Povertà

 


 

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Povertà

 

La povertà

Il fenomeno della povertà

 

Che cos’è la povertà

La povertà può essere definita come una condizione caratterizzata da limitazioni materiali che impediscono una vita soddisfacente. Tale definizione lascia però aperti tre interrogativi.

Quando una vita è soddisfacente? Sul modo di percepire la soddisfazione riguardo alla propria esistenza vi sono differenze individuali (un’esistenza che soddisfa un uomo può essere fallimentare per un altro) e socio-culturali (un individuo della nostra civiltà che non può permettersi un cellulare avverte un senso di deprivazione, mentre ciò non è avvertito per esempio da un membro di una società tradizionale). Certamente esiste un livello minimo di benessere universale, al di sotto del quale nessun uomo, di qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, può dirsi soddisfatto della propria vita: senza i mezzi per nutrirsi, vestirsi, avere un tetto un uomo è povero, anche se non ha grandi ambizioni e la civiltà cui appartiene è frugale.

Quando ci sono limitazioni materiali? Se si rompe il televisore e non ho i soldi per comprarne uno nuovo, soffro una limitazione materiale. Ma tale limitazione c’è perché desidero un televisore nuovo, anziché accontentarmi di riparare il vecchio o addirittura rinunciare alla televisione. Quindi la percezione della limitazione è legata a un fatto psicologico. Alla percezione della limitazione concorrono anche fattori sociali: per es. per comprare il televisore potrei farmi prestare i soldi, ma potrei non riuscirci perché magari non godo di sufficiente prestigio per avere un credito.

Che cosa comporta il fatto di essere poveri? C’è vera povertà solo se si soffrono i danni causati della condizione di limitazione materiale (ad es. San Francesco viveva in povertà per scelta missionaria, quindi viveva tale condizione non come svantaggio, ma anzi addirittura come benessere).

 

Povertà assoluta e relativa

Dai primi studi sulla povertà condotti in Gran Bretagna nella seconda metà dell’Ottocento, fino a qualche decennio fa, si è adottato un approccio di sussistenza, secondo il quale è povero chi è privo delle risorse necessarie alla sopravvivenza. In questo approccio si ragiona in termini di povertà assoluta e si considerano poveri quegli uomini che hanno un tenore di vita talmente basso da risultare tali indipendentemente dalle aspirazioni che hanno o dal contesto in cui vivono. Tale approccio ha il vantaggio di definire la povertà in termini universali, semplificando i confronti tra esperienze diverse di povertà, ma ha lo svantaggio di restringere eccessivamente l’ambito della povertà (si finisce per non considerare poveri molti individui, i quali tuttavia vivono in una condizione di deprivazione se confrontati con gli altri membri della loro società).

Via via che sono apparsi chiari i limiti dell’approccio di sussistenza, si è imposto un approccio comparativo: è povero chi ha un tenore di vita inferiore a quello che possono avere le persone della sua società. Anche questo approccio ha dei difetti, in quanto ci induce a considerare accettabili condizioni di vita scadenti per il solo fatto che sono diffuse in una data società (diremmo così che un etiope che guadagna mille dollari l’anno sta bene, perché nel suo paese il reddito medio è di 100 dollari; tuttavia anche lui in realtà vive quelle condizioni di limitazioni proprie della società e del territorio in cui vive e i suoi mille dollari sono niente in confronto ai 40mila di uno Svizzero).

Entrambi gli approcci presentano pregi e difetti, pertanto ci sono stati tentativi di elaborare teorie che li sintetizzassero entrambi (prendendone il meglio), definendo la povertà sia in termini assoluti che relativi.

 

Aspetti non-economici della povertà

La povertà non è solo un fatto economico, è condizionata anche da aspetti non-economici, come i fattori individuali e ambientali. Sul piano individuale contano le aspirazione che una persona ha: chi ha un basso livello di aspirazioni tollera carenze economiche insopportabili ad altri. Si può comunque parlare di povertà solo quando le aspirazioni sono legittime (per es., nella nostra società è legittimo aspirare ad avere una casa, un’automobile, l’accesso ai servizi sanitari, ecc. e quindi è naturale che senza tali mezzi una persona si senta povero; mentre non è legittimo che uno si senta povero solo perché non può aspirare ad avere ricchezze smisurate, ville, yacht, ecc.).

Spesso però le persone non riescono a realizzare le proprie aspirazioni legittime a causa della situazione ambientale. In una società dove servizi come gli ospedali, l’acqua potabile, il rifornimento energetico, i trasporti, le comunicazioni sono carenti neppure forti disponibilità economiche consentono di star bene.

 

Effetti della povertà

Essere poveri può avere conseguenze fisiche che vanno dalla ridotta durata della vita alla malnutrizione. Oltre alle conseguenze fisiche ci sono anche quelle psicologiche, come l’abbassamento dell’autostima, l’apatia, la depressione.

A seconda di come ci si pone nei confronti della povertà (cioè se vista come una condizione che penalizza alcuni oppure come una male che rischia di destabilizzare la società), la povertà può essere vista anche come un problema sociale.

Misure di povertà

Per valutare la povertà assoluta si fissa una soglia di povertà assoluta, cioè un reddito o una spesa minima che un individuo deve avere per garantirsi la sopravvivenza. In seguito si calcola il tasso di povertà assoluta, ovvero la percentuale di popolazione al di sotto della soglia. Per quanto riguarda la povertà relativa si fissa una soglia di povertà relativa e si verifica il tasso di povertà relativa del paese in esame. La soglia di povertà relativa è fissata alla metà del reddito medio pro capite, per cui, in base a questo calcolo, si considera povera una persona che ha un reddito che non supera la metà del reddito medio pro capite. La povertà relativa si può misurare anche calcolando la quota di reddito totale cha va al 20% più povero della popolazione. Indicatori più fini tengono conto anche di altri aspetti non economici, come la salute, la durata della vita, l’accesso all’istruzione e ai servizi igienico-sanitari, ecc.

Chi sono i poveri?

Nelle società avanzate il povero è tipicamente un disoccupato, membro di una minoranza etnica, donna (oggi le donne sono istruite come gli uomini, ma percepiscono una retribuzione mediamente minore), appartenente ad una delle fasce di età deboli (giovani e anziani).

La povertà, inoltre, tende a crescere con l’ampiezza delle famiglie e ha un peso considerevole il luogo di residenza. I poveri formano una categoria eterogenea, nella quale si possono individuare diverse sotto categorie :

  • Poveri abili (disoccupati o sottoccupati) e inabili (malati, anziani, handicappati).
  • Poveri cronici o strutturali, che difficilmente sperano di uscire dalla loro condizione, e poveri temporanei, che devono la loro condizione a circostanze particolari e che hanno considerevoli speranze di uscire dalla povertà.
  • È importante distinguere tra povertà urbana e povertà rurale: i poveri dei paesi in via di sviluppo sono soprattutto poveri di campagna; nei paesi sviluppati la povertà si concentra nelle aree urbane.

 

Perché c’è la povertà

 

Spiegazioni di senso comune

Chi sta bene tende ad attribuire la ricchezza e la povertà a cause interne, chiamando in causa fattori positivi nel caso della ricchezza (lavorare sodo, saper amministrare, ...) e negativi nel caso di povertà (pigrizia, imprudenza, …). I poveri attribuiscono invece, ricchezza e povertà a cause esterne (avere o non avere un patrimonio famigliare, essere o non essere fortunati, ...) e chiamano in causa fattori individuali di tipo negativo nel caso della ricchezza (affarismo, mancanza di scrupoli, essere venali, …) e positivo per la povertà (restare integri, essere altruisti, avere spiritualità, …).

Una genesi multifattoriale

La povertà è legata a fattori economici: la competizione economica per l’accesso alle risorse fa sì che alcuni ne hanno in abbondanza e altri non ne hanno a sufficienza; intervengono anche fattori non-economici; culturali, sociali, psicologici e ambientali.

La povertà è anche il risultato di processi di impoverimento, ovvero di eventi che portano le persone a essere sempre più povere (per es. un cinquantenne che perde il lavoro tende a perdere anche molti rapporti sociali e ciò renderà più difficile reinserirsi nel mondo del lavoro, aumentando l’isolamento).

 

Il circolo vizioso della povertà

Il fenomeno della povertà si automantiene: se uno è povero tende a restare povero.

Ad esempio, nei paesi del Terzo Mondo, a causa della sovrappopolazione il reddito pro capite è basso, di conseguenza gli investimenti sono scarsi, il mercato è povero, la produttività si mantiene bassa, facendo sì che la povertà si autoalimenti.

 

Le politiche sociali per arginare la povertà

 

Redistribuire le ricchezze o promuovere lo sviluppo?

Nelle politiche sociali esistono due grandi orientamenti per ridurre la povertà.

  • Ridistribuire le ricchezze: lo Stato deve togliere beni ai ricchi e darli ai poveri, con il sistema progressivo delle imposte (chi ha più disponibilità economiche è soggetto a prelievi fiscali maggiori) e i trasferimenti assistenziali (pagamenti in denaro o in natura o sotto forma di servizi – alloggi, viveri, vestiti, istruzione - fatti dalla pubblica amministrazione a persone bisognose).
  • Promuovere lo sviluppo: lo Stato deve preoccuparsi di favorire lo sviluppo economico del paese.

Queste due strategie sono complementari; infatti, l’una e l’altra hanno dei pregi e dei difetti. Ridistribuendo le ricchezze si ottiene una riduzione della povertà; tuttavia, potrebbero nascere tensioni sociali nei riguardi di uno Stato giudicato troppo esoso. C’è inoltre il pericolo che trasferimenti assistenziali disincentivino il lavoro. D’altra parte la crescita economica non produce automaticamente riduzione della povertà: se la disuguaglianza aumenta, la povertà resta intatta. L’ideale è combinare le due strategie all’interno di programmi attenti; esistono, infatti, interventi che in sé combinano ridistribuzione delle ricchezze e promozione dello sviluppo.

Politiche non-economiche

Oltre a questi interventi economici, possono aiutare a ridurre la povertà anche politiche sociali non-economiche, come la lotta contro i pregiudizi e le discriminazioni e la massiccia diffusione della salute e dell’istruzione.

Come spezzare il circolo vizioso della povertà nel Terzo Mondo?

Per spezzare il circolo vizioso della povertà del Terzo Mondo occorrerebbe investire per aumentare la produzione e trovare il modo di arrestare la crescita demografica.

 

Fonte: http://doceo.pbworks.com/w/file/fetch/51383081/poverta.doc

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