicavano alla riunificazione in un unico Stato di tutte le popolazioni tedesche.
Un movimento contrapposto fu il panslavismo, nacque Russia e si diffuse fungendo da strumento della politica imperiale zarista, si basava su ideologie tradizionaliste e largamente imprese che di antisemitismo; l'antisemitismo dell'impero russo era sancito da leggi discriminatorie è ufficialmente tollerato. Una reazione all'antisemitismo fu la nascita della " sionismo " movimento fondato dall'ebreo Herzl, che si proponeva di restituire un'identità nazionale alle popolazioni israelite sparse per il mondo e di promuovere una costituzione di uno Stato ebraico in Palestina.

La crisi della positivismo

dalla fine dell'800, il modello interpretativo offerto dal positivismo apparve sempre più inadeguato non solo a spiegare i fenomeni politici, economici e sociali, ma anche a tener dietro all'evoluzione delle scienze. Sul piano filosofico si assiste alla nascita di nuove correnti irrazionalistiche e vitalistiche, tutte convergenti nel ricondurre i meccanismi della conoscenza e dell'attività umana a fattori come l'istinto, la volontà o lo " slancio vitale ", e nel considerare oggetto principale una propria indagine la realtà psicologica. Principale interprete della critica al positivismo fu il filosofo tedesco Nietzsche -> alla concezione lineare del tempo oppose " l'eterno ritorno "; l'idea dell'uomo nuovo nato dalle ceneri della vecchia civiltà e capace di esprimere e realizzare la propria individualità fuori della morale corrente.
In Italia all'inizio del 900, vi fu una rinascita idealistica, i protagonisti furono Croce e Gentile. Croce partita una critica al materialismo marxista e giunse a elaborare un sistema che risolvesse tutta la realtà nella storia. Gentile portò alla filosofia e realistica alle sue estreme conseguenze riducendo tutta la realtà " all'atto " pensante del soggetto (attualismo).
Négli Stati Uniti, la corrente di pensiero tutto il pragmatismo che considerava determinante il rapporto di reciproca verifica fra teoria e pratica e fra individuo e natura, e valutava le scienze " pratiche " come la psicologia e la pedagogia. L'elemento comune alle principali correnti filosofiche era costituito da un approccio più complesso nei confronti delle " scienze esatte ". Gli stessi sviluppi del pensiero scientifico contribuivano mettere in crisi il quadro di certezze come la " teoria della relatività " di Albert Einstein clemente in discussione i fondamenti della fisica classica, e sconvolgeva alcuni pilastri della scienza tradizionale, concetti di spazio e di tempo. Un altro elemento comune erano le motivazioni non razionali della condotta umana -> Freud, fondatore della teoria " psicanalitica " poneva alla base dei processi psichici il concetto di una vita " inconscia " (Es), dominata da leggi diverse da quelle della vita cosciente (Io). L'esigenza di " rimuovere " gli istinti primari dell'inconscio è essenziale per lo sviluppo normale dell'individuo e della stessa civiltà; ma può creare nevrosi. Di qui la necessità di una tecnica terapeutica (analisi) che riporta alla luce i processi inconsci.
Weber approfondì i problemi relativi al metodo delle scienze sociali -> studiò i fenomeni della burocratizzazione, secondo cui la tendenza alla crescita degli apparati burocratici è inarrestabile, in quanto espressione dello sviluppo della società, ma conteneva gravi pericoli per le libertà individuali. Queste analisi contribuirono determinare quel clima di sfiducia e di scetticismo verso la democrazia e le sue istituzioni.

 

 

CAP 18. L’EUROPA TRA DUE SECOLI

Le nuove alleanze

a partire dal 1890 i rapporti fra le grandi potenze che dominavano la politica europea e mondiale subirono radicali mutamenti. Gli equilibri internazionali, in una trama di alleanze, si ruppero dando luogo a un assetto bipolare fondato sulla contrapposizione fra i due blocchi di potenze. A mettere in crisi vecchio sistema di alleanze furono soprattutto due fattori: il nuovo imperatore tedesco Guglielmo II in favore di una politica di respiro mondiale; la difficoltà per la Germania di tenere uniti i suoi due alleati, gli imperi austroungarico e russo. Bismarck era riuscito a legare a sè entrambe le potenze, i al succedersi optarono per l'alleanza con la Austria; si giunse così a un primo accordo franco-russo, trasformatosi poi in alleanza militare. Con la Duplice franco-russa veniva meno il principale pilastro su cui si era fondato il sistema Bismarckiano, l'isolamento della Francia.
la decisione del governo tedesco di ricostruire una potente flotta da guerra provocò un inasprimento dei rapporti fra Germania e Inghilterra, l'effetto fu quello di indurre gli inglesi a impegnarsi in una vera e propria corsa agli armamenti navali, così aveva inizio fra l'indifferenza Francia un processo di riavvicinamento che portò le due a stipulare un accordo di Intesa cordiale -> costituiva una sconfitta diplomatica per la Germania. Restava in piedi soltanto il blocco della Triplice alleanza, a questo se ne contrappone ma un altro quello della triplice intesa, unito dalla preoccupazione per la crescente potenza tedesca. In Germania determino una spinta al riarmo.

La “belle èpoque” e le sue contraddizioni

La tendenza all'aumento delle spese militari si accompagnava a un parallelo aumento della spesa sociale. Alla diffusione dei nazionalisti faceva riscontro una tendenza all'allargamento della partecipazione alla vita politica.
Non diminuì l'ottimismo della borghesia europea, giustificato dal rinnovato slancio dell'economia e da un progresso materiale che mai come allora era apparso alla portata di tutti; per questo che, gli anni che precedettero la prima guerra mondiale sarebbero stati ricordati come la belle époque. Fu realtà un periodo di crescita complessiva della società europea ma anche di forti contrasti politici e di grandi conflitti sociali.

La Francia tra democrazia e reazione

la Francia aveva compiuto progressi sulla strada della democrazia. Eppure le istituzioni repubblicane continuavano a essere oggetto di contestazione, che prendeva le forme di un l'nazionalismo a sfondo militarista e bonapartista. Queste correnti si coagularono un facendo blocco e mettendo a serio repentaglio la Terza Repubblica in occasione di un caso giudiziario: quello di Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo condannato sotto l'accusa di aver fornito documenti riservati all'ambasciata tedesca. La sentenza non era basata su indizi falsi e una volta emersi i dubbi sulla colpevolezza le alte sfere militari si rifiutarono di procedere a una revisione del processo. L'opinione pubblica francese si divise in due schieramenti contrapposti: socialisti, radicali e repubblicani si sbatterono perché venisse riconosciuta l'innocenza; clericali, monarchici, nazionalisti di destra insistettero sulla colpevolezza. Il contrasto si trasformò in uno scontro politico quando alla revisione del processo, fu confermata la condanna è per la libertà fu necessario un atto di grazia del presidente della repubblica; i sostenitori di Dreyfus ebbero partita vinta sul terreno politico. L'esito delle elezioni consentì la formazione di un governo di "coalizione repubblicana" e venne ripresa la battaglia contro le posizioni di potere detenute dal clero cattolico; seguirono, la rottura delle relazioni diplomatiche tra Francia e Santa Sede e la completa separazione fra Stato e chiesa. La battaglia anticlericale si concluse con successo e con un netto rafforzamento dei gruppi radicali.
La Francia del primo 900, all'avanguardia in materia di democrazia politica e di laicità dello Stato, non lo era affatto sul piano della legislazione sociale né su quello dell'ordinamento fiscale, basato sulla tassazione indiretta. I governi che si succedettero condussero importanti riforme sociali ma non riuscirono a far passare un progetto di imposta generale sul reddito e dovettero scontrarsi con la classe lavoratrice. Lo spostamento a sinistra del movimento sindacale è della stessa Sfio provocarono la rottura dell'alleanza fra socialisti e radicali e ridiedero spazio alle correnti repubblicano-moderate che, riuscirono a tornare al potere fra il 1912 e il 1914.

 

 

 


Imperialismo e riforme in Gran Bretagna

negli anni a cavallo fra i due secoli la Gran Bretagna fu governata dalla coalizione fra i conservatori e i liberali " unionisti ", i governi conservatori-unionisti cercarono di contemperare l'imperialismo con una certa dose di riformismo sociale: leggi che stabilivano la responsabilità degli imprenditori sugli infortuni sul lavoro, aumentavano i finanziamenti per le scuole le misure per favorire il collocamento dei lavoratori disoccupati. A mettere in crisi l'egemonia conservatrice fu il progetto di introdurre il protezionismo doganale una tariffa imperiale sconvolgendo una tradizione libero-scambista. Nelle elezioni i liberali, che si erano opposti al progetto, conquistarono la maggioranza. I governi liberali attuarono una politica di riforme sociali: l'istituzione di uffici di collocamento, assicurazioni per la vecchiaia a carico dello Stato. L'aspetto più nuovo fu il tentativo di sopperire alle spese per le riforme con una politica fiscale progressiva, mirante a colpire i grandi patrimoni. Quando i Lords respinsero il bilancio preventivo nacque un conflitto costituzionale che vedeva contrapposte le due Camere, l'una a maggioranza liberale, l'altra dominata dai conservatori. I liberali presentarono un " progetto di legge parlamentare " che negava ai Lord il diritto di respingere le leggi di bilancio e, lasciava loro per le altre leggi la facoltà di rinviarle due volte alla Camera dei Comuni, il Lord si piegarono ad accettare la legge che limitava i loro privilegi. I progressi della legislazione sociale, non accompagnati da miglioramenti salariali, non avevano smorzato la combattività della classe lavoratrice; alle agitazioni si aggiungevano quelle dei nazionalisti irlandesi. Il governo presentò un progetto che prevedeva un'Irlanda autonoma, ma legata la corona britannica e dipendente dal Inghilterra per le questioni di comune interesse; il progetto liberale fu approvato dalla Camera nel 1914, ma la sua applicazione fu subito sospesa a causa dello scoppio della guerra.

La Germania guglielmina

la fine del cancellierato Bismarck, nel 1890, parve segnare una svolta nella politica interna tedesca. L'imperatore Guglielmo II aveva annunciato di voler inaugurare un "nuovo corso " nella vita del paese. Le speranze di una evoluzione liberale del sistema andarono però deluse. L'imperatore mostrò una inclinazione alle soluzioni autoritarie e all'esercizio personale del potere. Nel solo dei cancellieri succedutisi ebbe la capacità di imporsi allo stesso potere imperiale, i cancellieri continuarono a governare e a render conto del loro operato all'imperatore più che al Parlamento. I nuovi orientamenti di politica estera, Welpolitik (politica mondiale) contribuirono a rinsaldare l'alleanza fra la casta agraria e militare degli Junker e gli ambienti della grande industria; un industria dominata dalle imprese giganti che vantava ritmi di sviluppo tecnologico e di crescita produttiva. La coscienza di questa superiorità accentuò le tendenze nazionaliste e imperialiste. La Germania, priva di un impero coloniale, non aveva disponibilità di materie prime paragonabile a quella dell'impero britannico, degli Stati Uniti o dello stesso Impero russo. Di qui la volontà di modificare la distribuzione mondiale delle risorse. La spinta nazionalista è aggressiva nella politica estera tedesca finì col coinvolgere tutte le maggiori forze politiche: conservatori, nazional-liberali, cattolici del Centro e i liberal-progressisti; la socialdemocrazia restò in una condizione di assoluto isolamento anche se non le impediva di incrementare il proprio a seguito elettorale e finì con ammorbidire i toni e le forme della sua posizione è col venire attacchi con le ideologie nazional-imperialistiche. Alla base di questa evoluzione c'era la volontà di uscire dall'isolamento ed anche un graduale processo di adattamento.

I conflitti di nazionalità in Austria-Ungheria

l'impero asburgico vide aggravarsi il declino dovuto al ritardo nello sviluppo dell'economia e ai contrasti farà le diverse nazionalità.
Dal punto di vista economico l'impero era essenzialmente agricolo, ma con alcune isole urbanizzate e industrializzate. Allo sviluppo dei grandi centri e dei grandi partiti di massa, facevano riscontro il sostanziale immobilismo del sistema politico e la persistenza delle culture sociali tradizionali nella provincia contadina. Ma il principale motivo di disagio e di crisi era costituito dai conflitti nazionali: in Austria-Ungheria le tensioni fra i diversi gruppi tecnici costituivano un fattore di logoramento e di disgregazione; con la soluzione " dualistica " la monarchia aveva scelto la strada del compromesso col gruppo nazionale che forte, quello magiaro. fino alla fine del secolo XIX il potere imperiale riuscì a controllare la situazione, all'inizio del 900 si assistè a una crescita dei movimenti nazionali uniti dall'ostilità al centrismo imperiale. I più irrequieti erano i popoli slavi -> fra i ciechi si affermò il movimento dei giovani ciechi che si batteva contro la politica di " germanizzazione " del governo di Vienna. Tendenze nazionaliste cominciarono a manifestarsi fra gli "slavi del sud", serbi e croati che subivano l'attrazione del Regno di Serbia. Una parte della classe dirigente si orientò verso l'idea di trasformare la monarchia da "Dualistica" in "trialistica": distaccare cioè gli slavi del Sud dall'Ungheria e di creare un terzo polo nazionale accanto a quelli tedesco e magiaro; il suo sostenitore fu l'arciduca Francesco Ferdinando che si scontrava con non gli ungheresi nazionalisti serbi e croati, che miravano alla fondazione di un unico Stato slavo indipendente ed erano appoggiati dalla Serbia. Da questo sarebbe scontrata nel 1914 la scintilla che portò allo scoppio della guerra europea e alla dissoluzione dell'impero austro-ungarico.

La Russia fra industrializzazione e autocrazia

La Russia alla fine dell’800 si reggeva ancora su un sistema autocratico. Ogni tentativo di “occidentalizzazione” delle istituzioni fu decisamente accantonato. Furono ridotti i poteri degli organi di autogoverno locale, punto di riferimento per la borghesia e l’aristocrazia di tendenze liberali; fu rafforzato il controllo sulla giustizia e sull’istruzione. La Russia cercò di compiere un decollo industriale -> ebbe un impulso dalla politica di Sergej Vitte, che aumentò il protezionismo, moltiplicò gli investimenti pubblici ed incoraggiò l’afflusso di capitali stranieri. La Russia era terreno di penetrazione per l’imperialismo finanziario di altri paesi. Affidata all’iniziativa dello Stato, l’industrializzazione risultò fortemente concentrata sia per la dislocazione geografica sia per le dimensioni delle imprese. Pertanto anche la classe operaia russa si concentrò in poche zone e rimase isolata in un contesto sociale ancora dominato dall’agricoltura. Il decollo industriale non cambiò la società russa, né elevò il tenore di vita di una popolazione che cresceva con ritmo rapido. L’agricoltura versava ancora in uno stato di estrema arretratezza. La Russia era in testa alle classifiche europee dell’analfabetismo e della mortalità infantile. In queste condizioni era naturale che la tensione politica e sociale crescesse -> alla timida opposizione liberale, alle agitazioni nelle campagne, agli atti terroristici si aggiunsero gli scioperi dei lavoratori dell’industria e si accentuò la penetrazione delle correnti rivoluzionarie fra i ceti popolari. La classe operaia subì l’influenza del Partito socialdemocratico, mentre fra i contadini riscuoteva successo la propaganda del Partito socialista rivoluzionario.

La protesta russa del 1905

La protesta nella Russia zarista finì col coagularsi in un moto rivoluzionario -> contribuì allo scoppio nel 1904 della guerra col Giappone, provocando un aumento dei prezzi che fece salire la tensione sociale. In una domenica a Pietroburgo, un corteo che si dirigeva verso il Palazzo d’inverno, residenza dello zar, per presentare una petizione, fu accolto a fucilate dall’esercito: la “domenica di sangue” scatenò un’ondata di agitazioni. Di fronte ai poteri costituiti, incapaci di riportare l’ordine, sorsero nuovi organismi rivoluzionari, i soviet ->rappresentanze popolari elette sui luoghi di lavoro. Il più importante era quello di Pietroburgo, che assunse la guida del movimento rivoluzionario nella capitale. Lo zar parve disposto a cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative, però, le autorità incoraggiavano la formazione di movimenti paramilitari di estrema destra (Centurie nere) e organizzavano spedizioni punitive. Dopo che erano rientrate dal fronte la corona e il governo passarono alla controffensiva facendo arrestare i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciando le rivolte; restava come unico risultato del moto rivoluzionario, l’impiego dello zar di convocare un’assemblea rappresentativa (Duma) che avrebbe dovuto aprire nuovi spazi di libertà. Eletta nel 1906, la Duma risultò ugualmente un ostacolo troppo ingombrante sulla via della restaurazione assolutista e fu sciolta. Stessa sorte subì una seconda Duma -> il governo modificò la legge elettorale (ce il voto di un proprietario contava 500 volte quello di un operaio) e potè disporre di una assemblea composta in gran parte da aristocratici. La Russia tornava a essere un regime sostanzialmente assolutista -> artefice fu il Conte Stolypin, diventato primo ministro nel 1906 in sostituzione di Vitte, egli avviò una riforma agraria che  aveva come punto chiave la dissoluzione della struttura comunitaria del mir, i contadini ebbero la facoltà di uscire dalle comunità di villaggio, diventando proprietari della terra. Lo scopo era quello di creare un ceto di piccola borghesia rurale. Dei nuovi piccoli proprietari una parte andò a ingrossare il numero dei contadini ricchi (kulaki), ma i più non trovarono la possibilità di condizioni di vita accettabili. Tutto ciò favoriva alla lunga l'esodo dalle campagne, ma provocava nell'immediato un ulteriore radicalizzazione dei contrasti sociali e il non raggiungimento degli obiettivi di stabilizzazione.

verso la prima guerra mondiale

nell'Europa di inizio secolo ai vecchi motivi di contrasto (il " re " francese nei confronti della Germania, la rivalità austro-russa nei Balcani) e si aggiunsero le nuove tensioni derivanti dalla politica aggressiva dell'impero tedesco e della sua competizione con la Gran Bretagna. In queste condizioni si rischiava di innescare il meccanismo di un conflitto generale.
Due furono i punti di frizione: il primo era il focolaio balcanico; il secondo è Marocco, una delle mire francesi e scelto dalla Germania come terreno di scontro in campo coloniale. Il contrasto franco-tedesco sul Marocco sembrò portare l'Europa sull'orlo della guerra. La Francia riuscì a spuntarla che si vide riconosciuto un protettorato sul territorio conteso. La Germania ottenne in cambio una striscia del Congo francese. I pericoli maggiori per la pace vennero dalla zona balcanica, dove la crisi dell'impero ottomano creava un'area di continua turbolenza; a mettere movimento la situazione fu la rivoluzione dei giovani turchi, che si proponevano la trasformazione dell'impero, retto da istituzioni autocratiche e arretratissimo sul piano economico, in una monarchia costituzionale. Il nuovo regime tentò di realizzare un'opera di modernizzazione dello Stato, ma non seppe avviare i rapporti con i popoli europei ancora soggetti all'impero in stato di rivolta, e ottennero l'effetto di accentuare le spinte indipendentiste.
Della crisi interna all'impero ottomano profittò subito la Austria-Ungheria per procedere all'ammissione della Bosnia e dell'Erzegovina. La mossa austriaca provocò un immediato inasprimento della tensione con la Serbia, che mirava a unificare sotto il suo regno gli slavi del Sud, e con la stessa Russia, che era protettrice della Serbia. L'Austria riuscì a far accettare alle altre potenze il fatto compiuto. Fu l'Italia a riportare alla ribalta l'intricato nodo balcanico. L'occupazione italiana della Tripolitania provocò una guerra con la Turchia, che fu sconfitta. Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria strinsero una coalizione e mossero guerra all'impero ottomano sconfiggendolo. La Turchia perse tutti i territori in Europa e nasceva un nuovo Stato: l'Albania, voluto dall'Austria e dall'Italia per impedire alla Serbia lo sbocco in mare. Al momento della spartizione dei territori si ruppe l'alleanza fra gli Stati balcanici; la Bulgaria si riteneva sacrificata dalla divisione e attacco alla Grecia e la Serbia. Contro l'aggressione bulgara si formò una nuova coalizione: alla Serbia e alla Grecia si unirono la Romania e la Turchia. La borghesia fu sconfitta e la Serbia si era rafforzata.

 

 

 

 

CAP. 19 IMPERIALISMO E RIVOLUZIONE NEI CONTINENTI EXTRAEUROPEI

La repubblica in Cina

movimenti indipendentisti si svilupparono nell'Indocina francese, nell'Indonesia olandese e nelle filippine. In Cina è ormai screditata la dinastia Manciù, fallito con la rivolta dei boxers il tentativo di condurre la lotta per l'indipendenza, la strada era aperta a un movimento di ispirazione democratica e occidentalizzante. Nel 1905 un medico, Sun Yat-sen, fondò un'organizzazione segreta (lega di alleanza giurata) basata sui tre principi del popolo: l'indipendenza nazionale, la democrazia rappresentativa e il benessere del popolo. Invano la corte imperiale cercò di mettere in atto un limitato e tardivo programma di modernizzazione e e una assemblea rivoluzionaria dichiarava decaduta la dinastia Manciù ed eleggeva Sun Yat-sen alla presidenza della Repubblica. Il generale Yuan Shi-kai, inviato dal governo a domare la rivolta, si schierò dalla parte dei repubblicani e ottenne in cambio di essere nominato presidente il luogo di Sun Yat-sen. Il fragile compromesso tra le forze democratiche e gruppi conservatori che facevano capo a Yuan Shi-kai, ostili a ogni riforma, si ruppe ruppe nel giro di pochi mesi. Il nuovo presidente sciolse il parlamento e costrinse Sun Yat-sen all'esilio e instaurò una dittatura personale. Cominciava una lunga stagione di guerre civili che si sarebbe conclusa nel 1949 con la vittoria della rivoluzione comunista.

Imperialismo e riforme negli Stati Uniti

si andò rafforzando il ruolo e ci egemonico degli Stati Uniti. Questo ruolo si fondava su uno sviluppo economico che non aveva paragone. Per contrastare le tendenze monopolistiche fu varata una legge, lo Sherman Antitrust Act, rigettava gli accordi sui prezzi fra imprese operanti in uno stesso settore. Ebbe un effetto opposto quello sperato -> indusse le imprese al delle proprie fusioni, gli Stati Uniti erano diventati un paese prevalentemente esportatore di capitali e di prodotti finiti.
Progressi decisivi furono compiuti anche nell'agricoltura.
il grande sviluppo materiale degli ultimi anni del secolo non fu privo di tensioni sociali, lo strapotere delle Corporation e il rigido protezionismo alimentarono il malcontento dei contadini (farmers) danneggiati dagli alti prezzi dei manufatti. Espressione politica di questa protesta fu costituita dal Partito populista, con ideali democratici ed eugualitari. Notevole sviluppo ebbero anche le organizzazioni operaie, venne fondata una grande confederazione dei sindacati autonomi priva di una precisa caratterizzazione politica. Le lotte sindacali si scontrarono con la durissima resistenza.
una decisa svolta in tema di politica sociale si verificò all'inizio del 900, negli anni della presidenza di Roosevelt, esponente del Partito repubblicano, mostrò grande e decisione nella difesa degli interessi americani nel mondo e con la " diplomazia del dollaro " alla politica del " grosso bastone ". L'occasione offerta Roosevelt dalla questione del canale di Panama: gli Stati Uniti ottennero dal governo della Colombia l'autorizzazione a costruire e a gestire il canale, quando il Parlamento colombiano rifiutò di ratificare l'accordo, gli Stati Uniti non esitarono a organizzare una sommossa che ha minacciare un intervento armato; Panama divenne una repubblica indipendente sotto la tutela americana. La linea di Roosevelt si caratterizzò in politica interna per un'apertura ai problemi sociali sconosciute alle precedenti amministrazioni, si dovettero a lui i primi provvedimenti del governo federale nel campo della legislazione sociale e le prime affermazioni del diritto di intervento dei pubblici poteri il mondo dell'economia. Roosevelt cercò di limitare il potere dei grandi trust, interpretando le esigenze della piccola e media borghesia urbana, dei piccoli produttori e degli stessi sindacati operai. La lotta contro i monopoli procurò Roosevelt una vasta popolarità, ma una volta che ebbe lasciato la presidenza, il Partito repubblicano si spaccò: l'ala che progressista, che aveva appoggiato Roosevelt, non si riconosce nella politica più conservatrice del suo successore Taft, e nelle elezioni del 1912 la divisione favorì il successo del candidato democratico Wilson. Egli fu contrario a ogni limitazione dell'autonomia dei singoli Stati dell'Unione ed imposto alla lotta contro i grandi monopoli sull'abbassamento delle tariffe protettive. In politica estera era convinto che il ruolo degli Stati Uniti dovesse fondarsi sulla capacità espansiva dell'economia e sulla fedeltà ai principi basilari della tradizione democratica.

La America Latina e la rivoluzione messicana

i paesi dell'America Latina conobbero uno sviluppo economico basato sull'esportazione di materie prime e di prodotti agricoli verso l'Europa.
Questo sviluppo attirò un flusso migratorio dall'Europa e favorì la crescita dei grandi centri urbani, ma non mutò la posizione di sostanziale subalternità economica comune a tutti paesi del continente, dipendenti dagli investimenti stranieri. 
Nell'agricoltura persisteva il latifondo e il mantenimento in condizioni semiservili delle masse contadine.
Gli Stati latino-americani erano eletti da regimi parlamentari e repubblicani ispirati ai modelli del liberalismo ottocentesco.
La facciata istituzionale copriva la corruzione e la totale esclusione delle masse dalla vita politica; questi regimi assicurarono una relativa stabilità politica che fu interrotta da rivolgimenti politici in Argentina e in Messico.
In Argentina si trattò di un rivolgimento pacifico, originato dall'introduzione del suffragio universale e dalla ascesa al potere dell'Unione radicale, espressione delle classi medie di orientamento progressista.
In Messico invece, sfociò una lotta rivoluzionaria contro il regime semidittatoriale del presidente Porfirio Diaz, che cominciò per iniziativa di gruppi liberal-progressisti guidati da Francisco Madero, accompagnata da un vasto moto contadino organizzato da capi rivoluzionari come Zapata e Pancho Villa. Madero veniva eletto presidente e cominciò a manifestarsi un contrasto fra le due componenti: la borghese e moderata, che mirava a una liberalizzazione delle istituzioni politiche, e quella contadina, con l'obiettivo di una radicale riforma agraria -> la proprietà della terra era concentrata nelle mani di un migliaio di latifondisti e dove i 3/4 della popolazione erano braccianti senza terra, analfabeti e poverissimi. Il presidente Madero fu eliminato da un colpo di Stato militare che portò al potere il generale Adolfo Huerta.
La guerra civile riprese per concludersi con l'assunzione della presidenza dal progressista Alvaro Obregòn e con il varo di una costituzione democratica e laica.

 

 

 

 

 

CAP 20. L’ITALIA GIOLITTIANA

La crisi di fine secolo

L'Italia fu teatro di una crisi politico-istituzionale. La posta in gioco e era l'evoluzione del regime liberale verso forme più avanzata democrazia e; lo scontro si concluse con un'affermazione delle forze progressiste. Negli anni che seguirono le dimissioni di Crispi e il ritorno al potere di Rudinì, si delineò fra le forze conservatrici la tendenza a ricomporre un fronte comune contro le vere o supposte minacce portate all'ordine costituito dai " nemici delle istituzioni ".
La tensione esplose nella primavera del 1898, quando un aumento del prezzo del pane fece scoppiare una serie di manifestazioni popolari. Anziché ridurre il dazio sul grano, Rudinì proclamò lo stato d’assedio e ordinò massicci interventi della polizia. Una volta riportato l’ordine, i gruppi moderati e conservatori, che detenevano la maggioranza alla Camera, cercarono di dare una base legislativa all’azione repressiva dei poteri pubblici. Caduto il progetto, Rudinì dovette dimettersi e il tentativo fu ripreso da suo successore Luigi Pelloux. Ma alla presentazione di provvedimenti che limitavano gravemente il diritto di sciopero e le stesse libertà di stampa e di associazione, i gruppi di estrema sinistra risposero con la tecnica dell’ostruzionismo, che prolungava all’infinito le discussioni paralizzando così l’azione della maggioranza. Pelloux decise infine di sciogliere la Camera. Ma nelle elezioni lo schieramento governativo perse seggi, mentre li guadagnarono i socialisti. Il Presidente del Consiglio preferì a questo punto dimettersi. La successione fu affidata a Saracco da Umberto I che mostrava di prendere atto del fallimento di quella politica repressiva di cui era sostenitore; il re cadde vittima di un attentato.

La svolta liberale

Il governo Saracco inaugurò una fase di distensione nella vita politica italiana favorita dal buon andamento dell'economia. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, era propenso ad assecondare forze progressiste. Il governo Saracco fu costretto a dividersi per il comportamento incerto contenuto in occasione di uno sciopero indetto dai lavoratori genovesi, il re chiamò alla guida del governo il leader della sinistra liberale Zanardelli, che affidò il ministero degli Interni a Giovanni Giolitti. Un il ministero Zanardelli-Giolitti condusse in porto alcune importanti riforme -> furono estese le norme che limitavano il lavoro minorile e femminile nell'industria, fu migliorata la legislazione relativa all'assicurazione per gli infortuni e per la vecchiaia, fu costituito un Consiglio superiore del lavoro; importante fu anche la legge che autorizzava i comuni all'esercizio diretto di servizi pubblici come l'elettricità, il gas, i trasporti. Ma  più importante delle riforme e fu l'atteggiamento in materia di conflitti di lavoro -> linea di rigorosa neutralità. Conseguenza fu lo sviluppo rapido delle organizzazioni sindacali, sì ricostituirno le Camere del lavoro ,delle organizzazioni di categoria e lo sviluppo delle organizzazioni dei lavoratori agricoli che si riunirono nella Federterra. Lo sviluppo delle organizzazioni sindacali fu accompagnato da una impennata degli scioperi -> Ne derivò una spinta al rialzo dei salari.

decollo industriale progresso civile

negli ultimi anni del secolo XIX, l'Italia conobbe il suo primo decollo industriale, ciò fu dovuto anche ai progressi delle infrastrutture economiche e delle strutture produttive che avevano favorito i processi di commercializzazione dell'economia. La costituzione di due nuovi istituti di credito, la Banca commerciale e il Credito italiano, entrambi con il modello della " banca mista ". I settori che fecero i maggiori progressi furono la siderurgia, nel settore tessile l'industria cotoniera, nel settore agro-alimentare l'industria delle di sughero. Sviluppi si videro anche in settori come il chimico, il meccanico con l'affermazione dell'industria automobilistica (FIAT di Torino, fondata da Giovanni Agnelli nel 1899) e l'industria elettrica. I progressi realizzati dall'industria italiana furono più che ragguardevoli, il volume della produzione industriale risultò quasi raddoppiato. Ci furono effetti anche sul tenore di vita, il reddito pro capite aumenta oggi quasi il 30%; la " qualità della vita " degli italiani cominciava a mutare, i segni erano visibili soprattutto nelle città grazie anche allo sviluppo dei servizi pubblici. Questi progressi tuttavia non furono sufficienti a colmare il divario che separava l'Italia dagli Stati più ricchi e più industrializzati, l'analfabetismo è ancora molto elevato e l'emigrazione verso l'estero crebbe fino a raggiungere cifre impressionanti; l'emigrazione dalle regioni centro-settentrionali era temporanea e diretta verso i paesi europei, quella meridionale verso il Nord America aveva carattere permanente.

La questione meridionale

gli effetti del progresso economico si fecero sentire soprattutto nelle regioni già più sviluppate, per esempio nel triangolo industriale (Milano, Torino e Genova). Il divario fra nord e sud si viene perciò accentuando. Anche i discreti progressi che l'agricoltura venne realizzando finirono col concentrarsi nel nord. Da questa situazione derivano da parte dei mali storici della società meridionale: l'analfabetismo diffuso, la disgregazione sociale, l'assenza di una classe dirigente moderna, la subordinazione della piccola e media borghesia agli interessi della grande proprietà terriera. Questi mali contrastavano il cammino verso forme di più avanzata organizzazione politica e sociale.

I governi Giolitti che le riforme

chiamato alla guida del governo nel 1903 dopo Zanardelli, Giolitti cercò di portare avanti l'esperimento liberal-progressista e di allargarne le basi offrendo un posto al socialista Filippo Turati, ma il leader socialista rifiutò l'offerta e Giolitti finì col costituire un ministero spostato al centro; questo rappresentò un limite per il riformismo giolittiano condizionato dal peso delle forze moderate e sempre attento alla conservazione degli equilibri parlamentari.
Furono condotte in porto le prime importanti " leggi speciali " per il Mezzogiorno: per la Basilicata e per Napoli volte incoraggiare la modernizzazione dell'agricoltura. Un altro progetto fu la statizzazione delle ferrovie, ancora affidate a compagnie private, ma incontra opposizioni sia destra sia sinistra, di fronte queste difficoltà Giolitti si dimise lasciando la guida a Fortis, secondo una tattica che avrebbe messo in atto anche successivamente e che consisteva nell'abbandonare le redini del potere nei momenti difficili per poi riprenderle in condizioni più favorevoli. Fortis restò il tempo necessario per condurre in porto la legge sulla statizzazione delle ferrovie. Giolitti tornò alla guida del governo e realizza la conversione della rendita -> riduzione del tasso di interesse versato dallo Stato ai possessori di titoli del debito pubblico. Nel 1907 si manifestarono i sintomi di una crisi internazionale che si tradusse in forti difficoltà per le banche e per le imprese dipendenti dai loro crediti; la crisi fu superata grazie anche all'intervento della Banca d'Italia. Gli industriali cominciarono a unirsi in associazioni per poi dar vita, nel 1910, a Confindustria.
Nel 1909 Giolitti attuò una nuova " ritirata strategica " e aprendo la strada al governo Luzzatti, che avvio una riforma scolastica che avocava allo Stato l'onere dell'istruzione elementare.
Giolitti tornò al governo con un programma orientato sinistra, il punto cardine era la proposta di estendere il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto trent'anni e a tutti i maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o avessero prestato servizio militare -> Giolitti proponeva in pratica il suffragio universale maschile. Altro punto era l'istituzione di un monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, i cui proventi sarebbero serviti a finanziare il fondo per le pensioni. Entrambe furono provate nel 1912.

Il giolittismo e i suoi critici

Quella esercitata da Giolitti fu una “dittatura parlamentare”, i tratti caratteristici -> sostegno costante alle forze più moderne della società italiana (la borghesia industriale, il proletariato organizzato), il tentativo di condurre nell’ordita del sistema liberale gruppi e movimenti considerati nemici delle istituzioni, la tendenza ad allargare l’intervento dello Stato per correggere gli squilibri sociali. Il controllo della Camere costituì l’elemento fondamentale del “sistema” di Giolitti.
Da qui una serie di critiche -> per i socialisti rivoluzionari e per i cattolici democratici Giolitti era colpevole di far opera di corruzione all’interno dei rispettivi movimenti, dividendoli;
i liberal-conservatori  lo accusavano di attentare alle tradizioni risorgimentali, venendo a patti con i nemici delle istituzioni e mettendo così in pericolo l’autorità dello Stato;
i merdionalisti legavano la denuncia del malcostume politico alla critica severa della piccola economia governativa, che avrebbe favorito l’industria protetta e le “oligarchie” del Nord, ostacolando lo sviluppo delle forze produttive nel Mezzogiorno.
-> Giolitti dovette fare i conti con una crescente impopolarità.

La politica estera, il nazionalismo, la guerra di Libia

Con un nuovo trattato di commercio con la Francia per la divisione delle sfere di influenza in Africa settentrionale, l’Italia otteneva diritti di priorità sulla Libia, lasciando in cambio mano libera alla Francia sul Marocco. Il riconoscimento italiano delle aspirazioni francesi sul Marocco, non piacque ai tedeschi, e meno ancora agli italiani il modo in cui l’Austria-Ungheria procedette all’annessione della Bosnia-Erzegovina. L’episodio metteva in evidenza la posizione di partner più debole occupata dall’Italia nella Triplice, contribuì a determinare un clima di riscossa nazionale: la riscoperta delle vecchie rivendicazioni irredentiste sul Tirreno e la Venezia-Giulia.
Ebbe fortuna la teoria formulata da Corradini, secondo cui il contrasto fondamentale era quello fra paesi ricchi e poveri, fra “nazioni capitaliste” e “nazioni proletarie”. In questo clima politico potè sorgere un movimento nazionalista che, si diede una struttura organizzativa alla fine del 1910 con la fondazione dell’Associazione nazionalista italiana; che si rifaceva alle teorie di Corradini, “l’idea nazionale” diede vita a una martellante campagna in favore della conquista della Libia. In questa campagna i nazionalisti trovarono potenti allenati nei gruppi cattolico-moderati, legati al Banco di Roma, impiegato in un’opera di penetrazione economica in terra libica. Tutto ciò contribuì a spingere l’Italia sulla via dell’Intervento.
La spinta decisiva venne dagli sviluppi della seconda “crisi marocchina”. Quando la Francia si apprestava a imporre il suo protettorato sul Marocco, il governo italiano inviò sulle coste libiche un contingente di uomini, scontrandosi però contro la reazione dell’Impero turco, che esercitava su quei territori una sovranità. I turchi, anziché accettare uno scontro, preferirono fomentare la guerriglia condotta dalle popolazioni arabe. Il teatro dello scontro si estese al Mar Egeo, all’isola di Rodi e al Dodecanneso. Nel 1912 i turchi acconsentirono a formare la pace di Losanna, rinunciando alla Libia. La pace non valse a far cessare la resistenza araba, gli italiani trassero pretesto per mantenere l’occupazione di Rodi e del Dodecanneso. Dal punto di vista economico , poi, la conquista della Libia si rivelò un pessimo affare. I costi della guerra furono molto pesanti e le ricchezze naturali scarse o inesistenti. Non mancarono gli oppositori decisi: i socialisti e parte dei repubblicani e dei radicali; la maggioranza dell’opinione pubblica borghese si schierò a favore dell’impresa coloniale. La guerra di Libia, introducendo elementi di radicalizzazione nel labirinto politico, scosse gli equilibri su cui si reggeva il sistema giolittiano. La destra liberale, i clerico-conservatori e soprattutto i nazionalisti trassero un nuovo slancio, mentre il versante socialista si indebolì.

Riformisti e rivoluzionari

la svolta liberale di inizio del 900 aveva avuto nei socialisti dei protagonisti attivi. Il grande sviluppo delle organizzazioni operaie e contadine nei primi anni del secolo sembrò dar ragione a chi pensava che la via delle riforme e della collaborazione con la borghesia progressista, pur nel rispetto della propria autonomia di classe, fosse per il movimento operaio l'unica capace di assicurare il consolidamento dei risultati appena conseguiti. Le tesi di Turati cominciarono ad incontrare opposizioni crescenti.
Agli occhi dei socialisti rivoluzionari, i conflitti fra lavoratori è forza pubblica mostravano la vera natura dello Stato, contro cui si doveva continuare ad opporre una linea di rigida intransigenza. Nel congresso di Bologna (1904) le correnti rivoluzionarie riuscirono a strappare ai riformisti la guida del partito. La protesta dei lavoratori per l'ennesimo "eccedio proletario" sfociava nel primo sciopero generale nazionale della storia d'Italia. Giolitti lasciò che la manifestazione si esaurisse da sola, lo sciopero costituì una rivelazione di alcuni limiti: la distribuzione territoriale squilibrata, la mancanza di coordinamento e l'assenza di un organo sindacale centrale. Dalle federazioni di categoria partiti iniziativa che portò, nel 1906, alla fondazione della Confederazione generale del lavoro (Cgl) controllata da riformisti. Minoritari nel sindacato, i rivoluzionari presero posizioni anche nel partito. La corrente sindacalista-rivoluzionaria fu allontanata dal Psi. I riformisti riassunsero il controllo del partito, ma conobbero nel contempo le prime serie divisioni interne. In questi anni si andò delineando una tendenza revisionista, che prospettava la trasformazione delle Psi in un " partito del lavoro " privo di connotazioni di logiche e disponibile per una collaborazione di governo con le forze democratico-liberali. Il rivoluzionari riuscirono a imporre l'espulsione dal Psi per un dei riformisti di destra, che diedero vita al Partito socialista riformista italiano. La guida del Psi tornò nelle mani degli intransigenti, tra le quali viene emergendo la figura di Benito Mussolini -> chiamato alla direzione del quotidiano del partito " l'avanti! ", egli portò nella propaganda socialista uno stile nuovo basato sull'appello diretto alle masse.

Democratici cristiani e clerico-moderati

Il movimento cattolico italiano conobbe sviluppi, un fatto nuovo fu l’affermazione del movimento democratico-cristiano.-> Leader era Romolo Murri. I democratici cristiani e svolsero un'intensa attività organizzativa, diedero vita alle prime unioni sindacali cattoliche " di classe " -> adesione dei soli lavoratori. L'azione dei democratici cristiani fu osteggiata dal nuovo Papa Pio X che temendo l'Opera dei congressi potesse finire sotto il loro controllo, non esitò a scioglierla, creando tre organizzazioni distinte, dipendenti dalla gerarchia ecclesiastica: l'Unione popolare, l'Unione economico-sociale e l'Unione elettorale, più tardi riunite da un organo detto Direzione generale dell'azione cattolica. Murri aveva rifiutato di sottostare alle direttive pontificie e fu sconfessato, questo non impedì al  movimento sindacale cattolico di continuare a svilupparsi. In Italia esistevano le leghe bianche, le organizzazioni bianche riscossero un certo successo anche tra i lavoratori agricoli. Il movimento contadino cattolico si sviluppò anche in Sicilia guidato da un prete, Luigi Sturzo. Il Papa e i vescovi favorirono le tendenze clerico-moderate che si andavano manifestando nel movimento cattolico e che miravano a far fronte comune con i " partiti d'ordine " per bloccare l'avanzata delle sinistre. Il non expedit fu sospeso nel 1904. La linea clerico-moderata ed piena consacrazione di con le elezioni del novembre 1913 quando Gentiloni, presidente e dell'Unione elettorale cattolica, invitò ad appoggiare quei candidati liberali che si impegnassero a rispettare un programma che prevedeva la tutela dell'insegnamento privato, l'opposizione al divorzio, il riconoscimento delle organizzazioni sindacali cattoliche. Nella prospettiva dello sviluppo di un movimento cattolico autonomo il " patto Gentiloni " rappresentò una battuta d'arresto. D'altra parte, collezioni i cattolici italiani acquistavano una capacità di pressione sulla classe dirigente mai avuta.

La crisi del sistema Giolittiano

in fede reale e il ruolo conservavano una ampia maggioranza più eterogenea che in passato: il che rendeva la mediazione giolittiana sempre più problematica. Nel 1914 Giolitti rassegna le dimissioni, successore fu Antonio Salandra della destra liberale. 
Un sintomo del nuovo clima fu la settimana rossa -> la morte di tre dimostranti durante una manifestazione antimilitarista ad Ancona provocò scioperi e agitazioni in tutto il paese, nelle Marche e in Romagna la protesta assunse un carattere insurrezionale, ma l'agitazione si esaurì in pochi giorni; il risultato fu quello di rafforzare le tendenze conservatrici in seno alla classe dirigente e di accentuare le fratture all'interno del movimento operaio.
Lo scoppio del conflitto mondiale intervenne a distogliere l'opinione pubblica dai problemi interni e a determinare nuovi schieramenti fra le forze politiche italiane. La grande guerra avrebbe reso irreversibile la crisi del giolittismo.

riassunto del libro di Sabbatucci, Vidotto, Il mondo contemporaneo ('800 e '900)

 

Fonte: https://c1e0f1e1-a-62cb3a1a-s-sites.googlegroups.com/site/gionni555/download/Storia%20contemporanea%20-%20Lottocento.doc?attachauth=ANoY7coJIiaIeB9gTl9Fa7ko3d2saRp-upaRehyWplVRw7m1jxQqKxUsiaHXPacQBcbdTePR5f1VZRidq_DjIqkC6H97wzXQ2ZHB-NFmGOfidCcQ6Ce_EslQSSSOl53tjVgCkM7lBj6xLKgcsKi95umsZPnR3PLyxRJcL5nEZ_ZTM8pT4FI8aPrJrkysvdtS1By0GskhD2zjIfzgQmkTAX0V5zgqG0EFsd2BouGmYL-Iyh28-Xwjay7ZZ5gWLaJJOnDICIljxD0b&attredirects=0&d=1

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