Filosofia del linguaggio
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SEMIOTICA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO E FILOSOFIA DEL DIALOGO IN BACHTIN E VOLOSINOV 1929.
Premessa
Il libro Marxismo e filosofia del linguaggio fu stampato a Leningrado nel 1929 ed è, a mio avviso, non solo un'opera di straordinario valore ma anche la principale via d'accesso per comprendere la teoria filosofico-linguistica e semiotica che sostanzia la filosofia del dialogo di Michail Bachtin.
L'apparente linearità di questa proposizione, che costituisce il senso ultimo del presente scritto, si scontra però con alcuni fatti contraddittori. In primo luogo va notato che tale volume non è stato pubblicato con il nome del grande filosofo e critico letterario russo, ma sotto quello di un suo amico, V. N. Volosinov scomparso già alla fine degli anni Trenta; a questa constatazione va poi aggiunta quella che Bachtin non rivendicò mai esplicitamente la paternità di Marxismo e filosofia del linguaggio e che allo stato attuale degli atti non vi è alcun documento legale che dirima in forma ultimativa la complessa questione dei ruoli diversi che ebbero Bachtin e Volosinov nella composizione e pubblicazione dell'opera.
In altra sede ho analizzato i motivi complessi e non facilmente decifrabili di questa paradossale scelta bachtiniana - si può ipotizzare che Bachtin non abbia voluto dichiarare come suo Marxismo e filosofia del linguaggio in onore dell'amicizia che lo aveva legato a Volosinov e per non venir meno dunque al debito di gratitudine che lo univa pur sempre all'amico morto - e ho mostrato anche come tale mancata rivendicazione non possa comunque mettere in dubbio la paternità bachtiniana di Marxismo e filosofia del linguaggio, pienamente accertabile sul piano lessicale e logico-filosofico. Se tutto ciò resta vero, nondimeno credo anche opportuno che uno studio dedicato a Marxismo e filosofia del linguaggio associ comunque il nome di Volosinov a quello di Bachtin e questo sia per i motivi precedentemente esposti sia per non contrastare l'esplicita volontà di Bachtin (cfr. per un primo approfondimento Jachia 1992, 1993 e 1996 e Ponzio, Jachia, De Michiel 1996).
Alla luce di tutte queste considerazioni ho ritenuto necessario dedicare la maggior parte del presente saggio all'analisi dettagliata e autonoma di Marxismo e filosofia del linguaggio e il solo ultimo paragrafo alla verifica dell'affermazione - posta all'inizio del saggio - che le riflessioni filosofico-linguistiche e semiotiche contenute in Marxismo e filosofia del linguaggio siano non solo l'irrinunciabile punto di partenza dell'intera e successiva ricerca bachtiniana nei campi dell'estetica, della teoria letteraria e della semiotica, ma costituiscano anche parte integrante della bachtiniana filosofia del dialogo responsabile, ossia di quella proposta filosofica che è propria e caratteristica di tutto il lavoro scientifico di Bachtin (cfr. per un ulteriore approfondimento Jachia 1993 dal titolo significativo di "Il fondamento metalinguistico della filosofia critica e dialogica di M. Bachtin").
Precisato tutto questo si può iniziare col dare alcune indicazioni generali sull'articolazione del libro e sulla sua elegante e funzionale triplice ripartizione.
Come avrò poi modo di approfondire, tale triplice partizione ci porta da una impostazione generale del problema dello statuto di una filosofia del linguaggio d'ispirazione marxista e da una sua definizione polemica rispetto ad altre impostazioni linguistico-filosofiche (cui sono dedicate la prima e seconda parte) ad una terza parte concernente la soluzione di alcuni importanti problemi di sintassi e riguardante la "parola altrui" e il discorso riportato, come esemplificazione concreta di quanto prima affermato sul piano teorico e polemico e come prolegomeni concreti alla bachtiniana "filosofia del dialogo responsabile".
Tale complesso sviluppo logico-filosofico viene così sinteticamente presentato da Jakobson nella sua presentazione-prefazione all'edizione francese: "La prima e la seconda parte discutono acutamente i problemi della filosofia del linguaggio; in particolare la questione dei rapporti fra linguaggio e ideologia; il posto del linguaggio nella prospettiva della semiotica generale, il discorso interno e i problemi dell'introspezione, come pure la dialettica del linguaggio. La concezione saussuriana e la posizione crociana - con la sua connessa ascendenza romantica e humboldtiana (P.J.) - sono sottoposte ad una profonda analisi comparativa. I concetti di lingua, linguaggio e parole sono interpretati nei loro diversi ruoli sociali e in riferimento alla comunicazione interpersonale e intrapersonale. I ruoli di mittente e di destinatario sono chiariti, e la nozione di tema e di significato sono oggetto di uno studio comparativo. La terza parte, intitolata 'Per una teoria delle forme di espressione nelle costruzioni linguistiche: Studio dell'applicazione del metodo sociologico ai problemi di sintassi', presenta una magistrale indagine intorno ai problemi sintattici e in particolare alle relazioni fra le frasi. Questa parte esamina gli intricati problemi del discorso citato: 'oratio directa' e 'obliqua', e le loro varie modificazioni e sostituzioni. Materiali linguistici francesi, tedeschi e russi, sono analizzati da questo punto di vista con opportune osservazioni sul linguaggio colloquiale e poetico e con particolare attenzione alle implicazioni sociologiche delle varianti stilistiche" (Jakobson 1977, pp. 7-8).
Volosinov/Bachtin insiste dunque sull'importanza della terza parte affermando che essa è "una ricerca concreta su un problema di sintassi": diversamente si potrebbe dire che "l'idea principale di tutto il nostro lavoro - il ruolo produttivo e la natura sociale dell'atto di parola - manca di concretizzazione".
E' necessario quindi per Volosinov/Bachtin "mostrarne il significato non solo sul piano di una concezione generale del mondo e di problemi principali della filosofia di linguaggio, ma anche in problemi particolari e peculiari della linguistica. Infatti se un'idea è esatta e produttiva, questa sua produttività deve mostrarsi ovunque" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 52).
In tal modo il pensiero di Volosinov/Bachtin si muove, coerentemente alla concezione storica-dialettica marxista, dal generale e dall'astratto verso il particolare e il concreto al fine di giungere sì ad una nuova sintesi teorica ma carica di storica concretezza: pertanto Marxismo e filosofia del linguaggio parte da problemi filosofici generali e giunge a problemi di linguistica generale e da essi a un problema più specifico situato al confine della grammatica (sintassi) e della stilistica, il tutto senza mai lasciare "l'idea generale" della socialità creativa della lingua e della parola. Infatti il postulato dal quale si articola la riflessione filosofico-linguistica di Volosinov/Bachtin è che la lingua, per il medium ineliminabile della socialità immanente dell'atto di parola, è sempre ideologicamente e culturalmente significativa, e che dunque, a loro volta, cultura e ideologia, storia e società trovano il loro principale canale espressivo nella parola.
Così Volosinov/Bachtin non solo mantiene e invera la correlazione dialettica marxiana di struttura economica/sovrastruttura ideologica, ma formula una sua propria originale filosofia del linguaggio di libera ispirazione marxista.
Questa originale riflessione appare anche risolutiva, come si vedrà in seguito, di alcune delle aporie delle principali teorie linguistiche a lui contemporanee e precedenti.
In particolare Volosinov/Bachtin identifica i suoi obiettivi polemici in due tradizioni contrapposte grossomodo risalenti la prima al romanticismo tedesco e a Humboldt, la seconda al razionalismo franco-inglese a Cartesio e a Leibniz, teorie dunque storicamente determinate e che portano oggi da un lato a Vossler e Croce e, dall'altro, alla scuola di Ginevra e a Saussure.
Per la prima "corrente" filosofico-linguistica, che considera come base del linguaggio "l'atto creativo individuale" Volosinov/Bachtin propone la definizione aspra e polemica di "soggettivismo individualistico": di essa fanno parte oltre a Humboldt, presente in qualità di "fondatore" linguisti e filosofi come Vossler, Croce, Potebnja, Steinthal, Spitzer, ecc.
Per la seconda "corrente" filosofico-linguistica, Volosinov/Bachtin, rilevata la sua insistenza sul concetto di "sistema linguistico" come sistema "stabile", "invariabile", "oggettivo", propone la definizione altrettanto critica di "linguistica dell'oggettivismo astratto ipostatizzante".
Se a proposito di questa bipartizione di Volosinov/Bachtin va ricordato che in Russia la tradizione linguistica humboldtiana e di derivazione latamente romantica era comunemente sentita come opposta alla tradizione linguistica "cartesiana" e saussuriana (cfr. Matejka 1977, p. 148), da altro canto va nondimeno rilevato che ciò non toglie che l'originalità di Volosinov/Bachtin si ponga a livello della motivazione di tale contrapposizione e, come si vedrà più avanti, nel tentativo di superarla dialetticamente.
Alla luce di quanto ora detto e dell'ampia articolazione del volume di Volosinov/Bachtin analizzerò nel primo paragrafo, per motivi logici e solo in parte cronologici, la vasta temperie filosofica e linguistica del "soggettivismo linguistico", i cui rappresentanti furono, per Volosinov/Bachtin, "i primi filologi della lingua materna, i primi a tentare una ristrutturazione radicale del pensiero linguistico" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 155); il secondo paragrafo sarà invece dedicato all'esposizione dell'oggettivismo linguistico, mentre il terzo e il quarto presenteranno la confutazione proposta da Volosinov/Bachtin di entrambi i movimenti. I successivi due paragrafi presenteranno le proposte di Volosinov/Bachtin 1929 in merito alla linguistica, alla semiotica e in generale alle scienze umane, lasciando all'ultimo paragrafo la verifica della loro congruità - come già detto - rispetto alla filosofia del dialogo di Bachtin.
1 Esposizione del soggettivismo linguistico
Caratteristica precipua secondo Volosinov/Bachtin della prima tendenza è che essa "considera base del linguaggio (per linguaggio intendendo tutte le manifestazioni linguistiche senza eccezioni) l'atto creativo individuale del discorso".
Pertanto se "la fonte del linguaggio è la psiche individuale" e il linguaggio è "un processo continuo, una creatività incessante", ne segue che le leggi della creatività del linguaggio sono "le leggi della psicologia individuale e queste leggi sono esattamente ciò che il linguista e il filosofo del linguaggio dovrebbero studiare". Dunque spiegare un fenomeno linguistico significa "conformarlo ad un significativo (spesso anche discorsivo) atto individuale di creatività. Ogni altra cosa che il linguista fa ha soltanto un carattere preliminare, delineatorio, descrittivo, o classificatorio; è destinata soltanto a preparare il terreno per la vera spiegazione del fenomeno linguistico in termini di atto creativo individuale o a servire agli scopi pratici dell'insegnamento della lingua. Il linguaggio, così considerato, è analogo ad altri fenomeni ideologici, in particolare, all'arte - all'attività estetica" (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, pp. 108-109).
La concezione fondamentale del linguaggio della prima tendenza, il soggettivismo linguistico consta perciò, come precisato da Volosinov/Bachtin nelle stesse pagine, di questi quattro principi fondamentali:
1. Il linguaggio è attività, un processo incessante di creazione (energeia) realizzata in atti di parola individuali;
2. Le leggi della creatività del linguaggio sono le leggi della psicologia individuale;
3. La creatività del linguaggio è creatività significativa, analoga all'arte creativa;
4. La lingua come prodotto confezionato (ergon), come sistema stabile (lessico, grammatica, fonetica), è, per così dire, la crosta inerte, la lava indurita della creatività del linguaggio, di cui la linguistica fa un costrutto astratto ai fini dell'insegnamento pratico della lingua come strumento costituito".
Se questi dunque i principi della corrente denominata da Volosinov/Bachtin "soggettivismo individualistico" e precisato che per approfondimento critico di queste posizioni si tornerà più avanti, si può ora procedere, ad analizzare quella che i due filosofi russi chiamano la seconda tendenza della filosofia del linguaggio.
2 Esposizione dell'oggettivismo linguistico astratto
Secondo il filosofo russo "il centro organizzativo di tutti i fenomeni linguistici, quello che li rende l'oggetto specifico di una scienza speciale del linguaggio, si sposta nel caso della seconda tendenza su un fattore interamente diverso - sul sistema linguistico come sistema delle forme fonetica, grammaticale e lessicale del linguaggio". E dunque "se per la prima tendenza, il linguaggio è un flusso sempre corrente di atti del discorso in cui niente rimane fisso e identico a se stesso, per la seconda tendenza il linguaggio è un arcobaleno immobile inarcato su quel flusso": "ogni atto creativo individuale, ogni espressione, è idiosincratica e unica, ma ogni espressione contiene elementi identici ad elementi di altre espressioni del gruppo linguistico dato. E sono precisamente questi fattori -il fattore fonetico, quello grammaticale e quello lessicale che sono identici e perciò normativi per tutte le espressioni - ad assicurare l'unità della lingua data e la sua comprensione da parte di tutti i membri di una data comunità" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 113-114).
Da questa premessa Volosinov/Bachtin desume i quattro "principi fondamentali" della seconda tendenza:
1 la lingua è un sistema stabile, invariabile, di forme linguistiche normativamente identiche che la coscienza individuale trova costituito e che per questa coscienza è incontestabile.
2 le leggi della lingua sono leggi specificamente linguistiche di connessione tra i segni linguistici in un dato sistema linguistico chiuso. Queste leggi sono oggettive rispetto a qualsiasi coscienza soggettiva.
3 Le connessioni specificamente linguistiche non hanno niente in comune con i valori ideologici (artistici, conoscitivi o altri). I fenomeni della lingua non si fondano su motivi ideologici. Tra la parola e il suo significato non si stabilisce nessuna connessione di tipo naturale e comprensibile per la coscienza, o di tipo artistico.
4 Gli atti individuali del parlare, sono, dal punto di vista della lingua, rifrazioni e variazioni semplicemente fortuite, o pure e semplici alterazioni di forme normativamente identiche; ma proprio questi atti del discorso individuale spiegano la variabilità storica delle forme linguistiche, una variabilità che, dal punto di vista del sistema della lingua, è in se stessa irrazionale e senza senso. Non c'è nessuna connessione, nessuna compartecipazione di motivi, tra il sistema della lingua e la sua storia. Sono estranei l'uno all'altra (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, pp. 120 e 121).
Affermato ciò Volosinov/Bachtin precisa che, se le radici storiche di questa tendenza devono essere cercate nelle "posizioni cartesiane" e nel razionalismo del XVII e del XVIII secolo", oggi "tutte le idee della seconda tendenza sono state esposte con sorprendente chiarezza e precisione da Ferdinand de Saussure" (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, p. 122). Poiché non è possibile approfondire qui analiticamente quanto sinteticamente affermato da Volosinov/Bachtin, credo invece sia opportuno precisare la critica di principio che Volosinov/Bachtin fa dell'idee dell'oggettivismo astratto e accennare solo marginalmente al vasto quadro storico in cui esso va collocato.
3 Critica dell'oggettivismo linguistico astratto
Volosinov/Bachtin in primo luogo afferma che le matrici originarie dell'oggettivismo astratto vanno cercate - "più che in questo o in quell' autore o in qualche indirizzo filosofico-linguistico particolare" - in una particolare sfera di interessi teorici propri dell'analisi filologica. Infatti "alla base delle modalità del pensiero linguistico che porta a postulare la lingua come sistema di forme normativamente identiche si trova una concentrazione teorica e pratica dell'attenzione sullo studio di lingue straniere, morte, conservate in documenti scritti. Questo orientamento filologico ha determinato l'intero corso del pensiero linguistico nel mondo europeo in misura assai considerevole. (...) Il pensiero linguistico europeo prese forma e maturò grazie all'interesse per i cadaveri delle lingue scritte; quasi tutte le sue categorie fondamentali, tutte le sue tecniche e i suoi passi fondamentali furono elaborati nel processo di riesumazione di questi cadaveri. Il filologismo è l'inevitabile segno distintivo dell'intera linguistica europea così come è stata determinata dalle vicende storiche della sua nascita e del suo sviluppo. Per quanto indietro nel tempo possiamo andare nel tracciare la storia delle categorie e dei metodi linguistici, troviamo filologi dovunque. Non solo gli alessandrini, ma anche gli antichi romani erano filologi, come lo erano i greci (Aristotele è un tipico filologo). (...) Possiamo affermare immediatamente: la linguistica fa la sua apparizione dove e quando è apparsa una necessità filologica. La necessità filologica dette alla luce la linguistica" (Volosinov/Bachtin 1929, pp. 137-138).
In coerenza a questa impostazione per la quale la linguistica "studia una lingua viva come se fosse morta e la lingua materna come se fosse straniera", Volosinov/Bachtin riformula ed amplia criticamente, alla fine del secondo capitolo della seconda parte della sua opera, le caratteristiche che sono alla base dell'oggettivismo astratto nel seguente modo:
1. Privilegia il fattore dell'auto-identità permanente nelle forme linguistiche rispetto alla loro mutabilità.
2. Privilegia l'astratto rispetto al concreto.
3. Privilegia la sistematizzazione astratta rispetto alla realtà storica.
4. Privilegia le forme degli elementi rispetto alla forma del complesso.
5. Reifica l'elemento linguistico isolato in quanto si trascura la dinamica del linguaggio.
6. Singolarizza il significato e l'accentuazione della parola in quanto trascura la sua viva polivalenza semantica e accentuativa.
7. Propone la nozione della lingua come prodotto già pronto, trasmesso per tradizione da una generazione all'altra.
8. Mostra una incapacità di tematizzare il processo generativo interno di una lingua.
Sinteticamente si può dire che gli errori più gravi dell'oggettivismo astratto sono per Volosinov/Bachtin l'aver considerato la lingua nella sua dimensione sincronica e astorica e il suo non essere riuscito a dare una giustificazione al mutamento storico delle forme linguistiche. E' facile rilevare che, secondo Volosinov/Bachtin, esso è pertanto incapace di "legare insieme l'esistenza della lingua nella sua dimensione sincronica, astratta, con l'evoluzione della lingua" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 152).
Nel reificare il sistema della lingua e nel considerare la lingua viva come se fosse morta e straniera l'oggettivismo astratto fa della lingua qualcosa di esterno al flusso storico della comunicazione verbale.
La considerazione della lingua come sistema di forme normativamente identiche è il risultato di un processo di astrazione che, se è funzionale allo studio delle lingue straniere, è inaccettabile sia oggettivamente - la lingua è infatti soggetta a un continuo processo di trasformazione - sia dal punto di vista soggettivo, del parlante-ascoltatore, per il quale è imprescindibile l'adattabilità del segno verbale a nuovi contesti.
Per far ciò, ossia per ridurre il valore comunicativo della lingua ed enfatizzare quello meramente segnaletico, l'oggettivismo astratto, ed è questo il suo secondo errore, ha dovuto rifiutare "la natura profondamente ideologica dell'espressione linguistica" e ha rinunciato a considerare il fatto che le parole sono sempre veicoli ideologici e che il significato di una parola è determinato interamente dal suo contesto storico, ossia che è l'accentuazione valutativa ed ideologica ciò che fa di una forma linguistica astratta una parola storicamente determinata (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, p. 152-153).
In altre parole l'oggettivismo astratto non ha compreso la differenza tra segno e segnale, tra comprensione e identificazione. Infatti l'oggettivismo astratto, proponendo una concezione della lingua come sistema di forme normativamente identiche, non avverte che essa non può servire da base per la comprensione e per la spiegazione dei fatti linguistici così come esistono e come diventano operanti nella realtà.
Per Volosinov/Bachtin naturalmente, da tutto ciò, non deriva che i fattori della segnalizzazione e del suo correlato, l'identificazione, siano "assenti" dalla lingua: "essi sono presenti, ma non sono costitutivi della lingua come tale. Sono dialetticamente cancellati dalla nuova qualità del segno cioè, del linguaggio come tale). Nella lingua materna del parlante, cioè, per la coscienza linguistica di un membro di una particolare comunità linguistica, l'identificazione del segnale è cancellata certamente in modo dialettico. Nel processo di approfondimento di una lingua straniera, la segnalità e l'identificazione si fanno ancora sentire, per così dire, e devono ancora essere superate, non essendo diventata la lingua ancora pienamente lingua. L'ideale nella padronanza di una lingua è che la segnalità si risolva in pura segnità e l'identificazione in pura comprensione" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 135).
Al contrario il sistema normativo proposto dall'oggettivismo astratto "ci conduce lontano dalla realtà viva, dinamica, della lingua e delle sue funzioni sociali". Inoltre, nonostante il fatto che i teorici dell'oggettivismo astratto rivendichino un significato sociologico al loro punto di vista, "alla base della teoria dell'oggettivismo astratto ci sono presupposti di una visione razionalistica e meccanicistica del mondo".
Secondo Volosinov/Bachtin questi presupposti sono "i meno capaci di fornire le basi per una comprensione appropriata della storia - e la lingua, in definitiva, è un fenomeno puramente storico" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 153).
L'oggettivismo astratto inoltre, "assumendo il sistema della lingua e considerandolo come punto cruciale dei fenomeni linguistici, ha rifiutato l'atto di parola -l'espressione - considerandolo qualcosa di individuale" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 154).
Alla luce di questa concezione Volosinov/Bachtin in particolare contesta a Saussure, considerato capofila contemporaneo dell'oggettivismo astratto, la rigida contrapposizione langue / parole e l'incomprensione che "lo stesso atto di parole, momento della creatività linguistica, è un fatto sociale" (Ferrario 1977, p. 240).
Tale errore deriva non solo da una scorretta impostazione linguistica, ma più in generale da un'angusta concezione del termine sociale, comune comunque a tutte queste tradizioni linguistiche e sulla quale abbiamo, con Volosinov/Bachtin, già a lungo insistito qui e nei paragrafi precedenti.
Secondo Volosinov/Bachtin dunque non è possibile, sulla base di questa tendenza, accedere al problema dell'espressione né, di conseguenza, al problema della generazione verbale del pensiero e della psiche soggettiva.
Tale errata impostazione ha una origine complessa ed articolata che Volosinov/Bachtin concentra in una pagina davvero mirabile e che, parzialmente già citata, mi pare opportuno riportare per intero per concludere e sintetizzare gli spunti polemici finora presentati.
Afferma Volosinov/Bachtin: "Caratteristica di tutto il razionalismo è l'idea della convenzionalità, dell'arbitrarietà del linguaggio e non meno caratteristica è la comparazione del sistema della lingua con il sistema dei segni matematici. Non la relazione del segno con la realtà oggettiva da esso riflessa o con l'individuo che lo ha generato bensì la relazione tra segno e segno all'interno del sistema chiuso, accettato e ammesso una volta per tutte, interessa i razionalisti, data la loro inclinazione per la matematica. In altre parole essi sono interessati soltanto alla logica interna del sistema stesso dei segni, preso, come in algebra, indipendentemente dai significati ideologici che li riempiono. I razionalisti possono al limite tenere conto della visuale dell'ascoltatore ma non tengono affatto conto della visuale del parlante in quanto egli esprime la sua vita interiore. Infatti il segno matematico non può essere affatto considerato espressione della psiche individuale ed il segno matematico era per i razionalisti il modello ideale di qualsiasi segno, ivi compreso quello linguistico. Bisogna notare a questo punto che il primato della visuale dell'ascoltatore rispetto a quella del parlante rimane una caratteristica costante della seconda tendenza. Da ciò deriva che in questa tendenza non è possibile impostare i problemi dell'espressione e di conseguenza il problema della formazione del pensiero e della psiche soggettiva nella parola" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 173).
Se pertanto restano valide alcune impostazioni problematiche dell'oggettivismo astratto, esso è nel suo complesso, secondo Volosinov/Bachtin, da respingere.
Per concludere vorrei tornare su uno dei principali punti della concezione linguistica di De Saussure e sull'interpretazione che ne dà Volosinov/Bachtin.
Mi pare di grande rilievo il fatto che De Mauro, uno dei maggiori interpreti della opera di De Saussure, precisi "l'evidente carattere dialettico" della distinzione langue-parole, la quale costituisce assieme al principio dell'arbitrarietà, "'la prima verità' del suo sistema di linguistica generale".
Tale aspetto però non fu sufficientemente compreso ed anzi la tradizione esegetica corrente interpretò, forzando il pensiero di De Saussure, la distinzione tra langue e parole come "la distinzione tra due realtà scisse e contrapposte, due cose diverse, l'una nella società, l'altra nell'anima degli individui" (De Mauro 1979, pp. 387-388).
Se dunque è doveroso notare che anche Volosinov/Bachtin, per evidenti motivi storici e polemici, rimase legato a tale impostazione, è altresì possibile avvertire una profonda consonanza tra la sua impostazione e l'autentica interpretazione delle teorie di De Saussure.
Alla luce di questa considerazione mi pare corretto affermare che Volosinov/Bachtin avesse inteso colpire, attraverso il nome di De Saussure, non tanto la concezione dialettica del linguista ginevrino, quanto una impostazione meccanicistica dei problemi filosofico-linguistici.
4 Critica del soggettivismo linguistico
Fermo tutto ciò per Volosinov/Bachtin il punto cruciale del soggettivismo individualistico è specularmente l'incomprensione di cosa sia l'atto di parola - l'espressione.
Secondo il filosofo russo il soggettivismo individualistico definisce questo atto come "qualcosa di individuale e perciò si sforza di spiegarlo in termini di vita psichica individuale del soggetto parlante. In ciò sta il suo proton pseudos".
In realtà prosegue Volosinov/Bachtin "l'atto di parola o, più precisamente, il suo prodotto - l'espressione - non può essere considerato in nessun caso un fenomeno individuale nel senso esatto della parola e non può essere spiegato in termini di condizioni psicologiche o psicofisiologiche individuali del soggetto parlante. L'atto di parola, l'espressione (parole) è un fenomeno sociale" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 154).
Il soggettivismo individualistico invece considera l'atto di parola monologico ed individuale come "realtà basilare e punto di partenza della sua riflessione sulla lingua".
A che cosa equivale, dunque, l'atto di parola monologico nella visione del soggettivismo individualistico?
Secondo Volosinov/Bachtin la definizione proposta da tale corrente filosofico-linguistica è: "qualcosa che, avendo assunto, in qualche modo, forma e definizione nella psiche di un individuo, è oggettivata per gli altri esternamente con l'aiuto di segni esterni di qualche tipo".
Ne segue così che per tale impostazione filosofico-linguistica vi siano "due elementi nell'espressione: quel qualcosa di interno che è esprimibile, e la sua oggettivazione esterna per gli altri (o forse per se stessi)". Dunque "qualsiasi teoria dell'espressione, per quanto possa assumere una forma complessa o indefinibile, presuppone inevitabilmente questi due elementi - l'intero evento dell'espressione si esaurisce in essi. (...) La teoria dell'espressione presuppone inevitabilmente un certo dualismo tra elementi interni ed esterni e l'esplicita supremazia dei primi, dal momento che ogni atto di oggettivazione (espressione) va dall'interno verso l'esterno. Le sue fonti sono all'interno" (Volosinov/Bachtin 1929, pp. 156-157).
In coerenza a ciò prosegue Volosinov/Bachtin "le uniche basi su cui sorsero la teoria del soggettivismo individualistico e tutte le teorie dell'espressione in generale furono le basi idealistiche e spiritualistiche". Infatti, data una tale impostazione, "tutto ciò che è di reale importanza si trova all'interno; l'elemento esterno può assumere un'importanza reale solo diventando un recipiente per l'elemento interno, diventando espressione dello spirito. (...) In ogni caso tutte le forze creative e organizzative dell'espressione sono all'interno. Tutto ciò che è esterno è semplicemente materiale passivo per la manipolazione dell'elemento interno. L'espressione viene formata fondamentalmente all'interno e soltanto in seguito si sposta all'esterno. Da questa argomentazione risulterebbe che anche la comprensione, l'interpretazione, e la spiegazione di un fenomeno ideologico devono essere dirette verso l'interno; devono attraversare una strada che è l'inverso di quella dell'espressione. Cominciando dalla oggettivazione esterna, la spiegazione deve scendere a poco a poco nelle sue basi interne, organizzative. Questo è il modo in cui il soggettivismo individualistico intende l'espressione", ed è per questo che "la teoria dell'espressione che è alla base della prima tendenza della filosofia del linguaggio è fondamentalmente insostenibile" (Volosinov/Bachtin 1929, pp. 157-158).
Complessivamente si può dire che la debolezza di questa posizione era data dall'incapacità di comprendere la logica delle regole linguistiche e la loro innata socialità. Esse infatti "non possono mai essere ipostatizzate in forme neoplatoniche generate da individui a partire dalla pura energia della loro personale soggettività" e dunque le leggi del linguaggio non possono essere, come creduto da questa scuola, le leggi della psicologia dell'individuo (cfr. Clark-Holquist, pp. 288-289).
In questo senso la filosofia idealistica della cultura e gli "studi culturali psicologistici", malgrado le loro profonde differenze metodologiche, commettono lo stesso tipo di errore: "collocano l'ideologia nella coscienza".
Di conseguenza "la coscienza individuale da parte sua è privata di qualsiasi supporto nella realtà. Essa è divenuta tutto o niente. Per l'idealismo essa è divenuta tutto: la sua dimora è da qualche parte al di sopra dell'esistenza e la determina. Di fatto, comunque, questa sovrana dell'universo è semplicemente l'ipostatizzazione idealistica di un legame astratto tra le forme e le categorie più generali della creatività ideologica" (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, pp. 60 e 61).
Sinteticamente si conclude che "il soggettivismo (linguistico) individualistico ha torto nel considerare l'atto di parola monologico, proprio come fa l'oggettivismo astratto, come suo fondamentale punto di partenza" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 172). Volosinov/Bachtin dunque respinge questa impostazione "psicolinguistica" perché essa aveva "come assiomi il primato esplicito degli elementi interni su quelli esterni, del monologo sul dialogo e dell'espressione sulla comunicazione" (cfr. Ferrario 1977, p. 231).
Credo che agissero su Volosinov/Bachtin nel prendere questa ricca ed esplicita posizione almeno due diverse tradizioni risalenti la prima al linguista polacco Baudouin de Courtenay (1845-1929), docente a Kazan, a Cracovia e a Pietroburgo, l'altra a Husserl e al suo referente russo Gustav Spet (1878-1940).
Per ricostruire questo denso passaggio filosofico-linguistico mi pare dunque opportuno seguire ancora le attente e coincidenti indagini di Ferrario e di Ponzio.
Afferma Ferrario che nella riflessione "pietroburghese" di Baudouin, la connessione tra aspetto ideologico e linguistico delle espressioni verbali si venne precisando, in antitesi con l'impostazione ancora soggettivistica di Humboldt (e della sua scuola), come consapevolezza del fatto che la contrapposizione tra langue e parole "non fosse riducibile ad una opposizione tra prodotto sociale e attività individuale, nella misura in cui lo stesso atto di parole, inquadrato nella sua dimensione comunicativa, è un fatto sociale e la langue offre ai parlanti possibilità di scelta che rendono possibile la stessa attività creativa".
Prosegue poi Ferrario ricordando che "la concezione della lingua come fatto dinamico-collettivo ritornerà pressoché in tutti i lavori della scuola 'pietroburghese', da quelli di Scerba, a quelli di Polivanov e Jakubinskij; che tra l'altro ripresero e svilupparono il marcato orientamento sociolinguistico baudouiniano verso la problematica della comunicazione e lo studio dei diversi tipi di espressione verbale in rapporto ai contesti in cui si realizzano" (cfr. Ferrario 1977, pp. 124-125). Un ruolo particolare in questo senso lo svolse per Volosinov/Bachtin il saggio del 1923 di Jakubinskij "Sul discorso dialogico", scritto da uno degli esponenti più alti della scuola formalista e più volte ricordato da Volosinov e Bachtin (cfr. almeno Volosinov/Bachtin 1929, p. 276; Volosinov 1929b, p. 249).
Sinteticamente si può dunque dire che "il lavoro della scuola formale, con tutti i suoi precursori nell'ambito filosofico-linguistico (Potebnija, Baudouin de Courtenay, Saussure, Husserl, Spet, ecc.) oltre all'orientamento marxista ... costituisce la base dei 'prolegomeni (russi) alla semiotica' .... delineati da Marxismo e filosofia del linguaggio" (cfr. Ponzio 1992, p. 123).
Per quel che riguarda poi in particolare Husserl, Volosinov/Bachtin, pur contestando implicitamente al filosofo tedesco di non aver colto con correttezza la distinzione tra segno e segnale, intuisce l'importanza del suo pensiero in funzione antipsicologistica tanto da definire le Ricerche logiche una vera e propria "bibbia dell'antipsicologismo".
Volosinov/Bachtin afferma, in coerenza ciò, che "all'inizio del ventesimo secolo, sperimentammo una di quelle forti ondate di antipsicologismo che certamente non era la prima nella storia e il cui esito furono i lavori programmatici di Husserl, il principale rappresentante dell'antipsicologismo, e i lavori dei suoi seguaci intenzionalisti fenomenologici" (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, p. 90).
Tra questi "seguaci fenomenologici" un ruolo particolare in Russia lo svolse Gustav Spet di cui va ricordato in particolare un saggio dal titolo significativo di "Origine e fine della psicologia etnica" del 1917. In questo testo egli infatti, pur partendo da premesse radicalmente divergenti da quelle delle scuola baudouiniana, ossia dalla categoria husserliana dell'intersoggettività, giunge a proporre, in coerenza con il postulato fenomenologico, uno studio del linguaggio al di fuori di considerazioni di ordine psicologico (più esattamente: di psicologia individuale).
La novità di questa impostazione permette a Spett di notare che lo studio della comunicazione rendeva del tutto inadeguate le formulazioni della psicologia individuale ed inoltre inaccettabile "la tendenza a confondere linguistica e psicologia.
La comunicazione dunque per Spet - questo il suo lascito raccolto da Volosinov e Bachtin - è "una strada a doppio senso che implica un rapporto sociale" e costituisce, per questa sua ineludibile socialità, un nuovo campo d'indagine (cfr. Ferrario 1977, pp. 231 e 232; Ponzio 1976, p. 20 e cfr. Ponzio 1992, p. 123-124).
5 L'analisi dell'interazione socioverbale e la proposta di Volosinov/Bachtin
Sinteticamente si può definire il tentativo di Volosinov/Bachtin sia uno "tra i pochissimi seri ed intelligenti di riconsiderazione critica delle concezioni filosofico-linguistiche di studiosi come Cassirer, Husserl, Saussure, e delle teorie stilistiche ed estetiche di Croce, Vossler e della scuola di Ginevra" (Ferrario 1977, p. 226), non meno che di quelle, sempre presenti a Volosinov/Bachtin, di Marx e Freud.
Data la rilevanza di questa impostazione non stupisce che Volosinov/Bachtin, nella terza parte del suo lavoro, riassuma e ricoordini ancora una volta vantaggi e svantaggi delle posizioni del soggettivismo e dell'oggettivismo linguistico.
In particolare egli rileva che "la teoria dell'espressione che è alla base del soggettivismo individualistico deve essere respinta (perché) il centro organizzativo di qualsiasi espressione, di qualsiasi esperienza, non è dentro ma fuori - nell'ambiente sociale che circonda l'individuo. Soltanto il grido inarticolato di un animale è realmente organizzato dall'interno dell'apparato fisiologico di una creatura individuale. Un tale grido manca di qualsiasi fattore ideologico positivo vis à vis con la reazione fisiologica. Eppure anche la più primitiva delle espressioni umane prodotte dall'organismo individuale è, dal punto di vista del suo contenuto, della sua importanza, e del suo significato, organizzata fuori dell'organismo, nelle condizioni extraorganiche dell'ambiente sociale. L'atto di parola come tale è interamente un prodotto dell'interazione sociale".
Ancora per quel che riguarda l'atto di parola individuale (parole), esso secondo Volosinov/Bachtin e malgrado le opinioni dell'oggettivismo astratto, è "ben lungi dall'essere un fatto individuale, non suscettibile di analisi sociologica" e questo in virtù della sua costitutiva socialità immanente (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, pp. 170 e 171).
Bisogna poi riconoscere che "il soggettivismo individualistico fa un'analisi corretta quando afferma che gli atti di parola individuali sono ciò che costituisce la realtà concreta, effettiva della lingua, e che hanno un valore creativo nella lingua. Ma il soggettivismo individualistico ha torto quando ignora e non riesce a comprendere la natura sociale del]'atto di parola e tenta di far derivare l'atto di parola dal mondo interno del soggetto parlante come espressione di questo mondo interno. La struttura dell'atto di parola e della stessa esperienza che viene espressa è una struttura sociale. La conformazione stilistica di un atto di parola è una conformazione di tipo sociale, e lo stesso flusso verbale di atti di parola, che è ciò a cui equivale effettivamente la realtà del linguaggio, è un flusso sociale. Ogni goccia di questo flusso è sociale e l'intera dinamica della sua generazione è sociale".
Ancora secondo Volosinov/Bachtin il soggettivismo individualistico "fa un'analisi del tutto corretta anche quando dice che la forma linguistica e il suo riempimento ideologico non sono separabili. Ogni <parola è ideologica ed ogni applicazione della lingua comporta un mutamento ideologico. Ma il soggettivismo individualistico ha torto nella misura in cui deriva anche questo riempimento ideologico della parola dalle condizioni della psiche individuale. Il soggettivismo individualistico ha torto nel considerare l'atto di parola monologico, proprio come fa l'oggettivismo astratto, come suo fondamentale punto di partenza" (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, pp. 171 e 172).
Fermo tutto questo afferma Volosinov/Bachtin di essere in grado di rispondere alla domanda che si era posto alla fine del primo capitolo della seconda parte del suo studio e formulata proprio sulla scorta delle aporie delle due tradizioni filosofico-linguistiche e da lui analizzate così a fondo e precisamente: qual'è dunque "il vero centro della realtà linguistica: l'atto individuale del discorso - l'espressione (parole) - o il sistema della lingua? E qual'è il modo reale di esistere della lingua: l'incessante generazione creativa o l'inerte immutabilità di norme identiche a se stesse?" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 128).
Secondo Volosinov/Bachtin "la realtà effettiva del linguaggio non è il sistema astratto delle forme linguistiche , né l'atto di parola monologico e isolato, e neanche l'atto psicofisiologico della sua effettuazione, ma è l'evento sociale dell'interazione verbale compiuto in uno o più atti di parola".
Così, superando le contrapposte concezioni ed integrandole in una superiore sintesi dialettica Volosinov/Bachtin afferma che "l'interazione verbale è la realtà fondamentale della lingua" (Volosinov/Bachtin 1929, pp. 172-173). Nella sostanza -afferma un attento lettore di Volosinov/Bachtin quale Williams - ciascuna posizione, pur nella sua radicale diversità, deriva dal medesimo errore: "la separazione dell'attività dotata di significato sociale da quella dotata di significato individuale". Prosegue Williams: "Così, partendo dai punti nodali delle due tradizioni alternative, Volosinov/Bachtin dimostrò la fondamentale debolezza loro propria, ponendoli l'uno a fianco dell'altro, e in questo modo aprì la strada a un nuovo genere di teoria", capace di concepire l"attività' (cardine dell'impostazione idealista a partire da Humboldt) come 'attività sociale', e di vedere il 'sistema' (cardine della nuova linguistica oggettivista) in relazione a quell'attività sociale e non, come era avvenuto fino a quel momento, formalmente separata da essa" (cfr. Williams 1977, pp. 47 e 48).
Alla luce di tutto questo Volosinov/Bachtin ritiene opportuno - alla fine del capitolo intitolato significativamente "L'interazione verbale" - schematizzare la propria proposta nella seguente serie di proposizioni:
1. La lingua come sistema stabile di forme normativamente identiche è semplicemente un'astrazione scientifica, produttiva soltanto in connessione con certi particolari scopi pratici e teoretici. Questa astrazione non è adeguata alla realtà concreta della lingua.
2. La lingua è un processo generativo continuo realizzato nell'interazione socio-verbale dei parlanti.
3. Le leggi del processo generativo della lingua non sono affatto le leggi della psicologia individuale, ma neppure possono essere separate dall'attività dei parlanti. Le leggi della generazione della lingua sono leggi sociali.
4 La creatività linguistica non coincide con la creatività artistica né con qualsiasi altro tipo di creatività ideologica specializzata. Ma, allo stesso tempo, la creatività linguistica non può essere compresa indipendentemente dai significati e dai valori ideologici che la riempiono. Il processo generativo della lingua, come qualsiasi processo generativo storico, può essere percepito come una cieca necessità meccanica, ma può anche diventare una 'necessità libera' una volta che ha raggiunto la condizione di necessità conscia e desiderata.
5 La struttura di un atto di parola è una struttura puramente sociale. L'atto di parola, come tale, si stabilisce tra due parlanti. L'atto di parola individuale (nel senso stretto della parola 'individuale') è una contradictio in adiecto".
E'in coerenza a questa nuova definizione dello statuto della linguistica che Volosinov/Bachtin propone, contro le più significative correnti di pensiero contemporaneo, una nuova ridefinizione delle scienze antropologiche pensate come scienze dialogiche e ideologiche.
6 Linguistica, semiotica, psicologia e scienze umane
Afferma con risolutezza Volosinov/Bachtin che "il fatto è, in definitiva, che la personalità parlante, i suoi progetti, le sue intenzioni soggettive e i suoi consapevoli accorgimenti stilistici non esistono fuori della loro materiale oggettivazione nella lingua. Senza un modo di rivelarsi nella lingua, sia pure soltanto nel discorso interno, la personalità non esiste né per sé né per gli altri; può illuminare e prendere conoscenza, in sé stessa, soltanto di ciò per cui c'è materiale oggettivo, illuminante, la luce materializzata della coscienza nella forma di parole, giudizi di valore, e accenti istituiti.
La personalità soggettiva interna con la propria autoconsapevolezza non esiste come fatto materiale utilizzabile come base per una spiegazione causale, ma esiste come ideologema. La personalità interna con tutte le sue intenzioni soggettive e con tutte le sue profondità interne non è nient'altro che un ideologema - un ideologema che è di carattere vago e fluido finché non raggiunge una definizione nei prodotti più stabili e più elaborati della creatività ideologica. Perciò, non ha senso cercare di spiegare i fenomeni e le forme ideologiche con l'aiuto delle intenzioni e dei fattori psichici soggettivi: ciò significherebbe spiegare un ideologema di maggior chiarezza e precisione con un altro ideologema di carattere più vago e più confuso. La lingua illumina la personalità interna e la sua coscienza; la lingua la crea e la dota di complessità e di profondità - e non avviene il contrario. La personalità è essa stessa generata attraverso la lingua, non tanto ... nelle forme astratte della lingua, quanto nei temi ideologici della lingua. La personalità dal punto di vista del contenuto interno soggettivo, è un tema della lingua, e questo tema subisce uno sviluppo e una variazione nella direzione delle costruzioni più stabili della lingua. Di conseguenza, una parola non è un'espressione della personalità interna; piuttosto la personalità interna è una parola espressa o spinta verso l'interno" (Volosinov/Bachtin 1929, pp. 253-254).
Una questione ineludibile e conseguente a questa impostazione è poi quella di definire oggettivamente che tipo di realtà sia quella della psiche soggettiva: Volosinov/Bachtin risponde che "la realtà della psiche interna è la stessa realtà del segno. Non c'è psiche fuori del materiale dei segni; ci sono processi fisiologici, processi del sistema nervoso, ma non c'è nessuna psiche soggettiva esistente come una particolare qualità esistenziale fondamentalmente distinta tanto dai processi fisiologici che avvengono nell'organismo quanto dalla realtà che circonda l'organismo dall'esterno, a cui la psiche reagisce e che in un modo o nell'altro riflette. Proprio per la sua natura esistenziale, la psiche soggettiva deve essere collocata da qualche parte tra l'organismo e il mondo esterno, sulla linea di demarcazione che separa queste due sfere della realtà.
E' qui che ha luogo un incontro tra l'organismo, e il mondo esterno, ma l'incontro non è fisico: l'organismo e il mondo esterno si incontrano qui nel segno. L'esperienza psichica è l'espressione segnica del contatto tra l'organismo e l'ambiente esterno. Ecco perché la psiche interna non è analizzabile come una cosa ma può essere soltanto compresa e interpretata come un segno" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 82).
Partendo da questa impostazione Volosinov/Bachtin attacca tutto lo sviluppo delle scienze umane contemporanee - in particolare Dilthey e Simmel - accusandolo di essere privo, nel suo articolarsi complessivo, di una coerente base linguistica e semiotica.
Non potendo approfondire qui - ma vi ritorneremo almeno in parte nell'ultima parte del successivo paragrafo - le motivazioni ricchissime delle divergenze di Volosinov/Bachtin - per altro da lui espresse con estrema chiarezza - da studiosi che hanno comunque segnato la storia delle scienze umane, credo invece opportuno passare ad analizzare e verificare immediatamente la posizione della filosofia del linguaggio di Volosinov/Bachtin 1929 rispetto alla filosofia del dialogo responsabile di Bachtin, e palesare ulteriormente il fatto che essa affondi le sue più cospicue radici nella terza parte e conclusiva di Marxismo e filosofia del linguaggio
7 Fondamenti linguistici e semiotici della filosofia del dialogo e dell'alterità
Ho detto in sede di apertura che Volosinov/Bachtin insiste sull'importanza della terza parte pur affermando che essa "non è che una ricerca concreta su un problema di sintassi".
In realtà il tema della terza parte - il problema dell'atto di parola altrui - annuncia - al di là delle brillanti analisi sul discorso libero in francese inglese russo, ecc. - il problema filosofico e antropologico dell'alterità, ossia del riconoscimento linguistico e semiotico dell'alterità come presenza costitutiva della mia identità e della mia soggettività.
Afferma risolutamente Volosinov/Bachtin che al di sotto di queste questioni "sintattiche" vi è in realtà e in ultima analisi "il problema del significato" e che solo una filosofia del dialogo responsabile è in grado di affrontarlo con la dovuta profondità e correttezza, e cioè in chiave semiotica e di filosofia del linguaggio.
"Il problema del significato" è infatti per i filosofi del Circolo di Bachtin "uno dei problemi più difficili della linguistica. Gli sforzi fatti per risolvere questo problema hanno rivelato e messo particolarmente in forte risalto il monologismo unilaterale della scienza linguistica. La teoria della comprensione passiva preclude qualsiasi possibilità di assumere le caratteristiche più cruciali e più fondamentali del significato nella lingua. (...) Una distinzione tra tema e significato e una comprensione appropriata della loro interdipendenza sono passi vitali nella costruzione di una scienza autentica dei significato. (...) La distinzione tra tema e significato acquista particolare chiarezza a proposito del problema della comprensione, a cui ora accenneremo brevemente. Abbiamo già avuto occasione di parlare del tipo filologico di comprensione passiva, che esclude in anticipo la risposta. Qualsiasi tipo genuino di comprensione sarà attivo e costituirà il germe di una risposta. Soltanto la comprensione attiva può afferrare il tema - un processo generativo può essere compreso soltanto con l'aiuto di un altro processo generativo.
Comprendere l'espressione di un'altra persona significa orientarsi in riferimento ad essa, trovarle il posto appropriato nel contesto corrispondente. Per ogni parola dell'espressione che ci accingiamo a comprendere, noi, per così dire, formuliamo una nostra serie di parole in risposta. Più grande è il loro numero e il loro peso, più profonda e più sostanziale sarà la nostra comprensione. In questo modo, ognuno degli elementi significativi distinguibili di un'espressione e l'intera espressione come entità intera sono tradotti nella nostra mente in un altro contesto attivo e rispondente. Qualsiasi vera comprensione è di natura dialogica. La comprensione sta all'espressione come una battuta di un dialogo sta alla successiva. La comprensione si sforza di accoppiare la parola del parlante ad una parola contraria. Soltanto nell'atto di comprendere una parola di una lingua straniera si cerca di accoppiarla alla 'stessa' parola nell'ambito della propria lingua. Perciò, non c'è alcun motivo per dire che il significato appartiene alla parola in quanto tale. In sostanza, il significato appartiene a una parola nel suo impiego tra parlanti; cioè, il significato è realizzato soltanto nel processo della comprensione attiva, rispondente. Il significato non risiede nella parola o nell'anima del parlante o nell'anima dell'ascoltatore. ll significato è l'effetto dell'interazione tra parlante e ascoltatore prodotto attraverso il materiale di un particolare complesso sonoro. E' come una scintilla elettrica che avviene soltanto quando due morsetti diversi sono agganciati insieme. Coloro che ignorano il tema (che è accessibile soltanto alla comprensione attiva, rispondente) e che, tentando di definire il significato di una parola, si avvicinano al suo limite più basso, stabile, identico a se stesso, vogliono, in effetti, accendere una lampadina elettrica dopo aver tolto la corrente. Soltanto la`corrente dello scambio verbale dota la parola della luce del significato" (Volosinov/Bachtin 1929, pp. 179, 183, 184).
Ma perché possa avvenire questa "comprensione dialogica" è necessaria una "ripresa della parola ideologica - la parola con il suo tema intatto, la parola permeata di giudizio di valore sociale categorico e sicuro di sé, la parola che realmente significa e si assume la responsabilità di ciò che dice" (Volosinov/Bachtin 1929, p. 263).
Non vi è arroganza in queste parole che costituiscono l'ultima pagina del libro di Volosinov/Bachtin, ma coscienza che solo un'etica del dialogo e della responsabilità è in grado di rispondere alla crisi delle scienze umane e letterarie e di rifondarle - in chiave semiotica e linguistica - come scienze dialogiche, autenticamente comprensive dell'altro, della sua parola, dei suoi segni e dei suoi prodotti storico-ideologici, siano essi etici, giuridici, artistici, ecc. o semplicemente quotidiani.
Detto questo ora è facile notare che tutta questa concezione filosofico-linguistica, semiotica ed antropologica e delle scienze umane in generale appartiene a Bachtin che la ribadirà in tutti suoi testi e con termini assolutamente coerenti a quelli usati nel volume del 1929 sia sul piano logico-filosofico che su quello lessicale.
Ad esempio in un testo pressoché coevo "La parola nel romanzo" - che mostra un'assoluta continuità non solo logico-filosofica ma anche testuale - Bachtin afferma che "fuori dell'orizzonte della filosofia del linguaggio, della linguistica e della stilistica (tradizionali) ... sono rimasti quasi interamente i fenomeni specifici della parola determinati dall'orientamento dialogico della parola" e si propone dunque, all'interno di una concezione dinamica e non statica della lingua, una nuova filosofia del linguaggio, una nuova linguistica e una nuova stilistica capaci di dare adeguata comprensione "all'innata dialogicità della parola" e alla sua ineludibile socialità (cfr. Bachtin 1935 in Bachtin 1975, pp.77-83).
Più in generale Bachtin riprende in tutta la sua opera la polemica contro il "monologismo" della linguistica e delle scienze umane contemporanee rispetto alla quale si deve contrapporre una diversa concezione del linguaggio e dello sviluppo delle scienze umane che devono essere rifondate sul principio della "comprensione dialogica attiva" (cfr. Bachtin 1963, pp. 234-264 e Volosinov/Bachtin 1929, pp. 138-150, 155-156, 172-179, 194-197, 276; si veda anche Medvedev 1928, p. 216).
Per segnalare l'importanza di questo tema si può ricordare che esso verrà ripreso ancora in uno degli ultimi testi di Bachtin con le seguenti parole che si sono già trovate nel testo del 1929: "La singolare natura dei rapporti dialogici. Il problema del dialogismo interno. Le cicatrici ai margini delle enunciazioni. Il problema della parola bivoca. La comprensione come dialogo. Ci avviciniamo qui alla prima linea della filosofia del linguaggio e, in generale, del pensiero proprio delle scienze umane" (Bachtin 1979, pp. 309-310; cfr. ancora oltre gli ultimi passi di passi di Volosinov/Bachtin 1929, Bachtin 1979, pp. 300, 309-311, 316 e Bachtin 1975, p. 161).
Se dunque in coerenza a questa Weltanschauung in Marxismo e filosofia del linguaggio si afferma che "la realtà della parola, come è vero per ogni segno, risiede tra gli individui" e che "il segno è un atto creativo interindividuale" (cfr. Volosinov/Bachtin 1929, pp. 62, 64, 65, 66, 76, 94, 98, 160 e Volosinov 1927, p. 156 e cfr. p. 146), analogamente Bachtin dichiarerà che "l'idea ... è interindividuale e intersoggettiva" e che essa "sotto questo riguardo è simile alla parola, con la quale essa è dialetticamente unita" (Bachtin 1963, p. 116); oppure, in maniera più sintetica, che "la parola (in generale ogni segno) è interindividuale" (Bachtin 1979, p. 312: per il termine "intersoggettivo" cfr. Bachtin 1975, p. 396).
Per Bachtin, ed è questa l'intuizione che dà forza ed unità al suo pensiero e a quello dei suoi compagni, l'intersoggettività sociale, riscontrabile nelle parole e nei segni, sostanzia ogni gesto storico dell'uomo sia esso conscio o inconscio: ne segue che tale storica e concreta intersoggettività sociale sia costitutiva della soggettività individuale, come l'alterità lo è della mia propria soggettività.
Al centro delle sue concezioni filosofiche, etiche ed antropologiche e concernenti il complessivo sviluppo delle scienze umane il filosofo russo pone dunque una originale e profondissima concezione della relazione io/altro capace di modificare non solo l'impostazione delle scienze antropologiche ma anche lo stesso concetto di verità scientifica. In coerenza a questa concezione dell'uomo e della scienza Bachtin afferma infatti che "un senso svela le proprie profondità, se si incontra ed entra in contatto con un altro, altrui senso" e che dunque "la verità ... non può essere rivelata entro i limiti di una coscienza individuale. Essa non può essere contenuta in una sola coscienza. Essa si rivela, e per di più solo parzialmente, in un processo di comunicazione dialogica di molte coscienze paritarie" e analogamente Volosinov aveva affermato che "la verità è eterna soltanto come verità eternamente generata" (Bachtin 1979, p. 348 e Bachtin 1971, p. 131 e Volosinov/Bachtin 1929, pp. 261-262).
Acquisita l'evidenza di una forte omogeneità stilistico e filosofica tra i testi esplicitamente bachtiniani e l'opera del 1929 possiamo ora riflettere sull'affermazione posta all'inizio, ossia che Marxismo e filosofia del linguaggio è in realtà la chiave per comprendere la filosofia dialogica e dell'alterità di Bachtin.
Alla luce del testo del 1929 - ad esempio - prende un senso più organico la recisa, ellittica ma capitale affermazione di Bachtin, contenuta nel Dostoevskij, secondo la quale "i principi di tutta la cultura ideologica dell'epoca moderna" sono "i principi del monologismo ideologico" e che tali principi mostrano un'ontologica e strutturale carenza interpretativa della caratteristica precipua delle scienze umane. Bachtin precisa infatti - in un testo inedito dei primi anni Venti e in assoluta coerenza con Marxismo e filosofia del linguaggio - che vi sono eventi - quelli studiati appunto dalle scienze umane - che "per principio non possono svolgersi sul piano di una coscienza unica e unitaria, ma presuppongono due coscienze che non si fondono, ci sono eventi (cioè) di cui un essenziale momento costitutivo è il rapporto di una coscienza con un'altra proprio in quanto altra, e sono tali tutti gli eventi creativamente produttivi, che portano il nuovo, eventi unici e irreversibili".
Questa impostazione filosofica "monologica", "depauperante" e desocializzante invece "nega la presenza fuori di sé di un'altra coscienza dotata di pari diritti e con pari diritti responsiva, di un altro io (tu) dotato di pari diritti. Nell'approccio monologico (nella sua forma limite o pura) l'altro resta interamente soltanto oggetto della coscienza, e non un'altra coscienza. Da esso non si aspetta una risposta che possa mutare tutto nel mondo della mia coscienza. Il monologo è compiuto e sordo alla risposta altrui, non la aspetta e non riconosce ad essa una forza decisiva. Il monologo fa a meno dell'altro e quindi in una certa misura reifica tutta la realtà. Il monologo pretende di essere l'ultima parola".
Bachtin afferma al contrario - in tutti i testi da lui scritti - che nessun evento studiato dalle scienze umane "si sviluppa e si risolve nell'ambito di una sola coscienza" e che tale pensiero "depauperizzante" si spiega con "il teoreticismo" e con il "gnoseologismo di tutta la cultura filosofica del XIX e del XX secolo", e in ultima istanza col "solipsismo sia etico che gnoseologico" proprio di questa epoca storica.
Diviene dunque evidente non solo la contrapposizione della filosofia critica e dialogica di Bachtin a tutte queste teorie "monologiche", "depauperanti" e desocializzanti ma che essa nasce - e non può che nascere - sul piano di una diversa concezione della filosofia del segno e della parola (cfr. per le ultime citazioni Bachtin 1922a, p. 44 e passim; Bachtin 1922c, pp. 78-80 e passim; Bachtin 1963, pp. 107-110, 233 e passim; Bachtin 1979, pp. 330-338 e passim; in particolare, per i fondamentali e connessi concetti bachtiniani di "natura dialogica della vita sociale", "lingua sociale", "uomo sociale", cfr. Bachtin 1924 in 1975, pp. 25-26 e passim; Bachtin 1963, pp. 235-264, 331-355 e passim; Bachtin 1965, pp. 330, 519 e passim; Bachtin 1975, pp. 141, 161, 164; Bachtin 1979, pp. 302-364 e passim; per un approfondimento Jachia 1993).
Da tutto questo seguono due considerazioni. In primo luogo pare necessario sottolineare come l'opposizione di principio di Bachtin resti immutata in tutto l'arco della sua carriera filosofica e riguardi l'intera metafisica occidentale ed in particolare le punte più alte dello sviluppo filosofico idealista degli ultimi due secoli. In seconda istanza credo si possa dire che il "sistema" filosofico di Bachtin fin dai suoi esordi, oltre alla forte e già ricordata accentuazione polemica, mantiene anche una costitutiva attenzione al fatto linguistico e semiotico. Bachtin infatti non solo ritiene che il mancato rispetto del concetto di alterità sia l'origine della crisi della scienze umane in generale e della filosofia linguistica contemporanea in particolare, ma da subito riconosce come sede privilegiata di tale alterità la parola e il segno ideologico. A questo risultato egli perviene attraverso il superamento delle concezione linguistiche correnti e grazie ad una precisa ridefinizione della parola e del segno come ideologia e cultura. Dunque la filosofia dell'alterità di Bachtin fin dai suoi prodromi è, e non può non essere, una filosofia del linguaggio e una scienza del segno: non a caso Bachtin pone la linguistica nel novero delle scienze umane e ribadisce più volte il ruolo importantissimo di una corretta interpretazione della realtà della parola e del segno nello sviluppo delle scienze umane (cfr. almeno Bachtin 1924 in 1975, p. 11 e Bachtin 1975, pp. 159-161).
Da quanto detto risulta evidente che è in Marxismo e filosofia del linguaggio che vengono definiti i presupposti scientifici, semiotici e linguistici della filosofia critica e dialogica di Bachtin (cfr. Ponzio 1992, p. 52). Non solo, ma mi pare che si possa anche dire, in sede di conclusione, che Marxismo e filosofia del linguaggio, un testo ingiustamente trascurato per quasi cinquant'anni, abbia nondimeno svolto una duplice proficua azione. In primo luogo esso è il primo testo in cui compaia una compiuta concezione filosofico-linguistica e semiotica fondata su un etica del dialogo e della responsabilità, poi esso ha agito come motore segreto ma pulsante di tutta la ricerca successiva di Bachtin, ricerca affascinante e ricchissima ma che non sarebbe stata possibile, né comprensibile senza questa preliminare ma definitiva chiarificazione dei fondamenti linguistici e semiotici della filosofia del dialogo e dell'alterità.
Questi, forse, i due motivi per i quali Bachtin ha voluto che quest'opera fosse legata, oltre che al suo nome a quello di Volosinov. Se infatti resta imprecisabile e imprecisato l'apporto di Volosinov sul piano delle scelte architettoniche, redazionali e editoriali, certo è invece che Volosinov fu il primo compagno di Bachtin nella costruzione di una moderna e libera filosofia del dialogo responsabile: questo dunque io credo il senso di una scelta, quella di Bachtin, e di un volume, quello di Bachtin e Volosinov, che certificano non solo una proficua collaborazione scientifica ma più ancora il senso di una vera dialogica amicizia e, in ultima analisi, di una profonda e reciproca gratitudine.
BIBILOGRAFIA CRITICA e OPERE CITATE
a) SIGLE DELLE OPERE DI BACHTIN, MEDVEDEV e VOLOSINOV CITATE
Bachtin 1922 a: M. Bachtin, "Per una filosofia dell'atto: Introduzione e Frammento della prima parte", ed. or. postuma a c. di S. Bocarov in Filosofija i sociologija nauki i techniki, ezegodnik 1984-1985, Mosca 1986; tr. it. nell'antologia Bachtin e le sue maschere. Il percorso bachtiniano fino ai "Problemi dell'opera di Dostoevskij" (1919-1929), (a c. di A. Ponzio, P. Jachia e M. De Michiel), Edizioni Dedalo, Bari 1995
Bachtin 1922 b: M. Bachtin, L'autore e l'eroe nell'attività estetica (frammento del capitolo primo), ed. or. postuma a c. di S. Bocarov in Filosofija i sociologija nauki i techniki, ezegodnik 1984-1985, Mosca 1986; tr. it. in AA. VV., Bachtin e..., (a c. di P. Jachia e A. Ponzio), Laterza, Bari 1993
Bachtin 1922 c: M. Bachtin, L'autore e l'eroe nell'attività estetica (capitolo secondo), ed. or. postuma a c. di S. Averincev e S. Bocarov, in M. Bachtin, Estetica della creazione verbale, Mosca 1979; tr. it. in L'autore e l'eroe. Teoria letteraria e scienze umana (1979), Einaudi, Torino 1988
Bachtin 1924: M. Bachtin, "Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria", tr. it. in M. Bachtin, Estetica e romanzo (1975), tr. it. Einaudi, Torino 1979
Bachtin 1963: M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, seconda ed. riveduta ed ampliata Mosca 1963, tr. it. Einaudi, Torino 1968.
Bachtin 1965: M. Bachtin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Mosca 1965, tr. it. Einaudi, Torino 1979
Bachtin 1975: M. Bachtin, Estetica e romanzo, (saggi 1924-1975) Mosca 1975, tr. it. Einaudi, Torino 1979
Bachtin 1979: M. Bachtin, Estetica della creazione verbale (saggi 1919-1974), Mosca 1979, tr. it. di con il titolo, L'autore e l'eroe. Teoria letteraria e scienze umana, Einaudi, Torino 1988
Medvedev 1928: P. N. Medvedev Il metodo formale nella scienza della letteratura Introduzione critica alla poetica sociologica, Leningrado 1928; trad it. Dedalo, Bari
Volosinov 1927: V. N. Volosinov, Freudismo. Uno studio critico, tr. it. Dedalo, Bari, 198
Volosinov 1926-1929: V. N. Volosinov, ll linguaggio come pratica sociale (saggi 1926-1930), (titolo ed antologia a c. di A.Ponzio), tr. it. Dedalo, Bari, 1980
Volosinov/Bachtin 1929: V. N. Volosinov, Marxismo e filosofia del linguaggio, Leningrado 1929, tr. it. Dedalo, Bari 1976
Per ulteriori riferimenti critici e specialistici si veda: AA. VV., Le Bulletin Bakhtine. The Bakhtin Newsletter, (a c. di C. Thomson), 1983, 1986, 1991, 1993, nn. 1, 2, 3, 4
b) BIBILOGRAFIA CRITICA SINTETICA e OPERE CITATE
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E. Ferrario, Teorie della letteratura in Russia 1900-1934, Editori Riuniti, Roma 1977
L. Formigari, Lo Piparo, (a c. di), Prospettive di storia della linguistica, pref. T. De Mauro, Editori Riuniti, Roma 1988
L. Heilmann, (a c. di), W. von Humboldt nella cultura contemporanea, Il Mulino, Bologna 1976
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V.V. Ivanov, "Significato delle idee di Bachtin sul segno, l'atto di parola e il dialogo per la semiotica contemporanea", Tartù 1973, tr. it. in AA. VV., M. Bachtin. Semiotica, teoria della letteratura e marxismo, (a c. di A. Ponzio), Dedalo, Bari 1977
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R. Jakobson, "Preface", in M. Bakhtine (V.N. Volosinov), Le marxisme et la philosophie du langage (1929), Editions de Minuit, Parigi 1977
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G.C. Lepschy, Sulla linguistica moderna, Il Mulino, Bologna 1989; Id., La linguistica del Novecento, Il Mulino, Bologna 1992
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A.Morpurgo Davies, La linguistica dell'Ottocento, Il Mulino, Bologna 1996
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S. Tagliagambe, La mediazione linguistica: il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano 1980 (A)
Tz. Todorov, M. Bachtin. Il principio dialogico, Parigi 1981, tr. it. Einaudi, Torino 1990; Id., "L'umano e l'interumano: Michail Bachtin", in Critica della critica, Parigi 1984, tr. it. Einaudi, Torino 1986.
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AA. VV., Storia della linguistica, (a c. di G.C. Lepschy), Il Mulino, Bologna 1990
AA.VV., Bachtin e..., (a c. di P. Jachia e A. Ponzio), Laterza, Bari 1993
Fonte: http://www.matteoverda.com/documenti/Semiotica/Bachtin%20e%20Volosinov/Semiotica,%20filosofia%20del%20linguaggio%C2%A0e%C2%A0filosofia%C2%A0del%C2%A0diagolo%C2%A0in%C2%A0Bachtin%C2%A0e%C2%A0Volosinov%C2%A01929.doc
fonte: http://www.matteoverda.com/semiotica/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Filosofia del linguaggio
Glossario di alcuni termini-chiave del linguaggio filosofico
Prima di intraprendere lo studio della storia della filosofia è bene aver presente il significato di alcuni termini che ricorrono continuamente in questa disciplina. Termini che saranno afferrati in tutta la loro portata solo alla fine del Corso, ma di cui è possibile avere sin d’ora una comprensione preliminare.
Storicamente parlando, la filosofia (dal greco philosophìa, deriv. di philéin «amare» e sophia «sapienza», «amore del sapere») si è configurata come una indagine critica e razionale intorno agli interrogativi di fondo che l’uomo si pone circa se stesso e le realtà che lo circondano. Gli ambiti problematici in cui si è articolato il discorso dei filosofi dell’Occidente, a cominciare da quelli del mondo antico, sono rappresentati soprattutto dalla metafisica (v.), dalla gnoseologia (v.) e dall’etica (v.).
Per metafisica (dal gr. metà tà physikà «dopo la fisica») si intende quella parte della filosofia che si interroga sulle strutture ultime e sulle cause supreme delle cose. All’inizio, con i presocratici, la metafisica ha preso le sembianze della cosmologia (dal gr. kósmos, «universo», e lógos, «discorso»), ossia di un’indagine intomo all’universo naturale e ai princìpi che lo costituiscono. In seguito, soprattutto con Aristotele, si è presentata nelle vesti dell’ontologia (dalgr. òn óntos, participio pres. di éinai «essere» e lógos «discorso»), ossia una trattazione intorno all’essere o alla realtà in generale. Strettamente connessa alla metafisica è la teologia (dal gr. theós «Dio» e lógos, «discorso»), che si interroga intorno all’esistenza e all’essenza di Dio. In altri termini, la metafisica è quella sezione del pensiero filosofico che si è storicamente concretizzata in domande del tipo: «quali sono i princìpi o gli elementi di base dell’universo?», «che cos’è l’essere e quali sono le sue strutture di fondo?», «esiste o meno un Dio?», «l’ordine del cosmo obbedisce ad un piano intelligente o è frutto di una necessità meccanica? » ecc.
Per gnoseologia (dal gr. gnòsis, «conoscenza» e lógos, «discorso») si intende
quella parte della filosofia che si occupa dei problemi relativi alla genesi, alla natura
e alla validità della conoscenza. Infatti, i filosofi non si sono solo interrogati intorno alla struttura della realtà, ma anche sui mezzi tramite cui la conosciamo. La gnoseologia o teoria della conoscenza si concretizza in domande del tipo: «da dove provengono le nostre cognizioni?», «in che rapporto stanno la mente e le cose, il pensiero e l’essere?», «quali relazioni sussistono fra i sensi e la ragione?», «che valore hanno i nostri concetti?», «quali sono le garanzie di un sapere vero?» ecc. Connessa in qualche modo alla gnoseologia è la logica (dal gr. lógos «discorso», «ragione», «pensiero»), la quale, almeno nell’accezione greca ed aristotelico-stoica del termine, si occupa di ciò che concerne i nostri discorsi e le modalità attraverso cui formuliamo i nostri ragionamenti.
L’etica (dal gr. éthos, «costume») o morale (dal lat. mos «costume», «modo di vita») è quella parte della filosofia che studia il nostro comportamento e le norme cui esso obbedisce, sia descrivendo come di fatto agiamo, sia prescrivendo come dovremmo agire. In altri termini, l’etica è quella sezione del pensiero filosofico che si è storicamente concretizzata in domande del tipo: «quali sono i motivi che spingono gli individui ad agire?», «che cos’è il bene?», «qual è il fine ultimo di tutte le nostre azioni?», «che cos’è la felicità?», «da dove possiamo ricavare le norme ispiratrici della nostra condotta?» ecc.
Connessa all’etica è la filosofia politica che si occupa (in modo descrittivo o prescrittivo) dei problemi relativi alla vita associata, concretizzandosi in questioni del tipo: «qual è il fine dello Stato?», «quali sono le forme ottimali di governo?», «chi deve comandare?», «che cos’è la giustizia?», «che cos’è la libertà?».
Come vedremo, parallelamente a queste grandi tematiche, la filosofia ha storicamente affrontato anche altre questioni, sulle quali avremo modo di soffermarci in seguito: dal problema delle leggi (filosofia del diritto) a quello dell’arte e della bellezza (estetica); dal problema del linguaggio (filosofia del linguaggio) a quello della scienza (epistemologia); dal problema dell’uomo e del suo posto nel mondo (antropologia) a quello della civiltà e della storia (filosofia della storia), ecc.
Da ciò la vastità e ricchezza del discorso filosofico, il quale appare come un aspetto costitutivo di ciò che denominiamo con il termine «uomo», al punto che Platone affermava che non si può essere uomini senza essere, in qualche modo, filosofi.
Da N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, vol. I, Paravia, Torino, 1992. Pagg. 15-16.
Fonte: http://www.bellodie.altervista.org/filo3a_file/Glossario.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
TECNICA: Insieme di procedure, di abilità e di saperi necessari alla realizzazione di un qualsiasi prodotto.
ARTE: Quel fare le cui opere reclamano la nostra attenzione estetica e il nostro giudizio. Nella dimensione dell’arte è inclusa quella della tecnica come sua condizione necessaria. Riconoscere una generica intenzionalità progettuale all’origine del suo processo produttivo non basta ad identificare un qualsiasi oggetto come artistico.
OGGETTO ESTETICO: E’ un qualsiasi ritaglio di mondo che spicca nella sua singolarità al limite del campo percettivo. E’ un oggetto soglia, oggetto segnico, oggetto evento. Esso emerge in rapporto a tre polarità: 1. Intensificazione dell’esperienza ordinaria – costituirsi come eccezione; 2. necessario carattere di singolarità – vaghezza (indeterminatezza del senso di cui l’esperienza percettiva si fa carico); 3. prossimità – distanza. La nozione decisiva è quella di relazionalità: le proprietà estetiche sono di tipo relazionale. L’immaginazione serve a creare senso tra le due polarità.
ARTEFATTI COMUNICATIVI: Un sottoinsieme degli artefatti, a loro volta sottoinsieme degli oggetti: sono specifici nel loro funzionare come segni. Questi derivano da un’intenzionalità comunicativa e la loro funzione è la significatività (organizzazione sintattica e semantica). Il segno viene assunto come transitivo.
ARTEFATTI DI TIPO ESTETICO: Sono un sottoinsieme degli oggetti estetici. L’intenzionalità comunicativa e l’intenzionalità tecnico-progettuale non sono sufficienti a definirli. Qui il segno è transitivo sia sotto il profilo sintattico che sotto quello semantico.
OGGETTO ARTISTICO: A determinare il pur minimo grado di vincolo oggettivo della funzione artistica è la congiunzione intenzionale tra il tecnico e l’estetico. Nella fusione intenzionale del tecnico e dell’estetico consiste l’autonomia dell’artistico, del suo grado di oggettività. La fusione ha qui il senso di produrre qualcosa di nuovo rispetto alle dimensioni che coinvolge. L’opera eccede sia l’aspetto tecnico del suo esser prodotto, sia l’aspetto estetico del suo risultato. In virtù di questa eccedenza, l’opera d’arte ha senso in se stessa. L’oggetto artistico può essere anche detto oggetto simbolico intransitivo, perché le due dimensioni sintattico – semantico si saldano in un’unità che garantisce il funzionamento simbolico. Per parlare di oggetto artistico si deve riscontrare una certa intenzionalità estetica. Eccedenza di quest’ultima rispetto alla dimensione tecnica.
UNITA’ ESTETICA DI SENSO: L’opera d’arte, in quanto funzione simbolica, ha senso in se stessa, oltre a prescindere dalle altre funzioni. Grazie a questa eccedenza di senso, l’opera d’arte può essere considerata come svincolata da ogni altra funzione. L’unità di senso è un quid di improducibilità che sfugge alla logica della pura intenzionalità. Il senso dell’opera, l’autonomia della funzione artistica, sta in una triplice tensione: 1. con la tecnica che la produce (quindi con la sua consistenza fisico-oggettiva); 2. con le differenti funzioni a cui è destinata; 3. con lo stesso orizzonte dell’attenzione estetica. La tensione del senso dell’opera potrebbe essere espressa come tensione tra arte e tecnica. Questa tensione si esplica soprattutto nei termini di una dialettica tra improducibilità e producibilità. L’unità di senso dell’opera, quale emerge dal rapporto tra la sua intenzionalità tecnico-produttiva e l’intenzionalità estetica è appunto improducibile.
GENERI E STILI: Ogni opera, alla luce dei due criteri – organizzazione sintattica e semantica – e del loro necessario intreccio nell’instaurarsi di una relazione estetica, vale certo di per sé. Questo però non vuol dire che sia inclassificabile.
La polemica crociana contro i generi artistici sposta l’attenzione sul carattere singolarmente autonomo di ogni opera. E’ merito di Adorno aver difeso la tesi di un rapporto puramente nominalistico tra opera d’arte e genere artistico. In quanto idea, il genere è il correlato oggettivo di cui l’intenzione artistica è alla ricerca. Come identifichiamo l’appartenenza di un’opera ad un genere, indipendentemente dall’apprezzarla o meno, così possiamo identificarne lo stile. Se nel primo caso il giudizio ha un peso oggettivamente cognitivo, nel secondo il criterio del giudicare è prevalentemente estetico. Riconoscendo uno stile come proprio di un’opera, esprimiamo un giudizio relativo al rapporto che, in essa, si stabilisce tra la sua dimensione sintattica e quella semantica. Non necessariamente, il nostro giudizio è formulato proiettando in avanti nel tempo, oltre la sua effettività storica, un modello di unità stilistica. Possiamo anche proiettarlo all’indietro, prima della sua nascita.
INTERPRETAZIONE: Tra la percezione e la comprensione dell’opera si apre lo spazio della critica e dell’interpretazione. Ogni comprensione, resta suscettibile di rimettere in moto un atto interpretativo che attende a sua volta di compiersi nel gesto dell’interpretazione. Si può rafforzare la distinzione tra interpretazione e comprensione in rapporto al problema dell’opera d’arte, in due direzioni: 1. vi è una via intermedia tra l’infinità di interpretazioni e la singola interpretazione corretta, quella dell’autore. Ogni interpretazione deve rispettare le convenzioni relative al contesto culturale e ogni interpretazione ha una natura necessariamente ipotetico-congetturale rispetto alla quale sia l’intenzione dell’autore che l’intento della costituzione dell’opera restano sempre qualcosa d’altro. 2. inserire l’interpretazione all’interno di una risposta complessa che si può scandire funzionalmente in 5 momenti: percezione, emozione, critica, interpretazione, comprensione. Il giudizio che esprime l’apprezzamente estetico dell’opera, in questi cinque momenti ne configura l’unità sintetica e coincide con la sua comprensione.
LA QUESTIONE MIMETICA: Platone condanna l’arte; in particolare la pretesa dell’artista di mostrare direttamente la verità con ciò che produce. Tutto quanto identifichiamo come reale sono soltanto fenomeni, mentre verso è soltanto l’eidos, che imitano. Con la teche poietikè si produce qualcosa che in natura non c’è (letti, sedie). Con l’arte estetica si produce soltanto l’immagine di qualcosa che già esiste. Ma poiché quanto ci appare sensibilmente non è il vero essere, allora l’arte produce soltanto l’immagine dei fenomeni. Platone chiama il secondo tipo di arte, teche mimetikè, arte mimetica. La critica di Platone si estende anche alla poesia. La distanza che separa il poeta dal filosofo sta nella sua immodestia: nella facilità con la quale egli identifica la maestria della finzione produttiva con un sapere capace di surrogare ogni altri sapere, perfino quello divino che fa nascere gli enti naturali.
Per i Sofisti (Gorgia) l’arte non ha alcun rapporto con la verità: la sua funzione è di procurare emozioni piacevoli.
Per Aristotele l’arte è mimesis, ma porta alla conoscenza. Nella teoria della tragedia, Aristotele sostiene che l’arte poetica, imitando l’agire umano, assume ad oggetto il possibile. Per lui, la poesia è più filosofica della storia, poiché guarda all’universale. Consapevolezza della differenza tra il carattere di finzione del mondo possibile e il mondo della vita. Non c’è mimesis che non sia finzione, capacità di elaborare immaginativamente tratti della realtà per rappresentare come essa può e deve essere. All’origine della concezione aristotelica dell’arte poetica vi è la tesi del doppio rapporto che la techne instaura con la natura: imitativo (vuole imitare) e percettivo (vuole compiere).
Plotino, sostiene che le arti non si limitano a imitare la realtà visibile, ma si elevano alle ragioni formali dalle quali proviene la natura. L’artista, nel produrre, non guarda più alla realtà, ma al mondo delle idee. Si ha un vero e proprio capovolgimento della posizione di Platone nei confronti del carattere mimetico dell’arte. Le opere dell’artista, in quanto copie di copie, non sono più a tre distanze dal vero, non partecipano più dell’infimo grado epistemico e ontologico che caratterizza la natura effimera dei simulacri, dei riflessi speculari e delle ombre.
Il limite dell’artistico è declinabile in duplice direzione: 1. pretesa direttamente veritativa dell’opera d’arte; 2. finzionalità assoluta. L’opera d’arte non è pensabile come finzione, ma il limite dell’artistico sta nell’impossibilità di essere veritativa; ma il suo tenore veritativo deriva dalla tensione tra la sua finzione e il fuori.
TENSIONE TRA ARTE E POESIA: E’ il linguaggio poetico che ci permette di intuire l’unità estetica di senso, propria di ogni opera d’arte e la poesia comunicando se stessa, è anche veicolo di comunicazione d’altro. La poesia è anche comunicazione della lingua, in cui è presente una solida organizzazione tra funzione sintattica e semantica. IL linguaggio è autoriflessione dell’unità ritmica di suono e senso, manifestando in sé quella funzione della comunicazione linguistica, detta funzione poetica. La poesia nasce dalla lingua che ha la capacità di funzionare poeticamente e dall’unione di entrambe con la funzione poetica si esplicita quella funzione artistica propria del fare umano. La tensione è individuabile nel rapporto che si crea nella poesia tra la lingua autoriflessiva e la finzione della forma. Nella forma del linguaggio si dispiega il sentimento, il piacere estetico, dove il ritmo e il senso si uniscono. Dalla pluralità si sensi e interpretazioni possibili emerge il limite che è l’impossibilità di identificare radicalmente linguaggio e pensiero.
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LA RAPPRESENTAZIONE: Nel primo capitolo, Goodman indaga il tema della rappresentazione. Solo l’oggetto somiglia a se stesso al massimo grado e quindi un oggetto molto simile ad un altro, non lo rappresenta di certo, perché è in grado di rappresentare solo se stesso. Se voglio copiare un oggetto non posso farlo in ogni suo aspetto contemporaneamente e quindi devo scegliere solo un aspetto. La nostra percezione può essere distorta in certi casi e quindi dobbiamo cercare di copiare un oggetto così com’è, visto in condizioni asettiche e da un occhio “libero ed innocente”, che però non esiste. Un’opera d’arte come un quadro è rappresentazione? “Un quadro che rappresenta un oggetto, si riferisce a esso e, più precisamente lo denota. La rappresentazione non deve essere considerata come descrizione, ma come denotazione e non è possibile identificarla semplicemente con un rispecchiamento. Inizialmente Goodman assimila tutti i linguaggi figurativi, rappresentativi a delle descrizioni, ma poi rileva una specificità simbolica della rappresentazione rispetto all’analiticità della descrizione.
Le descrizioni evocano immagini tramite enunciati verbali, ma tali enunciati ci danno molteplici riferimenti, ma non riescono ad evocare in noi rappresentazioni visive finite. Le rappresentazioni, al contrario delle descrizioni verbali, non utilizzano linguaggi rappresentativi, ma sono immagini, raffigurazioni. La rappresentazione non è quindi verbale, ma figurativa. Il senso di ogni rappresentazione ci è dato dal suo rapporto con il mondo.
Niente è intrinsecamente una rappresentazione di qualcosa, ma si ha rappresentazione solo all’interno di un sistema simbolico nel quale possiamo riconoscere un paradigma che ci può aiutare a definire la fedeltà e il realismo di una determinata rappresentazione.
Il realismo è relativo e sicuramente è influenzato dalle credenze e dalle abitudini non solo presenti all’interno dei sistemi sociali di una determinata cultura, ma anche in riferimento ad ogni singola persona.
L’ESPRESSIONE: Goodman tratta dell’espressione nel secondo capitolo. Il primo punto da sfatare è che l’espressione sia la relatività dei sentimenti dell’artista. Mentre la rappresentazione riguarda gli oggetti e gli eventi, l’espressione riguarda sentimenti e proprietà, ma non vuol dire che si riferiscono a chi esprime la simbolizzazione dell’opera.
L’altro tratto interessante è il movimento: l’espressione procede in senso inverso rispetto alla rappresentazione; muove da e non verso ciò che è denotato.
Bisogna cogliere le affinità e le differenze tra esemplificazione ed espressione: l’esemplificazione correla il simbolo ad un’etichetta che lo denota; l’espressione metaforizza il denotato e per questo è un movimento da e non verso.
OPERE AUTOGRAFICHE E ALLOGRAFICHE: Distinzione tra arti autografiche e allografiche: nel primo caso non si può distinguere tra proprietà costitutive e contingenti (differenza tra originale e copia). Sono singole al primo stadio. Le proprietà costitutive di un quadro si identificano con le sue proprietà contingenti. Diremo che un’opera d’arte è autografiche se e solo se la distinzione tra falso e originale è significativa; meglio, se e solo se anche la più esatta duplicazione non conta per questo come genuina. Quindi la pittura è autografica, la musica è allografica. Il confine tra arte autografica e arte allografica non coincide con quello fra arte singola e arte multipla. L’unica conclusione positiva che possiamo avanzare è che le arti autografiche sono quelle che al primo stadio sono singole (l’incisione è singola nel suo primo stadio e la pittura nel suo primo e solo stadio. Le opere allografiche sono a base notazionale e sono anche le sue proprietà costitutive.
LA TEORIA DELA NOTAZIONE: Goodman ci dice che “lo schema simbolico di ogni sistema notazionale è notazionale, ma non ogni sistema simbolico con uno schema notazionale è un sistema notazionale”. Ciò che distingue i sistemi notazionali dagli altri sono certe caratteristiche della relazione che intercorre tra lo schema notazionale e l’applicazione. Tutte le iscrizioni di un carattere dato in una notazione sono sintatticamente equivalenti: indifferenza di carattere tra gli esemplari di ogni carattere. Il modo con cui è reso il carattere è indifferente perché l’esemplare di ogni carattere è una replica, non è la copia di un originale. Per definire che cosa costituisce uno schema notazionale, Goodman, individua cinque requisiti necessari: 1. I caratteri devono essere disgiunti; 2. I caratteri devono essere finitamente differenziati o articolati; 3. La composizionalità implica la composizione di carattere finitamente differenziati; 4. Congruenza come correlazione di un sistema simbolico con un campo di riferimento; 5. Non ambiguità semantica dei sistemi notazionali (differenziazione semantica finita). In questi cinque requisiti non possono rientrare i linguaggi naturali. Nessuna delle nostre lingue naturali è un sistema notazionale: i linguaggi discorsivi sono svincolati dai tre requisiti semantici, pur rispettando i due requisiti sintattici (differenziazione e disgiunzione).
I 5 SINTOMI RELATIVI AL FUNZIONAMENTO SIMBOLICO DELL’ARTE: Goodman propone di individuare almeno dei sintomi relativi al funzionamento simbolico di qualche oggetto, che possono essere delle spie dell’attivarsi di una relazione estetica. Un sintomo non è una condizione necessaria né sufficiente dell’esperienza estetica, ma tende semplicemente ad esservi presente ad accanto ad altri sintomi dello stesso tipo. La specificità simbolica di un’opera d’arte è quella di attrarre l’attenzione su di sé, piuttosto che a quello a cui si riferisce. I cinque tipi di sintomo sono: 1. Densità sintattica: si ha densità sintattica, quando si ha disgiunzione, quando prevale la raffigurazione e non si isolano dei caratteri; 2. Densità semantica: è dove sono sepolti i simboli; 3. Saturazione sintattico relativa: l’indiscernibilità tra l’elettrocardiogramma e il disegno di Hokusai del monte Fuji; in questo secondo caso vengono a far parte degli aspetti che nel diagramma sono puramente contingenti (spessore della linea, carta, colore, ecc.); qui contrasta con il metter da parte l’intenzionalità e il limite sta nel non distinguere tra artistico ed estetico, dove nel secondo è implicita l’autorialità; 4. Esemplificazione metaforica: mentre mostra, esemplifica anche altre cose; 5. Riferimento multiplo e complesso: i riferimenti all’interno di un’opera d’arte non sono mai unici e lineari (ha a che fare anche con tutti i livelli con cui si può analizzare un’opera d’arte).
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DAL “TRACTATUS” ALLE “RICERCHE FILOSOFICHE”: Il punto di partenza del Tractatus è il mondo. L’accordo tra ontologia e mondo è dato dalla forma logica. L’essenza della proposizione sta nella forma logica. Nelle Ricerche è la semantica che articola l’ontologia del mondo e questa articolazione non è più mediata dalla forma logica della proposizione. Ogni proposizione è in ordine così com’è, non si deve commisurare con una forma logica compiuta. Dall’interno del linguaggio, non si descrive cos’è il mondo, ma come esso è. La valenza ontologica viene dalla semantica. E’ con il linguaggio che facciamo esperienza del mondo e diamo una valenza agli oggetti.
CONTRO L’IMMAGINE OSTENSIVA AGOSTINIANA: Le parole, per Agostino, sono nomi e il loro significato è l’oggetto o la cosa per la quale esse stanno. Chi si affida a questa definizione, rimanda a una rappresentazione primitiva di come funziona il linguaggio. Il fatto che una definizione ostensiva deve essere compresa e può essere fraintesa, basta da sola a mostrare che essa non sta affatto all’origine del linguaggio e del suo apprendimento. La definizione ostensiva spiega l’uso – il significato – di una parola, quando sia già chiaro quale funzione la parola debba svolgere, in generale, nel linguaggio.
GIOCHI LINGUISTICI E SOMIGLIANZE DI FAMIGLIA: Wittgenstein, con il termine “gioco linguistico”, intende: a) quei giochi mediante i quali i bambini apprendono la loro lingua materna; b) linguaggi più semplici o primitivi del nostro complicato linguaggi quotidiano; c) ciascuno dei differenti e innumerevoli modi di impiego di ciò che chiamiamo segni, parole, proposizioni. Se passiamo in rassegna i vari giochi e gruppi di giochi, ciò che vediamo non è qualcosa che sia comune a tutti, bensì una rete complicata di somiglianze di famiglia che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo.
IL SIGNIFICATO DI UNA PAROLA STA NEL SUO USO: Uno dei grandi errori della filosofia è quello di credere che una parola non ha significato se ad essa non corrisponde qualcosa. Il significato di una parola va ricercato nella funzione che svolge nel linguaggio, ossia nell’insieme delle regole che ne disciplinano e ne delimitano l’uso. Comprendo una proposizione in quanto la adopero.
SEGUIRE UNA REGOLA: Wittgenstein critica sia la concezione che le conseguenze di una regola sono già esistenti in essa, chiedendo che cosa ci assicura che il punto al quale si giunge sia effettivamente quello al quale la regola è da sempre idealmente giunta? Inoltre critica anche chi ritiene che tra la regola e la sua applicazione sia necessario un atto interpretativo: perché allora qualunque cosa io faccia, può sempre essere accordato con la regola stessa, anche il suo contrario. Seguire una regola, per Wittgenstein è allora un uso, un’abitudine, una prassi. Un’applicazione della regola in un nuovo contesto, in una nuova circostanza, viene posta come paradigma di correttezza per ulteriori applicazioni della regola: l’applicazione viene definita applicazione paradigmatica. Non si può postulare che seguire una regola avvenga per una sola persona, per una sola volta; si implica una riflessione in virtù di un addestramento. Seguire una regola una sola volta, non vuol dire seguire la regola. La regola si comprende nella sua applicazione. Non è possibile che un solo uomo abbia seguito una regola, perché questo farebbe coincidere credere si seguire una regola con il seguire la regola.
LINGUAGGIO PRIVATO: Il linguaggio privato altro non è che un certo modo di fraintendere l’operare del nostro linguaggio. Si induce a trattare le sensazioni, i sentimenti come oggetti privati, a cui io solo posso accedere. Questi oggetti si presentano davanti all’occhio o all’orecchio della mia mente e io do loro un nome, mediante una sorta di definizione ostensiva interna e privata (esempio della S sul calendario); da qui emergono due considerazioni: le sensazioni di una persona sono accessibili solo ad essa e possono solo congetturare le sensazioni altrui. Quando si dice “ha dato un nome a una sensazione” si dimentica che molte cose devono già essere pronte nel linguaggio, perché il puro denominare abbia un senso. E quando diciamo che una persona dà un nome a un dolore, la grammatica della parola dolore è già precostituita. Se interpretiamo il dolore come un oggetto privato, allora un nulla rende lo stesso servizio di un qualcosa di cui non si possa dire niente. L’espressione verbale del dolore, sostituisce e non descrive il dolore.
LA COMPRENSIONE: Wittgenstein prende in esame, criticandoli, i due tipi di mentalismo: semantico e psicologico. Mentalismo semantico esperenziale: afferma che il significato di un termine, risiede esclusivamente in un’esperienza mentale vissuta. Mentalismo semantico psicologico: sostiene che il significato di un termine si trova in un processo cerebrale che giace sotto la coscienza individuale. Per Wittgenstein nessuna immagine mentale può riuscire ad assegnare alla parola corrispondente un significato specifico, proprio perché tale immagine, anche se il più somigliante possibile ad una determinata cosa, può sempre essere impiegata in maniera diversa. Mentalismo psicologico esperienziale: ribadisce che per comprendere il significato di un termine non è necessario avere un’esperienza vissuta e l’avere esperienza di una cosa non significa comprenderla. Mentalismo psicologico neurofisiologico: si ha, anche a livello inconscio, un processo cerebrale all’interno del proprio cervello, ma per Wittgenstein, la presenza di un processo cerebrale non è condizione necessaria perché si comprenda una determinata espressione di una lingua. Il comprendere non è uno stato psichico. Comprendere significa essere padroni di una tecnica. Riconduce la comprensione ad uno stato mentale: ad un processo interno, che per esistere deve necessariamente manifestarsi in qualche modo.
Fonte: http://digilander.libero.it/AP1982/fillingdoc.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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