I promessi sposi riassunto capitoli dal XXI
I promessi sposi riassunto capitoli dal XXI
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I promessi sposi riassunto capitoli dal XXI
CAPITOLO XXI
La vecchia giunse con la bussola alla Malanotte un po' prima della carrozza la quale ormai, per la stanchezza dei cavalli, procedeva piuttosto lenta e, per lo stato d'animo dell'Innominato, addirittura "col passo della morte"; ordino al Nibbio di trasferire nella bussola la prigioniera, che lei stessa invito, con la miglior voce che pote, a scendere dalla carrozza e a seguirla, aggiungendo che aveva ordine di trattarla bene e di farle coraggio. Se non ci trovassimo davanti al doloroso calvario di Lucia, ci verrebbe davvero da ridere dinanzi alla rozzezza di questa donna la quale, per confortare la poveretta, non sa dire altro se non che ha ricevuto ordini di farle coraggio. Essa si preoccupa soltanto dell'ordine ricevuto, perche teme l'ira del padrone, e non fa che ripetere alla sconsolata giovane: "Glielo direte, eh?, che v'ho fatto coraggio?" E in seguito, per precostituirsi come un alibi, continuera ad ammonirla: ricordatevi che vi ho fatto coraggio. ricordatevi che vi ho invitato piu volte a mangiare. ricordatevi che vi ho esortato ripetutamente a venire a letto. L'unica preoccupazione della sciagurata non era nei riguardi della poverina, il cui penare non la toccava affatto, perche non lo comprendeva, ma verso il padrone, che non avesse a rimproverarla o peggio. Ma non era colpa sua!
Lucia, al fermarsi della carrozza, si riscosse come da un tormentoso torpore, e alle parole della vecchia sconosciuta, temendo ormai ogni cosa nuova, provo uno spavento piu cupo, per cui non mostrava nessuna intenzione di lasciare la carrozza; sicche dovettero prenderla e metterla di peso nella bussola. La vecchia vi entro subito dopo, e i lettighieri avviarono le mule su per la salita. La ragazza allora, piena d'angoscia, chiese alla donna dove la conducesse; al che quel "ceffo sconosciuto e deforme", cercando di fare la voce dolce e suadente, rispose che la portava da uno che voleva farle del bene, tanto che le aveva comandato di farle coraggio. Ma la poverina, piu spaventata che mai, scongiuro la donna di lasciarla andare, di accompagnarla in qualche chiesa, in nome della Vergine Maria. Questo nome soave, non sentito e non invocato ormai da tanto tempo, fece nella mente della vecchia un'impressione indistinta, suscitando un vago e lontano ricordo, "come la rimembranza della luce, in un vecchione accecato da bambino"; e la similitudine, di icastica evidenza, rende appieno la pena per quella cecita spirituale.
Intanto il Nibbio, raggiunto a piedi il castello, fece la sua relazione nello stile laconico a cui erano stati avvezzati dal padrone, il quale aveva organizzato il castello come una fortezza e addestrato i suoi uomini come dei veri soldati. L'impresa era riuscita perfettamente: "l'avviso a tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma." Tutto era andato dunque nel modo migliore, pero c'era un "ma" veramente inaspettato, un inconveniente del tutto insolito in simili imprese: quella povera ragazza aveva fatto al Nibbio, cuore certo non tenero, tanta compassione, che avrebbe cento volte preferito che l'ordine fosse stato piuttosto
"di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso." E aggiunse, l'intrepido luogotenente, che la compassione e un po' come la paura: guai a lasciarla entrare nel cuore! uno non e piu un uomo! L'Innominato, sbalordito nel sentir parlare cosi quell'uomo solitamente cosi duro e deciso, gli chiese cosa mai avesse fatto colei per muoverlo a pieta. Saputo che per tutta la strada, che era durata piu di quattr'ore, la poverina non aveva fatto altro che piangere e pregare, poi svenire come morta, quindi di nuovo supplicare e dire certe parole da commuovere il cuore piu duro, il signore penso che la migliore cosa da fare era di sbarazzarsi subito di questa strana ragazza, che aveva fatto compassione al Nibbio, e ordino a costui di montare immediatamente a cavallo per andare ad avvertire don Rodrigo che mandasse a prendere la donna, ma subito subito, che altrimenti. Ma improvvisamente un "no interno piu imperioso del primo" gli fece annullare l'ordine, per cui comando al suo luogotenente di andarsene invece a riposare: l'indomani avrebbe saputo il da farsi.
Fermiamoci un istante a considerare la figura del Nibbio, confrontandola con quella del Griso, suo collega, per cosi dire. Esprimendoci matematicamente, con una proporzione potremmo dire che il Nibbio sta al Griso come l'Innominato sta a don Rodrigo: il Griso infatti e vile come il suo padrone, e alla fine si rivelera, lui, il fedelissimo, un abbietto traditore, e fara la fine che si merita; il Nibbio invece e, nel fondo dell'animo, generoso e magnanimo, proprio come il suo signore; ha ancora, sotto la dura scorza del masnadiero, un cuore umano, che palpita e si commuove. Per quanto il Manzoni non parli piu di lui dopo questo episodio, possiamo essere certi che il Nibbio, uomo franco e servitore fedele, rimarra vicino al suo padrone anche nella conversione, inizio di una nuova vita, fatta di riparazione e di opere benefiche.
Quando l'Innominato resto solo, dopo aver congedato il suo luogotenente, rimase li a ripensare alla strana compassione di lui, e sempre piu ne rimaneva stupito; per cui, ad evitare di essere contagiato, ribadi in cuor suo il proposito di mandare senz'altro al suo destino la ragazza, l'indomani mattina. Ma dal fondo del suo animo sorgeva e si faceva sentire sempre piu vivo il desiderio di vederla, di sentire le sue parole; non era curiosita, ma come uno strano bisogno, una specie d'attrazione inspiegabile, misteriosa quanto potente. Dopo aver resistito alquanto, dovette cedere a questo nuovo impulso, e s'avvio verso la camera della vecchia, dove Lucia era stata condotta; era convinto che non avrebbe dovuto farlo, eppure ci andava!
Picchia con un calcio, facendo accorrere ad aprire la vecchia, che ne ha riconosciuto la voce; entrato, volge imperioso lo sguardo in giro e, alla fioca luce della lucerna, scorge la povera ragazza tutta raggomitolata sul pavimento, nell'angolo della stanza piu buio e piu lontano dalla porta. Subito ne prova un senso di compassione: a lui non aveva fatto niente di male, eppure la faceva soffrire cosi! Dopo aver rimproverato la serva per averla gettata la a terra come uno straccio, si avvicino a Lucia e le disse di alzarsi, una e due volete senza che la poverina si movesse; per cui, sdegnato per aver comandato invano, le grido di mettersi in piedi con tono iracondo, tale da non ammettere ne ripulsa ne indugio.
Allora l'infelicissima, prendendo per cosi dire vigore dal suo stesso spavento, si sgroppo ma, senza alzarsi, si inginocchio davanti a lui dicendo: "Son qui: m'ammazzi." Il signore, con voce tutt'un tratto raddolcita davanti a "quel viso turbato dall'accoramento e dal terrore", disse che non voleva farle alcun male, con un tono quasi di scusa, che fece trasecolar la vecchia. Allora la ragazza, con accento disperato di rimprovero, gli domando: "Perche mi fa patire le pene dell'inferno? Cosa le ho fatto io?"E vedendo una certa esitazione nel comportamento del signore, e la compassione interna trasparire pur dai duri lineamenti del suo volto, aggiunse con tono smorzato: "Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In nome di Dio."
A quel nome l'Innominato reagi, come se fosse stato schiaffeggiato, perche appunto quel Dio lo perseguitava da tempo con la sua grazia, non dandogli piu pace, mentre lui non voleva cedere, non voleva arrendersi, per non perdere la faccia davanti al mondo: pretendeva forse, con quel nome, di fargli paura? Ma la povera ragazza rispose con umile semplicita: "cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi usi misericordia? Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia!... Mi faccia condurre in una chiesa. Preghero per lei, tutta la mia vita." A queste parole commoventi il signore appariva esitante, per cui Lucia insistette con maggiore accoramento: "Non iscacci una buona ispirazione!... Se lei non mi fa questa carita, me la fara il Signore: mi fara morire, e per me sara finita; ma lei!... Forse un giorno anche lei. Ma no, no; preghero sempre io il Signore che la preservi da ogni male. Se provasse lei a patir queste pene." L'Innominato era turbato, tocco da quelle parole inaudite nelle piu intime fibre dell'animo; la sua commozione traspari dal tono della voce con cui cerco di far coraggio alla ragazza, ripetendo che non intendeva farle alcun male, e che sarebbe tornato da lei l'indomani; intanto le avrebbero portato da mangiare, che doveva averne molto bisogno." No, no - disse precipitosamente Lucia - io muoio se alcuno entra qui; io muoio. Mi conduca lei in chiesa. quei passi Dio glieli contera."
Non possiamo non notare, a questo punto, la fiducia che ormai la derelitta fanciulla nutre in colui che pur l'ha fatta rapire, per via d'inganno e di violenza; ella, che diffida di tutto e di tutti, tanto che non vuole neppure che qualcuno venga a portar da mangiare, si mostra disposta ad andare col signore, e lo prega addirittura di accompagnarla in una chiesa, come potrebbe fare un padre con la figliola. Lucia, quest'anima pura e sensibile, questa prediletta della grazia divina, ha intuito che il Signore ha ormai conquistato l'animo del suo rapitore, il quale non le potrebbe piu fare alcun male. E' proprio il caso di ripetere: "beati i puri di cuore, poiche vedranno Dio!" Lucia gia vede in Dio la futura conversione dell'uomo che l'ha in suo potere, e non ne dubita minimamente; e possiamo aggiungere che lei stessa e lo strumento, non del tutto inconsapevole, di questa mirabile mutazione interiore.
Comunque l'Innominato, sentendo che ormai il suo cuore vacilla, e vergognandosi di dover cedere all'impeto della commozione, si affretta ad andarsene; dopo aver assicurato, per dissipare il sospetto della fanciulla, che
sarebbe venuta "una donna" a portar da mangiare, fugge quasi dalla presenza di lei, che tenta invano di trattenerlo. La poveretta, vedendo svanire la speranza di essere liberata dal potente signore, ripiombo nel piu cupo abbattimento, e torno a rincantucciarsi nel suo angolo buio. Poco dopo venne Marta, una cuoca del castello, a portare una paniera colma di cibo: delle pietanze scelte, accompagnate da una bottiglia di vino generoso. La vecchia si mise a decantare la squisitezza delle vivande, per indurre la prigioniera ad assaggiarne almeno, ma questa aveva altra voglia che di mangiare; si mosse solo per assicurarsi che la porta fosse ben chiusa, quindi torno nel suo cantuccio piangendo sommessamente. La vecchia mangio allora lei, e con grande volutta, di quei cibi prelibati; quindi dopo aver invitato invano la ragazza ad andare a letto, invece di stare raggomitolata li a terra, ci si corico lei, assicurando che c'era posto sufficiente per tutt'e due, e dopo pochi minuti gia russava con un rumore soffocato, come di rantolo, che risonava sinistramente nel pauroso silenzio notturno.
Lucia, raggomitolata nell'angolo, mortalmente stanca e sfiduciata, cadde a poco a poco in una specie di dormiveglia, punteggiato da incubi e da fantasmi spaventosi. Infine, quasi senza accorgersene, cadde sdraiata sul pavimento, vinta da un torpore piu profondo. Ma ben presto si riscosse da quella specie di letargo, e peno alquanto a riconoscere il luogo dove si trovava, debolmente rischiarato, a guizzi, dalla lucerna che andava spegnendosi: il silenzio che dominava nella tetra prigione, era rotto solo dal respirare lento e arrantolato della vecchia, che aveva qualcosa di lugubre e di sinistro. Quell'atmosfera di quiete sospesa e paurosa, l'abbandono stesso in cui era lasciata, le incussero un piu forte e indefinito spavento, tanto che desidero di morire. Ma ben presto si riebbe da quello sconsolato abbattimento, pensando a Dio e alla Madonna, che non potevano averla abbandonata: il Signore e la Vergine Santa sapevano che lei era li prigioniera e bisognosa di aiuto; alquanto riconfortata, cerco la corona e riprese la recita del rosario con piu fervore del solito. A poco a poco la fiducia e la speranza le rifiorirono nell'animo; ma a un tratto penso che poteva rendere la sua preghiera piu accetta a Dio per mezzo di un sacrificio; e avendo alquanto riflettuto su cio che potesse offrire di piu caro, decise di far sacrificio a Dio del suo amore per Renzo, rinunciando per sempre a diventare sua moglie, col voto di verginita perpetua. E senza indugio, messasi in ginocchio, si rivolse con fervida preghiera alla Madre Celeste, facendo a Lei offerta del suo amore, rinunciando per sempre a "quel suo poveretto", per esser da quel momento in poi tutta della Madonna.
Pronunciate le parole del voto, si mise intorno al collo la corona, "come un'armatura della nuova milizia a cui s'era ascritta", la milizia mistica e gloriosa delle vergini. Rimessasi quindi a sedere sul pavimento, si senti il cuore inondato da un nuovo senso di conforto, da una piu forte fiducia nell'aiuto celeste: aveva offerto a Dio cio che aveva di piu prezioso, ed Egli non poteva abbandonarla in quel pericolo, in cui era caduta non per sua imprudenza, ma per l'altrui perfidia. E acquietandosele l'animo, anche il corpo riusci finalmente ad assopirsi in un sonno vero e proprio, non piu turbato da incubi paurosi. Ma torniamo all'Innominato.
Uscito, o meglio fuggito dalla presenza di Lucia, diede ordine di recare alla prigioniera, probabilmente, quel pasto che era stato preparato per lui, non avendo affatto voglia di mangiare, sottosopra com'era nell'animo; ispezionati quindi, come di consueto, i vari posti di guardia del castello, si ritiro nella sua camera, chiudendosi a chiave in gran fetta, come se qualcuno lo inseguisse. Chi lo inseguiva non era altro che la grazia di Dio, contro la quale non servono le porte e le serrature. Si caccio subito sotto le coperte, pur sapendo che non facilmente avrebbe chiuso occhio quella notte, tanto si sentiva sconvolto. Comincio col rimproverarsi di aver voluto vedere quella fanciulla, come se cio fosse dipeso soltanto da una sua sciocca curiosita, e non piuttosto da un impulso prepotente dello spirito; cerco, minimizzando quanto gli stava succedendo, di riprendere il suo animo antico, la sicurezza imperturbata di un tempo: tante altre volte - diceva tra se per rianimarsi - aveva sentito strillare o belare delle donne, capitate per loro sfortuna tra le sue grinfie, e le loro lagrime supplichevoli non l'avevano punto smosso dai suoi biechi propositi di violenza o di vendetta; questa che provava ora, era certamente una debolezza passeggera, che sarebbe svanita con le tenebre della notte. Cercava di farsi coraggio ripensando a tutte quelle imprese in cui aveva vinto i suoi nemici, rimanendo sordo alle preghiere e ai lamenti; ma otteneva l'effetto contrario: quelle azioni spietate, gia suo vanto, ora gli apparivano odiose; provava, nel passarle in rassegna, non orgoglio e fierezza come una volta, ma "una specie di terrore, una non so qual rabbia di pentimento." Allora pensava, con un senso di sollievo, che poteva almeno, se non cancellare le passate nefandezze, interrompere e riparare quella presente, liberare la fanciulla, chiederle perdono, si, chiederle proprio perdono, se questo poteva servire a fargli trovare un po' di pace, un qualche refrigerio. Ma poi si pentiva del suo pentimento, che gli appariva come una vergognosa debolezza, e cercava di recalcitrare ancora, di non farsi sopraffare dalla "diavoleria" che aveva addosso; si mise percio a pensare alle imprese che lo attendevano, a quelle che aveva gia avviate ma non compiute, e si sforzava di concentrarsi in esse, studiando minutamente i relativi piani di azione, cosa che in altri tempi soleva occuparlo tutto, facendogli dimenticare ogni altro pensiero.
Ma con terrore si accorse che quelle imprese non avevano per lui nessuna attrattiva, che non gl'importava piu minimamente di condurle a termine, che la vittoria e l'affermazione della sua potenza ora non avevano per lui nessuna importanza. Passando in rassegna i suoi bravi, gli sembrava che non avesse piu nulla da comandare a nessuno di loro; anzi il doverli rivedere, l'indomani, quegli spietati ministri dei suoi misfatti, gli dava gia un senso di fastidio, quasi di nausea. E pensava al tempo futuro, al domani, al dopodomani, all'altro giorno ancora. tutto il tempo uguale, opprimente. senza aver nulla da fare, nulla da comandare, nulla di nuovo da aspettare se non la morte, e con il ricordo tormentoso dei suoi delitti. E poi la notte, che puntualmente sarebbe tornata dopo la breve luce, come passarla, come poter dormire con quegl'incubi paurosi, con quei fantasmi che non gli davano requie? L'idea di un'altra notte, simile a quella che stava passando, gia lo terrorizzava. Riesaminava la propria vita, cercando di trovare qualche valore a cui appigliarsi, rievocava le sue imprese, i suoi misfatti, per
trovarvi una motivazione; ma essi gli comparivano davanti come qualcosa di enormemente irragionevole, di veramente mostruoso. Spogli dello stato d'animo, d'ira o d'odio o di vendetta o d'emulazione feroce, che li aveva provocati e accompagnati, essi gli apparivano ora brutti., inconcepibili, efferati; eppure lui li aveva voluti, preparati con fredda meticolosita, eseguiti con feroce determinazione; aveva goduto della loro riuscita,. erano suoi, erano lui!... non si sarebbe mai piu liberato da quelle tormentose memorie, se non con la morte.
Egli - lo sentiva - non si sarebbe mai piu liberato di quel canchero che lo rodeva dentro, di quel morso lancinante e ormai irresistibile, perche il suo stesso pensiero, quasi fosse un altro io sorto a condannare l'antico, frugava sempre piu spietatamente in quell'odioso passato. L'orrore che provava di quella sua vita, piena solo di delitti, crebbe sino ai limiti della sopportazione umana, sino alla piu nera disperazione; non ne poteva piu, e decise di farla finita. Prese in furia la pistola che teneva accanto al letto, armo convulsamente il cane e si appoggio alla fronte la canna per farsi saltar le cervella. Ma sul momento di premere il grilletto, ebbe un sussulto, un attimo di indecisione, e abbasso l'arma; penso, in un momento di lucidita mentale, a cio che sarebbe avvenuto dopo la sua morte, nel tempo che pure continuerebbe a scorrere, anche senza di lui. Immagino il suo corpo esanime in balia di chi sa chi, la confusione, la baraonda nel castello all'incredibile notizia, penso alle reazioni, ai commenti dei suoi amici e dei suoi nemici, a cio che avrebbero pensato di lui i suoi stessi sudditi. La morte, in mezzo a quelle tenebre silenziose e nella piu assoluta solitudine, gli appariva squallida e spaventosa. non avrebbe esitato a suicidarsi - ne era sicuro - se si fosse trovato alla luce del giorno, davanti alla gente. ma stando solo, nel buio, la morte gli faceva un altro effetto, gli faceva paura insomma. Strano, ma aveva paura di morire. E poi, ammesso che si fosse tolta la vita, quella vita insopportabile, che sarebbe stato di lui? se c'e la vita dell'anima, quella eterna, che sarebbe stato della sua vita? e se non c'e, se tutto finisce con la morte del corpo, perche tormentarsi per cio che aveva fatto, perche darsi la morte? a chi doveva rendere conto e di che cosa?... Ma se la vita futura c'e, se Dio esiste, se l'anima e immortale, la sua dopo la morte del corpo sarebbe comparsa subito davanti al suo tribunale, per sottoporsi al suo infallibile giudizio. Neppure con la morte poteva dunque liberarsi da quella angosciosa oppressione, da quell'incertezza disperata? doveva continuare a vivere con l'inferno nel cuore?...
Dopo aver piu volte alzato e abbassato convulsamente il cane della pistola, la butto via e, con le mani sulle tempie, tremava tutto e batteva i denti come un bambino atterrito nelle tenebre. A un tratto ripenso a Lucia, la rivide nitida davanti agli occhi della mente, ma non piu come una povera fanciulla supplice e desolata, ma come una soave creatura dispensatrice di grazie. Risenti le sue parole semplici e commoventi, che ora assumevano per lui un suono dolce e persuasivo: Dio perdona tante colpe per un'azione buona!... Si, l'avrebbe liberata, le avrebbe chiesto perdono, avrebbe invocato dalle sue labbra altre parole di consolazione, come quelle che ora gli riempivano l'animo di fiducia. Ma poi? che poteva ancora fare di bene? come riparare a tanti delitti ormai consumati e irrevocabili? essi lo
avrebbero sempre tormentato col lancinante rimorso, specie la notte, nell'insonnia angosciosa e insopportabile, popolata di mille fantasie spaventevoli! Come liberarsi da essi?... E che cosa avrebbe fatto della sua vita, se doveva pur vivere? Ora pensava di andarsene solo, lontano, dove nessuno lo conoscesse; doveva fuggire da quel luogo, dove ogni oggetto gli ricordava il tenebroso passato, andare lontano da quell'ambiente odioso!... Ma capiva che non poteva fuggire lontano da se stesso, che lui sarebbe sempre stato lui, ovunque, e il canchero tormentoso del rimorso lo porterebbe sempre con se, dovunque andasse, checche facesse. In certi momenti gli rispuntava, pur fioca, la speranza che tutto svanirebbe col tornar della luce, che era semplicemente un incubo notturno, che presto cesserebbe; ma poi sentiva che la luce del giorno, che ormai non poteva tardar troppo, non avrebbe certo migliorato la sua penosa situazione, anzi l'avrebbe peggiorata, mostrandolo ai suoi sudditi in quello stato di pietosa impotenza. Pur smaniava di far qualcosa, di togliersi da quell'inazione snervante; e sospirava allora la fine della notte, come se l'alba dovesse portare la luce anche nel suo spirito.
Mentre era in cosi penosa sospensione e ansieta d'animo, senti uno scampanio lontano, che sembrava a festa, e per chi? chi era cosi allegro in questo mondo, mentre lui era in preda alla disperazione? "salto fuori da quel covile di pruni", e ando alla finestra a guardare: il cielo era coperto, e una caligine leggera velava i contorni delle montagne; laggiu nella strada si distinguevano dei viandanti, tutti diretti verso lo sbocco della valle, e si vedeva che camminavano a passo allegro, come a un appuntamento festivo. Dove andavano coloro con tanta sollecitudine? che avevano da fare o da vedere di tanto interesse?... Chiamato un bravo, lo mando a informarsi della novita: sentiva nel cuore come un'ansia di sapere chi o che cosa potesse attrarre cosi, e dare quella gioia a tanta gente diversa.
CAPITOLO XXII
L'uomo, tornato poco dopo, gli riferi che quei viandanti erano diretti a un paese vicino, per vedere il cardinal Federigo Borromeo, che era giunto la in visita pastorale; la notizia si era sparsa il giorno prima nella vallata, e tutti volevano non perdere l'occasione di incontrasi con lui. Rimasto solo, l'Innominato resto alla finestra, attratto da quello spettacolo insolito, fisso a quella gente che, anche cosi da lontano, appariva mossa da un lieto entusiasmo; e la cosa gli sembrava cosi nuova, cosi strana! Per vedere un uomo dovevano mostrarsi cosi lieti! Eppure anche loro - pensava - avranno i propri guai, non certo come i miei, ma sembra che li abbiano dimenticati in un trasporto di gioia. Come fara costui ad attirare e rendere allegre queste persone? distribuira un po' di denaro in elemosina!... Ma non tutti sono poveri costoro!... dira anche delle parole buone, di quelle che sappiano consolare, che facciano scordare gli affanni. quelle parole che ci vorrebbero per me!... Se andassi anch'io?...
Stette un momento in sospeso, a riflettere su quell'ipotesi che gli era venuta in mente quasi inavvertita, chi sa come, ma che gli appariva sempre piu accettabile, realizzabile, desiderabile, tanto che alla fine essa gli si presento come l'unica maniera di uscire da quello stato di sospensione tormentosa, in cui si dibatteva da tante ore ormai senza trovare una via d'uscita o almeno uno spiraglio di salvezza. Gli sembrava che quella sola potesse essere ormai la soluzione della sua crisi: andare a parlare con quell'uomo straordinario, sentire le sue parole, vedere che cosa avrebbe saputo dirgli per ridare la calma al suo animo.
Presa cosi la decisione quasi d'impeto, come trasportato da un'invincibile forza interiore, taglio corto alle esitazioni e alle obiezioni che pure insorgevano a contrastare il suo improvviso proposito e, vestitosi rapidamente, usci armato al modo solito, cioe con pugnale, due pistole e carabina, e s'avvio frettoloso verso la camera della vecchia, per vedere come stesse la sua prigioniera, che ormai gli appariva in aspetto di salvatrice. Questa volta non picchio brutalmente, come la sera avanti, con un calcio alla porta, ma busso sommessamente, facendo contemporaneamente sentire la sua voce: questo cambiamento nel comportamento e indice del profondo mutamento interiore che stava verificandosi in lui.
La donna, riconosciuta la voce, corse ad aprire al padrone il quale, vedendo la ragazza addormentata a terra, rimprovero sottovoce la vecchia, che pero protesto che lei aveva fatto di tutto per farla mangiare e andare a letto, ma inutilmente; comunque il signore le comando di non disturbarla; quando si fosse svegliata, doveva dirle che lui sarebbe presto tornato per esaudire tutti i suoi desideri. La vecchia rimase sbalordita a queste parole, e sempre piu si convinse che colei fosse qualche gran dama, vestita da contadina. Questa donna selvatica, tutta animalita primitiva, senza alcuna luce spirituale, non puo minimamente pensare che il cambiamento del padrone possa derivare da una crisi di coscienza, da un
pentimento insomma; essa pensa a un qualche evento esterno, che abbia fatto riconoscere nella contadinella addirittura una principessa. La sera prima, le insolite cortesie del signore verso la prigioniera, le ascrive alla giovinezza e bellezza della ragazza, e si rammarica stizzosamente di essere vecchia, lei, e di non ricevere simili gentilezze; ora questa mirabolante cedevolezza del suo padrone, tanto da promettere di compiere ogni suo desiderio, non sa motivarla che con la condizione sociale della prigioniera. La povera vecchia, abbrutita in quell'ambiente di violenza, non puo minimamente pensare a una rigenerazione spirituale del dispotico padrone, e immagina la favola di una bella principessa, arrestata in veste di contadinella, ma poi insperatamente riconosciuta, proprio come aveva sentito raccontare talora da bambina. La sua mente, purtroppo, non puo intuire un dramma interiore, per il semplice motivo che "non percipit ea quae sunt spiritus", e non puo quindi immaginare di trovarsi davanti a una conversione. Poveretta! merita piu compassione che condanna, perche nessuno aveva aperto gli occhi della sua mente sui veri valori della vita; quanti sono purtroppo quelli che sulla terra vivono, per ignoranza o altro motivo, in un tale stato di ottusita!
L'Innominato, uscendo dalla stanza della vecchia, riprese la sua carabina che, per non spaventare Lucia, aveva appoggiato fuori in un angolo; quindi comando a Marta (la donna che aveva portato da mangiare la sera precedente) di starsene nella stanza attigua, se mai la ragazza avesse bisogno di qualche cosa; ordino poi a uno dei bravi di mettersi di guardia li nel corridoio, perche nessuno osasse entrare dov'era Lucia, e infine usci dal castello tutto solo, cosa piuttosto insolita. A questo punto non possiamo fare a meno di notare le precauzioni delicate e quasi paterne che l'Innominato prende, affinche la sua prigioniera non venga infastidita e neppure minimamente disturbata; ormai egli si sente responsabile di quella vita, di quella virtu, e non vuole che corra il benche minimo pericolo; anche queste premurose cautele testimoniano il suo animo mutato e la sua rispettosa ammirazione per la virtuosa fanciulla.
Il Manzoni dice che l'Innominato, lasciato il castello, "prese la scesa, di corsa"; l'espressione ci sembra alquanto esagerata, ma ben illustra la santa fretta che ormai pungola l'uomo, tocco dalla grazia divina. I bravi che lo incontravano, in quello che era il suo piccolo regno, si fermavano salutando e attendendo ordini; ma lui non aveva ordini da impartire, e continuava la sua strada assorto e frettoloso, per cui i suoi sudditi non sapevano che cosa pensare, e per la sua uscita solitaria e per il portamento insolito: il suo viso, il suo sguardo, tutta la sua persona aveva qualcosa di nuovo e di strano. Quando, uscito dai suoi possedimenti, entro nella strada pubblica, la gente si scappellava e gli faceva largo, meravigliandosi anch'essa di vederlo senza scorta, cosa piu unica che rara.
Al paese dov'era il Cardinale, distante dal castello quanto "una lunga passeggiata" (quindi un tre o quattro miglia, io penso) una gran folla gremiva le strade, ma al suo avvicinarsi si apriva silenziosa, facendo ala, sicche in breve il signore giunse alla canonica, dove aveva saputo che si trovava Federigo Borromeo. Li entro in un cortiletto, dove i preti in attesa lo guardarono con meraviglia non scevra di sospetto; posata la carabina in un canto, ando avanti e si
affaccio in un salottino, dove si trovavano altri sacerdoti; a uno di questi chiese dove fosse il Cardinale, che gli doveva parlare. L'interrogato, scusandosi col fatto di essere forestiero, ma in effetti perche non si voleva prendere la responsabilita di una risposta in una situazione cosi scabrosa, chiamo il cappellano crocifero, che fungeva praticamente da segretario del porporato. Il cappellano, che anche lui non sapeva come regolarsi davanti a questa visita molto strana, per non dir sospetta, rispose balbettando che non sapeva se monsignore illustrissimo in quel momento si trovasse disposto. se insomma fosse libero e potesse riceverlo, e che andava a informarsi; cosi si tolse d'impaccio e, lasciando il signore in sospeso, si reco a riferire al suo superiore.
A questo punto il Manzoni interrompe il racconto per tracciare un breve profilo biografico del Borromeo. La digressione non e lunga, e vale proprio la pena di leggerla, perche in questo mirabile personaggio l'Autore ha trovato l'attuazione di un ideale di vita cristiana che collima esattamente col suo; e cio dona alle sue affermazioni, alle considerazioni e alle massime, che in questo scorcio di capitolo abbondano, una particolare forza di persuasione, un fascino tutto particolare. Per quanto don Alessandro (per gli amici milanesi don Lisander) inviti argutamente chi non vuol perdere un po' di tempo a saltare al capitolo successivo, noi ci guarderemo bene dall'aderire all'invito, dato che ci siamo imbattuti in un personaggio storico che merita tutta la nostra riverente simpatia; quindi anche noi ci fermeremo volentieri a conoscere meglio questo santo presule, come fa il viandante che, dopo una faticosa tappa attraverso un terreno desolato, si arresta volentieri "all'ombra di un bell'albero, sull'erba, vicino a una fonte d'acqua viva." Non potremo non risentirne un benefico refrigerio!
Federigo era nato nel 1564 da famiglia molto nobile e ricca, che possedeva feudi non soltanto in Lombardia, ma anche in Puglia e in altre parti d'Italia. Egli fu uno di quegli uomini rari che impiegarono un grande ingegno, un vasto patrimonio, i privilegi della nobilta del casato, e soprattutto un'attivita instancabile, "nella ricerca e nell'esercizio del meglio." Con una bella similitudine il Manzoni assomiglia la sua vita a un ruscello montano che, scaturito limpido dalla roccia, attraversando vari terreni senza mai intorbidirsi, va infine a gettarsi nel fiume. Mentre pero il ruscello permane limpido per fortunate circostanze, senza suo merito, il Borromeo si mantenne puro con la forza della sua volonta, col suo spirito di sacrificio, in mezzo alle varie tentazioni che gli venivano dalla nobilta accompagnata da una grande ricchezza. Fin dalla puerizia prese sul serio quelle verita e quei precetti, inculcati dalla religione cristiana, "intorno alla vanita dei piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio, alla vera dignita e ai veri beni", quelle massime insomma che quasi tutti sentono, dalla bocca dei genitori o degli insegnanti o dei sacerdoti, e magari ripetono con maggiore o minore convinzione, ma che ben pochi attuano con impegno nella vita di ogni giorno. Egli, appena giovinetto, era gia convinto che "la vita non e gia destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni", ma per tutti un serio impegno di impiegare bene i talenti che Dio e la natura ci hanno elargito, e dei quali siamo responsabili personalmente, come individui, indipendentemente dal cattivo esempio che ci
possa venire dagli altri, e magari da tutti gli altri. Persuaso di questa responsabilita personale che abbiamo nella vita, da condursi secondo una legge che, prima di essere codificata nella Rivelazione, e scolpita nella coscienza di ognuno, Federigo a 16 anni manifesto la volonta di dedicare la propria vita al servizio del prossimo, perche fosse "utile e santa", per mezzo dell'apostolato ecclesiastico. Allora era ancora vivo il santo suo cugino Carlo, il cui esempio luminoso di virtu avra certo influito beneficamente sulla formazione morale e spirituale del giovane seminarista, ma il Manzoni aggiunge, come "cosa molto notabile che, dopo la morte di lui, nessuno si sia potuto accorgere che a Federigo, allora di vent'anni, fosse mancata una guida e un censore." Cio dimostra che a quell'eta era gia sufficientemente formato.
Compi i suoi studi nel Collegio Borromeo di Pavia, fondato dal cugino, dove si applico assiduamente alle occupazioni prescritte, aggiungendone due altre di sua iniziativa, le quali rivelano il suo spirito veramente evangelico: insegnare la dottrina cristiana agli umili e assistere gli ammalati. A questo proposito ricordiamo che anche fra Cristoforo, quest'altro apostolo della carita, aveva aggiunto, a quelle impostegli dalla Regola e dal ministero sacerdotale, altre due occupazioni particolari: appianare le discordie e proteggere gli oppressi. Le opere di carita prescelte da questi due eroi della virtu denotano la diversita dei loro caratteri: piu fiero e pugnace quello del Cappuccino, piu pacato e mite quello dell'Arcivescovo.
In collegio gli istitutori cercavano di fare a Federigo un trattamento particolare, quasi a un padrone di casa, pensando magari di farsi cosi ben volere; ma egli rifiuto ogni distinzione, e se quelli insistevano , non manco di riprenderli, in nome di quei precetti di abnegazione e di umilta, di uguaglianza e di giustizia, che loro stessi insegnavano. Ordinato sacerdote, era evidente che "la parentela e gl'impegni di piu d'un cardinale potente, il credito della sua famiglia, il nome stesso" di Borromeo, al quale Carlo aveva donato tanto lustro, gli avrebbero conciliato le dignita ecclesiastiche.
Il Manzoni osserva acutamente che, se le qualita predette costituiscono "cio che puo condurre gli uomini alle dignita ecclesiastiche", Federigo possedeva anche "cio che deve" o dovrebbe determinare la scelta dei superiori, vale a dire l'ingegno, la dottrina e la pieta. Ma egli, convinto di un'altra verita, che cioe non ci dovrebbe essere nessuna superiorita sugli altri, se non per servirli, evitava le cariche, non certo perche non volesse servire il prossimo, ma perche voleva servirlo da pari a pari, non stimandosi degno o capace di servirlo bene, una volta investito di piu alta responsabilita, che rende il servizio stesso piu arduo e delicato. Percio rifiuto nel 1595 di diventare arcivescovo di Milano, cedendo poi solo all'espresso comando del papa Clemente VIII. Quelli che sogliono schernire simili rifiuti, puntualmente seguiti dall'accettazione, e parlano irridenti di umilta pelosa, non dovrebbero fare d'ogni erba un fascio, ma giudicare, dalle azioni e precedenti e successive del personaggio, della sua sincerita nell'opporre il rifiuto della nomina. "La vita e il paragone delle parole", dice il Manzoni, e le parole di umilta e di abnegazione, anche se sono usate pure dagli ipocriti, non cessano per
questo di essere belle e ammirevoli, "quando siano precedute e seguite da una vita di disinteresse e di sacrificio."
In quanto al disinteresse di Federigo arcivescovo, l'Autore cita questo fatto: siccome era personalmente molto ricco, ritenne che il mantenimento suo e del suo seguito dovesse gravare sul suo patrimonio privato e non sulle rendite ecclesiastiche, che tutti dicono essere patrimonio dei poveri, ma che pochi presuli destinano solo a questo scopo, come invece fece con estremo rigore Federigo delle rendite dell'archidiocesi. E per il suo mantenimento esigeva che si facesse la piu rigida economia, onde avere mezzi finanziari piu abbondanti per gli scopi benefici; per esempio, non smetteva un abito finche non fosse liso affatto, pretendendo solo che esso fosse decoroso e soprattutto pulito, poiche egli sapeva unire alle virtu della semplicita e della modestia quella d'una squisita pulizia: "due abitudini - osserva il Manzoni - notabili infatti, in quell'eta sudicia e sfarzosa."
Qualcuno, da questi e simili tratti della sua personalita, potrebbe essere indotto ad attribuirgli una certa grettezza o angustia di vedute, se Federigo non avesse dimostrato di saper spendere in modo assai generoso e illuminato per realizzare opere grandiose, tra cui la Biblioteca Ambrosiana; chi concepi e realizzo una simile impresa non era davvero "una mente impaniata nelle minuzie; e incapace di disegni elevati"! Quell'opera fu realizzata con munificenza quasi regale; e mentre allora, nelle biblioteche d'Italia che pur si dicevano pubbliche, "i libri non eran nemmeno visibili, ma chiusi in armadi, donde non si levavano se non per gentilezza de' bibliotecari, quando si sentivano di farli vedere un momento", nella biblioteca istituita dal Borromeo, che pur poteva considerarsi privata, i libri e i manoscritti erano "esposti alla vista del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli anche da sedere, e carta, penne a calamaio, per prender gli appunti che gli potessero bisognare"; e tutto questo per ordine espresso del munifico fondatore. Cose che dimostrano insieme la sua larghezza di vedute, e la generosa gentilezza del suo animo verso gli studiosi. Queste doti insigni sono testimoniate anche da un altro episodio, che ci richiama alla mente la storia di Gertrude. Avendo infatti saputo che un nobile tiranneggiava la figlia per farle prendere il velo, mentre quella aveva intenzione di sposarsi, Federigo fece venire a se il padre, ed essendosi questi giustificato dicendo di non avere i quattromila scudi necessari per maritarla decorosamente, gli diede senza esitazione la somma richiesta, reputando giustamente che nessuna somma materiale e eccessiva, se con essa si puo evitare la perdizione di un'anima.
Era affabile e alla mano con tutti, cordiale specialmente con i diseredati, verso i quali il mondo e cosi duro. Per questo suo comportamento familiare con i poveri "ebbe a combattere coi galantuomini del "ne quid nimis", i quali, in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star nei limiti, cioe nei loro limiti." Uno di questi mentori, un giorno, mentre in una parrocchia di montagna istruiva un gruppo di fanciulli poveri, accarezzandoli paternamente, ritenne suo dovere avvertirlo che non li avvicinasse troppo, perche erano troppo sudici, come se Federigo non avesse abbastanza sensibilita per accorgersene da solo ne "abbastanza perspicacia, per
trovar da se quel ripiego cosi fino." Ma purtroppo questo avviene spesso, osserva il Manzoni, agli uomini rivestiti di certe cariche: mentre difficilmente trovano chi li avverta delle loro mancanze, trovano benissimo chi li riprende per la loro generosa virtu.
Qualcheduno potrebbe attribuire la soavita del suo comportamento, la pacatezza imperturbabile della sua condotta, la mitezza dei suoi tratti "a una felicita straordinaria di temperamento"; invece - assicura il Manzoni che si e ben documentato - "era l'effetto d'una disciplina costante sopra un'indole viva e risentita." Fatto cardinale, partecipo a molti conclavi, senza mai aspirare "a quel posto cosi desiderabile all'ambizione, e cosi terribile alla pieta"; sicche in un certo conclave, avendogli un collega molto influente offerto il voto suo e del suo gruppo, rifiuto cosi recisamente, che quegli se ne ritrasse quasi offeso. E questa modestia, questa profonda umilta erano evidenti in ogni circostanza della vita e della sua attivita pastorale, anche nel modo garbato con cui evitava d'impicciarsi nei fatti e negli affari altrui, che non riguardassero il suo ministero, pur essendone talora vivamente richiesto: "discrezione e ritegno non comune, come ognuno sa, negli uomini zelatori del bene", osserva acutamente il Manzoni a guisa di commento. E spontaneo ci viene in mente il confronto tra Federigo e un'altra zelatrice del bene, ma fasulla, che incontreremo tra poco, donna Prassede; costei s'ingeriva a tutta forza e con ogni mezzo nelle cose che non la riguardavano, come se fosse investita da una speciale missione divina per la salvezza dell'umanita, e con i suoi interventi maldestri e presuntuosi otteneva puntualmente l'effetto contrario alle sue pur buone intenzioni.
Pero, per quanto riguardava la sua missione pastorale, non solo non si tirava indietro, ma faceva animosamente il proprio dovere, e richiamava o anche puniva severamente chi, tra i suoi dipendenti, prevaricasse nelle mansioni affidategli; fu lui, per esempio, che scopri e puni esemplarmente la grave prevaricazione della Monaca di Monza, che poi egli avvio sulla via della redenzione; e ben presto lo vedremo ammonire e rimproverare, paternamente ma anche con autorita, il nostro don Abbondio, che si era messo al servizio dell'iniquita invece che della carita e della giustizia, come sarebbe stato suo preciso dovere.
Alla fine del capitolo l'Autore, con scrupolo storico, avverte che un uomo cosi intelligente e saggio non ando tuttavia esente da errori o pregiudizi del secolo, dai quali ci sarebbe oltremodo piaciuto che egli si fosse allontanato. Ma, ci fa capire tra le righe don Lisander, staccarsi dalle opinioni del secolo, per intuire quelle verita che solo i secoli futuri, con lungo travaglio, renderanno evidenti, e solo concesso ai geni, e nessuno sostiene che il cardinal Borromeo sia stato uno di questi; egli fu pero un uomo eminente, che si e dedicato con belle qualita di mente, ma soprattutto con un gran cuore, al miglioramento morale e materiale della societa del suo tempo. E quest'uomo cosi caritatevole, cosi sollecito per il bene altrui e per i doveri della sua carica, seppe anche trovare il tempo per arricchire la sua mente con uno studio assiduo e appassionato; e di questa intensa attivita intellettuale sono testimonianza circa cento opere, tra edite e inedite, in latino o in volgare, di vario argomento e di diversa importanza. Ma qui si affaccia
un'obiezione: come mai in un centinaio di opere non se n'e trovata alcuna di tale spicco, che abbia acquistato al suo autore una fama anche nella storia letteraria? L'obiezione e ragionevole, e si verrebbe tentati di cercare una risposta plausibile. "Le ragioni di questo fenomeno - osserva il Manzoni - si troverebbero con l'osservar molti fatti generali", ma, aggiunge subito, "sarebbero molte e prolisse" e forse non facilmente accettate dall'opinione corrente; e quindi egli se ne lava elegantemente le mani, temendo di farci "arricciare il naso".
Una risposta all'obiezione, e valga quel che vale, tenteremo di darla noi, sforzandoci di cogliere quello che forse intendeva dire il nostro Autore. Per Federigo scrivere non nasce dal bisogno di esprimere se stesso e il proprio mondo interiore, nella ricerca e nell'espressione del bello, mirando al solo piacere estetico; scrivere e per lui un servire con la penna alla sua missione pastorale, al suo lavoro educativo; quindi le sue opere, nate da un bisogno contingente, hanno uno scopo pratico e limitato, ed esulano percio dal campo dell'arte. Scrivendo tante opere, il Cardinale non mirava certamente alla gloria letteraria, ma solo a illuminare, ammaestrare e correggere; insomma scrivere faceva parte del suo apostolato, perche con gli scritti egli rendeva piu ampia e incisiva la sua missione di pastore delle anime.
CAPITOLO XXIII
Riprendendo il racconto, interrotto dalla parentesi biografica, il Manzoni ci dice che Federigo, amantissimo della cultura, stava appunto studiando, come faceva in ogni ritaglio di tempo, quando il cappellano gli annuncio la strana visita. Col viso animato a un tratto dalla premura e dalla carita, rispose di introdurlo subito; ma l'inferiore, invece di obbedire, ritenne suo dovere ricordargli che colui era un bandito disperato, un appaltatore di delitti. e che poteva anche essere mandato. E aggiunse con tono di grave avvertimento: "Lo zelo fa de' nemici, monsignore; e noi sappiamo positivamente che piu d'un ribaldo ha osato vantarsi che, un giorno o l'altro." Ma il Cardinale lo interruppe con impazienza: "Oh, che disciplina e codesta, che i soldati esortino il generale ad aver paura?" E ricordato che San Carlo, non che riceverlo, sarebbe andato a trovarlo un tale individuo, ordino di farlo entrare immediatamente, che aveva gia atteso troppo. Il cappellano, pur controvoglia, si mosse per eseguire il comando; e avvicinandosi all'Innominato pensava che avrebbe dovuto almeno invitarlo a lasciare tutte le armi; ma non ne ebbe il coraggio, e introdusse senz'altro il visitatore nella stanza dov'era ad attenderlo Federigo, e a un cenno di questi subito si ritiro, non senza apprensione.
L'Innominato, che era andato la non per un proposito preciso, ma come trascinato da una forza inesplicabile, restava attonito e confuso, e anche stizzito con se stesso, per la vergogna di esser venuto come un colpevole, "e non trovava parole, ne quasi ne cercava"; sentiva tuttavia il fascino e, nello stesso tempo, la soggezione della presenza del porporato, cosi solenne e maestoso, ma anche amorevole e bello di una bellezza tutta interiore, adorno com'era di "una specie di floridezza verginale", pur tra i segni evidenti dell'astinenza. Federigo il quale, nell'aspetto fosco e turbato dell'ospite, scorgeva i segni della salutare crisi spirituale che lo aveva scosso e portato da lui, col volto illuminato dalla gioia lo ringrazio di avergli fatto quella bella visita, pur dovendosi rimproverare di non essere andato lui a trovarlo nel suo castello. Tra la crescente meraviglia del suo interlocutore, che rimaneva quasi muto ad ascoltare quelle parole ardenti di carita, aggiunse che pero, se non era andato a fargli visita, aveva pianto e pregato tanto per lui traviato, e che Dio aveva fatto il miracolo, supplendo con la sua potenza e misericordia all'inerzia del suo servo; quindi lo prego di non fargli sospirare ancora la buona notizia ch'era venuto a portargli. E avendo quegli replicato che non aveva nessuna buona nuova da comunicargli, bensi che aveva l'inferno nel cuore, il Cardinale placidamente, ma con tono pieno d'autorita, osservo che questo voleva dire che Dio gli aveva toccato il cuore, perche lo voleva tutto per Se. Allora il contrito, quasi con impaziente invocazione di grazia e di luce interiore, esclamo: "Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! se lo sentissi!" Federigo rispose che appunto in quell'angosciosa smania di desiderio doveva riconoscere la presenza di Dio, "che atterra e suscita, che affanna e che consola", perche Egli,
mentre lo agitava non dandogli requie, gli faceva anche sentire, e quasi pregustare, una speranza ineffabile di pace e di consolazione. Allora, con accento tra supplichevole e disperato, il signore domando che cosa voleva Dio da lui, che cosa poteva fare di lui peccatore. "Un segno della sua potenza e della sua bonta", rispose con voce solenne e quasi ispirata il Cardinale: se lui, misero uomo, aveva saputo fare, nel male, grandi imprese, credeva che Dio non avrebbe potuto fargliene compiere, nel bene, di molto piu grandi?
Iddio avrebbe potenziato e nobilitato, con la sua grazia, le qualita che lui aveva finora impiegato a ordire tradimenti e delitti, cioe quella volonta impetuosa, quella imperturbata costanza, quel coraggio adamantino, che aveva purtroppo rivolto a vituperevoli azioni. E, tutto infervorato di carita, soggiunse: "cosa puo Dio far di voi? E perdonarvi? e farvi salvo? e compiere in voi l'opera della redenzione? Non son cose magnifiche e degne di Lui?"
Il volto dell'Innominato, mentre Federigo pronunciava queste parole con accento ispirato e ardente di amore, divenne a poco a poco, da stravolto e turbato, prima attonito e intento, quindi compunto e infine profondamente commosso, tanto che non pote resistere all'impeto dell'emozione che gli saliva dal cuore, e coprendosi il viso con le mani scoppio in un pianto dirotto, mentre il Cardinale lodava e ringraziava in cuor suo il Signore per aver ammollito con la sua grazia quel cuore di pietra. Quindi tese cordialmente la mano all'Innominato, in segno di pace e di patto imperituro di bonta; quegli, non stimandosi degno di tanto, cercava di schermirsi, ritirando la sua, ma il porporato la prese e la strinse affettuosamente, affermando che quella destra avrebbe riparato tanti torti, avrebbe sparso tanti benefici, e si sarebbe tesa, disarmata e pacifica, verso tutti i nemici, per invitarli a un patto di pace e d'amore.
E poiche il signore, ancor singhiozzante, lo invitava a non perdere piu tempo con lui, mentre tutto un popolo di fedeli lo attendeva, ansioso di ascoltare le sue parole, l'arcivescovo rispose con gioconda dolcezza: "Lasciamo le novantanove pecorelle; sono al sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch'era smarrita.", e cosi dicendo allargo amorevolmente le braccia per abbracciare quel figliol prodigo il quale, dopo aver "resistito un momento, cedette, come vinto da quell'impeto di carita, abbraccio anche lui il cardinale, e abbandono sull'omero di lui il suo volto tremante e mutato." Terminato il commosso abbraccio, l'Innominato disse che purtroppo non poteva che piangere e condannare la maggior parte dei suoi misfatti, ma alcuni per fortuna poteva interrompere o riparare, e uno disfare immediatamente. E racconto brevemente, ma con parole di severa condanna contro la sua iniquita, il rapimento di Lucia, le sofferenze della poverina, le sue angosciate preghiere, che avevano scosso il suo cuore indurito, aggiungendo che la ragazza era ancora prigioniera nel castello.
Il Cardinale, spinto da paterna sollecitudine, disse che non bisognava perdere tempo a liberare di pena la poveretta, e questa liberazione era come un pegno del perdono di Dio, che nella sua infinita bonta gli aveva voluto concedere la consolazione di poter compiere subito un'opera buona, di riparare a un misfatto. Informatosi quindi del paese della ragazza, chiamo il cappellano; questi, che stava
all'erta, accorse immediatamente e rimase quasi estatico nel mirare il viso mutato del signore; ma l'arcivescovo lo riscosse da quell'estasi, chiedendogli se tra i parroci presenti ci fosse quello del paese di Lucia. Avuta risposta affermativa, gli ordino di farlo venire assieme al parroco li del posto, che aveva da dar loro degli incarichi. Il cappellano sollecito usci e, presentandosi col volto ancora estatico davanti ai confratelli, che lo interrogavano con lo sguardo ansioso, esclamo con enfasi: "Haec mutatio dexterae Excelsi!" Quindi, riprendendo il controllo di se stesso e riassumendo il tono della sua carica, disse che il Cardinale desiderava sia il curato li del luogo che quello della parrocchia di X, e nomino il paese di Lucia. Il primo si fece subito avanti, mentre il secondo venne fuori a stento dal gruppo, dicendosi convinto che ci doveva essere un errore, perche lui non poteva aver nulla a che fare con le faccende di quel paese; ma avendo il cappellano replicato che non c'era errore di sorta, il povero don Abbondio dovette venir avanti, "con un passo forzato, e con un viso tra l'attonito e il disgustato."
Il cappellano gli mise un po' di fretta, e introdusse i due parroci dall'arcivescovo. Questi si rivolse al curato del luogo, perche trovasse una brava donna, che doveva andare in lettiga al castello a rilevare una povera prigioniera, e gli disse in poche parole di chi si trattava: la poverina si trovava certamente in tale stato di prostrazione, che ci voleva "una donna di cuore e di testa" per rincuorarla, per rassicurarla, perche ogni novita poteva essere per lei causa di spavento maggiore. Quando il parroco fu uscito per trovare la donna adatta, Federigo si rivolse a don Abbondio, il quale gli s'era accostato il piu possibile, appunto per stare lontano da quell'altro signore; il pavido curato, non ancora convinto che volesse proprio lui, disse senza troppi riguardi al Cardinale che lo avevano chiamato, ma che doveva esserci un equivoco. Il superiore gli rispose con affabilita che non c'era nessun errore, perche doveva comunicargli la lieta notizia che Lucia Mondella, che lui aveva certamente "pianta per smarrita", era invece salva, in casa di quel suo amico, col quale doveva andare a prenderla, coadiuvato da una brava donna che il curato di quella parrocchia era andato a cercare.
Don Abbondio, ci dispiace dirlo, invece di rallegrarsi per la notizia e per l'incarico delicato al quale era stato prescelto, riusci a stento a nascondere l'amarezza dell'animo, che gli s'era dipinta sul viso in un versaccio di fastidio, per mezzo di un profondo inchino che fece subito come in segno d'obbedienza al suo arcivescovo. Questi, avendo saputo poi da don Abbondio che la ragazza aveva a casa solo la madre, ordino che fosse mandata a prendere con un barroccio da un uomo di giudizio, che sapesse farle capire l'accaduto senza impressionarla troppo. Sentendo cio il nostro curato, pur di non andare al castello di quel signore, si offri di recarsi lui a prendere Agnese, dicendo che era una donna molto sensibile e bisognava conoscerla bene per saperla prendere; ma il Cardinale ribadi che lui era troppo necessario per andare a prendere la povera prigioniera, la quale aveva bisogno di vedere subito una persona amica, di cui potesse proprio fidarsi: nessuno poteva sostituirlo in questa delicata incombenza.
Ma non occorrevano davvero gli occhi perspicaci di Federigo per accorgersi che don Abbondio aveva paura di andare al castello con quel signore; e volendo
dissipare "quell'ombre codarde" del suo parroco, si avvicino con cordiale confidenza all'Innominato e lo invito a tornare da lui con quel sacerdote, per restare insieme tutta la giornata. Il signore accetto con gioia riconoscente, affermando con trasporto che aveva tanto bisogno di vederlo e di ascoltare le sue parole, che erano un balsamo per le ferite del suo animo. Federigo allora gli strinse amorevolmente la mano, come in segno di reciproca promessa; e pensava che con queste dimostrazioni di amicizia sincera il codardo prete avrebbe finalmente capito la mirabile trasformazione che per grazia di Dio si era operata in quell'uomo, un tempo terribile. Vana speranza! Don Abbondio se ne restava mogio e un po' imbronciato "come un ragazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo cagnaccio. famoso per morsi", assicurando che e una bestia quieta: il poverino non osa contraddire, ma neppure accostarsi, e vorrebbe non avere a che fare con quel bestione.
Mentre il Cardinale si avviava per uscire, tenendo ancora per mano l'Innominato, gli parve che il curato fosse come mortificato, e pensando che si mostrasse cosi perche gli sembrava di essere trascurato dal suo superiore, tutto preso dalla nuova amicizia, gli disse amorevolmente e con espressione di grande riguardo: "Signor curato, voi siete sempre con me nella casa del nostro buon Padre; ma questo. questo perierat et inventus est", alludendo molto opportunamente alla parabola del figliol prodigo. Don Abbondio, come riscosso dai suoi tristi pensieri, avrebbe voluto rispondere qualcosa di pertinente, ma invano. "Oh quanto me ne rallegro!" fu tutto quello che riusci a rispondere; un'esclamazione insulsa, che era poi chiaramente smentita dalla faccia che, pur controvoglia, mostrava.
Potremmo qui confrontare l'espressione piuttosto banale che esce di bocca a don Abbondio in si patetica circostanza, con il "Si figuri!" che, come vedremo, scappera detto al sarto del villaggio (cap. XXIV), quando il Cardinale gli chiede se e contento di ospitare Lucia per un po' di giorni. Mentre pero don Abbondio non ebbe mai a rammaricarsi delle sue parole piuttosto misere in cosi solenne circostanza, perche a lui premeva ben altro che fare una degna figura accanto a quei grandi personaggi, il povero sarto per tutto il resto della vita provo la mortificazione di non aver trovato, lui che sapeva leggere e scrivere, qualche espressione piu scultoria per esprimere il suo stato d'animo di sincero e grato entusiasmo per la richiesta del presule.
Quando i due grandi, con la commozione dipinta vivamente sul viso, apparvero in mezzo ai sacerdoti in attesa, tutti furono tocchi da quella santa emozione di carita, e guardavano or l'uno or l'altro con estatica espressione di lieta ammirazione. Dietro i due personaggi apparve il goffo nostro curato, "a cui nessuno bado", per vera fortuna, che altrimenti avrebbero scorto in quella faccia il senso della noia del pavido egoista, che faceva uno stridente contrasto con la commossa letizia di tutti i presenti.
Proprio mentre Federigo si accingeva a congedarsi dall'ospite, il suo cameriere venne a riferirgli che la lettiga e le mule erano pronte, e si aspettava solo la donna, che il curato era andato a chiamare. Il Cardinale dispose che, non
appena colui fosse tornato, curasse di mandare a prendere la madre della prigioniera, e che quindi il lettighiero si mettesse agli ordini del signore, per andare al castello. Detto questo, strinse di nuovo la mano con effusione all'Innominato, saluto con un cenno di sorriso don Abbondio, e finalmente s'avvio verso la chiesa, per il pontificale, seguito dal clero e dai fedeli osannanti.
Don Abbondio e l'Innominato rimasero dunque, soli soli, ad aspettare l'arrivo della donna; il curato avrebbe voluto attaccar discorso, cosi per rompere il ghiaccio, ma non sapeva come incominciare, e intanto si stizziva con se stesso e con Perpetua che lo aveva indotto a venire a ossequiare il Cardinale, mentre poteva benissimo farne a meno: se non le avesse dato retta, ora non si sarebbe trovato in quegl'impicci. L'Innominato era tutto concentrato nei suoi pensieri, ed era impaziente di correre a liberare la sua Lucia, sua ora in un senso molto diverso da quello di prima: non piu la sua prigioniera, ma la sua benefattrice, colei che gli avrebbe propiziato la divina misericordia; e intanto la poverina soffriva chissa quanto per colpa sua. In mezzo a tanti pensieri che lo assillavano, il suo volto assumeva talvolta un'espressione cosi tormentata, che aggiungeva paura al gia impaurito compagno, che stava li triste e impacciato.
Finalmente l'arrivo della donna tolse don Abbondio dall'imbarazzo e il signore dall'attesa impaziente; si mossero dunque avviandosi verso le cavalcature approntate per loro. L'Innominato si era incamminato di buon passo, spinto dalla sollecitudine; ma quando, giunto alla porta della canonica, si accorse che il curato era rimasto indietro, si fermo per attenderlo, e lo fece passare avanti con un inchino umile e gentile: "cosa che raccomodo alquanto lo stomaco al povero tribolato." Ma quella poca consolazione svani in un momento, allorche il signore, andato a un angolo del cortiletto, riprese la sua carabina e se la mise speditamente ad armacollo. Arrivati al luogo dov'erano le mule, l'Innominato salto agilmente in groppa a quella che gli fu presentata, mentre don Abbondio voleva assicurazione che la sua non avesse vizi; rassicurato dal cameriere del Cardinale, e da lui aiutato, finalmente fu issato sulla sella, e tutta la comitiva si avvio.
Mentre passavano davanti alla chiesa, stipata di fedeli, nella piazzetta anch'essa piena zeppa di quanti non eran potuti entrare nel tempio, si levo tra la folla, che fece ala rispettosa, un mormorio di simpatia e quasi d'applauso. Davanti alla porta della chiesa, che era tutta spalancata, il signore si levo compuntamene il cappello per fare un profondo inchino; il curato lo imito, ma sentendo il concerto delle voci e dell'organo, provo come un'accorata tenerezza, non scevra d'invidia per i suoi confratelli che erano li a cantare in letizia, mentre lui era sbalestrato chissa dove in una specie d'avventura molto rischiosa.
Lasciato il paese alle loro spalle, s'inoltrarono nell'aperta campagna, e il disagio del povero prete cresceva man mano che si avvicinavano a quella valle famosa, dove c'erano quei bravi formidabili, senza paura e senza pieta, che ammazzare un prete l'avevano a opera meritoria! Il poveretto avrebbe anche questa volta voluto attaccar discorso, ma vedendo il suo compagno molto concentrato nei suoi pensieri, non ritenne conveniente disturbarlo; sicche per tutto il viaggio si ridusse a parlare con se stesso.
Questo soliloquio di don Abbondio e uno dei passi piu belli del romanzo, perche esso rivela, meglio di ogni analisi psicologica, lo stato d'animo del povero tribolato, di cui mette a nudo i pensieri e i sentimenti. Egli se la prese un po' con tutti: con don Rodrigo, che poteva "andare in paradiso in carrozza", e invece voleva "andare a casa del diavolo a pie zoppo"; con il suo illustrissimo compagno di viaggio, il quale, "dopo aver messo sottosopra il mondo con le scelleratezze", non era ancora soddisfatto, se non lo metteva in subbuglio anche con la conversione, se pure era sincera, cosa di cui non si sentiva affatto sicuro; con il suo arcivescovo, che credeva subito alle parole di colui, e immediatamente imbarcava un povero curato, di cui avrebbe dovuto essere geloso, in una spedizione di quella sorta, senza avere la minima garanzia. Penso anche a Lucia, provando un certo rammarico per i suoi guai; ma non c'era che dire, colei era proprio nata per la sua rovina, per amareggiargli, anche se involontariamente, i suoi ultimi anni!
Quindi si metteva a osservare di sott'occhio il suo compagno, per cercare di conoscere quali fossero i suoi intimi pensieri, ma rimaneva perplesso e dubbioso: "Chi lo puo conoscere? Ecco li, ora pare sant'Antonio nel deserto; ora pare Oloferne in persona." Infatti sul volto dell'Innominato apparivano i segni dell'interno travaglio: ora di aborrimento del suo passato, ora di compunzione per i peccati, ora di fiducia per l'avvenire. Egli passava mentalmente in rassegna le sue imprese inique e violente, per vedere quelle che fossero in qualche modo riparabili, e si concentrava nella ricerca dei rimedi piu adatti e piu sicuri; poi pensava a Lucia, ma quel senso di tenerezza e di consolazione, che provava nel poterla liberare, era accompagnato da "un'impazienza mista d'angoscia", pensando che la poverina intanto soffriva chi sa quanto, per colpa sua.
Allorche, entrati nella stretta valle, cominciarono a incontrare i bravi del signore, don Abbondio si senti come Dante tra i diavoli di malebolge: gli sembrava che quei manigoldi, guardandolo con gli occhi grifagni, manifestassero una voglia matta di fargli la festa. Per sua fortuna c'era li il padrone, col suo fiero cipiglio; non ci voleva meno di quello, per tenere a freno quei briganti! In quel momento il poveretto benediva quel cipiglio che poco prima gli aveva dato tanto fastidio. Oltrepassata la Malanotte, presero la salita e giunsero in breve alla spianata davanti al castello.
Il padrone, col solo cenno degli occhi, teneva fermi e in rispetto i bravi di guardia, i quali erano rimasti attoniti, non sapendo che cosa pensare. Gia erano stati sconcertati, il mattino, da quella partenza cosi insolita del signore; vedendolo ora ritornare con un prete e una lettiga sconosciuta, con dentro una donna, cadevano addirittura dalle nuvole: di chi era quella livrea e quello stemma, mai visti? dove aveva pescato quella bussola, con quel lettighiero? e quella donna? era una nuova preda? ma come e dove l'aveva fatta, da solo?... A tutti questi interrogativi essi non trovavano una risposta, e stavano percio come sbalorditi e sospettosi, perche quelle novita, per loro, non lasciavano prevedere nulla di buono, tanto erano contrarie all'ordine solito e alla disciplina imperante da tempo immemorabile in quel castello.
Quando la comitiva giunse al portone, il picchetto dei bravi fece ala al padrone, che era intanto passato in testa; oltrepassati due cortili, egli si fermo davanti alla porta interna. A un bravo, accorso per aiutarlo a smontare, comando di mettersi li di guardia, con l'ordine di non far avvicinare nessuno. Quindi balza a terra da solo, lega in fretta la mula all'inferriata e apre lo sportello della lettiga, dicendo sottovoce alla donna: "Consolatela subito; fatele subito capire che e libera, in mano d'amici. Dio ve ne rendera merito." Avvicinatosi poi al curato, col volto rasserenato e quasi lieto per l'opera buona che finalmente puo compiere, gli chiede scusa dell'incomodo che gli ha procurato, aggiungendo con un sospiro: "Lei lo fa per Uno che paga bene, e per questa sua poverina." Il volto e le parole del signore furono un vero balsamo per don Abbondio, che egli aiuto anche gentilmente a scendere dalla cavalcatura, reggendogli la staffa con atto di spontanea umilta. Tanto era alto il concetto che si era formato del sacerdote, quale ministro di Dio, a contatto con l'ardente carita del Cardinale! Ora egli capiva di avere davanti un povero prete, non davvero all'altezza di quell'altissimo ministero; ma la sua riverenza andava giustamente alla funzione, se non alla persona; e le sue parole e il suo umile gesto servirono a spoltrire alquanto don Abbondio, che compiva quell'opera buona cosi a malincorpo!
L'Innominato lego con le sue mani anche all'inferriata la mula del curato e, dopo aver avvertito il lettighiero che aspettasse li, accompagno il prete e la donna alla camera dov'era Lucia.
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Sito web da visitare: http://www.brunocamaioni.com/
Autore del testo: Bruno Camaioni
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