Diario di viaggio organizzato in Croazia cosa vedere e cosa fare in Croazia

 

 

 

Diario di viaggio organizzato in Croazia cosa vedere e cosa fare in Croazia

 

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Diario di viaggio organizzato in Croazia cosa vedere e cosa fare in Croazia

 

CROAZIA.

13.09-21.09.2010 - Tour organizzato dalla Boscolo Tours.

 

  Il viaggio ha avuto inizio a Padova, punto di convergenza di tutti i partecipanti, da dove il 13 settembre parte il pullman che li accompagnerà per tutta la durata, seguendo le tappe dell’itinerario. Il primo giorno si attraversa la frontiera della Slovenia a Opicina, prima di Trieste, dove, al tempo della guerra fredda finiva la “cortina di ferro” dell’Europa occidentale che aveva inizio a Strettino. Si attraversa la Slovenia fra boschi di conifere e campi di fieno e, alle 16:00 circa, si attraversa il confine con la Croazia, a circa 100 km da Zagabria. La guida intrattiene con alcune notizie storiche sulla Croazia. La prima tappa del viaggio è Zagabria, la capitale, che si visita con una guida locale. Il giorno dopo si scende nella Regione di Zara, nella Dalmazia settentrionale, per visitare il Parco Nazionale dei Laghi di Plitvice, uno dei luoghi naturali più belli della Croazia, con una successione di 16 laghi a quote diverse che comunicano con fiumi e cascate. Il terzo giorno è dedicato alla visita di Zadar (Zara), capitale della provincia omonima sul mare, città romana, medievale e ottocentesca. La terza tappa è una puntata in Bosnia-Erzegovina per una breve visita a Medjugorje, luogo di apparizioni della Madonna e Mostar con il suo famoso ponte sulla Neretva. Si scende quindi a Dubrovnik, nella regione più meridionale della Croazia a visitare l’antica città fortificata della Repubblica di Ragusa. Si risale poi verso nord, sostando a Split (Spalato), al Palazzo di Diocleziano trasformato in città fortificata medievale e rinascimentale, e quindi a Sibenik, luogo di una celebre cattedrale bizantina dagli splendidi mosaici. Si finisce nel nord della Croazia nelle isole del Quarnero e nella penisola istriana, fra ricordi storici e città pittoresche, tutte meta del turismo internazionale.

 

26.1  TERRITORIO E STORIA.

  Gli attuali confini della Croazia sono stati stabiliti dopo la dissoluzione della Jugoslavia e la guerra per l’indipendenza conclusa nel 1995 con gli accordi di Dayton. Il territorio forma un grande arco che occupa tutta la costa orientale dell’Adriatico, dall’Istria al confine con il Montenegro con 1185 isole, delle quali solo 67 sono abitate, e la catena delle Alpi Dinariche all’interno, e si estende a nord-est nelle pianure della Pannonia e della Slavonia, fra la Sava, la Drava e il Danubio. L’area continentale occupata è di 56542 kmq e quella delle acque territoriali di 31067 kmq, che include le isole. La popolazione è di circa 4,49 milioni di abitanti, la capitale è Zagabria con 780000 abitanti, seguono Split (Spalato) con 190000 e Rijeka (Fiume) con 140000. I confini della Croazia sono a nord con la Slovenia, a nord-est con l’Ungheria, lungo le valli della Kuna e della Sava, a est con la Serbia, separata in parte dal Danubio, a sud con la Bosnia-Erzegovina e il Montenegro e a ovest con l’Adriatico.

  Il territorio si divide in tre parti con caratteristiche morfologiche diverse. La fascia costiera adriatica calcarea e rocciosa con clima mediterraneo, la catena delle Alpi Dinariche che costituisce lo spartiacque fra Adriatico e il bacino del Danubio con clima alpino, ricca di foreste e laghi nel versante orientale, e le regioni settentrionali e orientali del bassopiano pannonico con clima continentale.

 

  Intorno all’anno 1000 a.C., le popolazioni degli illiri di origine indoeuropea migrarono nei territori che sono ora della Croazia, Serbia e Albania e dominarono la regione che subì anche l’espansione delle colonie greche sulla costa adriatica nel VI secolo e un’invasione dei celti da nord nel IV secolo a.C.. I Romani ne iniziarono la conquista fra il II e il I secolo a.C. e penetrarono fino al Danubio nel territorio dei Pannoni. Con l’imperatore Tiberio la provincia fu chiamata Illyricum e divisa in Pannonia e Dalmatia. I Romani in cinque secoli lasciarono la loro impronta latinizzando le popolazioni e fondando numerose città, fra queste Jadera (Zara/Zadar), Parentium (Parenzo/Porec), Polensium (Pola/Pula) e Spalatum (Spalato/Split). Fu creata una rete di strade di collegamento fra l’Adriatico, l’Egeo e il Mar Nero e lungo la valle del Danubio. L’imperatore Diocleziano che era dalmata, nato a Solona nel 236, riordinò l’amministrazione dell’impero con la Tetrarchia dividendo il potere fra due Augusti con l’aiuto di due Cesari. Quando alla morte di Teodosio nel 395 d.C., l’impero fu diviso in Oriente e Occidente, gli attuali territori di Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina furono attribuiti all’Impero di Occidente, con capitale Milano, mentre Serbia, Montenegro, Kossovo e Macedonia all’Impero d’Oriente con capitale Bisanzio. Nel V secolo iniziarono le invasioni barbariche, in Croazia passarono Visigoti e Unni e, dopo il passaggio degli Ostrogoti di Teodorico, al tempo di Giustiniano, passò sotto il controllo di Bisanzio (536). Nel VII secolo tutta l’area balcanica fu interessata dalla migrazione delle tribù slave e in Pannonia e Dalmazia arrivarono i Croati, forse provenienti dall’attuale Polonia meridionale. Le popolazioni illiriche di lingua latina finirono con il concentrarsi nelle città della costa dalmata. Nel IX secolo, Carlo Magno arrivò in Pannonia, dove sconfisse gli Avari, che erano stati una costante minaccia per queste regioni, e si formarono due ducati, a nord-est la Croazia pannonica e, lungo la costa, la Croazia dalmata, che furono evangelizzati. Il primo regno di Croazia si formò nel 925, quando un capo tribù, Tomislav I, unificò Croazia pannonica e dalmata e fu incoronato primo re di Croazia. Nel X secolo, due monaci slavi, Cirillo e Metodio, crearono per queste popolazioni un alfabeto che fu detto glagolitico e fu alla base della loro scrittura ufficiale, ma i croati continuarono a officiare i servizi religiosi in latino. Nel 1102 la monarchia e l’indipendenza croata finirono quando, con l’estinzione della dinastia regnante, fu annessa al regno d’Ungheria per diritto di successione e furono sottoscritti i pacta conventa con il re ungherese Koleman (Colemanno) che univano il regno di Croazia a quello d’Ungheria. La Croazia mantenne l’autonomia per gli affari interni ma ebbe un viceré (bano) che a volte era un nobile croato e a volte un nobile ungherese. Le città dell’Istria e della costa dalmata, per la loro posizione strategica come centri commerciali e di traffici, furono oggetto delle ambizioni sia degli Ungheresi, che le consideravano il loro sbocco sul mare, sia della Repubblica di Venezia, che ambiva al controllo dell’Adriatico. Zara subì numerosi attacchi da parte dei Veneziani e alla fine fu conquistata dalla flotta veneta in occasione della IV crociata. Nel 1242, l’invasione dei mongoli portò saccheggi in Ungheria e all’interno della Croazia, mentre le città costiere approfittarono per accrescere la loro indipendenza ma Venezia s’impossessò di Sibenik (Sebenico) e Trogir, vicino a Spalato. Allontanato il pericolo mongolo, le difficoltà finanziarie dell’Ungheria all’inizio del XV secolo, permisero ai Veneziani di acquistare i diritti su Zara e la costa dalmata fino a Dubrovnik (Ragusa), che però rimase indipendente. Questa situazione si mantenne fino all’invasione di Napoleone del 1797. Nel frattempo, a metà del XIV secolo, i turchi ottomani iniziavano la conquista dei Balcani. Contro si coalizzarono le nazioni cristiane dell’impero serbo e del regno di Bosnia con un esercito di 25000 uomini e affrontarono l’esercito ottomano, guidato dal sultano Murad e forte di 50000 uomini a Kosovo Lolje (Piana degli uccelli neri). Il 28 (14 per il calendario giuliano degli ortodossi) giugno del 1389, giorno di San Vito, dopo un iniziale successo, serbi e bosniaci subirono una sanguinosa sconfitta in cui tutta la nobiltà serba con il re fu sterminata e la data divenne per la nazione serba un anniversario storico. Dopo la battaglia, un nobile serbo sopravvissuto riuscì a uccidere nella sua tenda il sultano Murad e fu ucciso a sua volta. Quattro anni dopo gli ottomani conquistarono la Bulgaria. Il re Sigismondo d’Ungheria, alleato dei Francesi, subì un’altra sconfitta nel 1396 dal sultano Bayezid nella battaglia di Nicopoli. L’arrivo di Tamerlano interruppe l’avanzata degli ottomani che subirono una disfatta ad Ankara nel 1402 dove Bayezid fu deportato e ucciso. Sparito Tamerlano, 50 anni dopo gli ottomani ripresero l’avanzata. Maometto II conquistò Costantinopoli (1453), che diventò Istanbul, occupò Grecia e Albania, ma questa resistette per 25 anni con la rivolta suscitata dall’eroe nazionale albanese Skanderberg e fu annessa solo nel 1498, dopo la sua morte. La Bosnia fu conquistata nel 1463 e nel 1493 gli ottomani si scontrarono a Krbavsko Polje con l’armata croata che subì una completa disfatta con la morte di 7000 soldati e l’annientamento della cavalleria feudale. Gli ottomani dilagarono occupando e saccheggiando città e villaggi croati e riducendo in schiavitù gli abitanti. Non fu espugnato solo il centro fortificato di Zagabria, cioè il borgo fortificato di Kaptol intorno alla cattedrale. Nel 1526 toccò agli Ungheresi un’altra disfatta a Mohacs, da parte del sultano Solimano il Magnifico, dove morì il re Luigi II d’Ungheria e si estinse il ramo ungherese degli Jagelloni. Con questo la corona d’Ungheria passò al cognato Ferdinando d’Asburgo e, fino al 1918, l’Ungheria fu divisa fra ottomani e Asburgo e cessò di essere indipendente. Come conseguenza anche la Croazia passò all’imperatore d’Austria. Subito dopo Mohacs, Solimano, nella primavera del 1529, raccolse un grande esercito e mosse contro Vienna per assicurarsi il controllo dell’Ungheria e colpire la potenza del Sacro Romano Impero degli Asburgo. L’esercito fu valutato fra 120000 e 300000 uomini. L’avanzata fu piena di ostacoli per le cattive condizioni del tempo, per la resistenza incontrata e le difficoltà logistiche. Nel frattempo Vienna si era preparata all’assedio rinforzando le mura e chiamando per rinforzo mercenari tedeschi e soldati spagnoli. All’inizio di ottobre il tentativo di minare le mura fallì e gli attacchi diretti furono respinti. L’inizio dell’inverno indusse Solimano a ritirarsi. L’esercito ottomano soffrì molte perdite durante la ritirata ma devastò l’Ungheria asburgica indebolendo l’avversario, tuttavia, l’assedio di Vienna segnò l’arresto dell’espansionismo ottomano. Un trattato di pace fra l’Austria e l’Impero Ottomano fu concluso nel 1562.

  In Croazia gli Asburgo controllavano la parte più settentrionale, ridotta alle tre città di Varazdin, Zagabria e Karlovac, ma crearono una serie di piazzeforti e un confine militare per stabilizzare la frontiera e vi trasferirono coloni valacchi che, essendo ortodossi, erano malvisti dalla maggioranza croata. I turchi non arrivarono a conquistare la costa adriatica e le città mantennero la loro indipendenza fino a Lepanto (1571), quando cessò la minaccia della flotta turca sul mare. Le frontiere rimasero sempre un focolaio di attacchi da parte di irregolari turchi e delle bande degli Uscocchi, protetti dall’Austria formati da croati e serbi fuggiti davanti all’avanzata turca. Nel 1593 un tentativo di Asan Pasha di attaccare la fortezza di Sisak, nel territorio degli Asburgo, si convertì in una sanguinosa sconfitta e fu la prima rivincita croata. Nella prima metà del XVII secolo ci fu un periodo di tregua armata, l’Europa era sconvolta dalla guerra dei trent’anni (1618-1648) e l’Impero ottomano era scosso da crisi economiche e politiche per congiure e intrighi. Nel 1683, sotto Maometto IV, i turchi ritentarono l’attacco a Vienna. Il visir Kara Mustafà, con una dichiarazione di guerra, mosse un esercito di 180000 uomini e altri ausiliari che accerchiarono la città, dopo aver devastato i territori attraversati massacrando le popolazioni. I viennesi erano in attesa di rinforzi da parte di polacchi, bavaresi e sassoni e resistettero all’intimazione di resa, il visir ordinò l’attacco generale e i turchi riuscirono a entrare in città combattendo strada per strada. A questo punto fu decisivo l’arrivo dei 30000 uomini della cavalleria polacca comandata dal re di Polonia Giovanni Sobieski che prese alle spalle i turchi. L’assedio finì con la rotta dei turchi e iniziò l’avanzata dell’esercito asburgico. L’Ungheria e la Transilvania furono riconquistate fra indicibili massacri sulle popolazioni e, nel 1699 si arrivò alla pace di Carlowitz con la quale l’Austria riacquistava l’Ungheria, la Transilvania, la Slavonia e la Croazia. L’Austria mantenne separata l’amministrazione della Slavonia contro le aspirazioni dei croati che volevano l’unificazione. La Bosnia fu lasciata alla Turchia. In Dalmazia la repubblica di Ragusa mantenne la sua indipendenza fino all’arrivo di Napoleone. Sotto il governo di Maria Teresa (1717-1780) si ebbe un periodo di sviluppo e stabilità ma cultura e lingua croata furono dimenticate.

  Quando nel 1796 Napoleone invase gli stati italiani sotto l’Austria, s’impadronì di Venezia e assegnò all’Austria la Dalmazia ma, dopo Austerlitz, annesse la costa dalmata alla Francia, compresa la repubblica di Ragusa. I territori furono chiamati Provincie illiriche per risvegliare la cultura locale. Si promosse il rimboschimento, la bonifica delle paludi per combattere la malaria, si costruirono scuole elementari e superiori e fu fondata l’università di Zara. Le tasse imposte per queste riforme crearono però impopolarità. La caduta di Napoleone dopo la campagna di Russia portò alla restaurazione con il Congresso di Vienna del 1815; tutto tornò nelle mani delle precedenti élite e nelle regioni del nord continuò l’assimilazione alla cultura ungherese. Si era ridestata, tuttavia, la coscienza croata, a Zagabria uscì il primo giornale scritto in dialetto slavo, l’illirico, e nel 1847 il Parlamento croato (Sabor) riconobbe l’illirico come lingua nazionale. I moti del 1848 in tutta Europa ridestarono sempre più lo spirito d’indipendenza. Quando nel 1848 fu nominato ban della Croazia il conte Josip Jelacic, questi chiese l’autonomia della Croazia e combatté contro i ribelli ungheresi, ma gli Asburgo lo ignorarono. Nel 1867, dopo la sconfitta subita dalla Prussia, l’imperatore Francesco Giuseppe raggiunse un compromesso con gli indipendentisti ungheresi creando la duplice monarchia dell’Impero Austro-Ungarico, con questo Croazia, Slavonia e Transilvania furono assegnate all’Ungheria, mentre la Dalmazia rimane all’Austria. Dopo la guerra russo-turca del 1877-78, Serbia, Romania e Montenegro ottennero la completa indipendenza e L’Austria ottenne l’amministrazione della Bosnia-Erzegovina, pur rimanendo questa nominalmente sotto la sovranità ottomana. La Serbia indipendente rafforzò il suo prestigio nei Balcani puntando all’unificazione della nazione serba. Quando nel 1908, il movimento dei Giovani Turchi iniziò la riforma costituzionale dell’impero ottomano, l’Austria procedette all’annessione della Bosnia-Erzegovina, dopo un preventivo accordo con la Russia. Con questo l’Austria aspirava a riunire tutte le terre slave dell’impero in una terza corona (Trialismo) per contrastare l’irridentismo serbo. L’annessione provocò la reazione della Serbia e del movimento panslavo. Fu creato un Comitato Jugoslavo che univa i movimenti irredentisti dell’impero Austro-Ungarico (di Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina) a quello del regno di Serbia e proponeva una monarchia parlamentale congiunta fra serbi, croati e sloveni. In quest’atmosfera rovente, un movimento estremista serbo organizzò l’attentato all’Arciduca ereditario Francesco Ferdinando d’Austria, assertore del Trialismo, durante la sua visita con la moglie Sofia a Serajevo, capitale della Bosnia. La data dell’attentato fu il 28 giugno 1914 e coincideva per i serbi con la festa di San Vito, anniversario della disfatta serba di Kosovo Polje del 1389 riscattata dall’assassinio del sultano da parte di un superstite serbo e sempre ricordata come giornata nazionale. I cospiratori erano sette, ma si dimostrarono inesperti e, nello stesso giorno, solo il terzo tentativo, quello di Gavrilo Princip, riuscì per un insieme di circostanze favorevoli. Princip sparò solo due colpi con la sua pistola, il primo colpì Sofia all’addome e il secondo l’Arciduca al collo; ambedue morirono durante il trasporto. Le conseguenze furono lo scoppio della prima guerra mondiale e tutti i successivi avvenimenti del XX secolo.

  Il crollo dell’impero austro-ungarico nel 1918 spinse i Serbi a riprendere il progetto del regno unito dei serbi, croati e sloveni con a capo il principe serbo Aleksander Karadordevic, che nel 1929 creò il Regno di Jugoslavia. I croati aderirono perché, pur diffidando della Serbia che era la nazione più potente, in quel momento temevano di più l’Italia che aveva occupato Pola, Fiume e Zara e aspirava alla Dalmazia. Con il nuovo regno, la Serbia assorbì il Montenegro e il territorio macedone e accentrò il potere a Belgrado. Il trattato di pace con l’Austria del 1919 assegnò l’Istria e Zara e alcune isole all’Italia. Il croato Stjepan Pavelic fondò un partito di opposizione, auspicando una soluzione federale per la nazione jugoslava. Nello stesso anno, Josip Broz, croato di padre e sloveno di madre, tornato dalla Russia dove aveva aderito alla rivoluzione sovietica, divenne segretario del partito comunista jugoslavo a Zagabria. Nel 1928 Palevic fu assassinato e, all’inizio del 1929, il re Alaksander abolì i partiti politici e le prerogative del parlamento e assunse i pieni poteri. L’opposizione dei croati si radicalizzò con la nascita del Movimento di Liberazione degli Ustascia (insorti) guidato da Ante Palevic che aspirava a uno stato indipendente croato. Messo fuori legge, Palevic finì in Italia dove, appoggiato da Mussolini, creò dei campi di addestramento ma, quando nel 1934 gli ustascia assassinarono a Marsiglia il re Alaksander, durante una visita, Palevic fu arrestato e i campi chiusi.

  Nel 1941, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, i nazisti invasero la Jugoslavia e gli ustascia ebbero mano libera nel nuovo Stato Indipendente di Croazia (NDH) e furono responsabili, con l’appoggio di Tedeschi e Italiani, di un programma di sterminio della minoranza serba insieme a ebrei e rom. Anche parte della popolazione civile partecipò attivamente e nei campi di concentramento le vittime furono centinaia di migliaia. Nacque anche l’opposizione armata contro l’invasione sia da parte dei gruppi monarchici e antifascisti, sia dei partigiani del Movimento di Liberazione Nazionale guidati da Josip Broz che prese il nome di battaglia di Tito. Questi divenne ben presto popolare per i successi delle sue azioni di guerriglia contro le forze d’invasione e perché prevedeva uno stato federale per la futura Jugoslavia e divenne un punto di riferimento per americani e inglesi. Nel 1943 i partigiani di Tito controllavano ormai la maggioranza della Croazia e, il 20 ottobre 1944, entrarono a Belgrado a fianco dell’Armata Rossa. I membri dell’esercito del NDH e le persone compromesse con il vecchio regime subirono la vendetta dei partigiani e furono massacrati senza pietà con un bilancio di almeno 30000 morti. Almeno 10000 persone di etnia italiana furono uccise dai partigiani di Tito in Istria e nel territorio di Trieste e molte furono gettate anche vive nelle voragini carsiche, dette foibe. In seguito gli Americani tolsero Trieste alla Jugoslavia trasformandola prima in Territorio Libero e poi restituendola all’Italia.

  Nel 1945, con l’appoggio dei Sovietici, Tito divenne primo ministro nel governo della nuova Repubblica Federale di Jugoslavia che comprendeva sei stati: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Macedonia e Montenegro. Tito mantenne la capitale a Belgrado ma non favorì nessuna delle etnie, fece ruotare ogni anno nel governo i deputati di tutti i sei stati e represse sul nascere ogni disputa nazionalistica e religiosa. Tito aderì al blocco sovietico ma volle mantenere la sua autonomia e si oppose ai tentativi di Stalin di inserire personale a lui devoto nell’apparato del partito e nel governo jugoslavo e di controllarne l’economia. La rottura definitiva avvenne nel 1948, la Jugoslavia fu espulsa dal Cominform e Tito affermò la sua via nazionale al comunismo, cercò l’equilibrio fra i blocchi nei rapporti internazionali e fu il promotore del Movimento dei “non allineati”.

  A partire del decennio 1960, la diffusa crisi economica creò in Croazia il malcontento e la richiesta di una maggiore autonomia economica perché le ricchezze prodotte dal turismo dalmato finivano nelle casse del governo centrale di Belgrado, mentre la burocrazia del partito e le forze armate erano predominio dei serbi. Queste richieste sempre più pressanti sfociarono all’inizio del 1971, in un movimento che fu detto della “primavera croata”, ma Tito reagì con epurazioni e arresti, mentre si suscitavano reazioni opposte da parte dei serbi, indice del rinascente nazionalismo. Tito fece approvare una riforma costituzionale nel 1974 che introduceva maggiore autonomia nella federazione e una presidenza collettiva con Presidente eletto a rotazione fra le sei repubbliche, ma la coesione della repubblica restava assicurata solo dal suo carisma.

  Tito morì nel 1980 e l’omaggio alla sua salma da parte di tutti i popoli della federazione confermò la sua popolarità. I successivi dieci anni portarono la federazione alla dissoluzione della coesione interna. La presidenza a rotazione creò la paralisi nelle decisioni, la crisi economica non trovò soluzioni e i contrasti fra le nazionalità esplosero. Nel 1987, Slobodan Milosevic fu nominato presidente della repubblica serba e l’anno dopo fu cancellata dalla costituzione l’autonomia del Kossovo. Nel 1990 Franjo Tudjman, generale di Tito, fu nominato presidente della Croazia e si tenne l’ultimo congresso della Lega dei comunisti jugoslavi, dove si ebbe la rottura fra i serbi e gli sloveni e croati i cui rappresentanti si ritirarono. Il 25 giugno 1991, Croazia e Slovenia proclamarono quasi contemporaneamente la loro indipendenza. L’esercito jugoslavo, controllato dai serbi, intervenne in Slovenia ma la guerra durò solo 10 giorni e un accordo con la federazione riconobbe l’indipendenza non essendoci contrasti etnici e avendo avuto il sostegno della Comunità Economica Europea (CEE). In Croazia, invece, la presenza di una maggioranza serba nella regione della Krajina, che si trova in Dalmazia al confine della Bosnia e chiedeva la secessione, provocò l’intervento dell’esercito jugoslavo, mentre la marina jugoslava bloccava la costa adriatica. Gli odi etnici trasformarono la contesa in una guerra civile, dovunque si formarono gruppi paramilitari di nazionalisti e l’esercito jugoslavo, controllato dai serbi di Milosevic, aspirava a creare lo stato unitario della Repubblica Serba.  Gli eccidi di massa dei civili ebbero lo scopo di eliminare le etnie concorrenti, in una parola fare una “pulizia etnica”. L’obiettivo principale dei serbi nel 1991 fu la città di Vukovar, sulle rive del Danubio al confine fra Slavonia e Serbia, dove Serbi e Croati erano vissuti sempre in pace. La città fu assediata, bombardata e rasa al suolo. Gruppi armati irregolari e lo stesso esercito furono responsabili di saccheggi e di massacri indiscriminati. Anche Dubrovnik fu duramente bombardata dai Serbi nel dicembre del 1991. Con l’intervento delle Nazioni Unite, nel gennaio 1992, si raggiunse una tregua; Slovenia e Croazia furono riconosciute dalla CE e dopo ammesse all’ONU. Nel 1993, i Croati lanciarono un’offensiva contro la rivolta serba della Krajina e commisero molte violazioni del diritto internazionale. La secessione della Krajina non fu riconosciuta dagli organismi internazionali e i croati ebbero mano libera, la popolazione serba fu quasi sterminata e costretta alla fuga. I Croati furono anche coinvolti nella guerra con la Bosnia-Erzegovina, dove aspiravano ad annettere la regione di Mostar per sostenere i croati di Bosnia e, anche qui, si resero responsabili di altri massacri oltre alla distruzione del ponte di Mostar (9 novembre 1993). Nel frattempo Serajevo subì l’assedio dei Serbi che durò 43 mesi, dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. La città subì centinaia di bombardamenti che provocarono distruzioni e perdite di vite umane pesanti. L’ONU intervenne con un ultimatum nel 1994 ma ottenne solo un rallentamento della pressione serba. Nel 1995 i jet delle NATO attaccarono obiettivi strategici serbi e seguì l’intervento delle forze bosniache e croate. Il cessate il fuoco si ottenne nell’ottobre e l’assedio fu tolto nel febbraio 1996. Un altro massacro di più di 8000 musulmani bosniaci si ebbe a Srebrenica, al confine serbo-bosniaco, nonostante la protezione garantita nella zona dai caschi blu olandesi dell’ONU. Il 9 luglio del 1995, le forze serbo-bosniache comandate dal generale Ratko Mladic entrarono nella città e procedettero alla sanguinosa pulizia etnica. I caschi blu olandesi non intervennero per motivi non ben chiariti. Ratko Mladic è ricercato dal Tribunale dell’Aja ed è ancora latitante.

  L’ultima offensiva dei Croati, nel 1995, fu in Slavonia, dove ripresero le posizioni perdute e provocarono l’esodo di 15000 serbi e valacchi che vi abitavano, e negli ultimi centri di resistenza della Krajina come la città di Knin.

  Le guerre jugoslave si conclusero con gli accordi di Dayton firmati a Parigi nel dicembre 1995 e alla Croazia furono riconosciuti i confini tradizionali compresa tutta la Slavonia orientale. Per la Bosnia-Erzegovina si stabiliva la sua divisione interna in due entità, la Federazione Croato-Musulmana con il 51% del territorio e la Repubblica Srpska con il 49% del territorio. Si lasciava aperta inoltre la possibilità per i profughi di fare ritorno ai loro paesi di origine.

  Il presidente della Croazia Franjo Tudjman morì nel 1999. La sua figura è stata molto discussa per i crimini contro l’umanità compiuti dall’esercito da lui comandato, durante la guerra civile. Le elezioni del 2000 diedero la maggioranza ai partiti di opposizione e fu eletto Stipe Mesic. Le conseguenze della guerra furono la richiesta di arresto di due generali croati da parte del Tribunale Internazionale dell’Aia per le violenze sulla popolazione della Krajina: Mirko Norac e Ante Gotovina. Il primo fu consegnato nel 2001 e il secondo nel 2005. Si prevede che la Croazia entri nell’Unione Europea (UE) nel 2012.

 

26.2  ZAGABRIA, LA CAPITALE.

  Zagabria è il centro politico, diplomatico, economico e culturale della Croazia e meriterebbe una permanenza più prolungata di quella prevista in questo itinerario. La città è la più popolosa del paese e, con l’area metropolitana, costituisce una regione che comprende diverse piccole città e arriva a 1,2 milioni di abitanti. Giace sulle pendici del monte Medvednica e a sud è bagnata dalla riva sinistra della Sava. Si divide in una Città Alta (Gornji Grad) e una Città Bassa (Donji Grad). La prima è la città antica e medievale su due colline, il Kaptol, sede del potere vescovile fin dal secolo XI, con la Cattedrale di Santo Stefano divenuta Cattedrale dell’Assunzione, e Gradec, dove si concentrarono il potere civile e l’attività commerciale. Questi due nuclei si comportarono per molto tempo come due città separate e il nome di Zagabria è citato per la prima volta in un documento del re d’Ungheria, Ladislao, nel 1094. L’invasione dei mongoli del 1242 portò la distruzione e, dopo la ricostruzione, il re Bela IV fece di Gradec una città libera senza tasse che attirò artigiani e commercianti. Due secoli dopo, la minaccia venne degli ottomani che erano arrivati fino alla Sava e il vescovo di Kaptol fece circondare di mura i centri urbani che mantennero la loro libertà per tutto il 1500 e poi si fusero nella nuova città di Zagabria. Con la riconquista dell’Ungheria e la pace di Carlowitz (1699), la Croazia tornava all’Austria, ma l’economia della città era prostrata e scoppiarono epidemie. Dal 1756 al 1776 la sede del governo fu trasferita a Varazdin, più a nord. Nel 1800 la città si riprese e si sviluppò, divenne il centro della rinascita dell’illirismo e della cultura slava. La città si era estesa fino alla Sava, fu costruita la prima linea ferroviaria e la stazione e sorsero i primi quartieri industriali. Dopo la prima guerra mondiale, nacque il regno dei Serbi, Croati e Sloveni e la capitale fu spostata a Belgrado. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Zagabria non fece resistenza all’entrata dei Tedeschi e il capo degli ustascia, Ante Palevic proclamò la nascita dello Stato Indipendente di Croazia (NDH), ma col tempo la popolazione parteggiò sempre più per Tito. Nel dopoguerra, con la nascita della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia, Zagabria rimase solo capitale della Repubblica Socialista Croata ed ebbe un ruolo di secondo piano rispetto a Belgrado fino alla dichiarazione d’indipendenza del 25 giugno 1991.

  La visita della città inizia con un giro in pullman nella Città Bassa passando accanto all’edificio del Teatro Nazionale Croato, modificato nella forma attuale nel 1895 per volere dell’Imperatore Francesco Giuseppe, e lungo i numerosi giardini molto frequentati e ricchi di alberi e di fontane. Si dedica una sosta al Cimitero Monumentale MiroGoj, a nord del centro che è considerato il cimitero più interessante in Europa, costruito nel 1876 e opera dell’architetto austriaco Hermann Bollé (1845-1926), uno dei migliori che abbia lavorato in Croazia. Si entra da un portico scenografico a cupole lungo una cerchia di mura, come una fortezza. Nel portico c’è il busto dell’Architetto. All’interno è ricco di alberi come un parco e le tombe sono tutte decorate con gusto. Dietro l’ingresso si trova la tomba del primo Presidente della Repubblica Croata Indipendente Dr Franjo Tudjman (1922-1999), eletto due volte e rimasto al potere fino alla sua morte. Come si sa la sua figura è stata molto discussa.

  Dopo il Cimitero, si sale alla Città Alta, alla collina di Kaptol, dove si trova la Cattedrale con le due torri che affiancano la facciata, alte 108 m. L’edificio attuale fu costruito, in forme gotiche, nella seconda metà del 1200, dopo la distruzione della cattedrale romanica da parte dei mongoli, è stato rimaneggiato più volte, ma conserva nella sacrestia affreschi duecenteschi. Intorno alla piazza rimangono porzioni di mura e due torri cilindriche, parte delle fortificazioni del XV secolo che hanno consentito alla Città Alta di respingere la minaccia ottomana. Al centro della piazza si trova una colonna di Hermann Bollé, sormontata dalla statua della Madonna e, ai piedi, una fontana. A ovest della Cattedrale si apre la Piazza del Mercato di Dolac, di frutta, verdura e fiori. Sulla destra c’è la statua bronzea di Petriza Keremburg, un cantore medievale che difendeva i poveri e perseguitati.

  Una strada ora divide la collina di Kaptol da quella di Gradec e una volta qui scorreva un fiume. Parallela a questa, a ovest è la Kamenita Ulica (Via Lunga), che è la strada più lunga della città. Salendo verso nord, sulla sinistra si trova la statua di San Giorgio con il Drago ucciso che giace ai suoi piedi e l’arco della Porta di Pietra, il più antico ingresso alla città di Gradec. Più a ovest s’incontra la piazza con la chiesa di San Marco, ultima opera di Hermann Bollé, che ha il tetto rivestito di maioliche colorate raffiguranti lo scudo con gli stemmi medievali di Croazia, Dalmazia e Slavonia e a destra lo scudo della città di Zagabria. La chiesa fu costruita nel XIII secolo e consacrata durante la fiera di San Marco che ogni anno si svolgeva a Gradec. A destra della piazza sorge il palazzo del Parlamento croato (Sabor) dove nel 1918 fu proclamata la secessione della Croazia dall’Impero Austro-Ungarico. Sulla sinistra della chiesa sorge il Palazzo del Ban (Banski Dvori), sede del Viceré e oggi del Presidente della Repubblica.

  Scendendo la strada a sud della chiesa, si ha a destra il Museo Croato dell’Arte Naif, il più importante in Europa. Alla fine della strada si arriva alla Torre Lotrscak, dove arriva la funicolare che collega alla Città Bassa e dove c’era la porta meridionale della Città Alta. Ora c’è una terrazza belvedere da cui si ha il panorama sui tetti della Città Bassa. Si riconoscono le cupole del Teatro Nazionale Croato.

  Dal belvedere si scende, percorrendo una strada in discesa e una gradinata, fino alla grande piazza (Trg) Josipa Jelacica, principale punto di riferimento della Città Bassa. La piazza ha preso il nome di un ban del XIX secolo, appunto Josip Jelacic, la cui statua equestre è stata collocata nel mezzo della piazza nel 1866. Nel 1947, Tito la fece togliere perché espressione del nazionalismo croato e fu rimessa dal presidente Tudjman nel 1990. La piazza è circondata da edifici del 1800.

 

  Finisce la visita della città e si pernotta all’hotel International Zagreb.

 

26.3  I LAGHI DI PLITVICE.

 

  Il mattino del 14 agosto, si lascia Zagabria e si prende l’autostrada con destinazione la regione di Zara e il Parco Nazionale dei Laghi di Plitvice dichiarato, nel 1979, Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Il Parco, con la sua superficie di 294,82 kmq, è il più grande degli otto parchi nazionali della Croazia ed anche il più antico, essendo stato istituito nel 1949. Si trova al confine fra la regione montagnosa carsica della Lika nella Dalmazia settentrionale e le pianure. Vi sono 16 laghi in successione collegati da cascate. Il sistema dei laghi è diviso in due aree, superiore e inferiore, da 636 m di quota a 480 e tutte le acque confluiscono nel fiume Korana. Il lago al livello più alto è il Proscan (Proscansko), alimentato dal fiume Matica con i suoi affluenti Bijela (Bianco) e Crna (Nero). La regione è carsica e vi sono anche sorgenti sotterranee. I laghi superiori sono il Proscan, collegato a nord-est con il lago Giganovac alla stessa quota seguito, a quote decrescenti verso sud-est, dai laghi Okruglyak (613 m di quota), Galovac (582 m), Gradinsko (582 m) e infine Kozjak (534 m) che comunicano fra loro con complessi sistemi di cascate e con altri laghi satelliti. Il Kozjak e alimentato anche dal fiume Riecjca che viene da ovest. Dal lago Kozjak, che è il più grande, lungo più di 3 km, si diparte il sistema dei laghi inferiori, più piccoli e meno profondi ma incassati fra rupi alte fino a 40 m. Il primo dei laghi, che è anche il più grande, è il Milanovac che sta a quota 523 m. Prima di confluire nel fiume Korana, si ricevono le acque del ruscello Plitvica che formano la cateratta più alta, di 78 m. Questa diventa spettacolare in primavera, quando la portata è massima.

  Nel decennio 1930, l’accademico prof. Ivo Pevalek ha spiegato per la prima volta scientificamente il processo di formazione delle barriere di tufo calcareo che costituiscono le cascate fra i laghi e che sono in permanente evoluzione modificando l’aspetto odierno. Si tratta di un processo biodinamico in cui l’accrescimento per deposito carsico della roccia carbonica porosa si mescola alla crescita e sedimentazione di organismi vegetali, muschi e alghe, che contribuiscono alla formazione delle barriere tufacee. Questo processo è estremamente delicato e unico e l’ecosistema deve essere tutelato e protetto per assicurarne la conservazione. A seguito di questi studi e della loro pubblicazione, è nata l’esigenza di istituire il Parco nel 1949.

 

  L’area di accoglienza dei visitatori si trova presso la riva meridionale del lago Kozjak vicino a uno dei punti d’imbarco sul lago con la biglietteria e tutti i servizi logistici. C’è un servizio di trenini su gomma che permette un collegamento rapido con le stazioni a monte dei laghi superiori.

  Una visita completa richiederebbe almeno tre giorni. Per la visita di una giornata, è previsto un percorso che parte dal lago Galovac, a metà dei laghi superiori, dove si arriva con il trenino e dove inizia il percorso pedonale. Passerelle di legno e stradine sterrate seguono un percorso panoramico lungo le cascate fra il Galovac e il Gradinsko che occupano tre livelli diversi immersi in una ricca vegetazione in cui predomina il faggio, l’abete bianco, l’acero, il pino e la betulla. S’incontra la lapide-ricordo del prof. Ivo Pevalek. Le cascate che si osservano lungo il percorso hanno le forme più varie. In circa 30 minuti si scende al lago Gradinsko e si segue la riva fino alle successive cascate, anche queste a più livelli, che finiscono nel lago Kozjak. Dopo altri 20 minuti si raggiunge il punto d’imbarco, dove c’è un servizio di battelli per attraversare il Kozjak godendo del panorama, fino alla sua riva orientale. Il percorso dura circa 30 minuti. Nel punto di arrivo c’è un luogo di sosta e ristoro con edifici nella tradizionale architettura dei contadini e allevatori, in tufo, pietra e coperture di legno, con tavole di abete, e raramente di paglia.

  Dopo una sosta si riprende il percorso a piedi nella sezione dei laghi inferiori. L’estremo sud-orientale del Kozjak si stringe e precipita con rapide e cascate su un ampio fronte nel Milanovac, il primo dei laghi inferiori a 523 m di quota incassato fra alte rocce. Il percorso segue il lato sud del lago e, nelle limpide e tranquille acque si possono vedere numerose trote. Si arriva alla cascata successiva che scende al lago Gavanovo (Gavanovac), a quota 514. Queste sono le cascate dette di Milka Trnina, un omaggio alla cantante lirica croata della quale si trova anche una lapide-ricordo. Nel 1897, la cantante offrì alla Società per la Conservazione dei Laghi di Plitvice i proventi di un suo concerto di beneficienza. Il terzo complesso di cascate precipita nel lago Kaluderovac a quota 505 fra rocce alte 40 m. Si scende accanto alle rapide e, ai piedi delle cascate, una passerella sospesa permette il passaggio sul lato nord, dove si prosegue sotto una parete di rocce fino all’ultimo complesso di cascate che precipitano per 25 m in una conca da dove inizia il fiume Korana. Questo, dopo 134 km confluisce nel fiume Kupa. Il sentiero gira a nord, dove si apre un anfiteatro davanti ad una scarpata di 76 m di altezza da cui scende la grande cateratta del ruscello Plitvica che arriva da nord. Le ultime foto sono quelle della grande cataratta e della conca in fondo al cañon. Si torna indietro e su una passerella si ripassa sul lato sud del cañon dove un sentiero sale a tornanti fino all’area di uscita del Parco. Sono circa le 14:30 e la visita è conclusa.

  Si pranza e si riprende il pullman. Nel tardo pomeriggio, si fa sosta nella vicina città di Korenica, dove si pernotta all’Hotel Macola.

 

26.4  ZARA E LA COSTA ADRIATICA.

 

  Il mattino del 15 agosto si lascia la città di Korenica e la contea di Lika in direzione di Zadar (Zara), sulla costa dalmata. Si attraversa la fascia delle Alpi Dinariche e il massiccio del Velebit di rocce calcaree e si passa da un paesaggio di boschi e laghi a uno più arido di rocce e mare. La prima vista del mare si ha con il Canale della Morlacca, in croato il Velebit Kanal, uno stretto braccio di mare che separa la costa della Croazia dalle isole di Krk (Veglia) Rab e Pag. Vi abitava un’antica popolazione balcanica, i Morlacchi, insediatasi nel XIV secolo; poi il Canale fu usato dai pirati uscocchi.

  Si arriva a Zadar alle 11:30 circa con la visione del suo porto. Zadar è la città più importante della Dalmazia settentrionale e conserva ancora la planimetria dell’antica città romana, di nome Iadera, che fu municipio romano nel 59 a.C.. Con la divisione dell’impero romano, divenne capitale della Dalmazia bizantina e, al tempo delle invasioni degli Avari e dei Croati, fu il rifugio delle popolazioni illiriche romanizzate. A metà del XII secolo, iniziò l’espansione della repubblica veneta nell’Adriatico. Per due secoli si protrassero le guerre di Venezia per prendere la città e mantenerne il possesso, contrastata dai croato-ungheresi. Nel 1202 il doge Dandolo assediò e conquistò la città con l’aiuto dell’armata della Quarta crociata sostenuta dalla flotta veneziana. I cittadini tuttavia aspiravano a essere indipendenti e continuarono a ribellarsi fino a tutto il XIV secolo. Solo nel 1409, dietro compenso, Zara e la Dalmazia furono cedute a Venezia, La città fu fortificata durante le guerre con gli ottomani e, solo con Napoleone e la fine della Repubblica Veneta, il trattato di Campoformio (1797) passò Zara e la Dalmazia all’Austria. Dopo la prima guerra mondiale, Zara non entrò nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e rimase una provincia italiana. Nel 1943, occupata dai tedeschi, subì pesanti bombardamenti e alla fine della guerra, entrò con la Croazia nella Federazione jugoslava. Durante le guerre jugoslave, i separatisti della Krajina, protetti dall’esercito serbo, la separarono dal resto della Croazia e, dal 1991 al 1993, fu bombardata dall’artiglieria serba. Nel gennaio del 1993 tornò sotto il controllo dell’esercito croato.

 

  Il centro storico della città si trova in una penisola lunga 4 km e larga 500 m che forma a est un golfo con la costa dalmata, dove si trova il porto moderno. Sul lato ovest il Canale di Zara separa la città dalle numerose isole che la fronteggiano. Sul lato del porto vi sono i resti delle antiche mura romane, medievali e veneziane che gli austriaci, dopo Campoformio, hanno trasformato in una passeggiata panoramica con vista sul porto.

 

  Sul punto più a nord è l’ingresso del porto e girando a ovest inizia il lungo mare che affaccia sul Canale di Zara. Al largo di Zara vi sono le isole zaratine, una miriade di circa 300 isole, isolotti e scogli abitati da piccole comunità di pescatori e agricoltori e coperti da cipressi, querce, pini e lecci che recentemente sono state scoperte dal turismo di massa. Fra le isole, è da ricordare, nel punto più a nord, la piccola isola di Premuda, vicino alla quale fu affondata la corazzata austriaca Santo Stefano durante una missione di perlustrazione di due MAS comandati dal capitano di corvetta Luigi Rizzo; la seconda nave, la Tegetoff, si salvò perché i siluri non scoppiarono.

  Proseguendo sul lungo mare, sulla banchina si nota l’Organo marino che è stato costruito nel 2005, formato da 36 canne d’organo delle quali si vedono solo le bocche sulla pavimentazione. L’aria è spinta dal moto delle onde marine e produce suoni modulati. Procedendo verso il centro della penisola, sul lato occidentale si trova un vasto piazzale, area dell’antico Foro romano del periodo di Augusto, raso al suolo dai bombardamenti del 1943-44. In origine aveva le dimensioni di 90 x 45 m con un portico ornato di statue. Sono rimaste le posizioni delle colonne e una sola delle più alte, detta colonna del grifone per l’uccello che sta alla sua sommità. Nell’area del foro sta la chiesa circolare di San Donato, di architettura bizantina come San Vitale di Ravenna, eretta nel secolo IX. Oggi non è consacrata ed è utilizzata come auditorium per la sua magnifica acustica. L’interno ha un deambulatorio con volte a botte e al centro la cella circolare con tamburo a cupola alto 27 m. Dietro si trova la cattedrale di Sant’Anastasia, dedicata a una martire del periodo di Diocleziano, costruita fra il XII e il XIII secolo in stile romanico; è una delle più belle della Dalmazia. Dietro la cattedrale sorge un alto campanile iniziato nel secolo XV e terminato alla fine del 1800. La strada che fiancheggia cattedrale e campanile è la Siroka Ulica, la principale della città, che segue il tracciato del decumanus romano. Seguendo questa strada verso sud, si trova la piazza principale del centro storico, la Narodni (popolo) Trg (piazza) che nel medioevo era chiamata Platea Magna. Sul lato nord c’è la Torre di Guardia, o Guardia Civica, rinascimentale del 1562, ora ufficio del catasto. La torre con l’orologio è stata rifatta sotto gli Austriaci nel 1798. Sul lato sud, opposta alla Torre di Guardia, sorge la Loggia del Tribunale. Sul lato destro della piazza, durante il periodo italiano, fu costruito il palazzo per la Casa del Littorio, ora Municipio.

  La Siroka ulica prosegue fino all’estremità sud della penisola, dove sorgeva un arco trionfale romano, ora area di scavi. Dietro si trova una buona parte dei bastioni medievali e delle fortificazioni veneziane del XV e XVI secolo. Sui resti del Castello medievale costruito dai veneti nel 1234, come rifugio contro le ribellioni dei cittadini, si trova oggi la Piazza dei tre pozzi. Con le fortificazioni rinascimentali del 1570, il Castello perse d’importanza, fu costruito un bastione semicircolare e una grande cisterna. Nel 1761 furono sistemate tre vere di pozzo per l’uso dell’acqua e da qui il nome della piazza. La torre a destra della piazza è chiamata la Torre del Capitano. Salendo sul bastione, in fondo alla piazza, si vede dall’alto il Porto Piccolo o Fossa (Fosa) per le barche, ciò che rimane del fossato delle fortificazioni, interrato alla fine del 1800. Guardando in basso a destra, si scopre la grandiosa Porta Terraferma del 1543, la porta rinascimentale più bella di Zara a tre fornici in ordine dorico posta all’uscita dai bastioni. Sulla chiave dell’arco c’è un San Crisogono a cavallo e, sopra, il Leone di San Marco con il libro aperto in segno di pace.

  Fra i prodotti tipici di Zara c’è il Maraschino, liquore estratto dalle ciliegie marasche, una varietà di amarene originaria della Dalmazia, con una ricetta del 1500 di produttori veneti e fu il primo prodotto dalmata a essere esportato. La prima produzione industriale fu iniziata nel 1759 da Francesco Drioli che lanciò il primo marchio.

 

  Si lascia Zadar alle ore 13:30 circa e si prende l’autostrada per Spalato. L’itinerario prevede di attraversare oggi la frontiera per una puntata in Bosnia nella giornata di domani, 16 settembre. Poco prima di arrivare all’altezza di Sibenik, al centro dell’area del Parco Nazionale di Krka, l’autostrada attraversa il fiume Krka con un audace ponte a singola campata vicino alla piccola città di Skradin sulla sua riva, poco prima di entrare nel lago di Prokljan di 11,5 kmq, il secondo della Croazia, pure zona protetta per la sua ricca fauna avicola. Il Krka viene dalle Alpi Dinariche e attraversa il Parco di Krka in un paesaggio carsico con profondi canaloni dove forma cascate come quelle di Plitvice. Dopo il lago Prokljan, il Krka finisce nella baia di Sibenik. Si fa una sosta dopo aver attraversato il ponte in un parcheggio della zona protetta per osservare i luoghi e fotografare il ponte, il fiume e l’abitato di Skradin sulla riva opposta. Durante la guerra civile per l’indipendenza (1991-95), tutta questa regione, da Sibenik alla frontiera con la Bosnia e la città di Knin, era stata occupata dai secessionisti della Krajina perché in maggioranza serbi morlacchi e valacchi di religione ortodossa insediati qui nel XVI secolo come profughi dall’avanzata turca per creare la frontiera militare. Nel 1995 tutta questa popolazione fu scacciata e massacrata e i villaggi distrutti e abbandonati.

 

  Lasciato il Krka, si supera Sibenik e, dopo Spalato, finisce anche l’autostrada perché il tratto fino a Dubrovnik è attualmente in costruzione per essere completato entro il 2012. Lungo il percorso, si vedono per un buon tratto i lavori della nuova autostrada.

  Alle ore 19:00 circa si attraversa la frontiera con la Bosnia, con qualche difficoltà burocratica, e si fa tappa nella piccola città di Citluk, pernottando all’Hotel Kaktus.

 

26.5  IN BOSNIA: MEDJUGORJE E MOSTAR.

 

  La giornata del 16 settembre è dedicata a due località della Bosnia-Erzegovina di etnia croata, Medjugorje frazione del comune di Citluk e la città di Mostar, attraversata dal fiume Neretva, capitale storica dell’Erzegovina che ha oggi circa 100 mila abitanti.

  Medjugorje, nome composto che in croato significa zona fra le colline, è diventata famosa per le apparizioni della Madonna iniziate il 24 giugno 1981 a sei ragazzi che allora avevano da 10 a 16 anni. Il giorno dopo si aggiunsero altri due ai primi sei veggenti e da allora le visioni si sono ripetute, prima una volta la settimana e poi una volta al mese nelle case dei veggenti e nella parrocchia, anche se non tutti vivono più a Medjugorje. Al tempo della prima apparizione c’era ancora la Repubblica Socialista Federale Jugoslava e la polizia, messa in sospetto, arrestò il parroco. La Chiesa cattolica ha assunto un atteggiamento prudente, non ha ancora riconosciuto il fatto come soprannaturale e c’è ancora una commissione d’inchiesta aperta. Anche la medicina si è interessata al caso e i veggenti sono stati analizzati anche durante le loro estasi durante le quali il loro cervello è profondamente rilassato. Nel frattempo, la notizia delle apparizioni si è propagata e il luogo è diventato meta di pellegrinaggio. A Medjugorie è sorta una chiesa santuario e la salita dei pellegrini al luogo delle apparizioni è diventata una tradizione locale.

  Durante le guerre jugoslave, Medjugorje fu occupata nel 1993 delle forze croate, ma con gli Accordi di Dayton, nel 1995, tornò alla Federazione della Bosnia-Erzegovina.

  Medjugorje è a sud di Citluk e molto vicina, si raggiunge in 15 minuti. Il luogo delle apparizioni si trova sul pendio della collina di Podbrdo ricoperta da rocce vulcaniche irregolari e la salita è piuttosto ardua. Il percorso è interrotto da alcune postazioni contrassegnate da lastre di pietra e scolpite con soggetti religiosi, dove i pellegrini si fermano pregare. Nel luogo della prima apparizione è stato costruito un semplice recinto con la statua di una Madonna. Il luogo delle apparizioni è ora proprietà dell’Ordine dei Francescani.

  L’abitato di Medjugorje si è molto sviluppato nell’ultimo decennio con la costruzione del Santuario, dedicato a San Giacomo protettore dei pellegrini, e delle infrastrutture per l’accoglienza dei pellegrini. Il Santuario è sempre affollato e si valuta a un milione il numero dei visitatori che vengono ogni anno da ogni parte del mondo.

 

  Dopo il pranzo, si riparte per Mostar. Un abitato esisteva in questo posto nel XV secolo e il nome è derivato dai mostari, guardiani del primo ponte sospeso su catene che attraversava la Neretva. Nel 1468 la città fu occupata dai turchi ottomani e nel 1500 divenne capitale amministrativa dell’Erzegovina. Sotto Solimano il Magnifico, un allievo del famoso architetto ottomano Mimar Sinan costruì il Ponte di Mostar o Stari Most (il Vecchio Ponte), divenuto simbolo della città. Nel 1878 Mostar fu annessa all’impero Austro-Ungarico e dopo la prima guerra mondiale entrò nel Regno di Juguslavia. Dopo la seconda guerra mondiale entrò nella Repubblica Socialista Federale Jugoslava e diventò uno dei maggiori centri industriali e turistici. Nel 1992, dopo che il parlamento della Bosnia ebbe proclamato la sua indipendenza dalla Bosnia-Erzegovina, l’esercito jugoslavo (serbo) bombardò e occupò parte della città. L’artiglieria distrusse molti edifici, fra cui il Monastero dei francescani, la Cattedrale cattolica e molte moschee. In seguito, intervenne l’esercito croato con l’aiuto di croati bosniaci che ricacciò i serbi dalla città, ma nel 1993 i bosniaci musulmani contesero ai croati il controllo della città, divisa in due dal fiume. I croati bombardarono il quartiere musulmano della riva sinistra distruggendolo quasi completamente e il fuoco dei mortai croati, il 9 novembre, distrusse lo Stari Most, il più famoso ponte sulla Neretva. I croati crearono anche campi di concentramento per la popolazione musulmana per i quali furono accusati di crimini contro l’umanità. Il cessate il fuoco fu firmato il 25 febbraio 1994, ma la città rimase divisa fino al 1996. La ricostruzione iniziò con la pace del 1995 e gli aiuti dei paesi europei e degli Stati Uniti. I lavori, iniziati nel 1999, sono stati completati nel 2004 e fu ricostruito lo Stari Most.

  La visita della città inizia dai quartieri della riva destra croata, dove sono stati ricostruiti gli edifici storici come la chiesa e il convento francescano insieme al campanile la cui altezza è stata portata a 108 m per superare la concorrenza dei minareti, ma ancora molti edifici privati mostrano sulle facciate i segni della guerra. Si arriva alla Neretva e al Ponte Vecchio, dichiarato di recente dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. La ricostruzione del ponte è stata fedele all’originale ed ha usato una parte delle pietre di quello distrutto recuperate dal fiume; l’unica arcata ha una luce di 28,70 m, una larghezza di 4,49 m ed è alta 21 m sul livello del fiume. Due torri presidiano il ponte; sul lato sinistro si trova la Torre Tara di forma semicilindrica, costruita nel 1676 e usata dagli ottomani come polveriera. La vista sul fiume dall’alto e magnifica e una tradizione, a uso dei turisti, è il tuffo dal ponte dei membri di un’associazione locale, a cui si assiste dietro compenso. Attraversato il ponte, si entra nel quartiere musulmano seguendo una strada occupata interamente dai negozi e dai piccoli laboratori artigianali che espongono i loro prodotti. Si visitano due luoghi storici della città. Il primo è una casa turca del XVII secolo appartenuta alla famiglia Viscerici e trasformata in museo. Circondata da mura, ha un cortile e un edificio in muratura e legno a due piani. Il cortile e il piano terreno erano luogo di riposo e conversazione, nel piano superiore vi sono i quartieri separati per gli uomini e le donne. A circa 150 m dal Ponte, si visita la più monumentale moschea di Mostar, la Karadoz-begova, anche questa distrutta durante la guerra e ricostruita nel 2003. Ha un ampio spazio interno, una cupola centrale e altre laterali e un elegante minareto.

  Finita la visita, si torna indietro riattraversando il ponte e si riprende il pullman per Citluk, dove si pernotta per la seconda volta all’Hotel Kaktus.

 

26.6  LA DALMAZIA MERIDIONALE E DUBROVNIK.

 

  Il mattino del 17 settembre si lascia Citluk e si scende verso la frontiera croata seguendo la riva destra della Neretva. Si passa la dogana, seguendo ancora la Neretva fino quasi alla foce. Si attraversa il ponte e la strada porta fino al mare alla piccola città di Klek, dove c’è ancora la frontiera con la Bosnia che qui ha ottenuto uno stretto sbocco al mare separando la regione di Dubrovnik, la più meridionale delle regioni croate, dal resto del paese. Si fa una sosta in Bosnia in un supermarket, dove si acquista il maraschino che qui dicono sia più a buon mercato che a Zara. Alle 9:30 circa si è di nuovo in Croazia nella regione di Dubrovnik, antica repubblica di Ragusa.

  La regione di Dubronvik si estende lungo una stretta fascia costiera alle spalle della catena dei monti Dinara che la separano dalla Bosnia-Erzegovina e confina a sud con il Montenegro all’entrata delle Bocche di Cattaro. La città più a sud della regione è Cavtat, l’antica Epidaurus, colonia greca fondata intorno al VI secolo a.C., occupata dai Romani nel 228 a.C. e chiamata Epidaurum. Nel IV secolo d.C., fu anche sede di vescovi. Nel 614 la città fu distrutta dall’invasione degli Avari e degli Slavi e i suoi abitanti furono all’origine della fondazione di Dubrovnik. Questi si rifugiarono più a nord nell’isoletta di Lausa separata dalla terraferma da uno stretto canale. Dal nome di Lausa derivò, per corruzione, quello di Rausa e poi Ragusa. La città fu fortificata e nel IX secolo resistette ai saraceni e fu sostenuta dall’impero bizantino. Nel secolo XI era già un ricco centro commerciale e repubblica marinara. Nel XII secolo il canale che la separava dalla terraferma era diventato sempre meno profondo per i detriti, l’isola fu allora ricongiunta alla terraferma e, lungo il canale fu creata l’arteria principale della città, l’attuale Placa o Stradum. Le mura cittadine si estesero più a nord e il centro assunse l’aspetto odierno. Di questo periodo sono i primi documenti che riportano il nuovo nome di Dubrovnik per la città e mostrano la crescente influenza dell’elemento croato. Il nome derivò da quello dei lecci (dubrava) che  ricoprivano la zona. Nel 1204, caduta Costantinopoli dopo la IV crociata, fu annessa alla Repubblica di Venezia e vi rimase in pratica fino al 1358, quando i Veneziani furono sconfitti dagli Ungheresi. I Ragusei, però, pagando un tributo, mantennero la loro indipendenza amministrativa e commerciale. Nel XV secolo la Repubblica di Ragusa era diventata una potenza marittima, si era estesa alla fascia costiera fra Ston, inclusa la penisola di Peljesac, fino a Cavtat, e comprendeva diverse isole come Mljet e Korcula (Curzola) dove esiste una presunta casa natale di Marco Polo. Korcula fu invece il luogo della battaglia navale di Curzola, nel 1298 fra Genovesi e Veneziani, dove Marco Polo fu preso prigioniero e, portato a Genova, dettò le memorie dei suoi viaggi. Anche dopo la decadenza degli Ungheresi nella sconfitta di Mohacs (1526), Dubrovnik trattò con gli ottomani e mantenne la sua indipendenza di fatto, pagando un tributo ai Turchi. La prosperità fece fiorire le lettere e le scienze e la città divenne uno dei centri culturali più importanti dell’Adriatico. Nel 1667, un disastroso terremoto distrusse la città e provocò 5000 vittime. La ricostruzione introdusse lo stile barocco romano e cambiò il volto della città. Con il terremoto si estinsero molte delle famiglie nobili che detenevano il potere oligarchico della città e da questo momento entrarono nel governo anche i non nobili. Iniziò anche il declino economico per la concorrenza delle nuove rotte commerciali verso oriente¸ ma prosperava sempre il commercio del sale e dei metalli delle miniere bosniache e serbe. La Repubblica durò fino al 1808, quando fu cancellata dall’arrivo di Napoleone e, dopo la sua caduta, l’Austria estese il suo dominio su tutta la costa adriatica e Dubrovnik divenne una semplice città di provincia della Dalmazia. Da questo momento seguì le sorti dalla Croazia fino al 1991 quando fu coinvolta nella guerra civile. La città si trovò nella linea del fronte e, il 6 dicembre fu bombardata dalle truppe jugoslave, serbe e montenegrine dalle montagne dietro la città e subì pesanti danni. Oggi la città è stata ricostruita ed è tornata a essere uno dei luoghi turistici più rinomati dell’Adriatico.

  Alle 10:30 circa, si entra nel golfo di Dubrovnik, dove si trova il porto dei traghetti e poi si passa a nord delle mura della cittadella che è l’oggetto della visita.

  L’entrata principale della città è Porta Pile, sulla piazza omonima. Le mura circondano tutta la città antica, incluso il suo vecchio porto, con uno sviluppo di 1940 m e sono alte fino a 25 m. I maggiori lavori sulle mura sono stati fatti nel XIV secolo dopo la liberazione dal dominio veneto e furono costruite 15 torri quadrangolari. Le mura furono rimodernate nel XVI secolo e anche successivamente ed hanno ben resistito al terremoto del 1667. La difesa fu assicurata con 120 cannoni costruiti dai fonditori della città. Nell’angolo più settentrionale e più alto della Cittadella, c’è la torre Minceta di forma circolare il cui nome è quello della famiglia che ne possedeva il terreno. Fu costruita dopo la caduta di Costantinopoli in mano dei Turchi nel 1453. Da essa partono le fortificazioni sul lato terraferma verso nord e nord-ovest, dove si trova la Porta Pile. Nel punto più a ovest sorge la torre Bakar che guarda il mare e Porta Pile. A sud, dal lato mare, le fortificazioni sorgono sulla scogliera e le mura sono più sottili. Il Vecchio Porto è difeso da una fortezza a se stante, quella di San Giovanni.

  Porta Pile, preceduta da un ponte di pietra, ha un arco rinascimentale sormontato dalla statua di San Biagio, protettore della città. Un’altra statua di San Biagio si trova lungo il passaggio, prima della seconda porta che entra in città. Sull’asse della porta inizia l’arteria principale, che divide in due la città da ovest a est, detta Placa o Stradum. A destra della porta si apre una piazza con la Grande Fontana di Onofrio, a pianta circolare, con 16 facce e 16 mascheroni da cui usciva l’acqua. A sinistra c’è il convento francescano con un campanile. Tutti gli edifici lungo la Placa sono stati distrutti dal terremoto del 1667 e poi ricostruiti in forme barocche. All’estremità est della Placa c’è piazza Luza, la più pittoresca di Dubrovnik, che era una volta luogo del mercato. Vi si trova la Torre dell’Orologio, in origine del 1444 e rifatta più volte, e il palazzo Sponza cinquecentesco, dove c’era la zecca. Al centro la Colonna di Orlando utilizzata per reggere la bandiera della Repubblica con la statua del Paladino Orlando che era il protettore del commercio e la lunghezza del suo braccio fu utilizzata come unità di misura di 51,2 cm (braccio raguseo). A destra è la chiesa di San Biagio, distrutta dal terremoto e ricostruita in stile barocco. All’interno vi è la statua del Patrono placcata di argento che porta il modello della città prima del terremoto. L’edificio più importante è il Palazzo del Rettore, fu costruito alla fine del 1400 per il Governatore della città (Rettore) in stile gotico-rinascimentale. Oggi è adibito a Museo della città e merita di essere visitato per lo splendido restauro e la collezione di ritratti, stemmi e monete. A sud del Palazzo del Rettore si trova la Cattedrale dedicata all’Assunzione ricostruita all’inizio del 1700, nello stile barocco romano, dopo il terremoto del 1667 che aveva distrutto la precedente cattedrale romanica. Questa risaliva al XII secolo ed era stata costruita, secondo una tradizione, con una donazione di Riccardo Cuor di Leone per essere scampato, nel 1192, a un naufragio davanti all’isola di Lokrum. Durante alcuni lavori, nel 1981, sotto sono stati scoperti i resti romani di una basilica bizantina del VI secolo, precedenti all’origine della città. Davanti al palazzo del Rettore, finisce la Od Puca, un’antica strada ricca di negozi di artigianato e, quasi alla fine, si apre la piazza del mercato, dove si possono trovare tutti i prodotti locali. La piazza è dedicata a Ivan Gundulic, un celebre poeta di Ragusa.

  Dalla piazza della Cattedrale si esce sul vecchio porto, ora destinato alle barche. Sul monte, dietro la città c’è una fortezza francese del 1806-12 e, lungo il mare, fuori dalla cerchia muraria gli antichi edifici della quarantena, dove venivano tenuti gli equipaggi sospetti di malattie infettive.

    Circa 700 m a sud della città, si trova la piccola isola di Lokrum (Lacroma) di 0,8 kmq, raggiungibile facilmente con un traghetto. L’isola è oggi riserva naturale e vi si trovano i resti di un monastero benedettino del 1023, abbandonato nel 1798. L’isola era proprietà dell’arciduchessa Carlotta d’Asburgo, moglie dell’arciduca Massimiliano Ferdinando, il Fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria. Massimiliano vi aveva fatto costruire una villa nel 1859 in un grande parco presto trasformato in parco botanico importando piante tropicali e subtropicali. In seguito, Massimiliano fu indotto da Napoleone III ad accettare, nel 1863, la corona di imperatore del Messico, a seguito di un plebiscito. In Messico si trovò contro i liberali e le forze rivoluzionarie di Benito Juarez e, abbandonato dai Francesi, fu catturato e fucilato a Querataro nel 1867.

 

  Finita la visita di Dubrovnik, dopo il pranzo, si riparte alle ore 16:00 circa alla volta di Split (Spalato) e si attraversa la Neretva ancora una volta. Il pernottamento è previsto a Trogir, piccola cittadina medievale sul mare a nord di Spalato, e si scende all’Hotel Palace Trogir.

 

26.7  DA SPALATO A SIBENIK.

 

  Partendo da Trogir, la giornata del 18 settembre è dedicata alla visita della città di Split (Spalato), capitale della Dalmazia centrale e, nel pomeriggio, della vicina Sibenik che però appartiene alla regione di Zara nella Dalmazia settentrionale. Dopo queste visite s’intraprende il lungo trasferimento per l’Istria, nel nord della Croazia.

  Spalato è nota per il palazzo costruito, tra il 295 e il 305, dall’imperatore romano Diocleziano che qui si ritirò dopo aver lasciato la carica di Augusto. Il palazzo si trovava sulla riva del mare, poco distante dalla vicina colonia romana Salona (odierna Solin) e fu utilizzato dai successivi imperatori. Nel VII secolo, Salona fu distrutta da Avari e Slavi e fu abbandonata dai suoi cittadini che si trasferirono nel palazzo, divenuto una fortezza. Intorno crebbe la nuova città che da Palatium si trasformò in Spalato.

  Diocleziano era dalmata di umili origini e si chiamava Diocle. Il padre era un liberto e c’è incertezza sulle date della sua nascita e della sua morte che comunque sono fissate al 245 e 313. Iniziò la carriera militare come semplice legionario, servì in Gallia e divenne poi comandante delle truppe della Mesia (attuale Serbia). Fu aggregato alla spedizione contro la Persia dell’imperatore Caro che durante la spedizione morì. Per quanto fu riferito poi da Diocle, Numeriano, figlio di Caro, venne ucciso dal prefetto del pretorio Lucio Apro che fu ucciso a sua volta da Diocle e questi acclamato imperatore delle truppe. La versione di Diocle era sospetta e forse c’èra stata una congiura. Diocle dovette affrontare altri due pretendenti, fra cui Carino altro figlio di Caro, ma ambedue morirono nel conflitto e Diocle fu confermato imperatore. Latinizzò il suo nome in Diocleziano e, per garantire il controllo dell’impero diventato troppo vasto, istituì la Tetrarchia dividendo il potere fra due Augusti, uno per l’Occidente, residente a Milano, che fu Massimiano, e l’altro per l’Oriente con residenza a Nicomedia (lo stesso Diocleziano). I due Augusti nominavano due Cesari che li aiutavano. Dopo 20 anni di regno i due Augusti abdicarono in favore dei loro Cesari che, divenuti Augusti, a loro volta dovevano nominare i loro Cesari. La tetrarchia, tuttavia, crollò subito dopo l’abdicazione dei due Augusti perché si riaffermò il principio dinastico.

  La città di Spalato fu prima sotto il controllo dei Bizantini e poi del regno di Croazia. Fra il XII e il XIV secolo, nel medioevo, si sviluppò come città autonoma. Nel 1420 fu conquistata dai Veneziani e fortificata nel XVII secolo a fronte della minaccia turca e non subì mai la loro dominazione. Nel 1797 fu annessa all’impero Asburgico e vi rimase fino al 1918 con una breve interruzione durante il periodo napoleonico. Dopo il crollo dell’impero asburgico, Spalato fece parte del regno dei serbi, croati e sloveni e, nel 1929 del Regno di Jugoslavia.

 

  Il territorio di Spalato comprende diverse isole fra cui Brac famosa per la sua pietra di granito che, levigata, è lucente come il marmo. Con questa pietra è stato costruito il palazzo di Diocleziano e la Casa Bianca di Washington. Un’altra isola è Vis (Lissa) a nord della quale, durante la terza guerra d’indipendenza italiana, il 20 luglio 1866, la marina italiana subì una cocente sconfitta da parte della marina austriaca con l’affondamento dell'ammiraglia Re d’Italia. Questa è stata la prima battaglia navale che ha visto affrontarsi navi a vela e a vapore con e senza corazze.

   La visita della città parte dal lungomare del centro cittadino, noto come Riva. Vi si trovano tutti gli alberghi, i ristoranti e i locali notturni. La strada passa davanti alla fronte meridionale del Palazzo di Diocleziano davanti alla quale c’è una fila di caffè. Il Palazzo racchiude una piccola città fortificata con torri angolari quadrate che ha una larghezza, da est a ovest di 215 m e di 181 m da nord a sud. Il palazzo è diventato il vero centro storico di Spalato e nel 1979 è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Costruito in 10 anni, era stato concepito come una villa fortificata autonoma con la pianta tipica degli accampamenti militari romani, mura alte 26 m, all’interno due strade perpendicolari colonnate, cardo (verticale) e decumano (orizzontale), che la dividevano in quattro riquadri, e altre vie trasversali. L’ingresso era a nord dalla Porta Aurea e la metà nord era adibita ai soldati e ai servizi, la metà a sud del decumanus era adibita alla residenza imperiale con la Porta Bronzea, a sud, che dava sul mare. Nel riquadro sud-ovest era incluso il Mausoleo che doveva servire come sepolcro dell’Imperatore. La città ha subito molte modifiche durante il medioevo e oggi è un quartiere abitato con edifici del periodo veneziano e posteriore, con negozi e un mercato affollato e rumoroso.

  Si entra dalla Porta Bronzea, a sud, e si scende nel piano sotterraneo della cittadella coperto da arcate che conservano la struttura originale del palazzo e sono state destinate ad attività commerciali e ai negozi di oggetti artigianali. All’estremità si risale al livello stradale, al centro della città, dove è rimasto un tratto della via colonnata e dove era il cortile (peristilio) dei quartieri imperiali di 35 x 13 m con un livello di tre gradini più basso dell’area circostante. Sul lato destro vi sono sei colonne di granito unite da archi e un fregio, e una scala porta al Mausoleo di Diocleziano a pianta ottagonale che era circondato da 24 colonne. Nel XIII secolo fu trasformato in chiesa e dedicato alla Madonna. Il portale è in legno inciso con la vita di Gesù. L’interno del mausoleo è sormontato da una grandiosa cupola e conteneva il sarcofago di porfido dell’imperatore sparito nel VII secolo, forse derubato o distrutto dagli Avari. Le tombe della moglie e della figlia si trovano nell’isola di Brac. L’altare maggiore della chiesa è del XIII secolo e gli scanni del coro sono i più antichi della Dalmazia. Accanto al mausoleo c’è un campanile romanico, principale simbolo della città, eretto dai Veneziani fra il XII e il XVI secolo, crollato e ricostruito nel 1908. Sull’asse sud del peristilio, a destra del mausoleo, c’è il vestibolo (protiron) della Residenza imperiale che è la parte originale meglio conservata. Si tratta di una struttura a pianta circolare sormontata da una cupola la cui sommità è crollata. Una volta era tutta decorata da mosaici e marmi. Durante la visita, si è avuta l’opportunità di ascoltare il canto della “klapa” da parte di un gruppo di uomini che si esibiscono in questi canti tradizionali di amore e patriottismo. A ovest del peristilio, in linea con il campanile, una stretta strada conduce al Tempio di Giove, convertito poi in battistero. All’interno ci sono una statua bronzea di San Giovanni Battista e un fonte battesimale. Si esce dal palazzo dalla Porta Aurea (porta nord), dove inizia un parco con i resti delle fortificazioni seicentesche. Le mura settentrionali del palazzo sono munite di merli medievali e, all’ingresso del parco c’è la statua bronzea di Grgur Ninski, il vescovo croato Gregorio Nin che nel X secolo ottenne il permesso di celebrare le funzioni in croato antico. La scultura è uno dei simboli della città.

  Si gira sul lato occidentale esterno del palazzo, dove si trova il quartiere rinascimentale di Spalato, del periodo veneziano, e si passa per la piazza del Mercato della frutta con la statua di Marko Marulic (1450-1524) poeta e umanista di Spalato che ha scritto in latino e nel dialetto illirico e per questo è stato preso a simbolo del rinascimento croato. La sua figura è riprodotta nella banconota croata da 500 kuna.

  Si lascia Spalato alle 12:00 circa in direzione di Sibenik che si raggiunge in meno di un’ora. Sibenik è situata presso la foce del fiume Krka in un anfiteatro di colline che affacciano su una baia protetta da numerose isole. Oltre che per essere al centro di un’area ricca di magnifici parchi nazionali, come quello delle cascate del Krka e dell’arcipelago delle isole Kornati, è rinomata per la sua cattedrale dedicata a San Giacomo, iscritta nell’anno 2000 nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO.

  Sibenik fu fondata dagli Slavi, ma è menzionata per la prima volta nel 1066 in un documento del re croato Kresimir IV. Fu conquistata dai Veneziani nel 1116, si ribellò e fu ripresa definitivamente nel 1412. Con l’avanzare della minaccia turca, i Veneziani fortificarono la città con 4 fortezze e non fu mai presa dai Turchi, ma la regione fu devastata. Con il trattato di Karlovitz (1699), finì la minaccia turca e rimase sotto i Veneziani fino al 1797, quando passò all’Austria, come tutta la Croazia. Durante la guerra civile jugoslava, dal 1991 subì molti danni per i bombardamenti dell’armata serba e fu danneggiata anche la cattedrale.

  La città antica si trova nell’area intorno alla cattedrale di San Giacomo che rappresenta l’attrazione principale. Fu costruita, a partire dal 1431 fino al 1535, nello stile gotico-rinascimentale, dai due famosi architetti: Jurie Dalmata di Zara e Nikola Fiorentino. Il primo dal 1431 al 1473 e il secondo dal 1475 al 1505 che portò a termine la facciata principale più spiccatamente rinascimentale. La costruzione è tutta con la pietra tratta dalle cave di diverse isole dalmate usando un originale metodo d’interconnessione dei blocchi e fondendo architettura e scultura. La sua caratteristica è un fregio esterno costituito da 71 teste umane scolpite intorno alle absidi e rappresentanti personalità e semplici cittadini di Sibenik, i cui volti esprimono tutte le emozioni umane. L’interno è a tre navate con tre absidi, transetto e cupola a crociera. Vi sono gallerie sopra le cappelle laterali e un bellissimo battistero nell’abside meridionale.

  Nel piazzale a fianco della chiesa, si trova il municipio rinascimentale, costruito tra il 1533 e il 1546 con colonne e balaustre. Fu distrutto da un bombardamento nel 1943 e ricostruito interamente.

 

  Finita la visita e dopo una sosta pranzo, si riparte alle 15:15 circa prendendo l’autostrada per il nord per raggiungere l’Istria e la città di Opatija, più conosciuta con il nome di Abbazia, dove si farà sosta per le prossime visite. Si arriva a Opatija alle ore 20:00 circa e si pernotta al Grand Hotel Opatijska Cvijeta.

 

26.8  IL QUARNERO E L’ISOLA DI KRK.

 

  Il mattino del 19 settembre si parte da Opatija per un’escursione di un’intera giornata all’isola di Krk, la più grande isola del golfo del Quarnero, fra l’Istria e la costa dalmata. Si passa vicino alla città di Rijeka (Fiume), capitale della provincia, terza città più grande e porto principale del paese. Per gli Asburgo rappresentò il principale sbocco al mare e nel 1725 fu costruita un’autostrada che collegava Vienna alla costa del Quarnero e a Fiume. Questa ebbe grande notorietà dopo la prima guerra mondiale, quando un gruppo di volontari ex-combattenti, guidati da Gabriele d’Annunzio, se ne impadronì. Con il trattato di Rapallo, che concesse all’Italia la provincia di Zara, Fiume divenne città libera e i volontari furono costretti a sgombrare ma, nel 1924, il Patto di Roma con la Jugoslavia annesse Fiume all’Italia. Proseguendo, sulla collina che domina Fiume si vede il castello di Trsat eretto dai Frankopani, antichi signori feudali di origine tedesca che furono duchi di Krk. Più avanti, sul lato del mare si vede il golfo di Bakar (Buccari) che fu teatro della Beffa di Buccari l’11 febbraio 1918, con la violazione della munitissima base navale austriaca da parte dei mezzi assaltatori italiani MAS comandati dal capitano di fregata Costanzo Ciano con il tenente di vascello Luigi Rizzo e Gabriele D’Annunzio. Anche senza produrre danni particolari, l’impresa risollevò il morale delle truppe italiane dopo la recente disfatta di Caporetto del 24 ottobre 1917.

  Poco a sud del golfo di Bakar c’è lo stretto canale che separa dall’isola di Krk, ma questa è ora congiunta alla terraferma da un ponte costruito all’epoca di Tito. L’isola è battuta dalla bora, il vento freddo che viene del nord-est, e a volte il ponte è reso intransitabile. Vicino si trova l’aeroporto che è quello di Fiume. Krk è una delle isole del golfo del Quarnero che comprende altre tre isole importanti: Cres e Losinj (Lussini), separate da un canale di 11 m superato da un ponte, e Rab. L’isola di Pag, a sud di Rag, appartiene alla provincia di Zara. A ovest di Lusinj c’è la piccola isola di Unije con la secca di Galiola, dove, nel luglio del 1916, durante la prima guerra mondiale, s’incagliò il sommergibile della marina italiana a bordo del quale si trovava Nazario Sauro, irredentista italiano nato a Capodistria (Koper, attuale Slovenia) che, fuggito in Italia, si era arruolato volontario. L’equipaggio dovette abbandonare il sommergibile e Sauro fu catturato dagli Austriaci che lo accusarono di alto tradimento, lo condannarono a morte e lo impiccarono a Pola il 10 agosto dello stesso anno.

  L’isola di Krk è stata nel secolo XI il principale centro della scrittura glagolitica, l’alfabeto slavo creato dai missionari greci Cirillo e Metodio. Questa scrittura è stata usata nell’isola fino all’inizio del 1800. Nel medioevo l’isola fu governata dalla famiglia Frankopani, duchi di Krk che poi italianizzarono il nome in Frangipane, anche durante la dominazione veneziana. Oggi l’economia dell’isola è tutta basata sul turismo, ma ci sono anche dei cantieri navali.

  La prima tappa nell’isola è la cittadina di Punat, sulla costa occidentale all’ingresso di una profonda baia, porto turistico, dove approdano barche e yacht. L’attrattiva principale è, però, la vicina isoletta di Kosljun, detta dei francescani per un monastero costruito da quest’ordine nel XVI secolo sui resti di un’abbazia benedettina del secolo XII. Il traghetto da Punat impiega circa 10 minuti. Nel piazzale davanti al monastero c’è la statua moderna di San Francesco con il lupo. La chiesa costruita dai francescani ha un tetto con capriate lignee in parte originali, il convento ha un bel chiostro, una biblioteca che contiene più di 20000 volumi, molti dei quali rari, e un piccolo museo etnografico che conserva preziosi documenti e reperti del patrimonio culturale dell’isola di Kek. Fuori sono esposti una lastra di pietra con scrittura glagolitica accanto alla sua trascrizione. In una prima sala c’è una rudimentale imbarcazione scavata nel tronco di un albero e diversi modelli di navigli adibiti a trasporti diversi. In un’altra sala sono in mostra documenti fra cui le copie fotostatiche dell’Atlante Tolemaico del secondo secolo, pubblicato a Venezia nel 1511 con gli ultimi aggiornamenti. Dell’America, già scoperta, c’è solo un’annotazione. Si tratta di un documento raro perché dell’originale sono rimasti tre esemplari. In un’altra vetrina c’è il libro più piccolo, di solo un centimetro quadrato, in cui è stato scritto il Pater Noster in sette lingue. In un’altra sala ci sono mobili, oggetti domestici e costumi dell’isola nel periodo veneziano.

  Alle 11:00 circa, si torna a Punat e da qui si riparte per la capitale dell’isola che si chiama pure Krk, poco a nord di Punat. La città di Krk è una delle più antiche dell’Adriatico, abitata fin dai tempi romani, e i resti romani si vedono ancora nel borgo medievale, su una collinetta davanti al porto. Nel periodo bizantino fu chiamata Vekla, latinizzato in Veglia e questo nome fu esteso dai Veneziani all’intera isola. C’è un castello dei Frankopani e, nella piazza principale, antico centro romano, la Torre dell’orologio; davanti c’è un pozzo esagonale dedicato a san Quirino con le sei facce scolpite.

 

  Dopo la sosta per il pranzo, alle 14:00, si riparte, si riattraversa il ponte che collega l’isola alla terraferma e si torna a Opatija cui si dedica il resto della giornata.

  Opatija è nota anche come Abbazia dal nome dell’antica abbazia benedettina di San Giacomo della Peluca, attorno alla quale si formò il primo abitato. Si trova sul mare, 13 km a ovest di Fiume, protetta a nord dal Monte Maggiore (Ucka) di 1400 m. A differenza di Fiume si trova geograficamente nella penisola istriana, ma appartiene alla stessa provincia di Fiume. Lo sviluppo di Abbazia iniziò nel 1844, quando un nobile fiumano, Iginio Scarpa, costruì Villa Angelina, dandole il nome della moglie defunta. La villa fu presto frequentata da molti ospiti illustri, fra cui la moglie dell’imperatore Ferdinanto I, Maria Anna. Questo fatto fece conoscere la città alla corte viennese, fu costruito l’Hotel Quarnero (in croato Kvarner), il primo sul mare Adriatico orientale, e la città divenne un centro turistico e mondano frequentato dall’aristocrazia e da artisti famosi.

  L’albergo durante la guerra fu trasformato in Sanatorio, ora la villa sta per essere trasformata in museo e il suo parco è aperto al pubblico. Dal parco si arriva al mare lungo una passeggiata che segue la costa rocciosa. Su un promontorio sul mare c’è la statua della Ragazza con il Gabbiano che da il benvenuto a chi arriva dal mare.

 

  A sera si ritorna in albergo, dove si pernotta.

 

26.9  L’ISTRIA.

 

  Il giorno 20 settembre è dedicato alla visita delle città più importanti dell’Istria, quelle sulla costa occidentale, iniziando da Pula (Pola).

  La penisola istriana, che appartiene in massima parte alla Croazia, è di forma triangolare con la punta a sud e si protende nell’Adriatico settentrionale. Deve il suo nome all’antico popolo degli Istri di origine illirica. I Romani la conquistarono con due campagne militari nel 177 a.C. e Augusto creò diverse colonie di legionari per la difesa dei confini e la inserì nella X Regio Venetia et Histria. Fu saccheggiata dai Goti e poi occupata da Bisanzio, dai Longobardi e infine annessa al Regno Franco (789). Dal XII secolo iniziò l’interesse di Venezia per l’Istria che occupò la parte costiera e meridionale entro il XIV secolo. Il resto rimaneva sotto l’influenza dell’Austria e del Patriarca di Aquileia. Con il Trattato di Campoformio tutto il territorio della Repubblica veneta fu ceduto all’Austria, compresa l’Istria. Nel XVII secolo fu flagellata dalla peste. Dal 1805 al 1813 l’Istria fu annessa alla Francia e dal 1814 tornò all’Austria. Dopo la prima guerra mondiale, il Trattato di Rapallo (1920) assegnò l’Istria al Regno d’Italia. Il fascismo, dal 1922, iniziò l’italianizzazione forzata delle popolazioni slave che erano tuttavia superiori al 60% e divenne più oppressiva durante la seconda guerra mondiale. Dopo l’8 settembre 1943 l’etnia italiana rimase alla mercé dei Tedeschi e della resistenza croata. Nel 1945, l’Istria fu occupata dai partigiani di Tito e le popolazioni italiane subirono le rappresaglie slovene e gli eccidi perpetrati nelle foibe. Questo provocò l’esodo delle popolazioni italiane sostituite da altre di etnia croata e slovena e degli altri paesi slavi. Dal decennio 1990, finita la guerra fredda, questi tragici episodi hanno cominciato a essere ricordati ufficialmente.

  Si lascia Opatija alle 8:30 e s’imbocca l’autostrada che attraversa la penisola in direzione di Pula. La strada supera i rilievi carsici di Monte Maggiore con una galleria di circa 7 km costruita al tempo di Tito e, dopo la galleria, si entra nella provincia di Istria. Si passa per la capitale amministrativa Pazin (Pisino), al centro della penisola, e si arriva a Pula alle ore 10:00 circa.

  Pula era l’antica Polentium romana e, dei Romani, ha conservato un magnifico anfiteatro. Nel XII secolo divenne libero comune, ma entrò subito nella sfera d’influenza di Venezia alla quale dovette pagare un tributo. Dal 1331 fu integrata nei domini veneti e vi rimase fino alla caduta della Repubblica veneta nel 1787, quando passò all’Austria. Durante la prima guerra mondiale, pochi giorni prima della firma dell’armistizio, nel porto di Pola, incursori italiani affondarono la corazzata austriaca Viribus Unitis, superando la sorveglianza e gli sbarramenti con tre ordini di reti. Usarono uno speciale mezzo a motore pilotabile, detto “mignatta”, fatto costruire dal maggiore del genio navale Raffaele Rossetti a La Spezia, che portava due ordigni esplosivi da fissare alla chiglia della nave. Lo stesso Rossetti con il tenente medico Raffaele Paolucci furono protagonisti dell’impresa.

  Oggi Pola è la città più grande dell’Istria con 80000 abitanti circa ed ha i maggiori cantieri navali della Croazia. L’anfiteatro romano è stato costruito nel I secolo d.C., al tempo di Augusto, ampliato da Claudio e ristrutturato nella sua architettura definitiva dai Flavi. Le sue dimensioni sono 132 x 105 x 32 m con tre piani e 62 arcate, ma da un lato ha solo due piani essendo il terreno in salita; è il più grande dopo il Colosseo e al terzo posto viene quello di Verona. Poteva contenere 23000 spettatori e vi si davano giochi gladiatori e anche simulazioni di battaglie navali. Si può dividere in tre parti: intorno l’area degli spettatori, al centro l’arena, dove si svolgevano gli spettacoli e, sotto l’arena, una galleria sotterranea divisa in tre navate da pilastri. Qui si trovavano i vani per le bestie e i corridoi per spingerli verso le uscite nell’arena, tutti i servizi e le apparecchiature di scena. Si accedeva ai sotterranei dalla Via Flavia con una galleria a volta.

  Oggi l’Anfiteatro è stato restaurato e adattato a spettacoli per 5000 spettatori e nei sotterranei si tengono mostre. Al momento, si tiene una mostra sui Prodotti dell’Histria romana. L’olivo e la vite erano le colture principali della prima epoca imperiale ed anche i principali prodotti di esportazione. Il crocevia dei traffici era la colonia romana di Aquileia, fondata nel 181 a.C., per la sua posizione nell’alto Adriatico e i suoi collegamenti con le altre province dell’impero. La via Emilia la collegava con l’Italia, la via Postumia con il nord dell’Europa e la Pannonia e la via Flavia con la Dalmazia. Via mare i prodotti arrivavano a Ravenna, Dalmazia e in Africa settentrionale. Nella mostra si sono vari tipi di anfore per il trasporto di olio e vino, le vasche di un oleificio romano e documenti come una mappa dell’Histria romana, una dei collegamenti marittimi e terrestri e la Tabula Peutingeriana che è la carta geografica della rete viaria dell’impero romano secondo un originale del IV secolo conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna.

  A largo di Pola, 3 km a nord-ovest, si trova l’arcipelago delle Brijuni (Brioni) formato da 15 isole, oggi Parco Nazionale, che fu il luogo di vacanza privato del maresciallo Tito, dove soggiornava 6 mesi l’anno e dove riceveva i personaggi politici.

 

  Si riparte alle ore 11:00 circa per la cittadina di Rovinj (Rovigno), lungo la costa occidentale, considerata la più bella del litorale istriano, ancora autentico porto di pescatori. Il centro storico, insediamento slavo del VII secolo, si trova su una collinetta che forma una penisola sul mare ed era in origine un’isola. Sulla sommità della collina, sorge la chiesa di Sant’Eufemia, patrona della città, e un campanile alto 60 m, costruito a imitazione di quello di San Marco a Venezia.

  Le case intorno alla collina sorgono direttamente dall’acqua e fra loro delle strette viuzze permettevano di scendere al mare dove una volta i pescatori tenevano le barche. Si sale alla collina lungo delle strette strade con i numerosi negozi per i turisti. C’è anche un arco classico nel luogo, dove esisteva una porta della città. Sulla sommità c’è la chiesa costruita nel 1736 che è la più grande costruzione barocca dell’Istria. All’interno si può vedere il sarcofago di Sant’Eufemia di Calcedonia, martirizzata a 15 anni sotto Diocleziano nel 304. Le reliquie arrivarono per mare nell’800 e rimasero qui. La Santa è festeggiata il 16 settembre e solo in quel giorno il sarcofago viene aperto per mostrare il suo corpo.

 

  Dopo il pranzo si riparte alle 14:30 circa verso nord per dare uno sguardo a una profonda valle carsica detta Limska Draga Fjord lunga 12 km e larga 60 m che è stata sommersa dal mare dopo l’ultima glaciazione. Ha l’aspetto di un fjord norvegese e, nel 1960, vi è stato girato un film sui Vikinghi dal titolo: The long ships. Nel canale si pratica la pesca e l’allevamento delle cozze e delle ostriche.

  Alle 16:15 si riparte per visitare la cittadina di Porec (Parenzo), la Colonia Iulia Parentium romana, poi bizantina dal VI all’VIII secolo, sulla quale è stato edificato il centro cittadino. Nel 1267 passò sotto il controllo di Venezia e nel XVII secolo fu spopolata dalla peste. Nel 1861, in pieno sviluppo sotto l’Austria, divenne capitale della regione istriana. Ha subito gravi danni nei bombardamenti del 1944. Oggi è diventata un centro turistico importante ed è stata dichiarata Capitale croata del turismo per il maggior numero di prenotazioni.

  Il centro cittadino si trova su una piccola penisola orientata a ovest che ha mantenuto la planimetria del Castrum romano con il decumanus e il cardo maximus. La pavimentazione romana si trova un metro sotto di quella attuale. Il principale monumento di Parenzo è la Basilica Eufrasiana bizantina, iniziata nel V secolo sul sito di una basilica del IV  e completata nel VI dal vescovo Eufrasio con i magnifici mosaici dell’abside. L’UNESCO l’ha iscritta nel Patrimonio dell’Umanità nel 1997. Si trova, insieme al Palazzo Vescovile sul lato nord della penisola, e comprende un atrio colonnato, dove si fronteggiano un battistero ottagonale del VI secolo, che è il più grande della Croazia ed ha una torre pentagonale, e la Basilica a tre navate con i capitelli delle colonne tutti diversi. Il complesso è un capolavoro dell’arte bizantina come San Vitale a Ravenna. I mosaici sull’arco di trionfo sopra l’abside rappresentano Cristo e i dodici Apostoli. L’arco sottostante, sopra il catino dell’abside ha in alto l’Agnus Dei e ai lati dodici martiri. Nell’abside, c’è al centro la Madonna con il Bambino incoronata e affiancata da angeli, da alcuni santi e dal vescovo Eufrasio che tiene il modello della Basilica. Fra le vetrate dell’abside, c’è l’Annunciazione e la Visitazione. Il Ciborio di marmo, sorretto da quattro colonne, che sono quelle del precedente ciborio del VI secolo, ha mosaici del XIII secolo.

  Percorrendo il decumano, si scoprono molti edifici del XV secolo, fra cui la Casa Gotica del Leone del 1447 e, all’inizio, la Torre Pentagonale, pure del 1447.

  Alle 18:00 circa si riprende il pullman per tornate a Opatija, dove si pernotta per l’ultima volta.

 

26.10  IL RITORNO.

 

  La giornata del 21 settembre conclude la visita in Croazia con il ritorno a Padova, dove era iniziato il viaggio. Nel corso dell’attraversamento della Slovenia, c’è stata la possibilità di una visita alla Grotte di Postumia e nel pomeriggio si è fatta una sosta a Trieste, ma sono estranee al tema della Croazia.

 

Fonte: http://www.travelphotoblog.org/ArchivioPersonale/Eurotour.doc

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