Paradosso di Olbers

 

 

 

Paradosso di Olbers

 

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Paradosso di Olbers

 

IL PARADOSSO DI OLBERS

 

Nel contesto della materia cosmologica si può inserire bene un argomento dai risvolti curiosi ma molto interessanti.
Tutti noi, senza ricorrere all'uso di strumentazioni particolari, abbiamo la possibilità di fare un'esperienza che di prima mano può sembrare banale e scontata, ma che in realtà, sviluppando opportuni ragionamenti e conclusioni per deduzione, può esse­re considerata come un vero e proprio semplice esperimento di cosmologia.
La nostra esperienza ci dice che la notte è buia, scura, punteggiata naturalmente dalle stelle e dagli altri oggetti celesti.   Ebbene, non è poi così sbagliato domandarci il perché di questa situazione: se infatti l'Universo pos­sedesse un numero di stelle prossimo all'infinito, potremmo anche aspettarci che il cielo che osser­viamo di notte si mostrasse uniformemente brillante e luminoso come la superficie accecante del Sole.
Se esaminata nel dettaglio, la questione può rivelarsi molto interessante, anche in relazione ad alcune idee e teorie cosmologiche recenti, rivelandoci quale sia la vera natura dell'Universo.
Il paradosso, che abbiamo accennato all'inizio, può essere enunciato in maniera molto semplice basandoci su ciò che osserviamo, ossia che la volta celeste ha un fondo nero, e presenta un numero elevato e difficilmente quantificabile di stelle (sempre con mezzi semplici).

Possiamo partire facendo tre assunti, non importa se corretti (lo si può dimostrare durante la discussione del problema stesso).

  • L'Universo è infinitamente grande
  • L'Universo è eterno ed immutabile
  • L'Universo possiede un numero infinito di stelle.

Alcune considerazioni di tipo logico e matematico ci porterebbero alla conclusione che se fosse così, l'Universo, e quindi il cielo, dovrebbe essere uniformemente luminoso.

Entriamo ora un po' nel dettaglio : se potessimo spostare il Sole ad una distanza doppia dalla Terra, noi intercetteremmo solo un quarto dei fotoni che ci colpiscono. Di contro il Sole a quella distanza sottenderebbe un quarto dell'area, quindi l'intensità luminosa per unità di area rimarrebbe costante.
Se consideriamo ora un numero infinito di stelle in uno spazio infinito, ogni elemento angolare di cielo dovrebbe essere coperto da una stella, pertanto l'intera volta celeste dovrebbe essere luminosa per lo meno come la superficie del Sole! Avremmo la sensazione di vivere al centro di un falso corpo nero luminoso la cui temperatura raggiungerebbe i 6000 gradi centigradi.
Questo è il paradosso di Olbers. Tale concetto fu evidenziato da Keplero nel 1610, ripreso e ridi­scusso da Halley e Cheseaux nel diciottesimo secolo, ma non fu reso pubblico come paradosso fino a quando appunto Olbers non riprese il problema con serietà nel diciannovesimo secolo, pubbli­cando un saggio sull'argomento. L'espressione "paradosso di Olbers" è recente e si deve al cosmo­logo Herman Bondi.
La soluzione al paradosso sembra non essere univoca; possiamo esaminare alcune delle soluzioni che sono state proposte:

  • L'oscurità del cielo è dovuta al fatto che esiste troppa polvere interstellare che affievolisce o estingue la luce delle stelle lontane.
  • L'Universo possiede solo un numero finito di stelle.
  • La distribuzione delle stelle non è uniforme. Ovvero vi può essere un'infinità di stelle ma queste si nascondono a vicenda, cosicché solo un'area angolare finita è sottesa da esse.
  • L'Universo si sta espandendo, quindi le stelle più distanti viaggiano ad una velocità tale che lo spostamento spettrale della loro luce (redshift) è così alto che raggiunge e supera le lunghezze d'onda del rosso e dell'infrarosso e quindi queste, non essendo percepibili dall'occhio umano,  calano nell'oscurità.
  • L'Universo è giovane: quindi la luce di oggetti e stelle estremamente distanti non è ancora riuscita a rag­giungerci (concetto di orizzonte cosmologico).
  • L'Universo ha subito all'inizio della sua storia un istante di "super espansione" o inflazione. A causa di tale meccanismo lo spazio-tempo si è espanso in modo tale che la luce, con velocità fi­nita, non è ancora riuscita a saturarlo, con il risultato che noi lo percepiamo appunto, ancora nero.

 

La prima spiegazione è di fatto sbagliata. In un corpo nero anche la polvere si riscalda. Può com­portarsi come uno scudo per la radiazione affievolendo in maniera esponenziale la luce di stelle di­stanti, ma non è possibile porre tanta polvere nell'Universo quanta serve per poterci sbarazzare della luce stellare senza oscurare anche il nostro Sole. Perciò questa soluzione non è plausibile.

La premessa della seconda spiegazione si può considerare tecnicamente corretta. Ma il numero di stelle, finito quanto si voglia, è ancora abbastanza grande per illuminare l'intero Universo, perciò l'ammontare totale di materia luminosa presente nell'Universo è ancora troppo grande per rendere valida questa soluzione. Il numero di stelle è tale che può essere considerarato ragionevolmente vicino all'infinito e quindi potrebbe illuminare l'intero cielo.

La terza soluzione potrebbe risultare parzialmente corretta, non lo sappiamo. Le stelle sono distri­buite in maniera "frattale", quindi dovrebbero esserci grosse zone di spazio vuoto, ed il cielo dovrebbe apparire scuro tranne che in piccole aree.

La quarta e quinta soluzione sono sicuramente corrette e in parte entrambe concorrenti a determinare la soluzione corretta. I calcoli indicano che l'effetto maggiore è provocato dall'età non infinita dell'Universo. Viviamo infatti idealmente all'interno della sfera costituita dall'"Universo visibile" (orizzonte cosmico) che ha un raggio uguale al tempo di vita dell'Universo. Gli oggetti che possie­dono un'età maggiore di 15 miliardi di anni sono troppo distanti perché la loro luce abbia mai la pos­sibilità di raggiungerci.
Il paradosso di Olbers quindi rimane paradosso solo se ammettiamo un Universo eterno ed immutabile, come si supponeva generalmente almeno fino al 1920;  esso invece può divenire un formidabile argomento a sostegno che l'Universo non sia eterno ma abbia avuto ori­gine in un momento ben definito nel passato.

Storicamente, dopo che Hubble scoprì che l'Universo si stava espandendo, ma prima della scoperta della Radiazione Cosmica di Fondo (che diede la conferma sicura alla teoria del Big Bang), il para­dosso di Olbers era presentato come una prova della relatività speciale.
Era necessario l'effetto di spostamento verso il rosso per spiegare appunto il fatto che il cielo non è uniformemente illuminato dalla luce proveniente dalle innumerevoli stelle dell'Universo. Questo effetto indubbiamente contri­buisce allo scopo, ma il fatto che l'Universo abbia un'età finita, e non infinita, è certamente la ragio­ne più importante che risolve i problemi connessi con il paradosso di Olbers.

L'ultima soluzione poi è un'estensione ed una puntualizzazione di tipo cosmologico dei concetti ap­pena detti: la teoria inflazionistica consente, tra l'altro, di risolvere alcuni problemi e controsensi in­siti nella stessa teoria del Big Bang, se vogliamo spiegare la realtà dell'universo che noi vediamo attualmente.
La superespansione consente allo spazio-tempo di allargarsi svincolandosi dal legame che hanno la materia ed l'energia con la velocità della luce, finita e costante. Se lo spazio si è espanso, in un istante, ad una velocità maggiore della luce, come si assume sia avvenuto nei primis­simi istanti di esistenza dell'Universo dopo il Big Bang, le informazioni da un punto all'altro dello spazio-tempo non possono essere state trasmesse, e quindi nemmeno l'energia e la radiazione che poi, nel tempo si rivelerà come luce. L'universo attuale è "erede" di quella situazione, quindi la luce non ha ancora fatto a tempo a raggiungere e saturare tutti gli angoli dello spazio. E', in definitiva, una precisazione anche della soluzione dell'Universo con età finita e del concetto di orizzonte co­smico, discusso nel punto precedente.
Se la luce avrà un giorno la possibilità di raggiungere tutti gli angoli dell'Universo non è ancora dato da sapere: poichè non siamo ancora certi se l'universo visibile si stia espandendo ad una velocità uguale o minore di quella della luce o se esso sia "aperto" o "chiuso" su se stesso, e questo dipende dalla quantità di materia contenuta; nel caso l'Universo si espandesse a velocità minore, ovvero sia di tipo "chiuso" (e quindi un giorno lo spazio-tempo si dovrebbe contrarre anziché espandersi) allora la luce delle stelle potrebbe riuscire a recuperare la strada perduta nel momento dell'inflazione ri­uscendo a riempire e saturare ogni angolo dell'Universo. Quindi un giorno potremmo, in teoria, assi­stere improvvisamente all'illuminazione di tutto il cielo, anche di notte, e non riusciremmo più a di­stinguere le stelle, il Sole, il giorno e la notte; tutto apparirebbe monotonamente luminoso: rientre­remmo proprio nell'ipotesi del paradosso formulata all'inizio.

 

Fonte: http://www.astrofiliveronesi.it/uploads/5)%20-%20LE%20%20GALASSIE%20E%20GLI%20AMMASSI%20DI%20GALASSIE.doc

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