dal barocco al rococò

 

 

 

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dal barocco al rococò

 

 

IL ROCOCÒ (SETTECENTO)

 

Indice

  • Il passaggio dal Barocco al Rococò
  • L’arte in Italia fra Seicento e Settecento
  • L’Europa fra Barocco e Rococò
  • La pittura di scene galanti nel Rococò francese
  • Il ciclo decorativo della residenza di Wurzburg à Tiepolo (1750-53)
  • Il ritorno di Bucintoro al molo il giorno dell’ascensione à Canaletto (1729-30)
  • Il molo con la libreria e la chiesa della salute à Guardi (1770-80)
  • Il ridotto à Longhi (1740)
  • Il trionfo di Giuditta à Giordano (1703-04)
  • Lo scalone di palazzo Sanfelice à Sanfelice (1725-28)
  • La reggia di Caserta à Vanvitelli (1751-73)
  • Imbarco per Cittera à Watteaux (1717-18) 
  • La carriera del libertino à Hogarth (1733-35)

 

 

IL PASSAGGIO DAL BAROCCO AL ROCOCÒ

Il passaggio dal tardobarocco al Rococò, databile tra la fine del XVII e la prima metà del XVIII secolo, non è un processo omogeneo (presenta, infatti, marcate differenze regionali) né lineare. I due stili, pur intersecandosi, sopravvivono talora uno accanto all’altro, esprimendo due diverse concezioni della realtà: mentre l’arte tardobarocca è ancora improntata a una visione gerarchica e monumentale, il Rococò anticipa tendenze legate alla cultura illuministica e al recupero del valore delle sensazioni. Il Rococò, il cui nome è legato con intenzione dispregiativa a un tipico motivo decorativo a “conchiglia”, è oggetto nella critica d’arte del tempo dello stesso discredito che aveva accompagnato il Barocco: in particolare in ambito accademico e classicista ne vengono deplorate l’irrazionalità e la stravaganza. Una rivalutazione avviene solo nel corso del XX secolo.

Sorto in Francia all’inizio del Settecento, il Rococò si diffonde in Europa fino alla metà del secolo come stile prediletto delle corti e della nobiltà del continente, favorito dal Grand Tour di artigiani e artisti. Tratti caratteristici del nuovo stile sono la rivalutazione delle arti minori e la ricerca della grazia, che hanno come luogo privilegiato le decorazioni degli interni, dove un gusto più intimo per gli oggetti preziosi e minuti, per tonalità chiare e leggere e per effetti raffinati si sostituisce alla ricerca di solennità Barocca.
L’architettura è caratterizzata dalla simmetria, dall’integrazione nella natura, dalla preferenza per forme eleganti e leggere, dall’uso di ampie finestre vetrate che consentono una notevole illuminazione degli interni.
Grande successo hanno i temi bucolici e pastorali legati all’idealizzazione di un mondo di serena felicità terrena proposti dall’Accademia d’Arcadia, che si diffondono dalla letteratura a tutte le arti.
La ricerca del diletto nell’arte e l’affermazione del valore autonomo del Bello caratterizzano l’estetica del momento, sinonimi di un processo di laicizzazione e di modernizzazione anche della cultura illuminista.

 

L’ARTE IN ITALIA TRA SEICENTO E SETTECENTO

Sebbene l’Italia vada perdendo il ruolo di guida nella sperimentazione, la mobilitazione dei suoi artisti li porta a diffondere il proprio linguaggio sul continente. Al contempo essi rinnovano il panorama della penisola importandovi soluzioni moderne apprese nei paesi in cui lavorano. Sotto la guida dei Savoia nel Settecento Torino è il centro più attivo nella sperimentazione architettonica e urbanistica: vi operano Guarini, Borromini. A Venezia Tiepolo, autore di affreschi di grande immaginazione e virtuosismo compositivo, rinnova la tradizione pittorica, ottenendo uno straordinario successo anche nell’entroterra e nelle corti europee (Austria). Anche la pittura di vedute, che rappresenta la realtà in modo fedele e non idealizzato, annovera nella città lagunare grandi artisti come Canaletto e Guardi. Carlo III di Borbone promuove a Napoli un intenso sviluppo urbanistico e architettonico, che ha il massimo artefice il Vanvitelli, autore della Reggia di Caserta. A Napoli chiude anche la sua carriera Luca Giordano, la cui pittura luminosa e dalla spazialità vorticosa già prefigura gli effetti del Rococò. Anche a Roma, meta privilegiata di artisti e collezionisti d’arte, vive una fase di sviluppo urbanistico promossa dia papi. A Bologna, invece, il rinnovamento coinvolge soprattutto la pittura, in cui convivono due opposte tendenze: quella classicista e quella naturalistica, nella quale si segnala la presenza di Crispi.

 

L’EUROPA TRA BAROCCO E ROCOCÒ

I progetti assolutistici di Luigi XIV influenzano in profondità lo sviluppo artistico francese del periodo: Parigi è oggetto di interventi urbanistici che le danno un aspetto più razionale e ne fanno una scenografia del potere; viene eretta la sontuosa Reggia di Versailles; l’arte assume un tono aulico e solenne. Alla morte del re, però, la corte perde il suo primato culturale a vantaggio di una ricca aristocrazia, dai gusti artistici più indirizzati alla ricerca del comfort, ben espressi nel nuovo stile.
L’Europa centrale è caratterizzata da una notevole vivacità artistica, influenzata dalla penetrazione di modelli del Seicento italiano attraverso l’opera di artisti chiamati dalla penisola a lavorare anche in funzione di propaganda cattolica all’interno di regioni protestanti (Olanda). Vienna, nuova sede imperiale, la Baviera, la Boemia presentano un volto rinnovato sulla base degli esempi italiani e francesi.
Tra le accademie, che in questo periodo svolgono un importante ruolo di promozione artistica, spicca quella di Francia a Roma, che tra l’altro favorisce il soggiorno di artisti francesi nella penisola e fa realizzare copie e calchi di monumenti antichi. Anche le arti applicate, soprattutto quelle decorative, divengono oggetto di studi specifici.
La passione per l’antico alimenta un fiorente mercato d’arte, la prosecuzione degli scavi alla ricerca di altre opere antiche perdute (scavi che tra l’altro portano alle eccezionali scoperte di Ercolano e Pompei) e una produzione editoriale volta a diffondere la conoscenza dei capolavori del passato. Il prestigio e il valore economico delle opere d’arte producono però un processo di spoliazione del patrimonio della penisola, che si disperde nelle corti europee.
Nel Settecento altri due fenomeni culturali divengono particolarmente rilevanti in ambiente artistico: il Grand Tour in Italia da parte degli aristocratici, borghesi e studenti europei e il collezionismo privato, soprattutto inglese.

 

La pittura di scene galanti nel Rococò francese

Una variante “aristocratica” della pittura di genere è costituita dalla scena galante, diffusasi soprattutto in Francia, in età rococò, per opera di pittori come Watteaux, Boucher e Fragonard. La cultura dei boudoirs stimola la produzione di nuovi soggetti, che enfatizzano gli aspetti più seducenti e sensuali del mondo fisico a della vita aristocratica: scene d’amore e di danza, riunioni festose, giochi galanti e idilli pastorali. Influenzati dalla pittura di genere fiamminga e dalla luminosa tavolozza dei pittori veneti del Cinquecento, i dipinti di Watteaux celebrano i riti edonistici, il cerimoniale galante, gli intrecci amorosi della declinante nobiltà del tempo con immagini di ricercata bellezza e di grazia che sono un inno nostalgico alla gioia di vivere. Con accenti più licenziosi e ammiccanti Boucher dipinge aggraziate immagini di divinità amoreggianti in scenari bucolici e dame in deshabillé nell’intimità dei propri boudoirs che sollecitano il voyeurismo del pubblico maschile e la civetteria di quello femminile, interpretando con occhi smaliziato e una pittura stravagante i vizi e i costumi di un’intera classe sociale. Il suo più celebre quadro è La toilette (1742). Fragonard dipinge con straordinario virtuosismo e una pennellata guizzante e cremosa, soggetti dilettevoli e galanti che celebrano l’amore e il piacere. Suo quadro rappresentativo è L’altalena (1767).

 

Il ciclo decorativo della residenza di wurzburg à Tiepolo (1750-53)

Nel dicembre del 1750 Tiepolo arriva in Baviera alla corte del principe-vescovo Philipp von Greiffenklau che lo aveva chiamato per decorare alcuni ambienti della propria sfarzosa residenza. La decisione del principe-vescovo di cercare nella città lagunare l’artista di cui aveva bisogno dipende molto probabilmente, oltre che dalla fama e dal prestigio di cui il Tiepolo già gode in quel tempo, anche dagli importanti legami commerciali esistenti tra Wurzburg e Venezia e dalla presenza nella città veneta del facoltoso mercante e banchiere Mahling, nativo di Wurzburg che svolge un prezioso ruolo di intermediazione per convincere il pittore ad accettare l’incarico. L’impresa affidata a Tiepolo fu difficile sia per la complessità del programma iconografico incentrato sulla figura dell’imperatore Barbarossa, cui si doveva l’investitura del primo principe-vescovo di Wurzburg, sia per le caratteristiche dell’ambiente da decorare: l’ottagonale Kaisersaal (sala principale) e il soffitto del grande scalone di rappresentanza. Decorata di marmi policromi e di magnifici stucchi, la grande sala benché vasta e luminosa, non offriva, infatti, spazi agevoli per accogliere gli affreschi, se non al di sopra delle cornici dove, intervallate da grandi finestroni ovaliformi, le due superfici maggiori, a nord e a sud, si presentavano alquanto strette e di forma triangolare, mentre un ampio spazio ovale delimitato da motivi rocaille in stucco decorato occupava la grande volta. Tiepolo realizza gli affreschi rispettando il programma prefissato e armonizzando la decorazione non solo con i problematici spazi di cui dispone, ma anche con la raffinata cromia (rosa, bianca e oro) dell’architettura interna. Sopra la cornice, a destra e a sinistra, l’artista dipinge le “Nozze del Barbarossa” e la “Dieta imperiale”. Mentre sul soffitto raffigura l’episodio in cui “Barbarossa in trono riceve la sposa Beatrice di Burguandia portata da Apollo sul carro del Sole”. Qui il pittore dispiega la propria fantasia immaginativa realizzando una composizione dinamica e luminosa, impostata sul movimento che da destra a sinistra accompagna la corsa della divina quadriga, e sugli audaci effetti illusionistici e prospettici che proiettano le figure e le architetture nella profondità del dipinto, nel cielo blu brillante solcato da soffici nubi e animato dalle sagome fluttuanti dei Cupidi e delle altre personificazioni mitologiche. Nel 1752 Tiepolo dà inizio all’enorme affresco sul soffitto dello scalone progettato da Neumann, una scenografica struttura che da una base assai semplice e da una prima rampa rettilinea si schiude, si biforca e si ripiega su se stessa generando una serie emozionante di scorci, di punti di vista e di prospettive che guidano lo sguardo sino alla vasta superficie di un’alta volta interrotta. In sintonia con le dimensioni colossali del soffitto, il soggetto prescelto, “L’Olimpo e i quattro continenti del mondo”, è di tipo cosmico-mitologico, con Apollo, dio del Sole, che porta la luce sul mondo circondato dalle divinità olimpiche, le Ore e i cavalli del Sole. L’affresco è congegnato in modo da svelarsi all’osservatore per tappe e in modo graduale, spalancandosi completamente alla vista solo una volta giunti in cima alla seconda rampa. Qui, in un tripudio di figure lievitanti tra nubi bianche, Tiepolo apre la vertigine di un cielo profondissimo e splendente di luce, collocando le personificazioni dei quattro continenti lungo il cornicione e accompagnandole con le figure in stucco per aumentare l’illusionismo prospettico. Una nobile donna seduta sul trono affiancata dalle diverse arti e attività civili rappresenta l’Europa; l’America sta seduta su un alligatore ed è circondata da figure con copricapo piumati; l’Asia è portata da un elefante, l’Africa da un cammello. 

 

 Il ritorno di Bucintoro al molo il giorno dell’ascensione à Canaletto (1729-30)

Canaletto si dedica alla pittura di vedute a partire dal terzo decennio del Settecento. La sua opera, che rinnova ed eleva il genere vedutistico a valori artistici e poetici di livello europeo, interpreta il mito e la gloria di Venezia in immagini di eccezionale intelligenza compositiva e lucidità ottica, traducendo in poesia la certezza illuministica dell’esistenza di una verità assoluta e razionale.
Tale dipinto viene eseguito da Canaletto su commissione del conte Bolagnos desideroso di immortalare la cerimonia della presentazione delle sue credenziali al doge, avvenuta nel maggio 1729. La tela rientra in quel particolare genere di vedute dedicate a luoghi canonici e carismatici della città lagunare che più di altre contribuirono a diffondere nel mondo l’immagine di Venezia e delle sue straordinarie bellezze. La veduta funge da palcoscenico per l’illustrazione di una solennità religiosa o di un avvenimento politico-mondano. Bucintoro era una maestosa imbarcazione a remi fastosamente decorata sulla quale ogni anno, nel giorno dell’Ascensione, il doge saliva per celebrare la cerimonia dello “sposalizio del mare”. Giunto a porto San Nicolò, il doge gettava in acqua un anello recitando le seguenti parole: “Ti sposiamo o mare nostro, in segno di vero e perpetuo dominio”. La cerimonia festeggiava, e insieme rievocava, il giorno dell’Ascensione dell’anno Mille, quando il doge Pietro Orseolo II, partendo con la sua flotta alla conquista dell’Istria e della Dalmazia, aveva dato inizio alla gloriosa storia di Venezia e del suo incontrastato dominio sull’Adriatico. Il dipinto è costituito con l’aiuto della camera ottica e con un punto di vista leggermente ribassato che valorizza in ugual misura il celeberrimo prospetto cittadino e lo specchio di mare antistante, affollato da un gran numero di imbarcazioni parate a festa e colme di persone di ogni censo, alcune delle quali indossano la beuta, la tipica maschera veneziana. Sulla destra, addobbata con paramenti rossi, troneggia la sagoma imponente e scintillante di ori del Bucintoro, su cui sventola il vessillo della Serenissima. La straordinaria vivacità dell’immagine, dinamica e pulsante di vita, trae origine dalla scelta del punto di ripresa, posto nel mezzo delle acque del bacino, che oltre a favorire il processo di immedesimazione da parte dell’osservatore, moltiplica gli effetti scenografici e luministici nel contrasto tra la cristallina trasparenza del cielo, l’immoto nitore delle forme architettoniche e il caotico affastellarsi delle barche in primo piano. Il pittore si concentra sulla valorizzazione del particolare, analizzando con impressionante lucidità di visione e considerato parte essenziale della veduta globale. I singoli dettagli architettonici e le figure multicolori che punteggiano la scena trovano una definizione formale autonoma, senza che l’unità d’insieme ne soffra minimamente. Il fattore unificante è, infatti, costituito dalla luce calda e dorata del pomeriggio che si decanta nel brillante cromatismo delle “macchiette” (i personaggi realizzati con rapiti movimenti del pennello), nello splendore dei marzi, nel fasto degli apparati, nei riflessi sull’acqua.

 

Il molo con la libreria e la chiesa della salute à Guardi (1770-80)

Il punto di ripresa è fissato all’inizio della riva degli Schiavoni, all’altezza della piazzetta di San Marco. L’inquadratura è fissata su una prospettiva centrale, che esalta la ripida fuga degli edifici sulla destra (Libreria e Zecca), davanti ai quali si ergono esili bancarelle protette da bianchi tendaggi. Il pittore riserva la metà sinistra della composizione allo specchio d’acqua, al molo gremito di gondole all’ormeggio, alla sagoma maestosa di Santa Maria della Salute sullo sfondo. Sul piano inclinato della riva degli Schiavoni sostano frotte di popolari, pescatori e straccioni, che il pittore rende con ritmo frenetico e rapidi tocchi di pennello, realizzando un’intesa sensazione di movimento. Il punto di vista ribassato collocato al di sotto appena della metà del quadro, valorizza l’ampia porzione di cielo solcato dalle nubi mosse dalle quali pione una luce argentea e vibrante che, complice la pennellata fluida e grondante di colore, sembra sfaldare e corrodere le forme rendendole instabili e mutevoli. Mentre in Canaletto prevale la tendenza a dilatare lo spazio e all’uso della luce come mezzo di unificazione e di strutturazione plastica dell’immagine, in Guardi vi è come l’impulso a presentare la realtà nella sua dimensiona più caduca ed effimera, immergendo lo spazio in un’atmosfera che tutto corrode. La veduta di Guardi è fremente ed emotiva, lirica e fantastica, frutto di una personalità estrosa che interpreta la città del proprio tempo senza trionfalismi, ma al contrario, con la consapevolezza di chi avverte ormai la fine della gloriosa civiltà veneziana.

 

Il ridotto à Longhi (1740)

Osservatore eccezionale dei costumi, delle abitudini e dei vizi della sua città, il veneziano Longhi ha dipinto immagini raffiguranti interni, scene di vita quotidiana. Il suo atteggiamento è quello del documentarista attento e arguto, che pur da una visione minore quale la scena di genere, coglie il senso profondo, insieme tragico e comico, della condizione umana. Il Ridotto presenta lo spettacolo spiritoso e leggiadro di una Venezia sorridente, quella che in occasione del Carnevale attira visitatori di tutta Europa: la Venezia dei salotti, degli incontri amorosi, delle chiacchiere e degli intrighi. L’immagine è dominata dalla coppia mascherata al centro del palcoscenico, sul cui ritmo oscillante, sono regolati i movimenti degli altri personaggi, ciascuno dei quali è impegnato a “recitare” la propria parte: il giovane signore che parlotta con la serva a sinistra, il prete che paga i debiti, la donna che attende sulla porta. La fatuità della scena, interpretata con ironia, fotografa la realtà di un’epoca e di una civiltà ormai in tramonto, e tuttavia attirata e sedotta dall’amore per il lusso, il divertimento e lo spettacolo. La verità di questa vivace tranche de vie trova riscontro anche nell’acutezza con cui il pittore coglie i particolari come il lampadario, le scarpe ed i costumi.

 

Il trionfo di Giuditta à Giordano (1703-04)

Il pittore, interviene sull’architettura della piccola volta con abili correzioni ottiche che ne dilatano illusionisticamente il campo, creando l’impressione di uno spazio più alto e profondo. Il tema, tratto dall’apocrifo libro di Giuditta, mostra il momento in cui l’eroina trionfante dopo la decapitazione del generale assiro Oloferne incita gli israeliti alla battaglia finale. Sviluppa nella cupola e nei lunettoni della volta un racconto continuo ed omogeneo, senza spazi vuoti, che ha i caratteri di un’apparizione miracolosa e soprannaturale. Le figure si assiepano e si liberano nello spazio con un movimento turbinante e centripeto che le trascina verso l’alto, occupato dalla figura radiosa del Padre Eterno, assiso sulle nubi e circondato da schiere di angeli armati. Più sotto, Giuditta mostra al suo popolo il macabro trofeo, mentre ai suoi piedi e tutto intorno, lungo gli archi dell’imposta della volta, i soldati assiri cadono a terra terrorizzati o fuggono lontano. L’illusionismo della scena è reso possibile dalla grande naturalezza dell’insieme e dalla sensibile regia della luce: la scala cromatica, ricca di toni delicati e leggeri, fino a sciogliere nell’atmosfera il peso stesso delle figure.

 

 Lo scalone di palazzo Sanfelice à Sanfelice (1725-28)

Audaci soluzioni scenografiche sono applicate all’edilizia privata e vi è un ampio utilizzo della tipica struttura napoletana dello scalone come elemento di strutturazione dei cortili interni di palazzi. In Palazzo Sanfelice la scala è concepita come un’aerea e scenografica struttura che collega le due ali dell’edificio rivolte verso il cortile. L’impianto dello scalone è reso intellegibile e come proiettato verso l’esterno dal movimento dolcemente ondulatorio della parete di contenimento. Posta tra il cortile e il giardino, quest’ultima funge da aereo diaframma divisorio, quasi un fondale teatrale animato dal gioco elegante delle arcate e dei finestroni ottagonali ritmicamente disposti su quattro registri, che lasciano intuire i movimenti interni delle rampe. Simmetricamente articolata lungo l’asse centrale, caratterizzato dalla sovrapposizione di tre aperture ad arco e una quarta architravata, e dal ritmo binario della coppia arco- finestra l’opera è esemplificativa della cultura del suo autore.

 

La reggia di Caserta à Vanvitelli (1751-73)

Esemplare espressione dell’assolutismo illuminato settecentesco, la Reggia di Casera è la realizzazione più importante di Carlo di Borbone. Il sovrano avvia il progetto dell’edificio con l’obbiettivo di creare una “città ideale” che unifichi le funzioni rappresentative della residenza regale con quelle di un efficiente centro amministrativo, politico e militare. Nelle idee del monarca la reggia avrebbe dovuto essere maestosa, uniforme e geometrica, configurandosi al centro della pianta come un’”apparizione prodigiosa”. La reggia di Caserta costituisce un’anticipazione delle grandi residenze reali che caratterizzano le capitali europee tra la fine del secolo e la prima metà del XIX. Vanvitelli si distingue per il linguaggio rigoroso ed elegantemente classicista, in cui gli elementi rinascimentali si intrecciano con disinvoltura a quelli della tradizione barocca. A Caserta Vanvitelli progetta un edificio di assoluta simmetria, sobrio e lineare, assai diverso dalle creazioni articolate dei coevi edifici rococò, con una pianta rettangolare piuttosto allungata e quattro cortili uguali, anch’essi rettangolari. L’alzato, costituito da sei aerei e due interrati, mantiene la regolarità della pianta, con i corpi centrali e quelli più esterni segnati dal motivo delle colonne composite di ordine gigante poggianti sull’alto basamento a bugnato che comprende il piano terreno e l’ammezzato. La Porta Regia, posta al centro del prospetto rivolto verso la città, consta di un arco trionfale con relativo timpano triangolare. Benché il regolare sviluppo della pianta e della fronte, così come il carattere di alcuni saloni, possa far pensare ad anticipazioni neoclassiche, l’accesa fantasia nei criteri distributivi, nella sontuosa decorazione degli interni e nel contrasto tra i materiali di base (travertino e mattone), conferma il persistere di una sensibilità tradobarocca, che trova riscontro anche nello scenografico scalone d’onore a due rampe. Sugli assi della costruzione, al centro della crociera, un vano ottagonale raccorda i quattro cortili con passaggi voltati disposti sulle diagonali, mentre il complesso delle milleduecento sale è collegato da trentaquattro scale, anch’esse comunicanti con i giardini. Gli atri ottagonali degli ingressi, che presentano, soprattutto quello principale, suggestivi scorci prospettici di matrice biblica, si collegano al nucleo centrale con loggiati a tre navate scanditi dal gioco delle colonne di pietra e dei pilastri in travertino. Direttamente collegata all’atrio centrale è la sfarzosa cappella a sala absidata di gusto rococò, con volta a botte cassettonata e loggiato colonnato. La profusione dei decori, comprensiva di dipinti, sculture e marmi policromi che rivestono le pareti, la fanno apparire più simile a un salone da ballo che a un luogo dedicato al raccoglimento e alla preghiera. Il teatro di corte è un quadrato di dodici metri di lato con una sala a ferro di cavallo, ingresso separato per la corte ed il pubblico, cinque ordini di palchi e un palco reale centrale alto tre ordini, ampia scena e una sontuosa decorazione articolata intorno ad alte colonne in alabastro appoggiate ai pilastri di sostegno della volta, decorata con il mito di Apollo r Pitone. Alle spalle del palazzo il grandioso parco all’italiana si sviluppa nella regolarità degli schemi lungo la direttrice di un canale, quasi una strada-fiume, che collega gli edifici a una scenografica cascata. Vanvielli progetta una decorazione plastica di notevole effetto teatrale, disseminando il giardino di favole mitologiche scolpite. Ispirato alle metamorfosi di Ovidio, il programma iconografico celebra i temi della fertilità, della natura e dell’amore rinnovando il mito della Campania Felix, il leggendario luogo del giardino delle Esperidi. La relazione progettuale tra la reggia e il giardino trova riscontro nella complementarietà ideativa tra le sale del palazzo e i singoli settori del parco: nelle prime le sculture poste sulle pareti e i tracciati disegnatevi dei pavimenti muovono lo spettatore verso il centro, invitandolo ad un’osservazione circolare della decorazione plastica e pittorica. Nel parco accade invece il fenomeno contrario: essendo il centro di ogni singolo parterre occupato da complessi scultorei e da specchi d’acqua, l’osservatore è costretto a collocarsi in una posizione periferica, a disporsi ad una contemplazione che esalta i virtuosismi e le coreografie dei gruppi plastici e il loro inserimento nella natura.

 

Imbarco per Cittera à Watteaux (1717-18) 

Watteaux è il massimo esponente di un genere pittorico raffinatissimo, in cui realtà e fantasia, immaginazione e sentimento, si intrecciano con squisita sensibilità, rispecchiando i valori della colta aristocrazia parigina. Nell’opera di Watteaux gli influssi della pittura seicentesca fiamminga e olandese (Rubens, Rembrant) si coniugano con spunti dell’arte veneziana del cinquecento (Giorgione, Tiziano, Veronese) e generano una pittura in cui l’amore per la natura si traduce in una poetica dell’idillio e dell’evasione, tra sogno e arcadia, nella quale le figure recitano la vita come in una commedia, sospesa tra felicità e finzione. Watteaux esprime l’ideale di vita della società colta e raffinata, amante della musica e del teatro, con una pittura di tono intimo e privato. La tela con l’Imbarco per Citera è tratta da un’opera teatrale (alle quali si era avvicinato tramite Gillot) e costituisce l’atto della nascita del nuovo genere delle feste galanti, in cui i gruppi di dame e cavalieri vestiti all’ultima moda, coppie di amanti o figure isolate si muovo in un paesaggio arcadico, talvolta accompagnati dalla musica, in un’atmosfera magica e incantata. Interpretabile come un’allegoria dell’amore, il soggetto si snoda in un’azione progressiva, con gli amanti che si incamminano verso la nave trainata da amorini pronta a salpare per l’isola delle delizie, Citera, la mitica terra natale di Afrodite. Il paesaggio lussureggiante nobilita con la sua pura solennità l’atmosfera idilliaca, avvolgendo la scena in un trionfo di colori preziosi e delicati, stesi con tocchi nervosi, tra sguardi languidi, teneri abbracci e costumi elegantissimi che la luce fa scintillare di bagliori dorati. Pur nella festosità dei soggetti si fa largo in tutta l’opera dell’artista un sentimento di nostalgia, una malinconia sottile per la caducità dell’amore e dei piaceri terreni che si accompagna alla lucida coscienza di una società e di un’epoca che ormai volgono al tramonto.

 

La carriera del libertino à Hogarth (1733-35)

L’osservazione della realtà, con il suo andamento sorprendente e non lineare, è il modo migliore per avvicinarsi all’arte. Il pittore guarda attentamente al mondo contemporaneo, in particolare alla vita di Londra, che rappresenta nel Settecento lo specchio reale della società del tempo: a Londra è possibile osservare la tumultuosa complessità dell’esistenza umana in tutta la sua infinita varietà, dagli eccessi della moda e della raffinatezza fino al degrado estremo e ai vizi più sordidi. È su tali presupposti che Hogarth imposta la sua produzione più originale, le cosiddette storie morali contemporanee dipinte ed incise tra gli anni trenta e quaranta del XVIII secolo. La carriera del Libertino racconta la storia di Tom Rakewell, lascivo figlio di un avaro, reso folle da dissolutezza e prodigalità. Hogerth aveva già in precedenza trattato l’argomento in una serie di dipinti ad olio. Fin dalla prima scena, il giovane Tom è rappresentato come un personaggio senza cuore: ereditate le sostanze del padre defunto, si fa tagliare un vestito alla moda, rifiutandosi di sposare la giovane sedotta quand’era studente a Oxford. Egli vuole vivere come un vero aristocratico, spendendo a piene mani come chi può contare su una cospicua rendita fondiaria. Di giorno si dedica a passatempi mondani, dai più raffinati ai più mondani, di notte si lascia andare a schiamazzi e bagordi accompagnandosi a ubriaconi e prostitute. Rischia un primo arresto per debiti, ma viene salvato dall’amica, che offre il suo denaro per riscattare il debito dell’innamorato. Tom tuttavia tradisce nuovamente la salvatrice, sposando una vecchia guercia ma assai ricca. Comincia però a precipitare inesorabilmente verso la rovina: prima perde al gioco l’intera fortuna della moglie, poi finisce nella prigione per debiti, infine viene ricoverato, ormai pazzo, nel grande manicomio londinese di Bedlam. Quest’opera sboccia, da un lato, dalla tipica mentalità del ceto medio inglese in pieno sviluppo, che sta elaborando un nuovo codice di condotta morale; dall’altro costituisce il parallelo figurativo della letteratura borghese negli anni trenta del Settecento. (Tom Jones e Semone borghese). Le scene dipinte da Hogart, pur essendo finalizzate alla riproduzione a stampa in molti esemplari, quindi destinate a un pubblico ampio, non mostrano affatto un carattere popolare, rivendicando piuttosto lo studio accurato delle pitture di genere olandese (Steen)un episodio significativo in questo senso è la taverna. In un’osteria malfamata il libertino beve in compagnia di due prostitute, che approfittano del suo stato di ebbrezza per sfilargli l’orologio. Tuttavia oltre alla pittura olandese, una delle sue principali fonti di ispirazione è il teatro contemporaneo dal quale trae spunto per gli effetti drammatici e per la rappresentazione di figure facilmente riconoscibili dal pubblico; egli fa di tutto per mettere in luce ciò che chiama il “carattere” di ognuno, non solo del volto, ma nel costume e nel portamento. 

 

Fonte: http://www.xpolix.it/Superiori/materiale%20didattico/Arte/Rococ%C3%B2.doc

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