I promessi sposi riassunto capitoli dal xvi
I promessi sposi riassunto capitoli dal xvi
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
I promessi sposi riassunto capitoli dal xvi
CAPITOLO XVI
Renzo, liberatosi dei manichini, se la diede a gambe tra la folla che gli faceva largo; alcuni gl'indicarono, li vicino, un convento e una chiesa, dove avrebbe potuto rifugiarsi; ma il giovane, sin dal primo momento che aveva pensato alla possibilita di una fuga, aveva deciso di raggiungere il Bergamasco: in una chiesa o in un convento non ci si sarebbe cacciato se non quando avesse avuto i birri proprio alle calcagna. Percio si allontano di gran carriera da quel luogo in una direzione qualsiasi, con l'intenzione di farsi insegnar la strada in seguito, laddove lo potesse fare senza destar sospetto.
Quando, dopo una lunga galoppata, ritenne di essere giunto in un punto dove era sicuro che nessuno lo conosceva, ne poteva essere giunta la notizia della sua fuga, rallento il passo sino ad assumere un'andatura normale. Ma, per chiedere la strada di Bergamo, doveva trovare una persona che gli ispirasse fiducia, che non fosse ne un cicalone curioso, ne un sospettoso, ne un malevolo che potesse tendergli qualche trappola; per questo, come dice il Manzoni, "dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovare la figura che gli paresse a proposito." Allorche vide uno che veniva frettoloso, parlando tra se, lo giudico un uomo sincero, che non avrebbe ne ingannato ne fatto perder tempo, e quindi con buona grazia gli chiese da quale parte dovesse prendere per andare a Bergamo. Colui gli indico la strada da percorrere, con pronta gentilezza; e Renzo, ringraziatolo con semplici ma sentite parole, si avvio per la direzione mostratagli; giunse in breve in piazza del Duomo, rifece il cammino del giorno precedente e si avvicino a porta Orientale. Ma avendo sulla soglia di questa intravisto dei soldati, fu preso da paura, e fu li li per entrare nel convento dei Cappuccini, che aveva davanti, dove sarebbe stato certamente ben accolto per via di quella lettera al padre Bonaventura; ma vinse la paura e la tentazione, pensando che i due birri non lo avevano potuto precedere, per appostarsi a quella porta, e degli altri nessuno lo conosceva ne sapeva certamente che cosa aveva fatto. Fattosi percio coraggio, e fischiettando in sordina per darsi un'aria indifferente, passo attraverso la porta col viso impavido ma col cuore che gli batteva, come si dice, in gola.
Per sua fortuna i gabellieri e i soldati non si preoccupavano di chi usciva, mentre avevano ordine di non far entrare gente che venisse per approfittare del tumulto; quindi nessuno bado a Renzo il quale pero, appena uscito, lascio la strada maestra e prese una viottola a destra, per far perdere le sue tracce agli eventuali inseguitori. Allorche fu sicuro di non essere inseguito, pote pensare un po' meglio ai casi suoi; e riflettendo al fatto del nome, si ricordo a un dipresso come il finto spadaio, cosi gentile e manieroso, gliel'aveva carpito con quel suo bel ritrovato della carta annonaria; ma ormai al passato non c'era rimedio e bisognava pensare al futuro, e innanzi tutto a trovare quella benedetta strada per Bergamo. Necessariamente doveva rivolgersi a qualche passante; anche questa volta scruto bene i volti di quelli che incontrava, e quando trovo uno che gli dava affidamento,
gli rivolse senz'altro la sua domanda. Quegli, avvertitolo che era completamente fuori strada, gli indico come dovesse fare per raggiungere la via maestra; ma Renzo, non volendo percorrerla per paura di brutti incontri, si propose di fiancheggiarla senza perderla di vista. Siccome pero la cosa non gli riusciva, e non si sentiva di star continuamente a domandare la strada di Bergamo, perche poteva destar sospetto (chi e in difetto e in sospetto), penso di conoscere con qualche astuzia il nome di un paese del ducato di Milano, ma posto sul confine, del quale potesse chiedere liberamente e dove si potesse andare anche per vie secondarie: da esso sarebbe poi passato nel territorio di Bergamo.
Si era ormai verso mezzogiorno, e l'appetito gli si faceva sentire, per cui, avendo visto "pendere una frasca da una casuccia solitaria" (la frasca era nelle campagne e nei villaggi insegna d'osteria), penso che li avrebbe potuto rifocillarsi e anche scoprire il nome di quel paese che gli interessava. L'ostessa, una vecchia curiosa come le sue pari, gli pote offrire solo pane e formaggio, avendo Renzo rifiutato il vino, col quale ancora ce l'aveva, per il brutto tiro che gli aveva giocato il giorno prima; ma appena il cliente si fu seduto a tavola, comincio subito a tempestarlo di domande sui gran fatti di Milano, di cui era giunta fin la la notizia. Il nostro giovane non solo seppe eluderle destramente, ma si servi anche della curiosita della donna per raggiungere il suo intento. Avendogli infatti colei domandato dove fosse diretto, rispose che doveva andare in parecchi posti e, se gli restava un po' di tempo, anche in "quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, pero nello stato di Milano." e s'interruppe fingendo di non ricordarne il nome; e la vecchia, prontamente intervenendo, suggeri: "Gorgonzola, volete dire." Lo stratagemma era pienamente riuscito.
Renzo ripete il nome, come se gli tornasse in mente proprio in quel momento, ma in effetti per imprimerselo bene nella memoria; ottenuto ormai il suo scopo ed essendosi rimesso un po' in forze con quel magro pasto, riparti senza indugio col morale risollevato, dopo essersi fatta insegnare la strada verso questa provvidenziale Gorgonzola, distante da li, a detta dell'ostessa, una decina di miglia. Vi arrivo finalmente un'ora prima del tramonto. Aveva deciso di fare qui un pasto piu sostanzioso, per rimettersi subito in cammino verso l'Adda, la quale sapeva che, per un certo tratto, faceva da confine tra il ducato di Milano e la Serenissima, da cui dipendeva appunto Bergamo; non sapeva pero dove fosse questo tratto; comunque, confine o no, avrebbe dovuto attraversare quel fiume, e per lui non sarebbe stata impresa facile. Penso che qualche notizia utile al riguardo avrebbe potuto attingerla, con un po' d'astuzia, all'osteria dove si sarebbe fermato a mangiare un boccone. Dopo il recente successo con la vecchia, gli era molto cresciuta la fiducia nella sua destrezza: non gli mancavano intelligenza e tatto.
Vista un'insegna d'osteria, entro e all'oste, presentatosi a servirlo, chiese da mangiare e anche una mezzetta di vino, che ormai il lungo cammino aveva cancellato il rancore che aveva concepito contro il dono di Bacco. Alcuni sfaccendati del paese, che stavano li in attesa di notizie fresche da Milano, attorniarono subito il viaggiatore, e uno gli chiese se veniva da Milano. Il giovane,
sorpreso, cerco di eludere la domanda per lui fastidiosa e compromettente: "Milano, da quel che ho sentito dire. non dev'essere un luogo da andarci in questi momenti."
Quindi, avendo ormai pensato la sua risposta, disse che non aveva notizie sui tumulti, perche lui veniva da Liscate (il nome di questo paese lo aveva saputo mentre lo attraversava); il curioso, deluso, desistette da ulteriori domande, e Renzo trasse un respiro di sollievo.
Essendo l'oste tornato per portargli le vivande, il giovane gli chiese, con aria affettatamente indifferente, quanta strada ci fosse per giungere all'Adda. L'uomo, che doveva essere un curioso incorreggibile, innanzi tutto volle sapere se dovesse passarla; quindi, alla risposta affermativa del forestiero, chiese ancora se volesse passare dal ponte di Cassano o sulla chiatta di Canonica, "i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che puo dar conto di se." Davanti a siffatta domanda, accompagnata da tal commento, Renzo comincio a sentirsi a disagio, e rispose non senza imbarazzo: "Dove si sia. Domando cosi per curiosita." Avendo quegli risposto che, sia per l'uno che per l'altro luogo, c'erano circa sei miglia, Renzo, fingendo di meravigliarsi della distanza, domando se ci fossero delle scorciatoie verso qualche altro punto del fiume, dove fosse possibile traghettare. L'oste rispose che ce n'erano senz'altro, ma contemporaneamente gli ficco "in viso due occhi pieni d'una curiosita maliziosa", per cui il giovane non insistette nelle domande e penso solo a mangiare in fretta per riprendere il suo cammino.
Intanto gli sfaccendati che erano nel locale avevano ripreso a parlottare tra loro, rammaricandosi di essere all'oscuro di quanto avveniva nella capitale, e concertando alcuni di recarvisi l'indomani, per chiarirsi dei fatti di cui era la giunta solo una vaga notizia, che aveva acuita piu che soddisfatta la loro curiosita. Mentre prendono questi accordi, sentono uno scalpitio di zoccoli, e corrono sull'uscio a vedere: era un mercante milanese che, recandosi spesso a Bergamo per i suoi affari, era solito pernottare in quella locanda; ai curiosi in attesa baleno subito la speranza di veder soddisfatta la loro sete di notizie. Il mercante smonto e, barattati i saluti con quegli sfaccendati che ormai conosceva per la lunga consuetudine, chiese all'oste, accorso anche lui sollecito, il suo solito boccone e la sua solita camera, se era libera. Appena si fu seduto, i presenti gli si strinsero intorno, tempestandolo di domande sugli avvenimenti di Milano, che egli aveva lasciato solo da poche ore.
Il mercante rispose molto volentieri, poiche anche a lui piaceva parlare e mostrarsi informato, come piace in generale a tutti, eccetto che abbiano delle buone ragioni per tacere, e il nostro Renzo era appunto uno di questi. Racconto dunque i fatti della mattinata, stante che i suoi ascoltatori conoscevano gia - grosso modo - quelli del giorno precedente. Ordunque di prima mattina - disse in sostanza il mercante mentre consumava lentamente la sua cena - quei facinorosi che non erano ancora contenti delle prodezze del giorno prima, cominciarono a riunirsi nei luoghi convenuti e, quando furono in buon numero, si diressero alla casa del vicario di provvisione, con la ferma intenzione di saccheggiarla. Ma i vogliosi trovarono la strada chiusa da una barricata, dietro la quale erano allineati
i micheletti con gli archibugi spianati, pronti a riceverli degnamente con una salva in loro onore. Peccato! non si aspettavano tanto onore, e dovettero tornare indietro; ma erano inviperiti e si sentivano prudere le mani, per cui si riversarono nel Cordusio e diedero il sacco a quel forno sul quale non avevano potuto metter le mani il giorno precedente. Il povero forno era in quel momento aperto, e vi si distribuiva regolarmente il pane agli avventori sotto la vigilanza di alcuni nobili, a cio deputati dalle autorita. In un battibaleno tutto va a ruffa raffa; quindi cominciano, al solito, a portar fuori lo stiglio, per farne un bel falo in piazza del Duomo, allorche "uno piu manigoldo degli altri" propone di far di tutto un bel mucchio nel forno stesso, e di appiccare cosi il fuoco a tutta la casa. Detto fatto; il truce proposito sta per essere attuato, quando uno che abita dirimpetto ha un'ispirazione dal cielo: prende un crocifisso e lo appende all'archetto di una finestra, quindi accende sul davanzale due candele benedette. A Milano, per grazia del Cielo, c'e ancora del timor di Dio: molti guardano in su, a Cristo in croce, e si sentono toccati nel cuore, mentre la voce della coscienza li rimorde e per i passati trascorsi e per quanto stanno per fare. Mentre sono cosi indecisi, ecco giungere tutti i canonici del Duomo, in paramenti solenni, processionalmente dietro la croce, portata da uno di loro, e si mettono a predicare chi in una parte, chi in un'altra: ma, figlioli, che state facendo? dov'e il santo timor di Dio? questo e l'esempio che date ai vostri figli? Tornate a casa, che il pane e stato fissato a un prezzo piu basso di prima; l'avviso e affisso a tutte le cantonate!... Ed era vero: con un soldo si ha una pagnotta di otto once! Una vera cuccagna: speriamo che duri!
Pero non ho detto tutto - continua infervorato il loquace mercante - ora viene il bello. Sapete? e una cabala tutta ben preparata dalla Francia per danneggiare la Spagna, perche i Navarrini (cosi allora erano chiamati spregiativamente i Francesi) sanno che qui a Milano e la forza del nostro re don Filippo IV. Quelli che hanno istigato la gente, sono forestieri; a proposito, la polizia ne ha arrestato uno in una locanda, (Renzo che ascolta col fiato sospeso ha come un tuffo al cuore, e per poco non si tradisce), un diavolo il quale andava predicando d'ammazzare tutti i signori, che aveva con se un fascio di lettere, in cui era descritto tutto il piano e si facevano anche i nomi dei complici, per cui si dice che ci andranno di mezzo molte persone. Pero, mentre lo conducevano in prigione, questo delinquente e stato liberato con la violenza dai suoi complici "che facevano la ronda intorno all'osteria". Si sa di certo che i capi della sedizione saranno impiccati; e ci voleva davvero un esempio per certa gente! Avevano preso la bella abitudine di entrare nelle botteghe, servirsi di prepotenza e dare busse in pagamento; non si poteva piu andare avanti cosi! Ora tutti quelli che hanno preso parte al tumulto si sono tappati in casa, per la paura di essere nel numero di coloro che dovranno dare spettacolo, appesi alle forche; la citta, quando io sono partito, era deserta e muta, proprio come un convento.
Gli ascoltatori erano rimasti molto impressionati, specialmente dalle ultime notizie; e mentre prima si rammaricavano di non essere andati a Milano, e alcuni si proponevano di andarci l'indomani, ora, al sentir mentovare le forche, si
rallegravano di non esserci andati, e quasi se ne vantavano come dimostrazione della loro saggezza e del loro attaccamento alla famiglia. E Renzo? Al poverino "quel poco mangiare era andato in tanto veleno", dice il Manzoni senza esagerare; quando il mercante aveva accennato a lui, istintivamente aveva dato un guizzo, come per fuggire; e buon per lui che in quel momento tutti pendevano dalla bocca del narratore, che altrimenti sarebbe stato scoperto. In breve riusci a controllarsi, ma decise di andarsene subito, non appena il mercante fosse passato ad altri argomenti. Quando dunque colui comincio a parlar d'altro, egli chiamo con un cenno l'oste, pago lo scotto senza tirare sul conto, e di buon passo si diresse dalla parte opposta a quella da cui era venuto, senza chiedere neppure la strada. Cio che aveva udito all'osteria non solo lo aveva turbato, ma anche gli aveva messo nell'animo, con lo sdegno per le menzogne accumulate contro di lui, un senso di indefinita paura.
CAPITOLO XVII
Il Manzoni inizia questo capitolo osservando che spesso basta una sola voglia insoddisfatta, per tenere in angustia un uomo; figuratevi poi se le voglie sono due, e per di piu opposte, come quelle che agitavano il nostro giovane all'uscita dall'osteria di Gorgonzola: quella di nascondersi e quella di scappare. Lasciato il paese all'avemaria, da principio incontrava qualche viandante ma, pieno di sospetto com'era, non si azzardava a chiedere la strada verso l'Adda; in seguito, quando le tenebre, stendendo un opaco velo su uomini e cose, lo liberarono da questo timore, non trovo piu nessuno a cui poter chiedere, e dovette procedere, come si dice, a lume di naso. Alla prima viottola che incontro volle lasciare la strada maestra, per quanto l'oscurita che s'infittiva sempre piu lo mettesse ormai al riparo da brutti incontri; e mentre camminava frettoloso, ripensava a tutte quelle belle notizie che il mercante aveva sciorinato nell'osteria, per fare il sapientone, e si accalorava contro di lui in un muto monologo: "Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di lettere, io!" E continuava con aperto e amaro rinfaccio: "sappiate che, intanto che voi stavate a guardare la vostra bottega, io mi facevo schiacciar le costole, per salvare il vostro signor vicario di provvisione." Quindi passava a un tono di ironica canzonatura circa il gran fascio di lettere che sarebbe rimasto in mano della giustizia, con dentro esposta tutta la cabala; si trattava invece di una sola lettera, scritta da un degno frate a un suo confratello per aiuto di un povero perseguitato, e la lettera era ancora in suo possesso. E terminava la sua requisitoria con un monito severo: "imparate a parlare un'altra volta; principalmente quando si tratta del prossimo."
Ma sfogata alquanto la sua stizza con questo soliloquio, Renzo capi che il suo nemico ormai non era il mercante, ma la stessa situazione in cui si era cacciato, la quale appariva talmente intricata, da non potersi sbrogliare senza qualche fortunato evento. Si trattava di raggiungere l'Adda cosi tra le tenebre, senza un indizio, senza una direttrice, quasi a tentoni; e poi, una volta trovato questo benedetto fiume, si trattava di passarlo; chi gli poteva poi assicurare che il fiume faceva in quel punto da confine? Qualora non facesse da confine, si sarebbe presentata una nuova difficolta nell'attraversamento del confine terrestre, che certamente sarebbe ben guardato da doganieri e soldati, i quali potevano essere gia avvertiti della sua fuga: ormai era passata un'intera giornata! A tutto questo s'aggiungeva il freddo, che si faceva sentire sempre piu, avendo egli vestiti leggeri, quelli appunto che aveva indossato per il matrimonio di sorpresa; inoltre gli davano una sensazione sempre piu molesta, e quasi dolorosa, sia il buio, reso piu pauroso dal fioco lume della luna offuscata dalla nuvolaglia, sia la solitudine, che diveniva di momento in momento piu ossessiva, sia infine la stanchezza, che ormai gli si faceva sentire acutamente dentro le ossa, rotte dal continuo e affannoso camminare.
Avrebbe voluto cercar ricovero in qualche cascina di contadini, ma avvicinandosi e sentendo i cani latrare furiosamente, non ne aveva piu il coraggio, temendo di essere scambiato per ladro o bandito, e ricever quindi una mala accoglienza. Continuo dunque il suo cammino sempre piu stanco e sempre piu di mala voglia, sperando solo di poter udire, da un momento all'altro, il rumore del fiume tanto sospirato. "L'Adda ha buona voce - pensava per confortarsi; e, quando le saro vicino, non ho piu bisogno di chi me l'insegni." Percio ogni tanto si fermava in ascolto.
A un certo punto si accorse che i campi coltivati erano finiti, e s'inoltro in una sodaglia ricoperta di erbe alte e, qua e la, di arbusti, il che poteva far pensare a un fiume vicino. La brughiera piu in la diventava macchia e, a poco a poco, bosco. Qui il buio diventava piu fitto, e la fioca luce della luna, filtrando debolmente tra il denso fogliame, disegnava al suolo delle ombre dai contorni incerti, quasi delle figure mostruose che eccitavano la sua fantasia. A poco a poco l'uggia, che Renzo ormai da tempo provava nel proseguire per quel cammino cosi alla cieca, si muto in ribrezzo che, aggiunto al freddo, gli faceva accapponare la pelle e battere i denti; a un certo punto comincio a sentir paura, e infine fu preso da un terrore indefinito e irragionevole. Si fermo ansante, con gli occhi sbarrati e i capelli irti: il panico aveva paralizzato il suo corpo e la sua mente; stava per perdere il controllo di se stesso e darsi a fuga precipitosa e incontrollata; "ma atterrito, piu che d'ogni altra cosa, del suo terrore, richiamo al cuore gli antichi spiriti, e gli comando che reggesse." Ripresosi da quel momento di smarrimento, penso piu serenamente al da farsi; il meglio gli sembrava tornare indietro e cercare un ricovero tra gli uomini; ma in quel vasto silenzio, calmatosi alquanto il pulsare impetuoso del cuore, udi a un tratto uno sciabordio di acque; tese le orecchie col fiato sospeso: si, era la voce amica dell'Adda! Subito si senti un altro: angoscia, stanchezza, freddo, tutto era scomparso in un momento; e seguendo coll'udito lo sciaquio del fiume, in poco tempo ne raggiunse la riva.
Guardo se ci fosse qualche barca, in modo da poter passare subito, ma non ne vide nessuna; ne era il caso di tentare il guado, perche con l'Adda non si scherza; decise percio di tornare indietro, per passare il resto della notte al coperto, che a passare altre lunghe ore all'addiaccio non avrebbe resistito. Aveva notato, venendo, una capanna nei campi, quasi al confine della sodaglia: li avrebbe potuto evitare, in parte, il rigore della notte. E cosi fece; ritrovata la capanna, ci entro e vide appesa al tetto una specie d'amaca, fatta di ritorte; ma non si curo di salirci, gli parve abbastanza potersi sdraiare sulla paglia accumulata per terra.
Pero, prima di coricarsi, s'inginocchio per dire le sue orazioni, e chiese perdono a Dio di non averle dette la sera prima, per cui aveva avuto poi quel bel risveglio; si disse pentito anche dell'imprudenza e dell'intemperanza che avevano causato i suoi guai; quindi si distese sulla paglia, cercando di addormentarsi. Ma non ci riusciva, tante erano le immagini che gli si affollavano nella fantasia, tanti erano i pensieri che lo assillavano; e poi c'era il freddo, che anche li dentro si faceva sentire abbastanza, e gli faceva ogni tanto battere i denti. Per difendersi da esso, si copri completamente di paglia, a guisa di coltre, ma poco gli giovo, e
rimase insonne a rabbrividire nell'oscurita. Le immagini, le figure umane che gli sfilavano davanti agli occhi della mente, erano tutte brutte o antipatiche, meno tre: Lucia, Agnese e padre Cristoforo. Ma anche nel contemplare queste, quanta nostalgia, quanta tristezza! Si ricordo che quella doveva essere la quinta notte delle sue nozze: ma dove e come si trovava? in che modo avrebbe potuto riunirsi a Lucia, ora che c'era di mezzo anche la cattura? Cercava pero di cacciare tutte le preoccupazioni, pensando che il Signore e infinitamente misericordioso, e non lo avrebbe abbandonato. Lo confortava soprattutto la soave immagine della fidanzata: "Lucia e tanto buona! non vorra poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!"
Disperando ormai di prender sonno, sospirava tremando e battendo i denti il ritorno della luce, e contava il lento scorrere delle ore per mezzo dei rintocchi di un orologio (forse quello del campanile di Trezzo), i quali giungevano distinti sino a lui nell'ampio silenzio della notte. Quando furono le cinque del mattino, si alzo come aveva deciso; disse in ginocchio una breve ma fervorosa preghiera, quindi si rialzo pieno di fiducia, si stiro in lungo e in largo, cercando di rianimare le membra intirizzite, e finalmente riprese il cammino verso l'Adda. Il cielo prometteva una bella giornata, anche se dei cirri e dei lievi cumuli color viola variegavano qua e la il vasto azzurro, tingendosi verso oriente di un rosso che in basso si faceva sempre piu acceso: "quel cielo di Lombardia - dice con compiacenza provinciale il Manzoni - cosi bello quando e bello, cosi splendido, cosi in pace." Ma il nostro giovane non aveva ne tempo ne animo, in quel momento, per contemplare lo spettacolo dell'alba, tutto attento com'era a rintracciare il sentiero, e soprattutto a evitare pericoli e brutti incontri. In poco tempo rifece il cammino della sera precedente, e giunse sulla riva cosparsa di macchie. Dall'alto dell'argine vede giu nell'acqua una barchetta, che si muove lentamente contro corrente. Scende giu sul greto e da una voce al barcaiolo, chiedendo che approdi. Colui, dopo essersi assicurato che non c'e all'intorno nessun occhio indiscreto, si dirige alla volta di Renzo.
L'Autore ci dice che questo pescatore era spesso pregato di tragittare qualche contrabbandiere o fuoruscito, e lo faceva non tanto per amore del poco e non sicuro compenso, quanto per non farsi dei nemici tra quella gente vendicativa; ma naturalmente non voleva rischiare di essere visto da birri o spie, e quindi passare dei guai per la sua condiscendenza. Renzo, che era in trepida attesa della barca, non appena questa tocco terra, subito ci salto dentro, e supplico il barcaiolo di tragittarlo, dietro compenso, all'altra riva. Quegli aveva gia intuito l'intenzione del cliente, e volto subito la prua verso il largo. Renzo, vedendo nella barca un remo di riserva, lo afferro di slancio e lo mise in opera con tanto garbo e perizia, che il pescatore lo fece fare volentieri, vedendo che era quasi del mestiere. Ora che il passaggio dell'Adda era questione di minuti, un dubbio offuscava la gioia del nostro giovane, se cioe il fiume faceva li da confine o no; chiestone al barcaiolo, e saputo che la riva a cui stavano per approdare era bergamasca, vale a dire territorio veneto, non pote trattenere un'esclamazione di gioia: viva san Marco! Il protettore di Venezia gli appariva come un salvatore.
Quando la prora tocco la riva veneta, Renzo balzo a terra senza indugio e compenso il buon pescatore con una berlinga, che per il suo magro borsellino fu un bel sacrificio, ma egli lo fece volentieri, dato il grande servizio che colui gli aveva reso. Mentre la barca riprendeva il largo, il giovane s'incammino verso Bergamo, gia indicatagli dal barcaiolo, la quale appariva come "una macchia biancastra sul pendio del monte"; ma prima di mettersi in via apostrofo stizzosamente il territorio che lasciava: "Sta li, maledetto paese." La patria lo perseguitava, e lui la sentiva come nemica; ma pensando a chi lasciava in quel paese, si rattristo e guardo con un certo struggimento l'acqua che gli scorreva davanti, pensando che era passata sotto il ponte di Lecco, proprio vicino al suo paese, che gli era caro nonostante tutto.
Si riscosse quasi subito, caccio quei pensieri melanconici, e si avvio risoluto; al primo viandante che incontro chiese senza esitazione la via per giungere al paese di Bortolo, che era molto vicino a Bergamo. Bortolo, suo cugino, la emigrato da molti anni, aveva fatto fortuna, diventando, da semplice filatore di seta, primo lavorante e factotum del proprietario, che se lo teneva caro per la sua capacita e onesta. Aveva piu volte invitato Renzo a trasferirsi anche lui in quel paese, assicurandogli un lavoro molto redditizio, ma il nostro non gli aveva mai dato ascolto, perche non voleva distaccarsi da Lucia, alla quale il suo cuore era legato anche prima del fidanzamento. Ora invece Renzo arrivava quando meno Bortolo lo avrebbe voluto, poiche il lavoro era scarso per tutti a causa della carestia e del conseguente ristagno economico.
Il paese di Bortolo distava dall'Adda poco meno di dieci miglia, e allorche Renzo ebbe fatto il piu del cammino, si senti un discreto appetito, per cui penso di rifocillarsi prima di giungere dal cugino, per non presentarsi cosi affamato. Conto gli spiccioli che gli erano rimasti e vide che poteva permettersi un pranzetto sostanzioso; entro quindi in un'osteria e consumo un pasto frugale, ma sufficiente a rimetterlo in forze e di buon umore. Pagato il conto, gli rimase ancora qualcosa, che uscendo dal locale diede volentieri a una famiglia la quale, ridotta in miseria dalla carestia, tendeva la mano li sulla porta. "La refezione e l'opera buona (giacche siam composti d'anima e di corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri." dice a questo punto il Manzoni, e ben a ragione; se infatti la Provvidenza si era servita degli ultimi spiccioli di un povero fuoruscito per sostentare in quel giorno quella famiglia, come avrebbe poi potuto abbandonare colui del quale si era servito a questo scopo, ispirandogli un si vivo sentimento di carita cristiana?
Quando Renzo arriva finalmente al paese del cugino, riconosce subito l'edificio della filanda, abbastanza caratteristico; entrato, chiede se lavora li un certo Bortolo Castagneri, e gli viene indicato dov'e "il signor Bortolo", facendo con cio intuire la carica che quegli ricopre nell'opificio. Dopo un "oh" di meraviglia e un affettuoso abbraccio, Bortolo trae in disparte il cugino, e si rammarica con lui che sia venuto senza avvertirlo, in un momento non proprio adatto per trovare lavoro. Renzo gli espone il motivo della sua improvvisata, raccontandogli in succinto i fatti che lo avevano costretto a lasciare il paesello
assieme a Lucia e Agnese. A sentire quelle dolorose vicende, e anche le disavventure di Milano, Bortolo, commosso, fece coraggio al cugino, dicendogli che poteva far sicuro affidamento su lui; e aggiunse con cordiale semplicita: "Dio m'ha dato del bene, perche faccia del bene; e se non ne fo ai parenti e agli amici, a chi ne faro?" Quindi espose al cugino la situazione della zona, dove la carestia e la crisi economica si facevano bensi sentire, ma non come nel Milanese, poiche le autorita avevano preso dei provvedimenti opportuni per ovviare al disagio, o almeno evitare il peggio. Riguardo al lavoro, sebbene esso scarseggiasse molto, espresse la speranza che il suo padrone, che era di buon cuore, sentendo i guai di Renzo, lo avrebbe assunto ugualmente, anche per fare un piacere a lui, a cui riconosceva di dover la prosperita dell'azienda. Pero avverti il cugino che i lavoratori del Milanese li erano chiamati "baggiani" (che equivaleva a "babbei"), e che quindi bisognava essere preparati a sorbirsi quel bel titolo. Renzo rispose che quell'epiteto lo avrebbero dato, lui immaginava, solo a chi se lo lasciava appioppare senza reagire, o che fosse davvero rozzo e ignorante, ma non a un bravo operaio che sapeva il suo mestiere e aveva del sale in zucca. A Bortolo ci volle del bello e del buono per convincere il suscettibile cugino che, per i Bergamaschi, tutti quelli del Milanese erano baggiani, e quelli abili e intelligenti anche piu baggiani degli altri, perche ormai "baggiano" era per loro come un titolo onorifico; per persuaderlo meglio aggiunse che, se non era disposto a succhiarsi quel titolo, non poteva vivere li, perche sarebbe stata una sequela di liti e peggio.
Renzo si mostro alfine rassegnato "a succiarsi del baggiano a tutto pasto", dato che era inevitabile; allora il cugino disse che ormai non vedeva altre difficolta, e presento senz'altro l'ospite al padrone, "un buon bergamascone all'antica, un uomo di cuor largo", il quale lo accolse cordialmente, e naturalmente non si fece pregare per dare un lavoro a uno che gli veniva cosi caldamente raccomandato ed espressamente garantito dal suo bravo factotum. Renzo si e cosi sistemato e, per il momento, non ha problemi per il suo mantenimento; ma lo assillavano sempre i pensieri per l'avvenire, se voleva, come fermamente voleva, ricongiungersi con Lucia e sposarla, anche a costo di lotte e sacrifici! Lui pero era ora bandito, lei lontana: come avrebbe potuto superare, a un tempo, il rigore cieco della legge e la prepotenza dell'orgoglioso signorotto, che certamente non si sarebbe rassegnato allo smacco subito, e sarebbe ricorso a ogni mezzo, pur di soddisfare il suo turpe capriccio?
CAPITOLO XVIII
Lo stesso giorno, 13 novembre 1628, in cui Renzo giunse al paese di Bortolo, arrivo al podesta di Lecco un corriere espresso, con un ordine del capitano di Giustizia, stilato nel bel latino curialesco del tempo, di far ricerca diligente del filatore di seta Lorenzo Tramaglino, che risultava abitante in detto territorio, anche se non si poteva precisare il paese; di arrestarlo se fosse per caso tornato al suo paese, e comunque di fare una rigorosa perquisizione all'abitazione di lui, sequestrando tutto cio che possa servire a incriminarlo, e assumendo nello stesso tempo accurate informazioni della sua condotta sediziosa. Il Podesta, dopo aver appurato, senza troppa difficolta, in quale paese del suo territorio il Tramaglino abitava, si reco alla sua casa con un notaio e una scorta di birri; questi, sfondato l'uscio, iniziarono la perquisizione, cioe misero tutto sottosopra, "come in una citta presa d'assalto", ma non trovarono nulla di compromettente all'infuori, supponiamo, dello schioppo, che del resto allora, come oggi, era comunissimo nelle case dei contadini e dei montanari. Figuratevi l'impressione che questa spedizione della giustizia fece sui compaesani di Renzo, i quali, conoscendolo per giovane quieto e onesto, non sapevano che cosa pensare, e sospettavano che fosse "una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il suo povero rivale." A questo proposito l'Autore osserva acutamente che quando si giudica per semplice induzione, senza cognizione dei fatti, si e talora ingiusti anche verso i rei: infatti don Rodrigo, pur avendo tutto l'interesse e anche l'intenzione di nuocere al suo rivale, non aveva avuto alcuna parte nei guai di Renzo.
E' un invito alla prudenza e alla serenita nei giudizi e nelle condanne, che vale per tutti e non soltanto per la polizia e per i giudici.
Il superbo signorotto, e vero, non aveva alcuna colpa della disgrazia di Renzo il quale si era dato, come si dice, la zappa sui piedi; ma saputala, se ne rallegro, come se fosse stata opera sua, specialmente col suo degno cugino, il conte Attilio, il quale aveva intanto rimandata la partenza per Milano, per non rischiare di assaggiare in citta quelle bastonate di cui era, almeno verbalmente, cosi largo donatore, quando si trattava di plebei indifesi che erano, a suo dire, tutti mascalzoni bastonabilissimi. Questa volta, nel clima bollente di Milano, il burbanzoso conte avrebbe corso il pericolo di riceverne un assaggio sulle sue illustri spalle, invece che darne sulla schiena degli ignobili, rei soltanto di non avere il sangue blu nelle vene.
Fra Cristoforo, quando riseppe della perquisizione poliziesca in casa di Renzo, fu amaramente sorpreso, e scrisse al padre Bonaventura, sperando di sapere da lui qualcosa di preciso; ma il suo confratello pote solo comunicargli che, il giorno di San Martino, un forestiero si era presentato al convento chiedendo di lui, ma non avendolo trovato, se n'era andato senza piu far ritorno. Il padre Cristoforo, conoscendo bene il giovane e il suo carattere onesto, ma anche impetuoso e talora
imprudente, intui subito che egli, piu che reo, era stato vittima delle circostanze e della sua indole focosa e risentita, specialmente nello stato d'animo in cui si trovava per la recente ingiustizia patita.
Quando la situazione nella capitale fu ritornata del tutto calma, don Attilio si decise a partire, incitando il cugino a non desistere dalla sua impresa, poiche egli lo avrebbe, in un modo o nell'altro, sbarazzato dell'arrabbiato frate, ora che la giustizia lo aveva liberato dell'abietto rivale, del quale anche la sposa, come tutto il resto, poteva ormai considerarsi "come roba di rubello", cioe preda del primo che ci mettesse le unghie. Infatti il ribelle, il sedizioso, come Renzo era considerato, non aveva piu nessuna tutela legale, e tutto cio che gli apparteneva era premio del delatore o possesso del primo occupante; e in realta avvenne che la casa di Renzo fu letteralmente saccheggiata, prima dalla forza pubblica e poi dai cinici profittatori, i quali misero le mani senza scrupolo anche sulla sua vigna.
Poco dopo la partenza del conte Attilio, torno il Griso da Monza, e riferi che Lucia e la madre erano ricoverate nel monastero della Signora, sotto la sua protezione, che la ragazza non usciva mai, neppure per sentire la Messa, che ascoltava da una grata assieme alle suore. Queste notizie misero di cattivo umore don Rodrigo, perche un monastero, e soprattutto quel monastero, con una principessa per protettrice, era un osso troppo duro per i suoi denti; sicche tutti gli altri punti favorevoli venivano a un colpo annullati da questo ostacolo imprevisto. Come espugnare quel sacro ricovero? come aver ragione di una principessa? Sapeva che c'era uno che ci sarebbe certamente riuscito, "un tale, le cui mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo, per cui la difficolta delle imprese era spesso uno stimolo a prenderle sopra di se."
Questo e il primo accenno al fosco personaggio che il Manzoni chiama "innominato", pur essendo personaggio storico, appunto perche vuole lasciarlo, almeno in parte, nel dominio della libera fantasia. Storicamente non e altro che Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Chiara d'Adda, il quale dopo essere stato bandito dallo Stato di Milano, era audacemente tornato nel ducato, e viveva impavido e temuto in un inespugnabile castello sul confine, dal quale, come un'aquila dal suo nido insanguinato, dominava tutto il territorio circostante con la sua sfrenata violenza, appoggiata su uno stuolo di bravi tra i piu risoluti e feroci. Don Rodrigo penso dunque di ricorrere a costui, ma rimase per alcuni giorni in forse, data la gravita del passo, perche quel signore si metteva bensi a disposizione degli amici, ma esigeva poi anche che costoro restassero a sua completa disposizione, e gli obbedissero in tutto e per tutto, qualunque cosa egli comandasse: e in questo era terribilmente intransigente. Inoltre egli era un bandito, un pubblico nemico, e l'aver dei rapporti con lui poteva provocare delle rappresaglie da parte delle autorita costituite. Don Rodrigo voleva godersi la vita in citta, abitarvi rispettato e riverito cosi come in campagna, in mezzo ai suoi possedimenti, essere amico dei pubblici magistrati, per averne appunto l'indulgenza o la connivenza alle sue malefatte, per cui non poteva mettersi in urto con i rappresentanti del potere; inoltre era nipote di un membro influente del Consiglio segreto, e non doveva permettersi queste scandalose e pericolose
amicizie o relazioni: ne sarebbe stato compromesso anche il prestigio del suo illustre zio, il quale certamente non gli avrebbe perdonato una simile colpa! Ma pochi giorni dopo l'incerto signorotto ricevette una lettera del cugino "che faceva un gran coraggio, e minacciava di gran canzonature" in mezzo alla brillante societa, se l'avesse data vinta a un villano e a un frate; anzi ora ambedue costoro erano stati messi fuori combattimento, il primo dalla polizia, il secondo dal Conte zio membro del Consiglio segreto; infatti lo informava che il maledetto frate era stato trasferito in un convento molto lontano. Poco dopo ricevette un'altra bella notizia: Agnese era tornata al paese, lasciando la figlia, la quale rimaneva in tal modo un po' meno protetta, lontana dalla gonna della madre, donna esperta e risoluta. Questi fatti fecero alfine passare il Rubicone a don Rodrigo, il quale ritenne inevitabile imbarcarsi in si pericolosa amicizia, se voleva da una parte soddisfare il suo puntiglio e il suo infame capriccio, dall'altra evitare le grandi canzonature dei giovani signori milanesi, che il cugino aveva pensato a informare a puntino di tutto: perdere la faccia davanti ad essi sarebbe equivalso a una morte civile! Ma ora torniamo un poco a Lucia, e rendiamo conto dei casi cui abbiamo accennato.
Le grandi notizie dei fatti di Milano erano naturalmente giunte a Monza "e per conseguenza anche nel monastero", per mezzo della fattoressa la quale teneva "un orecchio alla strada e uno al monastero", facendo volentieri da tramite e in un senso e nell'altro. Le nuove venivano partecipate alle due donne, sapendo che Renzo era giunto a Milano proprio il giorno del tumulto. L'ansia di esse divenne viva preoccupazione, specialmente per Lucia, quando la fattoressa disse loro che uno di quelli che dovevano essere impiccati, come caporioni della sedizione, era di Lecco o dei dintorni; ma allorche, qualche tempo dopo, annuncio che quel facinoroso era proprio del loro paese e si chiamava Tramaglino, a Lucia, come fulminata dalla notizia, cadde il lavoro dalle mani. Per fortuna la fattoressa era un po' distante da lei, e Agnese, alla quale stava parlando, riusci a contenersi, a non tradire in volto la dolorosa emozione dell'animo; alla domanda se lo conoscesse, rispose con apparente indifferenza che in un villaggio tutti si conoscono, per cui lei si meravigliava molto del fatto, in quanto quel giovane era conosciuto come un tipo tranquillo e onesto.
Quando madre e figlia rimasero sole, potete immaginare quali furono i loro discorsi, quanto tristi i loro commenti! Non sapevano proprio cosa pensare: come una tale enormita poteva essere successa, e quali ne sarebbero state le conseguenze? Per Lucia l'angoscioso discorso finiva talora nelle lagrime, e la stessa madre non sapeva che dire per consolarla. Un certo sollievo lo reco loro padre Cristoforo il quale, servendosi di un pescivendolo di Pescarenico che si recava a Milano a vender la sua merce, fece sapere che stava cercando di aver piu sicure notizie di Renzo; loro intanto confidassero in Dio, sicure che Egli non avrebbe abbandonato i tribolati, mentre lui avrebbe fatto quanto era umanamente possibile in loro favore, e comunque ogni settimana avrebbe mandato altre notizie, o con quello o con un altro messo.
Una distrazione dai tristi e talora tormentosi pensieri che l'assillavano, Lucia la trovava nel lavoro assiduo e anche, talvolta, nella conversazione familiare che aveva con Gertrude, la quale la faceva chiamare ogni tanto nel suo parlatorio privato, e si lasciava andare con lei a confidenze sul suo passato incolpevole, soprattutto circa il modo con cui era stata rinchiusa li; sicche "quella prima maraviglia sospettosa di Lucia s'andava cambiando in compassione." La Signora avrebbe voluto che anche la ragazza, a sua volta, le raccontasse la sua storia sentimentale, ma per lei era impossibile trattare un simile argomento, in cui non entravano "tirannia, insidie, patimenti, cose brutte e dolorose, ma che pur si potevan nominare", ma quei moti ineffabili del cuore, quei soavi sensi originati dall'amore: parola che Lucia, nella sua pudica riservatezza, non riusciva proprio a pronunciare, parlando di se.
A questo proposito possiamo osservare che lo stesso ritegno, il medesimo pudore mostra il Manzoni nel parlare d'amore: in tutto il romanzo egli accenna appena delicatamente alle dolci emozioni che suscita nell'animo questo potente sentimento, e ancor piu sobriamente, con vigile castigatezza, ai turbamenti del cuore e dei sensi prodotti dalla passione sensuale, dal richiamo del sesso, che volgarmente chiamasi amore, con evidente degradazione di questo grande sentimento. Alcuni critici, non escluso il Croce, hanno rimproverato al Manzoni questo spirito puritano, che lo indusse a eliminare senza rimpianto, nell'edizione definitiva, quelle parti della storia di Gertrude che parevano indulgere alla descrizione della passione erotica; secondo costoro egli avrebbe, per cosi dire, tarpato le ali alla sua fantasia, precludendosi molte possibilita di poetica emozione. Io non concordo con essi. Il Manzoni, pur con sobrie e talora indirette espressioni, ci fa sentire la potenza e la soavita dell'emozione d'amore, quello vero, piu di tanti altri poeti e prosatori che hanno dedicato intere pagine alla sua descrizione; del resto lo stesso Autore, a chi gli rimproverava questa eccessiva sobrieta, rispondeva argutamente che il mondo e cosi pieno di amore, che questo sentimento non ha proprio bisogno di essere incrementato dalle opere letterarie. Queste invece, purtroppo, hanno sempre speculato su questo sentimento, o peggio sulle sue deviazioni piu o meno morbose, piu o meno peccaminose, piu o meno piccanti. Il Nostro respinge l'erotismo, non ha bisogno di questo ingrediente per far piacere il suo romanzo; egli intese far opera d'arte e di poesia, esprimere tutto il suo mondo interiore, il suo sentimento profondo, che era sentimento religioso, visione cristiana del mondo e della vita, appunto come intese far Dante. E il suo romanzo, appunto perche motivato dal profondo, si traduce inconsapevolmente in opera di profonda edificazione morale, come la "Divina Commedia", pur rimanendo opera squisitamente poetica e per nulla oratoria, come invece il primo Croce voleva sostenere.
Per il Manzoni l'amore e un sentimento sublime e quasi divino, perche e una derivazione dell'amore verso Dio, e non va percio deturpato o sfruttato in alcun modo: egli accenna ad esso in modo delicato, ma vivo e potente, sia nel romanzo sia nelle tragedie. Basta ripensare a certe espressioni, volutamente castigate ma di grande potenza evocatrice, dell' "Addio, monti" e del coro "Morte di
Ermengarda", solo paragonabili alle espressioni, fuggevoli ma potenti, di un Dante ("quali dolci pensier, quanto desio" a proposito di Paolo e Francesca) e di un Leopardi ("che speranze, che cori, o Silvia mia!"). I grandi poeti sono stati sempre sobri, pur potentemente suggestivi ed emotivi, nella trattazione dei temi d'amore; e il Manzoni ci ha dato una grande lezione di austerita, dimostrando col suo esempio che la vera opera d'arte non ha bisogno di simili ammennicoli, necessari ai pennivendoli che scrivono a scopo di cassetta, sfruttando i sentimenti deteriori, o peggio i bassi istinti, che covano nell'animo umano. I bassi istinti vanno invece frenati e corretti, anche mediante la missione civilizzatrice dell'arte, e non, come avviene oggi, esaltati e sfacciatamente spacciati come i valori piu genuini dell'uomo. La lezione civile e cristiana del Manzoni purtroppo non e stata minimamente ascoltata dai romanzieri e cineasti di oggi, i quali, col pretesto della liberta dell'arte ma in realta a scopo di lucro disonesto, depravano sempre piu le passioni, scatenando i piu bassi istinti con la piu immonda pornografia, alla quale il cinema offre le sue immagini lubriche e allettanti.
Tornando a Gertrude, diremo che anche lei provava un certo sollievo nel parlare con la sua protetta, la quale le mostrava tanta gratitudine e affetto sincero; il far del bene a una creatura cosi innocente era, per la colpevole e inquieta monaca, un mezzo quasi inconscio di espiazione e, per cosi dire, un pegno di grazia e di perdono.
Il pesciaiolo di Pescarenico torno, come aveva promesso, la seconda settimana, recando i saluti di fra Cristoforo e la conferma della fuga di Renzo, intorno al quale pero il padre non poteva dare alcuna nuova, non avendone ricevuto, come invece sperava, dal suo confratello di Milano; comunque cercherebbe di averne e di comunicarle loro con lo stesso mezzo. Ma la terza settimana non si presento al convento ne quel pescivendolo ne altri a portare notizie da parte del buon frate; questo fatto accrebbe l'inquietudine delle povere ricoverate, e Agnese decise di dare una capatina al loro paese, per venire in chiaro del mancato invio di notizie da parte di padre Cristoforo. Ormai esse vivevano per queste notizie, perche facevano ogni assegnamento sull'opera del frate il quale, unico, alimentava le loro speranze. Prive di notizie da parte di lui, che erano l'unico modo con cui esse erano legate al mondo esterno, le poverette si sentivano come sperdute e mancanti di ogni conforto. Percio Lucia, per quanto le dolesse rimanere, anche per pochi giorni, priva della mamma, ne approvo la decisione, perche capiva che quello era l'unico mezzo per sapere qualcosa di positivo. Per raggiungere il paese, Agnese penso di chiedere un passaggio al solito pescivendolo, che di norma il venerdi passava col suo biroccio per Monza, ritornando da Milano; lo aspetto sulla via e lo prego del favore, che quegli fece molto volentieri. Giunta a Pescarenico, la buona donna volle subito vedere fra Cristoforo e, recatasi al convento, ne chiese a fra Galdino che venne ad aprire. Il laico le rispose che il padre non c'era, e chissa quando e se sarebbe tornato, essendo stato mandato a predicare a Rimini, una citta molto ma molto lontana. La povera donna rimase annichilita, tanto era lontana dall'immaginare una simile iattura; fra Galdino, intuendo la sua desolazione, le propose di chiamare qualche
altro padre a cui rivolgersi per consiglio, poiche ce n'erano nel convento di assai valenti. Ma Agnese non ne volle sapere, dicendo che solo fra Cristoforo era quello che conosceva i loro bisogni e gia si stava adoperando per loro: gli altri che cosa le avrebbero potuto fare? E cosi la derelitta s'incammino verso il suo villaggio, turbata e smarrita "come il povero cieco che avesse perduto il suo bastone."
Fra Galdino aveva spiegato ad Agnese l'improvvisa partenza di padre Cristoforo, con una richiesta, venuta da Rimini, di un buon predicatore; in realta il suo allontanamento era stato chiesto al Padre provinciale di Milano dal Conte zio del Consiglio segreto, su istigazione di don Attilio. Questi, come aveva promesso al cugino, era andato a trovare lo zio comune, per presentargli gli ossequi suoi e di don Rodrigo, a proposito del quale disse che doveva informare lo zio di una spiacevole questione, la quale rischiava di degenerare in lotta aperta, gravida di imprevedibili conseguenze, se il signore zio non l'accomodava subito con la sua opera illuminata e influente. Ecco di che cosa si trattava: un arrabbiato cappuccino di Pescarenico aveva cominciato a cozzare contro don Rodrigo, a minacciarlo, ad aizzargli contro i villani, per via di una ragazza che gli stava molto a cuore, chi sa perche, e che riteneva insidiata da lui, che tutt'al piu le aveva rivolto qualche complimento galante, incontrandola, cosi per scherzo. Il Conte zio disse che evidentemente il frate non sapeva che don Rodrigo era suo nipote. e sarebbe bastato farglielo sapere per mutare l'ostilita in ossequio.
A questo punto possiamo osservare, assieme alla capacita di don Attilio di mentire spudoratamente, anche la sua diabolica abilita nell'intrappolare lo zio, per ridurlo ai suoi voleri, facendo leva sulla sua boria nobiliare e sulla sua suscettibilita di influente uomo politico. Infatti, alle ultime parole dello zio, replica che il frate era benissimo al corrente del legame di parentela, e per questo ci provava piu gusto a perseguitare don Rodrigo, andando dicendo che lui se ne rideva "dei grandi e dei politici, e che il cordone di San Francesco tien legate anche le spade." Basto questa insinuazione bugiarda perche la condanna dello sconosciuto frate fosse decretata nel cuore del burbanzoso signore, ferito a morte nel suo orgoglio. Ma il nipote non si ritenne pago: volle accendere ancora di piu l'animo dello zio contro l'avversario, affinche il colpo non fallisse e fosse mortale. Fece un po' la storia del soggetto prima che entrasse in convento, dipingendolo come un vile plebeo che, avendo ereditato quattro soldi, si era messo a competere con i nobili, ma non potendo spuntarla, una volta, ne ammazzo uno, onde, per salvarsi dal capestro, si fece frate; e aggiunse la grave circostanza che il medesimo era anche il protettore di quel Lorenzo Tramaglino, gran caporione della sedizione milanese: infatti il famigerato ribelle, che abitava nei pressi di Pescarenico, recava appunto una lettera del pericoloso frate. Lo zio fu ben lieto di conoscere questo particolare, per lui molto favorevole e quasi risolutivo; e il cinico don Attilio, veramente machiavellico, per coronare la sua opera, aggiunse che il cugino, offeso cosi crudelmente, era fuori dei gangheri e voleva farsi giustizia da se, assolutamente e subito, per cui il signore zio doveva agire senza indugio, se voleva evitare un colpo di testa da parte del nipote. Quindi, con raffinata scaltrezza, aggiunse di sapere che il signore zio era amico del Provinciale
dei Cappuccini, il quale aveva, com'era naturale, "una gran deferenza per lui"; per cui, se egli reputava che, in quel caso,la migliore soluzione fosse far trasferire il frate, in due parole l'avrebbe potuto ottenere. A questo consiglio cosi scoperto, la boria ombrosa del nobile uomo politico si adonto; un po' ruvidamente disse al nipote di lasciarne il pensiero a chi di dovere. Don Attilio, il quale si aspettava senz'altro questo risentimento, ma non aveva lo stesso voluto tralasciare di fare la proposta, tanto poco si fidava della perspicacia dello zio, fece le sue umili scuse d'aver osato, lui cosi ignorante, dare un parere a un uomo tanto sapiente, ma aggiunse di averlo fatto senza pensarci, per l'amore che portava alla dignita della famiglia, cosi volgarmente offesa dall'odioso frate; quindi porse allo zio i deferenti omaggi propri e del cugino, e si licenzio contento, poiche aveva istigato a dovere l'animo dello zio contro il nemico, per cui poteva stare sicuro che il frate era spacciato: ormai era questione di giorni, ma l'ora per lui era sonata.
A conclusione di questo capitolo abbozziamo un confronto tra i due degni cugini: il conte Attilio e evidentemente piu scanzonato e piu superficiale nelle sue passioni, ma anche piu scaltro e sicuro di se; cinico e vanitoso, e soprattutto orgoglioso del suo titolo nobiliare, desiderava godersi la vita ridendo di tutti e di tutto; don Rodrigo e piu schiavo delle sue passioni, piu cupo, piu preoccupato delle difficolta e degli ostacoli, e quindi meno capace di godersi la vita spensieratamente, come pur avrebbe desiderato. In questa sua inquietudine c'entrava probabilmente l'educazione religiosa che aveva ricevuto, nella fanciullezza, dal padre, il quale era stato un galantuomo; una tale educazione, pur soffocata dalle passioni della gioventu e dalla ricerca dei piaceri, aveva lasciato qualche residuo nel suo subcosciente, come di qualcosa che, pur obliterato o calpestato, era pero vero e ineluttabile. Da questa specie di coscienza di colpa deriva, per esempio, il vago terrore che la tronca profezia di fra Cristoforo infonde nel suo animo, al punto da esser tentato di troncar tutto; se non lo fa, e soprattutto per orgoglio, per non darla vinta al frate: e chi accende il suo orgoglio e il suo genio malefico, don Attilio, il quale invece non ha in se alcun seme buono, che possa fruttare redenzione. Don Rodrigo potrebbe redimersi; e lo stesso padre Cristoforo, additandolo a Renzo nel lazzaretto, in coma sul suo giaciglio, dice pensoso e pietoso: "Puo esser gastigo, puo esser misericordia." Egli aveva fatto il piacere unico scopo della sua esistenza, ma il senso del dovere era nel fondo del suo animo, anche se seppellito dalle passioni, alimentate dall'ambiente superbo e cinicamente edonistico in cui gli piaceva vivere.
CAPITOLO XIX
Il Manzoni comincia questo capitolo con una similitudine: come chi trova un'erbaccia in un campo, non potrebbe mai stabilire con assoluta certezza se il seme e maturato nello stesso terreno o c'e stato trasportato dal vento oppure da un uccello, cosi nessuno potrebbe dire se la decisione del Conte zio di rivolgersi al Provinciale dei cappuccini, per aver ragione di padre Cristoforo, sia sorta "dal fondo naturale del suo cervello o dall'insinuazione di Attilio." Pero possiamo esser certi che, anche senza l'ispirazione del nipote, il Conte ci sarebbe arrivato anche da solo, tanto la soluzione era adatta al suo temperamento di diplomatico, abituato all'intrigo o al compromesso del "do ut des". Egli sapeva che contro un frate non era utile la forza legale, perche il clero regolare e secolare era del tutto immune dalla giurisdizione dello Stato, quasi uno Stato nello Stato, per cui, se si voleva un risultato sollecito e sicuro, era opportuno agire per via di influenze e di amicizie. Proprio come aveva detto don Attilio al titubante cugino: "Bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si puo impunemente dare un carico di bastonate a un membro." Questo aveva cinicamente sentenziato il conte Attilio, quello delle bastonate a ogni pie sospinto, e lo zio ne mette in pratica la massima con arte sopraffina, elaborata in decenni di vita politica.
Tra lui e il Provinciale correva una vecchia conoscenza; s'incontravano di rado, ma sempre con formali dimostrazioni di ossequio, sia da una parte che dall'altra, e con "esibizioni sperticate di servizi"; ora era appunto venuta l'occasione di chiedere un favore al Provinciale; ma il Conte voleva essere sicuro del successo, e nello stesso tempo non pagare lo scotto, se gli riusciva, facendo credere di far lui un servizio al Padre, invece di riceverlo. Il Conte metteva nel trattare tutti i suoi affari "un grande studio, una grand'arte, di gran parole", e in genere riusciva a spuntare i suoi impegni, anche perche si trovava in posizione di forza, cioe nobile, ricco e membro influente del Consiglio segreto, per cui era molto vicino al Governatore; infatti questa consulta, composta "di tredici personaggi di toga e di spada" (il Conte era togato, cioe proveniente dalla Magistratura), coadiuvava il Governatore nel disbrigo degli affari e ne faceva le veci, in caso di vacanza o di impedimento.
La figura del Conte zio e stata variamente giudicata dai critici; per alcuni egli era davvero un gran politicone, mentre per altri era una testa di legno, che non aveva altra qualita all'infuori del sussiego e della boriosa vanita. Mi sembra che sia gli uni sia gli altri esagerino: veramente il Conte non era una cima per intelligenza, e di cio forse lui stesso era consapevole, per cui alla carenza naturale supplica con artifici che gli donavano una "species"5, anche se non molto era il
5 species = grande aspetto.
"cerebrum"6; il suo aspetto era piuttosto goffo, ma egli con una certa prosopopea solenne aveva saputo mascherare questo "fondo di goffaggine dipintogli in viso dalla natura." Tutti i suoi atteggiamenti, tutte le sue parole erano studiate per impressionare i suoi interlocutori, e quindi accrescere il suo prestigio, e non c'era il suo pari "nel farlo valere e nel farlo rendere con gli altri." Quindi dobbiamo concludere che era un uomo abile, che aveva saputo sfruttare al massimo le sue poche doti: una di quelle mezze figure che destramente si sanno fare largo anche fra i piu dotati, e finiscono per primeggiare, oggi come allora, perche nella societa prevalgono quasi sempre non gli uomini piu capaci, ma i piu abili o meglio i piu furbi. I capaci sono generalmente onesti, e disdegnando i mezzi subdoli e sleali, finiscono spesso col soccombere davanti agli spregiudicati arrivisti.
Ordunque il Conte, preparato il suo piano minuziosamente, invito a pranzo il Provinciale; e per impressionarlo gli fece trovare a tavola alcuni parenti molto titolati, i quali sia col loro contegno solenne, sia col parlare di cose grandi in termini familiari, insinuavano nell'uditore "l'idea della superiorita e della potenza." Durante il pasto il padrone di casa parlo naturalmente dell'evento piu clamoroso della sua carriera, un suo viaggio a Madrid, in occasione di una missione a corte, in cui ricevette una calorosa accoglienza. Ma il Padre provinciale non permise che parlasse sempre lui, pavoneggiandosi; a un certo punto, con grande abilita, devio la conversazione dalla Spagna e, di regno in regno, la porto su Roma e sulla corte pontificia, dove il papa regnante, Urbano VIII, era fratello del Cardinale Barberini, cappuccino, per far capire che i Cappuccini erano influenti, avendo un protettore d'eccezione, fratello addirittura del sommo pontefice e lui stesso cardinale di Santa Romana Chiesa. Il Provinciale insomma vuol mettere in evidenza che anche lui, cioe l'Ordine a cui appartiene, ha il suo prestigio da difendere, avendo intuito che il Conte intende impressionarlo con le sue grandigie. La conversazione tra i due appare sin dal principio come un duello verbale, che dalle prime avvisaglie si presenta interessante e molto equilibrato, poiche nell'abile schermaglia il Provinciale ribatte colpo con colpo, non concedendo alcun vantaggio all'avversario.
La figura del Padre provinciale e stata anch'essa variamente interpretata: alcuni critici dicono che e un inetto, che si fa mettere nel sacco dal Conte, mentre altri affermano che si rivela abile e capace, non indegno della sua carica. A me sembra che egli sia di intelligenza superiore a quella del suo interlocutore, e sia anche abilissimo dialettico; ma la sua debolezza e vulnerabilita deriva dal fatto che anche lui e un politico, cioe disposto al compromesso, campione e vittima del "do ut des". Gia accettando il lusinghiero invito del conte si disponeva a compiacerlo in qualche cosa, che poteva costituire per lui un sacrificio, pur con l'intenzione di ricevere, a breve o lunga scadenza, il contraccambio del piacere che ora gli veniva chiesto. Egli ribatte gli argomenti del Conte, ma al solo scopo di dimostrargli che le ragioni della sua richiesta non sono valide, e lui potrebbe
6 Cerebrum = cervello, intelligenza.
non accoglierla; ma cede in pegno di amicizia; in altre parole egli resiste solo tatticamente, per accrescere il valore venale di quanto concede. Il suo comportamento e comprensibile, ma tuttavia biasimevole dal punto di vista morale: egli, per mantenersi indipendente, come era suo dovere, non doveva accettare alcun invito, scusandosi con destrezza, ne tanto meno doveva coltivare amicizie altolocate con l'intenzione di averne dei vantaggi, magari anche per l'Ordine, poiche queste relazioni avrebbero necessariamente portato a compromessi non sempre moralmente accettabili.
Finito il pranzo, il Conte invito il Provinciale in un salotto appartato, per parlare "d'un affare di comune interesse", e senza troppi preamboli gli chiese se nel convento di Pescarenico c'era un certo padre Cristoforo; l'altro rispose affermativamente. Il piano del Conte, come si desume dalle prime battute del dialogo, era di ottenere l'allontanamento del cappuccino, non come favore che lui chiedeva, ma quasi quasi come favore che lui faceva, in quanto dava al Provinciale, con un avviso amichevole, la possibilita di evitare rimproveri o peggio; ma questo disegno, abbastanza abile, viene frustrato con superiore abilita dal Provinciale.
Il Conte comincia col dire che "da certi ragguagli" gli risulta che questo frate e amico dei contrasti, che non ha quella prudenza. quei riguardi. Subito il Provinciale intuisce lo scopo del colloquio, e pensa: "Ho inteso: e un impegno." Ma non cede affatto alle prime richieste, perche vuol vendere caro il favore che alla fine concedera, appunto per farlo apparire piu importante. Percio ribatte subito che le sue informazioni, che sono di prima mano, presentano il cappuccino in una luce molto diversa: e un frate universalmente stimato, esemplare, sia in convento sia fuori, nei contatti coi fedeli. Il Conte torna alla carica con un'artiglieria piu pesante: il frate, dato come esemplare, proteggeva Lorenzo Tramaglino, "quello che, con tanto scandolo, scappo dalle mani della giustizia." Il Provinciale accusa mentalmente il colpo, ma ribatte che, la missione dei religiosi, e proprio quella di cercare le pecorelle smarrite, i traviati, per ricondurli sulla retta via, all'ovile. Ma il Conte incalza, insinuando che il Governatore potrebbe venire a conoscenza della scandalosa circostanza, fare un passo presso la Santa Sede, e da questa venire a lui, responsabile della Provincia Cappuccina, un biasimo per non aver punito e trasferito un soggetto cosi imprudente, a dir poco: egli intendeva dargli un avviso amichevole, per evitare grane che avrebbero compromesso il prestigio e del Provinciale e dell'Ordine.
Ma il provetto cappuccino non permette che la questione sia impostata in quei termini di larvata minaccia, e subito vuol dimostrare che non teme il ventilato pericolo; risponde percio che, se si prenderanno buone informazioni, risultera senza ombra di dubbio che il padre Cristoforo non ha avuto a che fare con quel sedizioso, se non per tentare di ricondurlo sulla strada del dovere e dell'onesta. Il Conte allora cerca di offuscare ulteriormente la figura del frate con delle maligne insinuazioni, ricordando i suoi falli di gioventu; ma il provinciale replica prontamente, affermando che, da quando porta l'abito, colui si e comportato in modo ammirevole, ed e anzi una gloria dell'Ordine poter trasformare un omicida
in un uomo sommamente benefico. Come si vede, il padre ha reso vani tutti gli approcci dell'antagonista, demolendo le premesse che avrebbero permesso a costui di ottener facile vittoria.
Il Conte comprende finalmente che per quella via non puo approdare a nulla, e allora si scopre e chiede il favore, pur tentando ancora miseramente di non farlo apparire tale. Dice infatti che quel frate ha preso a cozzare con don Rodrigo, suo nipote, il quale, stanco per le continue provocazioni, e deciso a farsi giustizia da se: lui e intervenuto "pro bono pacis", perche questi contrasti inevitabilmente tirano in ballo tutta la parentela, coalizzata, com'e giusto, per tutelare la dignita del casato; ma lui sarebbe oltremodo dolente di doversi schierare contro i cari padri cappuccini, cui si sente legato fin dalla fanciullezza.
Il Provinciale risponde che la cosa gli riesce nuova e gli dispiace moltissimo, ma bisogna tener conto che tutti si puo sbagliare, "tanto da una parte, quanto dall'altra"; facendo intendere con queste parole che la colpa del contrasto potrebbe non essere del frate; aggiunge che, comunque, prendera le sue informazioni e, se il frate risultera colpevole, lo punira secondo che vuole la Regola. Ma queste informazioni, questa eventuale punizione secondo le norme della Regola non possono certamente garbare al Conte, che vuole un provvedimento immediato e senza appello; percio replica che, secondo prudenza, bisogna "sopire, troncare", perche certe cose, a rimestarle, si fa peggio: occorre "allontanare il fuoco dalla paglia"; chiede insomma il trasferimento del frate in un convento piuttosto lontano.
I trasferimenti per i cappuccini sono di ordinaria amministrazione, e non richiedono particolari motivazioni o giustificazioni; anzi il Provinciale, avendo avuto la richiesta di un predicatore da Rimini, avrebbe potuto senz'altro mandare padre Cristoforo, che godeva fama di valente quaresimalista; tuttavia non accetta subito la proposta, perche vuole mercanteggiare il suo assenso, per far pesare di piu il favore concesso. Risponde percio che, date le circostanze, un trasferimento puo sembrare una punizione, e non si puo punire senza aver accertato il torto; insiste insomma sulla necessita di assumere buone informazioni, avendo capito che queste non piacciono all'amico, evidentemente perche esse avrebbero potuto dare ragione al religioso.
Il Conte allora cerca di minimizzare la faccenda: punizione? macche punizione! "Un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune convenienza." E quando il Provinciale obbietta che il nipote potrebbe menarne vanto, come di una vittoria, il Conte assicura che don Rodrigo non avrebbe saputo assolutamente nulla di quanto era passato tra loro due: nella sua carica di alta responsabilita egli era ben uso a mantenere il segreto, percio di lui poteva fidarsi. Il Provinciale, pur non fidandosi affatto della discrezione del suo interlocutore (conosce bene le bugie dei politicanti!), e ormai disposto a rendere il grande servizio, perche ci trova la sua convenienza: trasferendo fra Cristoforo egli fara, come si dice, un viaggio e due servizi; solo pone la condizione che don Rodrigo faccia, per l'occasione, qualche straordinaria dimostrazione di deferenza e di amicizia verso l'Ordine; e il Conte deve prometterlo, pur dicendo che non ce ne sarebbe bisogno,
perche il nipote e stato sempre molto inclinato verso i Cappuccini, seguendo in cio il genio dello zio; e conclude offrendo i suoi servigi: "Se posso qualche cosa, tanto io, come la famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini."
Implicitamente il Conte riconosce di aver ricevuto un favore e si mostra pronto a ricambiarlo; percio non mi sembra esatto parlare di vincitore e di vinto, in questo incontro, come si esprime lo stesso Manzoni; io parlerei di collusione tra i due, mentre la grande sconfitta e la giustizia. Questo si verifica quando si accetta la deleteria influenza della politica negli affari religiosi, poiche il clero, entrando negli intrighi politici, non puo non tradire il proprio ministero nella prospettiva di benefici temporali e immediati, perdendo di vista i valori eterni e insostituibili. Per questo miserabile e detestabile interesse terreno il Provinciale s'indusse ad allontanare, su due piedi, il protettore di due poveri perseguitati, che rimangono in balia dei prepotenti, al solo scopo di compiacere un uomo influente, da cui avrebbe potuto in seguito avere dei favori, e forse non per l'Ordine, ma per se o per i propri familiari! Egli non e un vinto, perche non risulta inferiore all'avversario, e acconsente infine alla pressante richiesta solo per accendere una valida ipoteca sull'avvenire, cioe per obbligarsi il signor Conte: tradisce il proprio dovere per una miserabile prospettiva di tornaconto materiale. Cose del Seicento? Mah!
Il fatto sta che poche sere dopo giunge al convento di Pescarenico un cappuccino di Milano, latore di un ordine del Provinciale: fra Cristoforo deve andare a Rimini, a predicarvi la Quaresima; nella lettera al Guardiano, che accompagnava l' "obbedienza" cioe l'ordine di trasferimento, si diceva, tra le altre istruzioni, che il detto padre doveva interrompere ogni affare che avesse avviato e non mantenere corrispondenza con persone del luogo. Il Guardiano per quella sera non disse nulla a fra Cristoforo, non per farlo dormire tranquillo, come pensa qualche critico, ma proprio per non permettergli di avvertire qualcuno o mandare qualche messaggio o lasciare qualche lettera per i suoi protetti; lo lascia all'oscuro, io penso, per aderire pienamente alle intenzioni del superiore. La mattina seguente gli mostra l'obbedienza (che richiedeva un adempimento pronto, rispettoso e assoluto, in base al voto di obbedienza), e gli dice di partire immediatamente alla volta di Rimini assieme col latore del plico, destinatogli come compagno, dandogli appena il tempo di andare nella sua cella "a prender la sporta, il bastone, il sudario e la cintura", che costituivano il corredo ordinario dei cappuccini nei lunghi viaggi a piedi.
Per il nostro frate, come puo immaginarsi, fu davvero un brutto colpo, un fulmine a ciel sereno: i suoi superiori lo ritenevano colpevole (era evidentemente un trasferimento punitivo), e lo condannavano senza nemmeno ascoltarlo! Quanta amarezza poi nell'intuire il retroscena mercantesco di un simile provvedimento, nel costatare l'acquiescenza del Provinciale alle richieste ingiuste dei nobili prepotenti e intriganti! Ma per lui questa umiliazione era nulla; gli doleva soprattutto abbandonare quei poveretti tribolati e insidiati: cosa sarebbe stato di loro? Ma penso alla Divina Provvidenza, e si rassereno: i miseri sono sotto la protezione di Dio, Onnipotente e Misericordioso, di cui lui era stato un semplice
strumento, un inetto rappresentante. Si accuso percio di presunzione: si era ritenuto un mezzo necessario e insostituibile!
La duplice fausta notizia, della partenza del frate e del ritorno di Agnese al suo paesello, fecero decidere don Rodrigo, come si e detto, a ricorrere per aiuto all'Innominato. Il Manzoni alla fine del capitolo si ferma a delineare la figura di questo fosco personaggio, servendosi anche di qualche cronaca del tempo, e soprattutto della voluminosa "Storia patria" del Ripamonti, stilata in un discreto latino. Noi non aggiungeremo molto a quanto abbiamo gia detto su di lui; metteremo solo in risalto alcuni tratti che ci mostrano questo tiranno ben diverso, per esempio, da don Rodrigo, e piuttosto simile nell'animo e nel carattere al giovane Lodovico; solo che Lodovico non era nobile, ed era quindi tormentato da un complesso d'inferiorita che, non preoccupava davvero il ricco feudatario Bernardino Visconti. In tutt'e due notiamo, fin dalla prima giovinezza, "un misto sentimento di sdegno e d'invidia impaziente" alla vista di tanti tiranni, di tanta ingiustizia e prepotenza: quindi il fondo dell'animo era in ambedue onesto e generoso. Purtroppo tutt'e due s'imbarcarono ben presto nella gara della potenza terrena, che doveva sfociare inevitabilmente nella violenza e nel delitto.
Lodovico senti subito disgusto di una simile gara di prepotenza, e l'occasione dell'involontario omicidio provoco in lui una crisi che gli fece prendere per tempo la strada del pentimento e dell'espiazione. Il Visconti invece s'entusiasmava sempre piu nella lotta, e il vincere era per lui l'unico scopo dell'esistenza, la piu grande soddisfazione della vita. Nei dintorni del suo castello tutti i tiranni, grandi e piccoli, avevano dovuto fare i conti con lui, e scegliere tra la sua amicizia, che comportava sottomissione e obbedienza, e la sua inimicizia, che equivaleva a una sentenza capitale. Nei contrasti, nelle lotte private che s'ingaggiavano in quella societa violenta, molti ricorrevano a lui: chi aveva torto si raccomandava a lui per aver ragione, chi aveva ragione si rivolgeva a lui per impedire che lo facesse l'avversario; in molti casi ricorrevano al suo patrocinio ambedue i contendenti, ed egli allora era praticamente l'arbitro della questione. Qualche volta avveniva pure che ricorresse a lui un povero perseguitato, e lui, che in fondo era generoso e odiava l'altrui prepotenza, costringeva il persecutore a smetterla e, se non obbediva subito, lo conciava male; e in quelle occasioni il suo nome era benedetto. Ma per lo piu era maledetto ed esecrato, perche a poco a poco egli era diventato un appaltatore di delitti, un esecutore cinico e spietato, anche per conto di principi stranieri, che in qualche occasione gli mandarono rinforzi di uomini, che operassero al suo comando. La reputazione del suo potere era diffusa a tal punto, che spesso venivano attribuiti a lui anche i colpi di altri tiranni, e cio ingigantiva la sua fama; sicche era divenuto l'oggetto di orripilanti racconti e di fosche leggende popolari. Le autorita ormai non osavano piu nulla contro di lui, dal momento che i birri che si erano avventurati nel suo dominio, che comprendeva un vasto territorio intorno al castello, non erano piu tornati indietro. Il suo piacere era comandare, essere il piu potente di tutti, essere universalmente temuto; il suo scopo era spuntarla in ogni occasione, riuscire il piu forte in qualsiasi scontro. Per don Rodrigo invece la tirannide non era lo scopo
dell'esistenza, ma il mezzo per godersi la vita; egli non avrebbe tollerato di passare la vita solitario in un tetro castello, pur come un re, perche amava troppo i piaceri della societa brillante e le comodita della vita cittadina. Ma questa volta il tirannello, se voleva spuntarla e soddisfare i suoi capricci, doveva ricorrere al fosco tiranno, umiliarsi davanti al temuto bandito. Don Rodrigo si piego alla necessita, e una mattina, in equipaggiamento da caccia, onde nascondere la sua intenzione ai suoi stessi bravi, si reco al castello dell'Innominato a chiedere il gran favore, il rapimento di Lucia dal monastero della Signora.
CAPITOLO XX
Don Rodrigo, come abbiamo detto, era stato per molti giorni indeciso se ricorrere o no all'Innominato, e in qualche momento aveva anche pensato di lasciar perdere tutto e andarsene a Milano a dimenticare nei piaceri quella passione; ma in citta gli amici gli avrebbero riso in faccia, poiche il cugino aveva gia sonato la tromba, mettendo tutti al corrente del suo capriccio per la bella montanara: come sostenere un simile affronto? All'Innominato egli aveva fatto qualche favore, ed era sicuro che ne avrebbe ricevuto volentieri il contraccambio; tuttavia don Rodrigo non voleva legarsi troppo a quell'uomo fosco, a quel bandito, anche per non incorrere nello sdegno del Conte zio, rappresentante dell'autorita costituita. L'Innominato faceva il tiranno ribelle, in odio al Governo e alla legge, mentre don Rodrigo voleva infrangere la legge solo quando gli servisse per soddisfare i suoi capricci, e nello stesso tempo coltivava l'amicizia delle autorita (come il podesta di Lecco) e delle persone influenti, per essere, in ogni caso, anche quando agiva illegalmente, uno "di quelli che hanno sempre ragione". Per questo aveva sempre cercato di tenere nascosta la sua amicizia con l'Innominato; e se anche qualcosa ne era trapelato, lui poteva giustificarsi adducendo lo stato di necessita, poiche per vivere in campagna, a poche miglia dal suo castello, doveva necessariamente diventargli amico. E su questa inevitabile relazione le autorita di Governo, e lo stesso Conte zio, dovevano chiudere un occhio, poiche non riuscendo essi ad aver ragione di quel bandito ribelle, dovevano pur permettere che ognuno provvedesse da se ai casi suoi, dal momento che mettersi contro colui era cosa troppo pericolosa.
Il castello dell'Innominato, situato alla sommita di un poggio sporgente da una giogaia di monti, dominava una valle stretta e ombrosa, in cui scorreva un torrente che faceva da confine tra il Ducato di Milano e la Serenissima Repubblica veneta. Il poggio era praticabile solo dal lato della valle, da cui una strada serpeggiante saliva sino al castello. Dall'alto di questo il selvaggio signore dominava tutta la vallata, e dalle feritoie praticate nelle mura egli poteva sparare cento volte contro chi avesse osato muovere all'assalto di quella fortezza, che risultava pertanto veramente imprendibile. La forza pubblica infatti, dopo aver fatto qualche tentativo di snidarlo di la, aveva desistito per evitare nuove perdite di uomini. Ma questi fatti erano ormai antichi: da tanti anni nessuno piu lo aveva molestato, nessun birro era piu apparso nemmeno nella valle, e la sua presenza li sul confine, nel suo invincibile maniero, non veniva piu contrastata in alcun modo, e appariva pertanto quasi tollerata "de facto", anche se non accettata "de jure". L'inazione del Governo aveva naturalmente consolidato la posizione del fiero bandito.
Ai piedi del colle, nel punto dove aveva inizio la ripida strada, o piuttosto sentiero, tutto "a gomiti e a giravolte", che saliva al castello, c'era una taverna, adibita a posto di guardia, il cui presidio era costituito da tre bravi e da un ragazzaccio "armato come un saracino", il quale imparava la professione di
ribaldo in quella bella compagnia. Quando don Rodrigo giunse in vicinanza di questa taverna, chiamata con tetro augurio "la Malanotte", il ragazzaccio "allevato alle forche" salto fuori, allo scalpitio del cavallo, e vista quella compagnia che si avvicinava, corse dentro a informare il capoposto. Questi, venuto fuori immediatamente a vedere chi fossero i sopraggiungenti, avendo riconosciuto in testa al gruppo un amico del suo padrone, gli fece un cenno di saluto, che don Rodrigo ricambio "con molto garbo". Saputo quindi dal caporalaccio che il signore era al castello, scese da cavallo e si tolse da tracolla la carabina, consegnandola a uno del seguito, perche sapeva bene che non si poteva andare lassu con le armi; lo stesso fece il Griso, che lo doveva accompagnare lungo l'erta fino al castello. Quindi, dopo aver regalato alcuni scudi al capoposto, da dividere con la sua brigata, e alcune berlinghe ai propri uomini, affinche potessero nell'attesa giocare li a carte e a denari con i loro colleghi, prese la salita di buon passo, seguito dal "fedel Griso", che vedremo rivelarsi tutt'altro che fedele nel momento cruciale.
Arrivato al castello, dovette lasciare il suo caporalaccio alla porta, perche questi erano gli ordini inviolabili di quella fortezza, in cui vigeva una dura disciplina di tipo militare.
Fu fatto passare attraverso molte stanze piene di armi di ogni tipo, e finalmente, dopo breve attesa, fu introdotto dal signore,. Questi, rispondendo al suo saluto, lo squadro tutto, osservandogli particolarmente il viso e le mani, per scoprire che intenzione avesse e se portasse armi. Faceva cio con tutti quelli che gli si presentavano, per abitudine da lungo tempo acquisita, che ormai per lui era diventata una specie di istinto, da cui non avrebbe saputo discostarsi neppure volendolo. Infatti, essendo in urto con tutta la societa, l'Innominato era costretto a guardarsi da tutti, anche dagli amici, nel timore di un tradimento. E questo esame sospettoso e inquisitorio dei suoi visitatori era ormai per lui tanto abituale, che lo faceva senza avvedersene e con tutti indistintamente: conseguenza del sospetto incessante che opprime i tiranni.
I nostro Autore ci da anche una raffigurazione fisica dell'Innominato: alto,bruno, calvo, robusto, viso rugoso, bianchi i pochi capelli rimasti; all'aspetto fisico, forse gli si dava piu dei sessant'anni che aveva, ma dal suo sguardo duro e penetrante e da quelle fattezze aitanti traluceva "una forza di corpo e d'animo, che sarebbe stata straordinaria in un giovine."
Don Rodrigo gli disse subito che veniva per aiuto: non riuscendo a spuntarla in un impegno, dal quale non poteva d'altronde ritirarsi senza disonore, ricorreva all'opera di lui, che non prometteva mai invano; e disse in succinto di che si trattava. Sapendo poi che la difficolta delle imprese era per il suo interlocutore un incentivo per assumersele, si mise a esagerare gli ostacoli che in quella si presentavano: un centro cittadino, un monastero di clausura, la protezione della Signora e il fatto che la ragazza non usciva assolutamente mai. L'Innominato non lo lascio continuare, e accetto senz'altro di prendere l'impresa su di se; quindi, senza entrare in particolari, congedo l'amico assicurandolo che tra pochi giorni avrebbe avuto qualche notizia in proposito. Questa sicurezza in un'impresa
tutt'altro che facile derivava all'orgoglioso signore dal fatto che quel tale Egidio, che aveva sedotto Gertrude e intratteneva tuttora una relazione con lei, era uno dei suoi piu diretti dipendenti; percio l'Innominato, che era al corrente di tutto e conosceva il legame delittuoso che avvinceva i due, non poteva dubitare dell'esito dell'impresa, e aveva percio cosi facilmente dato la sua parola.
Ma non appena il visitatore se ne fu andato, subito il signore si penti di aver fatto quella promessa, di essersi impegnato a sangue freddo in una nuova scelleratezza, mentre da un certo tempo le scelleratezze del passato gli procuravano, se non un vero e proprio rimorso, certo una scontentezza, una molestia, un fastidio mai prima provati; anzi prima, nel considerare la serie dei suoi misfatti, provava un senso di orgogliosa fierezza. Solo in giovinezza, ai primi delitti, aveva provato una certa qual ripugnanza, ma l'aveva vinta presto, al pensiero che tutti i signori compivano violenze e prepotenze delittuose, per cui anche lui ne poteva e doveva fare, se non voleva rimanere al disotto. Si era quindi impegnato in una gara feroce di delitti con i suoi pari, e in poco tempo li aveva superati tutti, costringendoli o a ritirarsi malconci dalla lotta o a cercare la sua amicizia, sempre pero da subordinati satelliti. Da allora egli era stato il primo nel male, solo innanzi a tutti, e questo primato universalmente riconosciuto era stato per lui il piu ambito premio e la piu grande soddisfazione della vita. Ora pero quella fierezza e quella soddisfazione non la sentiva piu, e si vedeva nell'arco discendente della vita; ogni tanto gli tornava in mente un molesto pensiero: invecchiare, morire; e poi?
Quel Dio di cui gli avevano qualche volta parlato quand'era piccolo, e di cui in seguito non si era mai piu curato, vivendo come non esistesse ne Lui ne la sua legge, ora gli si faceva talora sentire nell'animo come una potenza misteriosa ma ineluttabile, e anche la sua legge gli si presentava ora come qualcosa di fisso e inevitabile; e gli si affacciava alla coscienza l'eventualita di doversi presentare dopo la morte davanti a un Giudice assoluto e infallibile, che lo giudicherebbe per quanto aveva fatto, indipendentemente dal cattivo esempio altrui.
Del resto, se agli inizi egli poteva essere stato influenzato dall'altrui violenza, era pur vero che aveva agito sempre per propria volonta, in una feroce emulazione dei peggiori, che egli in breve aveva uguagliato e superato di molto. Ora gli si affacciava alla mente l'idea molesta di una responsabilita personale, di un giudizio personale, al quale tenga dietro necessariamente una sanzione personale per tutto il male fatto, per le sofferenze procurate, per il sangue sparso!
Questi terribili pensieri che talora gli assediavano la mente, e che egli cercava sempre di combattere senza mai riuscire a sconfiggerli, gli procuravano da tempo una certa inquietudine, che lo rendeva tanto esitante e incerto, quanto prima era stato deciso e risoluto; ma per orgoglio nascondeva questa sua nuova debolezza sotto la maschera di una piu cupa ferocia, di una piu spietata determinazione. Aveva subito promesso a don Rodrigo di accollarsi l'impresa, proprio per impedire al suo animo ogni vacillamento e ogni ripensamento, che lo avrebbe fatto decadere da quella fama di uomo invincibile e sicuro, che si era guadagnata portando a termine con spietata sicurezza una lunga catena di delitti. Ora che don
Rodrigo era partito, sentiva di nuovo quell'uggia del passato e quell'esitazione per il presente, che gli davano come una smania insopportabile; per precludersi ogni adito al ripensamento, fece chiamare immediatamente il Nibbio, il capo dei suoi bravi, e lo mando da Egidio a Monza, per ordinargli che cosa doveva fare. Lo scellerato giovane, basandosi sulla collaborazione di Gertrude, rispose che la cosa era facile: mandasse per il tale giorno una carrozza con due o tre bravi ben travestiti, che lui penserebbe al resto. Per lui era scontata l'adesione della Signora al piano delittuoso.
Quando Egidio chiese a Gertrude di sacrificare Lucia, ella ne provo orrore e cerco di esimersi, perche contribuire alla rovina della ragazza, alla quale si era in certo modo affezionata, le appariva davvero enorme e insopportabile; ma alla fine non pote sottrarsi alla ferrea schiavitu del vizio, poiche non aveva la forza di ribellarsi del tutto, spezzando quelle catene del peccato e del delitto, le quali ormai la tenevano prigioniera. A questo proposito il Manzoni fa un'acuta osservazione psicologica: "Il delitto e un padrone rigido e inflessibile, contro cui non divien forte se non chi se ne ribella interamente." Gertrude non seppe o non volle rompere definitivamente col suo tirannico amante, temendo forse le conseguenze di una simile ribellione, e dovette percio obbedire alla dura imposizione.
Si avvicinava l'ora stabilita per il proditorio rapimento di Lucia; Gertrude, chiamatala nel proprio parlatorio, le faceva piu carezze del solito, come il pastore accarezza l'agnella mentre, belante e tremante, la conduce fuori dell'ovile per consegnarla al macellaio. L'ingenua ragazza accettava con gratitudine e ricambiava quelle carezze "con tenerezza crescente", appunto come l'agnella, avviata al macello, si volta ignara a leccare la mano dell'interessato pastore. Dopo le carezze, la Signora chiese a Lucia di farle un piacere: andare al convento dei cappuccini per avvertire il Guardiano che doveva parlargli. La poverina, a simile richiesta, rimase come sbigottita, e per quanto provasse verso la Signora una grande soggezione, non esito a esprimere la sua ripugnanza: sola, senza la madre, per una strada solitaria e quasi sconosciuta. Ma l'altra, "ammaestrata a una scola infernale", si mostro molto meravigliata, e quasi offesa, che non volesse farle questo piccolo favore, mentre lei gliene faceva di ben piu grandi: e poi, di che si trattava? quattro passi, di pieno giorno, per una strada percorsa pochi giorni prima; un percorso tanto semplice, che non si poteva addirittura sbagliare!
A queste parole Lucia, mortificata e sconvolta, disse che sarebbe andata: se pero la fattoressa, vedendola uscire per la prima volta, le chiedeva dove andasse, che cosa doveva rispondere? La Signora le suggeri una bugia, e cio accrebbe il turbamento della poverina, che si avvio rassegnata: "e bene; andero. Dio m'aiuti!" Ma quando Lucia, tutta sbalordita, stava uscendo dalla stanza, la Signora, che "la seguiva con l'occhio fisso e torbido", improvvisamente la richiamo, come sopraffatta dal pensiero di quel nero tradimento. Ma quando la ragazza fu tornata davanti alla grata per sentire che cosa volesse, gia quel pensiero era stato cacciato dall'animo di Gertrude da un altro pensiero, "un pensiero avvezzo a predominare" per mezzo della passione peccaminosa che aveva soggiogato e reso schiavo
l'animo della sciagurata. Fingendo allora di non essere contenta delle istruzioni datele, gliele ripete, ricordandole la strada da seguire; quindi la congedo di nuovo, senza piu ripensamenti.
Vedendo Lucia costretta in tal modo, con vera violenza morale, a uscire dal monastero per cadere nell'agguato preparato contro di lei, ci viene in mente l'altro caso di violenza morale, quando la poverina fu indotta al matrimonio clandestino. La Renzo con le sue escandescenze, con le sue terribili minacce, che forse coscientemente accentuo, costrinse la fidanzata a fare cio che la sua coscienza non poteva approvare; qua la tiranna della volonta di Lucia adopera non le minacce, ma prima le carezze, quindi la meravigliata incredulita di trovare dell'ingratitudine in colei che aveva tanto beneficato e in cui confidava. Nell'uno e nell'altro caso la poverina cede per evitare il peggio: a Renzo, perche non credesse che non l'amava abbastanza, e non commettesse per rabbia qualche atto inconsulto; a Gertrude, per mostrarle la sua gratitudine, di cui lei aveva dubitato. Nell'una e nell'altra occasione il suo cedimento e accompagnato da tanta sofferenza morale, ma anche da un accorato abbandono nelle mani di Dio, Padre misericordioso. Ella e convinta di non agire bene, e prevede che cio che fa non potra andare a buon fine; e infatti le conseguenze sono in ambedue i casi tristi: la il matrimonio fallisce, qua ella cade nella trappola e viene rapita. Ma proprio per la sua profonda sofferenza e per la sua grande fiducia, il Signore non l'abbandona, ma la salva, traendo il bene dal male, come sa far solo Lui.
Nel primo caso infatti ella sfugge, proprio a causa del matrimonio clandestino, al rapimento organizzato da don Rodrigo; nel secondo caso ella cade tra le grinfie dei bravi dell'Innominato, ma con le sue angosciate parole, col suo pianto, con le sue accorate preghiere turba prima il Nibbio e poi lo stesso signore, portando a soluzione positiva la crisi spirituale che lo travagliava da tempo. Per mezzo delle semplici ma toccanti parole della prigioniera, l'animo dell'Innominato si apre alla speranza, e passa dalla fosca disperazione notturna alla consolante fiducia nel perdono divino. La sofferenza di Lucia e quindi strumento di salvezza.
Ma torniamo al racconto. La ragazza, uscendo dal convento, per fortuna non fu vista dalla fattoressa, e cosi non si trovo nell'impaccio di dover dire una bugia, che le ripugnava grandemente, e "tutta raccolta e un po' tremante" si avvio per la strada indicatale. Uscita dalla porta del borgo, dovette farsi coraggio per inoltrarsi in una strada solitaria, poiche, dopo quel primo incontro con don Rodrigo, le strade le facevano paura, e questo sentimento era andato via via crescendo per le dolorose vicende che le erano accadute. Ma vedendo, nella strada che conduceva al convento, una carrozza ferma e due viaggiatori a terra, che sembravano incerti della via, si senti alquanto rincorata e procedette piu speditamente e meno preoccupata.
Quando fu nei pressi della carrozza, uno dei due viaggiatori le chiese cortesemente qual era la strada per Monza; mentre Lucia si voltava per indicarla, l'altro la prese istantaneamente per la vita e la caccio nella carrozza, sebbene lei gridando cercasse di divincolarsi; una volta dentro un altro tristo la inchiodo nel fondo del sedile, davanti a se, mentre un terzo con un fazzoletto le tappo la bocca.
Il Nibbio, colui che l'aveva presa a tradimento, entro subito anche lui in carrozza e chiuse in fretta lo sportello, mentre il cocchiere faceva partire i cavalli di gran carriera. Colui che "aveva fatta quella domanda traditora" a Lucia era un bravo di Egidio, il quale rimase un momento sul posto per accertarsi che nessuno avesse udito le grida; visto tutto calmo, spari in un baleno anche lui, prendendo per i campi.
Non mi provero a descrivere lo stato d'animo della povera ragazza, sopraffatta dal terrore e dall'angoscia: ella intuiva confusamente la motivazione del suo rapimento, e ne inorridiva e tremava nelle piu intime fibre del suo essere. Ribellandosi con tutte le forze a quella violenza cercava di divincolarsi per raggiungere lo sportello, ma delle braccia nerborute la ricacciavano indietro, mentre il fazzoletto le soffocava in gola il grido. Dopo ripetuti tentativi di liberarsi da quella morsa, si senti mancare le forze, sbianco in viso e svenne, facendo preoccupare alquanto quei manigoldi, perche sembrava proprio che fosse morta. Stavano intanto entrando in un bosco, solitamente infestato dai banditi, per cui il Nibbio ordino di prendere dalla cassetta i tromboni e di tenerli pronti, ma dietro la schiena, per non spaventare la ragazza, una volta che fosse rinvenuta; comando inoltre di non toccarla se non dietro suo ordine, perche a custodirla bastava lui; e lasciassero parlare lui solo.
Quando la poverina si riebbe, peno alquanto a rendersi conto della sua terribile situazione; ma non appena ne fu pienamente consapevole, subito cerco, con una stratta, di gettarsi allo sportello; ma il Nibbio, che stava all'erta, l'afferro immediatamente e la costrinse di nuovo a sedersi, minacciando di imbavagliarla col fazzoletto, se non la smetteva di gridare. Quindi, con la voce piu dolce che pote, cerco di calmarla, assicurandola che essi non volevano farle alcun male, per cui doveva stare tranquilla. Lucia allora, con le lagrime agli occhi e con voce accorata, li supplico di lasciarla andare, per l'amore di Dio e della Madonna: che cosa aveva loro fatto di male? perche la facevano soffrire cosi? se avevano una madre, una moglie, una figlia, pensassero a quello che esse patirebbero trovandosi in quello stato! Lei perdonava loro di cuore tutto quello che le avevano fatto, ma la lasciassero andare subito, anche in quel luogo sconosciuto: il Signore le avrebbe fatto ritrovare la sua strada. Vedendo che non davano retta, insisteva piangendo a scongiurarli con parole semplici ma toccanti: "Ricordatevi che dobbiamo morir tutti, e che un giorno desidererete che Dio vi usi misericordia." Ma siccome quelli non sembravano affatto toccati dalle sue parole, Lucia si rivolse "a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini", e incrociate le mani sul petto, si mise a pregare con molto fervore; quindi, presa la corona che portava sempre con se, comincio a recitare mentalmente il santo rosario con tutta la concentrazione di cui era capace. Ogni tanto interrompeva la preghiera per tornare a supplicare quegli uomini; ma vedendo che era sempre inutile, riprendeva con maggiore accoramento il suo rosario, tutta rannicchiata nell'angolo del sedile.
Intanto nel castello l'Innominato attendeva l'esito della spedizione con una strana inquietudine: non dubitava affatto della sua riuscita, che anzi poche imprese erano state altrettanto sicure; eppure sentiva crescere in cuore quel turbamento,
quella specie di malessere che aveva provato subito dopo essersi impegnato con don Rodrigo. A questo punto possiamo fare un utile confronto tra l'Innominato, in attesa della carrozza, e don Rodrigo quando, nel suo palazzotto, attendeva da un momento all'altro l'arrivo della bussola con dentro la fanciulla, che il Griso era stato incaricato di rapire. Don Rodrigo allora si preoccupava solo dell'esito materiale dell'impresa, e si consolava pensando alle lusinghe che avrebbe usato per ridurre Lucia alle sue voglie, e gia pregustava il piacere del soddisfacimento del suo turpe capriccio; l'Innominato invece e sicuro dell'esito felice del ratto, ma non ne prova alcuna soddisfazione, bensi un turbamento molesto, una preoccupazione quasi angosciosa.
Quando vide, giu in fondo valle, comparire la carrozza, senti come un tuffo al cuore, e non resistendo piu in quella sospensione tormentosa, decise di mandare uno dei suoi sgherri a ordinare al Nibbio di portare direttamente la ragazza da don Rodrigo. Mentre pero stava per dare quell'ordine, senti come un "no imperioso" risonare nella sua mente; ma dovendo pur fare qualche cosa, per liberarsi dall'angoscia che l'attanagliava, fece chiamare una vecchia serva e le ordino di scendere alla Malanotte con una bussola per rilevare la giovane che era nella carrozza, che avrebbe poi condotta in camera sua, dove ella avrebbe pernottato. Le comando di non rivelare alla ragazza dove fosse ne di chi era il castello, ma per il resto di accontentarla e di farle coraggio. La vecchia trasali a quest'ordine, piuttosto insolito su quella bocca, e chiese che cosa doveva dire per far coraggio alla prigioniera. Il signore a questa domanda s'infurio: "Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai avuto paura? Non sai le parole che fanno piacere in quei momenti? Dille quelle parole: trovale, alla malora. Va'."
La vecchia era nata nel castello, da un custode di esso, ed era cresciuta nella venerazione dei padroni, che per lei erano come divinita in terra, e il castello era tutto il suo mondo. Allorche l'Innominato, divenuto padrone assoluto, comincio a instaurare all'intorno una tirannide feroce e sanguinaria, ella ne provo "un sentimento piu profondo di sommissione." Fattasi ragazza da marito, aveva sposato un servitore della casa, il quale pero non torno piu da una certa spedizione. La pronta e spietata vendetta che ne fece il signore accrebbe la sua totale sottomissione al potente padrone, che per lei era tutto. Rimasta vedova, aveva dovuto accudire agli sgherri, compagni del suo morto marito; ma fattasi vecchia, era diventata un po' lo zimbello di quei manigoldi, che usualmente la chiamavano "vecchia", ma a questa parola aggiungevano sempre qualche epiteto di beffa e di scherno. Ma la donna, il cui animo si era depravato e indurito sempre piu vivendo per tutta la vita in quell'ambiente sinistro, non si teneva affatto quegl'insulti, ma rispondeva pronta con altri improperi "in cui Satana avrebbe riconosciuto piu del suo ingegno" che nelle parole degli insultatori. Non e da meravigliarsi che una donna simile si stupisse dell'ordine di far coraggio a una prigioniera, a meno che non fosse una principessa, e non sapesse in effetti come doveva fare, quali parole usare per rincuorare una creatura. In quel castello ella aveva dovuto cucire, rattoppare, cucinare, ripulire, rigovernare, spazzare, medicar ferite, brontolare, sentire a dire parolacce; ma non le era mai capitato di dover
consolare una persona dicendo qualche parola gentile e buona, e il suo cuore si era inacidito in quella vita vissuta, sin quasi dall'infanzia, senza alcuna luce spirituale, senza alcun barlume di carita. Tanto l'ambiente puo depravare l'animo umano, fatto per intendere e amare!
Comunque, di parole di consolazione, aveva allora bisogno non tanto Lucia, che aveva la sua Fede, quanto l'Innominato, il cui animo era attanagliato ormai dal rimorso, e non piu soltanto dall'inquietudine e dalla sospensione penosa. E mentre la vecchia correva a eseguire i suoi ordini, lui per dominare l'impazienza tormentosa camminava nervosamente su e giu per la stanza, dove attendeva il Nibbio che doveva fargli la relazione dell'impresa.
Fonte: http://www.brunocamaioni.com/system/files/libri_e_copertine/%5BeBook%20-%20ITA%20-%20romanzo%5D%20Bruno%20Camaioni%20-%20Riassunto%20de%20I%20Promessi%20Sposi%20%28ed%20riveduta%29.pdf
Sito web da visitare: http://www.brunocamaioni.com/
Autore del testo: Bruno Camaioni
Nota : se siete l'autore del testo sopra indicato inviateci un e-mail con i vostri dati , dopo le opportune verifiche inseriremo i vostri dati o in base alla vostra eventuale richiesta rimuoveremo il testo.
Parola chiave google : I promessi sposi riassunto capitoli dal xvi tipo file : doc
I promessi sposi riassunto capitoli dal xvi
Visita la nostra pagina principale
I promessi sposi riassunto capitoli dal xvi
Termini d' uso e privacy