Tesine multidisciplinari

 


 

Tesine multidisciplinari

 

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Tesina Multidisciplinare

 

 


 

INDICE

 

  • Schopenhauer: Il Mondo come Volontà e Rappresentazione.
  • Nietzsche: Apollineo e Dionisiaco.
  • Pirandello: Illusione e Realtà.
  • Einstein: La Relatività.
  • M. C. Escher: Il Disegno è Illusione.
  • Mussolini e l’avvento del Fascismo
  • Hitler e la Dittatura Nazista.
  • Le Olimpiadi di Berlino del ’36
  • Tacito :  le Historiae.
  • Alessandro Magno tra Mito e Leggenda.
  • Luminosità Apparente e Luminosità Assoluta.

ARTHUR SCHOPENHAUER: IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE

 

 

All’idealismo romantico di cui Hegel è capostipite, Schopenhauer contrappone la tesi che la vita sia eterna sofferenza, al di là di qualsiasi ingannevole apparenza.
Il punto di partenza della sua filosofia è la distinzione kantiana fra fenomeno e noumeno (cosa in sé).
A differenza del filosofo tedesco considera il fenomeno come sogno, illusione, mentre concepisce il noumeno come una realtà nascosta dietro l’ingannevole trama fenomenica.

  


 

 

Schopenhauer analizza la contrapposizione tra realtà (Volontà) e apparenza (Rappresentazione) nella celebre opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Il fenomeno è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza (Il mondo è la mia rappresentazione) ed ha due aspetti essenziali e inscindibili la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza: da un lato il soggetto rappresentante, dall’altro l’oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono solo all’interno della rappresentazione e sono dipendenti tra loro.
Inoltre ammette, a differenza di Kant, solo tre forme a priori: spazio, tempo e causalità (alla quale tutte le altre sono riconducibili).
Poiché Schopenhauer paragona le forme a priori a dei “vetri sfaccettati” attraverso cui si deforma la visione delle cose, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole, traendo la conclusione che la vita è “sogno, tessuto d’apparenze, una sorta d’incantesimo”.
Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo non può fare a meno di interrogarsi: esso, infatti, è un animale metafisico che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita.
La rappresentazione è identificata con il velo di Maya, divinità buddista che si avvaleva del velo come strumento per mostrare come reali delle semplici illusioni.
Il filosofo vuole fuoriuscire dalla dimensione illusoria per giungere alla realtà, squarciando tale velo; per farlo, egli ricorre all’allegoria del “castello circondato dall’acqua con il ponte levatoio sollevato”: il viandante può osservare il castello da tutti i lati, ma ne rimarrà sempre fuori.
Allo stesso modo noi possiamo esaminare la realtà da tutti i punti di vista, ma ne rimaniamo sempre fuori. Il tunnel che ci consente di andare al di là delle illusioni è il nostro corpo, l’unica realtà che non c’è data solo come immagine, perchè noi viviamo il nostro corpo anche dall’interno.
La corporeità è, quindi, il modo per andare al di là della rappresentazione e afferrare l’essenza delle cose.
Schopenhauer considera il corpo solo come un mezzo metafisico per pervenire alla realtà; percorrendo questa strada si individua una realtà sostanziale: la Volontà di vivere, che ha un valore universale.
La Volontà di vivere è una forza tragica apportatrice di dolore, è il fondamento del reale, la brama, il desiderio di esistere, la vera essenza delle cose. Essa presenta quattro caratteristiche:

  • è inconscia: non riguarda solo le creature dotate di coscienza, ma riguarda tutto il mondo animato e inanimato;
  • è unica: si colloca al di là della categoria dello spazio (la prima categoria della razionalità);
  • è eterna: è oltre il tempo (la seconda categoria razionale);
  • è incausata e senza scopo: non ha né una causa né un fine, è oltre la causalità (la terza categoria della razionalità).

Da questo deriva l’irrazionalismo del pensiero filosofico schopenhauriano: viene negata la presenza di qualunque realtà nelle cose, di qualsiasi carattere razionale nella realtà (contrariamente a Hegel, secondo il quale ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale), e viene negata qualsiasi efficacia riconosciuta alla ragione.
Dalla concezione di Schopenhauer della Volontà di vivere emerge un ineluttabile pessimismo: la Volontà di vivere produce sofferenza perché volere significa desiderare, cioè mancare di qualcosa.
Tale senso di mancanza produce sofferenza, quindi la Volontà di vivere è portatrice di sofferenza.
Alcuni desideri possono essere soddisfatti, ma il loro appagamento è temporaneo: il piacere è un intervallo in cui cessa il dolore e quando l’aculeo del desiderio viene meno subentra la noia.
Poiché la Volontà di vivere si manifesta come una vera e propria Sensucht cosmica, il dolore investe ogni creatura.
Schopenhauer approda dunque allo stadio della sofferenza universale: tutto soffre, il male non è solo nel mondo, ma nel Principio da cui esso dipende; dietro le celebrate “meraviglie del creato si cela, in realtà, un’arena di esseri tormentati e angosciati, i quali esistono solo a patto di divorarsi l’un l’altro, dove perciò ogni animale carnivoro è il sepolcro vivente di mille altri e la propria autoconservazione è una catena di morti strazianti”.
Schopenhauer ritiene, inoltre, che anche il tema dell’amore debba essere affrontatato: l’amore non è altro che il risultato di “due infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano ed una terza infelicità che si prepara”.
Nella globalità della sua filosofia, una via di liberazione apparentemente sicura dal dolore potrebbe essere il suicidio, condannato invece fortemente dal filosofo perché è un’emblematica affermazione della Volontà stessa di vivere.
La vera risposta al dolore del mondo non consiste nell’eliminazione di una o più vite, bensì nella stessa liberazione dalla Volontà di vivere; l’iter salvifco delineato da Schopenhauer consta di tre momenti essenziali:

  • l’arte: è la conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee ed ha un carattere contemplativo.

La sua funzione è però temporanea e parziale, come  un incantesimo;

  • l’etica della pietà (morale): la morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. L’etica è un tentativo di superare l’egoismo compatendo il prossimo e identificandoci con il suo tormento.

La morale si concretizza in due virtù cardinali:

    • giustizia: rappresentata dal principio “neminem laede”, consiste nel non fare del male agli altri e perciò costituisce il carattere “negativo” della pietà.
    • carità: riassunta nel principio “omnes, quantum potes, juva”, coincide con la volontà di fare del bene al prossimo, ossia con l’aspetto “positivo” della pietà.
  1. l’ascesi: è l’esperienza per la quale l’individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere mediante una serie di accorgimenti (castità, umiltà….) il cui culmine porta al raggiungimento del Nirvana.

 


FRIEDRICH NIETZSCHE: APOLLINEO E DIONISIACO

 

Un filosofo: un filosofo è un uomo che spera, sogna cose straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall’esterno, da sopra e da sotto, come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia un’aria sinistra.
Un filosofo: ahimé, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso, ma che è troppo curioso per non tornare a se stesso ogni volta”.

  


Nietzsche e Freud sono accomunati dall’aver smantellato in profondità, seppur con differenti modi, le certezze del mondo ottocentesco e della sua fiducia razionalistica, già peraltro fatte scricchiolare da Schopenhauer e da Kierkegaard.
Il bersaglio a cui indirizzano le loro critiche è costituito tanto dal panlogismo hegeliano quanto dal materialismo marxiano e dallo scientismo positivistico, filosofie che hanno in comune una fiducia esasperata nel progresso.
Nietzsche è in piena sintonia con l’idea marxiana di una filosofia di trasformazione, per cui interpretare il mondo senza mutarlo è insufficiente e, nel proporre questo modo di pensare, interrompe una lunga tradizione, risalente ad Aristotele, che voleva la filosofia come “sapere fine a se stesso”.
Il sapere per il sapere, a Nietzsche non interessa, come del resto non gli interessa la pura e semplice ricostruzione filologica della realtà: queste operazioni, infatti, risultano del tutto subordinate, e dunque di secondaria importanza, rispetto al problema della vita.
Sulla base di queste considerazioni, Nietzsche si innesta su un filone di pensiero che si può definire vitalistico, volto all’esaltazione della vita e dell’irrazionalismo.
La prima opera importante composta da Nietzsche è “La Nascita della Tragedia”.
Nell’opera e, più in generale, nell’intera filosofia nietzscheiana, aleggia l’idea che la crisi che sta vivendo la civiltà occidentale sia un qualcosa di molto remoto, risalente ai tempi del mondo greco, nell’indagine del quale Nietzsche apporta ragguardevoli novità.
In primo luogo, egli stravolge la tradizione nella misura in cui non guarda alla civiltà greca come vivamente ottimistica, ma, al contrario, ne indaga gli aspetti ombrosi, il pessimismo di fondo che serpeggia in quel mondo e che nessuno era stato davvero in grado di cogliere.
In quest’indagine, Nietzsche prende spunto da Schopenhauer, della cui filosofia si dichiara momentaneamente depositario: e legge, appunto, la nascita della tragedia come manifestazione di questo pessimismo latente che pervade il mondo greco; in particolare, egli adduce come esempi del pessimismo imperante all’epoca le lamentazioni sull’esistenza, i numerosi paragoni instaurati tra le stirpi umane e le foglie e, soprattutto, ricorda la vicenda di un sovrano che, imbattutosi in un satiro dei boschi detentore della verità sull’esistenza umana, dopo averlo a lungo rincorso, lo costringe ad enunciare tale verità; il bene assoluto per l’uomo è non nascere e, se nasce, morire al più presto.
La tragedia, nella prospettiva nietzscheiana, costituisce il momento in cui la civiltà greca arriva al suo massimo grado e, contemporaneamente, si avvia al suo tramonto: l’intera civiltà greca (e, indirettamente, quella occidentale) appare agli occhi di Nietzsche governata da due principi che egli identifica, rispettivamente, con il dio Apollo e con il dio Dioniso. Essi simboleggiano due atteggiamenti antitetici che connotano il mondo dei Greci:

  • da un lato, Dioniso è l’orgiastico dio della natura selvaggia e incarna il disordine, le forze irrazionali e istintive dell’uomo;
  •  dall’altro, Apollo è il dio solare, emblema dell’equilibrio, dell’armonia, della razionalità e dell’ordine.

Ed è come se il mondo greco, nella sua classicità, avesse privilegiato l’atteggiamento apollineo, dandosi una veste razionale; Nietzsche mette invece in risalto l’aspetto dionisiaco, attribuendogli un peso maggiore rispetto a quello apollineo.
Prima che nascesse la tragedia, egli nota che vi è stato un alternarsi dei due atteggiamenti, per cui ora prevaleva la prospettiva caotica del dionisiaco, ora quella composta dell’apollineo.
A differenza dell’interpretazione che del mondo greco aveva dato qualche decennio prima Hegel, ad avviso del quale, i Greci erano un popolo ottimista e composto per inclinazione naturale, Nietzsche mette in luce come i Greci abbiano insistito in modo esasperato sull’ordine perchè avevano un senso particolarmente acuto della tragicità dell’esistenza umana.
Dionisiaco e apollineo, inizialmente presentati come due poli antitetici, si rivelano ora come due facce della medesima medaglia, in quanto l’apollineo nasce come reazione alla tragicità dionisiaca della vita.
La tragedia greca costituisce il vertice raggiunto dal mondo arcaico, in quanto in essa è cristallizzato un perfetto e armonico equilibrio tra lo spirito dionisiaco e quello apollineo: sulla scena, vengono rappresentati avvenimenti terribili che, però, risultano piacevoli agli spettatori (già Aristotele aveva riflettuto su questo paradosso).
L’interpretazione che ne dà Nietzsche è in piena sintonia con il suo ragionamento: di fronte alla tragicità degli eventi messi in scena, si prova piacere perchè è vero che si esprime l’impeto dionisiaco, ma si tratta di “Dioniso che parla per bocca di Apollo”, ovvero gli elementi tragici dell’esistenza messi in scena vengono sapientemente sublimati dall’essere tradotti in un linguaggio artistico, come se Apollo desse forma ai contenuti di Dioniso.
E la tesi nietzscheiana, che campeggia nell’opera, secondo la quale la tragedia deriverebbe da antichi riti dionisiaci, è ancor oggi accettata.
Tragedia, infatti, sta a significare “canto del capro”: il capro era un animale sacro a Dioniso; al coro di uomini vestiti come capri in onore del dio, si è sempre più contrapposta la figura di Dioniso e da ciò si è, gradualmente, sviluppata la tragedia vera e propria.
In quest’opera Nietzsche professa la propria ascendenza schopenhaueriana e lo si evince dal prevalere, nella sua lettura del mondo greco, dell’aspetto drammatico e caotico dell’esistenza e della forza irrazionale, quasi demoniaca, che la permea a tal punto che la razionalità altro non è se non una mera apparenza.
Tuttavia, nella seconda edizione dell’opera, Nietzsche pone una prefazione in cui dichiara di non subire più l’influsso schopenhaueriano.
I due filosofi appaiono incommensurabilmente distanti nella loro concezione della vita; essa è per Nietzsche il valore centrale intorno al quale costruire la filosofia e va vissuta accettandola in ogni sua sfumatura (in “Così parlò Zarathustra” egli dice, con un’espressione che ben sintetizza la sua filosofia, “bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”), mentre per Schopenhauer, attraverso quel tortuoso processo che, culminando con la “noluntas”, porta allo spegnimento della vita stessa, essa non ha alcun valore, ed è anzi la fonte della sofferenza umana.
Da tutto ciò si evince come per Nietzsche la vita sia il valore supremo e che la tragicità che la connota non sia un motivo sufficiente per sottrarsi ad essa: il coro tragico si identifica a tutti gli effetti con la caoticità di Dioniso; Apollo stesso, del resto, non viene dipinto a tinte negative, ma è inteso come un filtro che permette di vedere la tragicità esistenziale senza essere accecati dal fulgore che essa emana.
Ciò non toglie, tuttavia, che l’apollineo, per rimanere positivo, non debba perdere il suo contatto con il dionisiaco (da cui è generato): il problema sorge nel momento in cui Apollo non è più portavoce di Dioniso, ma parla con voce propria, diventando così autonomo.
E il crollo della cultura greca, verificatosi agli occhi di Nietzsche nel V secolo a.C. è legato proprio a questo: i due personaggi che ne sono vessilliferi sono Euripide, tragediografo dell’epoca, e Socrate, modello tipico di spettatore di tali tragedie.
Infatti, con la produzione euripidea, il tragico sfuma e cede il passo alla razionalità, i personaggi in scena ragionano con una dialettica spietata e la tragedia perde i suoi connotati tragici tendendo sempre più a diventare ottimistica e razionale.
Socrate, dal canto suo, è il primo grande simbolo della razionalità filosofica della Grecia e il suo allievo, Platone, non fa che accentuarla: la civiltà occidentale si è sempre più diretta, in modo irresistibile, verso una marcata compostezza ordinata e razionale, con il conseguente sganciamento dell’apollineo dal dionisiaco e la fine dell’equilibrio tra i due.
In questa fase del suo percorso filosofico, Nietzsche, scorge nella figura di Wagner la possibilità di una rinascita della tragedia greca, intesa come antidoto al prevalere imperante dell’apollineo.
Una buona parte del lavoro filosofico di Nietzsche nella sua maturità è dedicato alla ricostruzione della “genealogia della morale”: se nella prima fase della sua indagine, il pensatore tedesco aveva individuato nell’arte la via di salvezza per la civiltà occidentale, da un certo momento in poi egli abbandona tale strada e scorge l’unico antidoto possibile nella scienza; per questo motivo questa nuova stagione del suo pensiero è stata spesso definita “illuministica”.
Apparentemente può stupire questa fedele adesione alla scienza di un pensatore che privilegia l’irrazionale e, soprattutto, il vitalismo.
Ma l’atteggiamento che egli assume è radicalmente diverso rispetto a quello positivistico, fiducioso che nel dato di fatto risiedesse la verità; più precisamente, la valutazione positiva che Nietzsche riserva alla scienza è perché non la considera in base ad un criterio di verità, ma piuttosto perchè capace di liberare l’uomo, proprio come, anni prima, aveva valutato positivamente la religione per la sua capacità di far emergere la capacità creativa.
E’ per questo che egli abbraccia la scienza nella misura in cui in essa scorge una capacità liberatoria, senza contrapporla, perchè più “vera” (come invece facevano i positivisti) alle nebbie della metafisica.
 Ciò che più affascina Nietzsche della scienza e del suo essere utile per la vita è il fatto che essa indaghi sull’origine delle cose.
 Nietzsche vuole invece proiettare la propria indagine sulla morale, e vuole dimostrare che essa non ha un’origine sovrasensibile e divina, ma anzi, fin troppo terrena: le regole morali che serpeggiano nella nostra civiltà sono regole di convivenza civile per regolare il comportamento degli individui, e non leggi enigmaticamente emanate da Dio.
La morale nasce perché l’uomo, ha per natura il bisogno di dominare la realtà che lo circonda.
E, per fare ciò, sente la necessità impellente di imporsi delle regole comportamentali e conoscitive che lo difendano dalla realtà caotica e irrazionale in cui è immerso, proprio come, al tempo dei Greci, lo spirito apollineo era nato da quello dionisiaco.
Perfino la religione è una forma di morale, visto che in Dio sono cristallizzati tutti i valori maturati nella storia dell’uomo; quelli che vengono generalmente riconosciuti come “il bene” e “il male” sono tali perchè così hanno stabilito i “padroni”: succede, così, che nasca una morale dei servi, di coloro, cioè, che sono assoggettati in quanto deboli e che, con la loro morale, intendono negare la validità del diritto del più forte, proponendo, opposta ad essa, una “morale del risentimento”.
Nietzsche demitizza la morale e da ciò deriva un atteggiamento di nichilismo.
Una volta che la scienza “gaia” (perchè liberatrice) perviene alla conoscenza e alla decostruzione della morale, la depotenzia fino a liberare l’uomo dalle tradizionali catene dei valori morali imposti dall’esterno con la “trasvalutazione dei valori”, ovvero l’affermazione che la verità in realtà è menzogna.
In base a tali considerazioni, Nietzsche può così arrivare ad affermare che “Dio è morto”: in molti si sono chiesti perchè non dica, molto più semplicemente, che non esiste, ma in realtà il suo atteggiamento è profondamente motivato dal suo stesso impianto filosofico.
Dopo che la morale e la religione sono giunte al loro crepuscolo, l’uomo che si è congedato da esse è il superuomo; “morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva”.
Tuttavia, al termine superuomo, destinato a diventare un mito per le generazioni successive a Nietzsche e ad essere soggetto di clamorosi fraintendimenti, è preferibile usare quello di “oltreuomo”.
Fondamentalmente, l’oltreuomo non è un essere superiore agli altri, ma la nuova figura che l’uomo dovrà assumere in futuro.
Zarathustra insegna a non accettare insegnamenti, e a creare nuovi valori; profetizza la venuta del superuomo: “Ancora non é esistito un superuomo. Io li ho visti tutti e due nudi, l’uomo più grande e il più meschino. Sono ancora troppo simili l’uno all'altro. In verità anche il più grande io l’ho trovato troppo umano!”.
Vi sarà una fase provvisoria in cui esisteranno solo pochi oltreuomini in grado di cogliere come procede il futuro.
L’oltreuomo trasvaluta tutti i valori e ne crea di nuovi, facendo della propria vita un’opera d’arte.
 Nietzsche può affermare che “l’uomo è un cavo teso fra la bestia e il superuomo [...] é qualcosa che deve essere superato”, ma tale cavo è sospeso nel vuoto ed è perciò un passaggio arduo e rischioso (non a caso il funambolo presente in “Così parlò Zarathustra” perde l’equilibrio e cade).
Sempre dalla lettura di “Così parlò Zarathustra” emergono altri concetti chiave della filosofia nietzscheiana, come ad esempio quello di “Volontà di potenza” e di “Eterno ritorno”.
In particolare, la Volontà di potenza è l’elemento dionisiaco in grado di cogliere la forza irrazionale che governa la realtà e che finiva per identificarsi con la Volontà di Schopenhauer.
Tuttavia, con la nozione di “Volontà di potenza”, Nietzsche si discosta dall’insegnamento del filosofo pessimista che insisteva vivamente sulla necessità di capovolgere la Volontà in “noluntas”, quasi come se si dovesse sfuggire alla Volontà stessa; Nietzsche sostiene invece che si deve accettare fino in fondo la tragicità dell’esistenza e trovare una specie di gioia paradossale nel vivere il caos fino in fondo.
E, con l'avvento del nichilismo, la mancanza di un senso assoluto finisce, secondo Nietzsche, per far assumere un senso assoluto proprio a quella realtà superficiale che è il mondo che ci circonda.
L’oltreuomo si trova nella situazione in cui non ci sono più l’essere né i valori prestabiliti, e ad esistere sono solamente le interpretazioni del mondo.
“Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Non vi è una verità oggettiva da guardare sotto diversi profili, ma vi sono solo più i punti di vista.
L’ultimo concetto del filosofo è quello di “Eterno ritorno”: è la teoria dell’eterno ritorno all’uguale, la ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo; credere all’eterno ritorno è disporsi a vivere la vita e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e senso.
L’uomo capace di vivere come se tutto dovesse ritornare non può essere l’uomo che noi conosciamo, che vive con angoscia la vita, ma un oltreuomo in grado di vivere la vita come un gioco creativo avente in se medesimo il proprio senso appagante.


 

LUIGI PIRANDELLO: ILLUSIONE E REALTA’

Scrittore, drammaturgo e narratore, rappresentò sulle scene l’incapacità dell’uomo di identificarsi con la propria personalità, il dramma della ricerca di una verità al di là delle convenzioni e delle apparenze.
Al centro della concezione pirandelliana c’è il contrasto tra apparenza e sostanza. La critica delle illusioni va di pari passo con una drastica sfiducia nella possibilità di conoscere la realtà: qualsiasi rappresentazione del mondo si rivela inadeguata all’inattingibile verità della vita, percepita come un flusso continuo, caotico e inarrestabile.

  



 

La posizione fondamentale dalla quale è necessario partire per capire la concezione della vita di Pirandello e quindi la sua poetica, è quella del contrasto tra illusione e realtà.
L’esperienza pirandelliana è quella di tutta la generazione dei decadenti, cioè di uomini che avevano visto vanificare gli ideali ottocenteschi di progresso, scienza, di pacifica collaborazione tra gli uomini, e si trovavano a vivere una realtà storica ben diversa, avviata verso la catastrofe della 1° Guerra Mondiale.
In seguito a ciò, nacque la convinzione del fallimento. La vita si presentava assurda nella sua casualità e tale che ogni illusione era destinata a mostrare il suo risvolto negativo.
Pirandello sostiene che, il contrasto tra apparenza e realtà, non esiste solo fuori di noi, ma anche e soprattutto nell’intimo della coscienza: contrasto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra ciò che siamo e ciò che risultiamo agli occhi degli altri, perchè “la vita è un flusso che noi cerchiamo di arrestare in forme stabili e determinate” come i concetti, gli ideali...
Di conseguenza ciascun personaggio presenta centomila realtà interne, per cui la vera realtà è nessuna. Tra realtà e non-realtà ci sono due distinte dimensioni:

  • la dimensione della realtà oggettuale, ovvero la realtà esterna agli individui, apparentemente è uguale e valida per tutti, presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche ed è la non-realtà inafferrabile e non riconoscibile.

Della realtà oggettuale esterna noi cogliamo quegli aspetti che sono maggiormente confacenti al particolare momento che stiamo vivendo, in base al quale riceviamo dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente individuali e non possono essere provate da tutti gli altri individui;

  • la dimensione della realtà soggettuale, ovvero la particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia individuali sia sociali, presenta tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita del singolo.

Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettuale, ma una realtà soggettuale, che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra e si disumanizza.
L’uomo però deve adeguarsi ad una legge imposta dalla società, e per farlo si costruisce una maschera; poiché il personaggio non ha alcuna possibilità di mutarla si verifica la sua disintegrazione fisica e spirituale che si può riassumere nella teoria della triplicità esistenziale:

  • come il personaggio vede se stesso;
  • come il personaggio è visto dagli altri;
  • come il personaggio crede di essere visto dagli altri.

Le conseguenze sono tre; il personaggio:

    • è uno quando viene messa in evidenza la realtà-forma che lui si dà;
    • è centomila quando viene messa in evidenza la realtà-forma che gli altri gli danno;
    • è nessuno quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non è la stessa cosa, quando la propria realtà-forma non è universale, ma assume una dimensione individuale e soggettiva.

La forma è la maschera, l’aspetto esteriore che l’individuo-persona assume all’interno dell’organizzazione sociale o per propria volontà o perché gli altri così lo vedono e lo giudicano, è determinata dalle convenzioni sociali, dall’ipocrisia, che è alla base dei rapporti umani.
Nella società l’unico modo per evitare l’isolamento è il mantenimento della maschera: quando un personaggio cerca di rompere la forma, o quando ha capito il gioco, viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto nella massa in quanto si porrebbe come elemento di disturbo in seno a quel vivere apparentemente rispettabile.
Tutta l’esistenza si fonda sul dilemma: o la realtà ti disperde e disintegra, o ti vincola e ti incatena fino a soffocarti.
Quando interviene l’accidente che libera il personaggio, tutti pensano che la diversità di comportamento sia dovuta all’improvvisa alienazione mentale del personaggio, a una sua forma di follia che scatena in tutti il riso, perché non è comprensibile da parte della massa.
Solo la follia permette al personaggio il contatto vero con la natura (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi.
Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società.
Così accade ad Enrico IV, un nobile del primo Novecento fissato per sempre nella rappresentazione del personaggio storico da cui prende il nome, dopo aver battuto la testa per una caduta da cavallo.
In Enrico IV troviamo l’esasperazione del conflitto fra apparenza e realtà, fra normalità e anormalità, fra il personaggio e la massa, fra l’interiorità e l’esteriorità.
Per superare questo conflitto il personaggio tende sempre più a chiudersi in se stesso, per cui l’anormalità diventa sistema di vita.
La guarigione di Enrico IV dalla pazzia, improvvisa e fisicamente inspiegabile, proietta il personaggio nelle vicende quotidiane, ma lo rende anche consapevole di non poter più recuperare i 12 anni vissuti fuori di mente, per cui non gli resta che fingersi ancora pazzo dopo aver constatato che nulla era rimasto ormai della sua gioventù, del suo amore, e che molti lo avevano tradito.
Enrico IV assume una forma immutabile agli occhi di tutti, ma non di se stesso, rifugiandosi nel già vissuto e fingendo di essere ancora pazzo.
La crisi dei vecchi valori è nata secondo Pirandello dalla scoperta della relatività di ogni cosa; la modernità è un insieme di spinte contraddittorie condannate alla relatività del proprio punto di vista: non esiste più una verità assoluta.
A questa crisi l’autore risponde con l’elaborazione di una nuova poetica, fondata sull’umorismo, sollecitata dalla lettura di maestri dell’umorismo europeo e di studiosi di psicologia.
L’uomo da sempre vive in una dimensione illogica all’interno della quale cerca di crearsi una serie di inganni ed illusioni che la rendano apparentemente sensata; l’umorismo è la tendenza dell’altro a svelare le contraddizioni e nasce dalla crisi dei valori ottocenteschi che minaccia il concetto stesso di verità.
Non si propongono valori ma si mettono in risalto le contraddizioni della vita (irridendole e compatendole allo stesso tempo), il contrasto tra forma e vita, tra persona e personaggio.
La forma è tutta quella serie di auto-inganni creati dall’uomo in base ai propri ideali ed alle leggi civili, e blocca la spinta alle pulsioni vitali, cristallizza la vita, cioè quella forza profonda ed oscura che si manifesta solo raramente nella malattia o nei momenti in cui non si è coinvolti nel meccanismo dell’esistenza.
Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona ma una maschera (un personaggio) che recita la parte assegnatagli dalla società (quella di padre, di impiegato…) e che egli stesso si impone in base ai propri principi morali.
Quando si ha la consapevolezza di tutto questo si diventa maschere nude, si è consci di tale contraddizione, ma completamente impotenti di fronte ad essa: più che vivere ci si guarda vivere, compatendo non solo gli altri ma anche se stessi.
È proprio questo amaro distacco dalla vita che contraddistingue l’umorismo dalla comicità:

  • la comicità nasce da un semplice “avvertimento del contrario” (l’avvertimento che una situazione risulta contraria a come dovrebbe essere) che provoca il riso;
  • l’umorismo nasce, invece, da un “sentimento del contrario”, ovvero una riflessione sulle cause per le quali tale situazione risulta ribaltata, che provoca, dopo l’istintiva risata, un amaro sentimento di pietà.

ALBERT EINSTEIN: LA RELATIVITÀ


Non credo affatto alla libertà dell’uomo nel senso filosofico della parola.
L’aforisma di Schopenhauer “È certo che un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole” mi ha vivamente impressionato fin dalla giovinezza.
La tendenza al misticismo della nostra epoca […] non è altro che un sintomo di debolezza e di confusione.
Dato che le nostre esperienze interiori consistono nel riprodurre e combinare leimpressioni sensoriali, il concetto dell’anima senza il corpo mi pare del tutto privo di significato”.

 

  



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Albert Einstein, fisico tedesco naturalizzato statunitense, è stato probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell’esistenza di spazio e tempo assoluti, e l’ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, hanno segnato una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico.


Relatività ristretta:
Il terzo e più importante studio nel 1905, “Elettrodinamica dei corpi in movimento”, contiene la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell’interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l’uno rispetto all’altro.
La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali:

  • il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, e che è una naturale estensione del precedente principio di relatività galileiano;
  •  il principio di invariabilità della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.

La massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista.
L’incremento della massa dell’elettrone è dovuto alla conversione dell’energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc2.
La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d’acqua in moto e sulle forze magnetiche di alcune sostanze.
L’ipotesi fondamentale su cui poggia tutta la teoria di Einstein è che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all’altro a velocità costante valgono le stesse leggi della natura.
L’abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo.
In altre parole, non ha senso assegnare l’istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale.
L’evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo.
La “distanza” o “intervallo” tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.
La teoria della relatività ristretta si basa su due fondamentali postulati:

  • Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Cioè le leggi fondamentali hanno la stessa forma matematica per tutti gli osservatori che si muovono con velocità costante l’uno rispetto all’altro.
  • la velocità della luce nel vuoto è sempre 300.000 Km/s e il valore misurato è indipendente dal moto dell’osservatore e dal moto della sorgente di luce. Quindi la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori inerziali.

La relatività ristretta ci dice come due osservatori in moto relativo uniforme confrontano le loro misure di grandezza come tempo, lunghezza, massa ed energia, ma non si applica ad osservatori che subiscono accelerazioni relative.
Quando Einstein lavorava alla sua teoria della relatività, le sole forze naturali note erano la gravitazione e la forza elettromagnetica.
Egli non ha coronato mai il sogno della sua vita di trovare una “teoria unificata dei campi”che comprendesse le accelerazioni dovute ad ogni tipo di forza, ma nel 1916 riuscì a sviluppare una teoria che descrive come si confrontano le misure fatte da osservatori accelerati da forze gravitazionali: la teoria della relatività generale.

 

Relatività generale:

Ancor prima di lasciare l’Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme.
Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico.
La teoria della relatività generale non venne pubblicata sino al 1916.
In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l’azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.
Einstein, alla luce della sua teoria generale, ha fornito la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e ha previsto che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvino in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole.
La conferma di quest’ultimo fenomeno, durante l’eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza.
Per il resto della sua vita Einstein ha dedicato molto tempo alla ricerca di un’ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti.


M. C. ESCHER: IL DISEGNO E’ ILLUSIONE

 

Fino a poco tempo fa, la maggior parte delle gallerie di grafica, anche quelle olandesi, aveva tralasciato di provvedere ad un’adeguata raccolta delle opere di Escher.
Egli non veniva riconosciuto come artista; la critica d’arte non riusciva a giustificare una riflessione intorno alla sua opera, e così, era portata semplicemente ad ignorarla.

  


 

Escher, partendo dall’osservazione accurata della realtà, è giunto, nei suoi lavori, ad esiti di altissimo livello fantastico e simbolico.
I suoi ingannevoli paesaggi, le sue prospettive invertite, le architetture da capogiro, i mosaici fantastici, le figure grottesche umane e animali, le costruzioni geometriche minuziosamente disegnate, incantano, sconcertano e contemporaneamente soddisfano il bisogno di ordine e di equilibrio.
Nei contrasti giorno-notte, cielo-acqua, pesci-uccelli delle incisioni più famose, l’ambiguità visiva diventa ambiguità di significato, il positivo ed il negativo sono assolutamente intercambiabili, sovrapponibili, indissolubilmente legati.
L’opera di Escher consiste in una serie di stampe che hanno per tema soprattutto paesaggi mediterranei e dell’Italia del Sud, prodotte quasi tutte prima del 1937, e di ulteriori settanta opere (dopo il 1937) di impronta matematica.
Nei lavori a tema libero si ha l’impressione che Escher si trovi sempre quasi in un viaggio di esplorazione e che ogni quadro sia un “reportage” dei suoi ritrovamenti.
Questo viaggio interessa tre campi corrispondenti in un certo senso ai tre temi che possiamo distinguere all’interno delle sue opere a sfondo matematico:

  • struttura dello spazio (paesaggi, compenetrazione di mondi diversi, solidi matematici ed astratti);
  •  struttura del piano (metamorfosi, cicli, approssimazioni all’infinito);
  • relazione tra spazio e superficie in rapporto alla rappresentazione. Escher sottopone le leggi della prospettiva, che dal rinascimento valgono per la rappresentazione spaziale, ad una valutazione critica di ricerca, e trova nuove leggi che illustrano i suoi quadri prospettici.

La suggestione spaziale sulla superficie del quadro, può portare ad intuire sulla superficie stessa, mondi che tridimensionalmente non possono esistere.
La figura sembra essere la proiezione di un oggetto tridimensionale su una superficie, eppure non è altro che una figura che non potrebbe esistere nello spazio.


In questa categoria ritroviamo tre gruppi di composizioni:

    • essenza della rappresentazione;
    • prospettiva;
    • figure impossibili.

“Se una mano disegna una mano e se questa seconda mano, contemporaneamente, è occupata, con molto zelo, a disegnare la prima mano e se tutto questo viene rappresentato su un pezzo di carta fissato con puntine su una tavola da disegno…e se, oltre tutto, poi, l’insieme è nuovamente disegnato, si ha certamente il diritto di parlare di un tipo di iperillusione”.
Disegnare è, infatti, illusione: siamo convinti di vedere un mondo tridimensionale, quando il foglio da disegno è invece soltanto bidimensionale.
Escher vedeva tutto ciò come situazione conflittuale e cercò di mostrarcela molto precisamente in un certo numero di opere come per esempio in:

 

  • DRAWING HANDS, litografia (1948) - 28,5 x 34 cm. -

Un foglio di carta è fissato ad un supporto con quattro puntine da disegno.
La mano destra è occupata a disegnare la manica di una camicia; al momento non ha ancora terminato il suo lavoro, ma un po’ più in là, a destra, ha disegnato una mano sinistra già così dettagliatamente che questa si distacca dalla superficie e, a sua volta, come una parte viva del corpo, disegna la manica dalla quale appare la mano destra.


  • BALCONY, Litografia (1945) – 30x 23,5 cm. -

La spazialità di questo complesso di case è una finzione; la bidimensionalità della carta sulla quale sono disegnate non è distrutta a meno che non la deformiamo dal dietro dando origine ad una protuberanza.
La protuberanza evidente al centro è però un’illusione perché la carta rimane piatta.
Tutto ciò che si è potuto ottenere è un’estensione, un quadruplo ingrandimento nel mezzo.


 

  • BELVEDERE: Litografia (1958) - 46x29,5 cm. -

In basso a sinistra, in primo piano, c’è un foglio di carta sul quale sono disegnate le linee di un cubo.
Due cerchi indicano i punti nei quali si intersecano le linee; quale delle linee si trova davanti e quale dietro?
In un mondo tridimensionale non possono esistere davanti e dietro contemporaneamente, quindi non possono neanche venir così rappresentati.
Si può però disegnare un oggetto il quale, visto dall’alto, ci dà un’altra realtà, diversa da quella vista dal basso.
Il ragazzo seduto sulla panca ha in mano una simile assurdità cubica; egli osserva pensieroso l’oggetto incomprensibile ed evidentemente non sa che il Belvedere alle sue spalle è stato costruito allo stesso impossibile modo.
Sul pavimento del piano inferiore, all’interno della casa, c’è una scala sulla quale stanno salendo due persone; una volta salite di un piano, si trovano al di fuori dell’edificio e devono, perciò, rientrarvici.
Vi sembra ancora strano che nessuna di queste persone si preoccupi del destino del prigioniero nel seminterrato il quale. lamentandosi, infila la testa fra le sbarre?


 

    • WATERFALL, Litografia (1961) – 38x30 cm. –

In un articolo del “British Journal of Psycology”, R. Penrose pubblicò il disegno prospettico di una costruzione triangolare di travi.
Essa è composta di travi quadrangolari, poste rettangolarmente una contro l’altra. Se seguiamo con gli occhi tutti i componenti di questa costruzione non siamo in grado di trovare nessun errore.
Si tratta, invece, di un insieme impossibile: infatti, improvvisamente subentrano dei cambiamenti nell’interpretazione della distanza tra il nostro occhio e l’oggetto.
Nel disegno, questo triangolo impossibile è stato impiegato tre volte.
L’acqua, cadendo, mette in funzione la ruota del mulino per poi scorrere lentamente a zig-zag verso il basso in un ripido canale tra due torri, fino al punto dove comincia nuovamente la cascata.
Il mugnaio deve versarvi, di tanto in tanto, un secchio d’acqua per compensarne la perdita per evaporazione.
Ambedue le torri sono della stessa altezza, ciononostante quella a destra è più bassa di un piano di quella a sinistra.


 

  • RELATIVITY, Litografia (1953) – 28x29 cm.  –

Qui coagiscono perpendicolarmente tre livelli di forza di gravità; tre superfici terrestri, su ognuna delle quali vivono degli uomini,  e si intersecano ad angolo retto.
Due abitanti di due mondi diversi non possono vivere sullo stesso pavimento, perché non hanno lo stesso concetto di ciò che è orizzontale e verticale; nonostante ciò possono usare la stessa scala.
Sulla scala superiore procedono due persone, una accanto all’altra, nella stessa direzione.
Evidentemente è impossibile che queste persone entrino in contatto perché vivono in due mondi diversi e, per questo, l’uno non è a conoscenza dell’esistenza dell’altro.


 

  • HOUSE OF STAIRS, Litografia (1951) – 47x24 cm.-

Il concetto di relatività è espresso fortemente in quest’opera; qui è stato introdotto un elemento di gioco, sul quale si è già discusso a proposito della divisione del piano: la riflessione.
Quasi l’intera metà superiore del disegno è l’immagine riflessa della metà inferiore.
L’immagine riflessa della scala superiore, sulla quale scende da sinistra verso destra un animaletto rotolante, si trova riflessa nel centro e nel lato inferiore del disegno.
Sulla scala, nell’angolo in alto a destra, viene eliminato il contrasto fra lo scendere ed il salire le scale: due file di animaletti procedono vicini; una delle file però sale, l’altra, invece, scende.


BENITO MUSSOLINI E L'AVVENTO DEL FASCISMO

Il lato debole di una dittatura sta sempre nella mancanza di critiche; o almeno nella mancanza di una pluralità di consigli.
Purtroppo Mussolini non possedeva né l’umiltà né la flessibilità necessarie per riconoscere questa verità.
Mussolini disprezzava le debolezze del sistema politico dell’America e dell’Inghilterra, un sistema che però, con tutti i suoi difetti, è sopravvissuto a quello fascista…(Denis Mack Smith, “A proposito di Mussolini”).

  



 

 

 

 

 

Il mito di Mussolini nel fascismo fu il prodotto di una situazione storica, sociale e psicologica, profondamente mutata dalla prima guerra mondiale.
Fu, soprattutto, un mito di massa mentre i miti precedenti, sia nella versione socialista sia nella versione radicalnazionale erano stati sostanzialmente recepiti entro ambienti ristretti, prevalentemente intellettuali, e non furono sostenuti da un’organizzazione di propaganda in funzione delle masse.
Il mito fascista si appropriò dei miti precedenti integrando nella sua struttura il mito dell’uomo nuovo e del rinnovatore nazionale.
Gli oppositori del fascismo si trovarono, quindi, di fronte ad un nemico grande e pericoloso: il Duce, infatti, non era solamente un leader politico, ma venne divinizzato e idolatrato dai suoi sostenitori.
Dopo la conquista del potere, Mussolini e il fascismo usarono il mito del Duce nella politica del consenso, ma essi operarono all’interno della struttura del mito e ne condivisero i valori essenziali.
La “fabbrica del consenso” operò all’interno della logica del mito, con ritmo accelerato, con tecniche e strumenti efficaci e moderni, attraverso istituti sempre meglio organizzati per diffondere il mito mussoliniano in Italia e all’estero.
Il Duce comprese che, nella sua epoca, le folle rappresentavano un’immensa potenza e che dovevano essere “utilizzate” per ottenere quel consenso che lo avrebbe sostenuto così a lungo.
Come sosteneva Le Bon, egli sarebbe stato in grado di dare al popolo quelle risposte che si aspettava, in quanto “vinto da un desiderio inconscio di sottomissione ad un capo”.
La folla, infatti, non possiede idee proprie, in quanto gli uomini riuniti in essa perdono la loro individualità e la loro personalità cosciente: “la massa tende ad assimilare idee già fatte, specie se esse hanno una forte componente ideale e una carica di profonda suggestione; la massa è, per sua natura, dominata dall’inconscio e dall’impulsività.”.
Mussolini era un grande oratore. La sua forza comunicativa si basava su frasi brevi, pronunciate con tono oracolare e trionfalistico: faceva un grande uso di metafore, di terminologia militare e spiritualistica.
 Proclamava i suoi discorsi con brevi periodi, con incalzante ritmo delle parole e con un continuo ricorso all’antitesi.
Il suo lessico era povero, e tuttavia ricco di enfasi, di pause sapienti, di richiami eroici e patriottici, che avevano l’unico scopo di esaltare la folla.


Ma la sua capacità politica aveva ben più profonde radici. Nato a Predappio, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1883, aveva militato nel Partito Socialista mostrando una chiara inclinazione verso il sindacalismo rivoluzionario, tanto che, nel 1912, divenne direttore de “L’Avanti”; ma un suo editoriale in favore dell’intervento in guerra a fianco della Francia scatenò la polemica nel partito, tradizionalmente antibellico.
Fu, allora, costretto alle dimissioni dal giornale e, quindi, espulso dal partito stesso.
Nel 1919, fondati i “Fasci d'Azione Interventista”, si diede alla preparazione del programma del nuovo movimento, con richieste di forte contenuto demagogico. Tra di esse:

  • la politica estera orientata in senso imperialistico e difensivo;
  • la diminuzione dell’orario di lavoro a otto ore effettive;
  • i minimi di paga;
  • l’obbligo ai proprietari di coltivare la terra, con la sanzione che le terre non coltivate fossero date a cooperative di contadini, soprattutto reduci dalla guerra;
  • una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo;
  • il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense vescovili;
  • la revisione di tutti i contratti di forniture di guerra e il sequestro dell'85% dei profitti di guerra.

Il fascismo in Italia raccolse forze sociali disparate, di provenienza politica assai diversa (socialisti, anarchici, sindacalisti rivoluzionari, cattolici clericali, nazionalisti, repubblicani atei, ex ufficiali monarchici), unificate dal malcontento nei confronti delle agitazioni operaie e contadine e del trattato di pace di Versailles (1918).
Il 28 ottobre 1922, le squadre fasciste, dopo aver assaltato un grande numero di Camere del Lavoro, marciarono su Roma, affermando di voler governare il Paese.
Il primo governo Mussolini ottenne la fiducia e i pieni poteri con una maggioranza schiacciante: 429 voti contro 116 e 7 astenuti alla Camera, e 196 voti contro 19 al Senato.
All’opposizione restarono soltanto comunisti, socialisti e repubblicani.
Un passo decisivo fu l’approvazione di una legge elettorale maggioritaria che consentì a Mussolini di presentare nel 1924 il cosiddetto “listone” con la copertura di 150 candidati liberali.
Il presentatore della nuova legge elettorale, Giacomo Acerbo, avrebbe poi pubblicato i “Fondamenti della dottrina fascista della razza” (Roma 1940).
Mussolini creò, intanto, il Gran Consiglio del Fascismo, che avrebbe progressivamente esautorato il Parlamento, e legalizzò le squadre armate, trasformandole in milizia personale; per conciliarsi e garantirsi l’appoggio del Vaticano e del clero cattolico firmò i Patti Lateranensi con la Santa Sede; mentre il 3 gennaio 1925 promulgò le cosiddette “leggi fascistissime”.
Fu così soffocata la libertà di stampa; furono abolite le libertà politiche e sindacali; gli antifascisti furono epurati nell’amministrazione pubblica; tutti i poteri di governo furono trasferiti al Duce; vennero istituiti il confino di polizia, la pena di morte, il tribunale speciale e la polizia segreta(OVRA).
Per irrobustire l’orgoglio nazionale, Mussolini creò un vero e proprio impero coloniale: Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea e Albania, dovevano mettere l’Italia sullo stesso livello delle altre potenze e fare di essa la nazione guida dell'Europa e il faro della civiltà nel mondo.
Anche nel campo culturale, Mussolini si fece promotore di molte iniziative: al filosofo Giovanni Gentile affidò la monumentale “Enciclopedia Italiana”; nel 1926 creò l’Accademia d'Italia, che assorbì l’antica e prestigiosa Accademia dei Lincei.
Questo gli consentì di asservire tanti intellettuali, attirati dai privilegi che la nomina di accademico conferiva loro, e di dare lustro e prestigio al regime.
Incentivò il cinema, il teatro, l’arte, l’architettura, che si dimostrò essere gigantesca e magniloquente, come simbolo del potere e della grandezza dell’ideologia fascista.
Certo è che, per un ventennio, l’Italia, sotto il fascismo, rimase nel complesso isolata dalle più vive correnti culturali e artistiche europee e mondiali, chiusa all’interno di una mediocrità provinciale che il regime esaltava come propria virtù.
Né ciò avveniva per caso: l’abbassamento del livello culturale faceva parte della strategia politica di un regime che aveva sospinto la popolazione a credere nei miti piuttosto che a ragionare, a scambiare la retorica con la realtà, a delegare ogni decisione al Duce, dal momento che egli “aveva sempre ragione”.
Nel campo del lavoro, dell’industria e dell’agricoltura, Mussolini avviò importanti riforme economiche e diede inizio ad importanti opere pubbliche: soprattutto le bonifiche dei terreni paludosi dell’Agro Pontino e la famosa “battaglia del grano”, con la quale perseguì l’intento di aumentare la produzione di cereali, nel quadro del programma di “autarchia” che, in caso di guerra, avrebbe reso l’Italia autosufficiente.
Con la “Carta del Lavoro” (aprile 1927), che i propagandisti salutarono come la “Magna Charta” della rivoluzione fascista, il regime, inoltre, stabilì alcuni diritti-doveri del lavoratore: la giornata lavorativa di otto ore, la cassa malattie, le pensioni di vecchiaia, l’assistenza alla maternità, le vacanze organizzate dal Dopolavoro.
Neppure la gioventù fu risparmiata dall’indottrinamento; anzi, il regime considerava fondamentale “addestrare” gli italiani al regime fascista, fin dalla nascita: la "Gioventù Italiana del Littorio” aveva il compito di creare un uomo che fosse “naturalmente” fascista, che vivesse e pensasse “spontaneamente” da fascista.
Parallelamente a questo condizionamento capillare, ogni opposizione era messa a tacere; partiti e sindacati furono dichiarati illegali e furono soppressi, mentre i giornali che non si adeguavano al regime, chiusi d’imperio.
Gli oppositori politici furono bastonati, messi in galera o mandati al confino, a volte assassinati.
Si instaurò, così, un autentico clima di terrore.
Nel giro di un decennio dalla presa del potere, la ferrea dittatura fascista era compiuta.


ADOLF HITLER E LA DITTATURA NAZISTA

 

Quest’uomo goffo e impacciato, incapace di trovare le parole...E’un uomo qualunque, volgare.
Come può agire così sui suoi visitatori? Si è costretti a pensare ai medium.
Per la maggior parte del tempo sono persone comuni, da nulla; improvvisamente scendono in essi come dal cielo alcune facoltà che li elevano molto al disopra del valore medio.
Facoltà estranee alla loro normale personalità; sono visitatori provenuti da un altro piano...alcune potenze forse invadono Hitler, forze infernali, delle quali il suo corpo è solo un involucro provvisorio...In presenza di Hitler mi sono sempre sentito gravato da un incubo del quale ho poi molto faticato a liberarmi...ciò che vibra intorno a lui è il tam-tam delle orde selvagge...E’ lo straripamento del mondo primordiale sull'Occidente”.
(1939- Hermann Rauschning)

  

 


 

 

 

 

 

 

 

In Germania la guerra non finì il giorno in cui ai soldati venne impartito il “cessate il fuoco”.
E non finì neppure quando venne firmato il Trattato di Versailles, che regolava la pace tra l’ex Reich e gli Stati vincitori del primo conflitto mondiale.
C’era, infatti, il desiderio di una “rivincita” contro coloro che avevano umiliato la Germania; c’era il timore per il “pericolo rosso”; c’era il bisogno di un governo forte per rimettere ordine in Germania.
Inoltre, la crisi economica del dopoguerra, l’inflazione che faceva lievitare i prezzi e diminuire il potere d’acquisto dei salari, la diffusa disoccupazione, alimentavano i desideri di qualche “brusca novità” che rianimasse lo stanco spirito tedesco.
Fu in questo quadro che il Nazismo riuscì ad affermarsi e che l’ex caporale Adolf Hitler riuscì a prendere il potere e a diventare il “Fuhrer”, il Duce o la Guida Unica della Germania.
Hitler aveva militato inizialmente nel partito operaio tedesco, d’ispirazione socialista; quando ne ebbe in pugno le leve lo trasformò in partito nazionalsocialista degli operai tedeschi, comunemente detto nazismo.
Egli aveva già al suo servizio, prima di prendere il potere, un vero esercito irregolare: erano le “squadre” denominate SA (Sturm Abteilungen - reparti d’assalto, al servizio del partito -) comandate dal capitano dell’esercito Ernst Rohm, che in seguito furono sostituite dalle famigerate SS (Schutz Staffeln,- squadre di protezione -).
La cieca fedeltà agli ordini del Fuhrer e dei capi nazisti rese possibile, ad Hitler, l’attuazione del proprio programma.
Quando finì in prigione a Monaco nel '23, Hitler scrisse un libro “Mein Kampf”, (La mia battaglia), che, pubblicato nel ’25, era destinato a divenire il testo sacro del nazismo.
Il suo era un programma “contro”; contro i governanti di Weimar, accusati d’eccessiva debolezza; contro la democrazia ed il sentimento pacifista, che giudicava causa dell’umiliazione di Versailles; contro i comunisti, che giudicava pericolosissimi; contro negri, slavi, zingari e soprattutto ebrei, considerati “inferiori”.
Al centro della concezione hitleriana c’era un’utopia nazionalista e razzista.
Fervente antisemita sin dalla giovinezza, sostenitore di una concezione “darwiniana” della vita, intesa come lotta perenne in cui i più forti sono destinati a vincere, Hitler credeva in una razza conquistatrice e superiore, quella ariana, progressivamente inquinatasi per la commistione con le razze “inferiori”.
Il popolo in cui l’arianesimo si era conservato era quello tedesco, che aveva il compito di governare sul mondo.
A tale scopo fu approntata una vera e propria ideologia dello sterminio di massa e del genocidio dei “nemici interni”: i lager e le camere a gas sarebbero arrivati di lì a poco tempo.
All’inizio il partito di Hitler non ebbe molto seguito; ma il suo potere crebbe con l’aumentare del disagio della popolazione, dovuto soprattutto ai drammatici effetti della Crisi del ’29.
Quel che non fece la propaganda nazista, riuscirono a farlo i metodi delle SA militarizzate dal partito: aggressioni, intimidazioni, uccisioni…
Così, alle elezioni del 1930 Hitler riuscì ad infilare nel “Reichstag”(Parlamento) ben 107 deputati contro i 12 che erano stati eletti in precedenza.
Nel 1932 nuove elezioni assegnarono ai nazisti 230 seggi.
Hitler ricevette 13 milioni di voti: fu battuto solo dal presidente della repubblica in carica, il generale Hindenburg, che conservò la carica di presidente, ma dovette nominare Hitler “cancelliere”, capo del governo.
Liberali e conservatori crederono anche loro, come in Italia, di aver ingabbiato Hitler e di poterlo utilizzare come una manovra di puro stampo reazionario.
Sbagliarono i loro calcoli: nel luglio l’unico partito legalmente esistente in Germania era quello nazista.
Nell’imminenza delle nuove elezioni, venne incendiato, nella notte del 27 febbraio 1933, il Reichstag: la colpa fu attribuita ai comunisti; molti di essi vennero arrestati insieme ad altri oppositori, specialmente cattolici e socialisti; venne anche soppressa la libertà di stampa e le SA e le SS si abbandonarono a vere e proprie “spedizioni punitive”.
Da questo momento la “liquidazione” degli avversari procedette più spedita.
Gli ebrei furono cacciati da ogni ufficio pubblico; i funzionari più importanti furono nominati direttamente dai nazisti; i più irriducibili nemici del regime furono assassinati: più di 300 eminenti personalità tedesche antinaziste furono trucidate nella sola giornata del 30 giugno 1934.
L’anziano presidente della repubblica Hindenburg morì un mese più tardi.
Pur conservando la carica di cancelliere, Hitler divenne anche presidente.
Un plebiscito sancì la nuova situazione.
Hitler era diventato l’autentico, assoluto, onnipotente padrone del Terzo Reich, del Terzo Impero Tedesco, dopo quello Sacro Romano Medioevale e quello Prussiano.
L’indubbia capacità di controllare i fattori emozionali e irrazionali delle masse e della politica, alternando follia razzista e promesse di prosperità e di prestigio nazionale, affermò Hitler come un capo carismatico appoggiato da un larghissimo consenso.
Egli fece del nazismo un’efficientissima macchina burocratica e militare, in grado di utilizzare tutte le risorse della moderna società industriale e tecnologica per assicurare all’Herrenvolk (il popolo dominatore) la supremazia sul resto del mondo e garantirne la purezza etnica.
Una volta salito al potere, attuò una serie di riforme, volte a reprimere lo stato liberale: si fece conferire i pieni poteri per quattro anni, sciolse il partito comunista e i sindacati e cominciò ad epurare l’amministrazione dello Stato.
La costituzione di una nuova polizia politica, la Gestapo, gli dette lo strumento per controllare rigidamente tutto il Paese.
Il punto cardine era il “Fuhrerprinzip” (principio del capo): il Fuhrer era nello stesso tempo il capo supremo, la guida del popolo ed espressione delle aspirazioni di tutti, punto di riferimento per tutti.
Dal popolo erano esclusi gli elementi “anti-nazionali”, i cittadini “non ariani” e gli ebrei, obiettivo del programma antisemita attuato da Hitler e dai suoi generali, che doveva portare allo sterminio completo di tutti gli ebrei.
Leggi razziali furono promulgate all’indomani della presa del potere: Hitler, infatti, emanò la legge per la “difesa dei cittadini del Reich” e del sangue, che, di fatto, degradava gli ebrei ad esseri umani di seconda classe, con diritti inferiori e senza cittadinanza. Era il 15 settembre 1935.
Fra l’altro, vennero anche proibiti i matrimoni tra ebrei e ariani; e, proprio da quel momento, le “leggi di Norimberga” diventarono la base giuridica della persecuzione degli ebrei, oggetto fino ad allora di sistematiche campagne di boicottaggio.
Gli ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza: circa 500.000 su una popolazione di 60 milioni di abitanti.
Ma diversamente da quanto accadeva nei paesi dell’Europa orientale, erano in prevalenza concentrati nelle grandi città e occupavano le zone medio-alte della scala sociale: erano, per lo più, commercianti, liberi professionisti, intellettuali ed artisti, industriali e finanzieri.
Nei loro confronti, la propaganda nazista riuscì a risvegliare quei sentimenti d’ostilità che erano largamente diffusi nell'Europa centro-orientale.
Dopo le leggi razziali di Norimberga, la persecuzione antisemita incalzò dal 1938, quando, traendo pretesto dall’uccisione a Parigi di un diplomatico tedesco per mano di un ebreo, i nazisti organizzarono un violento “pogrom” in tutta la Germania.
La notte del 9 novembre 1938 nei quartieri ebraici furono commesse violenze contro negozi, abitazioni e sinagoghe, mentre molti ebrei furono picchiati o uccisi. Questa passò alla storia come la “Notte dei cristalli”, per via delle molte vetrine dei negozi frantumate.
Da quel momento, la vita degli ebrei divenne sempre più difficile: negati di qualsiasi diritto, taglieggiati dei loro beni, oggetto di violenza e di nuove misure repressive, fu imposto loro anche il divieto di emigrazione.
Fino a quando, nella sede dell’Interpol di Berlino, venne elaborata “una soluzione finale della questione ebraica”: era dato per scontato che gli ebrei fossero eliminati fisicamente.
Si trattava solo di adottare le modalità per procedere allo sterminio totale e realizzare l’obiettivo esposto da Hitler il 30 gennaio 1939: nessun insediamento fuori d’Europa, nessun ghetto in Europa.
Quello che accadde successivamente è assai noto: poiché le fucilazioni di massa erano difficili da mantenere segrete, il sistema scelto per lo sterminio fu il gas tossico (il famigerato Zyclon B).
Nel gennaio 1942 treni carichi di ebrei partirono dai paesi occupati dai nazisti verso campi di sterminio costruiti appositamente.
Nei lager i nuovi arrivati vennero divisi in prigionieri abili ed inabili al lavoro; per questi ultimi c’era la morte immediata; per i primi un calvario di stenti inauditi prima dell’eliminazione.
Per tutti, dopo la morte, il forno crematorio.
Il numero totale delle vittime dell’olocausto fu stimato, dopo la guerra, in poco meno di 6 milioni.
Con la ragione del più forte e imponendo al popolo un duro, pesante sforzo, Hitler riuscì a trasformare la Germania.
La “Wehrmacht” (esercito), venne ricostituita, riarmata e magnificamente addestrata.
La “Luftwaffe” (aviazione) divenne insieme alle divisioni di “Panzer” (carri armati) e all’artiglieria l’arma più potente non solo dell’armata tedesca, ma del mondo intero.
Ugualmente, risorse l’economia tedesca: industria, agricoltura e commercio furono potenziati.
Nel 1939 il Reich produceva da solo l'11% dei prodotti industriali del mondo.
Fu, appunto, in quell’anno 1939, che Adolf Hitler lanciò la sfida al mondo e alla civiltà incitando così i suoi fedelissimi:
“Chiudete i vostri cuori alla pietà! Agite con brutalità!…la ragione è del più forte…!”
Il mondo intero andava incontro ad una nuova spaventosa tragedia…

 


LE OLIMPIADI DI BERLINO DEL ’36

 

 

 

 

 


Hitler, suffragato da Goebbels e dal consenso ottenuto da Mussolini attraverso i Mondiali di calcio del ’34, non tardò a comprendere il significato politico dei Giochi e respinse in ogni modo tutti i tentativi di cambiare la sede olimpica; anzi profuse grandi energie fisiche ed economiche nell’organizzazione: le Olimpiadi divennero un efficace mezzo di propaganda nazista.
Il resto del mondo non accettò senza riserve che il nazionalsocialismo potesse contare su una tale vetrina: gli USA pensarono seriamente di boicottare i Giochi, i paesi socialisti avevano addirittura organizzato una manifestazione parallela, detta le “Olimpiadi del popolo, da tenersi a Barcellona, ma che non ebbe mai luogo a causa dello scoppio della guerra civile spagnola, e numerose altre proteste giunsero all’indirizzo del CIO che, però dette sempre ascolto alle autorità tedesche che minimizzavano quello che accadeva all’interno del loro paese.
Alla fine Hitler accettò che alle Olimpiadi partecipassero atleti neri ed anche ebrei e i Giochi ebbero luogo, anche se era chiaro che sarebbero stati una lotta per dimostrare la superiorità di una nazione o di un popolo sugli altri.
Le Olimpiadi di Berlino furono una manifestazione eccezionale dal punto di vista organizzativo e sportivo: per quindici giorni l’attenzione del mondo si spostò sulla capitale tedesca e per il nazismo si rivelò una vittoria quasi su tutta la linea; la Germania vinse le Olimpiadi scalzando per la prima volta gli Stati Uniti, gli italiani arrivarono terzi davanti ai francesi e i giapponesi quarti davanti agli inglesi, inventori dello sport.
In pratica i regimi dittatoriali sconfissero i paesi democratici, ma un episodio scalfì questa grande affermazione del Führer: un atleta americano, per di più di colore, Jesse Owens, vinse quattro medaglie d’oro nello stesso giorno davanti agli occhi di tutto lo stato maggiore tedesco; le gare dei 100m, 200m, salto in lungo e staffetta 4X400 erano, infatti, state programmate tutte nello stesso giorno per evitare questo rischio, ma Owens si rivelò superiore anche a questo tipo di ostacolo e la giornata terminò con i 100.000 tedeschi presenti nello stadio che inneggiavano il nome dell’americano, che aveva compiuto forse la più grande impresa sportiva della storia.
 Hitler e Mussolini avevano dimostrato come i successi sportivi portassero un ritorno di immagine non indifferente.
 Mussolini si riprometteva di conseguire il monopolio politico-educativo delle masse giovanili oltre che “fascistizzando” la scuola (intervento su professori, programmi e libri di testo), anche costituendo appositi enti che formassero i giovani in senso fascista parallelamente alla scuola “l’Opera Nazionale Balilla”(da 0 a 18 anni) e i GUF (dai 19 in poi).
Tutte le organizzazioni giovanili concorrenti vennero soppresse; nel 1928 Mussolini soppresse anche gli Scout di matrice cattolica.
L’ONB, costituita nel 1926, era finalizzata all’assistenza e all’educazione fisica e morale della gioventù fino ai 18 anni di età.
L’educazione fisica era considerata fondamentale per formare la futura classe dirigente fascista.
Renato Ricci, capo dell’ONB, si batté per un’attività fisica più formativa che agonistica per i giovani, contrapponendosi assai duramente al CONI.
Nel 1923 vennero soppressi i 3 Istituti di educazione fisica (Torino, Napoli e Roma) costituiti nell’Italia liberale per preparare gli insegnanti di ginnastica.
Dopo un periodo di sbandamento gli insegnanti trovarono nelle Accademie di educazione fisica maschile a Roma(1928), femminile ad Orvieto(1932) una nuova guida per la loro formazione.
Gli istruttori di ruolo in servizio passarono dalle 166 unità del 1928 alle 638 nel 1934.

La concezione che privilegiava il carattere di massa dell’attività fisica, prevalente nell’Italia fascista degli anni ’20, divenne perdente negli anni ’30.

Non corrispondeva alla “grandeur” dell'Impero e non era funzionale alla ricerca di consenso, che necessitava di campioni e supereroi da mostrare in pubblico, da propagandare all’estero, come simbolo di una nazione vigorosa, forte e degna di rispetto.

L’Opera Balilla fu sciolta e tutto lo sport e l’educazione fisica furono messe alle dipendenze del CONI.

La politica sportiva del regime si concretizzò in una concentrazione dell’attività agonistica nel CONI e nelle Federazioni sportive.

La componente “formativa” di massa dello sport e della ginnastica furono così sottratte alle Federazioni e attribuite alle organizzazioni giovanili fasciste.

La FGI, più di tutte le altre federazioni, considerate le origini formative della ginnastica, entrò in crisi: dalle 500 società ginniche del 1925, precipitò a 205 nel 1934.

Vennero richiesti dalla politica sportiva del regime negli anni ’30 dei veri e propri santuari dove il pubblico, non necessariamente per eventi sportivi, accorreva per vederne le imprese.

La costruzione di stadi a Bologna, Firenze, Roma Torino e Bari corrisponde a questa fase politica.

Gli orrori della guerra non paralizzarono l’attività sportiva nel nostro paese.

Per quanto concerne gli incassi, nel 1941, secondo anno di guerra per l’Italia, si registrò addirittura un aumento di mezzo milione di lire rispetto al 1940.

Nel 1942(legge n. 426) il CONI accentrò in sé tutte le funzioni tecniche e amministrative dello sport, mentre le federazioni, fino ad allora “facenti parte” del CONI, diventarono “suoi organi”.


TACITO: LE HISTORIAE

 

 

Il luogo e la data di nascita di Publio Cornelio Tacito sono tuttora incerti.
Doveva essere di poco più vecchio di Plinio il Giovane (nato nel 61 d C).
Questo, infatti, questi lo cita asserendo:
“Quando ero ancora giovinetto e tu già fiorivi di fama e di gloria, io desideravo ardentemente seguirti”.

 

I libri delle Historiae erano probabilmente dodici o quattordici, ma quello che ne resta è più o meno un quarto.
Qui Tacito narra gli eventi del periodo che va dal 69 al 96 e comprende i regni di Galba, Otone, Vitelio Vespasiano, Tito e Domiziano.
Nel V libro Tito, dopo la partenza del padre Vespasiano, si accampa davanti a Gerusalemme alla testa di un’imponente armata per risolvere definitivamente a favore dei romani la guerra giudaica.
Tacito inizia così una digressione sugli ebrei, la cosiddetta “archeologia giudaica”, tratta cioè delle loro origini, la loro religione, le loro leggi e i loro costumi.
In queste pagine emerge chiaramente l’ostilità che circondava gli ebrei fin dal III secolo a.C. e che aveva dato origine ad una letteratura antisemitica.
Tale atteggiamento nasce dalla forte identità etnica degli ebrei e dalla loro insofferenza ad ogni tentativo d’integrazione e sottomissione dall’esterno.
Tacito mette in luce le profonde differenze tra la religione ebraica e quella romana; il rigido monoteismo dei primi, in effetti, li rendeva un’eccezione rispetto a popoli che adoravano decine di dei.
Inoltre lo storico esprime un profondo disgusto per le loro usanze: “Essi seppelliscono i cadaveri, considerano empi coloro che modellano gli dei ad immagine degli uomini e non elevano statue neanche nei templi”.
Usanze inconcepibili non solo per i Romani ma anche per la maggior parte degli altri popoli, e per questo motivo vengono paragonati da Tacito agli egiziani.
In genere i Romani erano abbastanza tolleranti nei confronti delle religioni straniere, ma quello che non potevano accettare degli ebrei era il loro proselitismo.
L’avversione e il disprezzo fanno venir meno il distacco che sarebbe richiesto ad uno storico, e questo accade perfino nei capitoli dedicati alla geografia del luogo: il quadro che emerge è quello di un paese inospitale e malsano, che anche nelle zone fertili presenta mostruosità e stranezze.
Dopo questo excursus Tacito ricorda i precedenti rapporti tra i giudei e Roma, per poi passare ad analizzare le origini della rivolta e riprendere dai preparativi bellici di Tito.


ALESSANDRO MAGNO FRA MITO E LEGGENDA

 

Non possiamo più accettare integralmente la divisione netta fra la tradizione “veridica”sulle imprese di Alessandro Magno,e la tradizione “fantastica” intorno a quelle imprese medesime.
Anche la leggenda fantastica, come il romanzo di Alessandro,affonda le sue radici nella stessa personalità storica di Alessandro e nell’interpretazione di lui che avevano dato i contemporanei.
(Alessandro Il Grande- Monica Centenni- citazione di Santo Mazzarino).

  


 

 

Figlio di Filippo II di Macedonia e di Olimpiade, principessa d’Epiro, il giovane Alessandro fu educato da Aristotele.
Le conquiste di Alessandro sembrano andare al di là dei suoi stessi piani strategici: le vittorie, le ricchezze dei bottini, l’ingrossarsi a dismisura delle fila dell’esercito con le forze fresche reclutate dagli eserciti nemici sconfitti e sottomessi, la determinazione di Alessandro stesso nel procedere nella conquista, sgombrano il campo sul piano militare e cancellano ogni resistenza dei vecchi generali.
Alessandro, divenuto re della piccola Macedonia a 21 anni, in pochissimo tempo si trova ad essere re del mondo, anche se dopo la sua morte, il regno da lui costituito ha avuto una durata effimera.
Ma la sua impresa, pur così fragile, era destinata a sconvolgere l’assetto geopolitico dell’area mediorientale e centro-asiatica.
Alessandro, che già dalla storiografia antica era considerato l’affossatore degli ideali della Grecia, si muove invece al ritmo epico delle gesta degli antichi eroi omerici.
Discendente di Eracle, nuovo Achille, si sente – sa di essere – l’ultimo eroe di una stagione che con lui finisce per sempre.
Che prima di lui era già finita.
Alessandro vince strategicamente sul campo di battaglia e, soprattutto, la sfida della storia, perché le sue gesta si compiono in un tempo e in un orizzonte mentale che non ha a che fare né con la strategia, né con la storia.
Alessandro pensa, progetta e agisce, costruisce la sua fortuna e la sua immagine nel tempo e nello spazio del mito.
Tutto il mondo di cui si è impadronito, tutte le terre fino ai confini dell’Oceano, ad Alessandro non bastano. Mosso da un cuore incapace di quiete, è dominato da un desiderio in cui i confini slittano in un incessante moto ad infinitum; ma la speranza che lo spinge in avanti, a compiere gesta imprevedibili, non è amore del potere, brama di conquista, e non è neppure l’attrazione per le smisurate ricchezze d’Oriente, gli straordinari bottini accumulati dopo le vittorie, che Alessandro “è capace persino di dare alle fiamme se con la loro massa rallentano la marcia” (Plutarco, Alezx -57).
L’impresa che Alessandro ha assunto come emblema, la stella che guida la direzione del suo cammino, è la tenace speranza della conquista di gloria.
Il mito di Alessandro, di cui egli stesso fu il primo ispiratore, eccede dunque dalla narrazione della storia, che non sa contenere in forma le contraddizioni e le speranze del personaggio, e troppo spesso i racconti storici sulla sua impresa sono pesantemente inquinati da preoccupazioni ideologiche, o addirittura di funzionalizzazione politica, contingenti al periodo o alla fase in cui lo stesso storico opera.
Documenti veri e falsi si intrecciano quindi alle tradizioni orali, agli aneddoti sulle incredibili qualità fisiche e morali di Alessandro, alle memorie favolose dei reduci delle meraviglie d’Oriente.
Dalla leggenda di Alessandro che si riflette nella numismatica e nell’iconografia ellenistica, deriva anche l’idea di una possibile divinizzazione dell’Imperatore; Alessandro verrà chiamato con le epiclesi “Nuovo Dioniso”, “Dio invincibile”.


LUMINOSITÀ APPARENTE E LUMINOSITÀ ASSOLUTA

 

Con il termine magnitudine s’intende la misura della quantità di luce che ci arriva da un corpo celeste (stelle, galassie, nebulose...).
Questa quantità di luce dipende da molti fattori come la distanza dell’astro in questione, la sua grandezza e la sua temperatura.

  



 

Guardando il cielo si nota immediatamente che alcune stelle sono più luminose di altre.
Inoltre la luce che la stella emette, durante il tragitto fino alla Terra, deve attraversare una quantità di materia interstellare che ne assorbe una parte (assorbimento interstellare); la stessa atmosfera terrestre contribuisce a questo assorbimento.
Per cui una stella può essere più luminosa ma più lontana di un’altra; pertanto appare più debole.


La magnitudine (luminosità) si distingue in:

  • Magnitudine Apparente: la dicitura apparente è dovuta al fatto che ci si riferisce alle luminosità delle stelle così come appaiono viste dalla superficie terrestre.

In realtà questa scala non ci permette di classificare e quindi confrontare correttamente le stelle tra di loro, in quanto non tiene conto né delle dimensioni effettive dell’astro né della sua distanza dalla Terra;

  • Magnitudine Assoluta: è la luminosità effettiva e reale della stella. Si è deciso di costituire un sistema di magnitudini assolute in cui si misura la luminosità che avrebbero gli astri se fossero tutti alla distanza (arbitraria) di 10 Parsec dalla Terra.

Il legame tra la magnitudine relativa (m) e quella assoluta (M) è dato dalla seguente relazione:

 

 m

       = d
             M

dove d è la distanza della stella in Parsec.
Se si conosce la distanza di una stella se ne può determinare la magnitudine assoluta; viceversa se si conosce la magnitudine assoluta si può risalire alla distanza, e questo è quello che ci permettono di fare le variabili cefeidi.
La scala delle grandezze è inversamente progressiva, cioè più la massa della stella è grande e meno sarà luminosa la stella.


Bibliografia:

  •  Uno, Nessuno, Centomila- Luigi Pirandello-;
  • A proposito di Mussolini – Denis Mack Smith-;
  • Fascismo, Storia e Interpretazione – Emilio Gentile-;
  • Alessandro il Grande( Romanzo di Alessandro, Vita di Alessandro di Plutarco)- a cura di Monica Centenni-;
  •  La Nascita della Tragedia- Friedrich Nietzsche-;
  • Così parlò Zarathustra- Friedrich Nietzsche-;
  • Il Mondo come Volontà e Rappresentazione- Artur Schopenhauer-.

 

Autore: Carola Claudia
Classe III sezione B
Liceo classico statale “Pilo Albertelli”
Fonte: http://www.atuttascuola.it/tesine/files/realta_ed_apparenza.doc

 

 


 

Tesine multidisciplinari

 

Evoluzione dell’informazione!!!!!

 

INDICE

 

Italiano

Primo Levi

  • La vita
  • Le opere
  • Se questo è un uomo

Storia

Il nazismo

  • I lager
  • Origini
  • Ascesa del Partito Nazista
  • Espansione in Europa
  • II^ Guerra Mondiale
  • Le macchine crittografiche
  • La Germania adotta l’ Enigma

Elettronica

Claude Shannon

  • Claude Shannon
  • La teoria dell’informazione

Inglese

Internet

  • Origini
  • Caratteristiche
  • Servizi
  • Network

Informatica

Programmazione orientata al web

  • ipotesi di partenza
  • Approcci di interfacciamento di un database in rete
  • Programmazione lato server e lato client

 

Sistemi

Reti Lan

  •  

 

 

Primo Levi

La vita:

Primo Levi nacque a Torino nel 1929 da una famiglia di religione ebraica. Frequenta tranquillamente il liceo classico a Torino dove ebbe come insegnanti alcuni antifascisti, trova invece molte difficoltà nei suoi studi universitari dove con … delle leggi razziali del ’38 , si istituzionalizza la discriminazione contro gli ebrei, cui è vietato l’accesso alla scuola pubblica. Si laurea a pieni voti in fisica, anche se aveva seguito un indirizzo chimico, e sul suo diploma viene precisato: “di razza ebraica”. Comincia così la sua carriera di chimico, che lo porta a vivere a Milano, fino all’occupazione tedesca.

Immagine
levi

 Frequentò amici ed ambienti antifascisti, e durante la guerra si unì ai partigiani sulle montagne della Valle D'Aosta. Il 13 dicembre del ‘43 viene catturato a Brusson e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli, dove comincia la sua odissea. Il campo viene preso in gestione dai tedeschi e tutti i prigionieri vengono convogliati ad Auschwitz, in Polonia. Il giovane Levi viene trasferito nella vicina Monowitz, in un campo di lavoro i cui prigionieri sono al servizio di una fabbrica di gomma.

Grazie alle sue conoscenze in chimica gli poi viene affidato un lavoro di
laboratorio.  Rimane ad Auschwitz fino alla liberazione ad opera dei russi nel gennaio del'45. Egli, appena fece ritorno a casa, sulla base delle terribili esperienze che visse nel campo di  concentramento scrisse "Se questo è un uomo" che all'inizio trovò molte difficoltà nella pubblicazione e non ebbe quindi il successo sperato.  Levi allora riprese la sua attività di chimico ma non smise di  comporre romanzi soprattutto basati sui suoi ricordi di prigionia e sull'olocausto. Il romanzo che lo fece conoscere al pubblico fu  "La tregua". Questo successo permise una rivalutazione di “Se questo è un uomo” che divenne uno dei romanzi più letti del dopoguerra.  Scrive altri importanti romanzi non solo basati sulle sue memorie ma anche di tipo scientifico, legati ai suoi studi di chimica.  Levi, in un periodo di depressione ancora tormentato dai ricordi di Auschiwitz, si uccideva nel 1987 a Torino.  Dirà di lui Claudio Toscani: «L’ultimo appello di Primo Levi non dice non dimenticatemi, bensì non dimenticate».

 

Le opere

 

La tregua(1963). Questo romanzo racconta il viaggio di ritorno di Levi dal campo di concentramento di Auschiwtz fino a Torino.
Se non ora quando (1982) descrive il viaggio di un gruppo di partigiani ebrei russi che vanno dalla Bielorussia all’Italia passando per la Palestina
I sommersi e i salvati(1986) l'ultimo libro scritto da Levi che, a distanza di molti anni, analizza le esperienze vissute nel Lager e le responsabilità dei vari personaggi dell'olocausto.
Il sistema periodico (1975) dove lega ad ogni elemento chimico della tavola periodica una storia spesso di carattere autobiografico
La chiave a stella (1978) dove si racconta la vita e il lavoro dell’operaio piemontese Faussone, che gira il mondo per svolgere il suo lavoro di montatore. Nel personaggio, quasi una proiezione dell’autore, spiccano la curiosità intellettuale e un vivo senso della dignità del proprio lavoro.
Se questo è un uomo (1945). Indica, senza retorica e senza sottintesi, di quali abomini può macchiarsi l'uomo se solo abbassa la guardia, dimentica di riflettere, si lascia ipnotizzare dagli slogan e dalle parole d'ordine, abdica al proprio spirito critico. Questo è quello che successe nella follia nazista e che lui subì in prima persona. L'inferno descritto da Levi è un monito e uno scherno alla facile ideologia del progresso, alle magnifiche sorti e progressive.

 

Se questo è un uomo analisi

“ Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli, e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.”

Il libro inizia così. In questa breve ma significativa poesia possiamo riscontrare il dramma vissuto dall’autore. Sentimenti di odio si intrecciano nel ricordo delle drammatiche vicende vissute da un popolo segnato dal passato. Odio verso chi ha visto scene di inaudita ingiustizia e ha abbassato lo sguardo, per chi sapeva e ha taciuto. Chi mai riporterà gioia in un cuore ormai segnato da un passato atroce pieno di indimenticabili momenti in cui l’unica salvezza da quelle catene invisibili era la morte. Stanchi, avviliti, lavorano costantemente solo per un tozzo di pane. Non c’era più distinzione tra uomo e donna, tutti avevano i capelli rasati e una divisa opprimente contrassegnata da un numero d’identificazione con cui erano riconosciuti. La loro identità era ridotta ad un semplice numero. Infine, Primo Levi raccomanda ai giovani di ricordare e di ascoltare, perché la testimonianza dei sopravvissuti diventa un obbligo morale, perché ciò che è avvenuto è successo contro ogni umana previsione. Nel campo di concentramento all’arrivo dei convogli, veniva effettuata una selezione dei deportati per scegliere gli ebrei più giovani e quindi abili nel lavoro. Coloro che erano stati scartati venivano portati subito nelle camere a gas. In questi casi per evitare scene di panico, un incaricato del campo informava le innocenti vittime che dovevano semplicemente lavarsi e sottoporsi alla disinfestazione. Nel campo quindi venivano alla luce due categorie ben distinte: i salvati e i sommersi; mentre le altre coppie di contrari (buoni-cattivi; vili-coraggiosi) non avevano molta importanza ed erano meno nette. Nel Lager la lotta per sopravvivere è senza remissione, perché ognuno è disperatamente, ferocemente solo. Se uno vacilla, non troverà chi gli porga una mano; bensì qualcuno che lo abbatterà a lato, perché nessuno ha interesse a che un sommerso di più sopravviva. Per non diventare un sommerso devi riuscire a diventare funzionario del campo, cuoco, infermiere, guardia notturna, spione delle baracche, sovrintendente alle latrine o alle docce.  Ci rendiamo conto che tutto questo è lontano dal quadro che ci si usa fare, degli oppressi che si uniscono nel resistere, nel sopportare, nel passare i momenti difficili aiutandosi l’un l’altro. Ma non è stato così, né è così oggi.  Il sopravvivere senza aver rinunciato a nulla del proprio mondo morale, non è stato concesso che a martiri e a santi.  Molto spesso, gli ebrei erano vittime di violenze gratuite, la logica perversa dei nazisti rese i lager, non solo un luogo d’inaudita sofferenza fisica ma anche una degradazione morale e psicologica.  Malati, denutriti e sfiniti i prigionieri lottavano per sopravvivere ed erano costretti a mettere da parte qualsiasi scrupolo morale e diventare insensibili al dolore che li circondava. 
Levi ci ha raccontato questo, la realtà di quei campi vista in prima persona. Lui come gli altri ridotto come un bruto che non pensa ed ha come obbiettivo mangiare ed evitare il dolore, l’aggrapparsi al ricordo letterario esprime il disperato tentativo di salvare qualcosa di umano. Questo succede nel Canto di Ulisse. La parte del libro dove a Levi viene ordinato di andare a prendere il rancio con un giovane studente francese chiamato Pikolo. Questo rappresenta per Levi è una dimostrazione di amicizia perché lo attendeva un’ora di cammino dove poteva discutere “liberamente” con questo ragazzo prima di distribuire il rancio agli altri prigionieri. Durante questo cammino faticosa ma pur sempre gradevole, a Levi viene in mente il Canto di Ulisse della Divina Commedia. Non ha tempo per scegliere e comincia a recitare versi e tradurli in francese. Non è una cosa facile, non trova parole adatte per la traduzione e ha dei vuoti di memoria ma riesce a trovare dei passi chiave che rispecchiano quello che stanno passando in quei terribili momenti:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.”
In quel momento è come se lo sentisse per la prima volta, come se avesse appurato il vero significato di quel verso. In lager si vive come bruti, la semenza umana è calpestata, virtù e conoscenza sono relegate a rari attimi di pace. Questo è un messaggio che riguarda tutti gli uomini in travaglio, specie chi come loro è costretto a parlare con le stanghe del recipiente della zuppa sulle spalle. L’ostinato tentativo di ricomporre nella memoria i versi di Dante diviene una forma di resistenza all’annientamento. L’arrivo tra la folla dei porta-zuppa segna il ritorno nel quotidiano inferno che è segnato dal ripetersi degli ingredienti della zuppa in varie lingue e l’ultimo verso dell’episodio dantesco, “infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso”.

 

Il Nazismo

  • I lager

Primo Levi trascorre due lunghi, interminabili anni nel campo di concentramento (lager) polacco di Auschwiz. Per la sua esperienza di chimico viene affidato ad un reparto di laboratorio. Viene poi trasferito nella fabbrica di Monowizt, che fa parte di un sistema di 39 campi, dove trova la sistemazione di manovale in una squadra caricata di costruire un muro.  In questo lager i prigionieri vengono inizialmente assaliti dai loro pensieri, dalle loro mille domande, da ipotesi continue che per quanto catastrofiche, non si avvicinano neanche lontanamente alla verità. Si ritrovano in pochissimo tempo rasati, tosati, disinfettati e vestiti con pantaloni e giacche a righe. Su ogni casacca c’è un numero cucito sul petto. I prigionieri vengono marchiati come bestie. Il loro compito: lavorare, mangiare, dormire, OBBEDIRE. Il loro intento: sopravvivere.
Dietro quel numero non c’è più un uomo, ma solo un oggetto, se funziona, va avanti. Se si rompe, è gettato via.                                   

   Fu proprio in questi luoghi che l’atrocità del nazismo raggiunse il suo apice.  Questi luoghi erano dei campi di lavoro dove i prigionieri venivano trattati come schiavi, in condizioni di vita disperata, sfruttati al limite della resistenza umana; ci sono alcuni invece che si possono solo definire dei veri e propri campi di sterminio dove tutti gli oppositori al nazismo, politici, prigionieri di guerra, omosessuali, zingari, oltre agli ebrei  furono sottoposti a torture terribili: dagli uomini usati come cavie negli esperimenti scientifici per provare nuove armi, veleni, farmaci per studiare la resistenza al dolore agli stermini di massa nelle camere a gas o nei forni crematoi.  I campi di concentramento erano diffusi in tutta l'Europa sottoposta al dominio tedesco, fra i lager più tristemente famosi ci sono quelli di Auschwizt, Dachau, Buchenwald, Mauthausen. Anche in Italia c'erano dei campi di concentramento: la Risiera di San Sabba e Fossoli.  Solo il bisogno di manodopera per la guerra che si avviava verso una sconfitta per la Germania, salvò i prigionieri rimasti dallo sterminio totale, e in ogni modo alla fine della seconda guerra mondiale ben 6 milioni di ebrei erano stati sterminati dal nazismo.

 

  • Origini del Nazismo

Il Nazismo nacque in Germania subito dopo la 1° Guerra Mondiale. Quel periodo, caratterizzato da una grave crisi economica e dalle sempre più numerose tensioni sociali, fu causato dalle sanzioni imposte dal trattato di Versailles. Questo trattato stabilì che la Germania doveva pagare tutti i debiti di guerra e subire l’occupazione militare francese della Ruhr e della Saar ( una zona molto importante per l’economia della Germania), alla restituzione alla Francia di Alsazia e Lorena, la riduzione degli effettivi dell’esercito, la creazione di una zona smilitarizzata lungo il confine, la completa riparazione dei danni di guerra e la rinuncia a tutti i territori coloniali . Questo portò al tracollo economico con un'inflazione spaventosa e un altissimo numero di disoccupati, nonché ad un profondo senso di umiliazione. Crebbero movimenti di protesta sempre più forti e le potenze occidentali fecero ben poco per controllare la situazione politica tedesca. Dopo le prime tendenze democratiche, infatti, la situazione volse verso sempre più accentuati estremismi di destra e di sinistra e alla rinascita di un nazionalismo sempre più aggressivo con desideri di rivincita sulla Francia e sul trattato di Versailles. Questo accadde anche in Italia, con la nascita del Fascismo ma non ebbe un avvento così aggressivo e violento come in Germania il Nazismo. La crisi economica del 1929 che venne causata dal crollo della borsa di New York aggravò ancora di più la situazione economica della Germania che si stava appena riprendendo e rese ancora più difficile il pagamento dei debiti che aveva con l’America.

 

  • Ascesa del Partito Nazista

Il Partito Nazionalsocialista tedesco dei lavoratori(Nsdap), o più semplicemente Partito Nazista nasce nel 1920 formandosi da un partito di lavoratori di Monaco di Baviera dove Adolf Hitler era il maggior esponente. Il programma di questo partito si basava sui principi del nazionalsocialismo: unificazione delle popolazioni tedesche, razzismo antisemita, creazione di un forte esercito di popolo, limitazione della libertà di stampa e di espressione. La Nsdap aveva avviato un trasformazione in senso paramilitare culminata nell’istituzione delle SA (reparti d’assalto). Hitler dopo un colpo di stato fallito venne condannato e il suo partito messo fuorilegge. Nel frattempo che Hitler scontava la sua condanna, le SA compiono numerosi attacchi terroristici mirati agli avversari politici.  L’ascesa di Hitler al potere deriva dai crescenti consensi, soprattutto di monarchici conservatori e dei grandi industriali che vedevano nel nazismo un modo per contrastare i movimenti socialisti e comunisti, non solo, riesce a  sfruttare anche il desiderio di rivincita nazionale della piccola borghesia. Così dopo le elezioni che videro un successo per i nazisti, Hitler è chiamato da Hindenburg, il presidente della repubblica, un conservatore, a formare il governo nel gennaio del 1933. Si trattò di un governo di coalizione tra nazisti ed esponenti conservatori. Hitler accusò il trattato di Versailles e gli ebrei di essere la causa della crisi della Germania, e promuoveva il ritorno di una nazione forte e dominatrice sull'Europa con un "terzo reich" dopo il sacro Romano Impero e L'Impero tedesco (1871). Dichiara apertamente la lotta al socialismo ed al marxismo. Egli raggiunse presto i pieni poteri dittatoriali assumendo tutte le cariche più importanti, anche quella di presidente della repubblica. Al potere instaurò un regime nazista, che ispirandosi al fascismo di Mussolini in Italia, limitava le libertà personali ed eliminava gli oppositori. Furono cancellati la libertà di stampa, di sciopero, tutti gli atri partiti furono messi al bando e tutte le attività furono controllate dal regime. Assunse il titolo di "Führer" (condottiero), e si sbarazzò anche di alcuni suoi sostenitori come successe nella “notte dei lunghi coltelli” alle SA (reparti d'assalto) le squadre armate che, come le "camicie nere" in Italia, gli avevano permesso di conquistare potere con atti di violenza. Egli instaurò delle milizie militari le SS (schutz staffeln, squadre di protezione) e una polizia segreta di stato (GESTAPO) che direttamente ai suoi comandi dovevano eseguire le più spietate operazioni di "pulizia" degli oppositori creando un clima di terrore. Un altro passo fondamentale della sua ascesa riguarda la “notte dei cristalli” dove, a causa dell’omicidio di un diplomatico tedesco da parte di un giovane ebreo a Parigi, si ebbero ritorsioni, distruzioni, e saccheggi di sinagoghe e negozi ebrei. Questo atto aveva rimosso ogni impedimento nella morale pubblica all’inasprirsi della persecuzione.  Vennero emanate leggi razziali contro gli ebrei, prima esclusi dalla politica ed economica, poi privati della cittadinanza,ed infine arrestati e portati nei lager. Per realizzare il suo piano di espansione  e di pulizia razziale, Hitler, aveva bisogno di uno stato forte, di un grande esercito compatto e del consenso della massa popolare. A questo si rivolge la sua politica economica, che risana le campagne, fa riprendere la produzione e migliora le condizioni di vita del popolo. Poiché la Germania non poteva commerciare con l’estero, fu costretta ad una politica economica basata sull’autarchia (autosufficienza economica). Per quanto riguarda la vera e propria gestione del popolo, Hitler aveva istituito organizzazioni paramilitari alle quali dovevano partecipare i giovani, aveva indetto agevolazioni alle giovani coppie e sostegno delle famiglie numerose. Molta importanza venne data alla propaganda, grande arma della quale Hitler si servì per ridurre all’obbedienza e alla passività le grandi masse.

  • Espansione in Europa

L’obbiettivo di Hitler in politica estera era modificare l’assetto europeo uscito dalla prima guerra mondiale, considerato particolarmente sfavorevole alla Germania. A partire dal 1936, iniziarono ad attuarsi i programmi di espansione tedeschi che prevedevano l’allargamento del cosiddetto “spazio vitale” verso Est. Hitler trovò alleati nei regimi autoritari e fascisti come in Italia e Giappone, e sostenne il partito nazionalista durante la guerra civile in Spagna. Con il patto d’acciaio l’Italia si allea alla Germania e prende una posizione di asservimento nei confronti di quest’ultima. Gli Stati occidentali (in particolare Francia e Gran Bretagna) erano troppo occupati a risollevarsi dalla crisi economica del 1929, ed erano convinti che un rafforzamento della Germania avrebbe controbilanciato la crescita dell'URSS, sottoposta alla dittatura comunista di Stalin. Hitler ebbe quindi strada facile per compiere annessioni territoriali (l'Austria e la Cecoslovacchia nel 1938) senza trovare grandi ostacoli aggirando i vari trattati di pace. Con un patto di non aggressione si assicurò che l’URSS non gli rovinasse i piani per 10 anni, mentre segretamente si spartivano la Polonia. Quando le reali intenzioni espansionistiche di Hitler divennero evidenti, era troppo tardi e nulla poté a quel punto fermare la II^Guerra Mondiale.

  • II^ Guerra Mondiale (vista dalla Germania)

I primi interventi armati della Germania risalgono al 1938, quando occupa militarmente l’Austria che  tramite un plebiscito dichiara la sua annessione al regime. Nel solito anno viene occupata la zona dei Sudeti in territorio cecoslovacco, una zona abitata da popolazioni di lingua tedesca. Viene scongiurato il conflitto con gli alleati tramite un incontro diplomatico con Mussolini, su richiesta del primo ministro inglese Chamberlain. Nonostante questo Hitler fece occupare tutta la Cecoslovacchia. Il primo settembre tutto il peso militare tedesco invade la Polonia col proposito di concludere una guerra lampo. Subito la Francia e la Gran Bretagna dichiarano guerra ma il loro intervento non è molto efficace. In poco tempo la Polonia si arrende al doppio attacco tedesco e russo. L’anno dopo (1940) la Germania invade la Danimarca, la Norvegia, il Lussemburgo, l’Olanda, il Belgio e la Francia. Al suo fianco entra in guerra l’Italia, illusa dai prepotenti successi tedeschi ma consapevole della impreparazione militare del paese, indebolito dall’interventi in Etiopia e in Spagna. Proprio per questo l’Italia costituirà un intralcio ai piani di Hitler, specialmente nell’attacco fallito in Grecia dove il Führer sarà costretto ad inviare soldati per risolvere la situazione. Nel terzo anno di guerra si affianca alla Germania anche il Giappone, e sempre in questo anno vengono occupate Jugoslavia, Grecia e Russia. Le troppo facili vittorie convincono Hitler ad attaccare il colosso sovietico. Il 22 giugno Germania e Italia dichiarano guerra alla Russia e l’esercito di Hitler arriva rapidamente alle porte di Leningrado. L’avanzata dell’esercito tedesco è ormai fermata. Con la firma della “carta atlantica” (derivata dall’incontro tra Roosvelt e Churchill) il conflitto assume l’aspetto di una lotta dello spirito di libertà contro il totalitarismo e le dittature. Alla fine del ’41 Hitler chiedeva ai giapponesi di attaccare dall’altro lato l’URSS per sopraffarlo, ma l’iniziativa nipponica si rivolse verso gli Stati Uniti con un attacco aereo alla base militare di Pearl Harbour. Con la disobbedienza del Giappone la Germania perde l’occasione di sconfiggere la Russia e con l’entrata in guerra degli Stati Uniti inizia il suo declino verso la sconfitta. IL declino comincia con la liberazione del territorio sovietico dalle truppe tedesche occupanti. Stalingrado viene liberata e il destino dell’Asse è segnato. La Germania perde anche l’Italia che viene liberata dagli americani e dove il regime fascista crolla inesorabilmente. Mussolini viene arrestato ma inizia un periodo di incertezze e ambiguità, dove l’Italia è ancora a fianco della Germania mentre gli alleati occupano la Sicilia e i partigiani aumentano di numero. La rinascita nazionale italiana comincia ma Hitler non si rassegna e occupa, con le sue ultime divisioni in Italia, Roma. Poco dopo libera Mussolini che pone la sua residenza a Salò fondando la Repubblica sociale italiana e tenta di ricostruire un esercito. Per la Germania diventa veramente difficile contenere tutti gli attacchi visto che si apre un altro fronte con lo sbarco in Normandia degli Alleati. In poco tempo viene liberata la Francia, per poi proseguire con la liberazione di Olanda e Belgio. Sul fronte russo vengono persi sistematicamente tutti le nazioni conquistate, Romania, Finlandia, Jugoslavia, Bulgaria e Ungheria si arrendono all’inarrestabile controffensiva russa. La Germania  viene costretta alla resa dalla marcia dell’esercito russo da una parte e dall’esercito alleato dall’altra; Hitler si suicida. La Germania è crollata definitivamente e qualche mese dopo farà la solita fine anche il Giappone subendo le due bombe atomiche statunitensi. La seconda guerra mondiale è finita, inizia il duro periodo del dopoguerra.

  • Le Macchine Crittografiche

Forse in nessun altra guerra come nella II guerra mondiale la Crittografia ha svolto un ruolo di primo piano. Nessuno può dire quanto sia stata importante per la vittoria finale la superiorità alleata in questo campo; non c'è comunque dubbio che questa superiorità sia stata schiacciante fin dai primi anni di guerra. Il caso più noto è certo quello della macchina Enigma, usata dai tedeschi e considerata a torto inattaccabile; solo molti anni dopo la fine della guerra si seppe che in effetti già nel 1932, prima ancora che Hitler arrivasse al potere, l'ufficio cifra polacco aveva trovato il modo di forzare l'Enigma. E durante la guerra gli inglesi del progetto ULTRA continuarono a forzare sistematicamente i messaggi cifrati con l'Enigma e dal 1941 anche quelli cifrati con la più sofisticata macchina Lorenz.
Quante vittorie alleate avevano alla base questa superiorità crittografica? Difficile dare una risposta precisa, più semplice citare un paio di casi ben noti:

  • Battaglia di capo Matapan: la disfatta della flotta italiana (marzo 1941) pare abbia avuto origine dal fatto che gli inglesi avevano decrittato alcuni messaggi cifrati della marina tedesca che fornivano l'esatta posizione della flotta italiana.
  • Sbarco in Normandia: Eisenhower e Montgomery erano in grado di leggere tutti i messaggi degli alti comandi tedeschi, che usavano la macchina Lorenz; ebbero così conferma che Hitler aveva creduto alla falsa notizia di un imminente sbarco alleato nei pressi di Calais, e aveva concentrato le sue migliori truppe in quella zona. Poterono quindi ordinare lo sbarco in Normandia sicuri che avrebbe incontrato ben poca resistenza.

Anche sul fronte del Pacifico gli Americani sin dal 1940, un anno prima di Pearl Harbour, avevano realizzato Magic, una macchina in grado di decrittare i messaggi giapponesi cifrati con la macchina Purple. Ricordiamo due episodi certi e uno dubbio:

  • Battaglia delle Midway: l'ammiraglio Isoroku Yamamoto, comandante supremo della flotta giapponese, nel maggio 1942 aveva preparato un piano per attaccare a sorpresa le isole Midway a est delle Haway, determinato com'era a infliggere una serie di duri colpi iniziali agli USA prima che la superiorità economica-industriale americana avesse il sopravvento. Ma grazie a Magic gli Americani intercettarono i piani di Yamamoto e l'Ammiraglio Nimitz, comandante della flotta USA, fu in grado di preparare la battaglia conoscendo già fin nei dettagli i piani del nemico; fece inoltre trasmettere falsi piani americani usando un cifrario che sapeva essere stato forzato dai giapponesi. L'effetto sorpresa si trasformò in un boomerang e la vittoria USA alle Midway fu quindi in buona parte dovuta alla superiorità crittologica.
  • Morte dell'Amm. Yamamoto: il 14 Apr 1943 fu decrittato un messaggio che diceva che l'ammiraglio Yamamoto avrebbe visitato l'isola di Bougainville il 18 e specificava persino le ore di partenza e di arrivo e il tipo di aerei usati. L'ammiraglio Nimitz subito informato, dopo aver sentito il Presidente Roosevelt, organizzò una squadra di aerei P-38 che il 18 puntualmente intercettò e abbattè l'aereo di Yamamoto; i giapponesi persero così il loro uomo più prezioso. La morte di Yamamoto fu peraltro presentata come dovuta a un incidente e solo dopo molti anni furono rivelati i dettagli dell'episodio.
  • Pearl Harbour: gli Americani, grazie a Magic, sapevano in anticipo anche dell'attacco di Pearl Harbour e decisero di non impedirlo; avevano infatti bisogno di un motivo forte per convincere la riluttante opinione pubblica americana della necessità di entrare in guerra e quell'attacco a tradimento dei Giapponesi fu ideale per questo scopo. Una teoria più prudente sostiene che gli Americani sapevano che il Giappone stava per attaccare, ma non sapevano dove. Certo è che al momento dell'attacco nella baia di Pearl Harbour non c'era nemmeno una portaerei e in definitiva furono affondate solo alcune navi vecchie e di importanza non fondamentale per la guerra. E alla fine della guerra il gen. Marshall ammise che in molti casi di importanza "non vitale" gli alleati dovettero fingere di non conoscere i messaggi cifrati nemici, anche al costo di perdite umane, tale era il timore che tedeschi e giapponesi si accorgessero che i loro cifrari venivano sistematicamente decrittati. Anche l'attacco di Pearl Harbour va dunque annoverato tra questi casi? Se è così, è però ben difficile che la cosa possa mai essere confermata ufficialmente, considerato che in quell'occasione morirono circa 3000 cittadini americani.

Per quanto riguarda l'Italia il generale Sacco aveva progettato una macchina cifrante piuttosto complessa, ma per motivi non ben chiariti la macchina andò distrutta e non venne quindi mai usata; un episodio che ben si inserisce nell'andamento disastroso della guerra per l'Italia. Un successo sia pur temporaneo e di natura più spionistica che crittanalitica, lo si ebbe nel 1941 quando il servizio segreto italiano riuscì a trafugare dall'ambasciata americana a Roma il cifrario "Black". Grazie a questa impresa italiani e tedeschi riuscirono per qualche tempo a decrittare i messaggi americani nel Nord Africa; e sembra che molti dei successi di Rommel fossero dovuti a queste intercettazioni; quando nel 1942 gli alleati scoprirono che i loro messaggi venivano forzati, il cifrario "Black" fu abbandonato e sostituito con la ben più sicura macchina M-138. E, che sia stato un caso o no, finirono anche i successi di Rommel in Africa.

 

La Germania adotta l’Enigma

La macchina Enigma inventata nel 1918 dal tedesco Arthur Scherbius viene adottata dall'esercito e dalla marina tedesca fino alla seconda guerra mondiale. L'Enigma è una macchina simmetrica e serve quindi per cifrare e decifrare; una grossa comodità operativa che è però anche una debolezza crittografica. La macchina ha al suo interno un certo numero di rotori (nella prima versione erano 3) collegati elettricamente e liberi di ruotare: quando l'operatore preme un tasto ad es. la A un segnale elettrico passa da rotore a rotore fino al rotore finale detto il riflettore e quindi torna indietro fino a mostrare una lettera illuminata che è il carattere cifrato. Non esiste possibilità di stampa, dunque l'operatore deve copiare a mano, carattere per carattere il messaggio cifrato da trasmettere. La chiave dell'Enigma è la disposizione iniziale dei rotori; questa chiave veniva cambiata ogni 24 ore secondo una regola prefissata; in definitiva la vera chiave segreta era questa regola.
Meno noto è che i tedeschi usarono anche altri cifrari durante la guerra; in particolare gli alti comandi tedeschi, usarono una macchina telescrivente realizzata dalla ditta Lorenz che a differenza dell'Enigma usava 32 caratteri codificati con il codice Baudot, che era già un codice binario, nel senso che ogni carattere era codificato con 5 bit (0 o 1); la macchina si ispirava direttamente al cifrario di Vernam, considerato il cifrario perfetto. Secondo le idee base del Vernam ogni carattere del messaggio era scomposto nei suoi 5 bit, che venivano sommati in modo binario (in pratica con un connettivo XOR) con i bit del corrispondente caratterre della chiave (detta anche sequenza oscurante). Secondo Vernam la chiave dovrebbe essere indefinitamente lunga e del tutto casuale; a queste condizioni il Vernam è inattaccabile, ma c'è la grossa difficoltà di comunicare in modo sicuro la chiave al corrispondente. Claude Shannon, il padre della Teoria dell'Informazione, ha dimostrato nel 1949 che ogni cifrario "teoricamente sicuro" è un cifrario di Vernam (e viceversa). Infatti se la chiave è totalmente casuale e lunga come il testo allora il testo cifrato non contiene alcuna informazione sul testo chiaro, ed è del tutto al sicuro dagli attacchi della crittanalisi statistica

Claude Shannon

 

  • Claude Shannon

Claude Elwood Shannon era un matematico e informatico statunitense a cui si deve nel 1938 l'invenzione del «bit», contrazione dall'inglese «binary digit» (cifra binaria), in seguito universalmente usato per designare l'unità di informazione che consente il funzionamento dei computer. Grazie alle sue ricerche sul linguaggio binario applicate ai circuiti elettrici, Shannon pose le basi per le moderne comunicazioni di massa attraverso le “reti artificiali”. 
I fondamenti della teoria dell'informazione furono esposti da Shannon nell'opera «The mathematical theory of communication» (Una teoria matematica della comunicazione), pubblicata dalla casa editrice dell'Università dell'Illinois nel 1948, e poi nello studio «Recent contributions to the mathematical theory of communication» del 1949, da lui scritto insieme al matematico Warren Weaver. In quest'ultima opera furono definiti i fondamenti teorici della crittologia e le caratteristiche del cifrario perfetto. Per i suoi innovativi contributi nel 1966 il presidente degli Stati Uniti assegnò a Shannon la «Medaglia nazionale delle Scienze». Durante la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi il Pentagono chiese a Shannon di realizzare ricerche sulla possibilità di «guidare» i missili. Tutte le enciclopedie del mondo ricordano l'importanza della «teoria dell'informazione» elaborata da Claude Shannon.

 

  • La teoria dell’informazione

La «teoria dell'informazione» ha posto le basi per progettare sistemi informatici partendo dal presupposto che l'importante era cercare di memorizzare delle informazioni in modo da poterle anche trasferire e collegare tra loro. Questa teoria nasce dal problema di come si debba manipolare un segnale corrotto da rumore ai fini di una migliore stima del segnale stesso, e quello di come codificare in partenza il segnale da convogliare su un dato canale disturbato ai fini di consentire la migliore ricostruzione in arrivo del messaggio trasmesso. La posizione di Shannon, semplificando, consiste nel ritenere che l’attenzione non vada concentrata sul significato dell’informazione trasmessa ma sulla possibilità di ricostruire in ricezione in modo più o meno corretto il messaggio trasmesso.
Per cominciare, il problema era di definire in maniera precisa cos’era il contenuto di informazione di un messaggio. L’idea geniale di Shannon fu che il contenuto di informazione non ha nulla a che vedere col contenuto del messaggio, ma col numero di 0 e 1, necessari per trasmetterlo. La natura del messaggio , numeri, musica, immagini, era irrilevante.In ogni caso si trattava di sequenze di 0 e 1. Le cifre binarie diventavano ora l’elemento fondamentale di ogni comunicazione.
Shannon ha  dimostrato che la quantità di informazioni racchiuse nella scelta di 1 tra tanti simboli è data dal numero di bit necessari per rappresentare con le vaie combinazioni tutti i simboli dati:

Q=log2M 

Q= quantità d’informazione
M= simboli o eventi

Nel caso in cui si hanno M eventi equiprobabili, allora l’informazione connessa alla scelta tra 1 e M simboli è diversa a seconda del simbolo scelto verificatosi in quanto diversamente probabile. In tal caso si tratta di informazione media statistica, e assume il valore di Entropia(H):

Con i suoi studi riesce a trovare la formula per trovare la capacità di un canale. Ovvero la massima quantità di informazione che può essere trasmessa nell’unità di tempo in bit/sec su un canale trasmissivo con un prefissato tasso di errore.

La teoria dell’informazione di Shannon è stata la madre delle odierne tecnologie di telecomunicazioni. Una tra le più importanti e che ci offre una svariata gamma di servizi è certamente Internet.

 

Internet

  • Origini

Internet was born in the 1969 in USA because the Us military needed a connection of 4 computer to maintain an high security level. This connection was to be known as the Darpanet. With the passing of the time the name changed to Arpanet because the computers linked are more. Now internet is very used by more people because it is easy to use and is avaible almost for free.

  • Caratteristiche

Internet is the biggest library of the world. This library contein information resources, located in universityes, collegs, offices etc. These resources are stored on a computer systems, linked by networks.  To (accedere) at the net we must use a special device: the modem. This is a signal converter which adapts your data to a form compatible with the telephone. A foundamentally carapteristic of this device is the speed. More speed of the modem  can load and dowload all the things more fast.

  • Servizi

Internet “dispone” of more services, such as e-mail, chat, forum, newsgroup,e-commerce and the majority of this services are avaible only for the cost of the telephone call to the service provider used. With teh e-mail we can send and recive mail in and by all the world. This is an facilities more inexpensive and easy to use. The chat, the forum are the services that are located in a web pages and that (con i quali) we can (discutere) on-line. The web pages are the graphic interface that internet use to comunicate with our. Finally with the FTP devices we can transfer data in and by the net.

  • Network

Internet is a network. The Network is a system of interconnected computers that can communicated with one another. An example of network is the telephone system, where the telephone is an end-point, or node,  connected to a network of computer thet routes the signal. In a computer network the node can be a terminal, a computer, or other devices as a printer, a modem.  The network topology rappresenta la disposizione delle connessioni between the nodes in a network. There are 3 main group of network topology:

  • the star topology.  This topology is composed by an HUB (centralized host computer) connected to other computers. Each computer communicates trought the HUB with the other computer and devices in the network. If a connection between the HUB and  a communications device is broken, the rest of teh devices on the network will continue operating. But if the HUB crash, all the devices can’t will continue operating.
  • The ring topology. This topology consist in a ring, or continuous loop, of computers connected each other. When one computer routes a message to another computer, it is passed around the ring until it reaches its destination. To prevent the collision of databetween two computer that want to send messages at the same time, this topology use the Token ring. Token ring is a ring network where there is  a special bit pattern (token) that travels round the circle; when a computer want to send a message, catches the token and attaches a message to it. The only disadvantage of this topology is the speed limit and the high cost.
  • The bus topology. This connects all communications devices to a common cable called a bus. A signal is sent to all nodes, but only the destination node responds to the signal. An ezample of this topology is Ethernet network.  Ethernet is now a common LAN configuration, very popular in the home or in the offices, because it is inexpensive and easy to use.  The disadvantage of this network is that, if the bus fails, teh entire network fails.

Altra carapteristic of a network is the size. Networks are grouped principally into the following sizes:

  • Wan (wide area network) Connects the nodes of a city, a region, or a countryoften using facilities provided such as telephone companies.
  • Man  (metropolitan area network) This is designed for a city, a town.
  • Lan (local area network) Connects nodes physically close to one another. This is used in the offices. The LANs can connected one enother via telephone lines and radio waves.  This system means that many users can share expensive devices or data and can communicate with each other.
  • Tan  (tiny area network) This is a very small Lan. This are popular in home computing.
  • Wlan  (wireless LAN) This system use electromagnetic airwaves, infrared or radio frequency. Wan can offer some advantages to consumers: first of all, mobility. Consumers have the flexibility to move inside or outside their homes and still remain connected to the internet or to other computing fevices on the network just as they do with a cordless phone.

 

 

 

Programmazione orientata al web

  • Ipotesi di partenza

Il networking è tutto ciò che riguarda la comunicazione tra reti diverse. Per effettuare il networking bisogna rispettare delle ipotesi di partenza, detti standard, che sono le seguenti:

    • si considera il modello di networking semplificato a 4 livelli
    • si considerano come protocolli i TCP/IP, il browser come client e il Web server come server.

Il classico modello concettuale di networking è il modello OSI ( open system interconnection), esso è composto da 7 livelli ed è stato sviluppato dall’ISO (international standards organization). Esso fornisce un’architettura da rispettare nell’organizzazione dei servizi in una rete.
Il modello di rete TCP/IP si serve dell’OSI e può essere rappresentato così:

 

Protocolli usati

Livelli TCP/IP

Rispettivi livelli OSI

http
ftp
smtp

Applicazione

Applicazione
Presentazione
Sessione

tcp

Trasporto

 

ip

Rete

 

Ethernet
token ring

Fisico

Fisico
Datalink

 

Questo è un modello di rete, e lo scambio di dati in un dato livello di esso deve seguire un processo dettagliato, dettato dal protocollo di rete. Il protocollo TCP/IP è di fatto utilizzato per l’internetworking ed è di tipo “aperto” cioè le sue descrizioni tecniche sono pubbliche. Questo permette a chiunque di crearsi un TCP/IP sul proprio hardware o software, ed è stato proprio questo il motivo del suo successo. Nel networking l’architettura client-server è diventata standard. In essa ci sono dei computer, detti server, che forniscono servizi e computer, detti client, che ne usufruiscono. Come client prendiamo come predefinito il browser (software che implementa la parte client del TCP/IP) e come server prendiamo il Web server (software della parte server dell’ HTTP) ed sta in ogni computer server.
In un ambiente di tipo client-server possiamo integrare i database per la gestione di dati  e il linguaggio standard di interrogazione e manipolazione di essi è l’SQL.  Il database in questione deve risiedere su un nodo server SQL. Mentre il Web server accetta richieste  e restituisce pagine html, il server SQL è identificabile come il vero e proprio DBMS (database management system). Per integrare un database in un ambiente client-server ci sono 5 approcci.

 

  • Approcci di interfacciamento di un database in rete
    • approccio primitivo

Questo approccio è irrealizzabile per tempi, costi e inaffidabilità delle interrogazioni. Quando arriva la richiesta di interrogazione al Web server viene sottoposta da quest’ultimo ad un operatore umano che effettua manualmente l’interrogazione al DBMS. Al client restituirà una pagina HTML creata con il risultato ricevuto.

    • approccio basato sui trigger

Innanzi tutto va specificato che un trigger è una procedura automatica che viene eseguita quando si verificano degli eventi ben precisi. In questo approccio i trigger possono essere inseriti nel nostro database così ad ogni variazione di alcuni particolari dati, un trigger entri in esecuzione, prenda questi dati e crei una pagina HTML da trasferire al client. In questo approccio ciò che arriva al client è una pagina HTML che non si trova fisicamente sul disco del server, ma che viene creata dinamicamente da parte dei trigger del DBMS.

    • approccio basato sul Web server

In questo approccio occorre avere un programma applicativo sul server che invia un comando SQL al server SQL. Dopodiché si crea automaticamente una pagina HTML che formatti tale risultato così da renderlo leggibile al browser. In particolare il programma applicativo deve inviare comandi SQL al server SQL, ricevere una risposta dal server SQL, creare una pagina HTML ed infine restituire questa pagina al Web server. Quest’ultimo invierà la pagina ricevuta al client. Anche in questo approccio la pagina viene creata dinamicamente al momento della richiesta, senza trovarsi fisicamente sul disco del server, e di questo approccio fanno parte le pagine ASP,JSP,PHP. Il carico elaborativo della query è a cura del computer server, sul quale è installato il Web server, che supporterà tutte le query verso il database provenienti da migliaia di client contemporaneamente.

    • approccio gasato sul client

Il Web server invia al client un applicativo  che interagisce direttamente con il server SQL del database remoto senza quindi nessuna intermediazione da parte del Web server. L’interazione avviene solo con il server SQL e non più con in Web server. Dopo aver scaricato l’applicativo sul client il protocollo HTTP esce di scena. Di conseguenza il carico elaborativo viene spostato sul client. Questi approcci sono puliti per il client poiché esso non deve preoccuparsi e non vede quello che riguarda i dettagli implementativi del DMBS con cui sta interagendo.

    • approccio trasversale, basato su ODBC

L’ open database connectivity, oppure ODBC, è l’interfaccia software standard che consente ai programmatori di interfacciarsi a qualsiasi database esistente, purchè siano stati scritti i driver ODBC per quel database. In parole povere se si vuole accedere a un database qualsiasi, si possono sfruttare i driver ODBC per quel database e utilizzarli all’interno delle applicazioni per connettersi e interrogare quel database. Per configurare i driver ODBC bisogna aggiungere un DSN (data source name), cioè il nome della sorgente dati, che consiste nello specificare il tipo di database che si intende utilizzare e i driver ODBC per quel database. Viene definito approccio trasversale perché bisogna fare delle operazioni di installazione direttamente sul computer client. Non si ha più quella trasparenze che si aveva negli approcci precedenti poiché il client è direttamente coinvolto in tali operazioni. Il client in questo approccio deve conoscere il tipo di DBMS che è stato installato sul server, reperire i driver ODBC per fare il collegamento a quel DBMS, installare sul proprio sistema operativo tali driver. L’approccio ODBS non necessita di un browser ma può utilizzare un client qualsiasi per l’accesso al database (purché sia un client SQL), non è basato su HTML e non è necessario che il database si trovi su una rete TCP/IP.

 

 

  • Programmazione lato client e lato server

In un ambiente client-server utilizzando un architettura di protocolli TCP/IP e HTTP per programmazione lato server intendiamo lo sviluppo di programmi eseguiti sul server con i conseguenti risultati trasferiti sul client in formato di pagine web. Nella programmazione lato client gli applicativi invece andranno in esecuzione soprattutto sul client gestendo i risultati di richieste inviate al server.

Lato client

Lato server

Applet
Javascript
Vbscript

Php
Asp
Jsp

 

Il web server quando riceve una richiesta si può trovare di fronte a 2 possibilità:

  • che sia una richiesta di semplice invio di pagine statiche in formato html.
  • Che sia una richiesta di esecuzione di un file con istruzioni del programma lato server.

La programmazione orientata al Web fatte queste descrizioni base dei vari apparati possiamo dire che è l’insieme di tecniche usate in un ambiente client-server con architettura TCP/IP che fanno interagire programmi lato server e lato client, con obbiettivo finale di creare sistemi eseguibili in internet. La ripartizione di queste applicazioni tra client e server viene fatta in modo arbitrario: tutto dipende dalle prestazioni del server e quindi visto che abbiamo 1 server contro migliaia di client, tutto quello che può essere eseguito sul client deve essere eseguito sul client.
Come regola pratica conviene utilizzare la parte client per i seguenti compiti:

  • convalidare l’input dell’utente,  (controllo validitàdei valori immessi nel modulo)
  • richiedere all’utente una conferma
  • visualizzare messaggi di errore o informativi
  • eseguire calcoli di aggregazione o altri tipi di elaborazione sui dati recuperati dal server
  • porre delle condizioni nel codice html
  • eseguire altre funzioni che non richiedono informazioni dal server

Le applicazioni lato server invece verranno utilizzate per i seguenti compiti:

  • mantenere informazioni tra un accesso e l’altro del client
  • mantenere dati tra diversi client o applicazioni
  • accedere a un database
  • accedere ai file sul server
  • richiamare librerie di altri linguaggi sul server
  • accedere genericamente a risorse presenti sul server

Nella programmazione lato server si possono distinguere due tipi di linguaggio:

  • linguaggi di programmazione lato server. Come java o Cin cui si scrivono i programmi CGI
  • linguaggi di scripting lato server. Fanno parte di questa categoria PHP,PERL,ASP.

I programmi lato server possono essere di tre tipi: compilati,interpretati o misti. Un esempio del primo caso è un programma CGI che scritto in linguaggio C ha il suo eseguibile inserito in una directory sul Web server. Del tipo interpretato è un file di comandi PHP che si vede associato dal Web server un interprete PHP che viene mandato in esecuzione per poterne eseguire i comandi. Un approccio misto è invece quello delle JSP java. Questo codice prima viene compilato così da ottenere un codice intermedio, e poi interpretato dall’interprete java, per essere infine eseguito.

 

Fonte: http://digilander.libero.it/MangaPoint/TESI.doc

Autore: Gianni Parigi 5^Ci
I.T.I.S. Galileo Ferrarsi San Giovanni Valdarno
Tesina multidisciplinare esame di stato 2003/2004

 

 

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