Acido folico e sulfamidici
Acido folico e sulfamidici
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SULFAMIDICI
1. Introduzione
Il termine sulfamidico è impiegato come nome generico per indicare tutti i derivati della sul-fanilamide (p-aminobenzensolfonamide). Sebbene la sulfanilamide fosse stata sintetizzata già nel 1908, il suo valore terapeutico venne evidenziato solo molti anni più tardi. Infatti alla scoperta dei sulfamidici si è arrivati nella seconda metà degli anni trenta a seguito di indagini sull'attività antibatterica di coloranti azoici. Fino all'inizio degli anni trenta la chemioterapia aveva ottenuto vari successi nel trattamento di malattie provocate da protozoi e particolarmente diffuse nei paesi tropicali quali malaria e tripanosomiasi mentre invece scarsi risultati si erano registrati nel trattamento delle infezioni batteriche. In Germania diversi studiosi stavano da tempo sperimentando su animali da laboratorio gli effetti antibatterici di coloranti azoici contenenti gruppi solfonamidici che avevano dimostrato un forte potere di fissazione sulle fibre dei tessuti. Nel 1932, Domagk, un ricercatore della Bayer AG notò che topi inoculati con streptococchi venivano protetti dall'infezione mediante somministrazione di sulfacrisoidina (o sulfamidocrisoidina), preparata da Mietzsch e Klarer e brevettata col nome di Prontosil Rubrum. L'ufficializzazione della scoperta di Domagk venne fatta nel 1935. L'anno seguente, un gruppo di ricercatori dell'Istituto Pasteur (Tréfouel, Nitti, Bovet) dimostrò che l'attività del Prontosil, inattivo nelle prove in vitro, era dovuta alla messa in libertà in vivo di sulfanilamide ad opera di azoreduttasi:
Prendeva così avvio in maniera definitiva la moderna chemioterapia. Più di 5000 congeneri furono sintetizzati e studiati nell'arco dei dieci anni che seguirono tale scoperta. I sulfamidici sono stati i primi agenti chemioterapici efficaci ad essere impiegati sistematicamente nella profilassi e nella terapia delle infezioni batteriche ed hanno costituito un caposaldo della chemioterapia antibatterica prima dell'avvento della penicillina. L'instaurarsi della chemioresistenza e la scoperta di vari antibiotici ed altri chemioterapici hanno grandemente diminuito l'importanza dei sulfamidici, anche se essi continuano ancora attualmente a mantenere un ruolo importante, anche se limitato, in certi tipi di infezioni, soprattutto in associazione con il trimetoprim.
I sulfamidici usati in terapia sono attualmente tutti derivati della sulfanilamide in cui un idrogeno amidico (N1) è sostituito da opportuni radicali. Fanno eccezione a questa descrizione generale i sulfamidici azoici, con un unico esponente (sulfasalazina).
2. Relazioni Struttura-Attività e Proprietà Chimico-Fisiche.
I gruppi aminico e solfonamidico devono trovarsi in posizione 1,4 tra loro. Infatti delle tre aminobenzensolfonamidi, solo l'isomero para è attivo. L'introduzione di sostituenti sul nucleo ben-zenico o la sostituzione dell'anello benzenico con sistemi eterociclici forniscono prodotti privi di attività. Il gruppo aminico libero è essenziale per l'attività. Quindi tutti i sulfamidici in cui tale funzione è mascherata costituiscono dei profarmaci. Nei derivati N1-sostituiti, l'attività massima è manifestata da sostituenti costituiti da anelli eterociclici.
I sulfamidici sono composti solidi con punto di fusione ben definito, scarsamente solubili in acqua, solubili sia in acidi minerali che in alcali con formazione di sali a carico della funzione aminica e solfonamidica, rispettivamente.
Alcune proprietà chimico-fisiche dei sulfamidici sono ben correlate con le loro proprietà farmacologiche, in particolare il grado di ionizzazione, il grado di legame con le proteine plasmatiche ed il coefficiente di ripartizione.
L'acidità della funzione solfonamidica ha una forte influenza sull'attività. Esaminando una serie di sulfamidici, è stato trovato che il massimo di attività si registra nei composti con un pKa compreso tra 6 e 7.5 e cioè quando esso è approssimativamente uguale al pH fisiologico. In tale situazione il sulfamidico si trova per circa il 50% in forma dissociata. Si è perciò ipotizzato che il composto penetri all'interno della cellula batterica in forma non ionizzata mentre l'azione antibatterica sarebbe dovuta alla forma ionizzata.
L'entità del legame con le proteine plasmatiche dipende dalla struttura del particolare sulfamidico, variando dal 95 al 10%, ed influenza direttamente la durata della permanenza in circolo del sulfamidico stesso. La frazione legata non passa nel filtrato glomerulare e quindi ad un elevata percentuale di fissazione corrisponde un tempo di eliminazione più lungo. Essa costituisce un centro di deposito dal quale il sulfamidico viene liberato gradualmente a man mano che la concentrazione ematica del sulfamidico libero diminuisce nel tempo. Non vi è alcuna correlazione tra la % di legame e la potenza dell'azione antibatterica.
Un secondo fattore di imprtanza per la durata d' azione di un sulfamidico è la liposolubilità della sua forma neutra. Sulfamidici caratterizzati da elevata liposolubilità presentano un elevato riassorbimento tubulare e, di conseguenza, un prolungamento del tempo di emivita.
3. Caratteristiche Farmacocinetiche.
Ad eccezione dei sulfamidici intestinali, progettati specificamente per esercitare effetti locali a livello intestinale appunto, tutti gli altri sulfamidici vengono rapidamente ed estesamente assorbiti (70-100%) con livelli plasmatici massimi entro 2-3 ore. La principale sede di assorbimento è il tenue, ma una certa quota è già assorbita a livello gastrico. I sulfamidici si distribuiscono velocemente in tutti i tessuti e penetrano facilmente nei liquidi pleurico, peritoneale, sinoviale, oculare e cefalo-rachidiano. I sulfamidici vengono metabolizzati prevalentemente attraverso reazioni di acetilazione e di glicuronazione all'N1 e all'N4, con formazione in tutti i casi di prodotti inattivi. Il grado di trasformazione varia in ampia misura (10-60%) a seconda del sulfamidico, del tasso plasmatico ed in funzione di fattori genetici. Ad eccezione dei sulfamidici intestinali che sono eliminati attraverso le feci, gli altri sono escreti prevalentemente attraverso le urine. La frazione acetilata di alcuni dei sulfamidici più vecchi tende a precipitare nelle vie urinarie (cristalluria), provocando complicazioni a loro carico (vedi effetti indesiderati).
4.Meccanismo d' Azione
I sulfamidici sono degli analoghi strutturali dell'acido p-aminobenzoico (PABA) e si comportano da antagonisti competitivi nei confronti di tale acido (antimetaboliti). Essi interferiscono con l'utilizzazione del PABA da parte dei sistemi enzimatici necessari per la crescita dei batteri. Sono quindi dei batteriostatici ed agiscono sui batteri in fase attiva di moltiplicazione.
Il PABA entra nella costituzione dell'acido folico.
L'acido folico (dal latino folium) o acido pteroilglutammico è una vitamina del gruppo B, ampiamente diffusa, che è stata scoperta nel corso degli studi sull'anemia macrocitica tropicale che veniva curata con estratti di fegato. I suoi componenti costitutivi sono: un sistema eterociclico fuso (pterina), l'acido glutammico e, appunto, il PABA.
L'acido folico di per se stesso non ha attività coenzimatica, ma è ridotto nei tessuti dapprima ad acido diidrofolico e quindi ad acido tetraidrofolico. Quest' ultimo viene a sua volta trasformato in una serie di derivati che funzionano come trasportatori intermedi di una unità carboniosa che viene ceduta ad opportuni precursori nel corso della biosintesi di basi puriniche e pirimidiniche e di alcuni aminoacidi (ad es. serina, metionina). L'acido folico è dunque necessario per la sintesi degli acidi nucleici (DNA ed RNA) e quindi per la crescita e la moltiplicazione delle cellule. Nell'uomo ad es. la carenza di acido folico si ripercuote principalmente sul quadro ematico poichè le cellule ematiche vengono formate continuamente. I disturbi corrispondenti sono anemia macrocitica (o megaloblastica) e trombocitopenia.
Gli animali, uomo compreso, necessitano di acido folico preformato e quindi sfruttano quello presente negli alimenti non essendo in grado di sintetizzarlo de novo a partire da precursori più semplici. Diversi microrganismi batterici sono viceversa incapaci di assorbire l'acido folico dal mezzo in cui crescono (poichè non possiedono meccanismi di trasporto attivo in grado di fare attraversare all'acido folico, che a pH fisologico esiste come dianione, la parete cellulare) mentre sono provvisti di sistemi enzimatici in grado di biosintetizzarlo.
Gli stadi finali del processo di biosintesi dell'acido diidrofolico in tali batteri sono indicati nello schema della pagina seguente. La 6-idrossimetil-7,8-diidropterina difosfato viene condensata ad opera dell'enzima diidropteroato sintetasi con il PABA per dare acido diidropteroico il quale è a sua volta condensato con l'acido glutammico per dare acido diidrofolico (FH2).
I sulfamidici interferiscono con il processo di biosintesi dell' acido diidrofolico in due diffe-renti maniere:
1) la prima, e più importante, consiste in una inibizione competitiva della diidropteroato sintetasi;
2) la seconda, che può essere operante in alcuni batteri, prevede l'utilizzo dei sulfamidici da parte della diidropteroato sintetasi come 'falsi substrati' per formare degli analoghi dell'acido diidro-pteroico (incorporazione fraudolenta) che sono inattivi come trasportatori di unità carboniose ed interferiscono invece con le reazioni successive in cui è implicato l'acido folico oltre a sottrarre 6-idrossimetil-7,8-diidropterina difosfato.
La sintesi de novo di acido folico ha luogo in un'ampia varietà di microrganismi comprendenti oltrechè batteri anche protozoi e funghi. Questi microrganismi non appaiono estrarre facilmente acido folico dall'organismo ospite, ad es. quello presente in circolo. Ciò spiega l'ampio spettro d'azione dei sulfamidici.
I microrganismi che, come i mammiferi, utilizzano acido folico preformato sono invece insensibili all'azione dei sulfamidici.
E' interessante notare che, nonostante la loro dissomiglianza strutturale, i solfoni come ad es. il dapsone agiscono con un meccanismo d' azione simile a quello dei sulfamidici.
L'inibizione della sintesi di acido folico e quindi della crescita batterica da parte dei sulfamidici può essere superata per aggiunta o di PABA in eccesso o dei prodotti finali delle reazioni in cui sono implicati i derivati coenzimaticamente attivi dell'acido folico (timidina, purine, metionina e serina). Queste sostanze possono essere presenti in considerevole quantità nel pus (il pus è una raccolta di cellule fagocitarie, detriti cellulari, fibrina, proteine). Di conseguenza vi può essere una notevole diminuzione di efficacia dei sulfamidici nelle infezioni purulente.
Come già accennato, affinchè l'acido diidrofolico possa funzionare da trasportatore di unità carboniose, esso deve essere preliminarmente ridotto ad opera della diidrofolato reduttasi (DHFR) ad acido tetraidrofolico e quest' ultimo essere poi convertito nelle varie forme trasportatrici di una unità carboniosa richieste come coenzimi nella sintesi di timidina, purine ed alcuni aminoacidi.
Nella maggioranza delle reazioni di trasferimento di una unità carboniosa si rigenera FH4. Tuttavia, quando il trasferimento interessa la conversione della desossiuridina monofosfato (dUMP) in desossitimidina monofosfato (dTMP) (conversione catalizzata dalla timidilato sintasi) si riforma FH2. Se l' FH2 formatosi non è più in grado di essere ridotto ad FH4, la conversione suddetta, es-senziale per la sintesi di DNA, viene bloccata. Il sistema enzimatico che riduce FH2 ad FH4 è presente sia nei microrganismi che nei mammiferi. E' stato provato tuttavia che le DHFR isolate da batteri, protozoi o mammiferi hanno caratteristiche di affinità diverse per i vari inibitori, e ciò ha permesso di sintetizzare degli inibitori selettivi. Ad esempio il trimetoprim possiede una affinità
per la DHFR batterica da 20 a 60 mila volte superiore a quella per l'isozima umano. Il trimetoprim stesso e la pirimetamina hanno una affinità per la DHFR del Plasmodium berghei 3-4 mila volte superiore a quella per la DHFR umana. Le cellule che si dividono rapidamente richiedono un' ab-bondante rifornimento di dTMP per la sintesi di DNA. La vulnerabilità di queste cellule all'ini-bizione della sintesi di dTMP è stata sfruttata nella chemioterapia anticancro mediante inibitori della DHFR quali il metotressato.
5. Classificazione
Abbiamo già visto che da un punto di vista strutturale i sulfamidici attualmente in uso si possono suddividere in due gruppi:
a) Sulfanilamidi N1-sostituite;
b) Sulfamidici azoici;
I sulfamidici appartenenti al gruppo a) comprendono praticamente l'intera gamma della categoria.
Sulla base invece delle caratteristiche di assorbimento e di durata d'azione, i sulfamidici possono essere classificati come segue:
I sulfamidici sistemici, una volta assunti, vengono assorbiti ed entrano in circolo manifestando la loro azione per tutto il tempo in cui sono presenti in circolo a concentrazioni terapeuticamente efficaci. I sulfamidici classici permangono in circolo per un tempo relativamente breve (t1/2 < 7 ore) e necessitano di una posologia giornaliera relativamente elevata e di più somministrazioni al giorno. I sulfamidici semiritardo sono ad eliminazione più lenta (t1/2 compreso tra 12 e 18 ore) ed hanno perciò posologie più ridotte (1-2 g al dì) frazionate in due somministrazioni. I sulfamidici ritardo sono ad eliminazione ancora più lenta (t1/2 > 24 ore) ed hanno una posologia giornaliera di 0.5-1 g in un' unica somministrazione. I sulfamidici ultraritardo infine posseggono t1/2 >60 ore.
I sulfamidici delle vie urinarie vengono assorbiti anch'essi facilmente ma altrettanto facilmente eliminati dal circolo ematico (t1/2 <6 ore); si accumulano a livello del tratto urogenitale dove esercitano la loro azione antibatterica. Con questi sulfamidici a rapida eliminazione si raggiungono concentrazioni ematiche terapeuticamente attive di durata veramente effimera per cui essi sono inadatti per il trattamento di infezioni sistemiche.
I sulfamidici intestinali infine sono caratterizzati da scarsa (<5%) assorbibilità, vengono trattenuti nel tratto gastrointestinale ed esplicano la loro azione chemioterapica unicamente a tale livello.
La classificazione suesposta non è rigida; in particolare, i limiti tra sulfamidici classici e sulfamidici urinari e tra sulfamidici classici e sulfamidici semiritardo sono piuttosto vaghi.
6. Spettro d' Azione e Indicazioni Terapeutiche
Lo spettro d'azione dei sulfamidici è in teoria ampio e comprende la maggior parte dei batteri Gram±, alcuni funghi ed alcuni protozoi ma i ceppi resistenti sono ormai numerosi in quasi tutte le specie inizialmente sensibili. Diversi meccanismi sono responsabili della resistenza acquisita nei confronti dei sulfamidici: aumento di produzione di PABA, alterazione della diidropteroato sintasi, ridotta captazione del farmaco.
Tra i microrganismi sensibili si possono elencare i seguenti: pneumococchi, meningococchi, shigelle, haemophilus, escherichia coli, nocardia, chlamydia, vibrio cholerae, yersinia pestis. I sulfa-midici possono essere utilizzati nel trattamento di:
-meningiti cerebrospinali epidemiche causate da Neisseria meningitidis;
-nocardiosi (lesioni polmonari ed anche cerebrali e subcutanee) causata da Nocardia asteroides (in associazione con antibiotici);
-ulcera molle (ulcerazioni delle regioni genitali) causata da Haemophilus ducreyi;
-tracoma (infezione della congiuntiva e della cornea) causata da Chlamydia trachomatis;
-toxoplasmosi (manifestazioni cliniche varie quali ittero, epatosplenomegalia, corioretinite,idro- o microcefalia, ritardi motori) causata da Toxoplasma gondii;
-infezioni delle vie respiratorie e del tratto urinario;
-enteriti da E. coli e per ottenere sterilità a livello intestinale prima di un intervento chirurgico;
-malaria (in associazione con antimalarici antifolici).
I sulfamidici vengono associati spesso ad antibiotici e soprattutto al trimetoprim nel trattamento di pneumopatie, infezioni urinarie, actinomicosi, linfogranulomatosi inguinale, tracoma, peste. Essi vengono somministrati per lo più per via orale; sotto forma di sali sodici possono essere impiegati per via parenterale endovenosa quando è richiesta un' azione immediata nei casi gravi. Infine sono anche occasionalmente impiegati per uso topico sotto forma di creme, pomate, colliri.
7. Effetti Indesiderati
I sulfamidici possono occasionalmente produrre nausea, vomito, malessere generale (astenia, cefalee), turbe psichiche. Questi effetti sono transitori e non indicano necessariamente che l' uso del farmaco debba essere sospeso. Nei sulfamidici più vecchi avevano grande rilievo i disturbi delle vie urinarie a causa della cristalluria, cioè della precipitazione a livello renale, negli ureteri o nella vescica urinaria di cristalli di sulfamidico libero e soprattutto di metaboliti acetilati. La cristalluria poteva degenerare in blocco tubulare, anuria e necrosi tubulare. La prevenzione dell'in-sorgere di cristalluria consisteva nell'assunzione di liquidi e di citrato di sodio o di potassio, nello impiego simultaneo di due o tre sulfamidici diversi in modo da realizzare effetti antibatterici senza avvicinare la soglia di solubilità dei singoli componenti l'associazione. Gli effetti indesiderati più frequenti nei sulfamidici più recenti sono rappresentati da reazioni di ipersensibilità quali esantemi (eruzioni cutanee), fotosensibilità, febbre, epatiti, neuriti periferiche, periarterite nodosa (lesioni vascolari). Da ricordare in particolare la sindrome di Stevens -Johnson che consiste in una grave forma di eritema essudativo. Infine sono anche possibili disturbi ematici quali anemia emolitica, agranulocitosi, anemia aplastica, leucopenia.
Nota:
anemia emolitica: anemia derivante da una eccessiva distruzione di eritrociti;
anemia aplastica: anemia derivante da aplasia, cioè insufficiente sviluppo e produzione del tessuto emopoietico del midollo osseo;
agranulocitosi: diminuzione nel numero dei granulociti;
leucopenia: diminuzione dei leucociti.
http://farmacia.frm.uniroma1.it/didattica/att/d11b.2630.file.doc
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