Rinascimento e Brunelleschi
Rinascimento e Brunelleschi
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IL RINASCIMENTO
Lo studio e l’approfondimento delle tematiche di questo periodo avviene non più su frammenti archeologici , ma su testimonianze complesse che vanno dalle cronache epistolari a quelle letterarie alle ricostruzioni degli archivi comunali sempre più ricchi di dati utili a comprendere meccanismi sociali e di pensiero. La raccolta di dati di origine varia consente infatti di scendere dall’universale al particolare, specialmente se questi dati appartengono ad un periodo della storia dell’arte dominato dalla ragione e dalla organizzazione del pensiero. Nell’arte assistiamo con estrema chiarezza alle continue oscillazioni tra periodi razionali ed irrazionali che caratterizzano la cultura umana.
Nel 1400 l’arte viene identificata come razionale, tanto che giudica le opere precedenti prodotto della follia umana, attingendo invece ad opere classiche, non però nella forma quanto piuttosto al pensiero e e ai contenuti.
Nella storia delle arti visive questo secolo viene identificato con il nome di rinascimento. In realtà questo periodo si può dividere in due parti; la prima dal 1400 fino al 1500, la seconda dal 1500 in poi, che prende il nome di Umanesimo. In entrambi i due periodi l’uomo e` visto al centro dell’universo, sebbene nel primo vi sia ancora una concezione schematica di umanità, mentre nel secondo si comincerà ad esplorare la complessità dell’uomo.
Nel Medioevo vi era stata una assoluta mancanza di solidità religiosa e politica; ad essa si era accompagnata spesso una forma disgregata della visione artistica , basata su esperienze locali e spesso prive di una vera coscienza storica ; una delle rare eccezioni era stata Firenze, che , quasi immune da contaminazioni barbariche , per la sua posizione geografica , si era sempre identificata nei valori dell'arte classica.
Non è un caso dunque che il "Rinascimento dell'arte antica" trovi terreno fertile proprio nella città di Firenze , già attratta durante il romanico dalle partiture geometriche bicrome razionali (Battistero S.Giovanni), o da sobrie interpretazioni dello spazio e della decorazione nel gotico (S.Croce , S.Maria Novella)
Nel ‘400, non vi fu tuttavia soltanto una rinascita della cultura classica, ma anche una rinascita di tipo filosofico, estetico, sociale. Ritornano gli studi di archeologia, soprattutto sulla civiltà romana. Dagli scavi stessi emerge la mentalità tecnologica romana che tanto colpirà architetti come Brunelleschi e Alberti. Cosi nel confronto tra quella antica civiltà ed il periodo medioevale appena trascorso ,la sensazione e` che soltanto nella prima l’uomo avesse una sua determinata posizione di rilievo e che l’architettura fosse umana, costruita a misura d’uomo.
Nel ‘400 ritornano gli studi sulla figura umana e sull’anatomia, in stretta relazione con l’architettura. Si riscoprono la proporzionalità classica, i canoni , la relazione tra la geometria euclidea e la vita , la sezione aurea, le teorie vitruviane, raggiungendo così un’architettura dove le misure e le regole matematiche collaborano nel lavoro artistico alla ricerca dell’equilibrio. E' in una rilettura in quest’ottica dell'epoca rinascimentale che si può inserire il metodo empirico della griglia applicata alla pittura per facilitarne la lettura e l'analisi.
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Le teorie vitruviane
* CONCINNITAS: l’edificio deve essere funzionale, avere scopi pratici, e per questo essere sobrio.
* VENUSTAS: indica la ricerca di bellezza intesa come equilibrio nelle strutture usate.
* FIRMITAS: traducibile con solidità, caratteristica predominante nella costruzione di un edificio.
Questa mentalità che riconduce l’interesse dell’uomo alla propria esistenza piuttosto che al trascedente, ha anche altre ripercussioni sulla vita sociale e culturale, che coincidono con una serie di elementi:
1. Interesse per l’archeologia, vista non più come studio del passato fine a se stesso, ma modello di una ricerca razionale delle fonti culturali.
2. Interesse per la proporzione, che non è solo la proporzione in un organismo, ma tra più organismi e quindi anche l’edificio è pensato in relazione agli edifici vicini. Anche gli elementi della natura sono pensati e riprodotti in relazione all’uomo.
3. La prospettiva intesa non solo come mezzo tecnico per rappresentare la realtà ma come una elemento di simbologia ideologica e filosofica , addirittura come mezzo di comprensione delle verità teologiche (Es. concetto di trinità . Per Brunelleschi il numero 3 e dei suoi multipli è determinante (9 gradini , 9 arcate , 12 spicchi nelle cupole).
4. Ruolo geometria: diventano determinanti ( non come strumento di rappresentazione) le forme che l’uomo può concepire, ma per i loro significati ideologici e filosofici; la geometria in quanto sintesi delle forme che esistono in natura per il Rinascimento diventa mezzo attraverso il quale possiamo comprendere grandi misteri, anche quelli della fede accettati dogmaticamente, che trovano spiegazione logica attraverso gli elementi geometrici.
5. La storia: nei dipinti rinascimentali è sempre presente; ma la parola storia viene utilizzata da un lato nella sua accezione più limitante, dall’altro invece partendo da questa limitazione , nella sua maniera più universale , come il luogo dove l'uomo disvela la sua razionalità(Il ‘400 identifica storia con città). Nella pittura rinascimentale la città simboleggia la storia, la storia diventa elemento universale per la conoscenza dell’uomo, tanto che i pittori immaginano anche le città future. Sara ancora più importante questo ruolo di artisti utopisti perché la maggior parte delle idee rimarranno sulla tela.
6. Natura: anche questa rappresentazione non può prescindere dalla duplice mentalità del tempo : attenzione per il passato - pianificazione del futuro. Nei quadri la natura può essere incolta (tale era stata sino atutto il '300) o perfettamente coltivata e vista in prospettiva.
Abbiamo pochissimi esempi realizzati di urbanistica del ‘400: La Piazza di Pienza realizzata sul progetto di Rossellino, ed era vista come il luogo in cui realizzare l' utopia nella quale i vari poteri, politico e religioso, si mostravano alla popolazione rappresentati negli edifici più significativi della vita pubblica. Tutto si ricollega alle teorizzazioni sulla prospettiva di Brunelleschi. Un altro esempio di urbanistica è l’ampliamento della città di Ferrara sotto Ercole I d’Este, detta Addizione Erculea. Le strade e gli edifici sono disposti su maglie ortogonali secondo gli antichi schemi ippodamei (da Ippodamo di Mileto). Nella maggior parte dei casi i progetti urbanistici del Rinascimento rimangono sulla tela ma hanno comunque importanza dal punto di vista culturale perché sono il primo caso moderno di pianificazione territoriale conosciuta.
Concorso del 1401
Il secolo si apre con un concorso bandito per la realizzazione del Battistero di Firenze, in accordo tra l’opera del Duomo e l’amministrazione comunale fiorentina. Al concorso parteciparono numerosi artisti, ma sono soprattutto da segnalare Brunelleschi e Ghiberti. La formella su cui si basa il concorso è relativa all’episodio del sacrificio di Isacco. La formella era già stata progettata ed aveva caratteristiche tipicamente gotiche, con una forma romboidale unita a quattro lobi semicircolari (cfr. pag. 128).
Il modo in cui Ghiberti e Brunelleschi affrontarono il tema rivela le due mentalità coesistenti a Firenze in quel periodo: da una parte un classicismo tendente a recuperare l'equilibrio e l' humanitas del passato (Ghiberti), dall’altra forti componenti innovative, il bisogno di superare alcuni elementi della tradizione e una profonda avversione per tutto ciò che è Gotico (Brunelleschi).
Ghiberti realizza una scena serena, con i personaggi distanti gli uni dagli altri ; tutto segue delle linee preordinate, l’emozione è poco sottolineata; tutto è posto su una dinamica spaziale bidimensionale. Brunelleschi crea una specie di gesto turbinoso e un’unica triade molto violenta, ma soprattutto si evidenzia una netta reazione dell'artista al tema da rappresentare e alla forma che lo contiene. In quegli anni (dureranno fino al 1417) cominciano i suoi studi sulla tridimensionalità, già evidenti nella formella del concorso ;qui i personaggi inferiori occupano un piano, gli altri un altro. E' chiarissimo che in quel momento il modo di esprimersi non piacque alla commissione giudicatrice. Ma la sconfitta fu utile poiché, deluso, Brunelleschi iniziò da allora a dedicarsi agli studi sullo spazio e scoprì così la sua vocazione nei confronti dell’architettura che si rivelò poi straordinariamente feconda. Fino al 1415 circa si dedicò totalmente allo studio teorico dello spazio e della sua rappresentazione: ci sono moltissimi suoi studi (camera ottica). La scoperta si fonda sulla intuizione che tutte le linee parallele all'infinito si uniscano in un solo punto (1410). Da quel momento nessuno potrà più prescindere da queste nozioni.
Concorso per la cupola di SANTA MARIA DEL FIORE
La seconda grande occasione Brunelleschiana riguarda il concorso bandito intorno al 1416 per la conclusione delle opere di copertura del Duomo di Firenze, che aveva subito numerose modifiche dal progetto originale di Arnolfo di Cambio ; il Talenti aveva concluso l'edificio ampliando il progetto originale e erigendolo sino al tiburio, ma rimaneva ancora all'inizio del secolo il problema di come coprirlo. Il tema irrisolto connesso alla copertura derivava dalle dimensioni problematiche(diam. 52 metri) del tiburio stesso e dal fatto che nella tradizione fiorentina era venuto a mancare l'apporto dei sapienti carpentieri di origine gotica, operai che sapevano lavorare le centine indipendentemente dalla dimensione degli archi , utilizzando una struttura a incastri. Era una tecnica tramandata oralmente e scomparsa dalla città dopo la pestilenza della metà del '300. L’importanza di Brunelleschi sta nel fatto di aver ovviato alla mancanza di una tecnica con studi teorici . B. stende un progetto, è il primo vero progettista della storia dell'architettura. Ovviamente eliminando il problema centinatura, ma pensando negli stessi termini in cui i costruttori gotici avevano progettato i loro archi a sesto acuto ‡ immagina di costruire dei setti autoportanti legati ad anello dopo un breve sviluppo in altezza fino a creare una specie di griglia ‡ la struttura risulta così autoportante e basandosi successivamente su di essa sarà possibile costruire una cupola di forma più classica.
Brunelleschi in un certo modo si ricollega alla tecnica dei centinatori,unendo questa tecnica se pur rinnovata alla riscoperta delle murature a spina di pesce usata dai Romani .
LA CUPOLA
Filippo Brunelleschi e' l'architetto della cupola del Duomo di Firenze. A quest'opera egli lavora con continuita' nel corso di tutta la sua vita. Gia' nel 1404 lo troviamo membro di una commissione dell'Opera del Duomo chiamata a valutare le scelte dell'allora capomastro della cattedrale Giovanni d'Ambrogio; e ancora molti anni dopo la sua morte continueranno i lavori di completamento da lui progettati e rimasti incompiuti: dalla lanterna alle tribune, dagli arredi ai rivestimenti decorativi del tamburo.
Il cantiere della nuova cattedrale era stato aperto nel 1296 sul luogo dell'antica basilica di Santa Reparata. Arnolfo di Cambio aveva progettato in forme imponenti e armoniose l'innesto dello spazio longitudinale diviso in tre navate sull'ampio coro a pianta centrale dilatato da tre grandi absidi. Nel Trecento questo impianto era stato ampliato da Francesco Talenti e in seguito una commissione di "maestri e dipintori" aveva deciso di alzare sulla crociera il tamburo ottagonale su cui doveva essere impostata la cupola prevista da Arnolfo.
Agli inizi del Quattrocento, quando i fiorentini affrontano il problema di voltare la cupola, forma e dimensioni risultano pertanto gia' decise e ribadite in tutta la loro eccezionalita'.
Su un diametro esterno di 55 metri essa dovrà' innalzarsi fino a 110 metri dal suolo seguendo la forma dell'arco di quinto acuto>>: il raggio di curvatura della cupola negli spigoli sarà' cioè' pari a 4\5 del diametro d'imposta.
Per individuare la soluzione di un problema cosi' complesso, per di più' in periodo di crescenti difficoltà' economiche, l'Opera del Duomo, istituzione cittadina preposta alla costruzione della nuova cattedrale, bandisce un concorso per accogliere idee e proposte esecutive.
La risposta data da Filippo appare subito vincente sotto ogni aspetto: due calotte sovrapposte e collaboranti innervate da costoloni marmorei e da catene in ferro e in legno; una struttura autoportante in ogni fase dei lavori e quindi un metodo costruttivo che non necessita di costose e forse irrealizzabili armature interne.
Nel verdetto della giuria gli vengono affiancati Lorenzo Ghiberti e Battista d'Antonio, gia' vice capomastro dell'Opera, ma certo più' per un aspetto di garanzia formale che per una reale equivalenza dei tre sul piano tecnico e costruttivo. Infatti anche se non si vuole prestare totalmente fede alla partigianeria del Manetti, primo biografo di Brunelleschi, riesce difficile leggere un significativo apporto degli altri artisti alla concezione strutturale della cupola.
Numerose testimonianze affiancano la storia della sua costruzione: sugli screzi di Filippo con il Ghiberti, quando simula malattia per lasciarlo solo e in difficoltà'; sulla sua determinazione nei rapporti con gli operai, quando ricompone il primo sciopero in cantiere di cui abbiamo notizia e quando mostra la sua sicurezza rompendo un uovo alla maniera di Cristoforo Colombo. Questi aneddoti hanno contribuito a tramandarci l'immagine di Filippo come di un grande "isolato", incapace di compromessi, di finzioni o di posizioni chiaroscurate, che opera invece con la fermezza di chi trova i motivi di riferimento e la saldezza di una dottrina nella forza della ragione e nella consapevolezza di quei valori che oggi diremmo scientifici e conoscitivi.
Sulle vicende di quest'opera, che divenne subito il simbolo più' eclatante della Rinascenza fiorentina, sono stati scritti centinaia di testi, ma appare tutt'oggi avvolto nel mistero come Filippo abbia potuto concepirla nella totale assenza di riferimenti a precedenti analoghi. In realtà' l'invenzione strutturale del Brunelleschi si esercita a partire da conoscenze specifiche e ben induviduabili nell'esperienza che egli certo ha di architetture pur concettualmente e strutturalmente distanti tra loro, come il battistero fiorentino di San Giovanni, il Pantheon o il Duomo di Pisa.
Il programma ("dispositivo") per la costruzione della cupola che Filippo redige nel 1420 costituisce l'unico suo documento autografo pervenutoci; in esso appare evidente il senso della "certezza" che informa la sua progettualita'. Più' che esprimere un’intenzionalità programmatica egli enuncia il progetto impartendo disposizioni esecutive. In quei dodici punti da lui elencati e' contenuta gia' l'opera finita, ma c’e anche di più' vi sono indicate persino quelle variazioni, incidenti e aggiunte che si dovranno fare, perché' "nel murare la pratica insegnerà' quello che si avrà' a seguire". Un'opera vive infatti all'interno di una vicenda che e' autobiografica e si caratterizza quindi anche per quelle variazioni, incidenti e decisioni umane che si affiancano al destino di ognuno.
Il "dispositivo" brunelleschiano del 1420, insomma, e' un documento di sorprendente modernita'; non e' una sorta di pre- progetto ma, in quanto prevede una serie di operazioni e il modo di attuarle, e' gia' il progetto.
Il significato che assume la cupola fiorentina va assai oltre le stesse intenzionalità' del Brunelleschi: essa e' innanzitutto un fatto collettivo, la scena fissa delle vicende umane. La storiografia contemporanea ha spesso ignorato tale presupposto, per darne una lettura in chiave tecnicistica o archeologica. E' certo importante ricostruire le ragioni statiche e tecnologiche che stanno all'origine di questa grande struttura, specialmente in un momento in cui più' vivi tornano i timori e quindi le polemiche sul suo stato di salute. Ma questioni di questo tipo rischiano di distogliere la nostra attenzione dall'opera come fatto riconoscibile e permanente nella storia urbana di Firenze.
Il mistero della straordinaria realizzazione della cupola non e' solo scientifico e statico, ma coinvolge il rapporto tra la soggettività' della scelta progettuale e il caratterizzarsi dell'opera come fatto urbano e collettivo.
Se poi analizziamo quest'opera come manufatto, nelle specifiche ragioni tecniche che la caratterizzano, ci accorgiamo che anche da questo punto di vista la fabbrica brunelleschiana vive su un'eccezionale complessità' di matrici. Basterebbe elencare le molteplici interpretazioni date in cinque secoli di storia per renderci conto dell’impossibilità' di definirla in modo univoco.
L'apparente somiglianza con la cupola romana del Pantheon, dovuta al fatto di essere realizzata senza armature e per anelli concentrici e autoportanti, contrasta con la struttura medievale degli sproni rampanti; questa, invece, richiama una concezione storica più' vicina alle "creste e vele" della Sacrestia Vecchia, e a quella Cappella Schiatta Ridolfi andata distrutta, che il Brunelleschi realizzo' nel 1418 in San Jacopo Soprarno come modello dimostrativo della più' grande opera.
Anche il celebrato artificio statico della cosiddetta orditura a "spinapesce", costituito dalla giacitura ortogonale di mattoni rispetto al loro normale letto di posa orizzontale, appare tutt'altro che chiaro nelle sue motivazioni: se strutturali appunto, per permettere alla volta di lavorare sfruttandone il caratteristico sviluppo a spirale, oppure semplice espediente esecutivo per consentire la muratura della volta senza casseforme.
Cosi' il ruolo delle catene di pietre, e di ferro e di legno che cerchiano la volta a varie altezze viene diversamente interpretato in relazione alle differenti valutazioni sulle spinte orizzontali della cupola, e sull'assorbimento di tali forze esercitato dal sottostante tamburo ottagonale. C'e' chi ritiene che la cupola brunelleschiana lavori come una calotta monolitica, e c'e' chi la interpreta come una vela; c'e' chi considera collaborante anche la volta esterna, chi ritiene che il sistema statico si basi sulla struttura ad arco dei costoloni rampanti incernierati nella grande chiave di volta della lanterna, e c'e' che legge gli otto triangoli sostenuti dagli sproni angolari come grandi piattabande curve, il cui equilibrio statico e' dato dalla disposizione dei mattoni a "spinapesce" e dagli irrigidimenti delle nervature mediane.
Tali interpretazioni, più' che essere lette in contrapposizione, vanno a completarsi vicendevolmente, in quanto ognuna di esse esprime una parte di verità' sulla complessità' statica di quest'opera, che costituisce tuttora un affascinante problema di ingegneria strutturale. Non si può' pero' parlare di semplice genialità' intuitiva di Brunelleschi; per quanto in lui abbia avuto un ruolo fondamentale la pratica empirica dei cantieri medioevali che più' che una scientifica nel senso moderno del termine, soltanto solide conoscenze tecniche gli potevano consentire di portare a compimento l'opera in dodici anni di lavoro.
Nell'agosto del 1432, infatti, le strutture murarie della cupola risultano completate fino al grande occhio centrale, anche se dureranno per quattro anni ancora le opere di finitura del tetto e la posa in opera del cerchio di macigni destinato a sostenere la lanterna.
Nel 1436 viene infine celebrato ufficialmente, con la solenne benedizione del papa Eugenio IV, il completamento di una fabbrica che testimonia, con il fascino della sua presenza, la grandezza del pensiero umano.
Nell'"artificio" brunelleschiano sono condensate le concezioni metafisiche, scientifiche e teologiche che seppe esprimere la società' fiorentina del primo Quattrocento, e insieme , programmi e disegni politici di un impero di cui la cupola diviene l'emblema "erta sopra e' cieli, amplia da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani" (Alberti).
Se non si guarda innanzitutto a questa sintesi di scienza e arte, di mistica e di politica, non si può' affrontare la lettura di opere che di quel tempo sono espressione: ma anche un dipinto, una statua o un poema, si ponevano come risposte a problemi essenziali, e ogni opera era immagine del tutto: la città' simmetrica al cosmo, e l'uomo, con la conturbante perfezione della sua opera, misura e simbolo di tale simmetria.
LA LANTERNA
Nel 1432 la cupola del Duomo fiorentino risulta ormai chiusa e, benché' i lavori di finitura proseguiranno per quattro anni, e' allora che viene murato il grande occhio ottagonale di marmo destinato a sostenere la lanterna. In tale circostanza l'Opera del Duomo chiede a Filippo un primo studio per la lanterna perché', nel 1436, e' bandito un concorso per la scelta del progetto.
Tale concorso e' indetto proprio nell'anno dell'inaugurazione ufficiale della cupola, quando la fama del Brunelleschi viene universalmente celebrata, come testimonia l'elogio che gli tributa l'Alberti. Sembra insomma che, neppure davanti alla magnificenza dell'opera realizzata l’ufficialità' fiorentina sia disposta ad accordargli una piena e totale fiducia: i rapporti tra l'architetto e la sua committenza rimangono difficili.
La prova deve certo apparire umiliante al Brunelleschi, che ancora una volta si trova messo in concorrenza con il Ghiberti, e deve confrontarsi persino con il suo aiutante ed esecutore di modelli Manetti Ciaccheri, il quale presenta alla giuria ben tre soluzioni alternative. Certo non dovevano essere proposte del tutto originali se e' vera la frase attribuita al Brunelleschi davanti ai modelli del Manetti: "Fategliene fare ancora uno, e vedrete che farà' il mio".
Il lavoro gli viene comunque commissionato e il modello attualmente conservato nel Museo dell'Opera e' la versione definitiva del progetto. Filippo sceglie personalmente i marmi, li fa lavorare, progetta e pone in opera la particolare macchina-impalcatura girevole per sollevare i blocchi e per posizionarli.
Egli pero' non riesce a seguirne l'esecuzione poiché' muore un mese dopo la posa della prima pietra. La lanterna e' quindi completata, seguendo esattamente i suoi disegni, da Michelozzo prima, dallo stesso Ciaccheri e da Bernardo Rossellino poi, ed e' ufficialmente terminata nel 1464.
La lanterna costituisce l'indispensabile e previsto coronamento terminale della cupola, perno visivo di essa e artificio statico di raccordo degli otto sproni angolari. E' una architettura di grande autonomia e forza iconografica, che ha influito, insieme alla Rotonda degli Angioli, sull'immagine delle chiese rinascimentali a pianta centrale.
La trasparenza geometrica della struttura conferisce maggior evidenza all'innovazione tipologica di quest'opera. Lunghissime aperture tra i contrafforti annullano ogni massa muraria, mentre la pesante trabeazione ne ribadisce l'unita' plastica. Il cono che sovrasta altissimo l'intera costruzione con la vibrante costolatura della pergamena culminante nella palla di rame e' un elemento di grande originalità' formale anche se ascendenti sono rintracciabili nei cippi dell'architettura funeraria romana.
Cosi' la corona a nicchie e pili torniti assume una particolare plasticati' che risalta ancor più' quando la si confronti ad esempio con il motivo usato agli inizi del Cinquecento da Bartolomeo Bono alle Procuratie Vecchie di Venezia, dove l'analoga decorazione non riesce a uscire dal bizantinismo di un foglio di carta ritagliato contro il cielo.
Il salto di scala dei piccoli anditi, scavati nei blocchi dei contrafforti e chiusi dal naturalistico incavo a conchiglia, definisce un netto distacco dal potente ordine del tamburo centrale. Le paraste angolari di inusitato stile "proto-corinzio"che sono quasi letteralmente citate dalla "Torre dei Venti" ateniese, fanno da contenimento ai vani verticalizzati delle arcate intermedie, e sono proporzionalmente identiche a quelle che l'Alberti adotterà' nel campanile del Duomo di Ferrara.L'elemento che sicuramente contrasta con le intenzioni progettuali di Filippo e' costituito dai realistici ortaggi inseriti nelle volute laterali. Sono motivi tratti dai festoni di Luca Della Robbia e assenti nel modello ligneo, dove l’essenzialità' geometrica della voluta diviene segno astrattizzato per enfatizzare in una linea di forza il raccordo con i contrafforti.
LE TRIBUNE MORTE
Le quattro edicole semicircolari addossate al tamburo della cupola (dette "tribune morte") sono progettate da Filippo nel 1438 e iniziate l'anno successivo, ma soltanto due risultano terminate alla data della sua morte.
La funzione statica, come contrafforti ai carichi spingenti della cupola, non risulta del tutto giustificata, mentre più' chiaro appare il loro valore plastico. Il loro volume da' completezza alla sommità' dei corpi semi ottagonali delle sacrestie, bruscamente interrotti all'altezza dell'andito imbeccatellato che circonda perimetralmente l'intera basilica e stabilisce una continuità' con le sporgenze dell'abside e del transetto. La centralità' visiva e tipologica della cupola appare cosi' esaltata dalla loro collocazione radiale.
Il rigore della composizione e il limpido disegno degli elementi formali rendono questo progetto un esempio quasi profetico di ciò che sarà' il classicismo dell'architettura cinquecentesca.
Basterebbe a questo proposito confrontare le tribune morte con le immagini di città' ideali delle famose formelle di Baltimora e di Urbino, o ancora, accostarle ai progetti bramanteschi: dall'attico del tempietto di San Pietro in Montorio, al cortile del Belvedere. Soprattutto pero' se la confrontiamo con i disegni di Leonardo per il Duomo di Pavia riusciamo a leggervi la grande innovazione tipologica che hanno rappresentato nella prefigurazione della pianta centrale cinquecentesca. La loro dislocazione radiale attorno al centro croce della basilica completa la nuova immagine che Santa Maria del Fiore ha assuntocon l'intervento brunelleschiano della cupola e che riceverà' un'ulteriore conferma nell'enfasi visiva e focale della lanterna.
La nicchia come elemento compositivo di facciata Sara' uno dei temi più' ripresi dall'architettura del Cinquecento; tema peraltro ricorrente in molte opere brunelleschiane, dalla Sacrestia Vecchia, alla Rotonda degli Angioli, a Santo Spirito, ma che trova qui la sua definizione formale più' esatta in un'immagine di grande chiarezza. La rigorosa geometria della conchiglia e lo stacco cromatico in marmo scuro, che sottolinea la profondità' dell'incavo, sono invenzioni formali continuamente citate nella architetture dei secoli seguenti.
La chiarezza di questa opera si manifesta perfino nei particolari decorativi: gli ovuli della cornice, i filaretti decorativi dell'architrave, il motivo a corda del gocciolatoio, la stilizzazione geometrica delle foglie d'acanto nei capitelli e soprattutto la perfezione proporzionale delle modanature nella base attica delle colonne. Sono tutti elementi che sembrano anticipare la manualistica cinquecentesca degli ordini del Vignola e del Palladio.
Va infine sottolineato l'aspetto particolare di queste edicole costituito dalla simmetria "ottica" che ne governa la pianta e i prospetti. Inscritte in un semicerchio perfetto esse presentano in facciata sei coppie di colonne binate intervallate da cinque nicchie; la pianta decagonale cosi' definita e' del tutto inusitata, e trova motivazione in un fatto più' percettivo che geometrico, perché' stabilisce una continuità' ottica e non formale con il sottostante corpo semiottagonale delle sacrestie.
Chiudendo la facciata curva delle edicole con la doppia coppia di colonne, Brunelleschi sottolinea la simmetria visiva e prospettica, e non formalisticamente geometrica, che definisce la pianta di queste quattro costruzioni.
Nel 1419 Brunelleschi riceve l’incarico di realizzare una struttura di utilità pubblica:
Lo Spedale degli Innocenti.
L’opera di Brunelleschi è più significativa dal punto di vista funzionale che da quello formale: realizza un orfanotrofio tenendo conto delle funzioni che dovrà assumere , rivelando una mentalità molto evoluta. In questo contenitore i bambini abbandonati dovranno ricevere un’istruzione, perciò crea dei laboratori, una biblioteca, spazi per momenti di svago all’aria aperta.
Dal punto di vista formale l’opera si manifesta in maniera semplice e schematica E' un contenitore aperto solo all’interno mentre all’esterno si manifesta come un un porticato, immaginato come una quinta muraria filtro con valore simbolico tra il vuoto della piazza antistante e il pieno del contenitore; il portico è un elemento di mediazione tra la vita privata e la vita pubblica. In generale nelle opere di Brunelleschi tutto acquista un valore simbolico: l’edificio possiede 9 gradini, 9 arcate ha il porticato; i 9 elementi ripetuti risolvono il bisogno teorico di masse poste in prospettiva.
Il tema della tridimensionalità conduce con sé un altro tema, quello del modulo geometrico; Brunelleschi immagina un modulo che si ripete , basandolo sugli schemi cubici già cari agli antichi (1/1/1). Il tema progettuale è così connesso all’individuazione di questo ritmo; nel porticato tuttavia ad un certo punto il ritmo si interrompe: Brunelleschi crea allora due ultimi elementi sciolti ritmicamente dal resto dell’edificio.
Se si esclude il gioco ritmico non ci sono altri elementi di rilievo. tuttavia l’edificio pur nella sua semplicità si rivelò costosissimo. B. utilizzava infatti elementi monolitici per gli archi e i pilastri in pietra serena ; il resto era realizzato in intonaco.
Brunelleschi rinnova anche la colonna, creandone una più slanciata e sormontandola con un elemento nuovo :un capitello composito molto piccolo e schematico.
La Basilica di S. Lorenzo
Le fondamenta dell'attuale basilica vengono poste nel 1419 da Matteo Dolfini, priore del quartiere di San Lorenzo, che progetta la ricostruzione dell'antichissima basilica ambrosiana, gia'rinnovata nell'XI secolo secondo un impianto romanico. Alla morte del priore Dolfini, nel 1421, Filippo e' impegnato nei lavori della Sacrestia Vecchia per Giovanni di Averardo Bicci, capostipite della famiglia Medici, che affida a lui la continuazione dell'intero complesso basicale. Manetti ci ricorda come il Medici dopo aver esaminato le diverse proposte, i "piu' modi" sottoposti da Filippo per fare "piu' bella cosa e piu' ricca", decida di modificare i lavori gia' iniziati affinche' la fabbrica, "cominciata di pilastri di mattoni" dal Dolfini, "s'abbandonassi e disfacessi e attendessisi al tutto a uno dei modi di Filippo".
E' difficile oggi riconoscere con certezza le intenzioni progettuali del Brunelleschi, perche' il cantiere portato avanti con difficolta' nel terzo decennio del secolo, viene completamente interrotto nel 1429 alla morte di Giovanni, per essere ripreso solo nel 1422 dal figlio Cosimo. I difficili rapporti tra Filippo e Cosimo de' Medici stanno forse alla origine delle svariate modifiche introdotte rispetto alla idea originale, definitivamente poi travisata e sconvolta dagli interventi dell'<ex legnaiuolo> Manetti Ciaccheri subentrato a dirigere il cantiere dopo la morte di Filippo.
In realta' la proposta brunelleschiana doveva mirare a uno schema tipologico solo in parte rintracciabile nella situazione attuale, e per certi versi piu' simile alla pianta di Santo Spirito. Un giro di cappelle laterali a pianta quadrata doveva circondare perimetralmente le tre navate, il muro di controfacciata e il transetto occupando anche la zona absidale, mentre il coro e l'altare avrebbero trovato posto al centro della crociera. In aderenza a tale impianto tipologico, le cappelle di testata del transetto dovevano essere due. La copertura a doppia falda delle cappelle si sarebbe quindi letta all'esterno secondo lo schema proposto nei recenti studi del Morolli.
Alla base di un simile impianto tipologico, come in parte emergenei disegni del Sangallo ed e' evidenziato dalle indagini archeologiche e documentarie del Morolli, sta un'idea progettuale che e' quasi un preludio della transizione dalla basilica medioevale
alla chiesa rinascimentale con pianta centrale. Ma i tempi e il gusto dominante non erano certo ancora maturi per riconoscere una tale portata innovativa.
Anche la rigorosa struttura prospettica rilevata da Argan conferma l'ipotesi tipologica di una pianta a croce latina ma visivamente centralizzata nell'intersezione tra navata e transetto. Certo la realizzazione del coro, accorciato rispetto alla situazione preesistente per far luogo alla seicentesca Cappella dei Principi, avvilisce l'impianto brunelleschiano e rende ancor piu' ardua la decifrazione delle sue iniziali intenzioni.
Molte sono state le alterazioni che il corpo di questa fabbrica ha subito nei secoli, a partire dai primi decenni dopo la morte di Filippo fino ai "restauri" ottocenteschi del Poccianti; Ne' possiamo escludere dal novero i segni ereticali di Michelangelo il quale, nella Tribuna delle Reliquie, sul retro dell'ingresso centrale, utilizza proprio il repertorio formale di Filippo per trasformarlo in un linguaggio diverso e inquietante.
Nelle partiture proporzionali la caratteristica dei rapporti modulari semplici riscontrabili nella Sacrestia Vecchia ritorna qui nelle dimensioni in pianta e in alzato delle navate; viene parimenti ripreso lo schema strutturale compositivo del cerchio inscritto nel quadrato di 11 braccia fiorentine, come nell'Ospedale degli Innocenti.
Tra i particolari decorativi dell'ordine interno, la piu' nota invenzione stilistica, introdotta dal Brunelleschi e' costituita dal "dado" di raccordo, inserito tra il capitello e l'imposta dell'arco, che deriva la sua forma da un segmento di trabeazione classica ripiegata su se stessa.
E' una soluzione riscontrabile talvolta in esempi romani, come nella Basilica di Costantino, adottata pero' su colonne o semicolonne addossate ad un muro e non, come in questo caso, sulla colonna isolata.
E' documentato che la decorazione eccessiva di questi "dadi" non e' totalmente autografa, essendo stata eseguita sotto la direzione del Manetti Ciaccheri. A questi va attribuita la progetto brunelleschiano: dalla volta cieca e pesante anche nel dimensionamento esterno, all'inserimento prospettico delle cappelline di navata, alla contrazione del transetto e persino alla modifica delle coperture che, secondo l'ipotesi legittimamente avanzata da alcuni storici, nel progetto originario dovevano essere costituite da volte a botte sia sul transetto come sulla navata.
Nel guardare questa chiesa non si puo' dimenticare l'accorato invito del Manetti ad isolare l'opera originaria da tutte le alterazioni gia' subite in fase progettuale, e anche da quella che "piu' sara' nei secoli a venire", perch'elle sono di grande importanza; e stimandosi di Filippo si stimerebbe il falso, e non v'e' punto drento l'onor suo". Resta tuttavia fondamentale il segno del Brunelleschi nella definizione di un'opera in cui la sua nuova grammatica formale si integra perfettamente al rigore proporzionale della tipologia in una limpida strutturalita' antropomorfica.
Le fasi di costruzione e di abbellimento di San Lorenzo segnano e testimoniano la storia della fortunata ascesa della famiglia dei Medici in Firenze. Nel 1418, quando fu deciso l'ampliamento della preesistente chiesa di San Lorenzo, Giovanni de' Medici, il piu' ricco tra i personaggi facoltosi del quartiere che contribuivano alle spese del nuovo edificio per costruirsi le cappelle di famiglia, diede il contributo piu' alto per la realizzazione non solo di una cappella, ma anche della sagrestia. In seguito suo figlio Cosimo, nel 1441, si assunse l'onere della ricostruzione totale dell'edificio e ottenne il patronato della chiesa esclusivamente per la sua famiglia, il cui ruolo di protagonista in Firenze si manifesta anche nella possibilita' di vantare una chiesa intera al posto della tradizionale cappella.
Giovanni aveva affidato il progetto a Brunelleschi: i lavori procedettero dapprima celermente -infatti la sagrestia era gia' finita alla morte dello stesso Giovanni- quindi rallentarono e vennero ripresi solo nel 1442, secondo un progetto gia' elaborato dall'architetto intorno al 1420; dopo la morte di Brunelleschi la costruzione venne condotta a termine sotto la direzione di Antonio Manetti (1447-70).
Lo spazio della basilica -a tre navate fiancheggiate da cappelle laterali, con transetto e cupola all'incrocio dei bracci e' organizzato da Brunelleschi con la rigorosa limpidezza delle leggi della geometria. Immediatamente, dall'ingresso, lo sguardo coglie il calcolato gioco di proporzioni che lega, nella ricerca di un'essenziale unitarieta', tutti gli elementi dell'architettura: dalla ritmica successione delle arcate aperte tra la nave maggiore e quelle minori alla gradazione della luce, via via calante dal vano piu' alto alla mezza luce delle navatelle fino
alla penombra delle cappelle.
Procedendo lungo l'asse mediano si coglie ancora meglio l'applicazione dei principi proporzionali e prospettici, se si considera, ponendosi sull'asse trasversale di ogni campata, la stretta conseguenza prospettica che lega all'arco ricavato nel piano tra navata maggiore e minore quello d'ingresso alla cappella, racchiuso tra le lesene in corrispondenza delle colonne, e quello ancora piu' basso che incornicia la parete di fondo.
Risulta chiaro allora come sequenza di archi digradanti, "disegnata" sull'intonaco chiaro dalle cornici di grigia pietra serena, indichi il digradare di grandezza degli spazi secondo i principi prospettici della "piramide visiva".
La stessa serrata logica che presiede all'organizzazione dello spazio della chiesa (fino al disegno del pavimento e agli ornati delle cornici e dei bei capitelli classicheggianti, sormontati da una sorta di pulvino che rende ancora piu' alti gli elementi di sostegno e piu' scattanti gli archi) compare anche nella sagrestia.
Essa e' composta da un vano cubico coperto da una cupola ad ombrello, raccordato al piu' piccolo vano per l'altare, pure coperto da una cupoletta: l'essenzialita' dei moduli geometrici adottati e' sottolineata dalle cornici delle lunette, dal fregio orizzontale e dalle lesene che disegnano sul fondo chiaro dell'intonaco le intersezioni dei piani e la proiezione prospettica sul piano dei solidi geometrici regolari che compongano lo spazio.
La decorazione della sagrestia (eletta da Giovanni de' Medici come luogo della sepoltura sua e della moglie, realizzata in forma di sarcogafo con putti tra festoni e ghirlande da Andrea Cavalcanti nel 1434 e collocata sotto la mensa di marmo al centro del vano) si deve a Donatello: il suo intervento risale agli anni tra il 1435 e il 1443, su commissione di Cosimo e riguarda gli otto medaglioni, quattro in stucco bianco raffiguranti gli Evangelisti nelle lunette e quattro storie di san Giovanni Evangelista nei pennacchi in stucco policromo, le due imposte bronzee spartite in dieci riquadri dove si affrontano coppie di Martiri e di Apostoli, i due rilievi pure in stucco che sormontano le porte, uno con i santi Cosma e Damiano, l'altro con san Lorenzo e santo Stefano.
Anche le porte timpanate e fiancheggiate da colonne ioniche sono disegnate da Donatello ed eseguite dalla sua bottega.
Secondo la tradizione (Manetti) i tondi, realizzati con un delicatissimo stacciato, ma movimentati da figure vivacissime entro complessi sfondi architettonici, e cosi' pure le cornici architettoniche delle porte non avrebbero ottenuto l'approvazione di Brunelleschi che li avrebbe intesi come elementi di disturbo nella equilibratissima armonia della sua struttura architettonica.
Va pero' sottolineato che Donatello dimostra un'attenzione puntuale alle architetture in cui collocava i suoi rilievi che si legano strettamente allo spazio brunelleschiano mediante la convergenza dei punti di fuga delle prospettive dei tondi nella sommita' della cupola. Possiamo anzi sostenere che per un temperamento cosi' esuberante e insofferente di limiti esterni come quello di Donatello, la complessa decorazione della sagrestia dimostra una grande comprensione e rispetto dell'opera di Brunelleschi.
Un interesse particolare assumono, nel percorso di Donatello, le formelle delle due porte bronzee dove compaiono quei caratteri di accesa drammaticita' e di concentrazione espressiva che segnano la sua ricerca. Qui le coppie di figure, appena rilevate sui fondi lisci, privi di indicazioni spaziali e descrittive, acquistano una estrema vivacita' per opera della luce che balena sui gesti concitati e impetuosi, sui gorghi di pieghe dei mantelli, sul modellato nervoso delle superfici; tanto che anche il fondo non appare neutro, ma e' una sorta di vibrazione continua da cui emergono, persino con violenza, le figure.
Dopo l'intervallo del soggiorno padovano, Donatello tornera' in San Lorenzo negli ultimi anni della sua vita (dal 1460 circa) per eseguirvi i due pulpiti, risolti come due arche poggianti su quattro colonne marmoree e collocati sotto gli archi dell'ultima campata.
La Sagrestia vecchia
E' l'unica opera di Filippo Brunelleschi giunta a noi totalmente integra. La data del 1428 incisa sulla lanterna della cupola ne testimonia il completamento, mentre l'inizio va collocato subito dopo il 1420, anno in cui Giovanni de' Medici lascia al figlio Cosimo la cura del Banco dei Medici per dedicarsi tra l'altro alla costruzione della cosiddetta "sacrestia" della chiesa di S.Lorenzo, destinata in realta' a fungere da cappella gentilizia per accogliere la tomba sua e della moglie Piccarda.
Collegata al braccio sinistro del transetto, la sacrestia costituisce un edificio a se' stante, anche se il suo impianto prende l'esatta misura del coro della basilica: e' cioe' definita come la chiesa, sul modulo del cerchio inscritto nel quadrato di 11 braccia fiorentine.
Anche all'esterno essa appare come un'architettura del tutto autonoma e tutti i suoi elementi hanno la forza di enunciati teorici e di rigorose definizioni formali. Il vano principale e' perfettamente cubico, tagliato a meta' dalla trabeazione e sormontato dall'emisfero delle nervature strutturali della volta finestrata; il vano secondario, la "scarsella" dell'altare, anch'esso a base quadrata, e' coperto da una cupoletta emisferica
cieca.
Di perfetto geometrismo sono i quattro pennacchi di raccordo della cupola, enfatizzati dalla ripetizione in scala ridotta nella scarsella, sottolineati dalla tangenza dei medaglioni ed esaltati dalla specularita' delle paraste corinzie che si assottigliano agli angoli in un'intellettualistica allusione grafica e spaziale.
Agli strombi prospettici delle finestre fa riscontro la concavita' della muratura nelle nicchie della cappelletta absidale.
In quest'opera e' stata da molti rilevata la struttura compositiva basata su rapporti armonici, derivati dall'impiego dei fattori proporzionali musicali ( 1-intera, 1:2-ottava, 2:3-quinta, 3:4-quarta) o dall'applicazione dei numeri della decade pitagorica ( 1,2,3,4 la cui somma e' uguale a dieci) e della"lambda" platonica ( 1,2,4,8, e 1,2,9,27).
Da questo punto di vista, della ricerca cioe' di uno spartito dimensionale entro cui sia leggibile il risultato plastico dell'architettura brunelleschiana, la lezione dell'Alberti assume quasi il significato di una specifica testimonianza: "quei medesimi numeri per i quali avviene il concerto delle voci appare gratissimo negli occhi degli uomini, sono quelli stessi che empiono anco e gli occhi e l'animo di piacere meraviglioso".
La Sacrestia Vecchia diventa l'immediato referente dei piu' noti continuatori della poetica brunelleschiana, come il Sangallo di Santa Maria delle Carceri a Prato o il Bramante di San Satiro a Milano, e costringe lo stesso Michelangelo, nel progetto della Tombe Medicee nella Sacrestia Nuova, a citarne insistentemente la
chiara lucidita' di impianto.
Questa e' forse l'opera piu' emblematica di Filippo, ma soprattutto qui e' piu' evidente la sintesi tra classicita' e medioevalismo che caratterizza tutta la sua ricerca formale: una sintesi che traspare da ogni singolo elemento dell'opera. La cupola "a creste e vele" appare derivata anche tecnologicamente dalle coperture gotiche, con costoloni rampanti di irrigidimento le voltine tra essi sottese; la forma emisferica e la tecnica delle "pignatte" di alleggerimento ci portano invece ad individuare i riferimenti nella tecnologia classica romana.
Cosi' la lanterna ornata di una medioevaleggiante pergamena a spirale presenta una serie di eleganti colonne ioniche testualmente citate dal Battistero fiorentino.
Il tema dell'ambiguita', o se si vuole della sintesi, tra classicita' e medioevo, e' allora il tema dominante di quest'opera, e si percepisce nella stessa atmosfera interna luminosa e mistica a un tempo, dove il cromatismo delle decorazioni appare piu' accentuato che altrove e dove la dinamicita' delle linee e il rigore prospettico degli spazi si fondono in un immagine di equilibrio e di lucidita'.
Alla fine degli anni Trenta, su commissione di Cosimo, Donatello esegue le decorazioni che riempiono le due nicchie laterali all'altare sopra le porte della sacrestia. Non a torto Brunelleschi disapprova l'intervento dell'amico scultore, constatando che le porte laterali a colonne ioniche, con timpani pronunciati, appaiono eccessivamente caricate dei sovrastanti rilievi.
Di grande plasticita' sono invece i bassorilievi in terracotta di Donatello per i medaglioni della copertura. La spazialita' del loro disegno si evidenzia nel rapporto con le decorazioni architettoniche, anch'esse fondate su un chiaro impianto visivo e prospettico: dalle paraste angolari agli strombi delle finestre.
Le ragioni geometriche e percettive che costruiscono la rigorosa griglia spaziale di questo volume appaiono ancor piu' sorprendenti per le forti asimmetrie e irregolarita' di pianta, l'ingresso d'angolo e la cancellata laterale del Verocchio, che pero' nulla tolgono all'unita' dell'insieme.
La Cappella Pazzi
La chiesa francescana di Santa Croce, iniziata nel 1294 da Arnolfo di Cambio, in tempi di grande generosita' dell'oligarchia politica verso gli Ordini mendicanti, presenta una serie di cappelle private, che le nobili famiglie fiorentine usavano finanziare e riccamente dotare. La cappella gentilizia della famiglia Pazzi viene ricavata in uno spazio delimitato dal transetto e dalla sacrestia della chiesa e ha accesso dal chiostro.
Di quest'architettura, considerata tradizionalmente il capolavoro di Filippo Brunelleschi, e' stata messa recentemente in dubbio l'autografia, anche se non la perfetta aderenza al linguaggio brunelleschiano.
Le date 1459 e 1461, incise rispettivamente sul tamburo centrale e sulla volta dell'atrio, testimoniano che i lavori di questa costruzione sono proseguiti ben oltre la morte di Filippo, registrando la presenza di diversi architetti: da Michelozzo che subentra alla sua morte a Giuliano da Majano che risulta ancora presente sul cantiere nel 1478.
L'inizio e' documentato dalla dichiarazione al catasto di Andrea de'Pazzi e risulta essere nel 1429, data che attesta come la progettazione di quest'opera sia strettamente ricollegabile alla Sacrestia Vecchia di San Lorenzo. Molti infatti sono gli elementi che risultano quasi letteralmente citati: dalla cupola centrale "a creste e vele", identica anche nella misure e nel disegno a spirale della sovrastante lanterna, fino agli idiomatismi dei pilastri d'angolo abbreviati.
Se questi caratteri possono essere stati suggeriti ai continuatori del maestro anche dall'evoluzione del gusto fiorentino che, a meta' Quattrocento, ha ormai assorbito il linguaggio brunelleschiano, e' pur vero che nella Cappella Pazzi sono rintracciabili grandi innovazioni formali e stilistiche. Quattro finestre rompono la compattezza omogenea del fronte e preludono a quello irrealizzato di Santo Spirito; ancor piu' straordinaria e' la doppia facciata del portico che si stacca libera e disarticolata dalla retrostante struttura, in aderenza all'immagine riprodotta nella placchetta argentea del Louvre, di cui ripete anche le lesene decorative. La novita' tipologica e compositiva di questa facciata e' veramente unica: con le sei colonne intervallate da un ampio archivolto, con l'alta trabeazione che si trasforma in un secondo ordine cieco di pilastrelli corinzi binati, col taglio netto della loggia dietro la quale si staglia il tamburo cilindrico e il cono perfetto della cupola. All'interno la composizione in pianta e' rigorosamente costruita sulle connesioni proporzionali auree e sulla ripetizione dei rapporti semplici derivati dall'armonia musicale: 5:3, 10:3, 3:2, 3:4, 2:1. Armonia di rapporti che appare ancora piu' significativa della creativita' progettuale di Filippo se si considera che quest'opera e' stata realizzata all'interno di spazi gia' delimitati da preesistenti strutture murarie. Cosi', all'interno, il raccordo a botte necessario per ridare centralita' al precostituito spazio rettangolare diventa l'occasione per definire l'immagine del sottostante arco a corona circolare decorato a medaglioni: elemento figurativo plastico che Bramante citera' spessissimo rendendolo un carattere distintivo del suo linguaggio.
Altra novita' stilistica di quest'opera e' la base attica delle colonne delportico, che continua anche sotto la balaustra e che, analogalmente allo zoccolo cornice di Santa Maria degli Angioli, precorre quel "contagio delle modanature" che nei secoli successivi giungera' ad affermare la decorazione architettonica come elemento strutturale e compositivo. Ecco perche' ha sapore puramente accademico ogni disquisizione sull'assoluta paternita' brunelleschiana di quest'opera: la Cappella Pazzi resta un progetto emblematico e fondamentale nella storia dell'architettura. La sua influenza stilistica, forse poco compresa nel Quattrocento, e' andata via via crescendo nei secoli successivi, e ancor oggi non ha cessato di coinvolgere con la sua immagine la creativita' degli architetti moderni.
CHIESA DI SANTO SPIRITO
La chiesa di Santo Spirito e' forse l'opera piu' innovativa dal punto di vista formale e tipologico, anche se il Brunelleschi non riesce a portarla a compimento e piu' pesanti e distorcenti che altrove appaiono qui gli interventi dei suoi continuatori. Non e' escluso che un travisamento cosi' marcato del progetto originario sia dovuto proprio alle stravolgenti proposte tipologiche e formali che esso presenta rispetto alla tradizione.
Brunelleschi inizia a dedicarsi a questo edificio a partire dall'anno 1434 ed e' evidente la continuita' con la precedente esperienza progettuale di San Lorenzo, non solo nella strutturazione planimetrica in rapporto all'annesso convento ed agli spazi urbani circostanti, ma anche nel dimensionamento e nei partiti decorativi adottati. I lavori di costruzione, tuttavia,
cominciano solo nel 1444 e le prime colonne vengono consegnate in cantiere solo nell'aprile del 1446, a pochi giorni dalla morte del maestro.
Il tema di quest'opera e' tutto nella potenzialita' della pianta che prefigura l'evoluzione tipologica dallo schema basilicale a navate alla chiesa rinascimentale a pianta centrale; evoluzione che viene enfatizzata dalla collocazione del coro al centro-croce della basilica. Non si vuole con questo alludere alla invadente presenza del tabernacolo seicentesco del Caccini, ma alla struttura centralizzata dell'organismo architettonico. L'abside infatti appare liberata da quella frontalita' scenografica che ancora sussiste in San Lorenzo.
La modularita' del colonnato, specularmente riproposto sui fornici delle cappelle laterali, definisce la continuita' dello spazio interno; le navate minori perdono il significato di deambulatori aggiunti alla navata centrale, e costituiscono insieme a essa un unico organismo plastico. La doppia arcata sul fondo dei transetti e dell'abside annulla l'assialita' del vano centrale a croce latina; le cappelle concave che lungo le pareti perimetrali ripetono l'ordine del colonnato, dilatano il limite esterno della chiesa configurando uno spazio continuo modularmente ripetibile all'infinito all'interno di una maglia prospettica.
In questa spazialita' percettiva le colonne non sono piu' una pausa metrica nell'equilibrio compositivo; senza entasi esse perdono il senso figurativo di una metafora strutturale ed assumono il valore di presenze fisiche nello spazio, membrature ed ossa di un organismo architettonico, segni materiali che occupano un luogo definendolo.
Torna anche qui l'impianto modulare gia' usato in San Lorenzo, basato sul cerchio inscritto nel quadrato di 11 braccia fiorentine: elemento ricorrente nell'architettura di Filippo fin dal portico degli Innocenti, qui esasperato fino a diventare gabbia strutturale e griglia compositiva che vincola l'intero progetto.
Anche i rapporti proporzionali appaiono in quest'opera molto semplici: 1:2 e' il rapporto tra la navata principale e le laterali; 1:3 e' il rapporto dimensionale in pianta del transetto e 1:4 quello della navata, mentre negli alzati sono utilizzate le proporzioni auree. Questa estrema semplicita' di rapporti rende immediatamente percepibile lo spazio interno nella sua unita'.
Quest'opera costituisce un costante riferimento nella storia dell'architettura: dal Sangallo al Peruzzi, da Bramante a Leonardo, essa ha sempre suscitato l'interesse e l'imitazione degli architetti, non solo per la sua capacita' di alludere a un tema tipologico in evoluzione, ma anche per il fascino di cio' che avrebbe potuto essere senza quegli "inconvenienti fatti e consentiti da altri" che gia' il Manetti dovette lamentare nel completamento di questo edificio. Non vennero realizzate ne' la volta a botte ne' le quattro porte di facciata corrispondenti al completamento interno del colonnato lungo il muro di controfaccia, fu eliminata la sporgenza delle cappelle curve e quindi appiattito il fianco esterno della chiesa.
Salvi d'Andrea, subentrato nel cantiere alla morte di Filippo, e' certo il maggior responsabile delle modifiche: dalle mutate dimensioni del tamburo e della cupola alle enfatiche decorazioni
interne del fregio, della trabeazione e dei portali di controfacciata; dal tamponamento delle absidiole delle cappelle esterne estradossate alla mancata realizzazione della facciata a quattro porte, di cui unico sostenitore rimarra' Giuliano da Sangallo ai tempi di Lorenzo il Magnifico.
Anche in questo tradimento, subito da una grande architettura profetica e anticipatrice, sta la grandezza mitica del Brunelleschi. Viene spontaneo pensare a Leonardo, alla sua "Ultima cena", e al tema del tradimento che la motiva: tema fortemente legato al mondo umanistico, assai diverso e persino contrapposto a quello che dara' forma alla titanica utopia michelangiolesca di un'architettura irrealizzata ed impossibile per la tomba del papa Giulio II.
Cosi' la facciata, nuda ed interrotta al rustico della muratura, denuncia, come nel caso di San Lorenzo, l'incapacita' dei continuatori del Brunelleschi di recepire la sua idea tipologica e formale, idea che a noi e' dato di cogliere solo attraverso il ricordo cui forse allude la placchetta argentea del Louvre.
Fonte: http://www.istitutobalbo.it/autoindex/indice/Liceo%20Classico/Lezioni%20di%20storia%20dell%27Arte/1400/rinascimento_brunelleschi.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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