La birra artigiale e industriale storia e caratteristiche

 

 

 

La birra artigiale e industriale storia e caratteristiche

 

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La birra artigiale e industriale storia e caratteristiche

 

LA BIRRA

 

Premessa

La birra è una bevanda "caratteristica" e può essere così definita perché si stacca nettamente per la sua peculiarità, da altre bevande. Per quanto sia un prodotto paragonabile al vino, per il modo in cui viene interpretata dalle popolazioni di ceppo anglosassone (tedeschi, scandinavi, olandesi, belgi, inglesi) merita, prima di entrare nella descrizione del prodotto e del modo di servirlo, dire qualcosa per il significato che le viene attribuito. Per i tedeschi, che sono fra i più forti consumatori, bere birra è un rito, come per gli inglesi bere una tazza di tè e per i francesi bere una flute di Champagne.
La birra è interpretata in tutti i momenti della giornata (dalle 12 in poi) :durante i pasti, come intermezzo pomeridiano, anche in luogo di un digestivo e dopo colazione o pranzo, come long drink. Riassumendo quindi, la birra è una filosofia, un pianeta a sé "del bere" e chi porge o serve, o prepara o consiglia una birra, deve farlo conoscendo e rispettando il cliente e gestire l'operazione come se si trattasse di uno dei drinks più qualificati.
La birra è una bevanda alimento: stimola l'apparato nervoso e dei muscoli, ha un effetto positivo sul ciclo digestivo e sul metabolismo. Essa con le sue qualità diuretiche, con l'eccitazione del metabolismo del fegato e della secrezione gastrointestinale e le sue sostanze nutritive, favorisce anche l'alimentazione dell' anziano e del convalescente; così aiuta pure gli sportivi e chi pratica lavori pesanti, i quali hanno bisogno di un elevato quantitativo di calorie per sostenere il lavoro muscolare.

La birra è una bevanda fermentata, moderatamente alcolica, a base di cereali; contiene anidride carbonica malto d'orzo, luppolo e acqua che vengono rimescolati, cotti e fatti fermentare con il lievito.
E' una bevanda rinfrescante, di sapore amarognolo, di colore dorato o bruno, è dotata di una schiuma bianca e persistente.

 

Classificazione in Italia

In Italia per legge viene chiamata semplicemente:


birra o birra normale, quella che ha una gradazione minima di 11 gradi saccarometrici, pari a circa 3 gradi alcolici;
birra speciale viene chiamata quella che ha una gradazione minima di 13 gradi saccarometrici;
birra doppio malto quella che ha una gradazione minima di 15 gradi saccarometrici;
birra analcolica quella con grado saccarometrico compreso fra i 3 e gli 8 gradi.
Sempre in Italia si preferisce la birra leggera, dissetante e frizzante a differenza, ad esempio dell' Inghilterra dove si preferisce una birra aromatica fortemente luppolata oppure della Baviera dove invece si predilige una birra molto schiumosa, aromatica e pastosa. (Bisogna comunque tener presente che tutte queste varietà provengono sempre dalle stesse materie prime e cioè cereali, luppolo, lievito e acqua).

 

La gradazione

La gradazione della birra non è sempre alcolica, ma densimetrica, misurata la densità zuccherina dell'estratto di mosto in rapporto a uno stesso volume d'acqua. La misurazione si effettua con un densimetro o un saccarometro e si parla di gradi densimetrici. La gradazione alcolica è proporzionale a quella saccarometrica, ma notevolmente inferiore per valori. A ogni grado alcolico corrispondono 3 0 4 gradi saccarometrici, sicché raramente una birra supera i 4/8 gradi alcolici.

 

1.      LA  PRODUZIONE DELLA BIRRA

 

Il procedimento è, a grandi linee, il seguente:
l’ orzo è trasformato in  malto; il malto viene “cotto” in acqua calda; vengono aggiunti i  luppoli per insaporire e conservare; vengono aggiunti i  lieviti per attivare la fermentazione.

1.1       L’ orzo è “l’anima di ogni buona birra”; è sempre presente nella birra, quantunque sia possibile aggiungere altri cereali, ad esempio riso o granoturco. In Germania, Svizzera, Norvegia l’orzo è l’unico cereale ammesso (con l’eccezione di alcune birre tipiche, ottenute dal grano).
La parola “birra” deriva probabilmente dall’anglosassone baere, che significa orzo (in inglese: barley).

1.2       Il malto si ottiene dalla metamorfosi dell’orzo. Originariamente, l’orzo è duro come la pietra, trasformato in malto, ha la consistenza e il sapore del biscotto. Lo scopo della trasformazione è di rendere solubili gli amidi contenuti nel seme dell’orzo.
Si causa innanzitutto la germinazione inzuppando l’orzo nell’acqua. La germinazione viene arrestata essiccando il malto, che può essere anche tostato per ottenere una birra rossa o scura. In Baviera talvolta il malto viene affumicato.
Il malto viene quindi setacciato e macinato. Se vengono aggiunti altri cereali, essi vengono resi solubili mediante  cottura.

1.3       Mescolando il malto e gli altri cereali con l’acqua, si ottiene una pappa i cui amidi dovranno essere trasformati in zuccheri fermentabili.
La tecnica più semplice è l’infusione, che si svolge per 1-2 ore alla temperatura di 65-68°C. La tecnica più usata è la  decozione, che porta ad una trasformazione più completa degli amidi. Parte da una temperatura più bassa (35°C) e dura più a lungo (fino a 5 - 6 ore) raggiungendo 75°C. In questa fase l’amido è trasformato in  maltosio. Il mosto zuccherino risultante viene separato dalle superfici insolubili, dette trebbie, e cotto per almeno un’ora in recipienti di rame o di acciaio inossidabile. Il luppolo viene aggiunto durante questa cottura.

1.4       Il luppolo impiegato nella preparazione della birra è costituito dalle infiorescenze della pianta  omonima (così chiamata perché originariamente cresceva selvatica fra i salici, “come un lupo tra le pecore”). Queste infiorescenze sono di colore verde - giallognolo e contengono piccole ghiandole resinose che allo stato secco si presentano come una polvere giallo-oro, detta luppolina, con sapore amarissimo e aromatico, e odore di valeriana.
La luppolina contiene il 55% di materie resinose, il 10% di un principio amaro, un tannino e il 3% di olio essenziale. Il luppolo, grazie al suo contenuto in tali principi dà alla birra il suo sapore amaro e aromatico, e ne favorisce la formazione della schiuma e la sua conservazione.

1.5       Gli stili della birra si dividono in due grandi classi, distinte dalla tecnica di  fermentazione.
Per secoli, i soli lieviti noti ai birrai erano del tipo che sale a galla durante la fermentazione. La fermentazione talora non procedeva come desiderato, e la birra inacidiva, soprattutto durante l’estate. Più recentemente, si osservò che se la birra veniva fermentata a bassa temperatura, i lieviti scendevano al fondo, dando una birra più limpida          che non inacidiva. Questa tecnica risale al 1400 circa.
Oggi la fermentazione della birra si classifica in alta e bassa, ottenuta cioè con fermenti alti e bassi.
I primi sono ricoperti di sostanze vischiose che, concedendo loro di riunirsi formando ammassi, ne causano il trasporto alla superficie, per trascinamento da parte delle bolle di anidride carbonica. I secondi invece si portano al fondo.
I fermenti  alti si sviluppano tra i 12°C e i 24°C, e in 4-6 giorni la fermentazione è finita. Quelli bassi si sviluppano sotto i 10° C e dopo una prima fermentazione  tumultuosa a 6 - 8° C si ha una fermentazione secondaria che dura da 2 a 5 mesi, secondo il tipo di birra.
Questa fermentazione secondaria, che talora viene chiamata “maturazione” o “invecchiamento” o “condizionamento”, è caratteristica della fermentazione bassa; per questo la parola tedesca “Lager”, che significa “magazzino, deposito” è diventata sinonimo di        birra a fermentazione bassa.
La più tipica birra a fermentazione alta è l’inglese “ale”.

1.6       La birra viene talora  pastorizzata, un processo che la stabilizza (ma ne altera il sapore). In Germania la birra non viene pastorizzata (se non quella destinata all’esportazione). Altrove, spesso viene pastorizzata la birra da imbottigliare, ma non quella alla spina (con alcune eccezioni: ad esempio la Guinness esportata dall’Irlanda viene pastorizzata solo se destinata allo spillamento)

 

2.      I TIPI DI BIRRA

 

Consideriamo la classificazione delle birre in tre categorie
- A fermentazione bassa.
- A fermentazione alta con aggiunta di grano
- A fermentazione alta

 

2.1    BIRRE A FERMENTAZIONE BASSA

Il termine generico con cui si designano è Lager

* Pilsen/ Pilsener/Pilsner/Pils
E’ lo stile di birra più famoso nel mondo.
La birreria che le ha dato il nome si trova a Pilsen, in Boemia; viene esportata col nome di Pilsner Urquell (l’originale tra le birre Pilsener). Ha color oro pallido, con netto sapore di luppolo e contenuto alcolico 4,5 - 5%.
Da servire fredda, ma non sotto 8° C.

* Münchener
Birra bruno scuro, con gusto di malto ma non troppo dolce. A Monaco, viene distinta in dunkel (scura) e helles (chiara). Contenuto alcolico 4 - 4,75%.
Le Münchener scure vanno servite a temperatura di cantina, quelle chiare più fredde.

* Dortmunder/Dort
Più secca della Münchener, con meno luppolo della Pilsener. Di colore più carico della Pilsener, è anche chiamata “birra bionda”.
Alcool: più di 5%. Servire fredda.

* Bock
(Significa: caprone. Questo simbolo si trova spesso sulle etichette).
Forte, scura (ma ne esistono anche tipi chiari e in Belgio e in Francia viene talora chiamata Bock una birra leggera).
Alcool: almeno 6%, da bere a temperatura ambiente, o fresca.

 

* Doppelbock
Birra molto forte, prodotta per la prima volta da monaci italiani in Baviera. Per convenzione, in Germania il nome di queste birre ha il suffisso -ator
(Kulminator, Animator, Optimator, Salvator, ….).
Alcool: da 7,5 a 13%.     Da bere a temperatura ambiente, o fresca.

 

2.2.   BIRRE DI GRANO.

* (Berliner) Weisse
“Lo champagne della Sprea”, chiara e rinfrescante.
Alcool: 2,5 - 3%. Da bere alla temperatura di cantina, con l’aggiunta di una fetta di limone o succo di lampone.

*(Süddeutsche) Weinzebier
Simile alla precedente, ma con maggiore contenuto alcolico (5%).

* Gueuze - Lambic (Bruxelles)
Birra di grano a fermentazione spontanea.
Si può usare per ottenere una birra alle ciliegie (kriek).
Alcool: almeno 5%.
Si beve a temperatura di cantina.

 

2.3    BIRRE A FERMENTAZIONE ALTA

 Ale
E’ il termine generico che indica le birre a fermentazione alta di tipo inglese.
Di solito ha colore ramato; talvolta è più scura.

 Trappiste
Prodotta esclusivamente in sei abbazie (5 in Belgio e 1 in Olanda).
Volume di alcol: 6 ÷ 8%. Si serve a temperatura ambiente o di cantina (“con riverenza).

 Kölsch
Prodotta a Colonia e Bonn, ha color oro pallido, alcol sotto i 4,5%.
Si beve a temperatura di cantina.

 (Düsseldorfer) Alt
Color rame, simile all’Ale inglese.
Alcol: più di 4%. Si beve a temperatura di cantina.

 Birre brune
La più celebre è la  Provisie belga, sottilmente dolce - amara.
Le birre brune sono solitamente molto dolci.
Alcol: sotto 6%. Si bevono a temperatura ambiente.

 

 Mild ale
Spesso bruno - scuro, con gusto di caramello; talora più chiara.
Ha poco luppolo. Alcol: 2,5 ÷3,5%. Si serve a temperatura ambiente o di cantina.

 Bitter ale
Colore ramato, con molto luppolo.  Spesso molto amara, spesso corposa e con gusto di malto. Ha pochissima anidride carbonica. Alcol da 3 a  5,5%.
Si serve a temperatura ambiente o alla temperatura di  cantina.

 Pale ale / Light ale
Colore ramato, solitamente venduta in bottiglia (mentre la precedente è spillata).
Alcol: intorno a 5%. Si serve a temperatura ambiente.

 Porter
Originaria di Londra, molto scura.
Da 5 a 7,5% di alcol. Si beve ambiente.

 Bitter stout (Dublino)
E’ la bevanda nazionale dell’Irlanda; la più famosa è la Guinness.
Viene chiamata anche “extra stout” o “double stout”.
Di gusto amaro, ha da 4% a 7% di alcol.
Birre come questa esprimono meglio il loro profumo alla temperatura ambiente, ma quando fa caldo, si possono anche bere gelate, magari con champagne (“Black velvet”).

 Russian stout
Molto forte e fruttata, con alcol maggiore del 10,5%.  Si beve a temperatura ambiente.

 

3.      QUALE BIRRA BERE?

Per togliere la sete, Berliner Weisse o una Pilsener americana, o una Gueuze belga. Con clima molto caldo, una Stout. (La Pilsener cecoslovacca ha molto luppolo, che svuota la bocca e invoglia a bere ancora).
Come aperitivo, si beve una birra con molto luppolo o una trappiste.
La Pale Ale si accompagna con piatti speziati  (curry indiani) o con piatti “ricchi” del Nord Europa. Il gusto meno amaro della Dortmunder, il poco luppolo e il poco aroma la rendono adatta a tutto pasto.
La Kölsch si beve con i salumi tedeschi. Come digestivo, si beve la Kölsch o la Krieken - Lambic. Come “nightcap”, Scotch Ale o Russian Stout.

La mescita della birra

La birra va servita e consumata fresca, non ghiacciata, ad una temperatura adeguata alla stagione cioè 8110 gradi per quelle chiare 10/12 gradi per quelle scure. Sia l'eccesso di caldo che di freddo hanno un effetto deleterio sulla schiuma, sulla limpidezza e sull'aroma. I bicchieri hanno 3 caratteristiche diverse: a forma di boccale con manico, adoperati prevalentemente per le birre scure nel sud della Germania in Baviera, a forma di tulipano per le birre del nord della Germania, in Olanda , in Danimarca e in Svizzera oltre al bicchiere a tulipano, un bicchiere senza stelo, d i vetro fine lungo e di forma conica. I bicchieri, che siano di vetro fine o boccali, devono essere lavati a fondo con acqua calda e sapone poiché la minima traccia di grasso distrugge la schiuma; vanno poi passati in acqua fredda e posti ad scolare su un ripiano senza asciugarli: in questo modo il vetro bagnato conserva la schiuma più a lungo.

 

4.      LE BIRRE DEL BELGIO

Le etichette delle birre del Benelux sono regolate dalle stesse norme. Ci sono quattro categorie di birre: in ordine di alcolicità crescente, vanno dalla cat. III alla cat. I alla cat. S (“Supérieur”).

4.1    BIRRE BIANCHE

Tipiche della zona di Lovanio, sono simili alla Berliner Weisse.

4.2    BIRRE “SELVATICHE”

Sono chiamate così perché fermentate senza l’aggiunta di lieviti. Si chiamano solitamente “lambic”. La maggioranza delle lambic vengono usate per preparare una birra fruttata detta “gueuze”, che contiene un terzo di birra vecchia e due terzi di birra giovane; la miscela viene fermentata ancora un anno in bottiglia.

4.3    BIRRE ALLA CILIEGIA

Si ottengono macerando ciliegie (complete di bucce e noccioli) nella lambic.
Le proporzioni sono di 50 Kg. di frutti e 250 litri di birra. La fermentazione della polpa richiede qualche mese.

4.4    BIRRE BRUNE

Le più famose sono quelle di Oudenaarde

4.5    BIRRE DI ABBAZIA (TRAPPISTEN)

I monaci cistercensi hanno prodotto birra in questa zona fin dal medioevo. La più famosa di queste birre viene dall’Abbazia di Chimay, che produce anche un celebre formaggio. E’ a fermentazione alta, con colore di rame scuro, “testa” densa e cremosa, profumo fragrante, sapore pieno. La versione a capsula blu ha circa 8% di alcol, la capsula rossa circa 6%, la capsula bianca è più chiara e amara.

4.6    ALES

Le più famose sono: Op Ale, Palm Ale, Ginder Ale, Vieux Temps.
Sono più aromatiche delle corrispondenti birre inglesi, con un gusto di lieviti più pronunciato.

4.7    BIRRE A FERMENTAZIONE BASSA

La birra di tipo Pilsener ha circa il 70% del mercato belga. La più famosa, la “Stella Artois” vende circa un terzo della birra consumata in Belgio.

 

Fonte: http://www.istitutogiolitti.org/materiale_sala/Dispensa%20%20classi%202/BIRRA.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

La birra artigiale e industriale storia e caratteristiche

BIRRA

 

ASPETTI GENERALI
La birra è il prodotto ottenuto dalla fermentazione alcoolica dei mosti preparati con malto d’orzo e di altri cereali, acqua, aromatizzati con luppolo e saturati di anidride carbonica. Attualmente è la bevanda alcoolica più consumata nel mondo e vanta origine antichissime.

MATERIE PRIME

Orzo
E’ il cereale più importante nella produzione della birra, nella quale deve costituire almeno il 75% dei cereali fermentati. In genere si usa l’orzo distico, cioè quello nella cui spiga i chicchi sono disposti su due file, perché presenta cariossidi più grandi e omogenee, dotate di una maggiore percentuale di amido e che quindi fornisce una maggior resa nella produzione di malto.

Altri cereali
Possono essere impiegati il riso, il mais e il grano in quantità non superiore al 25%. Il riso viene impiegato nella produzione di birre molto chiare e consente di ottenere una resa leggermente superiore a quella del malto. Il frumento conferisce alla birra un gusto fresco, leggermente acidulo.

Acqua
E’ indispensabile sia nella preparazione del malto che del mosto. Deve essere batteriologicamente pura e avere un basso contenuto di sali minerali (acque dolci) per dare origine a mosti più colorati e favorire la solubilità di alcuni componenti del luppolo. Le acque troppo dure diminuiscono l’acidità del mosto, rallentando le reazioni enzimatiche e devono perciò essere trattate.

Luppolo
Il luppolo (Humulus lupulus) è una pianta rampicante spontanea, che viene ampiamente coltivata nell’Europa centro-settentrionale. Vengono utilizzate le infiorescenze femminili, che vengono raccolte all’inizio della maturazione ed essiccate; la polverina che se ne ricava, giallastra, aromatica e amara, contiene olii essenziali, tannini e luppolina, che conferisce alla birra il tipico sapore amaro ed esercita anche una blanda azione antisettica.

Lievito
Vengono utilizzati ceppi selezionati di lieviti saccaromiceti, che trasformano gli zuccheri semplici in alcool etilico e anidride carbonica. Si usa un tipo diverso di lievito, a seconda del tipo di birra che si intende produrre:

  • Saccharomyces carlsbergensis, che hanno la tendenza a depositarsi, durante la fermentazione, sul fondo del tino, dando luogo a quella che viene chiamata fermentazione bassa, utilizzata prevalentemente per la produzione di birre chiare;
  • Saccharomyces cerevisiae, che durante la fermentazione salgono sulla superficie del liquido, trasportati dalla CO2, dando luogo alla cosiddetta fermentazione alta, con la quale si producono prevalentemente birre scure.

 

LA PRODUZIONE

La produzione della birra si effettua secondo le seguenti fasi (a loro volta suddivise in tappe diverse):

1) maltaggio o preparazione del malto
2) ammostamento o preparazione del mosto
3) aromatizzazione o luppolamento
4) fermentazione
5) condizionamento
6) confezionamento

 

1) Maltaggio (preparazione del malto)
Questa fase comprende le seguenti tappe:
a) pulitura e calibratura. La calibratura permette di ottenere chicchi di uguale grandezza, requisito essenziale per una germinazione uniforme;
b) macerazione. I chicchi d’orzo vengono posti a macerare in grosse vasche piene d’acqua per circa 2 o 3 giorni finché raggiungono una umidità compresa tra il 40-45%;
c) germinazione. L’orzo viene fatto germinare in grandi cassoni o cilindri rotativi a pareti forate per circa 5-10 giorni, quando la radichetta sviluppata misura 2-3 volte la lunghezza del chicco.. La radichetta che si sviluppa favorisce la formazione di alcuni enzimi, proteo-glicolitici ed in particolare dell’amilasi, che idrolizza l’amido in destrine e maltosio.
d) essiccazione e torrefazione. L’orzo germogliato viene trasferito in essiccatoi ad aria calda, quindi si procede alla torrefazione con temperature diverse a seconda che si vogliono ottenere malti per birre chiare o malti per birre scure. Per avere malti chiari si opera alle temperature di 40 - 80 °C, mentre per i malti scuri si favorisce la caramellizzazione degli zuccheri e la formazione dei composti bruni per la reazione di Maillard, essiccando e tostando a temperature un po’ più elevate (60-100°C).
e) pulitura e insilamento .Il malto, eliminata la radichetta, viene conservato in appositi silos e presenta una composizione costituita dal 50-60% di amido con un’umidità dell’1,5-3%.

2) Ammostamento (preparazione del mosto)
Questa fase consiste nella preparazione di un decotto di malto e nella sua saccarificazione, cioè nella demolizione della catena dell’amido, fino alla sua trasformazione in molecole di maltosio. La saccarificazione è importante per consentire la formazione degli zuccheri fermentescibili e quindi per favorire la successiva fermentazione. L’ammostamento si svolge nelle seguenti tappe:
f) macinazione. Il malto viene macinato (eventualmente con una quota consentita di riso) in modo da ottenere uno sfarinato;
g) saccarificazione. Il macinato va mescolato con acqua e impastato. L’impasto che si forma favorisce l’attività dell’enzima amilasi che trasforma l’amido in maltosio fermentescibile e destrine. La saccarificazione si può effettuare con 2 tecniche diverse:
- infusione (metodo inglese), mescolando lo sfarinato con acqua a 40°C e riscaldando lentamente fino a 60-70°C;
- decozione (o tempera), mescolando lo sfarinato con acqua fredda che si riscalda lentamente a 50°C. Una parte dell’impasto subisce un trattamento a 70-100°C e viene successivamente rimescolato con la parte rimanente, in modo da ottenere una temperatura media della massa di circa 60-70°C. Questo metodo è il più diffuso e presenta il vantaggio di un migliore controllo della temperatura della massa, attuabile eventualmente con l’aggiunta di più tempere, ossia di mosti caldi.

Il trattamento termico, in entrambi i casi, si protrae per 6-12 ore per garantire la completa scissione dell’amido;
h) filtrazione. Il mosto viene sottoposto a filtrazione per allontanare i residui delle cariossidi e le sostanze insolubili precipitate definite trebbie (utilizzabili per i mangimi).

3) Aromatizzazione
h) aggiunta del luppolo. Al mosto, trasferito nelle caldaie, viene aggiunto il luppolo, in quantità variabile a seconda del tipo di birra che si vuole ottenere (150-300 g/l).
i) cottura. Durante la cottura per circa due ore in caldaie di rame si favoriscono il passaggio delle sostanze aromatiche del luppolo, la concentrazione e una pastorizzazione.
j) raffreddamento e filtrazione. Il mosto viene raffreddato a circa 10°C e si separano per filtrazione il luppolo e le sostanze coagulate.

4) Fermentazione
Per ottenere la fermentazione occorre aggiungere al mosto i lieviti saccaromiceti che trasformano il maltosio in alcool etilico e anidride carbonica. Si formano inoltre molte altre sostanze secondarie, che contribuiscono a conferire aroma e sapore alla birra. Avviene in 2 fasi, come per il vino, fermentazione tumultuosa e fermentazione lenta.
Secondo il tipo di birra che si vuole ottenere il processo fermentativo può essere:
- a fermentazione bassa, utilizzata soprattutto per produrre birre di colore chiaro con lieviti della specie Saccharomyces carlsbergensis. La fermentazione tumultuosa avviene in tini aperti alla temperatura di circa 5-8°C per circa 8-12 giorni; durante questo periodo il lievito tende a depositarsi sul fondo e la schiuma superficiale a diminuire. Si procede successivamente con una fermentazione lenta, in botti chiuse, ad una temperatura di 0-3°C per 2-3 mesi, in modo da maturare la birra e favorire la saturazione di anidride carbonica.
- a fermentazione alta, utilizzata soprattutto per produrre birre di colore scuro con lieviti della specie Saccharomyces cerevisiae. La fermentazione tumultuosa viene effettuata alla temperatura di circa 15-20°C per 3-5 giorni in tini aperti; durante questo periodo il lievito tende a rimanere sulla superficie del mosto e si forma un’abbondante schiuma. Successivamente si fa avvenire una fermentazione lenta in botti chiuse per un periodo di 15-20 giorni alla temperatura di circa 10°C, in modo da maturare la birra, con formazione di molte sostanze aromatiche e favorire la saturazione di anidride carbonica.

5) Condizionamento
Alla maturazione, la birra viene filtrata e trasferita nei serbatoi di pressione per sovrasaturare la bevanda di anidride carbonica e favorire la formazione di una schiuma persistente.

6) Confezionamento
La birra viene confezionata in fusti, lattine, o bottiglie. Il confezionamento viene effettuato sotto pressione per evitare la dispersione della CO2. All’imbottigliamento (lattine o bottiglie), segue la pastorizzazione a circa 60°C per 15-20 minuti, in modo da garantire la conservabilità del prodotto che viene immesso sul mercato.
Nel caso della birra in fusti, il rapporto contenuto/superficie non garantisce un riscaldamento omogeneo della massa; il trattamento termico, quindi, se viene effettuato, avviene prima dell’infustamento ad almeno 70°C per 30 secondi.
La birra va conservata ad una temperatura di 5-7°C, al riparo della luce, perché alta temperatura e l’esposizione alla luce possono provocare alterazioni.

                                                           BIRRA

 

 

LA CLASSIFICAZIONE DELLA BIRRA

 

In base all’art. 2 della legge n. 1354 del 16 agosto 1962 e all’art. 2 della legge n. 141 del 17 aprile 1989, la birra può essere commercializzata in base al grado saccarometrico, cioè il numero di grammi di estratto contenuti in 100 ml di mosto dal quale si è ottenuta la birra, o in base al D.P.R. n.1498 del 30 dicembre 1970 che precisa il contenuto in alcool etilico per i diversi tipi di birra. Il grado alcoolico si può desumere in modo approssimativo dividendo per 3 il grado saccarometrico:

 

Denominazione

Grado saccarometrico in volume

Contenuto in alcool

birra o birra normale

≥ a 11

≥ a 3 ml/100 ml

birra speciale

≥  a 13

≥  a 3,5 ml/100 ml

birra doppio malto

≥ a 15

≥ 4 ml/100 ml

birra analcoolica

≥ a 3 e < di 8

< a 1 ml/100 ml

In base al colore le birre si possono distinguere in:

  • Birre chiare (o bionde)
  • Birre rosse
  • Birre scure (o brune)

In base al tipo di fermentazione, invece, si distinguono in:

  • Birre a bassa fermentazione (es. Pilsen, Lager), più fresche e dissetanti
  • Birre ad alta fermentazione (es. Ale, Stout), più corpose e saporite.

 

LA COMPOSIZIONE
La composizione della birra è abbastanza variabile in funzione delle qualità commerciali.
Mediamente è costituita dall’85-90% di acqua con un contenuto alcoolico e saccarometrico che varia dipendentemente dalla definizione di birra normale, speciale, doppio malto, analcoolica.
Il grado alcoolico permette di stabilire anche il valore energetico della birra considerando
che:
1 g di alcool etilico = 7 kcal.

La birra apporta inoltre zuccheri, tracce di proteine, sali minerali e una discreta quantità di vitamine del gruppo B, grazie al contenuto di lieviti. Per questi motivi la birra è considerata una bevanda alcoolica con valore nutritivo superiore al vino.
Una buona birra si deve presentare con sapore e odore caratteristici (dovuti al malto e al luppolo) ed una schiuma bianca persistente (indice di freschezza).

 

Composizione media della birra
Acqua                                                                                  85-90%
Alcool etilico                                                                                   1-6%
Estratto                                                                                 5-10%
Zuccheri                                                                              2-4%
Glicerina                                                                              0,2-0,4%
Anidride carbonica                                                                        0,3-0,5%
Altri componenti:                                                                quantità minime
- acidi organici
- tannini
- sostanze azotate
- sostanze aromatiche
- vitamine (soprattutto del gruppo B)
- enzimi
- sali minerali

LE VARIETÀ DI BIRRA COMMERCIALE

 

Ale                             sono birre ottenute con una fermentazione alta e presentano un
sapore fruttato e colore a varie gradazioni.
Alt                              in tedesco alt significa antico: l’ altbier è solitamente una ale tedesca
di colore ramato e sapore pulito.
Barley wine             il termine inglese barley wine indica una ale molto forte che viene
servita a temperatura ambiente.
Berliner weisse      è una birra di grano a bassa gradazione, leggermente acidula. Si
produce a Berlino e va servita fresca.
Birra light                 è una birra ipocalorica, versione annacquata della pilsener, è da
servire a 7 °C come bevanda rinfrescante.
Export                       in Germania indica una lager più secca di quella di Monaco di Baviera,
ma meno luppolata di una pilsener. Altrove il termine significa semplice-mente premium.
Hefe                           in tedesco hefe significa lievito, pertanto questo prefisso indica una
birra con sedimento.
Imperial stout          è una stout dal gusto ricco, molto forte, da consumarsi a temperatura
ambiente.
Kolsch                      è una ale dorata, delicata, secca e leggermente fruttata. Si produce
vicino a Colonia.
Lager                        in alcuni Paesi il nome lager viene attribuito soltanto alle birre più
comuni; in generale, invece, ogni birra a fermentazione bassa deve
essere considerata lager.
Marzen                      sono lager con un contenuto molto elevato di malto, a gradazione
medioalta.
Pale ale                     ale di colore ambrato e fruttato, tipica dell’Inghilterra.
Pilsner/pils              classica lager super-premium, dal sapore delicato e luppolato.
Comunemente questa denominazione viene attribuita a tutti i tipi di
lager chiara e secca di media gradazione.
Sctch ale                  sono ale scozzesi molto maltose, da servire solitamente come fuori
pasto.
Stout                         birra ottenuta da una fermentazione alta, quasi nera; la stout inglese è
solitamente dolce; quella irlandese ha invece un gusto secco e
pronunciato.
Trappista                 ale forte, fruttata, con sedimenti, viene preparata dai monaci trappisti
in Belgio e nei Paesi Bassi.

 

LE FRODI

La birra può essere sofisticata con:
- sostanze amidacee, zuccheri, succhi di frutta;
- coloranti diversi da quelli provenienti dal malto d’orzo torrefatto;
- sostanze schiumogene o amare diverse dal luppolo;
- alcool etilico.
Per la conservazione è ammessa una quantità di acido ascorbico non superiore a 30 ml/l e una quantità di anidride solforosa non superiore a 20 ml/l.

 

Fonte: http://www.carloportamilano.it/bevande%20alcoliche/BIRRA.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

La birra artigiale e industriale storia e caratteristiche

 

Guida alla degustazione delle birre

 

 

 di Valerio Desiderio Copyright (c) 2001 Valerio Desiderio.

 

http://www.wishland.too.it
 http://wishland.too.it
 http://spazioinwind.libero.it/wishland

 

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www.mondobirra.org
troverete i link ad altri siti ed altre informazioni sulla birra.

 

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Introduzione

Questa guida è una raccolta ordinata delle mie conoscenze sulla degustazione delle birre: non è un vero corso, ma può essere utile a chi vuole introdursi a tale pratica. Una volta costruite le basi ci si raffinerà con l’esperienza, diventando dei buoni amatori, o magari si proseguiranno gli studi con uno dei corsi che si tengono anche in Italia che insegnano a diventare degli autentici “sommelier” della birra.

Innanzitutto vedremo come prepararsi all’assaggio, per poi passare alla degustazione vera e propria: per quest’ultima fase ci serviremo della scheda allegata, che sarà esaurientemente spiegata voce per voce. Essa contiene tutti i dati e le caratteristiche che dovranno essere presi in esame durante la degustazione, e si basa sul metodo messo a punto dall’Accademia della Birra in collaborazione con il Centro Studi e Formazione Assaggiatori e con la supervisione dell’AITB (Associazione Italiana Tecnici Birrari).
Preparazione alla degustazione Invito caldamente a non saltare questo capitolo: questa è una fase importantissima, che se non seguita a dovere potrebbe pregiudicare il risultato. La birra va conservata in un ambiente asciutto, ben areato, lontano dalla luce e ad una temperatura intorno ai 18 gradi. Altra condizione importante è che non sia posta vicino a cibi che emanino forte odore, perché lo potrebbero trasferire alla birra alterandone il gusto. Una cosa da sapere riguardo le birre è che non invecchiano.

A differenza dei vini, infatti, vanno consumate entro la data di scadenza (in genere 18 mesi dalla produzione), meglio ancora farlo il prima possibile. Solo con alcune tipologie è possibile tentare l’invecchiamento, ossia quelle particolarmente alcoliche e luppolate (il luppolo ne agevola la conservazione), che non devono essere state né pastorizzate né filtrate. Talvolta tali birre riportano la data di produzione anziché quella di scadenza, ma essendo non pastorizzate è bene sapere che se non poste ad invecchiare si alterano in fretta. In genere raggiungono il loro massimo dopo un invecchiamento di cinque anni, in rari casi di più. Se avete individuato una birra che vi pare adatta e volete tentare ricordate di conservare le bottiglie in cantina, che è umida e a temperatura costante, e ponete le bottiglie in verticale se hanno il tappo a corona; se invece hanno il tappo di sughero andranno poste in posizione orizzontale, lievemente inclinate con il tappo in basso, proprio come l’invecchiamento in bottiglia dello spumante.
L’ossigeno è nemico della birra, perciò una birra andrà consumata il prima possibile dal momento dell’apertura. Ciò è vero anche per le birre alla spina: dal momento dell’apertura del fusto è bene che non passino più di due giorni, perché più resta aperto e più la birra si ossida, cosa che altera il gusto. Non è quindi un caso che per mandare in pressione la birra da servire alla spina si usi anidride carbonica e non la più semplice aria compressa. Conclusa la parentesi sulla conservazione ottimale si può passare alla preparazione della degustazione. Importante è che l’ambiente sia ben illuminato e privo di odori forti; anche il degustatore non deve usare profumi troppo intensi né conservare in bocca alcun aroma.
Fondamentali ai fini della degustazione sono tre cose: spillatura, bicchiere e temperatura di servizio.

 

La spillatura

La spillatura non è una semplice manovra meccanica, come dimostra l’attenzione che le si dedica in paesi come Belgio, Olanda, Germania e Gran Bretagna, in cui è considerata un’arte. Ad esempio un’esitazione al momento della spillatura causa un ingorgo nei tubi: il risultato è una cascata di schiuma con conseguente eccesso di anidride carbonica nella birra. La schiuma è parte integrante della birra, ed ha il compito di non farle disperdere l’aroma e di rallentare gli scambi di calore con l’ambiente esterno, affinché possa esprimersi al meglio. Fanno eccezione a questo discorso alcune birre ad alta fermentazione come le bitter ales inglesi, per le quali la schiuma è un optional; anzi in Inghilterra è considerata un difetto e in genere la birra è servita piatta e a temperatura di cantina (8-10 gradi). Solo per la Guiness la schiuma è considerata parte integrante della birra ed è chiamata “crema”.

 

Il Bicchiere

Per una buona spillatura è importante che il bicchiere sia ben pulito: se presenta tracce di grasso vedrete la schiuma sparire rapidamente, ma anche tracce di detersivo hanno tale potere; se è stato usato il brillantante e non è stato ben risciacquato esso lascerà il proprio persistente odore sul bicchiere, rovinando gusto e aroma della birra. Ecco dunque come dovrà essere la spillatura: il bicchiere, ben lavato ed accuratamente risciacquato, verrà passato nel bagna-bicchieri per abbassare la temperatura del vetro (evitando uno shock termico alla birra) e per non far aderire la schiuma al bicchiere, affinché resti compatta a lungo; poi lo si pone inclinato sotto la spina e si apre con decisione il rubinetto. A questo punto ci sono due scuole di pensiero: in Belgio la schiuma viene tagliata con una spatola bagnata passata sull’orlo del bicchiere inclinata di 45°, in altre nazioni come la Germania viene lasciata libera, in modo che la schiuma assuma una forma tondeggiante e compatta. E se invece stiamo per gustare una birra in bottiglia o in lattina? Bisogna tenere il bicchiere leggermente inclinato fino ai 3/4 della sua capienza, dopodiché lo si raddrizza e si versa più velocemente per consentire la formazione di una buna quantità di schiuma. Per le birre in lattina è consigliabile pulire la parte superiore con un panno bagnato (senza sapone, ovviamente) per motivi igienici. Per il resto tutto ciò che è stato detto in questo paragrafo vale anche per le birre in bottiglia o in lattina. Il bicchiere Abbiamo visto quanto è importante che il bicchiere sia ben pulito, non caldo e bagnato per non mortificare una birra, ma è molto importante anche la sua forma, che deve essere quella giusta per esaltarne le caratteristiche. Non pensate nemmeno lontanamente di bere una birra dalla bottiglia: il collo stretto blocca gli aromi e non consente all’anidride carbonica in eccesso di liberarsi, rendendo preponderante il gusto di quest’ultima.
Pertanto il bicchiere è indispensabile, ma quale scegliere? Ogni birra ha il suo, nel quale deve essere servita: spesso c’è un lungo studio dietro la forma di un bicchiere, allo scopo di esaltare certe caratteristiche della birra. Perciò andrà bevuta preferibilmente nel bicchiere adottato dalla casa produttrice e che ne porta lo stesso marchio, oppure in uno “non marchiato” che presenti caratteristiche il più possibile affini. Vedremo nel capitolo sulla degustazione qual’è il tipo di bicchiere più adatto per ogni tipologia di birra.

La temperatura di servizio

Il tipico errore è quello di servire la birra a temperatura di frigo, ossia al massimo sui quattro gradi, dimenticando che il freddo anestetizza le papille gustative e dunque impedisce di percepire gli aromi. Ogni tipologia ha la sua temperatura di servizio, che all’incirca sale all’aumentare della corposità e dell’alcolicità della birra. Indicativamente queste sono le temperature consigliate: per le chiare leggere come le lager o le pils 5-7 gradi; per le fruttate come le kriek o le framboise, e in genere le birre aromatiche e di medio corpo, 7-9 gradi; bitter ale, brown ale o le stout avranno bisogno di 10 gradi; strong ale, doppelbock e birre bianche necessitano di temperature leggermente superiori, sugli 11 gradi; scotch ale e barley wine necessitano di temperature sui 12-13 gradi, mentre birre particolarmente ricche e forti, come trappiste e abbazia necessitano almeno di temperature da cantina, ossia intorno ai 10 gradi, ma in genere è preferibile servirle a non meno di 14 gradi e non di rado intorno ai 18. La temperatura di servizio infine influisce anche sulla schiuma: se troppo fredda la birra produrrà poca schiuma, mentre una birra a temperatura troppo alta ne produrrà in eccesso.

 

La degustazione

A questo punto abbiamo dinanzi a noi l’oggetto della degustazione al meglio delle sue possibilità: possiamo dunque passare all’assaggio. In questo capitolo affronteremo ordinatamente tutte le voci presenti nella scheda, in modo da affrontare con la giusta successione la degustazione.
Nella prima parte della scheda annoteremo alcune caratteristiche della birra che possiamo trovare sull’etichetta o nella carta delle birre (decisamente rara da trovare in Italia): il nome della birra, la sua classificazione per la legge italiana, la tipologia della birra (anche nota come stile) e il grado alcolico.

 

La classificazione

In Italia le birre sono suddivise in base al grado saccarometrico, ma in etichetta è riportato il volume alcolico: anche se non è un rapporto matematico, in genere si considera che tre gradi saccarometrici equivalgano ad uno alcolico. Ecco le classi previste dalla legge: Birra analcolica 3-8 gradi saccarometrici (1-2,6% vol) Birra Light 5-11 gradi saccarometrici (2,6-3,6% vol) Birra Normale 11-13 gradi saccarometrici (3,6-4,3% vol) Birra Speciale 13-15 gradi saccarometrici (4,3-5% vol) Birra Doppio Malto più di 15 gradi saccarometrici (oltre 5% vol)

 

La tipologia

Prima di cominciare è necessario spiegare cosa significhi fermentazione alta e fermentazione bassa. Affinché il mosto si trasformi in birra è fondamentale l’azione dei lieviti: tuttavia è raro che quello naturalmente presente nell’aria sia sufficiente (come accade dove si produce le lambic). Perciò bisogna addizionarli.
Nelle birre ad alta fermentazione si aggiunge il Saccaromyces cerevisiae, meglio noto come lievito di birra (proprio quello che si usa in cucina), che lavora tra i 16 e i 23 gradi: dopo tre o quattro giorni risale in superficie, da cui il nome “alta fermentazione”, e viene recuperato. Questo lievito è conosciuto fin dall’antichità. Nelle birre a bassa fermentazione si usa invece il Saccharomyces carlsbergensis, che lavora a temperature più basse, tra i 5 e gli 8 gradi.
A causa della temperatura inferiore questo lievito impiega più tempo a completare il suo lavoro, dopodiché tende a dividersi in due: grossi fiocchi che salgono verso la superficie e cellule di sfaldamento che si depositano sul fondo.
Questo lievito dunque non è recuperabile. Fu scoperto dal danese Jacob Christian Jacobsen, fondatore della Carlsberg, e per questo motivo porta il nome della sua azienda. Non è una differenza da poco, in quanto influenza il risultato: generalmente le birre a bassa fermentazione risultano di aroma più delicato. Inoltre vanno servite a temperature più fresche e richiedono un bicchiere che non disperda gli aromi.

 

Ecco un elenco delle principali tipologie brassicole:

  • Abbazia: anche se non è prodotta in un monastero le ricette sono quelle antiche dei monaci, di solito di abbazie belghe e olandesi. Si basa sull’antico metodo dell’alta fermentazione ed è ben strutturata, molto corposa e alcolica. Il colore va dall’oro carico fino al bruno scuro.
  • Ale: ormai tale termine identifica una famiglia di birre inglesi di cui esistono numerose sottotipologie. Le caratteristiche comuni sono fermentazione alta, schiuma quasi assente, basso contenuto alcolico e temperatura di servizio di cantina. In realtà le ale sono più genericamente tutte le birre ad alta fermentazione.

Esistono anche ale belghe e tedesche.

  • Altbier: birra ad alta fermentazione nata a Düsseldorf. Di colore ambrato, alcolicità intorno al 4,5%, leggera e dal gusto fruttato.
  • Bière Blanche: birra belga a base di frumento, è di colore bianco, aspetto opalescente e gusto leggermente acidulo. Rinfrescante e aromatica, grazie all’aggiunta di coriandolo e curaçao, ha un’alcolicità di circa il 5%.
  • Barley wine: ale particolarmente alcolica, oltre il 9%. Colore dal dorato all’ambrato carico. Commercializzata quasi esclusivamente in bottiglia, alcune possono invecchiare.
  • Berlinerweisse: birra di frumento tipica di Berlino. Alcolicità bassa (3%), aspetto lattiginoso. Il gusto è spiccatamente acido, talvolta viene servita con del succo di frutta per attenuarlo.
  • Bière de Garde: birra ad alta fermentazione e rifermentata in bottiglia della Francia del Nord. Mediamente alcolica (5-7%) e di colore generalmente ambrato.
  • Bière de mars: francese a bassa fermentazione prodotta in autunno e consumata per festeggiare l’inizio della primavera. Solitamente è ben strutturata, di colore ambrato e con un’alcolicità vicina al 5%.
  • Bitter ale: la tipica birra inglese, servita in genere alla spina. Colore ambrato, alcolicità contenuta (4%) e sapore luppolato. Esistono versioni best e special che sono più alcoliche.
  • Bock: tedesca a bassa fermentazione, chiara o spesso ambrata, con un gusto decisamente maltato e un’alcolicità compresa tra il 6 e il 7,5%. La variante maibock veniva tradizionalmente prodotta per le feste primaverili.
  • Brown ale: inglese di colore ambrato intenso e dal gusto leggermente dolce. Tra il 3,5 e il 4,5% di alcol.
  • Cream ale: birra americana chiara, non particolarmente strutturata nel corpo e nel gusto. Spesso viene tagliata con una lager chiara. Vicina al 5% di alcol.
  • Doppelbock: è una bock più forte. Alto contenuto alcolico, di solito oltre il 7,5%. Di colore ambrato carico o quasi scuro, tradizionalmente veniva prodotta in primavera. Spesso il nome del prodotto contiene il suffisso “ator”, se messa in vendita durante la quaresima.
  • Dortmunder: lager chiara a bassa fermentazione dal gusto non troppo amaro e maltato. Alcolicità vicina al 5%. Il nome deriva dalla vocazione commerciale della città tedesca di Dortmund in Renania, che fu uno dei primi centri di esportazione della birra. In questa città nasce infatti il tipo di birra denominata Export.
  • Draught: non è una tipologia di birra. Le lattine e le bottiglie che riportano tale indicazione hanno un semplice dispositivo meccanico che riproduce l’effetto di una spillatura. Infatti in Inglese draught significa “alla spina”.
  • Dubbel/Double: ale belga rifermentata in bottiglia dal colore ambrato e carattere maltato. A volte è una birra d’abbazia o trappista.
  • Eisbock: antica birra tedesca ottenuta dalla sottrazione di una parte della componente acquosa attraverso il congelamento del fusto. Il risultato è una birra corposa, alcolica e dal gusto deciso.
  • Esotiche: una semplice denominazione di fantasia per identificare tutte quelle birre prodotte al di fuori degli stati di grande tradizione brassicola. Quasi tutte rientrano nella grande famiglia delle birre lager, ma in qualche caso hanno caratteristiche particolari. Le birre latino-americane, per esempio, sono di colore molto chiaro, sapore delicato, grande bevibilità.
  • Export: spesso è sinonimo di Dortmunder, altrimenti può identificare una qualsiasi birra nata per l’esportazione. Altre volte dovrebbe indicare un prodotto di qualità superiore.
  • Faro: lambic cui viene aggiunto zucchero durante la fermentazione. È una birra con circa il 5% di alcol, spesso ambrata, in cui la dolcezza dello zucchero si contrappone all’acidità della fermentazione spontanea.
  • Gueuze: belga risultante da un taglio di alcune lambic stagionate in botte e altre giovani, rifermentata in bottiglia. Attorno al 5% di alcol.
  • Ice beer: moderna versione delle Eisbock, congelata durante la maturazione. Di colore chiaro e buon tenore alcolico.
  • Imperial stout: stout nata nel Regno Unito per essere esportata nella Russia Imperiale. Concepita per essere conservata a lungo, è una birra più alcolica di una stout tradizionale, arrivando facilmente all’8%.
  • India pale ale/Ipa: inglese destinata tradizionalmente all’esportazione in India. Versione più alcolica e luppolata della semplice pale ale, supera facilmente il 5% di alcol.
  • Kellerbier: bavarese a bassa fermentazione non filtrata. È tipicamente poco frizzante, con un buon tenore di luppolo.
  • Kölsch: tipica di Colonia, ad alta fermentazione. È una birra dorata, delicata e decisamente secca. Alcolicità vicina al 4,5%. Si beve in un apposito bicchiere cilindrico.
  • Kulmbacher: proveniente da Kulmbach, in Baviera. Realizzata con la bassa fermentazione, è di colore scuro e buona struttura.
  • Lager: ogni birra a bassa fermentazione è genericamente chiamata lager. Di colore oro pallido, mediamente amara. Il nome deriva dal tedesco lager che indica i magazzini, le cantine in cui viene messa a maturare. Ormai il termine indica il tipo di birra più diffuso nel mondo: chiara, di media alcolicità, non particolarmente caratterizzata negli aromi e nel gusto.
  • Lambic: birra belga a fermentazione spontanea, che raccoglie cioè il lievito dell’aria e lascia fermentare liberamente il mosto. A base di frumento, ha un sapore fresco e piuttosto acido, un colore chiaro opalescente e un’alcolicità vicina al 4%. Talvolta, con lo scopo di addolcirne il carattere, alla lambic viene aggiunta della frutta durante la fermentazione. La birra prende il nome di framboise se si tratta di lamponi, kriek di ciliegie, pêche di pesche, cassis di ribes neri.
  • Light beer/Leichtbier: detta anche birra leggera è una birra dal basso contenuto calorico e soprattutto alcolico. Spesso è una birra poco strutturata anche negli aromi e nel gusto.
  • Malt liquor: non tutte le birre americane sono leggere e poco alcoliche. Alcune, ma sono poche, sono di gradazione alcolica elevata e vengono chiamate appunto Malt liquor (liquore di malto). Sono in pratica le doppio malto Usa.
  • Märzen: tipica birra tedesca di Monaco di Baviera. Viene prodotta in marzo per essere consumata durante l’Oktoberfest, dove viene bevuta in grandi quantità, esclusivamente in boccali (mass) da un litro. È tipicamente una chiara dorata di buon corpo e dal carattere maltato, con un contenuto alcolico attorno al 5%.
  • Mild ale: tra le birre più diffuse in Inghilterra. È di colore ambrato abbastanza carico, si differenzia dalla bitter per essere più maltata e meno luppolata. È anche leggermente meno alcolica, con circa il 3,5%.
  • Münchner/Monaco: è stato codificato come uno dei primi stili di birra a bassa fermentazione. Scura con un carattere maltato e un’alcolicità attorno al 4,5%. Tipica di Monaco di Baviera. Old ale: scura inglese ad alta fermentazione, tradizionalmente invecchiata un paio di anni prima di essere consumata. Possiede il 6% di alcol, buon corpo e gusto strutturato.
  • Pale ale: ale inglese di colore ambrato con riflessi ramati o aranciati. Possiede un discreto corpo, un carattere luppolato e circa il 4% di alcol. Tipica di Burton-on-Trent.
  • Pils/Pilsner: questa tipologia trae il nome da Pilsen, la città ceca in cui è nata e nella quale viene tuttora prodotta la famosa Pilsner Urquell. Per questo tali birre sono dette anche pilsner. Sono birre a bassa fermentazione, di color oro pallido (talvolta con riflessi verdastri) e in genere molto luppolate, il che conferisce un tocco di amarognolo in più (le pils bavaresi, al contrario, sono meno amare); gusto secco, pulito. Schiuma abbondante con perlage finissimo. Si bevono in calici flute. Oggi il nome è inflazionato e potrebbe non descrivere una birra di questo tipo.
  • Porter: originaria di Londra, simile alla stout ma poco meno scura e amara. Premium: in teoria dovrebbe identificare una lager chiara di qualità superiore. Nella realtà è un termine spesso abusato che può non significare nulla.
  • Rauchbier: tipica della zona di Bamberg, in Franconia (Germania), è ottenuta da malto la cui germinazione è stata interotta mediante l’affumicatura con legno di faggio invecchiato. Il sapore di affumicato si trasmette fino al prodotto finito. Scura di colore, con circa il 5% di alcol.
  • Saison: stile ad alta fermentazione tipico del Belgio di lingua francese. È una birra fresca e ben luppolata con un’alcolicità tra il 6 e l’8%. Spesso rifermentata in bottiglia, può essere indicata per l’invecchiamento.
  • Schwarzbier: lager tedesca di colore scuro, dal gusto deciso di malto e con un’alcolicità vicina al 5%.
  • Scotch ale: ale proveniente dalla Scozia, di colore ambrato intenso con riflessi mogano. Indipendentemente dal contenuto alcolico, che può andare dal 3 al 10%, è una birra caratterizzata da evidenti note maltate.
  • Stout: E’ la famosa birra nazionale irlandese: ad alta fermentazione, scurissima, con una schiuma abbondante e cremosa color nocciola. Viene prodotta con orzo torrefatto e con l’aggiunta di caramello. Il gusto è spiccatamente amaro, mentre le stout inglesi sono più dolci e prendono nomi come sweet stout, milk stout o cream stout.
  • Strong ale: stile diffuso principalmente in Belgio e Gran Bretagna. Di solito è una birra ambrata e piuttosto aromatica. Supera facilmente il 6% di alcol.
  • Strong lager: birra a bassa fermentazione e alto tenore alcolico, tipicamente chiara. Non sempre alla quantità di alcol corrisponde una complessa struttura gustativa.
  • Trappista: ale rifermentata in bottiglia prodotta in uno dei sei monasteri trappisti, cinque situati in Belgio (Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren) ed uno in Olanda (Koningshoeven). Gradazione robusta (dal 6 al 9%). Di colore che varia dall’oro carico all’ambrato allo scuro. Schiuma ricca. Gusto pieno. Si bevono in grandi bicchieri balloon per meglio apprezzarne gli aromi. Alcune possono invecchiare.
  • Tripel/Triple: ale belga di colore chiaro rifermentata in bottiglia. Rispetto alla dubbel è più alcolica, speziata e meno maltata. Vienna: birra a bassa fermentazione di colore ambrato scarico con un buon tasso alcolico e un gusto delicato.
  • Weissbier: birra tedesca di frumento. Può prendere il nome di hefeweisse se è chiara e viene imbottigliata con del lievito, dunkel weisse se è ambrata e kristall weisse se è chiara e filtrata, risultando così brillante. In ogni caso la weissbier produce una schiuma abbondante, ha un profumo intenso, una buona frizzantezza, una discreta acidità e un gusto fresco. Contiene circa il 5% di alcol.
  • Weizen: termine usato nel Sud della Germania per la weissbier.
  • Weizenbock: birra di frumento tedesca di colore ambrato scuro. Unisce in sé l’acidità di una weizen con la corposità di una bock.
  • Wheat beer: birra di frumento americana. Meno fruttata di quelle europee ma ugualmente fresca e frizzante.
  • Witbier: altro nome della Bière Blanche.
Il bicchiere

I bicchieri usati nel mondo della birra sono tanti e ogni birra vuole il suo, quello più adatto ad esaltarne le caratteristiche. Come abbiamo già detto è preferibile usare quello indicato dalla casa: tuttavia qualora non fosse possibile le caratteristiche di ogni bicchiere, unite all’insostituibile esperienza, vi guideranno alla scelta del migliore. Per questo motivo raramente indicherò quale tipologia brassicola è adatta al bicchiere, ossia solo quando l’attribuzione è netta e indiscutibile.

  • Altglass: cilindrico per non esaltare né mortificare la schiuma, sottile per dare già al tatto la sensazione della freschezza.
  • Baloon: forma a chiudere, per esaltare la schiuma; superfice ampia, per favorire lo scambio termico. Per birre corpose.
  • Boccale: di vetro spesso, per conservare la temperatura di cantina; liscio, per evidenziare il perlage.
  • Calice a chiudere: la forma rastremata alza la schiuma, impedendole al tempo stesso di traboccare; il vetro sottile e liscio favorisce la formazione di condensa.
  • Calice a tulipano: la bocca svasata impedisce una schiumatura eccessiva e favorisce la percezione olfattiva al profumo. Adatto per birre aromatiche. Talvolta è di forma quasi conica.
  • Bicchiere biconico: vetro di spessore medio, forma allargata al centro, bocca a chiudere. A volte viene chiamato pinta ma è improprio, visto che generalmente non ne possiede la capienza; inoltre la pinta è usata solo per birre del Regno Unito.
  • Bicchiere conico: come il precedente, ma a imboccatura larga, per controllare la schiuma. Talvolta è molto alto e presenta un’allargamento alla base per garantirne la stabilità.
  • Coppa: forma più o meno emisferica che abbassa progressivamente la schiuma ed esalta il profumo. Simile al baloon, ma l’assenza della svasatura esalta le birre aromatiche. Indicato dunque per birre corpose ed aromatiche come le Trappiste.
  • Flute: una forma essenziale per birre secche, di schiuma abbondante e da servire fresche. Adatto alle pils.
  • Kolschglas: cilindrico, sottile piccolo. E il bicchiere più semplice per una birra tipica quasi artigianale, la Kölsch.
  • Mass: spesso, per conservare la freschezza, valorizzare il perlage, con effetto neutro sulla schiuma. Nato per märzen ed export è resistente agli urti e facile da impugnare grazie all’esterno sagomato e al manico.
  • Pinta: originariamente era un’unità di misura diversa da nazione a nazione (in Italia aveva valori diversi da zona a zona), e ancora oggi ha un significato diverso in Francia, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Quella che ci interessa però è quella inglese (detta pint), che vale 0,568 litri. Il bicchiere che porta tale nome e tale capienza è biconico: la svasatura presente subito sotto l’orlo abbassa la schiuma o la esalta, se è una stout. Indicativamente è adatto a molte ale del Regno Unito, alle porter e alle stout.
  • Stivale: non importa che cosa ci si beve ma come lo si usa. La sua forma infatti, uno stivale da almeno due litri di capienza, gioca brutti scherzi agli inesperti. È il bicchiere dell’iniziazione alle confraternite studentesche in Germania.
  • Weizenbecker: capacità fissa di mezzo litro. Simile per forma alla pinta, ma è più stretta alla base: l’ampia svasatura che si forma così sotto l’orlo ha lo scopo di controllare l’abbondantissima schiuma delle birre di grano, le weizen e weissbier.
  • Yard: Recipiente di vetro alto una yarda (91,35 cm) terminante nel fondo con una sfera. Capienza di circa 2 litri. Era “il bicchiere della staffa”.
Bottiglia o alla spina?

Sulla scheda c’è la possibilità di annotare com’era confezionata la birra consumata. Non è una questione da poco, visto che possono esistere delle differenze tra quella alla spina e quella in bottiglia. Per cominciare non tutte le birre sono disponibili in entrambe le versioni: ad esempio le rifermentate in bottiglia non esistono alla spina, così come esistono birre commercializzate solo in fusti.
E se possiamo scegliere?
Possono aver avuto un trattamento diverso. Ad esempio una birra che in bottiglia viene pastorizzata può non subire tale trattamento nei fusti, se non deve sopportare lunghi viaggi né temperature troppo elevate: si conferisce così alla bevanda alla spina un gusto particolare. Inoltre i fusti permettono di conservare la birra in condizioni di luce e pressione ideali. Ma tutto ciò può essere vanificato da un impianto di spillatura in cattive condizioni igieniche. Perciò è importante distinguere se la birra era in bottiglia, in lattina o alla spina.

 

Il colore

Ora passiamo finalmente a valutare la birra.
La prima fase sarà l’esame visivo, con cui valuteremo tre parametri: colore, schiuma, aspetto. Cominciamo con l’osservare il colore: nelle degustazioni professionali è misurato secondo una precisa scala di intensità codificata a livello internazionale dallo Standard reference method (Srm). Per quanto ci riguarda sarà sufficiente annotare il colore. Accanto agli esempi che seguono riporto comunque per completezza i valori Srm. Si va dal paglierino delle lager più comuni (che può virare fino al dorato) al biondo brillante - ma a volte con venature verdognole dovute al luppolo - delle pilsner (2,5-4 Srm) e delle wiezen filtrate dai lieviti (le kristall klar, 3,5-5 Srm), per le quali la tostatura del malto non viene accentuata. Avremo invece ambrato tendente al dorato per le weizen non filtrate chiare, che presentano anche una leggera velatura o torbidità (3-10 Srm); ambrato con tonalità rossastre per alcune doppio malto che subiscono una particolare tostatura (12-30 Srm); ramato in alcune pale ale (6-12 Srm). Le pale ale coprono però un bell’arco di colore, oscillando tra l’ambrato-aranciato delicato di alcune britanniche fino al marrone scuro di certe scoth ale. Con alcune trappiste e abbazia si comincia a virare decisamente al bruno (15-20 Srm), con colori tipici anche delle doppelbock (12-30) e delle weizen dunkel (17-22). Il culmine dell’ “oscurità” (35-70 Srm) viene infine raggiunto con le stout e con alcune porter: si presentano nere, come del resto certe doppelbock italiane.

 

La schiuma

Osserviamo la schiuma. Può risultare scarsa, evanescente, cremosa, compatta a seconda di come si presenta nel bicchiere. Una schiuma di buon livello sarà compatta e persistente. Anche il suo colore varia profondamente: dal bianco comune all’ambrato, fino al marrone, a causa del malto molto torrefatto, per porter e stout. Occhio alla grana, più o meno grossa. La schiuma dovrebbe formare sulle pareti del bicchiere archetti definiti in gergo “merletti di Bruxelles”. Ad esempio per una stout il giudizio potrebbe essere:"fine e cremosa, color nocciola?, in quanto è una schiuma a grana fine, dall’aspetto cremoso e del tipico color nocciola. Invece per una ale potrebbe essere semplicemente “assente". Poi daremo un giudizio complessivo sulla spuma, che sarà un voto a salire da 1 a 5.

L’aspetto

Con questo parametro valuteremo la limpidezza, che dipende (se il campione esaminato non ha difetti) dalla tipologia. È normale che le diffusissime pils abbiano, per esempio, un colore giallo dorato più o meno intenso, brillante e luminoso. Ed è altrettanto normale che una weizen e una witbier (o bière bianche) si presentino torbide a causa dei lieviti ancora presenti, non filtrati. Attenzione però alla troppo prolungata esposizione alla luce e all’età, fattori che contribuiscono alla perdita di luminosità anche in birre dall’aspetto tipicamente brillante. Pertanto sulla nostra scheda annoteremo un giudizio qualitativo che potrà essere, ad esempio, limpido, velato, torbido, lattiginoso; di conseguenza daremo un voto che andrà da 1 per una birra opalescente fino ad un 5 per una decisamente limpida.

Intensità olfattiva

Dopo l’esame visivo passiamo a quello olfattivo. Dovremo valutare intensità olfattiva e finezza olfattiva. Accostiamo il naso al bicchiere e cogliamone l’aroma, cercando di quantificarlo con un voto da 1 a 5. Questo è solo un giudizio quantitativo.

Finezza olfattiva

Ora invece dovremo giudicare la qualità degli aromi percepiti. In generale si parla di aroma luppolato, fruttato, maltato per birre di buona aromaticità, a seconda se una delle componenti (malto o luppolo) prevalga o meno; viceversa per una birra meno interessante si parlerà di erbaceo o floreale. Noteremo anche se l’aroma risulta molto persistente, persistente o sfuggente. Nel complesso, valutate se l’aroma vi sembra penetrante, piacevole, fragrante, speziato e così via. Ecco allora che l’aroma potrà essere piacevole, ma tenue, e svanire rapidamente nelle lager meno speciali; oppure penetrante, persistente e luppolato nelle pilsner; maltato nelle bock e doppelbock; fruttato e fresco nelle weizen e bière bianche; complesso ed equilibrato tra luppolo e malto nelle ale. E così via. Aroma e gusto aprono poi la strada ai cosiddetti “riconoscimenti”: al ritrovare cioè profumi e sapori già sperimentati (di frutta, di fiori, di minerali o di alimenti complessi) nel bouquet proposto da ogni birra. A seconda della miscela dei vari tipi di malto impiegati - non solo l’orzo ma anche il frumento, il riso, l’avena e persino, in un caso rarissimo, la farina di castagne - e del suo grado di tostatura, la birra potrà esprimere note più vegetali e fresche di cereale, fragranti di pane, dolci di biscotto e caramello, amare di caffè o liquirizia. Il luppolo conferisce aromi della famiglia vegetale; a seconda del tipo e dell’utilizzo, potrà essere un vegetale più o meno intenso, più o meno secco e amaro, e virare dall’erba fresca, appena tagliata, al fieno e alle foglie secche.
Il lievito, infine, può non essere particolarmente in evidenza ma ha la capacità di caratterizzare la birra con un odore spesso fresco e leggermente balsamico. Il “naso di pane” è tipico, poi, delle birre di frumento. La complicazione delle componenti secondarie, derivanti dalla fermentazione o dalla maturazione, conferisce alla birra odori e sentori così complessi da mettere a dura prova persino i degustatori professionisti. E se lager e pils, accanto ai classici sentori di orzo, di altri cereali e varietà diverse di luppolo, regalano spesso note floreali e fruttate, con prevalenza di agrumi e mela verde, in una weizen in degustazione sono risultati distinguibili netti profumi di banana. Percepibili, del resto, anche in una ale inglese, insieme a sentori di malto e zucchero caramellato, ma anche di prugna, mela cotogna, foglia di the, resina e carruba.
Una doppelbock profumerà spesso di cioccolato, liquirizia, frutta secca. In alcune trappiste o abbazia, grazie a doppie e triple fermentazioni e alle speziature, ecco note di coriandolo, scorza d’arancia, bergamotto, chiodi di garofano, cannella, vaniglia e noce moscata. E in super-birre particolarmente alcoliche e complesse potrà capitare di percepire insospettabili (e gradevoli) odori di vernice, cuoio e note medicinali. La tipologia più difficile e per certi versi selettiva, secondo i critici, è però forse quella aguzza e “fumé” delle lambic, dovuta ai loro potentissimi lieviti autoctoni, capaci di indurre la fermentazione spontanea, seguita da una stagionatura che può durare fino a tre anni.

La frizzantezza

Passiamo alla fase più attesa: l’esame gustativo. Mettete in bocca un bel sorso e valutate con la lingua la frizzantezza, dando un giudizio quantitativo con un voto da 1 a 5. Il corpo Dopo aver valutato la frizzantezza fate passare la sorsata da una guancia all’altra per valutarne il corpo. Più la birra ci sembra corposa e più il voto sale: quindi parleremo ad esempio di corposo (4), rotondo (3) e morbido o vellutato (2). L’amaro Il gusto nella birra ha una gamma amplissima, e dipende dagli stili di fabbricazione. Quello spontaneamente e generalmente attribuito a una birra è però l’amaro, più o meno intenso. A conferirlo è il fiore di luppolo, amaricante e aromatico. Anche l’intensità d’amaro nelle birre viene convenzionalmente indicata in una scala: la International bitterness unit (Ibu).
L’amaro è soggettivamente più intenso nelle birre pilsner (30-43 Ibu) e nelle bitter ale (25-30 Ibu). In alcune pilsner tedesche la presenza del luppolo è talmente elevata da conferire alla birra un gusto quasi asciutto, secco. Le lager contengono invece meno luppolo, e l’amaro è attenuato (8-15 Ibu), mentre nelle bock (20-35 Ibu) e nelle ale (25-45 Ibu) l’abbondanza del malto può stemperare la forza amarognola del luppolo - pur presente in discreta quantità - combinandosi in un gusto dolce-amaro tendente all’abboccato, all’amabile o addirittura al dolce (un malt liquor americano può avere anche soli 7 Ibu).
Per i nostri scopi sarà però sufficiente una semplice valutazione quantitativa. In generale, il gusto di una birra può essere dunque amaro (5), amarognolo (4), abboccato (3), amabile (2) o dolce (1).

La persistenza retrolfattiva

A caratterizzare la qualità delle birre che degustate sarà in buona parte la loro persistenza aromatica, la capacità di “durare” delle sensazioni che vi hanno regalato, dopo che avrete ingoiato il sorso tratto dal bicchiere. E sarà facile, con un po? d’attenzione, distinguere i “finali” speziati, alcolici, decisi di una barley wine o di una trappista dalla leggerezza beverina e amaricata di una lager. Anche in questo caso ci limiteremo ad una valutazione quantitativa: più tempo resisteranno in bocca gusto e aromi della birra più il voto sarà alto.

Il giudizio complessivo

A questo punto sbizzarritevi. Potreste annotare una valutazione globale del gusto della birra, specificando ad esempio se è maltato, amaro, dolce, abboccato luppolato, secco, corposo, speziato fruttato e via dicendo. Cercate soprattutto di tirare le somme riguardo pregi e difetti della birra, eventuali punti di non corrispondenza con la tipologia brassicola cui si riferisce e così via. Insomma date via libera alle vostre impressioni. Non dimenticate infine di scrivere quando e dove avete degustato quella birra: il luogo dove avete bevuto quella birra può influenzare non poco il vostro giudizio. Inoltre, mantenendo un ordine cronologico, avrete in futuro il piacere di osservare l’evoluzione nel tempo della vostra abilità.

 

Bibliografia

 

Ecco da dove ho tratto gran parte delle mie conoscenze: in particolare la lista delle tipologie brassicole e quella dei bicchieri. Sono le fonti principali di questa guida.

Birra.it http://www.birra.it

Home brewing http://www.homebrewing.it

Max the Beerman http://www.hobbybirra.com/mtb/  www.maxbeer.org
Assobirra http://www.assobirra.it/com_stampa/press-kit.html

Ringraziamenti

Grazie a Diego, che dall’alto della sua esperienza brassicola formatasi in giro per il mondo mi ha spiegato che purtroppo l’abitudine di servire la birra in bicchieri a casaccio non è esclusivamente italiana come credevo (e forse speravo).

 

Fonte: http://www.mondobirra.org/download/degustabirra.doc

autore : Valerio Desiderio

 

BREVE STORIA DELLA BIRRA

Preistoria
La birra non é stata mai inventata!
Quando scaviamo nella memoria dei nostri antenati alla ricerca della birra originale, noi non la troviamo. Indoviniamo piuttosto come si é sviluppata: un composto di grani d'orzo e d'acqua. Gli archeologi testimoniamo che il primo cereale coltivato é stato l'orzo, il più facile da coltivare, che ha contribuito a trasformare quei popoli da nomadi in stanziali e a formare i primi villaggi.

-L’orzo è stato il primo cereale coltivato dall’uomo
Piano piano le tecniche agrarie si perfezionarono e portarono alla produzione di un "surplus" che occorreva "immagazzinare".Si presentarono allora delle difficoltà per proteggere le riserve dai vermi e dai roditori. Essendo la necessità madre di tutte le invenzioni, la donna inventa una tecnica originale di conservazione cioè mantenere i grani in recipienti riempiti d'acqua che poi grazie ai lieviti selvaggi mettono in atto una fermentazione: la birra comincia così a delinearsi.
Quando si nutre di questo "intruglio", l'uomo primitivo si sente rinvigorito e soprattutto più felice: la durezza della vita gli appare più sopportabile e vede in tutto questo un intervento divino.

-I Sumeri
La prima traccia inconfutabile dell'esistenza della birra ci viene da una tavoletta di argilla dell'epoca predinastica sumera (circa 3.700 A.C.), il celebre "monumento blu" che descrive i doni propiziatori offerti alla dea Nin-Harra: capretti, miele e birra. Dai caratteri cuneiformi dei sumeri sappiamo inoltre che le "case della birra" sono tenute da donne, che la birra d'orzo é chiamata sikaru (pane liquido) mentre quella di farro é detta kurunnu e che altri tipi vengono ottenuti mescolando in proporzioni diverse le prime due. Da ricordare almeno la niud addolcita con zucchero di datteri e la bi-du, la più "ordinaria" che serviva a calcolare il salario-base degli operai (3 litri al giorno!).

-Codice di Hammourabi, Museo del Louvre
La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra é, senz'alcun dubbio, il Codice di Hammourabi (1728-1686 A.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione.

-Gli Egizi
Gli Egizi attribuirono a Osiride, protettore dei morti, l'invenzione della birra ed essendo stretto il legame tra birra e immortalità, i più ricchi si facevano costruire delle birrerie in miniatura per le loro tombe. Ai Faraoni erano dovuti come tasse dalle città, dai territori e dalle province, migliaia e migliaia di vasi di birra e, come per i Sumeri, il salario minimo era liquido (due anfore di birra al giorno).
Birra é sinonimo di vita e le sue virtù curative diventano famose: il "papiro Ebers" ci offre 600 prescrizioni mediche per alleviare le sofferenze dell'umanità il cui ingrediente principale é la birra. Le scuole superiori insegnano la fabbricazione della birra prima della scrittura e della lettura. Si stabilisce che la vendita della birra in cambio di oro e argento é proibita in quanto il venditore può esigere solo orzo in quantità uguale alla birra venduta, pena l'essere gettato nel fiume.

-Preparazione della “zythum”
Gli Egizi chiamarono la birra "zythum" e i loro cugini d'oltre-mediterraneo, i greci se ne ispirarono per chiamarla "zythos"e migliaia di anni dopo gli studiosi utilizzano la radice greca per designare gli elementi della fermentazione: zymotechnia (1762), zymotico (1855), ecc. La birra dell'epoca é un alimento che immaginiamo piuttosto zuccherato, alquanto spesso e che sviluppa un basso tenore alcolico.

-I Galli

I Galli migliorano tre aspetti del fare la birra: utilizzano pietre riscaldate per la cottura, inventano le botti per un più lungo periodo di conservazione (fino a otto mesi) e inventano una famosa pozione magica mescolando ad una birra di frumento una parte di idromele. Aromatizzano le loro birre con anice, assenzio e finocchio mentre i Druidi preparano anch'essi un'infusione magica dai poteri curativi impiegando un ingrediente segreto: la salvia.

-Il Medio-evo
Nel Medio-Evo la libertà di fare e vendere birra costituisce un privilegio che é saldamente nelle mani delle Chiese e dei nobili che ovviamente si arrogano il diritto di produrre e commerciare la birra. Solo quando non sono in grado di far fronte alla crescente domanda, concedono la licenza ai privati in cambio di tasse alquanto salate. Con la nascita di sempre più potenti corporazioni di commercianti, la birra diventa una delle principali forze economiche.

-Commercio di birra via mare
Nel 1376 ad Amburgo operano ben 457 birrai e si distinguono due differenti tipi di birrerie: quelle gestite dai birrai "di mare" che esportano i loro prodotti e quelli "di terra"che rispondono al mercato locale.

 

-Il gruyt
I Crociati contribuiscono all'incremento dell'utilizzo delle spezie che, portate dalle spedizioni in Oriente, danno senza dubbio una birra di qualità superiore.
L'insieme di vari aromi, detto "gruyt" da un termine sassone, può essere formato da un numero elevato di spezie: ambra, lampone, pepe, finocchio, giusquiamo, lavanda, anice, zafferano, cannella, genziana e chiodi di garofano. Molte città episcopali stabiliscono , diremmo oggi "monopolisticamente", un "diritto di gruyt", una vera e propria forma di tassazione che obbliga il birraio ad acquistare una quantità di gruyt proporzionale alla quantità di cereali impiegati. Con l'irresistibile ascesa del luppolo (XIII° secolo) il gruyt viene relegato ai libri di storia. Tuttavia l'impiego di spezie non sparì completamente ed ancora oggi molti birrai soprattutto del Belgio, ma anche scozzesi e scandinavi, contribuiscono a mantenere questa tradizione che ha portato, con l'avvento delle birre da degustazione, ad un crescente utilizzo delle spezie.
il luppolo

 

L’utilizzo del luppolo è antichissimo ma la pratica rigorosa di luppolare il mosto nasce nel XIII° secolo. un grande contributo viene dato dalle ricerche della clebre botanica Suor Hilgedard von Bingen (1098-1179) dell’Abbazia di St. Rupert in Germania. Suor Hildegard mette in evidenza le qualità del luppolo per arrestare la putrefazione ed allungare al vita alla birra. L’impiego del luppolo si espande dapprima in Boemia e poi in tutta la Gemania e l’Olanda, diventata il centro nevralgico del commercio internazionale. Qualche resistenza si ha nei “tradizionalisti ad oltranza” inglesi che, nonostante l’introduzione del luppolo da parte degli immigrati fiamminghi, lo accettano pienamente solo alla fine del XVI° secolo.

Reinheitsgebot ( estratto dall’originale) Guglielmo IV di Baviera
Nasce nel 1516 il celeberrimo “Reinheitsgebot” (l’editto della purezza), tuttora in vigore, che obbliga il birraio ad utilizzare solo acqua, malto d’orzo e luppolo (e lievito, naturalmente). Una curiosità: pochi sanno che in realtà Guglielmo IV di Baviera emanò questo decreto (che doveva essere temporaneo) per impedire, solo per quell’anno, l’impiego del frumento che aveva dovuto patire un raccolto disastroso.
Verso la fine del Medio-Evo, la produzione della birra era saldamente nelle mani della classe media che forma potenti corporazioni. Per ottenere l’autorizzazione a diventare birrai bisogna avere le “mani pulite”, non essere figli illegittimi, non aver compiuto adulterio e per chi diluisce i prodotti con l’acqua c’è la pena di morte!
-I monaci

 

La produzione di birra monastica debutta all’epoca carolingia. Già nel 770 nell’Abbazia di Gorze in Mosella, il mastro birraio opera per i suoi silenziosi fratelli. I monaci perfezionano in modo significativo i metodi di brassaggio e diventano fino al XII° secolo gli esclusivi detentori delle conoscenze e delle tecniche. Nella famosa Abbazia di S.Gallo in Svizzera, nascono le geniali tecniche che permettono di dividere la stessa produzione in più mosti. Il primo mosto che si estrae, ricco di zuccheri e destrine, dà una birra forte e prelibata. chiamata “prima melior”.Il malto utilizzato trattiene tuttavia una forte proporzione di zuccheri “imprigionati” che, con l’aggiunta di acqua seguita da una filtrazione, permette di ottenere una birra meno ricca di zuccheri e destrine, più leggera e di minor valore (“da tavola”) chiamata “secunda” per il consumo dei monaci che potevano (a seconda delle regole del singolo monastero) berne dai 5 agli 8 litri al giorno! Un’ulteriore diluizione poteva essere fatta per ottenere la cosiddetta “tertia”, la birra offerta ai mendicanti.

- I monaci si godono la “secunda”
Dopo le note vicissitudini, i saccheggi ed espopri patiti con la Rivoluzione Francese e con Napoleone, i monasteri ritornano a produrre birra ma la maggior parte cessa l’attività all’inizio del XX° secolo (fanno eccezione i famosi “padri trappisti” tuttora attivi ed anzi sempre più agguerriti, anche a livello di “marketing”: chi non conosce il logo esagonale “authentic trappist product”?)

In Inghilterra, Enrico VIII mise brutalmente fine alle attività brassicole dei monasteri e a tutt’oggi non si segnalano oltremanica cenni di ripresa.

-La Rivoluzione Industriale
Già prima delle grandi invenzioni contribuirono a migliorare i procedimenti medievali: il termometro inventato nel 1714 da Fahreinheit e l’idrometro di M. Marin, datato 1768.

-Idrometro cooler di Baudelot
Questi strumenti sono all’origine dei primi “quaderni di brassaggio” che permettono dii avere informazioni precise sulle diverse fasi: un esempio significativo può essere rappresentato dall’inoculazione del mosto il cui momento giusto veniva deciso immergendo la mano oppure quando si riusciva a vedere la propria immagine riflessa.
La rivoluzione industriale e quella scientifica si affermano in Europa nel XIX° secolo, sconvolgendo irrimediabilmente il mondo della birra, trasformato da due fattori fondamentali: da una parte la meccanizzazione che permette di aumentare il volume prodotto e dall’altra la possibilità di controllare rigorosamente ogni tappa della produzione in modo scientifico. La prima macchina a vapore in campo birrario è attribuita a James Watt che nel 1785 utilizza la nuova tecnologia per produrre una “porter” a Londra. Daniel Wheeler fa brevettare una macchina per tostare il malto nel 1817 e apre la strada ai malti chiari e scuri, prima sconosciuti. Jean-Louis Baudelot inventa nel 1856 il “raffreddatore del mosto” che permette di recuperare il mosto raffreddato e passare subito alla fermentazione. La macchina per il ghiaccio artificiale, inventata da Carrè tre anni più tardi, esercita un impatto significativo per la birrificazione non solo a livello del raffreddamento del mosto ma soprattutto per molte altre operazioni come la bassa fermentazione e la possibilità di produrre lungo l’intera annata.

-Antiche bottiglie di vetro
E’ solo nel XVIII° secolo che si assiste a una vera e propria industria del vetro. Lo sviluppo della bottiglia di vetro si ha verso il 1880-1885 con l’invenzione della vetreria meccanica che coincide con l’avvento delle birre a bassa fermentazione. Il consumatore può ora ammirare il suo nettare e questo lo spinge a preferire birre sempre più chiare e dorate, il cui bellissimo aspetto viene esaltato dalla trasparenza del vetro.

-Anton Dreher Gabriel Sedlmayr
Leuwenhoeck nel 1680 identifica il lievito di birra ma non è in grado di spiegarne nè la natura nè come agisce, cosa che riesce nel 1939 a Cagniard-Latour che attribuisce la fermentazione ad una cellula di lievito. La sua teoria, basata su una cellula invisibile, viene duramente contestata dagli scienziati dell’epoca ma già l’anno dopo Anton Dreher e Gabriel Sedlmayr identificano il lievito come l’ingrediente segreto che fa la gloria delle birre bavaresi. questo lievito, esportato in Boemia, fornisce l’occasione a Plzen nel 1842 di lanciare uno stile che sconvolge il mondo della birra.

-Louis Pasteur Emil Hansen
I lavori di Pasteur sulla fermentazione del 1876 spianano la strada alla comprensione dell’azione del lievito e a quella dei batteri responsabili dei problemi che portano al cattivo gusto. I risultati delle sue ricerche spingono le birrerie ad equipaggiarsi di un laboratorio e nel 1883 Emil Hansen della danese Carlsberg sviluppa la tecnica per isolare un’unica cellula di lievito che permetterà finalmente si birrai di esercitare un controllo totale sulle birre che produce.

 

-Il XX° secolo
La birreria diventa un’impresa industriale che deve affrontare una concorrenza sempre più feroce e deve migliorare la sua produttività mantenendo prezzi bassi. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione e dei trasporti favoriscono gli spostamenti delle birre e di conseguenza il loro confronto.
Si sviluppano pertanto dei “giganti” dell’industria birraria prima negli Stati Uniti poi via via in tutto il mondo provocando la diminuzione in caduta verticale delle piccole birrerie. Alla fine del XIX° secolo se ne contavano più di 3.000 in Belgio e più di 2.000 negli Stati Uniti, mentre meno di cent’anni dopo il loro numero era vertiginosamente sceso a poco più di un centinaio in Belgio e a qualche dozzina negli Stati Uniti.

 

-Camion Mitchells and Butler,inizio anni 60 ( Bass Museum, Burton on Trent )
I mezzi di comunicazione permettono alla birra di viaggiare sempre più lontano ma favoriscono subito dopo lo sviluppo di un marketing di massa. Le indagini di mercato dimostrano alle birrerie che “meno la birra è amara più si vende”. Questi studi rispondono ai loro bisogni capitalistici : se per esempio risulta che il 75% prova repulsione per le birre amare, la birreria diminuisce l’amaro in tutta la sua gamma di birre senza tener conto del restante 25% dei suoi clienti. Se poi, in fase successiva, afferma nelle sue campagne pubblicitarie che è migliore perchè meno amara, ha contribuito a offrire un’informazione parziale alla popolazione che rischia di identificare l’amaro con un difetto. Assistiamo così ad un appiattimento delle birre e all’impoverimento delle attitudini sensoriali della popolazione. Il fenomeno trova il suo apogeo nel Nord America all’inizio degli anni 60 con la scomparsa della maggioranza delle birre “speciali”. Ma per fortuna questa regressione nel gusto ha i suoi limiti.

 

il primo bicchiere da degustazione, inventato nel 1970 dalla fiamminga birreria Moortgat
Infatti all’inizio degli anni 80 assistiamo a un vero e proprio “rinascimento” della birra “di gusto”. Questo fenomeno assolutamente originale non ha attinenza col passato in quanto, prima dell’industrializzazione non si parlava dell’esistenza di una cultura birraria. La pubblicazione di opere sulla degustazione è nuova, la gastronomia alla birra è nuova, i locali specializzati sono nuovi e i primi musei della birra non hanno ancora vent’anni.

-Museo Europeo della Birra di Stenay (Francia)
Gli elementi che spiegano questo fenomeno recente sono molteplici: il turismo, l’interesse degli appassionati, il posizionamento sul mercato delle piccole e medie industrie birrarie, la formazione di gruppi di interesse e, non ultima, la filosofia del “piccolo è bello”.

-Appendice: la birra in Italia
Viene attribuito agli Etruschi il merito di aver portato in Italia l’orzo, l’ingrediente fondamentale per la preparazione della birra. Ben presto nell’Antica Roma e in tutto l’impero romano si cominciò a consumare abitualmente birra anche se veniva considerata una bevanda “pagana e plebea” al confronto del “divino e nobile” vino. Nell’anno 87 d.C., Tacito, infatti, parla della birra dei Germani paragonandola al “vinus corruptus” cioè andato a male! Non la pensava così suo suocero, Agricola, che portò tre mastri birrai da Glevum, l’odierna Gloucester ed aprì a Roma nella sua villa, una birreria privata. Augusto esentò la classe medica dalle tasse perché Musa, il suo medico, l’aveva guarito dal mal di fegato ricorrendo alla “cervisia”. La birra fu, in seguito, una delle vittime delle invasioni barbariche che distrussero gli impianti di produzione, sia pure artigianali, delle città. Del periodo medievale, si ricordano solo degli episodi isolati legati alla vita monastica. Tra il 529 e il 543, manoscritti riportano che mentre San Benedetto da Norcia era presso l’Abbazia di Montecassino, nel Lazio, si produceva birra e questa è la prima birra d’Abbazia Italiana e forse del mondo. Nel 600 d.C. il futuro San Colombano, monaco di origine irlandese, fonda l’Abbazia di Bobbio, nel piacentino, e tra il 612 e il 613 fa miracoli con la birra. La ripresa non avviene in Italia nei secoli seguenti per l’influenza determinante del clima e delle credenze religiose. Infatti come cattolici vediamo nel vino la bevanda sacra, benedetta nell’ultima cena, e nella birra il simbolo del paganesimo delle genti del Nord.
Il ritorno della birra nel nostro paese non avviene sotto buoni segni, portata infatti dai famigerati lanzichenecchi che saccheggiano Roma nel 1527. Lo storico Massimo Alberini ci riferisce che uno dei loro capi, Giorgio von Frundesberg, si faceva seguire, anche in battaglia, da un cavallo che trasportava due barilotti di birra. Anche durante i moti risorgimentali si evidenziano le differenze di mentalità tra gli oppressi bevitori di vino e gli oppressori austriaci bevitori di birra. Ma nulla poteva ormai arrestare, anche nel nostro paese, la popolarità che questa fresca, dissetante e socializzante bevanda ha saputo conquistare in ogni parte del pianeta.Dobbiamo arrivare alla metà del secolo diciannovesimo perché finalmente anche in Italia sorgano le prime vere e proprie fabbriche, tutte a carattere artigianale.
La prima brasserie italiana è la Spluga di Chiavenna che inizia la sua attività nel 1840, seguita subito da quelle formate da lungimiranti imprenditori austriaci che volevano entrare in un mercato nuovo, come Wurher, Dreher, Paskowski, Metzger, Caratch, Von Wunster imitati ben presto da commercianti italiani, come Peroni e Menabrea. Dopo varie vicissitudini collegate alle due guerre mondiali e alle sempre più alte tassazioni, si è giunti ai giorni nostri all’inevitabile concentrazione di grossi e potentissimi raggruppamenti internazionali che hanno rapidamente portato all’acquisizione delle piccole fabbriche, facili prede, vittime di irreversibili crisi.
Il consumo di birra in Italia per il 1999 è salito alla cifra record di circa 15,555 milioni di ettolitri. La produzione interna è salita a circa 12,137 milioni di ettolitri. Salgono lievemente anche l’import fino a 3,841 milioni di ettolitri e l’export fino a 0,423 milioni di ettolitri. Il consumo pro-capite rimane costante intorno ai 27 litri. Questi aridi numeri parlano chiaro e sembrano incoraggianti se teniamo in considerazione solo il parametro della quantità. Ma se consideriamo la qualità, la realtà è ben diversa e lo sanno bene tutti coloro che si battono, ognuno nel proprio campo di competenza, per poter in un immediato futuro intraprendere il cammino l’avventura degli americani, protagonisti di una straordinaria e ben nota “renaissance”.

 

 

LEGISLAZIONE NAZIONALE E COMUNITARIA

Definizione
Nella legge ordinaria del Parlamento n°1354 del 16/08/1962 all’ art. 1 è definito come può essere ottenuta la birra:
Il prodotto è ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o con entrambi.
Viene inoltre specificato che la fermentazione alcolica del mosto puo' essere integrata con una fermentazione lattica, nella produzione della birra e' consentito l'impiego di estratti di malto torrefatto e degli additivi alimentari consentiti dal decreto del Ministro della Sanità' 27 febbraio1996,n.209.
Il malto di orzo o di frumento può essere sostituito con altri cereali, anche rotti o macinati o sotto forma di fiocchi, nonché con materie prime amidacee e zuccherine nella misura massima del 40% calcolato sull’estratto secco del mosto.

Classificazioni e Limiti
Nella legge ordinaria del Parlamento n° 1354   del 16/08/1962 all’articolo 2 viene riportata la classificazione della birra:
La denominazione “birra analcolica” è riservata al prodotto con grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8 e con titolo alcolometrico volumico non superiore a 1.2%.
La denominazione “birra leggera” o “birra light” è riservata al prodotto con grado Plato* non inferiore a 5 e non superiore a 10.5 e con titolo alcolometrico volumico superiore a 1.2% e non superiore a 3.5%.
La denominazione “birra” è riservata al prodotto con grado Plato superiore a 10.5 e con titolo alcolometrico volumico superiore a 3.5%;tale prodotto può essere denominato “birra speciale”se il grado Plato non è inferiore a 12.5 e “a doppio malto” se il grado Plato non  è inferiore a 14.5.
Quando alla birra sono aggiunti frutta, succhi di frutta ,aromi ,o altri ingredienti alimentari caratterizzanti, la denominazione di vendita è completata con il nome della sostanza caratterizzante.

La seguente tabella riporta quanto sopra citato:

 

Tipo di birra

Grado Plato
in volume (v/v).

Grado alcolometrico
volumico

Birra analcolica

> 3 < 8

< 1.2%

Birra light

> 5 < 10,5

> 1.2% < 3.5%

Birra

> 10,5

> 3,5%

Birra speciale

> 12,5

> 3,5%

Birra doppio malto

> 14,5

> 3,5%

*Per Grado Plato si intende il grado saccarometrico della birra.

Il Decreto del Presidente della Repubblica1498 del 30/12/1970 riporta i limiti per i seguenti parametri :

Acidità totale:
la birra normale non deve superare i ml 35 NaOH N/10 per ml 100;
la birra speciale non deve superare i ml 40 NaOH N/10 per ml 100;
la birra doppio malto non deve superare i ml 45 NaOH N/10 per ml 100.

Acidità volatile:
la birra normale non deve superare i ml 7 NaOH N/10 per ml 100;
la birra speciale non deve superare i ml 8,5 NaOH N/10 per ml 100;
la birra doppio malto non deve superare i ml 10 NaOH N/10 per ml 100.

Anidride carbonica:
la birra dei tipi normale, speciale o doppio malto deve avere un contenuto non inferiore a g. 0,3 per ml 100 e un contenuto non superiore a g. 1 per ml 100.

Ceneri:
la birra normale deve avere un contenuto massimo di g. 0,45 per ml 100;
la birra speciale deve avere un contenuto massimo di g. 0,55 per ml 100;
la birra doppio malto deve avere un contenuto massimo di g. 0,65 per ml 100.

Alcool:
la birra normale deve avere un contenuto non inferiore a ml 3 per ml 100;
la birra speciale deve avere un contenuto non inferiore a ml 3,5 per ml 100;
la birra doppio malto deve avere un contenuto non inferiore a ml 4 per ml 100;
la birra posta in vendita come analcolica deve avere un contenu- to in alcool non superiore a 1 ml per 100 ml, ferme restando le caratteristiche di cui all'art. 1 della legge 16 agosto 1962, n. 1354.

Limpidità:
la birra è limpida quando la sua torbidità non supera il n. 2 della scala standard di torbido di formazina; la determinazio ne si esegue con le modalità descritte nei metodi ufficiali di analisi della birra.

Requisiti delle materie prime della birra
I requisiti delle materie prime per la produzione della birra vengono definiti dal Decreto Ministeriale n°1354 del 16/08/1962 ,dove l’art.3 specifica che è vietato impiegare  materie prime avariate o guaste o contenenti sostanze che per natura, qualità e quantità possono essere nocive. E' altresì vietato detenere le materie prime in quelle determinate condizioni nell'interno degli stabilimenti o delle fabbriche di produzione della birra.
Inoltre nell’ art.4 viene riportato che è vietato aggiungere alla birra o, comunque, impiegare nella sua preparazione alcoli e sostanze schiumogene; per la chiarificazione della birra sono impiegati soltanto mezzi meccanici o sostanze innocue.
Il Ministro della sanità può autorizzare l'impiego di altri ingredienti non contemplati negli articoli precedenti.

Nella legge ordinaria del Parlamento n°1354 del 16/08/1962 è riportato che l’acqua impiegata per la preparazione dei mosti della birra e per il lavaggio dei recipienti e degli attrezzi deve essere potabile e ciò deve essere accertato dall’Autorità sanitaria mediante periodici controlli analitici. Deve essere garantita l’integrità dell’acqua da ogni possibile causa di inquinamento.

 

Etichette
Vengono definite nel Decreto Ministeriale n°438 del 06/09/1988:
il titolo alcolometrico volumico è espresso dal simbolo «% vol» preceduto dal numero corrispondente che può comprendere solo un decimale. Può essere preceduto dal termine «alcool» o dalla abbreviazione «alc».
Il titolo alcolometrico è fissato a 20 °C.
Le tolleranze in più e in meno concesse per l'indicazione del titolo alcolometrico ed espresse in valori assoluti sono le seguenti:
a) 0,5% vol per le birre con contenuto alcolometrico volumico non superiore a 5,5%;
b) 1% vol per le birre con contenuto alcolometrico volumico superiore a 5,5% vol.

Nella legge ordinaria del parlamento n° 1354 del 16/08/1962 all’art 12 viene riportato che sull’etichetta o sul recipiente nel quale la birra è posta in vendita debbono essere indicati a carattere leggibili ed indelebili, il contenuto, il marchio, il nome o la ragione sociale del produttore e la sede dello stabilimento di produzione.

Additivi ammessi

Il decreto ministeriale n° 519 del 01/07/1994 specifica che nel processo di fabbricazione della birra è consentito impiegare l'acido tannico quale coadiuvante di chiarificazione e di stabilizzazione.
Con il termine «acido tannico» si intendono i gallotannini idrolizzabili ottenuti per estrazione da alcune specie vegetali appartenenti alle specie Quercus e Sumac e costituiti essenzialmente da esteri poligalloici di glucosio.
Il prodotto commercializzato per l'impiego come coadiuvante tecnologico nella produzione della birra deve possedere i requisiti riportati in allegato.
.La dose massima di impiego deve essere tale da non lasciare residui nel prodotto finito.

Specificazioni dell'acido tannico o acido gallotannico
L'acido tannico è costituito da gallotannini idrolizzabili ottenuti mediante estrazione con solventi da varie specie di Quercus quali ad es. Q. infectoria e varie specie di Sumac quali ad es. Rhus coriaria, Rhus galabra, Rhus Thypia ecc.
I gallotannini idrolizzabili sono costituiti essenzialmente da poligalloici esteri del glucosio.
I gallotannini idrolizzabili sono composti fenolici, solubili in acqua, che per idrolisi acida, basica o enzimatica si scindono in glucosio e acido gallico; in soluzione acquosa precipitano la gelatina, l'albumina ed altre proteine, gli alcaloidi e diversi metalli pesanti.

In base al decreto ministeriale n°268 del 13/11/1996 è consentito impiegare nella fabbricazione della birra preparazioni enzimatiche costituite da:
a) alfa amilasi, alfa 1,4 e 1,6 amiloglucosidasi e loro miscele;
b) 1,4 e 1,3 betaglucanasi.

ADDITIVI ALIMENTARI CONSENTITI:

 

COLORANTI

E150a Caramello Semplice

E150b Caramello Solfito Caustico

E150c Caramello Ammoniacale

E150d Caramello Solfito Ammoniacale

 

 

EDUL
CORANTI

E950 Acesulfame K
fino a 350 Mg/l (birra a ridotto contenuto alcoolico fino a 25 mg/l)

E951 Aspartame
fino a 600 Mg/l (birra a ridotto contenuto alcoolico fino a 25 mg/l)

E954 Saccarina e Sali di Na K e Ka
fino a 80 Mg/l

E959 Neoesperidina DC
fino a 30 Mg/l (birra a ridotto contenuto alcoolico fino a 10 mg/l)

 

 

ADDITIVI

E270 Acido Lattico

E300 Acido Ascorbico

E301 Ascorbato di Sodio

E330 Acido Citrico

E414 Gomma D'Acacia

E405 Alginato di 1.2 Propandiolo
fino a 100 Mg/l

 

ANTIOSSIDANTI

Anidride Solforosa e Solfiti fino a 50 Mg/l birra con seconda fermentazione in fusto(birra a ridotto contenuto alcoolico fino a 20 mg/l)

 

Metodiche ufficiali
I seguenti metodi di analisi della birra sono riportati nel Decreto Ministeriale del 21/09/1970:
preparazione del campione;
Esame organolettico;
Limpidità: determinazione del grado di torbidità;
Determinazione del peso specifico;
Determinazione del grado alcoolico;
Determinazione dell’estratto;
Determinazione del grado saccarometrico;
Determinazione dell’acidità totale;
Determinazione dell’acidità volatile;
Determinazione delle ceneri e dell’alcalinità delle ceneri;
Determinazione dell’anidride carbonica;
Determinazione dell’anidride solforosa;
Determinazione dell’acido l-ascorbico.

 

Importazione birra
La birra importata deve corrispondere alle caratteristiche ed ai requisiti stabiliti dalla legge ordinaria n° 1354 del 16/08/1962; i recipienti e le bottiglie devono essere conformi a quanto da essa stabilito e recare in lingua italiana le indicazioni prescritte dai suoi articoli.
Dette caratteristiche e requisiti possono essere comprovati con appositi certificati rilasciati da istituti o organismi statali preposti dallo Stato esportatore e riconosciuti idonei dal Ministero della Sanità di concerto con il Ministero delle Finanze, sentito il Ministero degli Affari Esteri.
E' fatta comunque salva, la facoltà di sottoporre la birra in importazione a controlli analitici ogni qual volta questi si rendano necessari.
La birra di provenienza estera, ma imbottigliata in Italia, deve recare a mezzo di etichetta o sul recipiente, il nome o la ragione sociale dell'imbottigliatore, nonché la sede dello stabilimento imbottigliatore con la dicitura "impresa imbottigliatrice ..." .

 

Esportazione birra
Nella legge ordinaria n° 1354 del 16/08/1962 è riportato che può essere autorizzata la produzione di birra avente particolari caratteristiche, purché a cura del produttore venga dimostrata l'effettiva destinazione del prodotto all'esportazione.

 

 ANALISI DELLA BIRRA

 

Metodi ufficiali d’analisi della birra:
Determinazione del peso specifico;
Determinazione del grado alcolico;
Determinazione dell’estratto;
Determinazione dell’acidità totale;
Determinazione dell’acidità’ volatile;
Determinazione delle ceneri e dell’alcalinità’ delle ceneri.
Determinazione del grado saccarometrico

Determinazione del peso specifico
Procedimento: seguire le modalità operative indicate per la determinazione del peso specifico del distillato alcolico della birra(vedere determinazione del grado alcolico).
Apparecchiatura: bilancia analitica di precisione, oppure picnometro, oppure bilancia idrostatica di precisione.

Determinazione del grado alcolico
Principio: un volume misurato di birra viene sottoposto a distillazione, con modalità atte ad assicurare il passaggio quantitativo dell’alcool nel distillato. Si determina il grado alcolico di quest’ultimo per via densimetrica, mediante il picnometro o la bilancia idrostatica, e dal peso specifico trovato si risale al grado alcolico mediante apposite tavole.
Apparecchiatura:
apparecchio di distillazione, costituito da un pallone di distillazione(a fondo tondo), dalla capacità di circa 300ml collegato con un refrigerante ad ampia superficie di condensazione.
Bilancia analitica di precisione. Procedimento: misurare 100ml di birra alla temperatura di 20°C in un palloncino tarato e trasferirli quantitativamente nel pallone dell’apparecchio di distillazione lavando ripetutamente il palloncino tarato con poca acqua(circa 40ml complessivamente).
Introdurre nel pallone alcuni pezzetti di pietra pomice o di porcellana calcinate, per regolare l’ebollizione, e collegare il pallone medesimo con il refrigerante; per la raccolta del distillato fare uso dello stesso palloncino tarato da 100ml con il quale è stata misurata la birra.
Riscaldare il pallone su reticella ammantata regolando il riscaldamento in modo da ottenere una moderata ebollizione ed una regolare distillazione. Interrompere la distillazione quando il volume del distillato nel palloncino ha quasi raggiunto il segno di taratura. Chiudere il palloncino e, dopo aver mescolato il distillato, porre il palloncino entro un bagno termostatico per portarlo alla temperatura di 20°C,ed infine portare a volume con acqua, a  questa temperatura.
Eseguire la misurazione del peso specifico del distillato con il picnometro o con la bilancia idrostatica.
-con il picnometro
Pesare un picnometro vuoto dalla capacità di circa 50ml,portarlo alla temperatura di 20°C, e riempirlo sin quasi al segno con acqua, porlo entro un bagno termostatico per portarlo alla temperatura di 20°C e completare a questa temperatura il riempimento con acqua.
Pesare il picnometro dopo averlo accuratamente asciugato, quindi vuotarlo, lavarlo due volte con acetone, essiccarlo con una corrente di aria ed infine riempirlo con il distillato, alla temperatura di 20°C e pesarlo.
Eseguire tutte le pesate sino alla quarta decimale. Siano:
P =  il peso del picnometro vuoto;
P1 = il peso del picnometro riempito d’acqua;
P2 =  il peso del picnometro riempito con il distillato;
il peso specifico del distillato è dato dalla formula:

                  P2 -   P

 
P1 -  P

con la bilancia idrostatica
Dato che la misurazione del peso specifico deve essere eseguita alla temperatura di 20°C, se la temperatura dell’ambiente è superiore a 20°C portare il distillato, versato nel cilindro che correda la bilancia, ad una temperatura leggermente inferiore a 20°C;inversamente, se la temperatura è inferiore a 20°C portare il distillato, entro il cilindro suddetto, ad una temperatura leggermente superiore a 20°C.
Immergere il galleggiante provvisto di termometro entro il liquido contenuto nel cilindro ed eseguire la misurazione esatta del peso specifico quando il termometro del galleggiante segna la temperatura di 20°C.
Per risalire dal peso specifico all’alcool %  in volume a 20°C(grado alcolico) fare uso delle tavole di Reichard.

Determinazione dell’estratto
Principio: si determina il peso specifico della birra (dealcolizzata) ottenuto evaporando o distillando la birra in modo da eliminare l’alcool etilico e riportando quindi il liquido residuo al peso o al volume originario mediante aggiunta di acqua.
Dal peso specifico trovato si risale all’estratto On peso mediante apposita tavola.
Apparecchiatura:
bagnomaria
bilancia analitica di precisione o picnometro o bilancia idrostatica
Procedimento:
Pesare, con l’approssimazione del decigrammo, circa 90 ml di birra. Evaporarli a bagnomaria, in capsula a          fondo piano, fino a circa 1/3 del volume originario. Aggiungere acqua al residuo dell’evaporazione fino a riportarlo al peso originario della birra, prima dell’evaporazione.
Determinare il peso specifico del liquido a 20°C, mediante il picnometro o la bilancia idrostatica(per le modalita’ operative vedere la determinazione del grado alcolico).
Per risalire dal peso specifico all’estratto fare uso dell’apposita tavola.
Per determinare l’estratto della birra si può anche utilizzare il residuo che si ottiene nella distillazione per la determinazione del grado alcolico. Riprendere con acqua questo residuo,     trasferirlo quantitativamente in palloncino tarato da 100ml e portare a volume con acqua a 20°C.
Determinare nello stesso modo detto precedentemente, il peso specifico della birra.

 

Determinazione dell’acidità totale
Principio: un determinato volume di birre, privata dell’anidride carbonica e diluita con acqua, viene addizionato di soluzione di idrato di sodio N/10 fino a neutralizzare la sua acidità, indicatore la fenoftalina, oppure mediante titolazione potenziometrica, in particolare modo nel caso delle birre scure.
Reattivi: soluzione d’idrato di sodio N/10
Apparecchiatura: potenziometro provvisto di coppia di elettrodi vetro-calomelano
                               Agitatore elettromagnetico od altro adatto dispositivo d’agitazione magnetica

Procedimento: 
titolazione con impiego dell’indicatore.
Portare all’ebollizione ml 100 di acqua  e mantenerla all’ebollizione per due minuti.
Aggiungere ml 10 di birra decarbonata, facendo uso di una pipetta a rapido scolamento. Dopo lo svuotamento della pipetta continuare a riscaldare per 60 secondi , regolando il riscaldamento in modo che il liquido bolla di nuovo durante gli ultimi 30 secondi. Interrompere il riscaldamento, agitare per 5 secondi e raffreddare rapidamente fino alla temperatura dell’ambiente. Aggiungere ml 0.2 di soluzione alcolica di fenoftalina; titolare con la soluzione d’idrato di sodio N/10 osservando il liquido contro uno sfondo bianco. Confrontare frequentemente il colore con quello di prova eseguita in parallelo nelle stesse condizioni ma senza aggiunta d’indicatore. Titolare fino ad incipiente comparsa del colore rosa pallido; leggere la buretta. Aggiungere ancora ml 0.1 di soluzione d’idrato di sodio N/10; il colore deve diventare rosso-rosa netto e persistente, indicativo dell’eccesso di alcali.
Assumere come punto finale la prima lettura della buretta.
Titolazione potenziometrica.   E’ necessario nel caso delle birre scura che(anche dopo diluizione) non consentirebbero, facendo uso dell’indicatore, di percepire con sufficiente precisione il punto finale della titolazione. Operare su ml 50 di birra decarbonata; titolare potenziometricamente fino al pH 8.2, aggiungendo soluzione d’idrato si sodio N/10 a porzioni di ml 1.5 ciascuna fino al pH 7.6 circa, e successivamente a porzioni di ml 0.15 ciascuna fino al pH di 8.2. Durante la titolazione mantenere il liquido in agitazione mediante un agitatore elettromagnetico avendo cura di regolare l’agitazione medesima in modo da evitare la formazione di schiuma. Osservare tutte le norme generali della titolazione potenziometrica e le istruzioni d’impiego del potenziometro usato. Il risultato esprime l’acidità totale della birra in numero di ml di soluzione d’idrato di sodio N/10 necessari per neutralizzare ml 100 di birra. Una birra ben conservata deve avere un’acidità totale , calcolata in acido lattico, compresa fra 0.1 e 0.3%.  Alcune birre bianche l’acidità totale può raggiungere e superare anche 0.4%. Un eccesso di acidità totale indica l’inacidimento della birra, invece un’acidità molto bassa, un eccesso di ceneri, una forte alcalinità è indizio di aggiunta di sostanze neutralizzanti.

Determinazione dell’acidità volatile
Principio: gli acidi volatili vengono isolati mediante distillazione in corrente di vapore d’acqua. Si determina l’acidità del distillato mediante titolazione con una soluzione di alcali N/10, indicatore la fenoftalina.
Reattivi: Soluzione d’idrato di sodio o di idrato di potassio N/10
Soluzione alcolica di fenoftalina all’1%.
Apparecchiature: Apparecchio di distillazione in corrente di vapore.
Il generatore di vapore è un recipiente ( di vetro o di metallo) della capacità di circa un litro e mazzo, provvisto di tappo a due fori attraverso uno dei quali passa un tubo di sicurezza mentre per l’altro passa il tubo di efflusso del vapore, collegato con il palloncino di distillazione.
Quest’ultimo deve essere a fondo tondo, della capacità di circa ml 250; la lunghezza del  collo deve essere la metà circa dell’altezza del pallone. Esso è provvisto di un tappo a due fori, per uno dei quali passa un tubo di vetro del diametro di circa mm 4, con la punta leggermente piegata e con foro di diametro di mm1, che pesca fin quasi al fondo del pallone. Per l’altro foro passa il tubo di sviluppo, provvisto di bolla di sicurezza, che viene collegato con il refrigerante.
Procedimento: Introdurre nel pallone di distillazione ml 50 di birra preliminarmente privata dell’anidride carbonica ed aggiungere un poco di tannico, allo scopo di impedire la formazione di schiuma durante la distillazione. Distillare la birra, senza corrente di vapore, fino a ridurla a circa 25 ml, volume che deve essere mantenuto costante per tutta la distillazione. A questo punto immettere la corrente di vapore , regolandone l’afflusso in modo da non provocare del liquido, e proseguire la distillazione fino a raccogliere ml 200 di distillato, per il che occorrono circa 45 minuti. Titolare il distillato con la soluzione di idrato di sodio o potassio N/10, usando come indicatore la fenoftalina. (2 gocce).  L’acidità volatile della birra in numero di ml di soluzione di alcali N/10 necessari per neutralizzare gli acidi volatili contenuti in ml 100 di birra. Il valore dell’acidità volatile deve essere assente o massimo lo 0.06% calcolato in acido acetico.

 

Determinazione delle ceneri e dell’alcalinità delle ceneri
Principio: il residuo dell’evaporazione della birra viene carbonizzato e quindi incenerito in forno a muffola. Le ceneri ottenute vengono pesate.
Per determinare l’alcalinità delle ceneri, queste ultime vengono trattate a caldo con una quantità misurata, in eccesso, di soluzione di acido solforico N/10 il cui eccesso si titola con una soluzione di alcali N/10, indicatore il rosso di metile.
Reattivi : soluzione di acido solforico N/10
                 Sol. Di idrato di sodio o idrato di potassio N/10
Soluzione alcoolica di rosso metile al 0.3%
Apparecchiatura : capsule di platino
Bagnomaria
Forno a muffola
Bilancia analitica di precisione
Procedimento:
determinazione delle ceneri: evaporare fino a secchezza, su bagnomaria bollente, ml 50 di birra, in capsula di platino0 calcinata e pesata.
Aggiungere poche gocce di olio di oliva puro e riscaldare moderatamente su piccola fiamma o sotto una lampada a raggi infrarossi, fino a cessazione del rigonfiamento. Incenerire a forno a muffola a circa 530 °C fino ad ottenimento di ceneri bianche. Se dopo 5 ore di permanenza in muffola ciò non si ancora verificato, estrarre la capsula dalla muffola e dopo raffreddamento inumidire bene le ceneri mediante aggiunta di acqua, essiccarle su bagnomaria bollente e quindi, brevemente, a fiamma libera o su piastra riscaldante, ed infine incenerire di nuovo in muffola a circa 530°C fino ad ottenimento di ceneri bianche.
Pesare la capsula, dopo raffreddamento in essiccatore.
determinazione dell’alcalinità delle ceneri:
dopo averne eseguito la pesata, umettare le ceneri, contenute nella capsula di platino, con alcune gocce di acqua, quindi aggiungere ml 25 di soluzione di acido solforico N/10 e riscaldare moderatamente per facilitare la dissoluzione delle ceneri. Trasferire quantitativamente il contenuto della capsula in beuta da ml 200, con l’ausilio di acqua bollente, con la quale si lava la capsula, e di una bacchetta di vetro con la quale si staccano i residui aderenti alla capsula medesima.
Lasciare sulla beuta l’imbutino di vetro, usato per eseguire la predetta operazione, e far bollire a piccola fiamma per circa 10min.
Lasciar raffreddare il liquido e titolare l’eccesso di acido solforico con una soluzione di alcali N/10, indicatore il rosso di metile, fino a viraggio dal rosso al giallo canarino.
Riferire il contenuto in ceneri a ml 100 di birra, esprimendolo in g e frazioni.

Determinazione del grado saccarometrico
Principio: il grado saccarometrico si calcola in base ai valori trovati nell’analisi per il grado alcolico e per l’estratto della birra mediante una apposita formula.
Calcolo del grado saccarometrico in peso si ottiene mediante la formula:

                    GS =  100*(E + 2.0665 A)
100 + 1.0665 A

     nella quale:
GS= grado saccarometrico in peso
E= estratto % in peso
A= alcole % in peso

Il grado saccarometrico in volume si ottiene consultando la tavola III,presente nella legge.

- Pastorizzazione
Per questa ricerca 40 ml di birra si suddividono in due porzioni, una delle quali viene portata all’ebollizione per 5 min.
Ambedue i campioni vengono addizionati di 20 ml di soluzione al 20 % di saccarosio e lasciati 24 ore a temperatura ambiente.
Alla fine del periodo portare all’ebollizione anche l’altro campione per 5 minuti. Si aggiungono poi 0.5 ml di soluzione di acetato di piombo al 10 %, si porta a volume di 50 ml, si filtra e si osserva al polarimetro.
Se il potere rotatorio delle due soluzioni è notevolmente diverso, la birra non è stata pastorizzata; si può concludere il contrario se i valori sono invece quasi coincidenti.
Esprimere il risultato come birra pastorizzata o birra non pastorizzata.
INCERTEZZA:in caso di esito negativo, cioè non pastorizzata, si può fornire un risultato certo; in caso di esito positivo occorre verificare l’origine del campione o altri parametri.

 

TECNOLOGIE PRODUTTIVE E DI PROCESSO

 

La birra si ottiene facendo fermentare,con lievito di birra in presenza di luppolo,il mosto di malto d’orzo e di altri cereali.Le birrerie richiedono una grande quantità di acqua,necessaria sia per la preparazione della bevanda che per il raffreddamento.

Mashing (ammostatura)
Scopo del "mashing":
-Dissolvere le sostanze già  solubili (circa il 15% delle materie prime).
-Attraverso l'azione enzimatica o fisica (es. bollitura del mais) rendere solubili parti originariamente insolubili (es. amido-->zuccheri)
-Predeterminare il grado e la natura dei cambiamenti chimici per ottenere un prodotto di qualità costante con un rendimento il più elevato possibile.

 

Fermentazione
Principio:
Il mosto viene chiarificato, raffreddato e areato; a questo punto può unirsi al lievito, il microorganismo che provvede a fermentare il mosto. Durante la fermentazione avviene una trasformazione nella chimica del mosto che, alla fine, diventa birra. Per convenzione si inizia a parlare di birra per il mosto appena seminato.

 La chiarificazione avviene per mezzo di uno strumento chiamato Whirlpool:

 


Consiste in un serbatoio cilindro-conico nel quale viene introdotto tangenzialmente il mosto; per effetto della combinazione della forza centrifuga e centripeta che si viene a formare e grazie alla relativa immobilità della massa liquida al centro, si crea una corrente che tende a depositare il torbido nel cono centrale. In questo modo si accellera notevolmente la sedimentazione e si può iniziare a prelevare il mosto chiarificato da delle uscite laterali che vengono selezionate in modo di “pescare” di volta in volta ad un livello il più alto possibile allo scopo di anticipare lo svuotamento.
Nel whirlpool vengono introdotti anche la birra da riprocessare (che viene così sterilizzata) ed il mosto ricavato dalla centrifugazione del torbido ad opera del decantatore.

-Decantatore:

 

 

Provvede alla separazione del mosto rimasto intrappolato nel torbido depositatosi nel whirlpool, funziona come una centrifuga ed è dimensionato per riuscire a separare grosse quantità di solido sospeso. Il torbido separato viene mandato nel silo delle trebbie mentre il mosto viene recuperato nel whirlpool.

 

-Raffreddatore del mosto:

 

Raffredda il mosto caldo riscaldando allo stesso tempo l'acqua usata per il raffreddamento, quest'acqua riscaldata verrà poi utilizzata nella sala cottura per la fabbricazione; l'acqua fredda è stata ulteriormente raffreddata (a 1-3 °C) da un secondo scambiatore a piastre (posto a monte rispetto al percorso dell'acqua fredda) che utilizza glicole ed alla fine del percorso raggiunge una temperatura di 75 °C e oltre; il mosto invece arriva dal whirlpool con una temperatura tipicamente superiore agli 85 °C ed esce ad una temperatura compresa tra i 5 e i 13 °C (a seconda del tipo di lievito utilizzato).

 

-Areatore del mosto
Introduce dell' aria sterile nel mosto freddo.               
Dell' aria compressa che è stata depurata dagli olii e deumidificata viene fatta passare attraverso un filtro sterilizzante che provvede a trattenere tutti i microorganismi eventualmente presenti; tramite un flussimetro è possibile regolare il flusso dell' aria che viene immessa nella tubazione del mosto freddo in contro corrente per agevolarne il discioglimento.
Serbatoi di fermentazione

Sono costruiti in acciaio inossidabile e si dividono in serbatoi orizzontali e verticali cilindro-conici; i modelli orizzontali hanno una inclinazione per consentire l'estrazione della birra mentre il lievito rimane sul fondo, successivamente si procede all'estrazione del lievito per mezzo di acqua, a volte si usa del mosto per il lievito che servirà per una semina; nei tipi verticali invece si può procedere all'estrazione del lievito prima di vuotare il serbatoio dalla birra.
Attorno alle pareti ci sono delle tasche di raffreddamento, dove viene fatta scorrere dell'acqua gelida o del glicole, che servono sia per mantenere costante la temperatura durante la fermentazione che per raffreddare la birra a fermentazione avvenuta; i tank ubicati all'esterno (tank esterni e verticali) sono coibentati con sostanze schiumose per isolarli termicamente dalla temperatura ambientale. Sono inoltre equipaggiati da una o più teste di lavaggio, da uno sfiato collegabile o all'atmosfera o al recupero della CO2 ; una valvola di sicurezza provvede a scaricare la pressione in eccesso (di solito 0.4 bar) e ad impedire che il serbatoio si schiacci per la depressione che si può creare durante uno svuotamento con lo sfiato chiuso per errore, durante un lavaggio caustico con presenza di CO2 o durante un raffreddamento del gas contenuto nel tank.

La capienza netta dei fermentatori è di circa l' 85% della capacità lorda a causa della formazione di schiuma durante la fermentazione.

 

 

I monosaccaridi (glucosio e fruttosio) contenuti nel mosto passano attraverso la membrana del lievito e, una volta dentro, vengono metabolizzati; il saccarosio invece (lo zucchero da cucina) viene diviso nei due monosaccaridi che lo compongono da un enzima che il lievito rilascia all'esterno (invertasi), a questo punto i monosaccaridi sono liberi di entrare nella cellula. Una volta utilizzati tutti i monosaccaridi inizia l'assimilazione del maltosio e del maltotriosio, questi di-trisaccaridi però riescono a passare attraverso la membrana solo grazie all'azione di particolari enzimi chiamati permeasi, dentro la cellula abbiamo invece un'altro enzima (alfa-glucosidasi) che riduce il maltosio ed il maltotriosio a singoli glucosi. I polisaccaridi costituiti da più di 3 glucosi (destrine e amidi) sono troppo grossi per passare attraverso la membrana del lievito e non possono essere fermentati; è da notare che se il lievito liberasse la alfa-glucosidasi (che trattiene all' interno della cellula) nel mosto, questo enzima riuscirebbe alla fine a trasformare tutte le destrine in glucosio e quindi anche queste verrebbero fermentate.
Oltre agli zuccheri il lievito come tutti gli organismi viventi utilizza altre sostanze per la sua alimentazione come proteine, acidi grassi, sali minerali e aminoacidi. La carenza o la mancanza di queste sostanze può avere gravi conseguenze sulla cellula di lievito.
Le sostanze prodotte dal lievito sono principalmente alcol etilico e CO2; durante la fermentazione si sviluppa anche del calore; oltre a questo però il lievito produce anche un grande numero di sottoprodotti che hanno una enorme influenza sul sapore finale della birra, appartengono a questi prodotti sostanze come i solfuri, gli esteri, gli alcoli superiori ed il diacetile.

 

 

-Andamento della fermentazione:

-Latenza:
Quando mettiamo del lievito a contatto con del mosto, all' interno della cellula iniziano dei processi che hanno come finalità l'adattamento  della cellula al nuovo ambiente; vengono creati gli enzimi necessari all'assimilazione del nutrimento del mosto mentre il lievito utilizza delle sostanze che ha precedentemente accumulato (come il glicogeno) come fonte iniziale di energia. Questa fase dura poche ore e in questo periodo di tempo nel mosto non succede nulla. Il periodo di latenza può essere mantenuto breve se si ha l'accortezza di: fornire di ossigeno il lievito (respirando il lievito fa "meno fatica" a utilizzare le sostanze) e di seminare con un sufficiente N° di cellule; nel caso dell' utilizzo del kräusen (mosto in piena fermentazione) invece il periodo di latenza è nullo perché seminiamo con lievito già "avviato".

-Riproduzione del lievito nel mosto:
Durante l'iniziale periodo di latenza la quantità di lievito non cambia, successivamente inizia la riproduzione delle cellule e, se si ha arieggiato sufficientemente il mosto, avviene una crescita esponenziale che prosegue fino a quando si raggiunge una concentrazione di 45-50 milioni di cellule per millilitro; a questa concentrazione infatti si raggiunge una specie di equilibrio sia perché le cellule per unità di volume iniziano ad essere troppe (sovraffollamento) sia perché nella birra si formano delle sostanze (alcol e CO2) che risultano, oltre una certa dose, tossiche per il lievito stesso. In media la quantità di lievito che otteniamo alla fine di una fermentazione è di circa 2.5 volte la quantità iniziale (15-20 mil/ml); quando la quantità di estratto fermentescibile inizia a scarseggiare il lievito torna a sedimentarsi e alla fine della fermentazione solo pochi milioni di cellule/ml sono rimasti in sospensione nella birra, in questa fase una piccola parte delle cellule può morire (cellule vecchie).

 

-Dosaggio del lievito:
La quantità di lievito ottimale per la fermentazione del mosto è di 15-20 mil/ml che corrispondono a circa 0.5 Kg. di lievito per Hl. di mosto.
Questa quantità si riferisce a del lievito in "buono stato" con una mortalità inferiore al 10 %.

Sovradosaggio:
Velocità di fermentazione eccessiva
Aumento della mortalità (meno riproduzione)
Differente qualità della birra

Sottodosaggio:
Rischio di contaminazioni
Allungamento fase di latenza
Difficoltà nel raggiungimento dei 45-50 mil/ml senza areazione supplementare
Fermentazione lenta e a volte anche incompleta
Perdita di birra (a spese del lievito extra prodotto)
Differente qualità della birra

-Areazione del mosto:
Il mosto deve essere areato per permettere al lievito di "caricarsi" con abbastanza ossigeno, necessario per fornirgli quell'energia che richiede per riprodursi di 2.5-3 volte (cioè da 20 a 50 mil/ml); è da notare che nonostante dopo poche ore non si trovi più traccia di ossigeno nel mosto (perché già consumato dal lievito) quella piccola quantità iniziale ha "caricato" di ossigeno il lievito a sufficienza per 2-3 giorni, sufficienti per ultimare la fase di crescita esponenziale.

 

-Estratto reale-estratto apparente:
Durante la fermentazione si usa fare un controllo giornaliero sull'andamento della stessa utilizzando il saccarometro come strumento di misura. Con il procedere della fermentazione assistiamo alla trasformazione degli zuccheri in CO2 e Alcol; la CO2, essendo un gas, abbandona la birra (ad eccezione di una piccola parte che rimane disciolta) mentre l'alcol (che è un liquido) rimane nella birra. Il saccarometro però misura la densità della birra che viene influenzata dalla presenza dell'alcol il quale avendo una densità più bassa dell'acqua tenderà, mano a mano che viene prodotto, ad abbassare la densità. Si parla quindi di Estratto Apparente perché di fatto il saccarometro non ci dice quanto estratto abbiamo nella birra ma in realtà ci fornisce un valore falsato; per ottenere l'Estratto Reale invece occorre determinare la quantità di alcol presente per calcolare di quanto è stata modificata la densità; in laboratorio c'è uno strumento (lo SCABA) che fa proprio questa misura.

 

R.D.F. (Real Degree of Fermentation)
Tradotto in italiano si chiama Grado reale di fermentazione e consiste in una percentuale che rappresenta la frazione dell'estratto originale (prima della fermentazione) che è stata trasformata in altro (alcol, CO2, esteri ecc.).

 

-Temperatura :
Ha una grande influenza sulla fermentazione, ogni tipo di lievito ha una sua temperatura ottimale che deve essere mantenuta durante la fermentazione raffreddando il tank per impedire che l'energia sviluppata dal processo la innalzi.

Temperatura troppo alta:
Aumento della velocità di fermentazione
Maggiore formazione di schiuma
Maggiore creazione di sostanze secondarie (esteri)
Ambiente idoneo per i batteri
Differente qualità della birra

Temperatura troppo bassa:
Diminuzione della velocità di fermentazione
Minore creazione di sostanze secondarie
Possibilità di fermentazione incompleta
Difficoltà nell'eliminazione del diacetile
Differente qualità della birra

-Stagionatura/deposito:
Una volta finita la fermentazione e raffreddata la birra ha inizio la stagionatura; durante questa fase si ha una ulteriore decantazione del lievito e certi componenti della birra (tannini, proteine,...) tendono a combinarsi tra loro formando molecole complesse spesso abbastanza pesanti da precipitare sul fondo, in sostanza si può dire che avviene una specie di chiarificazione della birra, in più il prodotto tende a raggiungere una stabilità chimica; oggi non tutte le birre fanno la stagionatura perché abbiamo la possibilità di estrarre quelle componenti della birra che non desideriamo per mezzo del filtro a rigenerazione di PVPP, inoltre per mezzo di una centrifuga siamo in grado di filtrare della birra con qualche milione di cellule/ml in sospensione senza bloccare i filtri.

-Filtrazione
Principio:
Scopo della filtrazione è eliminare dalla birra di fine fermentazione, o fine stagionatura, tutto il lievito sospeso nonché separare tutte le sostanze al di sopra di una certa dimensione per ottenere un prodotto limpido e con una bassa torbidità; in più avviene una stabilizzazione che aumenta la stabilità chimico-fisica della birra.
Essa separa i torbidi che esistono già nella birra (torbidità) mentre, ad eccezione di parte delle proteine, non protegge la birra dagli intorbidamenti che si manifestano durante lo stoccaggio nella bottiglia o altro.

Il processo include tre tipi di azioni coesistenti:
Azione di superficie
Le particelle di diametro maggiore rimangono alla superficie dello strato filtrante occludendone i pori (è il caso dei flocculi di lievito).
Filtrazione di profondità
Le particelle più piccole vanno ad occludere i pori in profondità (la maggior parte del torbido separato).
Adsorbimento
E' un fenomeno di natura prevalentemente elettrica, la farina fossile è carica positivamente mentre i solidi sospesi lo sono negativamente; quello che risulta è una attrazione reciproca che tende a trattenere i torbidi anche se questi sarebbero abbastanza piccoli da attraversare lo strato filtrante.

-Stabilizzazione:
E' il processo necessario per conferire alla birra una sufficiente stabilità chimico-fisica durante il periodo di permanenza della birra nei depositi e quindi, fino alla data di scadenza. A differenza della filtrazione non si apprezzano miglioramenti immediati sulla birra ; per misurarli occorre infatti effettuare una analisi che accelleri l'invecchiamento della birra che si effettua in laboratorio.

-Centrifuga:


Separa le parti più pesanti dalla birra, in particolare il lievito sospeso. La birra passando attraverso i dischi posti in rotazione è soggetta ad una forza centrifuga di 5000 g (5000 volte la forza di gravità terrestre) che provoca l’accumulo delle parti sospese sul margine esterno della campana. Ad ogni scarico per un brevissimo tempo (centesimi di secondo) tra i due gusci che costituiscono il corpo della centrifuga si forma una sottile feritoia dalla quale il lievito precedentemente accumulato fuoriesce e viene separato nel ciclone esterno.
Abbiamo due tipi diversi di scarico: lo small disch (piccolo scarico) e il big disch (grande scarico).

-Raffreddatore:

E’ uno scambiatore a piastre in grado di abbassare la temperatura della birra da 7-10 °C a  -1°C. Come elemento di raffreddamento usa del glicole a -6 °C proveniente dalla sala macchine, un regolatore MPS provvede alla regolazione della valvola modulatrice del glicole in funzione della temperatura di uscita e durante l’avviamento regola il raffreddamento gradualmente con una rampa sul set-point. La regolazione è molto critica perché siamo vicini al punto di congelamento (di solito -1.8 °C) e per di più ad ogni scarico la centrifuga ferma il flusso di birra per pochi secondi.
Sul quadro del regolatore troviamo anche dei pulsanti che predispongono le valvole dell’impianto per lo svolgimento delle operazioni di filtrazione, riciclo, risciacquo e CIP.

-Polmone:
E’ un serbatoio in pressione pieno normalmente per meno di metà che ha la funzione di “ammortizzare” la variazioni di flusso che si creano dopo la centrifuga (specialmente durante lo scarico) in modo da alimentare correttamente le pompe centrifughe dei filtri.

-Filtri pressa (1 e 2):

 

-Costruzione:
Provvedono alla filtrazione vera e propria utilizzando come coadiuvante della farina fossile. Quest’ultima viene trattenuta da dei cartoni (appoggiati a dei telai) che fungono da supporto.
Consistono di pannelli sagomati e disposti in modo che a vuoti di grande dimensione (dove passa la birra in arrivo e dove avviene la deposizione dello strato filtrante) si alternino vuoti a spessore minore (nei quali fluisce la birra filtrata). La tubazione che immette la birra si sdoppia prima dell’entrata e percorre (attraverso i falsi tubi formati dal concatenamento della piastre) un lato del filtro, dall’altra parte invece si collettizza il filtrato che prosegue la sua via uscendo sia dalla testa del filtro che dal fondo (attraverso un tubo più piccolo).
Per contenere la miscela di farina fossile esiste un piccolo serbatoio provvisto di un agitatore, un iniettore di CO2 (per l’aria sulla superficie), una pompa a pistone per il dosaggio durante la filtrazione (continuo) e una pompa centrifuga che serve sia per l’alluvione che per il riciclo in caso di lavaggio.
Completano il filtro una pompa centrifuga di spinta, un flussimetro e una centralina idraulica con relativo pistone per la chiusura. Nel caso del filtro 1 (ex prefiltro) abbiamo anche una tramoggia con coclea per agevolare lo smaltimento dalla torta filtrante “esausta”.

 

-Alluvione:
Con questa definizione si intende la preparazione di un  prepannello sui cartoni del filtro in modo da costruire uno strato che impedisca il passaggio della farina fossile usata per la filtrazione (più fine) che potrebbe intasare i cartoni. La farina usata per la prima parte di questa operazione è molto grossolana ed è principalmente costituita da fibre di cellulosa, con questa struttura non solo si copre efficacemente la superficie del cartone ma si agevola anche il distacco della torta durante la pulizia del filtro; la quantità tipica di questo prepannello è di 1 Kg./m2. La seconda farina utilizzata invece è farina fossile normalmente più grossolana di quella che verrà utilizzata durante la filtrazione anche se è possibile l’utilizzo della medesima granulometria. Questo secondo pannello ha lo scopo di preparare un sottile strato di farina in modo che quando inizia la filtrazione si abbia uno spessore sufficiente ad impedire il passaggio di torbido che potrebbe intasare prematuramente la superficie filtrante.
Per l’alluvione si utilizza dell’acqua fredda a perdere o a riciclo, è possibile anche l’utilizzo dell’acqua deareata per diminuire la quantità di ossigeno disciolto nella birra vicina alle teste e code. Durante tutta questa fase è importante evitare ogni brusca variazione di pressione o di velocità perché si corre il rischio di provocare delle cadute di farina dai cartoni.

 

 

-Filtrazione:

 

 

Avviene dosando in continuo della farina fossile nella birra in modo che questa si depositi sulla torta a guisa di labirinto impedendone così l’intasamento, la quantità di farina normalmente utilizzata si aggira sui 100 g/Hl. In una filtrazione ben condotta (birra a posto) dovremmo vedere la pressione di ingresso alzarsi linearmente per tutto il tempo necessario a riempire il filtro e quindi salire sempre più velocemente a causa del riempimento totale del filtro (camere grandi piene di farina fossile). Nella realtà spesso la pressione aumenta prima di questo limite, specialmente nel caso della massiccia presenza  di sostanze colloidali che o sono troppo piccole per essere filtrate (in questo caso vanno ad intasare il cartone) o sono in numero troppo elevato (riescono a coprire la superficie filtrante prima che la farina riesca a creare dei nuovi passaggi nella torta).

 

-Farina fossile:
Chiamata anche diatomea, è costituita dai resti fossili delle diatomee (alghe microscopiche) e viene estratta da depositi di origine marina o lacustre dove esistono degli strati (sedimenti) sotto la superficie. Una volta estratta la farina viene sottoposta a dei trattamenti che comprendono un essiccamento, una macinazione e infine una "cottura" (oltre 800 °C) che elimina l'argilla e la parte organica eventualmente presente. Alla fine la farina è quasi totalmente costituita da silicio (che ha sostituito il calcio durante il processo di fossilizzazione). Sono le curiose forme di questi microscopici scheletri che danno alla farina la possibilità di formare, durante la filtrazione, una specie di labirinto nel quale la birra riesce a passare mentre le particelle vengono gradualmente trattenute.


 

 

-Filtro a rigenerazione di PVPP:

 

 

Si tratta di un Filter-o-mat 150s/5000 prodotto dalla Filtrox (S. Gallo, Svizzera).
Si tratta di un “pezzo a parte” perché è dotato di un proprio impianto di lavaggio (CIP) e può essere bypassato dalla linea di filtrazione (nel caso di utilizzo di PVPP a perdere). Il filtro ha una capacità di 50 Hl. ed è costituito da 38 piatti orizzontali per una superficie “filtrante” di quasi 50 m2. Sui piatti, montati su un perno centrale che funge da collettore del filtrato, si deposita, prima come prepannello e poi come continuo, il PVPP proveniente da un serbatoio (Dosimat) da 40 Hl. Il sistema è completamente automatizzato da un PLC Siemens ed il programma prevede le seguenti fasi:

-Messa in "pressione"
Pratica che consiste nella chiusura quasi completa delle uscite del filtro mantenendo all'ingresso dello stesso una pressione data da acqua fredda. Si opera in questo modo quando si è costretti ad interrompere una filtrazione prematuramente a causa di necessità operative o logistiche: la farina viene trattenuta sui cartoni grazie alla sua relativa adesività ed al piccolo flusso che è determinato dal passaggio dell'acqua.

-Sterilizzazione
Avviene passando acqua calda nel filtro, ma avendo l'avvertenza di non chiuderlo completamente in modo che l'acqua possa gocciolare attraverso le giunzioni in modo da sterilizzarle.

-Svuotamento
A fine filtrazione si aprono i filtri e si lavano manualmente le piastre spostandole ad una ad una: la farina esausta, ricca di sostanze proteiche, viene scaricata al depuratore.
Lavaggio
Per questo tipo di filtro non è possibile effettuare una pulizia con prodotti detergenti a causa della fragilità dei cartoni (composti da cellulosa) infatti vengono normalmente bypassati durante il CIP del circuito. Periodicamente si usa comunque lavarli con soda e a lavaggio ultimato si sostituiscono i cartoni ormai inutilizzabili.

-Filtro Trap:
Serve ad impedire che qualsiasi tipo di particelle più grandi di 3-5 micron (millesimi di millimetri) rimanga nella birra. E' un filtro di sicurezza, il suo compito è quello di ovviare ad eventuali passaggi di farina fossile o PVPP dai filtri. E' formato da cartucce filtranti strutturate in modo da avere la parte periferica con una porosità maggiore di quella interna in modo da aumentare la capacità di accumulo (filtrazione di profondità).

-Processo:

 

        

-Parametri:

Torbidità

E' data dalla quantità di materiale visibile presente nella birra ed è la caratteristica che più viene modificata durante la filtrazione. Partiamo infatti dal fermentatore con valori che sono oltre 20 volte quello che si otterrà alla fine del processo.
Dal controllo di questo parametro si stabilisce l'efficacia della filtrazione anche se purtroppo a volte si trovano dei torbidi così fini da non venire trattenuti dalla farina fossile.

Torbidità a lungo termine (Total Haze)
Con il tempo le proteine tendono a formare delle catene con se stesse ma soprattutto con i polifenoli presenti nella birra, fino a che diventano visibili; per forzare la reazione in laboratorio viene usato un trattamento termico che simula una permanenza, a temperatura ambiente, di 6 mesi. A differenza della torbidità "normale" questo tipo non viene limitato granché dalla filtrazione ma dalla stabilizzazione (con il PVPP) e ha grande influenza la temperatura di filtrazione perché questo tipo di legami (proteine-polifenoli) avvengono meglio a temperature basse.

Ossigeno

E' il nemico N° 1 della birra perché ne provoca l'ossidazione con conseguenze negative sia per le caratteristiche organolettiche (un classico sapore dell'ossidazione è quello della carta bagnata) che per la stabilità chimico-fisica perché favorisce la formazione di torbidi.
Occorre fare molta attenzione perché lavorando su quantità di ossigeno così basse (nell'ordine dei 0.3 ppm) la birra ne diventa avida per cui è sufficiente ad esempio una minima esposizione all'aria per provocare un forte innalzamento del valore. Per dare un'idea delle quantità, se noi usiamo una tubazione dove non si sia provveduto ad eliminare l'aria (spingendo con acqua) avremo una dissoluzione dell'aria residua nella birra; un volume di solo 10 litri di aria provoca un'innalzamento di 0.3 ppm a 100 Hl di birra.

CO2
Dà la frizzantezza alla birra e concorre alla formazione della schiuma. Già nel fermentatore abbiamo da 2.5 a 3.5 g/l di CO2 e tramite l'haffmans e il trameco portiamo questo valore fino a 5 g/l. Per questo motivo è obbligatorio lavorare con una pressione sufficiente a tenere legata la CO2 per tutto il circuito della filtrazione.

Colore

Diminuisce poco durante la filtrazione a causa della separazione di particelle (soprattutto proteine) che concorrono alla formazione del colore.

Amaro

E' dato dagli alfa-acidi contenuti e abbiamo una piccola diminuzione durante la filtrazione, di solito pari ad un punto di B.U. (unità di amaro).

Estratto

Iniziamo ad avere delle diluizioni al filtro, causate dalla iniezione della farina fossile mescolata con l'acqua ; al filtro PVPP avviene lo stesso fenomeno per via del dosaggio del PVPP. Fino a qui il calo è di circa 0.2 °P mentre durante la successiva iniezione di acqua deareata avviene la diluizione vera e propria con abbassamenti che vanno da 0.3 a 2.5 °P.

Polifenoli

Derivano dalla scorza del malto e dal luppolo e sono i maggiori responsabili della formazione di torbidità a lungo termine perché hanno una forte tendenza a formare delle catene con le proteine; questo processo viene enfatizzato dalla temperatura bassa.

Temperatura

Deve essere la più bassa possibile per consentire sia una efficace rimozione delle proteine "grosse" (quelle che si legano anche tra di loro altre che ai polifenoli) durante la filtrazione che la rimozione dei polifenoli durante la stabilizzazione. Idealmente dovremmo lavorare ad una temperatura il più vicino possibile al punto di congelamento (-1.5/-2.0 °C).

 

PROCEDURA PER LA PRODUZIONE DELLA BIRRA IN LABORATORIO

 

Di seguito sono riportate sia la procedura di laboratorio seguita durante la produzione della birra, sia quella Ottimizzata con l’analisi dei dati e delle problematiche incontrate durante la realizzazione. Possiamo quindi dire che la prima procedura riportata le operazioni svolte (anche non previste) durante il primo esperimento di produzione, mentre la seconda riporta una metodica il più possibile ottimizzata ed adattata ai processi in-laboratorio.

Procedura Seguita

Per comodità esplicativa, divideremo il processo in 5 fasi :
Macinazione del Malto
Lavaggio e Pulizia del Fermentatore e Materiale accessorio
Ammostamento e Luppolazione
Fermentazione del Malto per la produzione della birra
Imbottigliamento e Maturazione
Per ognuna di queste fasi passiamo ora a descrivere le operazioni svolte e tutte le informazioni ricavate.

Macinazione del Malto

- Materiali -
Malto(quantità fissata per il volume di birra che si vuole ottenere)
Macinino da caffè

- Procedura -
Introdurre nel macinino la quantità di malto per ottenere una quantità di birra prefissata, ed aspettare la macinazione completa. Accertarsi che la misura della macinazione non sia né troppo fina né troppo grossolana, al fine di conferire un sapore migliore alla birra. Riporre il malto macinato in un sacchetto e conservare in frigorifero.

Note : Nello svolgimento delle seguenti operazioni è bene indossare il camice e la mascherina di protezione, ponendo attenzione alle molte polveri prodotte.

- Teoria -
Questa fase se pur molto semplice è relativamente molto importante per la buona riuscita di tutte le fasi successive. Questa grande dipendenza del processo da questa prima fase è dovuta al fatto che una corretta macinazione, agevola, come dovrebbe permettere questa fase, la successiva estrazione dell’amido, proteine e di altre sostanze che conferiscono aroma alla birra, durante la fase di ammortamento. Oltre a questo una corretta macinazione consente una filtrazione più efficace, quindi una migliore limpidità della birra finita, con un effettivo strato minore di “posa”. Questi due concetti risultano chiari si considera che l’Ammostamento non è altro che un’estrazione di alcune sostanze, principalmente Amido e Proteine, dal chicco di malto frantumato. Sarebbe infatti più corretto parlare, non di macinazione (soprattutto a livello di produzione non industriale, quindi dove si dispone di attrezzature più sofisticate), bensì di frantumazione del chicco, che deve raggiungere una pezzatura tale da essere agevolmente trattenuto dal sistema filtrante, ma allo stesso tempo avere la superficie di contatto Malto/Acqua più ampia possibile. Da alcune prove (non previste) effettuate sulle trebbie trattenute dal sistema filtrante, è stata riscontrata presenza di Amido (saggio alla iodio) dopo agitazione forzata durante lavaggio con acqua distillata calda (bollente). Questa prova che forse riprenderemo a scopo espositivo più avanti, ci mostra che il sistema da noi adottato (considerando anche l’Ammostamento) lascia una notevole quantità di Amido (presumibilmente anche altre sostanze) all’interno delle trebbie (per trebbie si intende il malto macinato, dopo l’operazione di miscelazione con acqua). Questo però non ci permette di ottimizzare questa fase, in quanto la pezzatura da noi raggiunta, calcolando una “posa” (a riposo dunque) di 1 –1.5 cm rilevata 6 giorni dopo l’imbottigliamento su una serie di campioni (n° 19 – 22 –18 ) e diverse difficoltà in fase di filtrazione, ci portano a ipotizzare di aver raggiunto un buon rapporto [ pezzatura/sostanze estratte ]. Tale necessità non persiste poi, per il semplice motivo che la densità in fase di pre-fermentazione è superiore a quella teorica prevista, quindi l’estrazione è ipotizzabile ottimale, come la limpidità raggiunta.

- Calcoli -
Per calcolare le quantità dei malti, in relazione ai loro rapporti di combinazione e alla ricetta seguita (Allegato 1 ) si può procedere in questo modo :

Valori riportati nella ricetta :

Malto Pils                    3200 g     ( P )
Malto Vienna               450 g      ( V )                  Totali    3875 g
Malto Cara Pils            225 g      ( C )

Rapporti di combinazione (%) rispetto al fattore limitante (P)  :

V/P = 0.141                              C/P = 0.0703
V/P *100 =  14.1 %                  C/P *100 =  7.03 %

Relazioni :

conoscendo   P 

0.141 * P  =  V                          0.0703 * P  =  C

(Conoscendo uno dei tre valori P,V e C, cioè quello che risulta essere limitante, è possibile ricavare gli altri due con le relazioni di rapporto)

Nel nostro caso il Malto Totale è risultato essere 4200 g  =      4.2 Kg
Con le quantità di miscela di circa :  P  =  3450 g      V  =   500       C  =  250

In merito ai rapporti di combinazione dei malti riportati nella ricetta, la mancanza di informazioni dettagliate comporta un’analisi solo parziale dei risultati ottenuti, cioè ci rende impossibile una qualunque ipotesi per l’ottimizzazione di dati rapporti. Le sole informazioni in merito sono relative alle tipologie di malti usati e ci suggeriscono semplicemente che, mentre il malto Pils è principale nella creazione del “corpo” della birra (anche un maggiore apporto di Amidi, quindi grado alcolico), gli altri due malti contribuiscono principalmente all’aroma e probabilmente a compensare l’uso dell’altro malto in merito questo, fornendo un sapore più rifinito e caratteristico. Oltre a queste ipotisi però non siamo in possesso di dati, tanto meno misurabili, che possano aprirci una linea di ottimizzazione. Risulta quindi evidente che i rapporti di combinazione devono, più o meno, essere rispettati anche nelle future applicazioni del processo, oppure sostituiti con quelli certi di altre ricette prestabilite.

 

Lavaggio e Pulizia del Fermentatore e Materiale accessorio

- Materiali -
Soluzione di metabisolfito di sodio al 10%
Soluzione di ipoclorito di sodio al 5%
Acqua del rubinetto
Fermentatore, coperchio, rubinetto e guarnizioni
Gorgogliatore
Termometro
Densimetro
Mestolo
Imbuto
Bottiglie

- Procedure -

LAVAGGIO FERMENTATORE E RELATIVI ACCESSORI
Il fermentatore,  il coperchio, il rubinetto,  le guarnizioni e il gorgogliatore vanno  inizialmente immersi per circa 20 minuti in una soluzione di ipoclorito di sodio al 5%. Al termine dei 20 minuti sciacquare accuratamente il tutto con acqua del rubinetto. Per garantire una migliore pulizia e disinfezione immergere nuovamente tutti i materiali per altri 20 minuti in una soluzione di metabisolfito di sodio al 10%.  Per il risciacquo, in questo caso, è opportuno avere delle accortezze in modo da limitare il rischio di infettare di nuovo il materiale: sciacquare accuratamente con acqua del rubinetto facendo in modo che l'acqua non scorra mai dalle mani verso lo strumento ma il contrario. E' consigliabile anche non toccare con le mani le parti che dovranno essere immerse nel mosto. Per garantire una migliore pulizia e disinfezione immergere nuovamente tutti i materiali per altri 20 minuti in una soluzione di metabisolfito di sodio al 10%.  Per il risciacquo, in questo caso, è opportuno avere delle accortezze in modo da limitare il rischio di infettare di nuovo il materiale: sciacquare accuratamente con acqua del rubinetto facendo in modo che l'acqua non scorra mai dalle mani verso lo strumento ma il contrario. E' consigliabile anche non toccare con le mani le parti che dovranno essere immerse nel mosto.

LAVAGGIO DEL TERMOMETRO E DEL DENSIMETRO
Il termometro e il densimetro vanno  inizialmente immersi per MENO di  20 minuti in una soluzione di ipoclorito di sodio al 5%. (è IMPORTANTE non lasciare questi strumenti per lungo tempo nella soluzione di ipoclorito perché si potrebbero rovinare). Al termine dei 20 minuti sciacquare accuratamente il tutto con acqua del rubinetto.

LAVAGGIO DEL MESTOLO E DELL'IMBUTO
Il mestolo e l'imbuto vanno solamente lavati con ipoclorito di sodio al 5% e sciacquati accuratamente con acqua del rubinetto.

LAVAGGIO DELLE BOTTIGLIE
Le bottiglie per la conservazione della birra vanno lavate con ipoclorito di sodio al 5% e sciacquate accuratamente con acqua del rubinetto. Una volta effettuato il lavaggio sterilizzare il materiale in autoclave.

Note : Visto che il processo di pulizia richiede l'uso di materiali irritanti è SEMPRE importante indossare occhiali di protezione, guanti e camice.

- Teoria -
Questa parte del processo, è relativamente semplice sul piano teorico e pratico, ma fondamentale per le fasi successive. Come è evidente, sia la tempistica che le sostanze usate in questa operazione sono state adottate a partire da tecniche di sterilizzazione gia testate e rilevate efficaci, quindi su questo piano non risulta necessario fare ulteriori accertamenti e ottimizzazione, solo alcune constatazioni, e cioè se nelle fasi successive si sono verificati inquinamenti riscontrabili (sia nel prodotto finito che negli intermedi), e se le procedure si sono rivelate agevoli. Questo ci permetterà di migliorare l’adattabilità di queste tecniche alle operazioni di processo specifiche interne al laboratorio. Il principio su cui si basano le due sostanze usate sono : per l’ipoclorito, la capacità di rilasciare cloro, che data la sua tossicità risulta essere un perfetto agente sterilizzante, visto che procede ad agire su tutti i microrganismi che ne vengono a contato, unico svantaggio è il suo odore forte molto persistente, spesso anche dopo abbondanti risciacqui (da notare che il risciacquo è fondamentale, per evitare che la sostanza, permanendo sulla superficie sterilizzata, in particolare modo per il fermentatore, agisca da agente inibente sui nostri lieviti); per il bisolfito invece, la capacità, formando l’addotto bisolfitico, di bloccare l’acetaldeide, impedendone la successiva riduzione ad etanolo a carico del NADH, fase indispensabile del metabolismo fermentativo dei batteri, la sua azione risulta quindi essere molto più mirata ai batteri, oltre al fatto che non presenta il problema dell’odore (viene usato appunto perché sia per essere praticamente inodore, sia per essere meno rischioso per la popolazione dei lieviti) (vedi Allegato 2  #addotto bisolfitico#). Risulta altrettanto evidente che durante questa fase è fondamentale porre molta attenzione ai rischi di contaminazione post-sterilizzazione, cioè a quelli derivante dal contatto del materiale sterile con materiale contaminato, come ad esempio le mani, capelli, oggetti non sterilizzati, aerosol, altro. A questo proposito è stata precisata nelle metodiche una precisa tecnica di risciacquo, che è anche quella a più alto rischio di contaminazione post-sterilizzazione, e cioè facendo scorrere l’acqua in modo che tocchi prima l’oggetto e poi le nostre mani o altro che sia contaminato.
Prima di iniziare le operazioni successive, tutti i materiali sono stati lavati e trattati secondo le procedure sopra riportate. Tali trattamenti sono stati ripetuti anche diverse volte durante le operazioni successive, anche se spesso per comodità, sono stati ridotti i tempi e utilizzato maggiormente il bisolfito, oltre all’ausilio di sterilizzazione per mezzo di acqua bollente per una decina di minuti. Nelle descrizioni successive, verranno comunque riportate quando opportuno le varie tecniche utilizzate, se particolari e se si ritiene necessario riportarne le descrizioni.

Ammostamento e Luppolazione

- Materiali -
Fermentatore e relativi accessori
Pentola in acciaio inox da circa 20-22 litri
Pentole in acciaio inox da circa 10 litri   (due pentole)
Pentole in acciaio inox tra 10 e 20 litri (accessorie)
Acqua elle caratteristiche appropriate circa 30 litri
Termometro a sonda (termometro certificato)
Mestolo (o cucchiaio)
Sistema filtrante ( sedia, secchio, telo di cotone)
Luppolo in pellets
Sistema riscaldante Bunsen
Sistema riscaldante Fornello con testa grande (a gas di linea)
Acido Ortofosforico
Colino (passino maglie standard)
Sistema di raffreddamento (lavandino)
Densimetro
pHmetro e termometro (classico)
Capsule di porcellane
Reattivo allo iodio (tintura o altro)

- Procedura -

Preparazione del mosto
Prendere il contenitore/fermentatore, predisporlo sopra il fornello, e inserire 16 lt di acqua (della durezza designata, - - -)(ione idrocarbonico meno di 70 mg/l)
Riscaldare la massa d’acqua fino a raggiungere la temperatura di 50 °C (ca.20-22 minuti)
Raggiunta la temperatura di 50 °C, aggiungere lentamente la miscela di malto (predisposta) sotto costante agitazione. L’aggiunta lenta del malto deve essere accompagnata da un aumento graduale della fiamma che compensi l’abbassamento della temperatura. La temperatura durante questa fase deve rimanere intorno ai 50 °C. L’agitazione deve essere operata tramite cucchiaio (predisposto: lavato e sufficientemente lungo) fino sul fondo del recipiente, al fine di evitare che il malto più vicino alla fiamma bruci.
Terminata l’aggiunta del malto, controllare il pH tramite pHmetro (prelevando un campione dopo mescolamento; nota caratteristiche della sonda). Correggere il valore del pH fino al valore di 5.5, utilizzare come correttore di acidità succo di limone o acido ortofosforico. Questa fase serve per correggere valori troppo alti di pH.
Riscaldare da 50 °C a 68 °C sotto costante agitazione, particolarmente sul fondo del recipiente (ca. 15-18 minuti).
Raggiunta la temperatura di 68 °C, mantenerla stabile per 30 minuti. Questa fase può essere portata avanti spegnendo la fiamma (o molto bassa, non riscaldante), coprendo il recipiente con l’apposito coperchio e facendo controlli di temperatura ogni 5 minuti, eventualmente riportare la temperatura a 68 °C riscaldando. I controlli di temperatura possono essere effettuati direttamente sulla massa di mosto dopo miscelazione.
[Dopo 25 minuti, iniziare a predisporre il riscaldamento di 6 lt di acqua di lavaggio, in recipiente consono (predisposto: lavato, opportuna capacità, acciaio), e riscaldare la massa d’acqua fino a 78 °C.]
Dopo 30 minuti, riaccendere la fiamma e portare la temperatura a 78 °C (ca. 10-13 minuti), mantenerla stabile per 15 minuti (non superare questo tempo). Ripetere lo stesso sistema di controllo termico precedentemente utilizzato. La fiamma deve rimanere spenta e il recipiente coperto, come in precedenza descritto. [iniziare predisposizione sistema filtrante]

Filtrazione del mosto e lavaggio trebbie
Predisporre il sistema filtrante (predisposto: secchio forato con sacco di lino, vedi procedura).
Filtrare il mosto (richiede almeno 1 ora). Durante questa fase, se il filtrato risulta essere torbido, inserirlo nuovamente nel sistema filtrante. Per velocizzare le operazioni successive, è bene raccogliere il filtrato in più parti, così da poter iniziare le procedure successive. Sul filtro si accumulano le trebbie (materiale trattenuto dal filtro), queste non devono mai essere esposte all’aria, devono essere quindi sempre mantenute sotto uno strato di mosto (filtro mai a secco). Prima di terminare la filtrazione di tutto il mosto, cioè prima che il filtro vada a secco, predisporsi per le operazioni di lavaggio delle trebbie. [proseguire con il riscaldamento delle acque di lavaggio 78°C 6 lt]
Durante la fase di filtrazione, lavare accuratamente il contenitore/fermentatore e predisporlo (sterilizzarlo) per la fase di fermentazione.
Durante la filtrazione le aliquote gia filtrate, possono essere preventivamente riscaldate per la successiva fase di cottura nel contenitore predisposto (pentola: lavata di adeguata capacità e con manici). Iniziare quindi il riscaldamento del mosto filtrato portandolo alla temperatura più vicino possibile a quella di ebollizione. Durante questa fase aggiungere la prima porzione di luppolo ( 28 g ). Non portare all’ebollizione.
Prima che il filtro vada a secco, cioè quando le trebbie alla base del filtro sono ancora sommerse, inserire delicatamente e in maniera distribuita l’acqua di lavaggio precedentemente riscaldata (78°C 6 lt). Questa fase può essere eseguita tramite un innaffiatoio, il cui utilizzo evita la formazione di percorsi preferenziali delle acque di lavaggio. Questa fase deve essere condotta sempre con le trebbie coperte da liquido ed evitando di creare turbolenza quindi rimescolare le trebbie (evitare rimescolamento delle trebbie depositate). La fase di lavaggio delle trebbie deve essere veloce in quanto, se troppo lenta si causa l’estrazione di tannini che conferiscono cattivo sapore alla birra.
La fase di lavaggio delle trebbie termina quando la densità del mosto filtrato raggiunge 1.008 (quello cioè delle acque di lavaggio), oppure quando si raggiungono i volumi desiderati.
Terminato il lavaggio, portare il mosto filtrato all’ebollizione e aggiungere l’altra parte di luppolo ( 28 g ). Questa fase di cottura (ebollizione) con il luppolo deve durare 60 minuti.
Passati 60 minuti, procedere all’aggiunta della terza parte di luppolo ( 28 g ) e continuare l’ebollizione per 30 minuti. La fase di ebollizione, serve oltre che per estrarre sostanze dal luppolo, per sterilizzare il mosto.
Durante le fasi di bollitura, predisporre la serpentina (predisposta: serpentina di rame o altro) per il raffreddamento rapido del mosto, lavarla accuratamente.
Prima del termine della bollitura, circa 10 minuti prima, immergere la serpentina nel mosto che sta bollendo così da sterilizzarla. [prepararsi per le fasi successive – seconda filtrazione]
Terminata la bollitura del mosto, aprire l’acqua della serpentina di raffreddamento e iniziare il raffreddamento rapido, portare la temperatura al di sotto dei 26-30 °C. [NB : dopo la bollitura bisogna evitare assolutamente di contaminare il mosto(sterile), intrudendo materiale non sterilizzato(cucchiai o altro) o adottando un comportamento poco igienico (es. annusando il mosto).
Filtrare il mosto cotto direttamente nel fermentatore attraverso un colino (predisposto: lavato, sterilizzato, eventualmente adattato- maglie più fitte o lino-). Evitare di contaminare il mosto. Se possibile, questa fase deve essere eseguita facendo cadere il mosto da una certa altezze e con una certa energia in modo da provocare una prima aerazione del mosto.
Terminata questa fase, misurare la densità del mosto e apportare le opportune correzioni di volume. Il densimetro deve essere accuratamente lavato e sterilizzato (immerso 20 minuti in ipoclorito di sodio, poi risciacquarlo con acqua), evitare quindi ogni possibile contaminazione del mosto (sterilizzare gli oggetti che vengono a contatto con il mosto). La densità del mosto deve essere prossima a 1.048, questa può essere corretta aggiungendo acqua minerale. In questa fase è possibile comunque riportare il volume del mosto a quello teorico ( 20,6 lt ), ricordando che con il diminuire della densità diminuisce anche il grado alcolico della birra.
Prima di passare alla successiva fase di fermentazione (aggiunta lievito), procedere all’estrazione di un’aliquota di mosto. Riempire una bottiglia predisposta (plastica, sterilizzata) con il mosto, tapparla e inserirla in frigorifero. Evitare la contaminazione della bottiglia, che deve mantenersi sterile e servirà come substrato per i lieviti conservati.

Note : La procedura sopra riportata è la procedura teorica che è stata sviluppata prima della prova di laboratorio. Di seguito, nella parte Teorica, riporteremo punto per punto tutta la procedura realmente eseguita in laboratorio, analizzeremo i dati raccolti e ne trarremo tutte le dovute conclusioni ai fini dell’ottimizzazione, di seguito descritta.

- Teoria -
Per quanto riguarda la teoria, questa è l’operazioni più complessa e centrale di tutte, da questa dipende la formazione di quei presupposti alimentari necessari per la fase di fermentazione e di tutto l’insieme delle sostanze determinanti aromi, amaro, schiuma ecc. Per comodità divideremo l’ammostamento dalla luppolazione e cioè definiremo queste due fasi come : la prima, dalla miscelazione acqua-malto macinato fino alla prima filtrazione; la seconda, da questa prima filtrazione a quella successiva e all’inserimento del mosto nel fermentatore.
a) dato punto della procedura, definisce la quantità di acqua che deve essere inserita di partenza per la miscelazione malto macinato-acqua. Nella nostra metodica teorica il calcolo era stato eseguito tenendo presente il rapporto di volumi della ricetta, per cui era possibile considerare che :

se per 3875 g totali di malto, si ottengono 19 litri di birra finita

Relazione :

19 / 3875  =  x  :  y         

dove_ x = litri di birra teorica finita che si ottengono con una massa totale di malto y

essendo nel nostro caso y = 4200 g 

Risulta essere  x  =  19 / 3875   * y     =      19 / 3875  *4200  =    20.6 lt    Teorici  

A questo punto possiamo considerare la regola generale sul rapporto acqua/farina :

per un rapporto  4 : 1  si ha un effetto di diluizione sugli enzimi, la conversione dell’amido è rallentata ma il mosto a fine processo è più fermentescibile perché gli enzimi non sono stati inibiti dalle alte concentrazioni di zuccheri.
Per un rapporto  2.5 : 1  si favorisce la proteolisi e una più rapida conversione dell’amido ma i prodotti della degradazione sono meno fermentescibili.

Nella prima stesura della metodica ci eravamo serviti principalmente di un altro grafico (Allegato 3). Questo grafico non è altro che una curva di riscaldamento di 15 lt di acqua, ad opera del nostro sistema riscaldante Fornello a gas di linea, alla massima velocità disponibile (massima apertura del gas). Da questo grafico, oltre a ricavarci poi tutte le teoriche tempistiche di riscaldamento, fondamentali per avere una prima idea del processo (che si è rivelata anche molto discordante i dati punti), abbiamo ipotizzato, che per poter usufruire con la massima corrispondenza di questa curva sperimentale, si doveva assolutamente mantenere un volume di liquido intorno a 15 lt, anche perché poi vi avremmo dovuto aggiungere il malto e il margine di errore sarebbe aumentato (non di troppo). Abbiamo perciò optato per un volume di partenza pari a 16 litri, che garantiva un rapporto acqua/farina di :

19 lt  /  4.2   Kg          =    19   Kg   /   4.2   Kg      =    3.8       quindi     3.8 : 1

Tale rapporto risulta essere compreso tra i due rapporti sopra citati e, molto vicino a quello della prima situazione (4:1), quindi accettabile. Oltre a questo il volume di liquido risulta essere aumentato di appena 1/15 del volume della curva di riscaldamento, quindi relativamente vicino e conciliabile con esattezza.
Nella nostra ottica di ottimizzazione però, ora che abbiamo raccolto diversi dati, non possiamo non considerare anche altri fattori, come i valori di densità riscontrati durante il processo, e le caratteristiche migliori per l’estrazione di sostanze durante la fase di ammostamento, tutto in relazione alle problematiche emerse. Prima di tutto sarebbe bene elencare quelli che potremmo considerare i primi riscontri negativi, cioè da correggere, che sono stati rilevati alla fine del processo:
la birra presenta un grado i amaro, relativamente alla tipologia (molto amara gia di suo), molto alto, o comunque leggermente diminuibile.
La birra non presenta quasi la minima capacità di trattenere la schiuma, cioè non contiene quelle sostanze fondamentali per la così detta “stabilità ella schiuma”
La birra presenta un certo corpo di fondo, anche se relativamente al processo seguito il valore rientra su una casistica molto ottimistica.
La birra presenta un grado alcolico probabilmente molto alto rispetto a quello teorico richiesto dalla ricetta.
La birra risulta essere non troppo gassata, ma data caratteristica è di difficile correzione o comunque non necessaria.
La Resa del processo è risultata essere inferiore ai valori gia calcolati dalla ricetta e, in relazione a questi la resa è risultata essere del 68 % (ed una resa sui volumi di acqua utilizzata del 50 %)
I tempi del processo sono praticamente raddoppiati, comportando un notevole dispendio di energie.
Tali riscontri sono solo alcuni di tutti quelli emersi dall’analisi dei dati (durata diversi giorni), e sono quelli più semplicemente individuabili, anche senza un vero e proprio riscontro grafico-numerico.
Analizzando quindi la scelta dei volumi in un’ottica molto più ampia, e considerando che possiamo, almeno in linea teorica calcolare la potenza del nostro sistema di riscaldamento, partendo dalle seguenti supposizioni teoriche :

Dalla formula per il calcolo dell’abbattimento termico del malto durante la fase di miscelazione ricaviamo le capacità termiche (medie) dell’acqua  [Ca = 4.2  KJ/Kg/°C ]  e del malto [Cm = 2.3 KJ/Kg/°C ] (calori specifici)

Analizzando il grafico dell’Allegato 3 abbiamo potuto uguagliare i dati temporali e termici (unitari) con i valori termici espressi non in temperatura ma bensì in quantità di calore data da :

Q =  Cp * T * m                   dove_ Cp = calore specifico , T = temperatura   e  m = massa

Ora considerando il grafico all’Allegato 3, determinato su un volume di 15 lt di acqua, approssimabili a 15 Kg di acqua, possiamo scrivere un grafico dove mettiamo in relazione calore e tempo. In questo modo si possono mettere in relazione non solo le curve di acqua riscaldata per un determinato volume (Allegato 3) e quelle sperimentali ottenute dalle rilevazioni eseguite durante il processo, ma si possono supporre periodi di riscaldamento di riferimento teorici, per una data composizione, che possano avvicinarsi anche solo indicativamente alla realtà, e quindi fungere da valido strumento di programmazione delle operazioni di processo.
Questa parte verrà comunque omessa e non si faranno ulteriori riferimenti, in quanto spesso l’approssimazione dei valori calcolati è stata fatta per via del tutto intuitiva, o meglio come detto prima prendendo tali valori esclusivamente come riferimenti di massima.
Tornando alla questione dell’ottimizzazione del processo, in relazione ad altri parametri, si è deciso di considerare la seguente linea complessiva di azione :
considerando che le densità riscontrate sono alte rispetto alle aspettative, che le perdite di acqua sono comunque sostenibili, che le variazioni nella tempistica di riscaldamento non dovrebbe variare che di una valore (una volta ottimizzato il processo) dell’ordine dei minuti, possiamo decidere una quantità di partenza pari a 18 lt di acqua. Tale valore comporterà un aumento del rapporto acqua farina, che comunque rimane nell’ordine prestabilito ( 4.3 : 1), considerando anche che per la prova precedente non si sono verificate perdite in relazione al comportamento enzimatico in prossimità di tale rapporto. Consideriamo poi anche che in questo modo si diminuirà la concentrazione del mosto, quindi si favorirà la dissoluzione non solo dell’amido, a di tutte le altre sostanze, in particolare modo si tenterà di favorire l’estrazione di quelle sostanze responsabili della schiuma, necessarie, introducendo anche altre soste di ammostamento o comunque, cicli di riscaldamento in salti termici e di pH controllati.
b)Nella prova svolta la temperatura raggiunta è stata di 63.9 °C, con un abbattimento post-miscelazione fino a 60.5 °C
Nella metodica ottimizzata, prevediamo invece di partire dalla temperatura di riscaldamento di 45°C. Per non confonderci comunque dobbiamo precisare che la temperatura di partenza di riscaldamento, non è la temperatura che deve raggiungere l’acqua prima della miscelazione con il malto, in quanto questa è superiore, visto che tiene conto dell’abbattimento dovuto al calore assorbito dal malto macinato.
A Questo punto è stata introdotta una formula per il calcolo dell’abbattimento termico durante la fase di miscelazione (quella a cui ci siamo riferiti marginalmente prima).

Volume Acqua di partenza   =   V
Quantità di Farine (malto macinato)  =     F
Capacità termica Acqua =    Ca    4.2   KJ/Kg/°C
Capacità termica Farine =    Cf     2.3   KJ/Kg/°C
T°1 =    Temperatura di partenza dell’acqua
T°2 =    Temperatura di partenza delle farine
T°3 =    Temperatura finale che i vuole raggiungere dopo l’abbattimento 

Formula :

V * Ca * T1  +  F * Cf * T2   =  V * Ca * T3   +  F * Cf * T3 

Dai dati gia ricavati dalla prova svolta sappiamo che il pe-riscaldamento delle farine riesce ad arrivare sui      30° < T2 > 40 °C   (ponendo la stufa a circa 50 °C  e tenendo il malto per 30-35 minuti in stufa, e miscelandolo subito dopo estrazione dalla stessa, inserimento in stufa in sacchetto)

Quindi avremo T2 = 40°C    T3 =  45°C      V= 18lt = 18 Kg      F= 4.2 Kg     T1  =   x

Otteniamo  T1  =   45.6 

In merito  a queste e ad altre considerazioni, la temperatura di partenza può essere fissata intorno ai 47-48 °C    (potremmo arrivare benissimo fino a 50°C, poi spiegheremo perché)

c)Questa fase è riassumibile nella semplice aggiunta del malto macinato e di una costante e meticolosa agitazione, che deve essere portata fino sul fondo (particolarmente sul fondo, al fine di evitare la bruciatura del malto, e relativa produzione di sostanze dal sapore sgradevole (appunto bruciato).

d) il controllo di pH è una fase semplice ma molto importante, da questa infatti dipende tutta l’attività enzimatica (vedi Allegato 6), quindi un certo pH può favorire o sfavorire l’azione di alcuni enzimi, sino a fermarne alcuni e ad eleggerne altri. Questo valore è stato considerato ottimale intorno a 5.5 che è un grado intermedio che favorisce le due tipologie di enzimi principali, le alfa e le beta amilasi, oltre al fatto che non compromettono l’azione di altri enzimi, come le proteasi e altri ancora (tutto sempre relazionato alla temperatura a cui si sta ragionando, è ovvio). La correzione come si può notare è di tipo esclusivamente acido, in quanto difficilmente i valori di pH post-miscelazione sono inferiori a 5.5 di pH. Il valore rilevato in laboratorio, considerando anche che è stato effettuata la correzione di temperatura (in automatico con il pHmetro, uso della sonda termica) come previsto è stato di 5.53 (con un margine di errore riscontrato di 0.01). Con tale valore di PH non è stata effettuata alcuna correzione di pH. La metodica Ottimizzata, non prevede alcuna variazione in merito al pH ottimale.

e)Questa è una delle fasi di riscaldamento che segue il processo di ammostamento e che sono in tutto principalmente 4, tra cui due attive e due di sosta. La metodica applicata in laboratorio, utilizzava solo le due soste principali dell’ammostamento, mentre per quella ottimizzata, si pensava di ampliare il campo delle soste e comprenderne anche altre, tra le tante possibili. Tutte le soste di cui siamo riusciti a documentarci, sono state prese in considerazione e studiate in merito alle loro utilità, alla loro tempistica, alla loro difficoltà, al loro rischio per il processo e sopratutto in relazione le une con le altre e con le considerazioni sul prodotto birra ottenuto (precedentemente accennate). Prima però di passare ad una breve discussione sulle scelte fatte, che come abbiamo detto sono state comprensive di innumerevoli fattori, dalle densità, al pH per arrivare ai volumi e ai vari rapporti ecc., descriviamo sinteticamente il chimismo base di questo processo. L’ammostamento come abbiamo gia detto consiste in una sequenza di soste termiche (quindi anche dei relativi riscaldamenti), dove ad opera di particolari enzimi, gia contenuti nel malto (proprio perché è malto e non orzo), trasformano le sostanze estratte dal malto stesso in sostanze più semplici. Per essere più precisi quando si parla di ammostamento si parla principalmente di tre tipi di enzimi che sono, le alfa e beta amilasi e le proteasi. Le prime due attaccano l’Amido e lo idrolizzano a destrine (pezzo, frammento più o meno lungo di amido) e maltosio, mentre le seconde demoliscono parzialmente le proteine. Questi sono gli enzimi principali in quanto sono indispensabili, le amilasi per produrre il substrato della “fermentazione”, cioè il nutrimento per i lieviti che ne trarranno energia (tramite metabolismo fermentativo) producendo come prodotto secondario alcol etilico, come fanno anche le proteasi che forniscono materiale “alimentare” per i lieviti. Sia gli uni che gli altri intervengono molto sul sapore e sull’arma della birra in quanto, la loro azione non deve essere completa e cioè deve permettere che rimangano sostanze più complesse come peptoni (frammenti delle proteine) e destrine, le prime da arte elle proteasi e le seconde da parte elle amilasi. Non trasformando quindi tutte le sostanze più complesse in quelle più semplici, tipo amido in zuccheri monosi, cioè ottenendo anche sostanze di complessità intermedia tipo le destrine, si può dare alla birra un suo caratteristico sapore (corpo della birra e aroma).
Il processo quindi prevede un riscaldamento fino a 68 °C (con pH 5.5), sosta ottimale (scelta appositamente) per favorire (vedi allegato 4) queste tipologie di enzimi ed in particolar modo le alfa amilasi, che come si può notare dai tabulati, si possono distinguere dalle beta amilasi per alcune caratteristiche. Dopo questa prima sosta di 30 minuti, si può passare al successivo riscaldamento e alla successiva sosta a 78 °C. Questa sosta diversamente da quanti si può pensare non comporta alcuna attività enzimatica, anzi il suo scopo è l’inverso, cioè quello di inattivare tutti gli enzimi, denaturandoli e non permettendo ulteriori modifiche nelle fasi successive delle caratteristiche del mosto (possiamo infatti gia palare di mosto, solo che non è ancora stabilizzato, data sosta infatti può anche essere chiamata di stabilizzazione). Questa fase ha una durata di 15 minuti, anche se in genere non è mai consigliata sopra i 6-7 minuti, in quanto a queste temperature (78-80 °C) si rischia l’estrazione di tannini che agiscono sia da anti-schiuma (quindi sono dannosi), sia presentano un sapore nettamente sgradevole (rovinano la birra). Nel nostro caso comunque non sono stati riscontrati problemi in merito a questa fase,se pur sia essa prolungata. Ultima cosa da dire è in riferimento al particolare saggio cha si usa per determinare la presenza di amido, il saggio allo iodio. Questa tecnica permette di determinare la presenza dell’amido, quindi fino a quando continuare (nel nostro caso la tempistica era però fissa) la sosta a 68° (fino a saggio negativo). Questa prova può essere osservata sull’atlante fotografico correlato al lavoro atlante fotografico.
Per quanto riguarda l’ottimizzazione invece, le nostre modifiche riguardano l’aggiunta di alcune soste. L’ipotesi è quella che :
introducendo le soste caratteristiche per l’estrazione di quelle sostanze specifiche per la formazione della schiuma, per la sua stabilità, e per la realizzazione di un “corpo” molto più caratteristico, per così dire più “buono”, si possa effettivamente migliorare queste caratteristiche senza comprometterne altre. Anche se può sembrare scontato, questo problema del “tira di qua che viene giù di là” è particolarmente complesso infatti, migliorando alcune cose si rischia, spesso per insufficienza di mezzi idonei a non mantenere accettabili altre caratteristiche, risulta essere comunque un rischio.
Le modifiche si basano su questo :
far partire il riscaldamento dalla temperatura di 45 gradi, raggiungere quindi i 68 °C (sostare per i prescritti 30 minuti, e nel caso anche confrontando con lo iodio), poi riscaldare fino a 71-72 °C, rimanere in sosta per 10 minuti, poi riscaldare fino a 78 °C e rimanere stabili per 15 minuti (anche un pochino meno, 12 minuti).
Il perché di questo nuovo piano di soste è :
a 45 °C agiscono principalmente gli enzimi che degradano le proteine in prodotti a basso peso molecolare, che servono principalmente come nutrimento per i lieviti. (infatti questa fase, di cui non avremmo troppo bisogno, si realizzerebbe nei pochi minuti del riscaldamento fino a 55°C)
a 55°C agiscono principalmente gli enzimi che degradano le proteine in prodotti ad alto peso molecolare, che servono per conferire alla birra gusto, schiuma, pienezza e torpidità. (Questa fase, di cui abbiamo molto bisogno, si prolungherebbe in crescendo dai 45°C fino ai 55°C e poi diminuendo fino ai 68°C)
In questo contesto bisogna considerare l’enzima fitasi che funziona dai 30 ai 52 °C circa, ed ha il principale scopo di abbassare il pH, precipitando alcuni sali. Dato enzima potrebbe costituire un problema, in quanto potrebbe abbassare troppo il pH, e rendere meno attivi l’attività degli altri enzimi, che lavorano quasi tutti bene al pH ottimale 5.5. Per questo motivo sarebbe meglio fare ripetuti controlli di pH tra 1 45 e i 55 °C, rimanendo leggermente più larghi, nel caso, con la correzione di pH, comunque senza esagerare per evitare che si rallentino anche gli altri enzimi.
La sosta a 71-72 °C invece, che deve essere anche molto precisa (questi enzimi lavorano bene solo a questa temperatura, margine di errore 0.5 °C), sfrutta degli enzimi che servono formazione di sostanze fondamentali per la stabilità della birra. In questo caso i tempi possono essere aumentati fino ai 15 minuti, e volendo anche fino a 30 minuti, in genere infatti l’intervallo consigliato è tra 15 e 30 minuti.
Ritornando al discorso delle soste, sarebbe possibile effettuare una sosta di 7-8 minuti anche alla temperatura di 55 °C (anche 5 minuti dovrebbero bastare), così da migliorare l’efficacia del processo di riscaldamento (spezzandolo in un punto specifico).
Per quanto riguarda l’ottimizzazione, sono stati elencati tutti i punti, sinteticamente trattati, in merito alle scelte fatte. Questo punto comprendeva anche i successivi punti f) e h)

g)Questo punto invece riguarda semplicemente un’ottimizzazione della tempistica che, purtroppo, durante la prova pratica è stata realizzata fuori tempo. Consiste semplicemente in un pre-riscaldamento di una aliquota di 6 lt di acqua a 78 °C, necessaria per le operazioni di lavaggio.
Unica nota è quella di predisporre per il riscaldamento, un sistema di tre sostegni vicini, con sotto due fiamme bunsen di attacco alla linea gas adiacente. Se possibile sarebbe meglio predisporne anche più di uno (due sarebbero ideali per risparmiare ¼ del tempo), così da poter riscaldare contemporaneamente più aliquote.

i)la predisposizione del sistema filtrante è stata operata in modalità completamente diversa da quella procedurale che si era prestabilita, a causa di alcuni problemi tecnici. Il sistema filtrante è costituito da una sedia aperta sotto, o altro sostegno che permetta ad un secchio forato su fondo di porgere i propri fori liberamente verso il basso, dove depositare una pentola per la raccolta del filtrato. Il filtro vero e proprio è costituito da un telo di cotone, posto internamente al secchio e fermato ai bordi del secchio con delle corde. Per tale sistema si è rilevata la possibilità di ottimizzare, velocizzando il processo, e cioè sfruttando a pino la superficie inferiore del filtro, che altrimenti, a contatto con la parte non forata del secchio, tende ad intasarsi subito. Il sistema consiste nell’inserire tra la parte forata del secchio e il filtro, uno spessore, tipo assi di legno o meglio ancora un passino capovolto, che garantisce, oltre al fatto che è forato, una maggiore superficie, data la sua semi sfericità.

j)k)risultano chiare e non bisognano quindi di alcuna precisazione. Sono state eseguite come previsto dalla metodica. Unico accorgimento, è quello di porre molta attenzione a non mandare troppo a secco le trebbie (sempre bagnate). Lo scopo della filtrazione, è quello di separare dal mosto la parte solida (trebbie) che non devono assolutamente finire nel fermentatore, quindi in bottiglia. Una specie di chiarificazione ad opera di un sistema fisico.

l)Mentre si filtra è necessario iniziare a raccogliere il filtrato ed iniziarlo a pre-riscaldare. Questa fase durante la prova di laboratorio è stata svolta in maniera troppo lenta e non frazionata, cioè si è iniziato a riscaldare troppo tardi e il luppolo è stato inserito troppo presto. Questa fase di prima luppolazione (con 1/3 del luppolo complessivo) è quella che conferisce il sapore aromatico del luppolo e non esclusivamente il suo sapore amaricante. Questo perché il sapore amarcante è dovuto al rilascio da parte del luppolo degli alfa acidi, i quali però vengono rilasciati quasi esclusivamente durante la fase di bollitura (temperatura sufficiente), mentre a temperature più asse vengono rilasciate altre sostanze che conferiscono alla birra il caratteristico aroma di luppolo. Ora il problema è quello di riuscire ad ottimizzare il sistema associando questi due aspetti del luppolo, riuscendo a diminuire l’amaro e allo stesso tempo aumentare l’aroma.
La strategia per questa ottimizzazione consiste nel :
lavorare con aliquote separate di mosto in modo da permetterci di svolgere le due azioni separatamente.
La prima aliquota raccolta, di circa 8-9 litri, viene portata ala temperatura di 50-60 gradi e vie aggiunto, ancora prima di iniziare a riscaldare il luppolo.
La seconda e le successive aliquote vengono raccolte nella pentola più grande, o nel caso nel fermentatore, e riscaldate fino alla temperatura prossima a quella di ebollizione 80-85 °C
Completate tutte le aliquote di lavaggio, riunire i mosti ed iniziare il riscaldamento fino all’ebollizione.
Aggiungere a questo punto la seconda parte del luppolo, ma invece che per 60 minuti, continuare l’ebollizione per 52-55 minuti.
Dopo questa fase, aggiungere la terza parte del luppolo e mantenere l’ebollizione per 36-37 minuti. (eventualmente correggere i volumi prima dello scadere dei 10 minuti dall’inizio di questa seconda bollitura)
La luppolazione quindi non è altro che la fase in cui si aggiunge luppolo, infiorescenze femminili dell’Humulus luppulus, al fine di conferire alla birra il suo caratteristico spore amarognolo (dissetante) e il classico aroma di luppolo. Questo avviene tramite un processo a multi aggiunte, con tempistiche molto particolari e caratteristiche per ogni tipo di birra e ricetta. In questo documento ci siamo riferiti alla “Luppolazione” con un termine che è in uso normalmente nei testi riguardanti le produzioni della birra, mentre in realtà il termine corretto che descrive questa fase di aggiunta di luppolo è “Luppolizzazione” (da vocabolario). Questo punto comprende sinteticamente anche i punti o) p) q) r)

m)n)questo punto riguarda la fase del lavaggio delle trebbie, una delle più importanti ma spesso trascurate operazioni che si eseguono dopo l’ammostamento. Anche se non è corretto inserire filtrazione e lavaggio nell’operazione di ammostamento, spesso queste due fasi intermedie completano il discorso più generale su questo punto del processo. Risulta infatti difficile separare il lavaggio dall’ammostamento, visto che il secondo serve esclusivamente a recuperare la maggior parte delle sostanze (zuccheri) che vengono prodotte in fase di ammostamento. Queste sostanze infatti, tipo gli zuccheri, tendono ad aderire alla superficie dei chicchi frantumati, cioè alle trebbie, finendo per non essere traspostati insieme al mosto che scorre via dal filtro. Il lavaggio consiste nel risciacquo delle trebbie con acqua bollente e a differenza del mosto povera di sostanze disciolte. In questo modo è possibile quindi che le sostanze rimaste sui chicchi, vengano portate via dall’acqua, e poi aggiunte al resto del mosto. Questa operazione termina quando si raggiunge, nelle acque di lavaggio, una certa densità, cioè quando siamo sicuri di aver recuperato quasi la totalità delle sostanze. Bisogna comunque dire che durante questa fase, c’è la possibilità di trasportare via anche i tannini, che come abbiamo detto in precedenza non sono affatto la migliore delle ipotesi. Questo è dovuto alla temperatura alta dell’acqua e il rischio aumenta tanto quanto aumentano i tempi di lavaggio. In genere entro alcune ore, rispettando le temperature di 78°C e evitando che le trebbie si scoprano, si riesce ad evitare questo spiacevole inconveniente. Le trebbi esposte all’aria infatti tendono ad ossidarsi, il che provoca la produzione di sostanze dal cattivo sapore. Questa fase può essere ottimizzata riducendo la prima aliquota a 4 lt e le successive a 2 lt ognuna, si consiglia di usare un doppio riscaldamento così da essere molto più veloci, potendo lavorare in parallelo.

s)data fase serve semplicemente a raffreddare il mosto velocemente, portandolo dalla temperatura di ebollizione a quella dei 26-30 gradi ottima per i lieviti. Questo raffreddamento veloce permette sia di prolungare il meno possibile il periodo di rischio di contaminazione, sia di coagulare le proteine che non sono coagulate nella fase di bollitura, così da rendere la birra più chiara. Anche questo raffreddamento rapido può essere considerato una fase di chiarificazione e preparazione all’inoculo.
Il sistema con la serpentina interna sarebbe quello più efficace e sicuro, ma anche il sistema adottato durante la prova di laboratorio si è rivelato sufficiente. Tale sistema consiste nell’inserimento del contenitore con il mosto all’interno di un bagno ad acqua corrente, in un lavandino (idoneo). Per ottimizzare il sistema però si potrebbe consigliare, in base ai dati riscontrati nella prova, che durante la fase di trasferimento del mosto nel fermentatore, e relativa filtrazione, con caduta a getto dall’alto, c’è un abbattimento della temperatura che potrebbe essere quasi esclusivamente sufficiente a riportare la temperatura ai valori normali. Unici problemi sono che usando questo metodo prima di un certo raffreddamento, si perde tutto il vantaggio della coagulazione delle proteine e, si andrebbe incontro a temperature della pentola troppo alte per una agevole e sicura maneggevolezza della stessa. Si ritorna quindi a pensare che la strada migliore, in mancanza di serpentine interne, sia quella di usare il metodo gia precedentemente adottato e testato, anche se le tempistiche sono relativamente lunghe (anche 2 ore).

u) v)t)questi punti sono delle semplici fasi di controllo e preparazione alle fasi successive, quindi non necessitano di alcuna spiegazione aggiuntiva a quelle gia fornite dalla procedura originale.

 

Fermentazione del Malto per la produzione della birra

- Materiali -
Lievito (stato fisico liquido; lo si trova nell'apposita bustina)
gorgogliatore vuoto e pulito (la pulizia si effettua attraverso il bisolfito)
fermentatore
colino ben pulito (la pulizia del colino si fa prima con detersivo e poi con acqua e candeggina per 20 min., completa la pulizia un risciacquo sotto acqua corrente con l'avvertenza di maneggiarlo solo per il manico)

 

- Procedure -

Preparazione del lievito da inoculare nel fermentatore
Ipotesi 1 (se nel pacco il lievito è separato dal mezzo nutritivo)
Sterilizzare preventivamente, a 121°C per 15 minuti 2 bottiglie pirex una da 100ml e una da 1000ml
disinfettare esternamente con una soluzione di ipoclorito di sodio al 5 % la busta contenente il lievito
Aprire con forbici sterilizzate con calore secco la busta
Pesare la busta interna contenente il lievito lavorando sotto cappa a flusso laminare
Versare il contenuto della busta interna contenente il terreno di coltura nella bottiglia sterilizzata da 1000 ml in condizzioni di asepsi
Versare ½ del contenuto del lievito nella bottiglia contenente il terreno
Mettere la parte rimanente del lievito nella bottiglia da 100 ml e conservarla in frigorifero opportunamente etichettata.
Ipotesi 2 ( se nel pacco il lievito è a contatto con il mezzo nutritivo)
Sterilizzare preventivamente 2 bottiglie pirex da 800 ml
Aprire con forbici sterilizzate la busta
Dividere il contenuto della busta nelle due bottiglie lavorando sotto cappa a flusso laminare
La bottiglia non utilizzata va conservata in frigorifero e consumata nel più breve tempo possibile

Fermentazione
Controllare che la temperatura del mosto sia inferiore a 30 °C e portarlo a una densità di 1,008 g/ml a 20 °C diluendo con acqua leggera
inoculare il mosto versandoci il lievito direttamente dal sacchetto, aerare e amalgamare agitando con un mestolo per 30 secondi, chiudere il fermentatore con il coperchio e sistemarvi il gorgogliatore con la soluzione di bisolfito fino al segno.
si adatta la resistenza elettrica intorno al fermentatore in modo che la temperatura rimanga costante intorno ai 28°C+1°C
attendere che la fermentazione inizi e, quando il gorgogliatore funziona a pieno ritmo, si riduce l'attività della resistenza elettrica, distanziandola maggiormente o inserendo un reostato tra l'alimentazione e la resistenza, in modo che la temperatura si assesti intorno ai 20°C+1°C.
se si forma uno strato di resine (derivanti dal luppolo) attraverso un colino ben pulito si toglie lo strato superficiale della birra asportando quante più resine possibili, evitando di togliere completamente la schiuma (essa costituisce una barriera contro l'ossidazione)
si attende l'attimo in cui il gorgogliatore smette di bollire e si fanno trascorrere 48 ore.

 

- Teoria -
Vedi sezione specifica del lavoro

 

Imbottigliamento e Maturazione

- Materiali -
Bottiglie della capienza opportuna  (500ml , 250ml)
Tappi a stella
Autoclave
Ipoclorito
Bisolfito
Tanica (idonea)
Tubo di gomma (idoneo)

- Procedura -
Sterilizzare come da metodica tutte le bottiglie e i tappi a stella, poi la tanica. Travasare la birra contenuta nel fermentatore all’interno di un secondo recipiente idoneo dotato di rubinetto (tanica). Il travaso può avvenire dall’alto al basso tramite un tubo di gomma collegato ai due rubinetti, quello del fermentatore (alto) e quello ella tanica (basso e rivolto in su).
Dopo aver travasato tutto, facendo attenzione a non trasportare anche il materiale di posa che si trova sul fondo del fermentatore, procedere all’aggiunta dello zucchero per la carbonatazione. Il lo zucchero da aggiungere è di 5 g/l, e come abbiamo detto tale parametro non può essere variato, causa la mancanza di dati. Unici accorgimenti sono quello di far oscillare sulla pancia la tanica con la birra e lo zucchero, per facilitare la dissoluzione, senza però creare troppo schiuma.
Una volto sciolto lo zucchero, è sufficiente tramite lo stesso tubo riempire le bottiglie, facendo attenzione a non toccare l’imboccatura delle stesse con le dita, cioè facendo attenzione a non contaminare la birra. Chiudere con i tappi a stella, etichettare e numerare e, riporre in luogo asciutto e con una temperatura intorno ai 12-15 °C, al riparo dalla luce. Aspettare il tempo di maturazione dai 15 ai 30 giorni.

- Teoria -
Il processo tramite cui la birra diventa gassata, si chiama carbonatazione, e consiste nello stesso identico processo fermentativo di prima, con la sola differenza che in un recipiente chiuso (non come il fermentatore con il gorgogliatore), la pressione dovuta all’anidride carbonica prodotta aumenta, così facendo aumenta anche la solubilità dello stesso gas nel liquido (birra).

 

FERMENTAZIONE ALCOLICA

 

Il primo stadio della fermentazione alcolica è il percorso biochimico noto come glicolisi. Le diverse cellule adottano diversi percorsi per trasformare il glucosio in acido piruvico, ATP e nucleotidi ridotti (NADH), ma il più diffuso è il percorso EMP, dalle iniziali dei tre scienziati, Embden, Meyerhoff e Parnas che delucidarono la natura degli intermedi e degli enzimi coinvolti nel processo. I microrganismi che operano la fermentazione alcolica sono inoltre capaci di operare in condizioni anaerobiche e sono dotati degli enzimi piruvato decarbossilasi e alcol deidrogenasi, grazie ai quali possono prima decarbossilare e poi ridurre il piruvato ad acetaledeide e ad etanolo, consumando il NADH prodotto nel percorso glicolitico.
Un’interessante animazione del percorso glicolitico è reperibile alla web page http://www.people.virginia.edu/~rjh9u/glycol.html .

1.  IL SISTEMA HACCP

Il processo produttivo di una azienda alimentare è costituito da un insieme di operazioni che vanno dal rapporto con il fornitore al servizio offerto al cliente: tutte queste operazioni che, in relazione alla tipologia dell’esercizio, sono implicate nella progressione del prodotto, devono essere messe «sotto controllo» attraverso l’applicazione del sistema H.A.C.C.P. (analisi dei rischi e controllo dei punti critici).

L’H.A.C.C.P. (Hazard Analysis and Critical Control Points) è un sistema per l’identificazione di specifici rischi e delle relative misure preventive con le seguenti caratteristiche:

FINALITA’ ED OBIETTIVI
È un sistema di «prevenzione» dei rischi inerenti la sicurezza degli alimenti, personalizzato per ogni azienda tenendo conto delle proprie specificità così che

 

È applicabile a tutte le fasi in cui si snoda la catena produttiva alimentare, dal produttore al consumatore finale, ossia dalle materie prime al prodotto finito attraverso

 

Un metodo di analisi sistematica dei pericoli e di controllo dei punti critici individuati all’interno del processo produttivo attraverso un sistema di monitoraggio continuo, documentato e verificabile nell’intera filiera produttiva e non più sul prodotto finito, che appare quindi come

Uno strumento economicamente sostenibile per garantire la sicurezza dei prodotti alimentari, tanto da essere riconosciuto a livello internazionale.

 

PREVISIONE                                   PREVENZIONE                   CONTROLLO DI PROCESSO

 

PERICOLI                MANIFESTAZIONE PERICOLI             SISTEMI DI CONTROLLO E
MONITORAGGIO

 

2.METODOLOGIE E STRUMENTI

Lo sviluppo del piano HACCP e la sua realizzazione pratica in azienda, richiedono l’applicazione di
5 fasi preliminari e
7 principi
che non contraddicono i 5 presenti nel DLgs 155/97 ma ne rappresentano una più
accurata e chiara specificazione (figura 2).
Le fasi preliminari sono importanti perché definiscono le risorse umane, tecnologiche e organizzative a disposizione dell’azienda, nonché specificano il prodotto e /o la linea di produzione, caratteristica dell’azienda stessa:

Formazione dell’HACCP team
Per la realizzazione del sistema HACCP, è fondamentale la costituzione di un gruppo di lavoro, la cui composizione risulta influenzata dal tipo di piano HACCP che si intende approntare, in funzione cioè del tipo di attività e della natura dei pericoli. Quindi:
Le aziende più grandi devono disporre di figure professionali dotate di competenze diverse (agronomi, biologi igienisti, veterinari, ecc.).
Le aziende più piccole possono formare un team composto dagli stessi componenti dell’azienda, in grado di conoscere tutti i problemi dell’azienda stessa, e da consulenti esterni.
Descrizione del prodotto
La descrizione si basa nella raccolta dati del prodotto e deve essere la più esauriente possibile, tanto da elencarne le caratteristiche da materie prime a prodotto finito.
Identificazione della destinazione d’uso.
Costruzione del diagramma di flusso.
Il diagramma di flusso è una rappresentazione sequenziale, schematica ma esauriente, di tutte le fasi che compongono il ciclo di lavorazione del prodotto, a partire dalla selezione o dal ricevimento delle materie prime, fino alla distribuzione. La sua predisposizione comporta non solo la descrizione di ogni singola fase di lavorazione ma anche l’ambiente in cui essa si svolge, le attrezzature impiegate, le temperature adottate, le procedure di sanificazione e le pratiche igieniche del personale. Il tutto in forma scritta

MATERIE             PROCESSI DI            STOCCAGGIO             CONFEZIO-              DISTRI-
PRIME              LAVORAZIONE                                                   NAMENTO            BUZIONE

AZIONI DA FARE

1-VALUTARE
in ogni fase del processo
i pericoli significativi

2-IDENTIFICARE
il pericolo ed assegnare
rischio e gravità

3-INDIVIDUARE
le misure preventive

 

L’identificazione del pericolo, della sua gravità e probabilità a manifestarsi è legata a vari fattori, quali la conoscenza delle caratteristiche del prodotto, della sua conservabilità, della natura delle pratiche operative che intervengono nel ciclo produttivo. I fattori di rischio nell’ambito della ristorazione, soprattutto della ristorazione tradizionale, sono sicuramente numerosi a causa della particolarità e dell’alto numero di fasi attraverso il quale il prodotto alimentare  passa, come quei prodotti che, una volta cotti, vengono conservati a freddo e poi riscaldati nuovamente prima del servizio e successivamente porzionati e somministrati (figura 4).

E le misure preventive da adottare:

FORNITORI CERTIFICATI
CONTROLLO MERCI IN ARRIVO
PULIZIA E DISINFEZIONE
CONTROLLO DELLE TEMPERATURE
SMALTIMENTO RIFIUTI
IGIENE ED ABBIGLIAMENTO DEL PERSONALE
FORMAZIONE DEL PERSONALE.

Tali sono le «PROCEDURE GENERALIZZATE DI CONTROLLO DEI COSIDDETTI PUNTI CRITICI GENERALIZZATI (CP)», applicabili da ogni tipo di azienda e che l’azienda stessa deve supportare con «Istruzioni operative» per assicurarne l’effettiva applicazione.

 

IDENTIFICAZIONE DEI PUNTI CRITICI DI CONTROLLO (CCP)
Con CCP si intende una fase, punto o procedura del processo in corrispondenza del quale sia possibile svolgere un controllo che risulti essenziale  al fine di eliminare un pericolo (CCP1) o di minimizzarlo (CCP2). Abbiamo visto come siano molti i punti critici (CP) di una tipica linea produttiva  di un esercizio alimentare ma la logica del sistema HACCP è quella di concentrare l’attenzione su quelle fasi (CCP) dove, applicando una specifica ed efficace metodologia di controllo, risulti possibile assicurare la salubrità dell’alimento trattato.

STABILIRE LIMITI CRITICI PER OGNI CCP
Per «limite critico» si intendono un range di valori estremi (fisici, chimici, biologici)che fungono da limiti di sicurezza sanitaria del CCP e quindi del prodotto. Criteri frequentemente utilizzati sono tempo, temperatura, umidità, Ph ma anche parametri valutabili visivamente.

DEFINIRE UN PROGRAMMA DI MONITORAGGIO PER OGNI CCP
Il monitoraggio consiste in una serie programmata di osservazioni e/o misurazioni del parametro posto sotto controllo per evidenziare in tempo utile eventuali deviazioni dei limiti prefissati. I principali metodi di monitoraggio, che può essere continuo o non continuo, sono:
Valutazione visiva.
Misurazione di parametri fisici e fisico-chimici.
Esecuzione di esami chimici.
Esecuzione di esami microbiologici.

DEFINIRE UN PIANO DI AZIONI CORRETTIVE
Sono quelle azioni da applicare senza esitazione nel momento in cui la fase precedente mette in evidenza una fuoriuscita dai limiti critici stabiliti come :
Esclusione della merce dal ciclo di lavorazione.
Trattamento termico idoneo (prolungamento o attivazione).
Interventi formativi sul personale-

STABILIRE PROCEDURE DI VERIFICA
Come qualsiasi sistema operativo, anche il piano HACCP adottato deve avere delle verifiche periodiche per valutarne l’efficacia. A seconda delle tappe considerate, del parametro messo sotto controllo e del ciclo produttivo, le procedure di verifica si diversificheranno.

DEFINIRE UN SISTEMA DI DOCUMENTAZIONE E REGISTRAZIONE
Per applicare adeguatamente il sistema HACCP, è indispensabile predisporre la stesura, la compilazione e la raccolta di tutta una serie di documenti, che vanno conservati e consegnati alle autorità competenti qualora vengano richiesti:

  • PIANO HACCP, con i documenti che ne comprovano le procedure adottate (gruppo di lavoro, diagramma di flusso, ecc.).
  • SCHEDE OPERATIVE su cui annotare i dati rilevati e le procedure effettuate
  • PROGRAMMA DI SANIFICAZIONE.
  • PROGRAMMA DI FORMAZIONE PER IL PERSONALE.
  • PROGRAMMA DI CAMPIONAMENTO

SUMMARY OF BEER WORK

The class of the fifth year, during the scolastic year of 2003/004, have carry out an area of plan abaut the beer, the millenary drink product, in a year , for 7 miliard of liters in the world and the most drink worn-out.
We have found the recipe on internet (on Mr. Malt site) and we have brought the necessary equipment for the production of about 20 liters of beer, that we can obtain fermenting, with yeast, the must of barley and the hop.
Araund the principal activity, the production of beer, we have carry on other activity like the analysis, to define the label, for example the alcoholic strength.
Furthermore we have collect part of the legislation that defin what is a beer for the law.
Other research are carry on about the composition of the beer and of its first substaces, and about the story of this ancien drink.
All of this is report in this area of plan.
We also have to say that this production of beer is not the industrial one, that have other process.

 


 

Bibliografia e sitologia

- www.atuttabirra.com/storia_della_birra.htm

- Decreto ministeriale del 21/09/1970
Metodi ufficiali di analisi della birra

- Doc. 470H21SE.900 di origine Nazionale
Emanato da: Ministero della Sanità
E pubblicato su: Gazzetta  Ufficiale Italiana n° 105 del 02/04/1971
Riguardante:
SOSTANZE ALIMENTARI- Bevande - Birra

- Da Hendrickson, Cram, Hammond, Organic Chemistry, Mc Graw Hill, 3rd ed. P. 456
L. Frontali, A. Schiesser, Chimica delle fermentazioni e microbiologia industriale, Editrice universitaria di Roma la Goliardica (testo introvabile), p. 277.

- www.nemo.it/solarsys/labirra

-Da Hendrickson, Cram, Hammond, Organic Chemistry, Mc Graw Hill, 3rd ed. P. 456
L. Frontali, A. Schiesser, Chimica delle fermentazioni e microbiologia industriale, Editrice universitaria di Roma la Goliardica (testo introvabile), p. 277.

-1 “L’ammostamento nella produzione della birra” ; Dr Stefano Buiatti, docente di tecnologia della birra, dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università di Udine. (Allegato 6)
http://www.mr-malt.it/relbuiatti2002.html

-2 “La ricetta del mese – Pilsner Urquell” ; ottobre 2003, mr-malt. (Allegato 1)

-3 “La birra fatta in casa – piccola guida per diventare birrai casalinghi”; Nicola Fiotti, EDAGRICOLE – EDIZIONI AGRICOLE, presentazione del libro di Stefano Buiatti. (Allegato 5)

-4 “Gli aspetti teorici del Malto” ; (Allegato 7)
http://utenti.lycos.it/birraio/teoria_M.html

-5 “Guida alla Fermentazione Casalinga – Homebrewing” ; Mr.Malt , sesta edizione, P.a.b. sas , via C. Colombo 183 – 33037 Pisano di Prato (Udine). (Allegato 8)
pab@mr-malt.it
www.mr-malt.it

-6 “Lieviti a Bassa Fermentazione – indici” . (Allegato 9)
http://www.hobbybirra.it/ihb/totfaq.txt

-7 “Teoria – Malto, Zuccheri, Luppolo, Lieviti”. (Allegato 10)
http://digilander.libero.it/Slayer3/teoria.html

-8 “Glossario della Birra”; traduzione di Canavese Claudio. (Allegato 11)

 

 

Fonte: http://www.divini.net/chimica/materiali/fermentazioni/archivio/area%20progetto%205%20ch%2003_04.doc

autore non indicato nel documento di origine del testo

 

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