Milano guida turistica Basilica San Lorenzo

 

Sant' Ambrogio il Duomo Pinacoteca di Brera

 

strade di Milano Cenacolo consigli per turisti

 

 

 

Milano guida turistica

 

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ISTITUTO COMPRENSIVO “FABIO FILZI”

PLESSO W. FERRARI

CLASSI QUARTE

ANNO SCOLASTICO 2006/2007


“ ME LA SPASSO, ANDANDO A SPASSO”

 

Questo è il titolo della nostra guida turistica realizzata nel corso dell’anno.

E’ stata scritta e illustrata come “SCOPERTA”, perché questa è la parola chiave che evoca altre parole importanti dei nostri primi anni di vita: CURIOSITA’.- ESPLORAZIONEAVVENTURARICERCA DI CIO’ CHE E’ NASCOSTO, e infine SORPRESA e STUPORE per ciò che abbiamo trovato.

Molti cittadini adulti non sanno che a Milano c’è tanto da scoprire!
Noi ragazzi, siamo andati in giro per Milano alla scoperta dei tanti tesori nascosti in una città dalla storia lunga e spesso gloriosa.

Ci siamo affezionati a Milano, la sentiamo un po’ nostra e crescendo ci daremo da fare perché diventi più ACCOGLIENTE, per tutti coloro che a qualunque titolo si troveranno a vivere “ENTRO LE MURA”, come si diceva un tempo.
ACCOGLIENTE per tutti, come segno di riconoscenza verso i tanti che, nel corso dei secoli, hanno dato il loro contributo alla costruzione di Milano: milanesi di lunga data, immigrati, cittadini provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo.

Dopo aver esplorato a fondo la nostra città, vogliamo portare a “SPASSO” tutti quei grandi che pensano che Milano sia solo la città del Duomo e degli affari.
Come può, chi non conosce la città in cui vive, amarla e sentirla propria?
Così abbiamo fatto noi!

Così speriamo farete voi nel seguirci in questi itinerari che vi presentiamo…..

 

SPASSANDOVELA A SPASSO PER MILANO


MANUALE DEL BUON TURISTA

 

1) E' bello passeggiare per le strade e i giardini ma ricordiamoci di non lasciare in giro rifiuti.

 

2) Camminiamo per le vie cercando di scoprire particolari interessanti senza però creare confusione.

 

3) Rispettiamo le regole del codice stradale e da bravi "pedoni" attraversiamo sulle strisce pedonali .

 

4) Sugli autobus e sui tram non sporchiamo le vetture e non arrechiamo fastidio agli altri passeggeri. Scendiamo e saliamo ordinatamente dai mezzi di trasporto.

 

5) Chiediamo con cortesia informazioni ai vigili e ascoltiamo attentamente le loro istruzioni.

 

6) In una chiesa ricordiamoci che siamo in un luogo dedicato al culto: stiamo in silenzio; continuiamo con ordine guardando le opere d' arte che essa contiene.

 

7) In pinacoteca procediamo adagio e in silenzio senza disturbare gli altri visitatori. Vietato avvicinarsi ai quadri. Chiediamo con gentilezza depliant o materiale illustrativo.

 

8) fotografiamo solo se è stato consentito l' uso della videocamera o della fotocamera.


MEDIOLANUM

 

 

IL NOME

 

E’ sempre difficile scoprire quando e da chi è stata fondata una città. Spesso la storia e la leggenda si confondono. Nel caso di Milano lo scrittore latio Livio racconta che durante il VI sec. a. C. la pianura Padana fu invasa da popoli provenienti da Nord: i Celti o Galli.
Secondo un’antica leggenda il capo di una di queste tribù, Belloveso, giunto nella pianura Padana incontrò una strana scrofa il cui corpo era per metà coperto da un lungo pelo lanoso. Per gli antichi ogni avvenimento inusuale era considerato un segno del destino, così Belloveso decise di fondare una nuova città in quel luogo e di chiamarla Mediolanum, cioè mezza lana. Di certo sappiamo che nel 222 a.C. i romani conquistarono il piccolo centro che sorgeva in un punto strategico per i commerci; in una zona pianeggiante ricca di corsi d’acqua navigabili, protetta a nord dalle Alpi e situata all’incrocio delle strade provenienti da Genova sul Tirreno e da Aquileia sull’ Adriatico.

 


MILANO ROMANA

MUSEO ARCHEOLOGICO

Qui si trova il plastico che riproduce la città all'epoca in cui fu capitale dell'impero (291-402 d.C.). Conquistata nel 222 a.C. Mediolanum divenne colonia latina nell'89 a.C. ma rimase ancora solo un grande villaggio finchè all'epoca di Giulio Cesare fu circondata da possenti mura, fu organizzato un tessuto stradale e sorsero numerosi edifici pubblici.
Nei secoli successivi quando la potenza di Roma aumentò Diocleziano affidò una parte dell’impero a Massimiano che si stabilì a Milano con tutta la sua corte trasformandola in sede imperiale. In quest’epoca la città era, per popolazione e dimensioni, la seconda città dell’impero dopo Roma.
La città era rifornita d’acqua attraverso un sistema di canali scoperti e coperti.
All’interno delle mura si trovavano numerosi pozzi dai quali i cittadini prendevano l’acqua potabile. Condutture sotterranee rifornivano anche le vasche delle TERME, i bagni pubblici dove ci si recava per fare sport o per il solo piacere d’incontrarsi. Le terme più importanti furono quelle volute da Massimiano, chiamate Erculee dal soprannome dell’imperatore.
Gli altri luoghi dove si svolgeva la vita della città erano il FORO, la grande piazza pubblica e i TEMPLI. Vicino al FORO c’era la ZECCA dove venivano coniate le monete e il TEATRO. Tutte le grandi città avevano un CIRCO e anche Milano.
Fuori dalle mura sorgeva l’ANFITEATRO dove si poteva assistere a spettacoli con belve feroci e lotte tra gladiatori.
Verso la fine dell’epoca imperiale venne realizzata anche una via porticata con un arco onorario che costituiva l’ ingresso monumentale per chi veniva da Roma,
Vicino al Museo c’è una torre di forma poligonale (con tanti lati) e un muro di mattoni: sono i resti delle mura di Massimiano. La torre è di ANSPERTOdal nome dell’arcivescovo che la fece restaurare nel IX secolo (800 d. C.). Scendendo ai piedi della torre ci si trova al livello della città romana.

CURIOSITA’
Le città che hanno una lunga storia come Milano crescono a strati: nell’antichità, infatti, i resti degli edifici distrutti o abbandonati non venivano eliminati, ma facevano da base alle nuove costruzioni così la città nel corso dei secoli “saliva, saliva, saliva….”


BASILICA DI SAN LORENZO

 

Non si hanno notizie sicure sulla data della sua fondazione: alcuni pensano che si tratti di un monumento imperiale, altri ritengono che sia stata costruita nel V secolo dopo l’invasione dei Visigoti. Si sa solo che la basilica sorgeva fuori dalle mura e doveva essere un edificio di grande importanza viste le sue dimensioni e visto che per costruirla vennero disfatti altri edifici della città romana. Le sue fondamenta sono costituite da massi presi dal vicino anfiteatro; le colonne di fronte alla basilica provengono forse da un tempio. Le 16 colonne, che oggi sono separate dalla chiesa, un tempo decoravano il grande cortile formato da quattro portici che ne costituiva l’ingresso. Questo era il luogo dove stavano i catecumeni, cioè coloro che si preparavano a ricevere il battesimo e che quindi non potevano ancora entrare in chiesa.
La statua di fronte alla chiesa raffigura l’imperatore Costantino (280-337 d.C.) che proprio a Milano nel 313 promulgò l’editto che permetteva ai cristiani di professare liberamente la loro religione.
Prima di allora essi erano costretti a celebrare i riti di nascosto riunendosi all’interno di case. Dopo l’editto di Costantino, i cristiani costruirono i primi edifici dedicati al loro culto che vennero chiamate ECCLESIE o CHIESE.
Le chiese costruite durante i primi secoli del cristianesimo (epoca paleocristiana) avevano la forma delle basiliche romane, che non erano luoghi di culto, ma grandi edifici a pianta rettangolare dove ci si incontrava, venivano amministrati gli affari e si svolgevano i processi.
La facciata della chiesa è stata rifatta nell’800.


Il bassorilievo sopra il portale centrale raffigura S. Lorenzo durante il suo martirio.
La basilica ha una forma quadrata, nella zona centrale c’è il “matroneo” lo spazio riservato alle donne. Per molti secoli uomini e donne non potevano stare insieme in chiesa e addirittura avevano due ingressi separati. La grande cupola della basilica è stata progettata dall’architetto Martino Bassi nel 1573; quella originale doveva essere molto diversa da questa; si racconta che fosse rivestita da un mosaico a fondo oro.

Nel SACELLO DI S. AQUILINO (cappella autonoma) si possono vedere i resti dei coloratissimi mosaici che raffiguravano i patriarchi e gli apostoli. I disegni sono formati da piccoli quadratini di vetro colorati.
Il sacello è stato costruito nella stessa epoca della chiesa. La sua forma  ottagonale è tipica degli antichi battisteri, ma non è un battistero perché non c’è traccia della vasca con  l’acqua per il battesimo e perchè il suo ingresso è collegato con l’interno della chiesa (chi non era battezzato non poteva entrare in chiesa).

 

 

Probabilmente era un MAUSOLEO, cioè una tomba monumentale. Qui è custodito il corpo del santo che visse intorno al 1000 e venne ucciso mentre si recava a predicare S. Lorenzo.
I primi a trovare il suo corpo furono alcuni facchini che lo raccolsero e lo portarono all’interno della basilica dove venne sepolto. Da allora S. Aquilino è divenuto il santo protettore dei facchini.
Ogni anno, l’ultima domenica di gennaio, in questo sacello si svolge una solenne cerimonia durante la quale i facchini portano doni al loro patrono.


LA VIA PORTICATA

 

Le due vie principali della Milano Romana erano il DECUMANO che conduceva a Roma e il CARDO. Queste due vie si incrociavano nel centro della città dove sorgeva il FORO.
Fuori dall’antica porta Romana, nel 381 d.C. l’imperatore Graziano fece costruire una via porticata lunga 600metri che terminava con un arco onorario di cui ora non rimane più nulla. Chi giungeva da Roma, passava sotto l’arco e prima di entrare in città poteva fare i primi acquisti nelle botteghe che si trovavano sotto i portici.
Mentre l’imperatore Graziano cercava di esaltare il potere imperiale, il Vescovo di Milano, AMBROGIO, faceva di tutto per affermare l’importanza e l’autonomia della Chiesa Cristiana.
Ambrogio (339/40-397) rispose alle nuove costruzioni imperiali con l’edificazione di una basilica proprio a metà della via porticata.
Questa basilica si inseriva in un progetto più ampio: nell’arco di pochi anni, infatti, il Vescovo fece costruire fuori dalle mura della città altre tre chiese cristiane con lo scopo di “circondare” la città imperiale .
Di queste quattro chiese oggi ne restano tre: S. AMBROGIO, S. SIMPLICIANO, S. NAZARO. Non c’è più traccia invece della chiesa di S. DIONIGI, demolita durante l’edificazione delle mura spagnole. Al centro della città Ambrogio fece costruire un Battistero.


BASILICA DI SANT’AMBROGIO

 


Questa è una delle quattro basiliche volute da Ambrogio e costruite intorno alla città imperiale. Fu edificata dove c’era un antico cimitero paleo-cristiano; vi furono posti i corpi di San Gervaso e San Protaso e fu dedicata a tutti i martiri.
Lo stesso Ambrogio venne poi sepolto accanto ai due martiri e alla basilica fu dato il suo nome.
Per accedere alla basilica si entra nel quadriportico, il cortile chiuso, dove si può vedere la costruzione che non è quella dei tempi di Ambrogio , di cui restano poche tracce. La chiesa venne rifatta verso la fine del XII secolo e poi successivamente modificata. Essa rappresenta un importante esempio di architettura romanica.
I muri sono fatti di mattoni di argilla cotta (cotto lombardo) il materiale da costruzione più facile da trovare nella pianura padana e quindi meno costoso; una caratteristica dello stile romanico è proprio quella di utilizzare il materiale che la zona offre: dove ci sono pietre si costruisce con le pietre, dove c’è l’argilla si fabbricano mattoni e le pietre vengono utilizzate solo come decorazione oppure nelle parti che devono essere più resistenti perché reggono un peso maggiore.
I capitelli delle colonne sono scolpiti con figure simboliche che rappresentano le forze del bene e del male.
La facciata della chiesa ha il tetto a capanna perché ricorda la capanna del presepe ed è caratterizzata da due loggiati sovrapposti. Ai lati della facciata ci sono ben due campanili: il primo era stato costruito nell’VIII secolo dai monaci che vivevano in Sant’Ambrogio, il secondo venne aggiunto all’inizio del XII secolo dai canonici che sostituirono i monaci e vollero costruire un nuovo campanile più importante del precedente.
L’interno della chiesa è ora illuminato dalla luce elettrica, ma in epoca medievale l’unica fonte di luminosità proveniva dalle vetrate e andava a colpire la parte più importante della chiesa: quella dell’altare, per il resto la chiesa era in penombra.
Dall’ingresso si vedono subito le tre parti della chiesa:le navate.
Sopra quelle laterali c’è una specie di lungo balcone caratteristico delle chiese romaniche: il matroneo.
Un altro elemento dell’architettura romanica è l’arco a tutto sesto.
In fondo alla navata centrale lo sguardo giunge subito al singolare ciborio sormontato da un baldacchino ornato da colorati stucchi lombardo-bizantini sotto il quale si trova l’altare d’oro, mirabile capolavoro di oreficeria carolingia, opera dell’artista Volvinio che ha firmato su una lastra il suo lavoro. Sulle lamine dorate sono rappresentate scene della vita di Cristo e della vita del nostro patrono.


Curiosità
Questo altare è stato donato alla basilica dall’Arcivescovo Angilberto II nell’anno 836 d.C. Secondo una leggenda questo personaggio portava al dito un anello contenente un dente di S. Ambrogio. Una domenica egli si accorse che il dente si era staccato dall’anello e non ci fu modo di ritrovarlo. Il vescovo allora si recò a pregare davanti al corpo del santo e con sua grande meraviglia si accorse che il dente era tornato al suo posto nella bocca di Ambrogio. Così Angilberto decise di donare alla chiesa l’altare e vi fece deporre il corpo di S. Ambrogio che ora si trova nella cripta insieme ai martiri Gervaso e Protaso.
Andando verso l’altare si vede una colonna con un serpente di bronzo custodito nella basilica dal 1002!
La leggenda vuole che si tratti del serpente innalzato nel deserto da Mosè (in questo caso avrebbe più di 3000 anni!!!).
La Bibbia narra che Dio, per punire l’infedeltà del suo popolo, mandò dei serpenti velenosi. In seguito, però, commosso dalle preghiere di Mosè, disse”Fatti un serpente
E mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita”.
E’ quindi rimasta l’idea che questo serpente possa guarire le persone, tanto che, fino a non troppo tempo fa, le madri portavano qui i loro bimbi perché passasse l’infezione di vermi nella pancia.
Ai piedi della colonna del serpente si può vedere una grossa pietra che apparteneva al pavimento della chiesa paleo-cristiana.
Più avanti sulla sinistra si vede un balcone: è il pulpito!
Un tempo il sacerdote scendeva dall’altare e saliva sul pulpito per leggere il Vangelo e predicare. Egli si trovava così in mezzo ai fedeli ma anche sopra di loro e in questo modo le sue parole assumevano maggiore importanza ed erano udibili da tutti.
Noto è il modo di dire “Senti da che pulpito viene la predica”!
Realizzato in epoca medievale, il pulpito è sorretto da colonnine unite tra loro da archetti molto decorati! C’è anche una fascia con intrecci di rami dentro i quali sembra siano rimasti impigliati animali fantastici.
Il pulpito è appoggiato sull’antico sarcofago detto:” sarcofago di Silicone” che in realtà era il sepolcro dell’imperatore Graziano e di sua moglie.
Su di esso c’è una delle più antiche rappresentazioni della nascita di Gesù; infatti gli scultori che lo hanno scolpito vivevano al tempo dei romani e hanno raffigurato la scena nel loro tempo. Grazie a questi documenti possiamo conoscere il modo di vestirsi e di vivere di civiltà molto antiche.
Il sacello di san Vittore in Ciel d’Oro esisteva già quando sant’ Ambrogio decise di costruire la basilica. I mosaici delle pareti e sul soffitto sono stati realizzati poco tempo dopo la sua morte ed egli è stato ritratto sulla parete di sinistra tra san Gervaso e san Protaso. Questo è il ritratto più antico del patrono di Milano ed è anche l’unico in cui viene raffigurato senza aureola. Il ritratto in alto nella cupola è quello di San Vittore.


SANT’AMBROGIO

 

Ambrogio, vescovo di Milano, nacque a Treviri nelle Gallie, dove il padre, cittadino romano, era prefetto. Terminati gli studi, ricevette dal prefetto Probo l’incarico di recarsi a Milano come governatore della Liguria e dell’Emilia.
Proprio in quel tempo morì il vescovo ariano Assenzio ed il popolo si trovò in discordia sulla scelta  del successore. Ambrogio si recò allora, come era dovere della sua carica, ala chiesa, per sedare il tumulto: qui parlò a lungo della pace e del bene della nazione e con tale capacità persuasiva che improvvisamente il popolo lo acclamò vescovo all’unanimità. Di fronte al rifiuto e alla resistenza di Ambrogio, il desiderio del popolo fu sottoposto all’Imperatore Valentiniano, che si mostro ben contento che il vescovo fosse scelto tra i magistrati da lui nominati. Lietissimo fu pure il prefetto Probo che, quasi profetizzando, aveva detto ad Ambrogio al momento della partenza: “ Và, e comportati non come giudice, ma come vescovo”.
Coincidendo pertanto la volontà dell’Imperatore col desiderio del popolo, Ambrogio venne battezzato (infatti era solo catecumeno), e iniziato ai riti sacri. Otto giorni dopo, precisamente il 7 dicembre 374, riceveva la consacrazione episcopale.
Divenuto vescovo, fu suo impegno difendere con coraggio la fede cattolica e i diritti della Chiesa, convertire alla vera fede molti ariani ed eretici; fra questi generò  a Gesù Cristo Sant’Agostino, il grande dottore della Chiesa. Sollecito del bene di tutte le chiese, sapeva intervenire con grande energia e costanza; fu instancabile nell’adempiere ai doveri del ministero pastorale, amministrando personalmente il battesimo a quasi tutti i candidati tanto che, dopo la sua morte, cinque vescovi riuscivano appena a supplirlo.
Amò intensamente i poveri e i prigionieri: donò ai poveri e alla Chiesa tutto l’oro e l’argento che possedeva quando fu eletto vescovo; alla Chiesa donò pure i suoi terreni, destinandone il solo usufrutto alla sorella Marcellina, in modo da non serbare per sé cosa alcuna che potesse dire sua. Così, come soldato privo di impedimenti e pronto a combattere, si mise al seguito di Cristo Signore che “da ricco che era si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà”.
Godeva con coloro che erano nella gioia, piangeva con chi era afflitto; ogni volta che qualcuno gli confessava i suoi peccati per riceverne la penitenza, piangeva a tal punto da indurre al pianto il penitente: si considerava infatti peccatore col peccatore.


 

LA DOMINAZIONE SPAGNOLA

La Guerra tra Francia e Spagna durò ben 35 anni, e alla fine ebbero la meglio gli spagnoli, che  regnarono per più di un secolo e mezzo (1535-1705). La città venne affidata a un governatore e a un gruppo di 15 senatori (3 spagnoli e 12 nobili milanesi).
Com’era già successo in epoca comunale la città era cresciuta e fuori dalle mura erano sorti numerosi borghi che era impossibile difendere e controllare. Così il governatore Ferrante Gonzaga, tra il 1548 e il 1560, fece costruire, naturalmente a spese dei milanesi, una nuova e più ampia fortificazione: le mura spagnole.
Oggi puoi riconoscere i tracciati delle mura comunali e di quelle spagnole elle due “circonvallazioni interne”, i più grandi anelli stradali che permettono agli automobilisti di girare intorno al centro della città.
Il governatore diede anche il via a una serie di lavori per sistemare piazza del Duomo e le zone vicine.
Egli promulgò anche una legge che permetteva a chi voleva costruire edifici di utilità pubblica, nel centro della città, di espropriare i terreni e abitazioni: i vecchi proprietari ricevevano un pagamento ma non avevano diritto di opporsi all’acquisto! Utilizzando questa legge il banchiere genovese Tommaso Marino costruì il palazzo che è oggi sede del comune della città.

SAN CARLO BORROMEO

 

I due personaggi più importanti della Milano spagnola furono san Carlo Borromeo e suo nipote Federico.
Carlo, nominato arcivescovo, giunse a Milano nel 1565, due anni dopo la fine del Concilio di Trento. Questo lunghissimo Concilio (quasi 20 anni!) era stato convocato per dare ordine alla Chiesa cattolica e ristabilire la sua autorità.
Giovane ma severo, il nuovo arcivescovo riorganizzò la città e la diocesi secondo i principi del Concilio. Fondò seminari per l’istruzione dei sacerdoti e impose divieti e regole di comportamento a tutti gli uomini di religione.
In quell’epoca, però, la vita religiosa e quella civile erano strettamente legate e la volontà di Carlo spesso si scontravano con gli interessi del governatore spagnolo e i nobili del senato cittadino.
Anche il popolo lo temeva, per le terribili penitenze che faceva infliggere a chi commetteva pubblici peccati (per peccare bastava poco: per esempio giocare a carte o ubriacarsi).
A questa severità seppe però affiancare un grande impegno a favore dei più deboli e dei malati, soprattutto durante le carestie e le pestilenze allora molto frequenti.
Ad esempio, durante la pestilenza del 1576-77, combatté con ogni mezzo l’epidemia, anche se le grandi processioni che ordinò in realtà favorirono il contagio. Così, quando la pestilenza terminò quasi improvvisamente, come per magia, a Carlo venne attribuito il merito di aver salvato la città.
Il suo impegno non fu solo spirituale, ma stabilì anche una serie di regole architettoniche per adattare gli edifici sacri alle nuove norme della controriforma (l’azione della Chiesa cattolica volta a contrastare la riforma protestante). Morì nel 1584 e dopo soli ventisei anni dalla morte fu proclamato santo.

 

FEDERICO BORROMEO

Nel 1595 venne proclamato arcivescovo suo nipote Federico. Come lo zio, era un uomo colto, intelligente e amante dell’arte. A lui si deve la fondazione della prima biblioteca pubblica milanese, dell’accademia d’arte e della pinacoteca (raccolta di quadri) che egli dedicò a Sant’Ambrogio.
In quegli anni, la vita di Milano era durissima. Il primo interesse dei governatori spagnoli era quello di ricavare più soldi possibili dal ducato milanese: ogni motivo era buono per inventare nuove tasse, i soldati poi spadroneggiavano e non avevano problemi a rubare ciò che non gli veniva dato. Il popolo diveniva sempre più povero e la società era ormai divisa tra molto poveri e molto ricchi.
Nel 1628 ci fu una grave carestia: mancava il cibo e il prezzo del pane era troppo alto; il popolo si ribellò. Per giunta, alla fine dell’anno successivo scoppiò l’ultima e gravissima epidemia di peste che colpì Milano (quella descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi).
Il contagio era stato portato dai lanzichenecchi, soldati mercenari al servizio dell’imperatore, scesi in Italia per appoggiare il governo spagnolo durante le insurrezioni.
Federico Borromeo (anche di lui si parla nel romanzo di Manzoni) morì durante l’epidemia, nel 1631.

 

 

          


 

 

LA LUNGA VIA DEL MARMO

 

In epoca medievale la città finiva in via Francesco Sforza angolo via Laghetto dove, al posto delle case, sorgeva una potente cinta muraria attorno alla quale scorreva l’acqua nel fossato. Alla fine del ‘300 c’era davvero un laghetto che ha dato il nome alla strada e in questo luogo le chiatte scaricavano i blocchi di marmo che servivano per la costruzione della nuova cattedrale.
Si trattava di un marmo speciale proveniente dalla cava di Condoglia, in Val d’Ossola, che Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, aveva donato alla fabbrica del Duomo appositamente per la costruzione della nuova cattedrale.
Egli aveva anche stabilito che la fabbrica non dovesse pagare nessuna tassa per il trasporto del marmo. Così sui blocchi veniva incisa la sigla AUF (Ad Usum Fabricae). Ancora oggi si usa dire che si fa qualcosa “a ufo” quando la si fa senza pagare.
Per giungere a destinazione i blocchi compivano un lungo viaggio: caricati su imbarcazioni, percorrevano il fiume Toce, il lago Maggiore, il Ticino e infine il Naviglio Grande fino ad arrivare alla piccola darsena di via Laghetto.
Nel Medioevo, infatti,la rete dei canali che portavano l’acqua al fossato era stata resa completamente navigabile. Dal laghetto i blocchi venivano trasferiti su carri e trasportati al cantiere del Duomo. Nel 1857 il laghetto venne coperto, ma la cava di Candoglia è rimasta sempre in attività e ancor oggi fornisce il marmo necessario per i lavori di restauro del Duomo.


IL DUOMO

 

Prima della costruzione del Duomo, nella piazza sorgevano ben quattro edifici sacri: la chiesa di Santa Tecla ( IV secolo d.C.), il Battistero di San Giovanni alle Fonti (voluto da S. Ambrogio), la Chiesa di Santa Maria Maggiore (IX secolo d.C.) e il Battistero di Santo Stefano.
LA Chiesa di Santa Tecla, che era l’edificio più grande, si trovava più o meno al centro dell’attuale piazza e venne demolita nella seconda metà del’400.
Dove oggi sorge il Duomo c’era la basilica di Santa Maria Maggiore, chiamata anche “basilica hiemalis” (invernale) perché essendo più piccola e quindi più calda vi si svolgevano le funzioni invernali. Inglobata nel Duomo la chiesa venne demolita solo nel ‘700.
Dietro ad essa c’era il Battistero paleo-cristiano di Santo Stefano, il primo ad essere distrutto per lasciare posto alla nuova cattedrale. Tra le due chiese, dove ora c’è il sagrato del Duomo, si trovava il Battistero di San Giovanni alle Fonti.
Entriamo nella cattedrale.
Accanto al portone centrale c’è una piccola scala che conduce al livello della città all’epoca di Sant’ Ambrogio; qui ci sono i resti del Battistero di S. Giovanni e di S.Tecla.
                               

 

  STORIA DELLA CATTEDRALE

 

Nel 1386 l’arcivescovo di Milano e suo cugino,il duca Gian Galeazzo Visconti decisero di costruire una grandiosa cattedrale simbolo della cristianità milanese e della grandezza della famiglia Visconti.
Per la nuova cattedrale scelsero lo stile gotico che era già stato utilizzato per le più importanti cattedrali europee e che permetteva la costruzione di edifici di enormi dimensioni.
I lavori durarono molto più del previsto, per secoli, tanto che a Milano si usa dire “lungo come la fabbrica del Duomo” per indicare qualcosa che non ha mai termine.
La prima parte della chiesa fu la zona dell’abside (la parte opposta alla facciata) che venne conclusa in trent’anni. La costruzione proseguì poi mlto lentamente fino al 1567 quando l’Arcivescovo, della città , Carlo Borromeo, decise di dare una nuova spinta ai lavori affidandone la direzione all’architetto Pellegrino Tibaldi. Egli portò a termine la zona del presbiterio, progettò la decorazione del pavimento e sistemò molte cappelle delle navate laterali.
A quell’epoca la chiesa di S. Tecla non esisteva più e le principali funzioni religiose venivano celebrate all’interno del cantiere. La facciata di S. Maria Maggiore era ancora in piedi ma intorno regnava un gran disordine.
In un cantiere così grande lavoravano architetti, scultori, maestri vetrai, operai…e la presenza di tante persone richiamava i venditori ambulanti che con le loro mercanzie si fermavano nella piazza; anche il cavadenti, (dentista dell’epoca) accompagnato da un gruppo di musici per coprire le urla del malcapitato paziente. Perfino gli ortolani, per abbreviare la strada che li portava al Verziere (il mercato della verdura poco distante), attraversavano la cattedrale in costruzione con i loro carretti. Non si poteva andare avanti così! Carlo Borromeo vietò almeno ai mercanti di usare la cattedrale come scorciatoia. Nei secoli successivi i più importanti architetti milanesi lavoravano per la Fabbrica del Duomo, nonostante ciò alla fine del ‘700 la chiesa era ancora un cantiere.
La facciata venne terminata con l’arrivo di Napoleone Buonaparte e le ultime guglie furono poste alla fine del 1800. L’ultimo portale, che raffigura la storia del Duomo opera dello scultore Minguzzi, risale addirittura al 1965! Poi cominciarono i restauri…
Il Duomo è davvero enorme! Tra le chiese cristiane solo San Pietro a Roma e la cattedrale di Siviglia sono più grandi.
Lo stile gotico in cui fu costruito permise di renderne più leggera la struttura e di aumentarne l’altezza.

 

Ecco alcune caratteristiche di questo stile architettonico:

ARCHI A SESTO ACUTO


GROSSI PILASTRI invece di semplici colonne.

DECORAZIONE DEL TETTO CON LE GUGLIE

 

VETRATE CHE ALLEGGERISCONO I MURI e colorano la luce creando un’atmosfera raccolta.

 

 

USO DEL MARMO per le parti che devono reggere più peso e quello del mattone per la copertura

INTORNO AL DUOMO

All’esterno è possibile apprezzare la massa marmorea dell’edificio nella sua spettacolare verticalità; le pareti sono traforate da ampie finestre tra pilastri su cui si ergono statue e guglie.


SOPRA IL DUOMO
Un ascensore permette di salire tra i numerosi pinnacoli e sculture fino ai terrazzi dove in una giornata limpida la vista spazia oltre la città fino al Monviso, al Monte Rosa, al Resegone… Qui si possono vedere da vicino gli archi rampanti, le guglie, tra le quali la guglia Carelli è la più antica(1397/1404).
La statua di Gian Galeazzo che la dominava è ora custodita nel Museo del Duomo.
E qui è possibile vedere sulla guglia più alta la statua dorata della Madonna, protettrice della città. Progettata ed eretta tra il 1769 e il 1774, la statua è alta 4,46 metri, pesa 300 chili ed è universalmente nota nella forma diminutiva-affettiva di”Madonnina”. Una lapide allo sbocco della galleria del Corso in piazza Beccarla ricorda il maestro Giovanni D’ Anzi e il più celebre verso della sua canzone “O mia bela Madunina”.

 

 

 

 

DENTRO IL DUOMO
L’imponente cattedrale si apre con cinque portali che introducono a cinque navate: due laterali a destra, due laterali a sinistra e una centrale. Nella penombra, data dalle grandi finestre gotiche, si stagliano i 52 pilastri che delimitano le navate, il transetto e l’abside e sono coronati da monumentali capitelli a nicchia (statue di santi). Il pavimento a intarsi di marmo nero di Varenna, bianco e rosa di Condoglia, rosso d’ Arzo, iniziato nel 1585 su disegni di Pellegrino Ribaldi fu terminato nel 1914/40.
Oltre al pavimento, altari,mausolei, il complesso del coro e del presbiterio e le cappelle del transetto furono in gran parte opera del Ribaldi su commissione del cardinale Carlo Borromeo.
La chiesa è ricca di opere d’arte:

  • Il Sarcofago dell’Arcivescovo Ariberto da Intimiano (1045) a cui è attribuita l’invenzione del Carroccio sormontato da una copia del Crocifisso in lamina dorata (l’originale è al Museo del Duomo).
  • Il Monumento funebre di Gian Giacomo Medici detto il Meneghino
  • La Statua di S. Bartolomeo, scorticato, realizzata nel 1562 da Marco d’Agrate.

 



  • Il magnifico Candelabro Trivulzio,capolavoro di oreficeria medievale di provenienza misteriosa donato nel 15  62 da Gian Battista Trivulzio. E’ alto 5 metri a 7 braccia, si diceva fosse come quello del tempio di Salomone ed è un intreccio di animali chimerici, di viticci e spirali, di scene bibliche che raccontano la storia della salvezza di Cristo
















  • Nel presbiterio, sopra l’altare, a 45 metri di altezza una copia della serraglia di rame dorato copre la nicchia Santo Chiodo.


VISITIAMO IL DUOMO

 

Entrati nella cattedrale si possono osservare le antiche vetrate gotiche. Esse erano “libri dei poveri”!. Chi non sapeva leggere (ed era la maggior parte della popolazione) poteva conoscere la storia biblica attraverso le immagini. Nella quinta vetrata nella navata laterale destra è narrata la vita di Gesù (nel primo rettangolo c’è l’Angelo che annuncia a Maria, nel secondo la nascita del Bambino, nel terzo la visita di Maria ad Elisabetta).
Raggiunto il transetto, si può vedere il monumento funebre di Gian Giacomo Medici e sul lato opposto la statua di S. Bartolomeo che desta gran curiosità perché il santo è rappresentato appunto …senza pelle, che tiene su un braccio come un mantello.
Percorriamo il deambulatorio e ci troviamo nell’abside. Anche qui vediamo le enormi vetrate sostenute  dal lastre di marmo. Sotto ai grandi organi, due scale portano una la Tesoro del Duomo, dove sono esposti oggetti do oreficeria sacra, l’altra porta al coro invernale  ed alla cripta dove è conservato il corpo dell’Arcivescovo San Carlo Borromeo.
Il tiburio fu la parte della chiesa più difficile da realizzare e fu completata del ‘500 e fra gli esperti dell’epoca venne consultato Leonardo da Vinci.
Raggiungiamo il presbiterio, realizzato dall’architetto preferito da Carlo Borromeo, Pellegrino Ribaldi.
L’altare venne posto in cima ad un’ampia scalinata in modo che i sacerdoti si trovassero in una posizione più alta rispetto ai fedeli, sottolineando l’importanza della loro funzione collegamento tra l’uomo e Dio.
In cima al presbiterio brilla un lumicino, lassù è conservato un “chiodo della croce di Gesù”.
La leggenda narra che Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, avesse trovato i quattro chiodi della Croce a Gerusalemme e ne avesse donati 3 al figlio. Dopo la sua morte i chiodo andarono persi, ma Sant’Ambrogio ne ritrovò uno, quello appunto che viene conservato al Duomo!
Ogni anno la mattina del secondo sabato di settembre, l’Arcivescovo di Milano sale a prendere il chiodo e lo deposita per quaranta ore sull’altare maggiore. Per raggiungerlo viene montato un piccolo ascensore a quattro posti, fatto di ferro, legno, cartapesta, a forma di nuvola (da qui ha preso il nome di Nivola). Nei tempi antichi la Nivola veniva sollevata con la forza di sedici uomini; oggi è mossa da un argano a motore, ma probabilmente all’Arcivescovo tremano lo stesso le gambe quando si ritrova sospeso a 45 metri da terra!!!

Ci dirigiamo verso l’uscita percorrendo la navata laterale sinistra.
Sul primo altare che incontriamo c’è il dipinto che raffigura S. Ambrogio che impone la penitenza all’imperatore Teodosio.
Teodosio, infatti, aveva promesso che una guarnigione di soldati saccheggiasse e massacrasse la popolazione di Tessalonica. Così quando era giunto in visita a Milano, Ambrogio, che non si faceva intimidire da nessuno, si era rifiutato di celebrare la messa alla presenza di un’imperatore “macchiato di sangue innocente” costringendolo a pentirsi pubblicamente. Nel dipinto l’imperatore è raffigurato in ginocchio ai piedi del santo.
Di fronte alla settima cappella c’è un piccolo tempietto che racchiude una vasca di porfido rosso di epoca romana usata come fonte battesimale.
Nel ‘500 ormai tutti potevano entrare in chiesa liberamente, quindi non c’era la necessità di costruire un battistero esterno.
Sul pavimento lungo la facciata si può vedere la striscia metallica della meridiana realizzata dagli astronomi di Brera nel 1786. Da un foro nel soffitto della prima navata, se non è nuvoloso, entra un raggio di sole che a mezzogiorno “colpisce” proprio la striscia metallica. Il punto della striscia cambia ogni giorno, spostandosi lungo la riga.
E’ possibile fare una passeggiata tra le guglie del Duomo e vedere la città dall’alto; sul tetto della cattedrale si cammina tra gli sguardi dei santi di mar,o che da centinaia di anno osservano i turisti aggirarsi nella “foresta” delle loro guglie!!!


GALLERIA VITTORIO EMANUELE II

 

Nel  1860 l’amministrazione municipale decise di sistemare la zona davanti al Duomo, creando una nuova piazza e un grande passaggio coperto in ferro e in vetro che la collegasse alla vicina piazza della Scala.
Ci vollero quattro anni solo per definire il progetto e i lavori vennero affidati all’ingegnere Giuseppe Mengoni. Si iniziò nel 1865 con la posa della prima pietra della nuova e moderna galleria Vittorio Emanuele II che venne ufficialmente celebrata alla presenza dello stesso sovrano, primo re dell’Italia unita. La Galleria con i suoi storici “caffé” ricorda ancora l’atmosfera della Milano ottocentesca.
Curiosità: è tradizione compiere un giro su se stessi, appoggiati su un tallone in un punto preciso della decorazione del pavimento al centro della galleria. Raffigura un toro considerato portafortuna!

 

PIAZZA DEL DUOMO

La sistemazione davanti Duomo iniziò con la demolizione di un intero isolato di abitazioni della vecchia Milano: il ribecchino. I lavori durarono altri dieci anni e furono interrotti dalla morte del Mengoni che cadde nel 1878 da un’impalcatura proprio nella piazza da lui creata. Alla fine dell’800 al centro della piazza venne posto il grande monumento che raffigura Vittorio Emanuele II a cavallo.

 

PIAZZA MERCANTI

Dopo aver attraversato la grande piazza antistante il Duomo in cui decine di turisti scattano foto ricorda, si raggiunge Piazza Mercanti.
In epoca medievale questo era il cuore della città comunale, dove erano raccolte le sedi delle principali istituzioni.
Al centro della piazza sorgeva il palazzo del Broletto Nuovo. Lo si riconosce subito: al piano terra ha un loggione con tanti archi che permetteva il passaggio da una parte all’altra della piazza. Al primo piano, come nella maggior parte dei palazzi comunali, c’era un’unica grande sala: il salone dei giudici, dove i rappresentanti del comune si riunivano in assemblea e dove si svolgevano i processi (il secondo piano, quello con le finestre ovali, è stato aggiunto alla fine del  ‘700 da Maria Teresa d’Austria).
Negli altri edifici della piazza si trovavano le sedi delle corporazioni mercantili (rappresentanti dei diversi mestieri), le scuole, le carceri e il palazzo del podestà.
Dai sei portoni di accesso, che corrispondevano ai principali quartieri, partivano le vie più importanti della Milano medievale che proseguivano poi fuori le mura,collegando la città alla campagna, da dove giungevano i mercanti con i carretti carichi di prodotti da vendere.
Al posto del pozzo, un tempo c’era la “pietra dei falliti”, dove venivano pubblicamente puniti coloro che non riuscivano a pagare i propri debiti. Un altro tipo di punizione inferta pubblicamente nella piazza era i “tratti di corda”, dalle finestre del palazzo della Ragione pendeva una corda alla quale venivano legate le braccia del condannato che veniva poi sollevato a strattoni tante volte quante i giudici avevano stabilito. Nei secoli successivi la piazza divenne anche luogo di esecuzione delle condanne a morte per motivi politici. In passato la giustizia non era tanto tenera!
Curiosità: su un arco del palazzo della Regione si può vedere la scrofa coperta di lana solo per metà del corpo, dalla quale la leggenda vuole derivi  il nome di Milano (un aiuto: dal suo posto la scrofa non vede il pozzo…).
Un’altra curiosità: le vie contengono nel loro nome tracce del passato e qui intorno indicano i lavori svolti nelle antiche contrade: via Spadai, via Orefici, via Armorari…

 

PALAZZO REALE

Il palazzo sorge nella zona che nel Medioevo era occupata dal “brolo” dell’arcivescovo (brolo = giardino).
All’inizio in epoca comunale, in questo giardino, venivano convocate le prime assemblee dei cittadini per prendere le decisioni più importanti.
Ben presto fu necessario costruire un edificio dove potersi riunire al coperto e soprattutto dove conservare i documenti. Venne così edificatoli primo Palazzo Comunale, detto il Broletto.
Nel 1228 il governo comunale decise di spostare la propria sede allontanandosi dal palazzo dell’arcivescovo (e dal suo controllo!) e iniziò la costruzione del Broletto Nuovo.
Finita l’epoca comunale, Azione visconti, signore di Milano,scelse come residenza il vecchio palazzo del Comune, quello vicino al palazzo dell’arcivescovo e lo ricostruì ingrandendolo.
Alla fine del  ‘300 i Visconti, signori di Milano ricevettero dall’imperatore il titolo di duchi; da quel momento il palazzo fu chiamato Palazzo Ducale.
Nel 1535, dopo la caduta della signoria, gli spagnoli scelsero questo primo teatro stabile della città: il teatro ducale.
All’inizio del  ‘700 Milano passò sotto la dominazione austriaca. Durante il governo Maria Teresa d’Austria, il  palazzo venne rimodernato e trasformato nel palazzo Regio Ducale, residenza del nuovo arciduca.
I lavori vennero affidati all’architetto Giuseppe Piermarini che eliminò l’ala che sporgeva verso il duomo e creò una nuova facciata; naque così l’attuale piazzetta Reale. Piermarini progettò l’edificio nello stile architettonico allora di moda, chiamato NEOCLASSICO perché utilizzava elementi di architettura greca e romana, come le colonne e i capitelli. Questo stile predilige linee e forme geometriche e regolari che si contrappongono ai “fronzoli” e alle decorazioni caratteristiche del ROCOCO’ di moda fino alla metà del ‘700.
Oggi il Palazzo è sede di esposizioni temporanee.

 

 

TEATRO ALLA SCALA

 

In piazza della Scala si trova l’omonimo teatro, il più importane della città e uno dei più famosi nel mondo.
La sua storia inizia il 25 febbraio 1776, durante il carnevale, quando un incendio distrusse il Regio Teatro Ducale, che sorgeva all’interno del palazzo dell’arciduca in piazza Duomo.


La famiglia più in vista della città e lo stesso arciduca Ferdinando chiesero all’imperatrice Maria Teresa d’Austria di poter ricostruire velocemente un nuovo teatro.
Con la costruzione di quello vecchio veniva a mancare non solo la sala per rappresentare gli spettacoli, ma anche lo spazio dove si era soliti organizzare feste da ballo e giocare d’azzardo e soprattutto non esisteva più un luogo d’incontro per l’alta società.
Per motivi di sicurezza e di spazio si scelse di edificare il teatro in un altro luogo e difatti venne costruito nella zona dove sorgeva una chiesa medievale che venne distrutta ma il suo ricordo rimase per sempre nel nome del teatro: Regio Ducale Teatro alla Scala (la chiesa era intitolata Santa Maria alla Scala perché era stata dedicata alla fine del  ‘300 da Barnabò Visconti alla moglie Beatrice della Scala).


Il progetto, affidato al Piermarini, architetto ufficiale di corte, prevedeva un edificio in muratura con botteghe interne, cucine, un ristorante e sale da gioco. La Scala venne realizzata in soli due anni e la zona divenne una delle più vivaci della città. Frequentatissimi erano i caffé, dove si poteva giocare a biliardo, a carte, si discuteva di letteratura, di atre e spesso anche di politica. I caffé più famosi erano proprio intorno al teatro. Luoghi di ristoro, botteghe e alberghi vennero aperti per ospitare i viaggiatori che giungevano sempre più numerosi. In Europa, infatti, iniziava in quegli anni la moda del Grand tour (grande viaggio): scrittori, artisti e musicisti per completare la loro formazione, compivano un viaggio che permettesse loro di vedere le principali bellezze d’Italia.

Immaginiamo di essere ospiti nel palco di una nobile famiglia del  ‘700.


Lo spettacolo durava almeno almeno cinque ore, ma gli spettatori non si occupavano molto di ciò che accadeva in scena: chiacchieravano, si scambiavano saluti, visite di cortesia e pettegolezzi.
Le famiglie che avevano finanziato la costruzione del teatro facevano a gara per arredare il proprio palco con poltroncine, tavolini, specchiere…alla moda. Gli spettatori stessi, con i loro abiti e i loro comportamenti, facevano parte dello spettacolo: uno dei passatempi preferiti era quello di osservare, con finto disinteresse, ciò che accadeva negli altri palchi. Anche per questo le dame portavano un elegante binocolo.
Gli spettatori che non potevano permettersi un palco di proprietà acquistavano un biglietto di platea o un posto in loggione.
L’illuminazione elettrica non esisteva ancora e la sala era illuminata dalle candele. Contro il rischio di incendi, il Piermarini progettò un rudimentale dispositivo antincendio (una grande vasca piena d’acqua) collocato al centro della sala.
All’uscita il traffico era sempre congestionato: nella stretta via di fronte al teatro c’era una fila di carrozze che rendeva difficile anche il passaggio delle persone. La piazza non esisteva ancora e gli spettatori se la prendevano spesso con l’architetto che non aveva pensato al problema del traffico…
Da piazza della scala è possibile raggiungere una delle vie più importanti della città: via Manzoni intitolata allo scrittore Alessandro Manzoni (1785/1873), autore del romanzo “I Promessi Sposi”.

 

 

 

PALAZZO MARINO

Percorsa la galleria ci si trova in piazza della scala dove sorge l’edificio che oggi è quello di un ricco banchiere Tommaso Marino di origine genovese che fu costretto a fuggire dalla sua città natale e si rifugiò a Milano.
In quel tempo (‘500) la città era governata dagli Spagnoli che lo accolsero con favore anche per la sua grande ricchezza.
Marino acquistò vari edifici e terreni proprio dietro a piazza Duomo e diede l’incarico all’architetto Galeazzo Alessi di progettare un palazzo che fosse “il più bello della cristianità”. L’opera progettata era imponente, ma ad un certo punto, a causa delle enormi spese, i soldi finirono e i lavori vennero interrotti lasciando l’edificio incompiuto.
Nel 1861 il palazzo divenne sede del comune di Milano. Era necessario a questo punto completare il palazzo con una facciata degna del suo ruolo. Fu l’architetto luca Feltrami che realizzò alla fine dell’ 800.


IL TEATRO

Quando un’opera è stata inclusa nel cartellone e deve essere rappresentata in un dato periodo dell’anno, il lavoro di allestimento è già in pieno fervore diversi mesi prima dell’esecuzione.
Il sovrintendente del teatro lirico sceglie innanzitutto un direttore d’orchestra, ed un regista, che successivamente decidono insieme quali cantanti siano più adatti per ciascun ruolo. Il bozzettista, prepara, in seguito, una serie di schizzi dei vari costumi,allo scenografo spetta il compito di proporre un modellino per ogni scenario: con quinte, accessori, luci e le particolari soluzioni che di volta il volta si possono dimostrare  opportune.
A questo punto entrano in gioco le sarte, che confezionano abiti seguendo gli schizzi forniti dal bozzettista, mentre falegnami e macchinisti costruiscono ciò che sarà sistemato in palcoscenico. Intanto, pittori specializzati realizzano grandi scenari seguendo scrupolosamente i modelli e i disegni dello scenografo.
Nel frattempo, ciascuno dei cantanti solisti è stato separatamente ‘ripassato’ al pianoforte. Anche il coro è stato minuziosamente istruito sulla sua parte.
Il regista, dal canto suo, si prende cura di immaginare e di coordinare i movimenti e il tipo di recitazione scenica dei vari interpreti  e mette a punto ogni altro particolare tecnico- esecutivo, innanzitutto le luci!
Si accerta poi che gli operatori e di macchinisti di scena abbiano appreso tutti i movimenti esatti, più rapidi e più silenziosi per smontare uno scenario e montare il successivo.  È solo a questo punto che entra in azione l’orchestra; ai cantanti sono concesse solo tre o quattro prove:una di queste è quella ‘generale’.
L’allestimento di un’opera al Teatro alla Scala, considerato il ‘tempio della lirica’ viene realizzato da più di 100 persone.
Il Teatro alla Scala può contenere più di 2000 persone.
Immaginiamo di arrivare ad uno spettacolo: entrando dall’ingresso principale, si giunge nel ‘foyer’, una bellissima sala dove risplendono luminosi lampadari di cristallo.
Un corridoio conduce ai palchi, uno dei quali è riservato alle autorità.
Molti spettatori prenotano un piccolo spazio dove possono affacciarsi 5 persone.
In teatro si può anche vedere lo spettacolo dalle gallerie, una delle quali chiamata ‘loggione’.
Sopra la ‘platea’ è appeso un bellissimo lampadario che illumina l’intera sala.
Di fronte alla platea, nel ‘golfo mistico’ suona l’orchestra, composta da più di 100 musicisti.
Prima del palcoscenico, c’è l’avanscena mobile su cui si esibiscono i cantanti e i ballerini. Sul palcoscenico ci sono le quinte e il fondale.
Dietro il palcoscenico c’è una grande struttura che serve a cambiare le scenografie.


PINACOTECA  DI BRERA

 

Nel centro storico di Milano si trova la Pinacoteca di Brera.
Il nome Brera deriva dall’antico termine “braida” che significa terreno incolto, abbandonato.
Così doveva presentarsi questa zona quando, nel ‘200, l’ordine religioso degli Umiliati la scelse per costruirvi un convento e una chiesa.
Quando Carlo Borromeo, nel 1560 divenne Arcivescovo di Milano, cedette convento e chiesa a un nuovo ordine religioso, i Gesuiti, perché vi creassero una scuola e un collegio. Il vecchio convento venne trasformato dall’architetto Francesco Maria Richini (1584 – 1658).


All’epoca di Maria Teresa d’Austria (1717 – 1780), il collegio divenne proprietà dello Stato e l’architetto Piermarini venne incaricato di ristrutturare il palazzo che doveva, allora, contenere: l’Accademia di Belle Arti (ancora oggi una delle scuole d’arte più importanti d’Italia), la biblioteca, l’osservatorio astronomico e l’orto botanico. I lavori erano appena terminati quando Napoleone conquistò Milano.
Durante il governo napoleonico l’Accademia divenne sempre più importante e venne creata anche una raccolta di opere d’arte che inizialmente dovevano servire come modelli per gli studenti ma che divennero, poi, il primo nucleo della pinacoteca.


Nel giro di pochi anni la pinacoteca venne arricchita con molte opere d’arte provenienti dalle città conquistate da Napoleone o dalle chiese e dai conventi lombardi.
Per poter esporre queste opere fu necessario creare nuovi spazi.
Ne fece le spese la chiesa di Santa Maria che venne sconsacrata, perse la sua facciata e fu tagliata a metà come un panino: la pinacoteca si era così arricchita di quattro enormi saloni che da allora vennero chiamati “saloni napoleonici”.


Oggi il palazzo ospita ancora la pinacoteca, la biblioteca, l’accademia, l’osservatorio astronomico e l’orto botanico.
La statua al centro del cortile raffigura Napoleone, immaginato dallo scultore Canova come il dio della guerra Marte, nelle strane vesti di pacificatore

 

 


CASTELLO SFORZESCO

 

La storia di questo edificio è un po’ movimentata. I lavori per la costruzione iniziarono intorno al 1360, per ordine di Galeazzo Visconti. I vari signori che si succedettero alla guida della città lo ingrandirono e lo abbellirono.
Nel 1447 venne distrutto una prima volta, ma il nuovo duca di Milano, Francesco Sforza, lo fece riedificare in soli cinque anni e negli anni successivi fu tutto un gran cantiere per aggiungere torri, sistemare gli appartamenti, decorare saloni. A questo punto il castello era così ben difeso e organizzato che il figlio e successore di Francesco Sforza vi si trasferì con tutta la corte. Il castello raggiunse il suo massimo splendore alla fine del ‘400, durante il ducato di Ludovico il Moro. Dopo la caduta del duca ricominciarono i guai: il castello fu trasformato in caserma, così le feste da ballo e le eleganti dame lasciarono il posto alle esercitazioni militari e ai soldati a cavallo. Gli appartamenti ducali vennero utilizzati come camerate per i soldati e stalle per il ricovero dei cavalli.
Nel 1521 saltò in aria la torre di accesso che veniva ormai usata come polveriera. Successivamente vennero rinforzate e ampliate le difese e il castello venne circondato da nuove mura e nuovi fossati. Passarono circa due secoli di relativa tranquillità ma nel 1733, un nuovo terribile assedio danneggiò gravemente l’edificio. Quando Napoleone arrivò a Milano fece demolire quello che restava delle fortificazioni esterne per risistemare la zona circostante. Per tutto il secolo successivo il castello rimase una caserma. Non c’è da stupirsi che alla fine dell’800 ci fosse bisogno di un grande lavoro di restauro eseguito dall’architetto Luca Feltrami a partire dal 1893.

 

 

 


VISITIAMO IL CASTELLO

All’epoca di Francesco Sforza la facciata del castello doveva essere all’incirca come la vediamo oggi: due torrioni agli angoli dell’edificio considerati difese modernissime per la loro forma rotonda e una torre centrale chiamata torre del Filerete dal nome dell’architetto che la progettò.
La torre attuale non è però quella originale, ma una ricostruzione realizzata dal Beltrami al posto di quella saltata in aria nel 1521.
Superato l’ingresso ci si trova nella grande piazza d’armi, il luogo dove veniva raccolto l’esercito e dove si trovavano le scuderie e gli alloggi dei soldati.
Attraversata la piazza d’armi si raggiunge la torre di guardia. In epoca medievale, al posto di questa torre c’era l’antica porta Giovia: il primo castello fu costruito a cavallo delle mura e il fossato lo divideva in due parti. Superata la torre ci si trova nella corte Ducale, la parte del castello dove all’ epoca degli Sforza si svolgeva la vita di corte.
Le sale del castello vennero decorate sotto l’attenta direzione dei duchi che decidevano e imponevano ai pittori i soggetti da rappresentare, i colori da usare e soprattutto la quantità di oro zecchino con cui arricchire le decorazioni.

 

Al piano terreno della corte Ducale è allestito il museo di Arte Antica dove è possibile vedere:

il MONUMENTO FUNEBRE di BERNABO’ VISCONTI della seconda metà del ‘300 voluto da Gian Galeazzo Visconti nipote di Bernabò. Per conquistare il potere, Gian Galeazzo fece incarcerare lo zio, ma alla sua morte gli dedicò questa opera. I milanesi non furono addolorati dalla morte di Bernabò che era odiato per la sua crudeltà e per le pesanti tasse che imponeva.

i BASSORILIEVI che decoravano l’antica Porta Romana. In uno sono raffigurati i milanesi che, vinto Federico Barbarossa, riprendono possesso della città.

 

 

 

 

la SALA delle ASSE. Si riconosce perché le sue pareti sono coperte da assi di legno e il suo soffitto è decorato con rami d’albero che si intrecciano. La decorazione, eseguita da Leonardo da Vinci, doveva far immaginare a chi si trovava nella sala di essere all’aria aperta, sotto un pergolato.

 

 


La CAPPELLA musicale, fatta decorare da Galeazzo Maria Sforza con un cielo blù stellato nel quale sono raffigurati Dio padre al centro e sotto Gesù risorto dal sepolcro. In questa cappella i duchi si recavano ad ascoltare musici e cantori che Galeazzo Maria chiamava alla sua corte perfino da paesi stranieri.

la PIETA’ RONDANINI, l’opera più importante conservata in questo museo. E’ l’ultima scultura realizzata da Michelangelo Buonarotti (1475/1564) e raffigura Maria che sorregge tra le braccia Gesù, dopo che i soldati l’hanno tolto dalla croce. Forse è faticoso riconoscere le due figure; Michelangelo, infatti, aveva iniziato a scolpirle separate, in un blocco di marmo molto più grande, ma a metà del lavoro decise di distruggere la figura di Cristo e di ricavare dalla figura della Vergine anche il corpo di Gesù, per dimostrare l’unione tra la madre e il figlio.

Usciti dal Museo ci si trova nuovamente di fronte alla corte Ducale.
Osserviamo lo scalone: i gradini sono molto bassi per permettere ai nobili signori di salire direttamente a cavallo.
Lasciando alle spalle la corte Ducale si entra nella Rocchetta dove si può visitare il piccolo museo egizio e il museo degli strumenti musicali.

 

Curiosità
La Rocchetta è la zona più protetta del castello. Al centro del cortile si erge la torre di Bona, fatta costruire da Bona di Savoia moglie di Galeazzo Maria Sforza. Nel 1476 il duca venne assassinato in una congiura, suo figlio legittimo erede del ducato aveva solo sei anni. Bona si trovò così a governare la città in attesa che il bimbo crescesse. Per proteggersi meglio da altre possibili  congiure, la giovane duchessa decise di trasferirsi con tutta la sua corte all’interno della Rocchetta. Ad aiutarla in questa difficile impresa c’era un abile consigliere, Cicco Simonetta. Ma incurante dei suoi consigli, Bona accolse nella Rocchetta uno dei cognati, Ludovico il Moro. Nel giro di un anno accadde quello che Cicco Simonetta aveva previsto: Ludovico si fece nominare tutore del bambino e prese il potere; Bona fu cacciata da Milano e lo sfortunato consigliere venne decapitato.
Gli anni in cui governò Ludovico il Moro furono comunque anni di gloria per il castello. Egli aveva creato una corte di tipo rinascimentale chiamando presso di sé alcuni dei più importanti letterati e artisti dell’epoca.
Tra gli artisti ci fu Leonardo da Vinci (1452/1519) che si era presentato al Moro con una famosa lettera nella quale elencava tutto quello che sapeva fare: costruire macchine da guerra, incanalare acque, organizzare feste, scolpire e dipingere. Leonardo divenne così “l’ingegnere” di corte. A lui il Moro commissionò le nuove fortificazioni del castello e molti altri lavori, a lui ricorreva per le decorazioni dei saloni in occasione di feste importanti……e le feste a quell’epoca erano davvero favolose!!!!


CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE

La chiesa che era stata costruita da soli dieci anni quando, nel 1492, Ludovico il Moro affidò a Bramante il compito di trasformarla per farne il mausoleo della propria famiglia ( vi fece seppellire la moglie Beatrice d’Este).
L’architetto decise di lasciare inalterata la zona delle navate e di ricostruire il resto della chiesa. Osservando la fiancata dell’edificio da lontano si possono identificare facilmente le due parti.
La prima, progettata dall’architetto lombardo Solari, è più bassa e ha finestre rotonde alternate a finestre di forma gotica (lunghe, strette,leggermente a punta), i muri sono realizzati in mattoni rossi con decorazioni in bianco.
La seconda,chiamata “tribuna del Bramante” è molto più alta e somiglia a un grande cubo con dei ”rigonfiamenti” laterali e n enorme “cilindro” appoggiato sopra. Nel cilindro si aprono molte finestre. I colori qui sono invertiti: il bianco fa da sfondo e il rosso è da decorazione.
Anche all’interno le due parti della chiesa sono facilmente distinguibili. Le tre navate con le cappelle, residuo dell’opera di Solari, sembrano essere un buio corridoio che porta verso l’altare sopra al quale si apre la luminosa tribuna del Bramante. A sinistra dell’altare c’è una porticina che conduce al chiostro piccolo; percorrendo i portici e alzando lo sguardo si ha la meravigliosa visione sull’esterno della tribuna.

 

IL CENACOLO VINCIANO

Usciti dalla chiesa, si va verso il refettorio dove si trova il famosissimo dipinto dell’ Ultima Cena di Leonardo da Vinci.
Negli stessi anni in cui Bramante rifaceva la tribuna della chiesa, Ludovico il Moro aveva dato incarico al grande Leonardo di affrescare una parete del refettorio del convento dei domenicani.
Il soggetto da raffigurare era quello classico delle sale dove i monaci si riunivano per mangiare: l’ Ultima Cena di Gesù con gli apostoli.
Leonardo iniziò a lavorare al Cenacolo nel 1495 e in due anni lo portò a termine, cosa assai strana per quest’artista che, per mania di perfezione, tendeva a lasciare incompiute le sue opere, oppure a ultimarle in tempi lunghissimi.
I suoi contemporanei raccontano che era capace di restare interi giorni sul ponteggio a dipingere senza neanche ricordarsi che doveva mangiare. Poi, in momenti in cui non era ispirato al refettorio, si fermava qualche ora a contemplare l’opera e a riflettere senza toccare pennello. Alcuni giorni, invece, lo si vedeva abbandonare improvvisamente ciò che stava facendo,correre alla chiesa delle Grazie, entrare nel refettorio, prendere il pennello e i colori e dare alcune pennellate su un volto o su un particolare di un dipinto. Dato il suo modo di lavorare, era impensabile che Leonardo utilizzasse la tecnica classica dell’affresco che costringeva l’artista a lavorare con tempi fissi e gli impediva di modificare ciò che era stato dipinto (cosa che Leonardo continuava a fare).
Per realizzare un affresco, infatti, era necessario preparare ogni volta la zona della parete dove si intendeva dipingere scalpellandola e coprendola con uno spesso strato di intonaco. Il dipinto doveva essere eseguito sull’intonaco quando questo era ancora “fresco” (da qui il nome della tecnica) in modo che i colori venissero assorbiti in profondità. Solo così un dipinto su parete poteva resistere per secoli; se anche ne veniva danneggiata la parte superficiale, i colori restavano negli strati profondi. Naturalmente se il pittore aveva un ripensamento e voleva cambiare qualcosa doveva scalpellare l’intonaco e ricominciare tutto da capo; altrimenti il ritocco “a secco” restava superficiale ed era destinato, prima o poi, a staccarsi.
Così è successo al Cenacolo, dipinto con la tempera su uno strato di gesso secco. Dopo soli cinquant’anni dalla sua realizzazione chi si recava a vedere il capolavoro di Leonardo restava colpito dal fatto che il dipinto fosse già scrostato alcune figure si vedessero a fatica. Oggi, nonostante i restauri, il Cenacolo è quasi scomparso.
Abitualmente i pittori rappresentavano l’Ultima Cena, nel momento in cui Gesù consacra il pane e il vino: Gesù è al centro, Giovanni, il più giovane, gli appoggia la testa sulla spalla e Giuda, il traditore, viene rappresentato da solo, sull’altro lato della tavola.
Leonardo, invece, sceglie di rappresentare un omento diverso e, come si può vedere, questa volta c’è molta più agitazione: Gesù ha appena rivelato agli apostoli che uno di loro lo tradirà.
Leonardo immagina di essere testimone della scena senza conoscerne il finale e rappresenta gli apostoli nel momento in cui cercano di discolparsi e di scoprire chi sia il traditore.
Giuda, colto di sorpresa, non ha avuto il tempo di nascondere il sacchetto che contiene i trenta denari e sembra che cerchi di ritrarsi.
Giovanni, che era stato fino a poco tempo prima appoggiato a Gesù, si è tirato indietro e ascolta le parole di un altro apostolo.
Si sono formati dei piccoli gruppi e Gesù è rimasto solo al centro. Per evidenziare il suo isolamento Leonardo ne ha incorniciato la figura in una finestra che fa da sfondo.
Durante la guerra, il soffitto e le pareti lunghe del refettorio delle Grazie crollarono a causa dei bombardamenti; le due pareti corte, con i loro affreschi restarono in piedi grazie alla previdenza dei monaci che le avevano protette con impalcature e sacchi di sabbia.  

 


AND NOW.......  WELCOME TO MILAN

G. : “This is my town. We studied the history and we visited the most important sights of the town with our teachers.
We learnt that Celtic or Gallic and Roman inhabited here”.

 

T. : “Oh sugar! Milan and London have got the same origin!”

G. : “Infact! Milan was an imperial town and London was roman encampment during the Roman Empire”.

 

T. : “Where can we see the sights of the Roman domination?”

 

G. : “You can see it in the Archeological   Museum: there is a big plastic model that rappresent Milan when it was capital of Roman Empire and you   can see a lot of Roman sights around the museum.  
There are also a lot of Roman  churches in Milan, like   St. Lowrence basilica and St. Ambrose basilica.
St. Ambrose basilica consecrated to patron saint of Milan and in front of St. Lawrence basilica there are St. Lawrence columns. It’s another Roman sights.

T. : “Are these two basilicas the most important churches in Milan?”

G. : “Yes, it is and they are among the most ancient churches, too”.

T. : “ And is there a cathedral?”

G. : “ Yes, there is. It’s a gothic cathedral called ‘Duomo’. In this church St. Charles is buried under high altar and on the top of taller spire there is a gold statue of the Virgin. The Milanese love this statue!”

T. : “ And, what can I see in Milan too?”

G. : “You can see Sforza Castle, Scala Theatre and Brera Art gallery”.
Sforza Castle was residence of Visconti family and then Sforza family. They were the most important family in Milan during the Middle Ages and Renaissence. Now the Castle is a  museum. Scala theatre is theatre operatic music and there’s very important museum.
In the Brera Art Gallery there are a lot of pictures by well-Know painters”.

 

Fonte:http://www.icsfilzi.it/guidaturisti__4_2006-2007.doc

Autore del testo: CLASSI QUARTE ISTITUTO COMPRENSIVO “FABIO FILZI” PLESSO W. FERRARI

 

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