Gustave Courbet vita opere biografia

 

 

 

Gustave Courbet vita opere biografia

 

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Gustave Courbet

 

 Il 1848 rappresenta, per tutta l'Europa, l'anno delle grandi e sanguinose sommosse popolari.

 

I moti di Parigi ne costituiscono uno degli esempi più drammaticamente emblematici. Gli operai, ai quali erano stati imposti salari di mera sussistenza e condizioni di lavoro disumane, esprimono violentemente il proprio malcontento costringendo re Luigi Filippo a lasciare il trono e proclamando nel contempo la Seconda Repubblica, alla cui presidenza verrà poi eletto a suffragio universale Luigi Napoleone Bonaparte, nipote del grande Napoleone.

 

Molte delle manifestazioni parigine del '48 vengono però sanguinosamente represse e in breve anche Luigi Napoleone, inizialmente eletto quale esponente del Partito dell'Ordine, tornerà a schierarsi apertamente con la forte borghesia industriale, compiendo un'opera di restaurazione politica e sociale così radicale da culminare addirittura con il ripristino dell'impero (1852).


In questo contesto complessivo di grandi fermenti politici e sociali anche l'arte attraversa una sorta di crisi di identità. Di fronte ai nuovi fatti accaduti, l'artista non sembra poter più nascondersi fuggendo nel mondo incantato della mitologia o dello storicismo romantici.
I movimenti realisti nascono pertanto, proprio per rispondere in modo artistico a questa prepotente richiesta di vero e di quotidiano. In pittura come in letteratura non si vuole più ingannare, proponendo soggetti falsi o inconsistenti, ma ‑ al contrario ‑ si cerca di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico.

In Francia, in modo particolare, il Realismo si sviluppa come metodo scientifico per indagare la realtà, spiegandone le contraddizioni e le miserie senza esserne però coinvolti emotivamente. Il primo (e unico) fine dell'artista sarà quello di annotare minuziosamente le caratteristiche del mondo che lo circonda, astenendosi il più possibile da qualsiasi giudizio di tipo soggettivo.

Il concetto di realismo, del resto, è sempre stato strettamente connesso con quello di arte. Ogni periodo storico ha avuto il suo realismo in rapporto a quelle che erano le specifiche esigenze sociali e culturali del tempo.

 

Il capostipite indiscusso del realismo pittorico francese è senza dubbio Gustave Courbet.

Nato a Ornans nel 1819 da una famiglia contadina benestante, conduce i primi studi presso il piccolo seminario della cittadina natale. Formatosi quasi da autodidatta, inizia la propria attività nel solco della tradizione romantica, dedicandosi soprattutto alla copia dal vero e al rifacimento di alcuni dipinti del Louvre, ponendo particolare attenzione ‑e non poteva essere altrimenti ‑ alle opere di Caravaggio e di Rembrandt.
Ben presto, però, arriva a rifiutare radicalmente ogni tipo di influenza e di compromissione con tutte le forme d'arte ufficiali e proclama che la pittura può consistere soltanto nella rappresentazione di oggetti visibili e tangibili".
Nel 1846, come scrive egli stesso, "dopo aver discusso sugli errori dei romantici e dei classici [levai] una bandiera che si convenne chiamare arte realista". Per rendere compiutamente il senso del vero, cioè quella che già Delacroix chiamava 1a cruda realtà degli oggetti", l'artista comprende di non poter più vivere nel modi convenzionali della società borghese. Nel 1850 Courbet nota:
"Nella nostra civiltà così incivilita bisogna che io conduca una vita da selvaggio; bisogna che mi tenga libero anche dai governi. Il popolo gode le mie simpatie; devo rivolgermi direttamente a lui, ricavarne il mio sapere, e dev'essere lui a farmi vivere. Per questo ‑ conclude l'artista ‑ ho incominciato la grande vita indipendente del bohémien."
Gli anni successivi sono per Courbet di grande impegno ideologico e di attività febbrile. La sua partecipazione (o la sua esclusione) dai Salons ufficiali, furono a più riprese motivo di polemiche a volte anche feroci.


Nonostante Courbet sia sempre stato contrario all'ìnsegnamento dell'arte, nel 1861 apre una propria, singolarissima scuola, in evidente e aperta polemica con l'Accademia e le altre Scuole d'Arte ufficiali. Ai suoi pochi allievi il bizzarro maestro insegna innanzi tutto che «non ci possono essere scuole: ci sono soltanto pittori". Courbet è infatti del parere che l'arte non possa essere appresa meccanicamente, ma che, al contrario, essa "è tutta individuale e che, per ciascun artista, non è altro che il risultato della propria ispirazione e dei propri studi sulla tradizione". Ai suoi allievi Courbet non impartiva mai lezioni teoriche, ma preferiva piuttosto che gli stessero accanto mentre dipingeva, al fine di apprendere i segreti del mestiere, come avveniva nelle botteghe medioevali. Non a caso il motto con il quale l'artista amava pungolare ironicamente gli allievi era soprattutto questo: Fai quello che vedi, che senti, che vuoi".
Insieme alle polemiche, incominciano a giungere anche i primi riconoscimenti. L'artista li accoglie comunque senza entusiasmi, intento più a rimanere fedele alla propria ispirazione realistica che a seguire le volubili oscillazioni del gusto.


Nel 1871 l'artista partecipa attivamente all'insurrezione di Parigi e, durante la breve stagione libertaria della Comune, viene addirittura eletto delegato delle Belle Arti. In seguito alla feroce restaurazione seguita all'esperienza comunarda, Courbet viene processato e condannato quale sovversivo, con l'accusa di aver istigato l'abbattimento della monumentale Colonna Vendóme. Costretto a vendere all'asta tutte le sue opere muore in dignitosa solitudine, a La Tour‑de‑Peilz, presso Vevey, il paesino svizzero ove si era ritirato. Era la notte dell'ultimo dell'anno 1877.

Courbet è un artista che non conosce le mezze misure. Anche se la sua sete di realismo ha radici culturali lontane (dal Correggio a Caravaggio, da Tiziano a Rembrandt, su fino a Géricault), la tecnica che adotta è straordinariamente innovativa e personale. "Bisogna incanaglire l'arte ‑ scrive provocatoriamente al riguardo ‑ da troppo tempo i pittori miei contemporanei fanno dell'arte ideativa, riprodotta dalle stampe".
Ecco allora che anche nella scelta dei temi l'artista abbandona di colpo qualsiasi riferimento storicistico concentrandosi sul piccoli fenomeni del quotidiano, registrati con l'impersonale distacco di un osservatore oggettivo. Ne Lo spaccapietre del 1849, ad esempio, Courbet rappresenta un manovale intento a frantumare dei sassi per ricavarne ciottoli di pezzatura inferiore. Il soggetto è molto diverso da quelli ai quali ci aveva abituato la pittura accademica del tempo. Ma le diversità non sono solo formali. L'occhio indagatore dell'artista scava impietosamente nella realtà mettendone a nudo ogni risvolto. Ecco allora le toppe sulle maniche della camicia, il panciotto strappato sotto l'ascella, i calzini bucati al tallone. A sinistra, sotto un cespuglio, vi sono anche una pentola e mezzo filone di pane, evidente accenno a quello che sarà il povero pasto dello spaccapietre. La natura circostante è tratteggiata in modo essenziale, quasi scamo, senza indulgenza né compiacimenti. Courbet rifugge da qualsiasi tentazione pietistica e proprio in questo equilibrio sta la sua grandezza.


Ne L'atelier del pittore, un'enorme tela del 1855, l'artista espone in modo compiuto tutti i propri ideali artistici ed umani.
Al centro della grande tela, intento a dipingere un paesaggio con un cielo estremamente realistico e anticonvenzionale, Courbet rappresenta se stesso. Attorno a lui si affollano, nella fosca penombra dell'atelier, una trentina di personaggi. A sinistra sono rappresentate le classi sociali che vivono ai margini della società: ubriaconi, saltimbanchi, balordi. Hanno tutti la testa mestamente reclinata e l'atteggiamento pensoso. Nei loro volti senza sorriso si legge il pesante fardello della vita e dei suoi dolori. A destra sono invece i sogni e le allegorie. Tra queste l'amore, la filosofia e la letteratura, alle quali Courbet ha imprestato i volti di amici e conoscenti. La Verità, nuda accanto all'artista, osserva con tenerezza l'opera che egli sta ultimando. Di fronte un bimbetto dai vestiti laceri guarda incuriosito: la verità, vuol dirci l'artista è semplice e innocente, oltre che nuda.


Al 1857 risale un altro dipinto chiave nella carriera artistica di Courbet. Si tratta del celeberrimo Le signorine sulla riva della Senna, .
E' difficile immaginare quanto anche questo dipinto, apparentemente tanto innocuo da sembrare quasi scialbo, scosse la critica benpensante del tempo. In esso, infatti, l'autore non rappresentava personaggi storici o mitologici e per la prima volta la scena appariva ambientata non in una dimensione fantastica e lontana ma lungo le ben note rive della Senna. Le due ragazze sdraiate, poi, erano vestite secondo la moda del tempo, e ciò escludeva definitivamente ‑ se pur ce ne fosse stato ancora bisogno ‑ qualunque volontà, da parte dell'artista, di identificarle con qualche ninfa o con qualche dea dell'antichità classica. Nei loro volti assonnati e un po' volgari, anzi, si poteva leggere tutta la quotidianità della loro storia: erano amiche (o forse sorelle) andate a fare una passeggiata e sopraffatte dal torpore del caldo pomeriggio primaverile. Le loro posizioni, goffe e quasi sgraziate, ci dicono di come l'artista abbia voluto coglierle di sorpresa: una, quella in primo piano, appena assopita e l'altra, invece, placidamente immersa nei propri pensieri.


Il realismo complessivo della scena e, in generale, il realismo di Courbet, non deve indurci a credere che l'artista costruisse i suoi dipinti in modo casuale e irrazionale. Al contrario, egli dimostra una grande attenzione ai problemi compositivi anche quando, in apparenza, sembra c e la composizione non esista. Nel caso specifico egli realizzò moltissimi schizzi preparatori, presi dal vero, e di alcuni di essi ci sono rimaste splendide testimonianze. Nel carboncino su carta che presentiamo, firmato e datato 1855, dunque di due anni precedente al dipinto definitivo, si nota come Courbet sia attento alla resa realistica fin dalle fasi preparatorie .

Gli eventi della Comune di Parigi, che Courbet affrontò con la coerenza e con la dignità consuete, segnarono l'inizio di quel declino che, nel giro di pochi anni porterà l'artista alla morte. La sua grande lezione artistica e morale, comunque, non andrà dispersa.

Il "maledetto realista", come lo chiamavano sprezzantemente i suoi detrattori accademici, apre di fatto la strada alla fervida stagione del Realismo francese, sulla quale si innesterà poi, pur se con accenti diversi, anche tutta la straordinaria esperienza impressionista .

 

Fonte: http://www.istitutobalbo.it/autoindex/indice/Liceo%20Classico/Lezioni%20di%20storia%20dell%27Arte/1800/courbet_1.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 

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