Anfibi
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Anfibi
La parola Anfibio vuol dire “doppia vita” (anfi = doppio, bios = vita). Gli anfibi sono i primi vertebrati che anno invaso le terre emerse e sono definiti così in quando conservano una fase di vita acquatica. Infatti gli anfibi sono animali che vivono in due ambienti diversi: l’acqua dove depongono le uova e dove si sviluppano le loro larve, e la terraferma, dove vivono nella forma adulta. Passando dall’ambiente acquatico a quello terrestre, il loro corpo subisce una serie di trasformazioni che sono indicate con il termine di metamorfosi. Durante la prima fase della loro vita (in acqua) hanno un aspetto simile ai pesci e respirano con le branchie, da adulti invece respirano con i polmoni che sono poco sviluppati e attraverso la pelle (respirazione cutanea). La pelle in questi animali è sottile, nuda, molto porosa ed è sempre umida per favorire l’assorbimento dell’aria.
Sono ovipari: le uova vengono deposte in numero enorme e protette da una sostanza gelatinosa. Possono essere depositate singolarmente, a grappoli o a cordoni; possono essere fissate su piante o altri oggetti solidi, oppure lasciate in sospensione nell’acqua. Sono animali a sangue freddo (eterotermi); per questo, quando arriva l’inverno, si proteggono andando in letargo e nelle stagioni calde e poco piovose si sotterrano in luoghi umidi. Gli anfibi sono carnivori, si nutrono di invertebrati, insetti, vermi, lumache, uova di pesci.
Gli anfibi si dividono in due grandi gruppi: gli anuri con zampe posteriori lunghe e adatte al salto e privi di collo (come la rana e il rospo); gli urodeli con il corpo allungato, quattro zampe della stessa lunghezza e con la coda (come la salamandra e il tritone).
Fonte: http://bouzoki.files.wordpress.com/2011/03/pesci-e-anfibi.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
ANFIBI
Adattamenti degli anfibi per conquistare la terra ferma: La transizione evolutiva dei vertebrati dall’acqua alla terraferma, iniziò nel periodo Devoniano e durò milioni di anni; durante questo periodo alcuni vertebrati acquatici, per far fronte alla scarsità d’acqua causata dalla siccità, acquisirono delle importanti caratteristiche, adattamenti strutturali e fisiologici per affrontare la vita sulla terraferma; comparvero così gli artropodi: anfibi e amnioti (rettili, uccelli mammiferi). Oggi gli anfibi sono però gli unici vertebrati viventi che hanno uno stile di vita sospeso tra ambiente acquatico e terrestre e anche le specie esclusivamente terrestri conservano una dipendenza dagli ambienti umidi ed acquatici; la loro pelle è sottile e deve essere idratata per evitare il disseccamento, le uova sono senza guscio e le larve hanno una respirazione branchiale. Le caratteristiche che hanno consentito agli anfibi di vivere sulla terraferma sono: i polmoni, organi in grado di catturare l’ossigeno atmosferico (più abbondante di quello sciolto in acqua) che a differenza delle branchie, non collassano, quando l’animale viene a contatto con l’aria; una circolazione doppia, quella sistemica che irrora il corpo e quella polmonare che rifornisce i polmoni, per una maggiore efficienza nel trasporto di ossigeno; le zampe, arti derivanti dalle pinne, dotate di una forte impalcatura ossea e muscolare, in grado di sostenere la massa dell’animale per la deambulazione terrestre; membrane timpaniche esterne, per meglio captare i suoni nell’aria.
La respirazione: Gli anfibi respirano attraverso le branchie, i polmoni, la pelle. Gli Urodeli (salamandre, tritoni) che hanno stadi larvali acquatici, hanno, appena nascono, le branchie, che vengono però perse con la metamorfosi in adulti. Alcune specie, sin dalla nascita, possiedono i polmoni, che vengono però attivati solo dopo la metamorfosi. Altre specie come gli afiumidi, pur avendo una vita completamente acquatica, respirano con le branchie nello stadio larvale fino alla metamorfosi, poi nella forma adulta attivano i polmoni, e per poter respirare sono costretti a salire in superficie e rifornirsi con le narici di ossigeno atmosferico. I pletodontidi invece sono completamente terrestri e non respirano con i polmoni ma esclusivamente attraverso la pelle, sottile, e ricca di capillari dermici. Gli Anuri (rospi, rane, raganelle) possiedono invece nel loro stadio larvale acquatico di girino, 3 paia di branchie esterne che diventano in seguito interne e coperte da un sottile opercolo; nella forma adulta, terrestre, questi anfibi perdono le branchie e sviluppano i polmoni.
RETTILI
Caratteristiche che hanno consentito ai rettili di sopravvivere meglio sulla terraferma rispetto agli anfibi: Una delle caratteristiche adattative che ha portato i rettili a sopravvivere meglio, rispetto agli anfibi, sulla terraferma, è stata quella di aver sviluppato un uovo amniotico: un uovo che può essere deposto sulla terraferma perché rivestito da un guscio poroso, coriaceeo o pergamenaceo in grado di fornire protezione con all’interno un ambiente idoneo allo sviluppo dell’embrione; un sacco vitellino pieno di tuorlo, che fornisce il nutrimento; l’Amnios, un sacco pieno di liquido in cui galleggia l’embrione; più esternamente l’ Allantoide, membrana che agisce sia da superficie respiratoria che come camera di accumulo dei rifiuti metabolici; una membrana ancora più esterna, il Corion attraverso la quale passano liberamente O2 e CO2. I rettili possiedono una pelle spessa, asciutta ricoperta da squame che limitano le perdite d’acqua e forniscono protezione dai danni fisici. La respirazione avviene attraverso i polmoni e le branchie sono del tutto assenti. Gli arti (tranne che nei serpenti e in altri rettili apodi) sono strutturati in modo da sostenere meglio la massa corporea e consentire movimenti più rapidi.
Caratteristiche dei rettili che li differenziano dagli anfibi: I rettili a differenza degli anfibi possiedono delle caratteristiche che hanno permesso loro di sopravvivere meglio sulla terraferma, svincolandosi totalmente dall’ambiente acquatico. Una delle differenze più importanti è la presenza nei rettili di un uovo amniotico dotato di guscio, che contiene cibo e membrane protettive che consentono lo sviluppo dell’ embrione sulla terra. La forma giovanile che nasce, infatti, non è una larva acquatica ed ha respirazione polmonare. I rettili possiedono una pelle spessa, secca e con squame che offre protezione contro il disseccamento, al contrario degli anfibi, la cui pelle è sottile e deve essere idratata per evitare il disseccamento; hanno mascelle che permettono di applicare una forza maggiore per afferrare e schiacciare le prede; possiedono organi copulatori che permettono la fecondazione interna, mentre negli anfibi anuri la fecondazione è esterna; sono dotati di un sistema circolatorio efficiente e di una pressione sanguigna superiore a quella degli anfibi; ad eccezione dei rettili senza zampe, sono forniti di un sostegno del corpo migliore di quello degli anfibi, nonché arti più idonei al movimento sulla terraferma; possiedono polmoni più sviluppati di quelli degli anfibi e non hanno respirazione cutanea; l’aria è spinta nei polmoni grazie alla compressione della cavità toracica, e non spinta dai muscoli della bocca come negli anfibi; i rettili hanno poi evoluto strategie efficaci per trattenere l’ acqua e i prodotti di rifiuto azotati sono escreti dal rene sotto forma di acido urico piuttosto che urea; hanno un sistema nervoso molto più complesso rispetto agli anfibi; possiedono organi di senso olfattivi altamente specializzati, mentre l’udito, sviluppato negli anfibi, nei rettili è quasi del tutto assente.
Fonte: http://sommofabio.altervista.org/ANNO2/Biodiv/Biodiv-BIX-RisposteAdAlcuneDomande.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Anfibi
Dettagli di alcuni anfibi
Euproctus platycephalus (Gravenhorst, 1829)
Nome italiano: Euprotto sardo
Categoria IUCN:
Critically Endangered: CR A1, B1, B2a,b,d,e
Tassonomia.
Il genere Euproctus comprende tre specie: E. platycephalus, E. montanus presente solo in Corsica ed E. asper dei Pirenei centrali e orientali. E. platycephalus è specie monotipica endemica della Sardegna descritta in origine dal Gennargentu e caratterizzata dal capo fortemente depresso, dall’assenza di parotoidi e di plica golare e dalla presenza di lobi labiali. La coda è bassa, a sezione subcilindrica. A differenza di E. montanus, nei periodi di vita acquatica, la coda di E. platycephalus presenta una cresta mediana bassa e a margine intero.
Distribuzione passata e presente.
Dati storici evidenziano una ampia distribuzione altitudinale dell’euprotto, da poco al di sopra del livello del mare (50 m) sino alle quote più elevate del Massiccio del Gennargentu (1800 m). Sebbene più abbondante nelle regioni centrali dell’isola al di sopra dei 400 m, la specie era segnalata anche nelle regioni Nord-occidentale (Alghero), Nord-orientale (Monte Limbara), Sud-occidentale (Iglesiente) e Sudorientale (Monte Sette Fratelli) dell’isola (Bruno, 1973). Indagini più recenti (Van Rooy e Stumpel, 1995; Casu et al., 1996) hanno confermato la presenza dell’euprotto in tre sole località: Monte Limbara (Sassari), Suprammonte di Urzulei (Nuoro) e Monte Sette Fratelli (Cagliari). Alcher (1975) riportava 45 popolazioni distinte. Una serie di dati ulteriori non pubblicati e desunti dalle collezioni in alcool di diversi Musei italiani hanno aggiunto un’altra decina di località. Solo le popolazioni del nuorese, tuttavia, hanno ancora attualmente una certa consistenza numerica.
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Buona parte delle informazioni disponibili in letteratura sulla biologia dell’euprotto sardo sono tratte dai lavori di Alcher (1975, 1981). Più recentemente, le università di Sassari e Torino, in collaborazione, hanno iniziato uno studio sulla biologia ed ecologia di questa specie (Casu, 1996; Sotgiu et al. 1996).
Habitat: sebbene sia stato rinvenuto anche in ambienti di bassa quota, l’euprotto sardo predilige corsi d’acqua e laghetti delle zone montane, tra i 400 ed i 1700 m, con acque ben ossigenate e correnti deboli o moderatamente veloci, di rado in acque quasi stagnanti. E’ stato segnalato anche in ambiente cavernicolo (Ingurtidorgius), ma non è tuttavia chiaro se tale ambiente sia utilizzato come semplice rifugio alle avverse condizioni epigee, o se la popolazione si riproduca nelle pozze all’interno della grotta.
Dimorfismo sessuale: Il dimorfismo sessuale è molto evidente nell’Euprotto sardo. I maschi raggiungono taglie maggiori delle femmine e recenti ricerche scheletro-cronologiche suggeriscono che tali differenze siano in gran parte da imputare alla maggiore longevità dei maschi rispetto a quella delle femmine (Sotgiu et al. 1996). Ulteriori caratteri dimorfici sono la presenza nei maschi di uno sperone fibulare sul margine distale della gamba, che, nelle femmine, si riduce ad una debole salienza marginale, e la differente forma e dimensione della cloaca. Nei maschi la cloaca e prominente, con sezione rotondeggiante, nelle femmine, invece, è sensibilmente compressa. I maschi, inoltre, hanno la coda in proporzione più lunga di quella delle femmine.
Dimensioni delle popolazioni. Attraverso metodi di cattura e ricattura è stato possibile stimare la numerosità della popolazione di Su Gorroppu (Suprammonte di Urzulei). Essa è risultata costituita da circa 400 individui adulti e subadulti metamorfosati. Sebbene manchino analoghi dati sulle popolazioni di euprotto nelle altre località dove la specie è tuttora segnalata (Monte Limbara e Monte Sette Fratelli), sopralluoghi effettuati in diversi periodi dell’anno indicano come la numerosità di queste popolazioni sia assai più esigua di quella del Suprammonte di Urzulei. Fa eccezione in questo solo la popolazione ‘cavernicola’ di Su Ingurtidorgius (Perdas de Fogu: Sardegna orientale), dove un paio di dozzine di esemplari sono state osservate da M. Mucedda nel 1994.
Sex ratio: sensibilmente sbilanciata a favore dei maschi che rappresentano il 65-70 % dell’intera popolazione adulta.
Comportamento riproduttivo: le classi di età osservate variano dai 2 anni (larve ancora branchiate) ai 17 anni. Gli adulti hanno almeno 4 anni di vita. La classe di età più comune è quella di 6-7 anni. Il comportamento riproduttivo è stato descritto da Schmidtler e Schmidtler (1987) ed è simile a quello delle specie congeneri. I maschi maturano gli spermi già in autunno (Lissa Frau, 1963) e la riproduzione avviene in acque basse tipicamente a metà della primavera, anche se non si esclude la possibilità di accoppiamenti e deposizioni nel periodo autunnale. L’amplesso non sembra preceduto da alcuna parata di corteggiamento, il maschio azzanna la femmina poco sopra l’attacco delle zampe anteriori, piega il corpo indietro e la coda in avanti in modo tale che la femmina si trovi stretta all’interno di un anello costituito dal corpo del maschio. Mantenendo questa posizione, il maschio porta la propria cloaca a contatto con quella femminile e rilascia la spermatofora che viene prontamente assorbita dalla femmina. Le femmine depongono le uova fecondate ad una ad una attaccandole alla superficie inferiore delle pietre sommerse, quando la temperatura dell’acqua è di 19°-20°C. Una femmina è stata vista deporre a 22°C. Non è chiaro se le femmine restino in prossimità delle uova, come avviene in E. montanus (della Corsica), o se invece le abbandonino come in E. asper (Pirenei).
Sviluppo: le larve sgusciano dopo circa un mese; la durata dello stadio larvale varia da 11 a 15 mesi (Alcher, 1981, confermato dai nostri dati), in relazione alle condizioni termiche e al periodo dell’anno in cui le uova sono state deposte. Le larve possono essere osservate nell’acqua anche con temperature di 27°C. Gli adulti sono in acqua con temperature di 17°-22.5°C, più spesso 19°-20°C (Alcher, 1980b). Seppur continuo, l’accrescimento corporeo risulta molto maggiore nel periodo antecedente la maturità sessuale (4-5 anni) e cala successivamente. L’euprotto è una specie molto longeva: l’età massima osservata in natura è risultata di 17 anni.
Alimentazione: sia le larve che gli adulti si cibano prevalentemente degli organismi della fauna macrobentonica dei corsi d’acqua in cui vivono. In particolare, le larve di ditteri chironomidi sono risultate di gran lunga il cibo più importante. Gli individui di maggiori dimensioni possono anche cibarsi di grossi insetti caduti in acqua (cavallette, mantidi, lombrichi). In alcuni casi è stata osservata la predazione da parte di maschi di uova della propria specie.
Rapporti con altre specie: per quanto non si abbiano dati diretti, in condizioni naturali i potenziali predatori dell’euprotto sardo sembrano essere Salmo trutta, Natrix maura e forse N. natrix cettii. In particolare, la specie appare molto vulnerabile all’azione predatoria delle trote, infatti, la introduzione di trote fario (S. trutta fario) in molti torrenti e laghi dell’isola è una delle cause principali della riduzione e scomparsa di questa specie.
Cause del declino.
Poiché molte delle zone dove un tempo era nota la presenza dell’euprotto e dove oggi invece la specie è assente non sembra abbiano subito drastiche modificazioni ambientali, il deterioramento fisico degli habitat per se non appare come la causa principale della drastica riduzione cui la specie sta andando incontro. Al contrario, un chiaro impatto negativo è da attribuire alle opere di reintroduzione di specie ittiche alloctone (in particolare la trota fario), il cui disastroso effetto è risultato particolarmente evidente nelle popolazioni del Monte Limbara. Anche l’eccessivo prelievo di acqua per uso domestico effettuata nei mesi estivi può aver recato seri danni alle popolazioni di Euprotto. Infatti il prosciugamento estivo di pozze o tratti di torrente causerebbe la morte degli stadi larvali con deleterie conseguenze sull’intera popolazione.
Bibliografia
Alcher M., 1975 - L’Urodéle Euproctus platycephalus (Gravenhorst, 1829): repartition géographique et exigence thermique. Vie Milieu, 15(1)(c): 169-179.
Alcher M., 1980a - Contribution à l’étude du developpement de l’Urodèle Euproctus platycephalus (Gravenhorst, 1829). Vie Milieu, 30(2): 157-164.
Alcher M., 1980b - Mantien en captivité des Amphibiens torrenticoles Euproctus platycephalus et Euproctus montanus (Urodela: Salamandridae). Conditions d’obtention de la reproduction de l’espèce sarde. Rev. fr. Aquariol., 7: 61-64.
Alcher M., 1981 - Reproduction et elevage de Euproctus platycephalus. Amphibia-Reptilia, 2: 97-15.
Bruno S., 1973 - Anfibi d’Italia: Caudata. Natura Soc. it Sc. nat. Mus. civ. St. nat. Milano, 64: 209-450.
Casu D., Manca L., Delitala G., 1996 - Analisi del fenotipo emoglobinico di Euproctus platycephalus e di Euproctus montanus. Riassunti 1° Congresso SHI (Torino 2-6 ottobre 1996): pag. 61
Corbett K. (Ed.) 1989 - Conservation of European Reptiles and Amphibians.
C. Helm, London
Lanza B., 1983 - Anfibi, Rettili (Amphibia, Reptilia). In: S. Ruffo (Ed.) - Guida per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane. 27. AQ/1/205. CNR, Roma.
Lissa Frau A.M., 1963 - Il ciclo spermatogenetico annuale di Euproctus platycephalus Bonap. Studi sassaresi, 41(1-2): 180-189.
Sotgiu G., Bovero S., Castellano S., 1996 - Analisi morfometrica, scheletrocronologica e comportamento riproduttivo in Euproctus platycephalus. Riassunti 1° Congresso SHI (Torino 2-6 ottobre 1996): pag. 69.
Thiesmeier B., 1992 - Comparative experiments on larval drift of five European urodelan species in a water channel - preliminary results. pp. 439-442 Proc. 6th OGM of SEH, Budapest.
Van Rooy T.J.C, Stumpel A.H.P., 1995 - Ecological impact of economic development on Sardinian Herpetofauna. Conservation Biology, 9: 263-269.
Voesenek L. A. C. J., van Rooy P. T. J. C., Strijbosch H., 1987 - Some autoecological data on the Urodeles of Sardinia. Amphibia-Reptilia, 8: 307-314.
Salamandra atra Laurenti, 1768
Nome italiano: Salamandra alpina
Categoria IUCN:
Lower risk (conservation dependent)
Tassonomia.
Salamandra atra è specie politipica suddivisa in tre distinte razze geografiche: S. a. atra, diffusa su buona parte dell’arco alpino, S. atra aurorae, presente in una ristretta area del Nordest italiano (Bosco del Dosso, provincia di Vicenza) e S. atra prenjensis, dei monti Prenj in Slovenia. Un tempo erano considerate appartenenti a questa specie anche le popolazioni delle Alpi Occidentali, piemontesi e francesi, cui è stato recentemente riconosciuto lo status di specie (Nascetti et al., 1988) e denominate S. lanzai. Risultati di ricerche genetiche condotte sulle tre razze geografiche sopra menzionate metterebbero in dubbio anche lo status di semplice razza geografica di S. [atra] aurorae e suggerirebbero di considerarla come specie distinta (si veda relativa scheda).
Distribuzione passata e presente.
S. atra è un’entità alpino-centroorientale-dinarica, distribuita su buona parte dell’arco alpino italiano ed in alcune aree montuose della Penisola Balcanica (Klewen, 1988). Sebbene Bruno (1973) segnali la presenza di salamandre alpine (sensu lato) anche sulle Alpi Piemontesi e della Valle d’Aosta, queste segnalazioni non hanno trovato sino ad oggi conferma, e si ritiene che la specie, in Italia, sia attualmente presente solo ad Est del Lago di Como e che sia assente sui rilievi alpini della Valle d’Aosta e del Nord del Piemonte. Nelle Alpi Cozie sono invece presenti solo le popolazioni di S. lanzai, che risultano quindi geograficamente isolate da quelle di S. atra.
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Adattata agli ambienti alpini, spesso anche di alta quota, la salamandra alpina, come già la salamandra di Lanza, è specie vivipara, quindi svincolata dall’acqua per la riproduzione.
Habitat: luoghi umidi e ombrosi, in boschi misti o di conifere, spesso si spinge oltre il limite della vegetazione di alto fusto anche se, a differenza di S. lanzai, non sembra prediligere gli ambienti di prateria alpina, evitando in particolare i versanti esposti a Sud dove è elevata l’insolazione. E’ distribuita su una ampia fascia altitudinale, dai 400 m ai 3000 m, ma è più frequente a quote intermedie, tra i 600 ed i 2000 m.
Dimorfismo sessuale: il maschio ha dimensioni più piccole della femmina e presenta una cloaca più gonfia e marcata.
Dimensioni delle popolazioni: sebbene non molto comune, laddove è presente, costituisce popolazioni numerose, di diverse centinaia di individui.
Sex ratio: non si discosta significativamente dall’unità.
Comportamento riproduttivo: l’inizio della stagione riproduttiva dipende dalle condizioni climatiche e di innevamento e varia significativamente a seconda della altitudine a cui vive la popolazione. In genere l’inizio dell’attività riproduttiva coincide con lo scioglimento del manto nevoso e la comparsa di aree erbose nelle quali gli animali si radunano, raggiungendo talvolta densità elevate (sino a 15-18 individui in 6-20 mq, Bruno, 1973). I maschi si spostano attivamente in queste aree nel tentativo di intercettare una femmina recettiva. Quando due individui di sesso diverso si incontrano ha inizio una complessa sequenza di comportamenti che terminano con la deposizione di una spermatofora da parte del maschio e con la sua assunzione da parte della femmina. Gli spermatozoi possono sopravvivere per parecchio tempo prima di fecondare le uova. La femmina produce da 40 a 60 uova, ma generalmente solo due, una per ovario, si sviluppano, mentre le altre vengono riassorbite o servono da nutrimento per gli embrioni.
Sviluppo: la gestazione è molto lunga. In femmine di alta quota può durare dai due ai tre e più anni, mentre nelle femmine di bassa quota la durata della gestazione raramente supera i due anni. Alla nascita i piccoli, di aspetto simile all’adulto, misurano 40-50 mm di lunghezza. L’accrescimento è molto lento. Sebbene non ci siano noti dati sulla longevità e sull’età alla quale la maturità sessuale è raggiunta è assai probabile che, analogamente a quanto osservato nella salamandra di Lanza, gli individui possano vivere più di venti anni e che raggiungano l’età adulta non prima del quinto o sesto anno di vita.
Alimentazione: la salamandra alpina è un predatore di invertebrati, soprattutto di insetti e più raramente di Aracnidi e Lumbricidi.
Rapporti con altre specie: le secrezioni cutanee tossiche che gli animali emettono quando disturbati rendono questa specie poco sensibile alla pressione predatoria. Tra i parassiti di questa specie si annoverano Eimeria salamandrae (Protozoi, Coccidi), Nematotaenia dispar (Platelminti, Cestodi) e Acanthocephalus ranae (Acantocefali).
Cause del declino.
La distribuzione tipicamente alpina di S. atra la espone ad un impatto antropico relativamente scarso. L’inquinamento atmosferico (piogge acide, aumento delle radiazioni UV), tra le principali cause della scomparsa delle popolazioni di Anfibi di alta quota, non dovrebbe avere effetti particolarmente significativi sulla sopravvivenza di questa specie, vivipara e di costumi prevalentemente crepuscolari. Le cause principali del declino sono quindi da ricercare soprattutto nella raccolta di esemplari a scopo amatoriale terraristico e, in alcuni casi, nella mortalità legata al traffico motorizzato sulle strade di alta quota.
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Bibliografia
Andreone F., Capula M., Nascetti G., Bullini L., 1990 - Studi genetici e morfologici su Salamandra atra, S. lanzai e S. salamandra (Amphibia, Urodela, Salmandridae). Atti VI Conv. naz. Ass. “A. Ghigi”, pp. 154-159. Mus. reg. Sci. nat, Torino.
Bruno S., 1973 - Anfibi d’Italia: Caudata. Natura Soc. it Sc. nat. Mus. civ. St. nat. Milano, 64: 209-450
Grossenbacher K., 1994 - Distribution et systématique des salamandres noires. Bull. Soc. herp. Fr., 1994 (71/72): 5-12.
Klewen R., 1988 - Die Landsalamander Europas I. Die Guttunge Salamandra und Mertensiella Wittenberg Lutherstadt, A. Ziemsen Verlag, 184 pp.
Lanza B., 1983 - Anfibi, Rettili (Amphibia, Reptilia). In: S. Ruffo (Ed.) - Guida per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane. 27. AQ/1/205. CNR, Roma.
Nascetti G., Andreone F., Capula M., Bullini L., 1988 - A new Salamandra species from southwestern Alps (Amphibia, Urodela, Salamandridae). Boll. Mus. reg. Sci. nat. Torino, 6 (2): 617-638.
Trevisan P., 1982 - A new subspecies of alpine salamander. Boll. Zool., 49: 235-239.
Salamandra [atra] aurorae Trevisan, 1982
Nome italiano: Salamandra di Aurora
Categoria IUCN:
Critically Endangered: B1, B2e, C2a
Tassonomia.
Lo status tassonomico di questa entità endemica di una ristretta area dell’Altipiano di Asiago in provincia di Vicenza non è stato chiarito del tutto. Inizialmente venne descritta come sottospecie di S. atra (Trevisan, 1982). Tuttavia, successive ricerche sul polimorfismo delle proteine del siero (Joger, 1986) evidenziarono differenze dalla sottospecie nominale molto più accentuate di quelle rilevate tra quest’ultima e S. atra prenjensis, delle montagne Slovene. Sebbene S. a. atra non sia sintopica di S. [atra] aurorae, solo una distanza di pochi chilometri separa i confini degli areali distributivi dei due taxa. S. [atra] aurorae si differenzia morfologicamente da S. a. atra per la colorazione dorsale in gran parte giallo paglierino che la rende più simile a S. salamandra, anche se in questa specie le macchie dorsali sono di un giallo-vivo o aranciato. Inoltre S. [atra] aurorae, come S. atra, ma a differenza di S. salamandra, presenta processi mascellari corti, che non raggiungono l’estremità anteriore dello pterigoide (Trevisan, 1982).
Distribuzione passata e presente.
S. [atra] aurorae vive in una area di pochi chilometri quadrati sull’Altipiano di Asiago, in provincia di Vicenza, tra la Val Remaloch e la Val Rotta, nel bosco del Dosso, a quote comprese tra i 1300m ed i 1550 m Sebbene il taxon sia stato descritto solo di recente (Trevisan, 1981) si ritiene che il suo areale distribuivo non sia molto più esteso di quello attualmente noto, il quale copre una superficie di appena 3 Kmq. Sulla base delle attuali conoscenze sembra non esservi sovrapposizione di areale tra S. [atra] aurorae e S. atra, presente nel Bosco di Costa Larici, tra Val Rotta e la Val Renzola, a circa 3 Km in linea d’aria dal Bosco del Dosso.
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Ad eccezione di pochi lavori di carattere prevalentemente tassonomico e morfologico, non sono stati condotti studi sulla biologia ed ecologia di questo taxon, di cui si sa quindi molto poco. E’ tuttavia plausibile ipotizzare che le caratteristiche biologiche, ecologiche ed etologiche della salamandra di Aurora siano simili a quelle descritte per S. a. atra (alla cui scheda si rimanda per maggiori dettagli).
Habitat: Tutti gli individui di S. atra aurorae noti a tutt’oggi sono stati osservati nel Bosco del Dosso, in Val Renzola, in un foresta mista di abete bianco (Abies alba), specie dominante, abete rosso (Picea excelsa), larice (Larix decidua) e faggio (Fagus sylvatica) con fitto sottobosco di felci ed erbe, su substrato calcareo.
Dimensioni della popolazione: sono sconosciute. Gli individui osservati nell’ambito di un periodo di ricerca di qualche giorno non superano mai le poche unità. Tuttavia la specie deve essere più abbondante di quanto non appaia in genere, se si considera che nell’Ottobre del 1985 un censimento condotto dal Corpo Forestale in collaborazione con le Guardie ecologiche ha consentito di individuare ben 28 esemplari.
Cause del declino.
L’areale estremamente circoscritto della salamandra di Aurora espone il taxon ad un elevato rischio di estinzione. Le scarse informazioni a nostra disposizione sulla struttura di popolazione e soprattutto sulla sua effettiva numerosità non favoriscono oculati interventi di salvaguardia. Uno sconsiderato prelievo di esemplari a scopo amatoriale è forse il principale fattore di minaccia ipotizzabile per la sopravvivenza di questo taxon.
Bibliografia
Klewen R., 1988 - Die Landsalamander Europas I. Die Guttunge Salamandra und Mertensiella Wittenberg Lutherstadt, A. Ziemsen Verlag, 184 pp.
Joger U., 1986 - Serumproteinelektrophoretische Daten zur Frage der Validitat der Unterarten des Alpensalamanders Salamandra atra, Laurenti 1768 (Caudata, Salamandridae). Salamandra, 22: 218-220.
Grossenbacher K., 1994 - Distribution et systématique des salamandres noires. Bull. Soc. herp. Fr., 1994 (71/72): 5-12.
Lanza B., 1983 - Anfibi, Rettili (Amphibia, Reptilia). In: S. Ruffo (Ed.) - Guida per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane. 27. AQ/1/205. CNR, Roma.
Trevisan P., Pederzoli-Trevisan A., Callegarini C., 1981 - A new form of Alpine Salamander. Boll. Zool., 48: 77-82.
Trevisan P., 1982a - Una nuova sottospecie di salamandra alpina: Salamandra atra aurorae n. subsp. Boll. Zool., 49 suppl.: 184.
Trevisan P., 1982b - A new subspecies of alpine salamander. Boll. Zool., 49: 235-239.
Trevisan P., Pederzoli A., Callegarini C., 1981 - A new form of alpine salamander, Boll. Zool., 48: 78-82.
Salamandra lanzai Nascetti, Andreone, Capula & Bullini, 1988
Nome italiano: Salamandra del Lanza
Categoria IUCN:
VU C2a
Tassonomia: Un tempo era ritenuta una sottospecie di Salamandra atra, ma successive ricerche genetiche e morfologiche hanno elevato il taxon a rango di specie distinta, vicariante geografica di S. atra, dalla quale si differenzia per le maggiori dimensioni, per la testa più larga e depressa e per l'apice della coda arrotondato invece che appuntito, nonché per la mancanza disposizione delle file di rilievi ghiandolari sulla linea vertebrale (sono presenti solo ai lati del corpo)(Grossenbacher, 1994).
Distribuzione passata e presente. Rara, molto localizzata, le popolazioni note sono limitate alle Alpi Cozie (Alta Valle del Po, Val Germanasca, Val Angrogna, Val Pellice e Val Chisone e sul versante francese del Massiccio del Monviso). La specie è citata anche per le Alpi Marittime anche se la sua presenza in quest'area rimane dubbia e necessita di ulteriore conferma.
Habitat, Ecologia e Biologia di popolazione. Specie peciloterma di alta quota, presenta tipici adattamenti fisiologici e comportamentali al rigido clima alpino: viviparità, elevata longevità, scarsa vagilità, attività fortemente influenzata dalle condizioni meteorologiche, in generale limitata a brevi periodi dell'anno (da giugno a ottobre) e con picchi giornalieri nelle prime ore notturne e al mattino.
Habitat: l'habitat di elezione è rappresentato dalle praterie umide alpine ad altitudini comprese tra 1500 e 2400 m, è stata osservata occasionalmente in ambiente forestale a latifoglie (Fagus sylvatica) e conifere (Larix decidua). Trascorre la maggior parte del tempo in microambienti riparati (sotto rocce, sassi o tronchi) da cui, in condizioni climatiche favorevoli, si allontana per ricercare prede o per riprodursi.
Dimorfismo sessuale: sebbene non si osservino significative differenze in longevità tra i due sessi, le femmine hanno dimensioni corporee (lunghezza punta del muso-cloaca) circa il 4% superiori a quelle dei maschi e risultano, a parità di lunghezza, più pesanti.
Dimensioni delle popolazioni: laddove presente, la specie raggiunge ragguardevoli valori di densità. Stime effettuate forniscono valori di circa 500-600 individui per ettaro. Sebbene scarsamente erratica è possibile ipotizzare che l'entità numerica delle popolazioni superi abbondantemente il migliaio di individui.
Sex-ratio: non si discosta significativamente dal valore unitario
Comportamento riproduttivo: la viviparità (aplacentare) e il prolungato periodo di gestazione (due, in alcuni casi tre anni) riducono notevolmente il tasso di riproduzione caratteristico della specie: una femmina partorisce da due a sei piccoli già completamente adattati alla vita terrestre ogni 2-3 anni. La stagione riproduttiva è nei tardi mesi dell'estate alpina (Agosto, Settembre) anche se non si escludono possibili accoppiamenti già nei mesi di Giugno e Luglio. L'accoppiamento è simile a quello osservato in altre specie congeneriche: il maschio si dispone sotto alla femmina, stringendone gli arti anteriori con i propri, la fecondazione delle uova (interna) può essere ritardata rispetto all'accoppiamento anche di parecchi mesi ('sperm storage'). Sono stati osservati occasionalmente fenomeni di lotta tra maschi che lasciano supporre l'esistenza di fenomeni di territorialismo.
Sviluppo: specie longeva con accrescimento estremamente lento; in natura sono stati catturati individui di età superiore ai venti anni. I giovani di aspetto del tutto simile a quello degli adulti, si differenziano da essi per le più piccole dimensioni. L'accrescimento, come nella maggior parte dei pecilotermi, non si arresta una volta raggiunta la maturità sessuale, anche se subisce un generale e progressivo rallentamento. Il raggiungimento della maturità sessuale avviene sia nei maschi che nelle femmine intorno al quinto o sesto anno di età.
Alimentazione: predatore di invertebrati di media e grossa taglia, prevalentemente insetti (Ortotteri ed Emitteri), secondariamente Aracnidi, Diplopodi e Oligocheti, presenta uno spettro trofico ampio, indice di una strategia alimentare opportunista.
Rapporti con altre specie: il comportamento schivo nonché la tossicità delle secrezioni cutanee emesse dall'animale sotto stress limitano l'entità della pressione predatoria cui la specie è sottoposta.
Cause del declino.
Sebbene l'habitat colonizzato ed il comportamento schivo non la rendano soggetta ad un intenso impatto antropico, il carattere endemico, il basso numero di popolazioni e la loro distribuzione tutt'altro che uniforme nel territorio, la espongono a seri rischi di estinzione. E' per questo importante ridurre al minimo l'impatto antropico, principalmente rappresentato dal traffico motorizzato sulle strade di alta quota. Un ulteriore possibile causa di declino è rappresentata dalla raccolta amatoriale o a scopo di lucro o di ricerca scientifica degli esemplari di questa specie.
Bibliografia
Andreone F., 1992 - Observation on the territorial and reproductive behaviour of Salamandra lanzai and considerations about its protection (Amphibia: Salamandridae). British Herpetological Society Bulletin, 39: 31-33.
Andreone F., Sindaco R., Morisi A., 1990 - Dati sull’alimentazione di Salamandra lanzai (Amphibia: Salamandridae). Riv. piem. St. nat., 11: 135-140
Andreone F., Capula M., Nascetti G., 1990 - Considerazioni biogeografiche e tassonomiche su Salamandra lanzai (Amphibia: Salamandridae). Abstract XXVII Congress of Italian Society of Biogeography, (Torino, 19-22 Settembre 1990). UTET: 10-11
Grossenbacher K., 1994 - Distribution et systématique des salamandres noires. Bull. Soc. herp. Fr., 1994 (71/72): 5-12.
Lanza B., 1983 - Anfibi, Rettili (Amphibia, Reptilia). In: S. Ruffo (Ed.) - Guida per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane. 27. AQ/1/205. CNR, Roma.
Nascetti G., Andreone F., Capula M., Bullini L., 1988 - A new Salamandra species from southwestern Alps (Amphibia, Urodela, Salamandridae). Boll. Mus. reg. Sci. nat. Torino, 6 (2): 617-638.
Salamandra salamandra (Linnaeus, 1758)
Nome italiano: Salamandra pezzata
Categoria IUCN:
Lower Risk: Least Concern
Tassonomia.
Salamandra salamandra è una specie politipica di cui sono state descritte circa una quindicina di razze geografiche, molte delle quali endemiche della Penisola Iberica (Alcobendas et al., 1996). Nella Penisola italiana sono presenti la sottospecie nominale, S. s. salamandra e S. salamandra gigliolii Eiselt e Lanza (1956), la prima è presente nelle regioni alpine e prealpine dell’Italia settentrionale sino alle Alpi Liguri, la seconda sui rilievi appenninici dell’Italia peninsulare. S. s. salamandra raggiunge dimensioni maggiori di S. s. gigliolii e presenta macchie gialle dorsali più piccole, mentre nella sottospecie appenninica le macchie hanno dimensioni maggiori e si riuniscono spesso a formare disegni irregolari. In S. s. gigliolii si nota spesso una colorazione rossastra nella regione golare. Assente in Sardegna la salamandra pezzata è presente in Corsica con la razza endemica S. salamandra corsica il cui aspetto esterno ricorda quello della sottospecie nominale.
Distribuzione passata e presente.
A geonemia mediosudeuropea-maghrebino-anatolico-iranica (Lanza, 1983) la salamandra pezzata è ben distribuita su tutto il territorio italiano ad eccezione delle isole. Essa infatti manca in Sardegna ed è estremamente rara e localizzata in Sicilia. In Sicilia sono note segnalazioni storiche risalenti al secolo scorso, ma la presenza della specie è stata solo recentemente confermata da avvistamenti sulle pendici dell’Etna e sui Monti Nebrodi (Cortesogno e Balletto, com. verbale). Predilige le regioni alpine o prealpine e risulta più comune nella fascia altitudinale compresa tra i 400 e 1300 m, anche se in alcune regioni è frequente anche a quote più basse (nel recente atlante Ligure più del 30% delle località segnalate è a quote inferiori ai 400 m, Salvidio e Doria, 1994) e sulle Alpi è stata osservata sino a 1800 m di quota. La sua distribuzione risulta discontinua, comune in alcune regioni (Piemonte, Liguria, Toscana, Abruzzo) è più rara in altre (Marche, Lazio e Puglia) (Bruno, 1973).
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Specie diffusa in tutta l’Italia continentale e in Sicilia.
Habitat: predilige i boschi freschi e umidi di latifoglie (castagneti, querceti mesofili, faggete) o boschi misti di latifoglie e conifere (abieti-fageto), nel cui ricco sottobosco, nella lettiera o sotto pietre e tronchi marcescenti, trova microhabitat adatti. Specie euriterma è attiva soprattutto al crepuscolo e di notte, nelle giornate umide e senza vento. La salamandra pezzata è scarsamente legata all’acqua, ove si reca solo nel periodo riproduttivo per partorire le piccole larve branchiate. L’habitat riproduttivo è rappresentato da pozze in torrenti e ruscelli, con debole corrente.
Dimorfismo sessuale: di dimensioni corporee simili alla femmina, il maschio è riconoscibile per la cloaca rigonfia, che è invece piatta e saliente nella femmina.
Dimensioni delle popolazioni: i costumi riservati della Salamandra pezzata non facilitano una precisa stima della sua presenza nel territorio. La densità può variare da poche decine sino a qualche centinaio di individui per ettaro, nelle aree boschive più umide e ricche di rigagnoli. All’Alpe di Rezzo Cortesogno e Balletto hanno valutato una densità di 3 es/ha a livello del bosco mesofilo sottostante la faggeta (1000 m circa).
Sex ratio: non si discosta significativamente dal valore unitario.
Comportamento riproduttivo: gli accoppiamenti si osservano soprattutto in primavera, talvolta anche in autunno, e si svolgono a terra. I maschi, durante la fregola, ricercano la femmina spostandosi attivamente sul terreno, aiutandosi con l’olfatto (la intensa respirazione bucco-faringea tipica dei maschi recettivi sembra svolgere questa funzione olfattiva). Una volta intercettata la femmina il maschio la cinge con gli arti anteriori, posizionandosi al di sotto del corpo della compagna. Il maschio trasporta quindi la femmina per un certo tempo, talvolta per più di un’ora. Successivamente, trovato un sito adatto, il maschio, continuando a cingere la femmina, depone una spermatofora sul terreno e si sposta lateralmente in modo che la partner possa raccogliere il cumulo di sperma e depositarlo all’interno della spermateca. All’interno del corpo della femmina gli spermatozoi possono sopravvivere per periodi molto lunghi, talvolta anche più di un anno. L’intervallo di tempo tra accoppiamento e fecondazione delle uova può infatti essere molto lungo.
Sviluppo: la salamandra pezzata è tipicamente ovovivipara anche se sono note diverse popolazioni, in particolare quelle delle quote più elevate, che mostrano una completa viviparità. Nel nord della Penisola Iberica sono note popolazioni in cui sono riscontrati entrambi i modi di riproduzione, viviparità e ovoviviparità (Alcobendas et al., 1996). Nella condizione tipica ovovivipara le femmine si dirigono nei ruscelli, nelle cui lente e poco profonde acque vengono partorite le larve dotate di branchie e capaci di vita autonoma. Il numero di larve può variare molto, da 10 a 70, più frequentemente 20-40 per femmina. Le larve metamorfosano in 3-4 settimane raggiungendo lunghezze del corpo di 50-60 mm. L’accrescimento dei giovani è piuttosto veloce, ad un anno misurano da 70 a 90 mm, ma rallenta con il passare del tempo, soprattutto dopo il raggiungimento dell’età adulta, che avviene generalmente al quarto anno di età. In cattività le salamandre pezzate possono vivere sino a 50 anni, in condizioni naturali almeno 12 anni (Lanza, 1983).
Alimentazione: la dieta delle larve è costituita prevalentemente da invertebrati acquatici, soprattutto artropodi. In alcuni casi sono stati osservati fenomeni di cannibalismo, che sembrano più comuni durante lo sviluppo all’interno del corpo materno (adelfofagia). Gli adulti sono predatori di invertebrati, soprattutto insetti e altri artropodi terrestri, talvolta molluschi e lombrichi (Kuzmin 1994).
Rapporti con altre specie: le larve sono facile preda di trote e i continui ripopolamenti ittici, effettuati nei ruscelli anche di scarsa portata, sono una delle cause principali del declino di questa specie. Altri predatori delle larve di salamandra sono le grosse larve di invertebrati (in particolare Coleotteri Ditiscidi e Odonati), nonché i rettili del genere Natrix. Gli adulti, grazie alle loro grosse dimensioni e al secreto tossico rilasciato a scopo difensivo dalla cute non risentano di una intensa pressione predatoria. Occasionali predatori di salamandre sono i serpenti del genere Natrix e uccelli, soprattutto falchi e ghiandaie.
Cause del declino.
L’inquinamento dei corsi d’acqua, le canalizzazioni artificiali dei ruscelli, la captazione delle piccole sorgenti e l’aumento della pressione predatoria dovuta a ripopolamenti ittici sono tra le principali cause del declino di questa specie.
Bibliografia
Alcobendas M., Dopazo H., Alberch P., 1996 - Geographic variation in allozymes of populations of Salamandra salamandra (Amphibia: Urodela) exhibiting distinct reproductive modes. Journal of Evolutionary Biology, 9: 83-102.
Andreone F., Capula M., Nascetti G., Bullini L., 1990 - Studi genetici e morfologici su Salamandra atra, S. lanzai e S. salamandra (Amphibia, Urodela, Salmandridae). Atti VI Conv. naz. Ass. “A. Ghigi”, pp. 154-159. Mus. reg. Sci. nat, Torino.
Bruno S., 1973 - Anfibi d’Italia: Caudata. Natura Soc. it Sc. nat. Mus. civ. St. nat. Milano, 64: 209-450
Cortesogno L., Balletto E., 1989 - Lineamenti dell’ecologia dei Rettili e degli Anfibi dell’Alpe di Rezzo (Imperia) e considerazioni sulla erpetofauna delle faggete italiane. Boll. Musei Ist. Biologici Univ. Genova, 53: 123-140.
Eiselt J., Lanza B., 1956 - Salamandra salamandra gigliolii subspec. nov. aus Italien. Mus. Kulturges. Magdeburg, 10 (1): 3-11.
Lanza B., Nascetti G., Bullini L., 1986 - A new species of Hydromantes from eastern Sardinia and its genetic relationships with the other Sardinian plethodontids (Amphibia, Urodela). Boll. Mus. reg. Sci. nat. Torino, 4 (1): 261-289
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Greven H., Thiesmeier B., (Eds), 1994 - Biology of Salamandra and Mertensiella. Salamandra, Suppl. 4: 1-454.
Kuzmin S. L., 1994 - Feeding ecology of Salamandra and Mertensiella: a review of data and ontogenetic evolutionary trends. In: Greven H., Thiesmeier B., (Eds), Biology of Salamandra e Mertensiella. Salamandra, Suppl. 4: 271-286.
Lanza B., 1983 - Anfibi, Rettili (Amphibia, Reptilia). In: S. Ruffo (Ed.) - Guida per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane. 27. AQ/1/205. CNR, Roma.
Poggi R., 1994 - Salamandra pezzata Salamandra salamandra (Linnaeus, 1758). In: Doria G., Salvidio S. (ed.), Atlante degli Anfibi e Rettili della Liguria. Regione Liguria Cataloghi dei beni naturali 2. Genova.
Salamandrina terdigitata (Lacépède, 1788)
Nome italiano: Salamandrina dagli occhiali
Categoria IUCN:
Vulnerable A1c, C2a
Tassonomia.
Al genere Salamandrina appartiene l’unica specie S. terdigitata, endemica dell’Italia peninsulare. Carattere distintivo di questa specie, sia nella larva che nell’adulto, è la presenza di quattro dita sulle zampe posteriori e anteriori; in tutti gli altri Urodeli europei le zampe posteriori hanno sempre cinque dita.
Distribuzione passata e presente.
Specie endemica dell’Italia appenninica, la si ritrova dalla Liguria, in provincia di Genova, all’Aspromonte. E’ più frequente sul versante tirrenico degli Appennini, meno su quello Adriatico (Manzi et al., 1990) ed è ancora più rara su quello Padano, dove è stata rinvenuta nelle valli Scrivia (GE), Spinti e Borbera (AL), Trebbia (PV, PC, GE) e Marecchia (Barbieri, 1994). Dove presente, la salamandrina dagli occhiali è diffusa all’interno di una ampia fascia altitudinale, da poche decine di metri sul livello del mare ad oltre i 1300 m, anche se è più frequente tra i 200 m ed i 600 m.
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
I costumi della salamandrina dagli occhiali sono abbastanza simili a quelli descritti per la salamandra pezzata. Come questa specie, infatti, anche la salamandrina frequenta zone boschive con ampie radure. E’ attiva soprattutto di notte in condizioni di tempo coperto e piovoso. Di costumi tipicamente terricoli, gli adulti si dirigono all’acqua solo per deporvi le uova.
Habitat: l’ambiente terrestre è rappresentato da boschi di latifoglie di vario tipo, preferibilmente con ampie radure e spessa lettiera, ma non è raro osservarla in vicinanza di centri abitati, in campi e giardini (Lanza, 1983). Gli individui adulti non mostrano un forte attaccamento all’ambiente acquatico, a causa della loro scarsa mobilità, sono tuttavia più frequenti a distanze non superiori a qualche centinaio di metri dall’acqua. I siti di deposizione delle uova e del successivo sviluppo larvale sono costituiti da pozze, fossi, abbeveratoi e più frequentemente dai tratti a più debole corrente di piccoli corsi d’acqua con una ricca vegetazione arbustiva sulle rive. La temperatura preferenziale (attività normale assoluta) è di 13°-15°C; la massima assoluta di tolleranza è di 29°-30°C; la massima critica oscilla intorno a 32°-35°C, in ambiente saturo di umidità. A queste temperature, in ambiente secco le salamandrine possono perdere fino al 34% del peso corporeo in 25 minuti, mantenendo così la temperatura corporea a 19°-24°C. La resistenza alle alte temperature è comunque molto maggior in ambiente umido (Cherchi, 1953).
Dimorfismo sessuale: non molto accentuato. Rispetto alle femmine, i maschi hanno una cloaca più rigonfia, lunghezza del corpo in media più corta, capo proporzionalmente più lungo e largo e arti proporzionalmente più lunghi.
Dimensioni delle popolazioni: molto variabili da poche decine di individui adulti ad alcune centinaia. Nel corso di una recente ricerca condotta in provincia di Terni (Antonelli e Utzeri 1996), sono stati catturati un centinaio di femmine gravide in una pozza di circa 5 mq di superficie suggerendo quindi che le dimensioni della popolazione possano raggiungere valori ragguardevoli. Stefano Zagaglioni (1972: com. verbale) valendosi di metodi di cattura e ricattura ha valutato rispettivamente a 287 e a 547 esemplari le popolazioni di Rocchetta e di Monte Morello (Firenze). Le relative densità erano di 1 es/6.7 mq e di 1 es/2.7 mq.
Sex ratio: i valori di sex ratio riportati nei pochi lavori condotti su questa specie variano considerevolmente a seconda del periodo dell’anno in cui le catture sono state effettuate. In autunno, nel periodo degli accoppiamenti, il rapporto sessi osservato è di circa 2:1 a favore dei maschi, mentre scende a 0.15 (mm/ff) in primavera, durante la migrazione in acqua delle femmine, quando i maschi sono difficilmente osservabili.
Comportamento riproduttivo: il corteggiamento ha luogo a terra. Da quanto osservato in terrario da Strötgen (1927, si vedano anche Naviglio, 1971 e Lanza, 1983) il maschio insegue la femmina mantenendo il capo attaccato alla cloaca della compagna, che si muove in cerchio facendo ondulare il corpo e la coda come un serpente. Il corteggiamento terminerebbe quando il maschio riesce ad infilarsi sotto la femmina e ad allacciare le rispettive code. Al termine di questa parata, che dura 2-15 minuti, il maschio depone una spermatofora conica, trasparente e alta 2 mm, che viene risucchiata dalle labbra cloacali della femmina e trattenuta all’interno di una spermateca (Chiarugi, 1899). I maschi presentano spermatozoi maturi già in autunno, i corteggiamenti si verificano a terra, dalla seconda metà di Ottobre ai primi di Novembre (Chiarugi, 1899, 1900), o anche in Dicembre Strötgen (1927). La migrazione in acqua delle femmine gravide (i maschi non vanno mai in acqua) avviene in genere da Marzo ad Aprile-Maggio (cfr. Ramorino, 1863; Chiarugi e Banchi, 1896; ecc.), secondo la latitudine e l’altitudine, ma soprattutto secondo l’andamento stagionale e meteorologico di quel dato anno. Chiarugi (1899, 1900), ad esempio, in altri anni ha trovato le uova già a Gennaio e Naviglio (1971) addirittura il 27 Dicembre, con una temperatura dell’acqua di 12°C. Per ogni singolo anno, comunque, il periodo di deposizione è molto breve. Le femmine più grosse arrivano prima al sito di deposizione dove vi rimangono in media una settimana (Antonelli e Utzeri, 1996). Le uova sono deposte singolarmente in pozze profonde almeno 20 cm e attaccate al substrato o alla vegetazione sommersa mediante un corto peduncolo. Il numero di uova deposte in un solo gruppo varia da 5 a 20, globalmente da 30 a 50 per femmina, in relazione alle dimensioni della femmina stessa (Antonelli e Utzeri, 1994). Terminata la deposizione le femmine compiono in acqua una muta che dura un paio di giorni. L’exuvia non viene divorata (Zagaglioni com. verbale).
Sviluppo: le uova schiudono dopo una ventina di giorni dalla loro deposizione e terminano la metamorfosi dopo circa due mesi. Sebbene non siano noti dati relativi alla longevità di questa specie in condizioni naturali, esemplari mantenuti in terrario hanno vissuto per più di 10 anni. La maturità sessuale è raggiunta ad una lunghezza di 70 mm; a un anno di vita gli esemplari hanno già la colorazione definitiva.
Alimentazione: le larve sono carnivore e predano piccoli invertebrati acquatici. Gli adulti, anch’essi predatori, si cibano prevalentemente di invertebrati terrestri, in particolare artropodi e chioccioline.
Rapporti con altre specie: I siti riproduttivi della salamandrina terdigitata sono frequentemente utilizzati da altre specie di anfibi. In un recente censimento condotto in Liguria (Barbieri, 1994) la specie è stata osservata frequentemente in sintopia con Salamandra salamandra, meno spesso con Rana italica e Bufo bufo. Tra i potenziali predatori delle larve si annoverano molte specie di artropodi acquatici, tra cui alcune specie di Crostacei quali Austropotamobius pallipes e Potamon fluviatile, e molte larve di insetti (Odonati, Coleotteri Ditiscidi). Tra i predatori degli adulti troviamo alcuni piccoli mammiferi, alcuni rettili (Anguis fragilis, Natrix sp.) e alcuni anfibi (i.e. Bufo bufo).
Cause del declino.
La salamandrina dagli occhiali è un buon indicatore della qualità di biotopi acquatici, in particolare dei corsi d’acqua a debole corrente. Le cause principali del declino di questa specie sono sempre legate, direttamente o indirettamente, all’attività umana. le principali sono: la riduzione delle aree boscate, l’inquinamento chimico di ruscelli e torrenti, la captazione delle acque di sorgente ed il conseguente parziale o totale prosciugamento di pozze e interi tratti di torrente, la introduzione nei corpi idrici di specie ittiche predatrici.
Bibliografia
Antonelli D., Utzeri C., 1996 - Una popolazione centroitaliana di Salamandrina terdigitata (Lacépède) in ambiente semiartificiale. Riassunti 1° Congresso Societas Herpetologica Italica (Torino 2-6 Ottobre 1996), pp 86-87.
Barbieri F., 1994 - Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata Lacépède, 1788). In: Doria G. e Salvidio S. (Ed.) - Atlante degli anfibi e rettili della Liguria. pp 40-41. Regione Liguria, Catalogo dei beni naturali (2).
Bruno S., 1973 - Anfibi d’Italia: Caudata. Natura Soc. it Sc. nat. Mus. civ. St. nat. Milano, 64: 209-450
Cherchi M. A., 1953 - Termoregolazione in Salamandrina terdigitata (Lacépède). Boll. Musei Ist. biol. Univ. Genova, 25: 11-41.
Chiarugi G., 1899 - Receptaculum seminis nella di Salamandrina perspicillata. Mem. R. Accad. Sci. Torino, 10: 102-112.
Chiarugi G., 1899 - La segmentazione delle uova di Salamandrina perspicillata. Monitore zool. Ital., 10: 176-187.
Chiarugi G., 1900 - Alcune osservazioni sulla vita sessuale della Salamandrina perspicillata. Monitore zool. Ital., 11: 41-43.
Chiarugi G., Banchi A., 1896 - Influenza della temperatura sullo sviluppo delle uova della Salamandrina perspicillata. Monitore zool. Ital., 7: 47-51.
Lanza B., 1983 - Anfibi, Rettili (Amphibia, Reptilia). In: S. Ruffo (Ed.) - Guida per il riconoscimento delle specie animali delle acque interne italiane. 27. AQ/1/205. CNR, Roma.
Lanza B., 1988 - Salamandrina terdigitata (Lacépède, 1788): emblem of the Unione Zoologica Italiana. Boll. Zool., 55: 13-18.
Manzi A., Pellegrini M., Pellegrini M., 1990 - Nuove segnalazioni di Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata Lacépède, 1788) in Abruzzo. Atti Soc. it Sc. nat. Mus. civ. St. nat. Milano, 131: 433-452
Naviglio L., 1971 - Il periodo degli amori nella Salamandrina terdigitata. Notiz. UEI, 1: 39-43.
Ramorino G., 1863 - Appunti sulla storia naturale della Salamandrina terdigitata. Tipogr. Sordomuti, Genova.
Strötgen F., 1927 - Liebesspiele und Begattung bei den Brillensalamander. Bl. Aquar.-Terrar.-kde, 38: 94-95.
Triturus alpestris (Laurenti, 1768)
Nome italiano: Tritone alpestre
Categoria IUCN:
Vulnerable A1c
Tassonomia.
La filogenesi e la tassonomia del genere Triturus sono state studiate da Giacoma e Balletto (1988).
Triturus alpestris è una specie politipica a distribuzione medio-sudeuropea raggiunge a Nord la Penisola dello Jutland, a Sud l’Italia meridionale e la Penisola Balcanica, ad Est i rilievi dei Monti Cantabrici e ad Ovest i territori della Russia occidentale (Balletto e Giacoma, 1990). In questo esteso areale distributivo sono state descritte molte razze geografiche, su base prevalentemente morfologica. In Italia sono riconosciute tre distinte sottospecie: T. a. alpestris, presente sui rilievi alpini e collinari da Trieste sino alla Valle d’Aosta, T. a. apuanus, riconoscibile per la fitta macchiettatura scura della gola, diffuso nelle Langhe, nelle Alpi Marittime, nelle Alpi Apuane e nell’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo, e T. a. inexpectatus presente in un limitato numero di laghi calabri. Il differenziamento genetico fra queste sottospecie è notevole e coinvolge diversi aspetti comportamentali (Andreone et al., 1993).
Distribuzione passata e presente.
In Italia T. alpestris è un entità alpino-appenninca con una ampia fascia di distribuzione altitudinale. Sulle Alpi non è raro trovare T. a. alpestris a quote superiori ai 2000 m, ed eccezionalmente può raggiungere i 3000 m (Lanza, 1983). T. a. apuanus si trova a quote generalmente più basse e, in Liguria può spingersi quasi a livello del mare (Andreotti, 1994). In Piemonte questa sottospecie colonizza le regioni collinari delle Langhe e di Torino. Solo in casi eccezionali ne è stata rilevata la presenza in Pianura (Bernini e Mezzadri, 1990). Assente nelle isole, lungo la penisola la specie è distribuita in maniera frammentata nell’Appennino centro-settentrionale, sino ai Monti della Laga (Rieti), mentre più a Sud sono note solo poche ed isolate popolazioni in Calabria, sui rilievi della Catena Costiera, a quote comprese tra 800 e 1200 m (Giacoma et al., 1988).
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Tra i tritoni italiani è la specie con costumi più spiccatamente acquatici e, nelle popolazioni di quote più basse, gli animali possono trascorrere in acqua anche tutto l’anno, inverno compreso. Come in altre specie di tritoni, anche in T. alpestris sono noti casi di neotenia.
Habitat: frequenta prevalentemente laghetti, stagni o semplici pozze, in presenza o in assenza di una fitta vegetazione rivierasca ed emergente, comune nelle torbiere di alta quota, nelle aree di pianura è più raro e generalmente relegato alle zone di risorgiva. Talvolta lo si rinviene anche in ambienti antropizzati quali abbeveratoi e vasche artificiali (Giacoma, 1988; Giacoma et al., 1988).
Dimorfismo sessuale: come in tutti i tritoni esiste un accentuato dimorfismo sessuale, i maschi, in media più piccoli delle femmine, presentano una evidente cresta vertebrale e una livrea dai colori sgargianti con una caratteristica banda argentea lungo i fianchi, delimitata inferiormente da una stria celeste. Banda e stria sono assenti nelle femmine. La cloaca dei maschi ha forma emisferica, nelle femmine è meno pronunciata e a forma di tronco di cono.
Dimensioni delle popolazioni: popolazioni riproduttive variabili da poche decine di individui adulti ad alcune centinaia. I valori di densità al sito riproduttivo variano da un minimo di 0.01 ad un massimo di 10 individui adulti per metro quadrato. Le popolazioni di alta quota mostrano densità inferiori di quelle di bassa quota.
Sex ratio: considerato nel complesso il rapporto sessi al sito riproduttivo non varia significativamente dal valore unitario. Tuttavia si osservano accentuate variazioni nel corso della stagione riproduttiva. All’inizio i maschi sono in numero superiore alle femmine, e la sex-ratio può raggiungere valori di quattro maschi per femmina. Successivamente, il numero di femmine aumenta e supera quello dei maschi, con un rapporto sessi di due femmine per maschio.
Comportamento riproduttivo: inizio e durata della stagione riproduttiva variano da località a località a seconda dell’altitudine e latitudine, ma coincidono con l’inizio della stagione primaverile e, nelle popolazioni d’alta quota, con lo scioglimento del manto nevoso. Alle quote più basse i tritoni sono in acqua già verso la fine di gennaio e vi rimangono generalmente sino ad agosto. Il picco di attività riproduttiva si osserva generalmente a marzo alle basse altitudini, a maggio giugno nelle località a quote più elevate (Fasola e Canova, 1992a). Come negli altri tritoni la fecondazione è interna. Quando una femmina si avvicina ad un maschio, ha inizio una complessa parata di corteggiamento, costituita da una successione regolare di display comportamentali altamente stereotipati e specie-specifici (Giacoma, 1985; Belvedere et. al., 1988), che possono eventualmente concludersi con la deposizione della spermatofora da parte del maschio e con la sua assunzione da parte della femmina. Nel corso di una stagione riproduttiva i maschi possono produrre circa una cinquantina di spermatofore. Le femmine vengono fecondate più volte, talvolta dallo stesso maschio a breve distanza di tempo. Ciascuna femmina depone da 100 a 350 uova che fissa, una ad una, alla vegetazione sommersa.
Sviluppo: la schiusa delle uova avviene dopo circa un mese dalla deposizione e fuoriescono piccole larve branchiate, il cui aspetto, a grandi linee, è già simile a quello dell’adulto. La durata del ciclo larvale è normalmente di 4 o 5 mesi. In condizioni ambientali estreme la completa metamorfosi può avvenire non prima di due anni dalla schiusa delle uova. La maturità è raggiunta in media al terzo anno di età, sia nei maschi che nelle femmine. L’età media stimata in un campione costituito da più di 150 individui di T. a. apuanus di 9 diverse località è risultata di circa 5 anni, in entrambe i sessi, mentre l’età massima rilevata è stata di 13 anni. Tuttavia l’età media degli individui aumenta con l’altitudine a cui vive la popolazione, da 4.2 anni a 400 m, fino a 7.8 anni a 2066 m, forse in relazione alla diversa lunghezza del periodo annuo di vita attiva (Andreone et al., 1990).
Il ritardo della metamorfosi fin dopo il raggiungimento della maturità sessuale (neotenia) in questa specie è relativamente comune (Dolce e Stoch, 1984) e si conoscono alcune popolazioni nelle quali gli individui neotenici sono molto abbondanti (Andreone e Dore, 1991). Tale processo coinvolge anche alcune modificazioni comportamentali (Bovero et al., 1996).
Alimentazione: le larve predano piccoli invertebrati acquatici. Gli adulti, in grado di alimentarsi sia in acqua che a terra, si cibano di invertebrati, prevalentemente Artropodi, secondariamente di Anellidi e Molluschi (Fasola e Canova, 1992b). Stoch e Dolce (1984) hanno osservato in una popolazione friulana (Monte Corno) che la composizione percentuale dei contenuti gastrici di T. a. alpestris è più simile a quella di T. vulgaris che a quella di T. carnifex e mostra una forte prevalenza di crostacei cladoceri e copepodi oltre a una piccola percentuale di insetti.
Rapporti con altre specie: le larve sono predate da numerose specie di invertebrati acquatici, in particolare insetti, e da vertebrati acquatici, soprattutto pesci (trote), e rettili (Natrix e tartarughe acquatiche) che possono anche cibarsi degli adulti.
Cause del declino.
La scomparsa degli habitat riproduttivi è la causa principale del progressivo declino di questa specie nelle nostre regioni. In alcuni casi, come già osservato nelle altre specie di tritoni italiani, il ripopolamento ittico con specie predatrici nei siti di riproduzione del tritone può aver contribuito alla estinzione locale della popolazione riproduttiva.
Bibliografia
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Triturus carnifex (Laurenti, 1768)
Nome italiano: Tritone crestato italiano
Categoria IUCN:
Vulnerable A1c
Tassonomia.
Un tempo riconosciuto come razza geografica di T. cristatus, recenti studi cariologici ne hanno elevato il rango a piena specie (Bucci-Innocenti et al., 1983). Si differenzia da T. cristatus, oltre che per il diverso areale di distribuzione, per le zampe anteriori proporzionalmente più lunghe, la pelle meno verrucosa, l’assenza della punteggiatura bianca sui fianchi e per la presenza di una stria vertebrale chiara, generalmente gialla, spesso presente nelle femmine. Tra i tritoni italiani è la specie che raggiunge le più grosse dimensioni.
Distribuzione passata e presente.
Entità a geonemia sudeuropea, è presente in Austria, nelle provincie di Salisburgo e Vienna, nella Baviera meridionale, in Slovenia e Croazia e nella Svizzera meridionale (Balletto e Giacoma, 1990). In Italia risulta diffuso lungo tutta la penisola, mentre è assente in Sardegna, Corsica ed in Sicilia (dove esiste una segnalazione di Sava del 1844 sulle pendici dell’Etna, citato in Bruno, 1973, mai più confermata). Nel nostro territorio, il tritone crestato predilige le zone di bassa quota e raramente si spinge al di sopra dei 600-700 m di altitudine, anche se può raggiungere eccezionalmente i 1400 m sulle Alpi e i 1800 m di quota sugli Appennini (Giacoma et al., 1988).
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Habitat: gli ambienti acquatici colonizzati sono generalmente laghi di piccola estensione, stagni, pozze, canali e risorgive, preferibilmente con una ricca vegetazione acquatica sommersa ed emergente. A terra, il tritone crestato vive in campi, prati e boschi, mai troppo lontani dal sito di riproduzione. Sverna generalmente sotto le pietre o interrato, anche se occasionalmente il tritone può raggiungere l’ambiente acquatico già in autunno e svernare in acqua (Giacoma, 1988). I caratteri ambientali determinanti per la presenza di T. vulgaris meridionalis e di T. carnifex sono stati studiati in Piemonte da Pavignano (1988).
Dimorfismo sessuale: molto accentuato, soprattutto durante la stagione riproduttiva. Le femmine raggiungono dimensioni maggiori di quelle dei maschi, presentano spesso una stria vertebrale giallastra e hanno una cloaca piatta e poco saliente nella sua porzione ventrale. I maschi, durante la stagione riproduttiva, presentano caratteri sessuali secondari molto appariscenti: cresta vertebrale alta anche più di un centimetro, con margine dentellato, presenza sui lati della coda di una banda bianco-lattea con riflessi sericei, cloaca rigonfia di forma emisferica.
Dimensioni delle popolazioni: da diverse decine ad alcune centinaia di individui adulti. L’età media di maschi e femmine può variare a seconda delle popolazioni da 5-6 anni in popolazioni planiziali sino a 9 anni in popolazioni presenti in aree a riserva integrale come la Val d’Aveto (Pagano et al., 1990; Vallese et al., 1996). Non sono emerse differenze significative nella distruzione delle età di maschi e femmine adulte.
Sex ratio: nelle popolazioni riproduttive non si discosta significativamente dal valore unitario.
Comportamento riproduttivo: i maschi raggiungono l’ambiente acquatico non appena le condizioni atmosferiche rendono possibili gli spostamenti a terra, a partire dalla fine di febbraio, nelle zone a più bassa quota o latitudine, ad aprile nelle località con clima più rigido (Andreone e Giacoma, 1988). Gli animali rimangono in acqua sino ad agosto anche se il picco di attività riproduttiva coincide con i primi mesi primaverili (Fasola e Canova, 1992a). Le modalità riproduttive sono simili a quelle descritte per T. alpestris. La deposizione della spermatofora da parte del maschio è preceduta sempre da una complessa successione di display comportamentali (Giacoma, 1985; Malacarne e Giacoma, 1986; Belvedere et al., 1988; Andreoletti et al., 1994). La femmina depone le uova (sino ad un massimo di 400) singolarmente, attaccandole alla vegetazione o alle pietre del fondo. In Friuli Dolce et al. (1982) hanno osservato l’inizio dell’attività fra la fine di Marzo e l’inizio di Aprile, con temperature dell’acqua fra 8.0° e 9°C. La deposizione si verificava invece con temperature dell’acqua fra i 15°-16°C
Sviluppo: le uova schiudono dopo circa due settimane dalla loro deposizione. Lo sviluppo larvale dura circa tre mesi. L’età media stimata in alcune popolazioni riproduttive dell’Italia settentrionale (Liguria), meridionale (Calabria) e della Svizzera è risultata, per entrambi i sessi, di circa 6 anni, con un picco di reclutamento (età a cui si ha la prima riproduzione) in corrispondenza della quarta classe d’età. Gli animali più longevi sono risultati di 18 anni. Nonostante il ritardo della metamorfosi fin dopo il raggiungimento della maturità sessuale (neotenia) sia più comune in T. alpestris, se ne conoscono casi anche in questa specie (Dolce e Stoch, 1984).
Alimentazione: le larve sono predatrici di invertebrati acquatici di piccole e medie dimensioni. Bruno (1973) riporta lo spettro trofico riscontrato in una popolazione laziale di T. carnifex: i giovani presentano una dieta costituita prevalentemente da Crostacei (Copepodi, Ostracodi e Cladoceri), da Oligocheti e in misura minore da Ciliati. Stoch e Dolce (1985) hanno visto che nel Carso Triestino le larve assumono più di frequente cladoceri (58%), copepodi (43%), ostracodi (43%), larve di efimere (40%), di ditteri (30%) e di odonati (10%). Negli adulti la dieta cambia a favore delle prede di più grandi dimensioni: i gruppi più rappresentati risultano quello degli insetti, dei molluschi e degli Oligocheti. Gli adulti possono predare giovani e adulti di T. vulgaris, T. alpestris, T. italicus e in alcuni casi anche giovani della propria specie (Fasola e Canova, 1992b). Stoch e Dolce (1984) hanno visto che la composizione percentuale dei contenuti gastrici della popolazione del Monte Corno (Friuli) mostra circa 1/3 di insetti, 1/3 di crostacei (cladoceri e copepodi), 1/3 di uova e larve di anfibi. Nel Carso quest’ultima componente è ancora maggiore ed è rinvenibile nel 45% degli stomaci (Stoch e Dolce 1985), mentre è invece minima o assente nei contenuti gastrici di T. a. alpestris e di T. vulgaris meridionalis (Friuli: Stoch e Dolce 1984). Esistono comunque variazioni anche in questo parametro e Ancona e Bolzern (1993) hanno osservato che in Val d’Aveto anche se T. carnifex mantiene una dieta più varia di T. vulgaris meridionalis, quest’ultimo si nutre in parte di larve di tritoni, mentre il primo preda più spesso i girini di Rana temporaria. In simpatria, la ripartizione delle risorse fra le tre specie si compie a vari livelli ecologici e trofici e in modo diverso fra i sessi e le classi di età (Fasola, 1993).
Rapporti con altre specie: T. carnifex vive frequentemente in sintopia con altre specie di tritoni, in particolare T. vulgaris e, nell’Italia peninsulare, T. italicus, con i quali non sono noti fenomeni di ibridazione. Tra i predatori delle larve di tritone vi sono numerosi insetti acquatici, Coleotteri Ditiscidi, Emitteri e Odonati. Particolarmente pesante risulta la pressione predatoria esercitata dai Salmonidi, introdotti dall’uomo per scopi alimentari e ricreativi.
Cause del declino.
La causa principale del declino di questa specie è la progressiva distruzione degli habitat riproduttivi, conseguenza di uno sviluppo intensivo dell’agricoltura o di una spinta urbanizzazione della campagna. Talvolta a queste cause si aggiungono gli effetti disastrosi provocati dalla introduzione nei siti riproduttivi di specie ittiche predatrici, in particolare Salmonidi, ma anche Alborelle (Alburnus albidus) e cavedani (Leuciscus cephalus)(Caputo et al., 1993).
Bibliografia
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Triturus italicus (Peracca, 1898)
Nome italiano: Tritone italico
Categoria IUCN:
Vulnerable A1c
Tassonomia.
Specie monotipica endemica delle regioni centromeridionali della Penisola Italiana. E’ il tritone italiano che presenta le più piccole dimensioni corporee, con maschi che non superano i 90 mm di lunghezza (coda inclusa). Può essere confuso solo con T. vulgaris meridionalis, con il quale tuttavia solo raramente vive in simpatria, e rispetto al quale si differenzia, oltre che per la taglia, per la colorazione della gola di un giallo ocraceo più intensa rispetto a quella ventrale, per la ridotta presenza della macchiettatura ventrale, e, spesso, per la presenza di due macchie giallo oro sulla parte dorsale della testa.
Distribuzione passata e presente.
Il confine settentrionale dell’areale distributivo della specie varia nei due versanti appenninici (Giacoma, 1988). Lungo la dorsale adriatica la specie raggiunge le Marche, spingendosi a Nord sino ad Ancona, mentre ad Ovest della catena appenninica il tritone italiano si ferma ai territori del Lazio meridionale (Monti Aurunci). In queste regioni T. italicus si distribuisce dal livello del mare sino ad oltre 1500 m di quota (Giacoma et al., 1988).
Habitat, Ecologia e Biologia di Popolazione.
Habitat: l’ambiente acquatico è rappresentato da fiumare, piccoli laghi, pozze, cisterne e abbeveratoi. Predilige ambienti con abbondante vegetazione acquatica, ma può colonizzare anche habitat privi o con scarsa vegetazione acquatica e ripariale (Giacoma, 1988).
Dimorfismo sessuale: poco accentuato sia nella colorazione che nelle dimensioni corporee. Il maschio, in media più piccolo della femmina, presenta una coda proporzionalmente più lunga ed una cloaca di forma emisferica, non troncoconica come nelle femmine (Scillitani, 1996). Il maschio inoltre presenta due strie dorsolaterali che delimitano la fascia gialla iridescente dei fianchi.
Dimensioni delle popolazioni: le popolazioni riproduttive hanno dimensioni molto variabili da poche decine a qualche centinaio di individui. Stime di densità animale al sito di riproduzione hanno fornito valori variabili da 0.001 a 20 individui per metro quadrato (Giacoma, 1988).
Sex ratio: il rapporto sessi calcolato su un campione di animali catturato in 20 distinte popolazioni rivela valori prossimi a quelli unitari (mm/ff= 1/1.22), sebbene leggermente sbilanciati a favore delle femmine (Giacoma, 1988).
Comportamento riproduttivo: Il comportamento riproduttivo di T. italicus presenta caratteristiche simili a quello degli altri tritoni italiani. La stagione riproduttiva ha inizio in primavera. La fecondazione delle uova è interna. Il maschio, avvicinata una femmina recettiva, inizia una complessa parata di corteggiamento che generalmente termina con il rilascio di una spermatofora (Giacoma, 1983; Giacoma, 1985; Giacoma e Sparreboom, 1987; Belvedere et al., 1988; Guy e Giacoma, 1990). La femmina viene quindi indotta a raccogliere con le labbra cloacali la spermatofora e gli spermatozoi in essa contenuti. Il picco di deposizione delle uova pur variando da località a località, è generalmente in aprile o maggio.
Sviluppo: le uova schiudono dopo circa 20-30 giorni (Giacoma et al., 1987). La durata del ciclo larvale è più breve di quella osservata nelle altre specie, spesso condizionata dalla progressiva riduzione e scomparsa dell’acqua (Giacoma et al., 1987). Verso agosto, circa due mesi dopo la schiusa, la larva perde le branchie ed abbandona l’ambiente acquatico. A differenza delle altre specie congeneriche, non si hanno informazioni dettagliate sull’età a cui T. italicus raggiunge la maturità sessuale. La longevità massima è di 8-10 anni (Bruno, 1983).
Alimentazione: simile alle altre specie di tritoni, le uniche differenze sono dovute alle più ridotte dimensioni corporee del tritone italico che inducono gli animali a cibarsi anche di prede più piccole (Joly e Giacoma, 1992).
Rapporti con altre specie: tra i numerosi predatori delle larve del tritone italico si annoverano numerose specie di insetti acquatici (Coleotteri Ditiscidi, Odonati, Emitteri). Tra i vertebrati potenziali predatori del tritone sia nella fase larvale che in quella di adulto, citiamo pesci (Salmonidi), rettili (soprattutto Natricini), alcuni uccelli acquatici e alcuni mammiferi.
Cause del declino.
La distruzione degli habitat riproduttivi è la causa principale del declino di questa specie. Ad essa si somma talvolta l’eccessivo prelievo d’acqua che provoca il prosciugamento precoce dei siti di riproduzione e quindi la morte delle larve che non riescono ad ultimare la metamorfosi. Effetti molto negativi sulle popolazioni di tritone italico sono inoltre provocati dalla introduzione di specie ittiche predatrici.
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Fonte ftp://ftp.scn.minambiente.it/docs/Anfibi.doc
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