Retorica definizione significato e esempi
Retorica definizione significato e esempi
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LA RETORICA
Il linguaggio serve per trasmettere ad altri il nostro pensiero ossia per comunicare. Ma il contenuto dei nostri pensieri può essere assai vario. Talvolta ci proponiamo di trasmettere un’informazione obiettiva: tipico da questo punto di vista è il discorso scientifico, che è fondato su cifre ed elementi tratti dall’osservazione della realtà e che viene spesso formulato in maniera secca e stringata. Naturalmente lo scienziato quando scrive si prefigge di convincere gli altri della verità delle proprie asserzioni; ma per fare ciò si affida interamente alla forza persuasiva delle proprie argomentazioni, alla loro coerenza interna. Un teorema matematico riesce convincente quando può essere dimostrato vero in se stesso; analogamente il rendiconto di un lavoro tecnico-applicativo (per esempio no studio sull’inquinamento ambientale), riesce convincente quando i dati forniti appaiono veritieri e soprattutto controllabili, in maniera che chiunque altro possa ripetere le analisi per verificare i risultati.
Ci sono però molte altre situazioni in cui gli elementi che ci si propone di trasmettere non sono altrettanto obiettivi, ma rispecchiano piuttosto una nostra opinione. Questo accade per esempio nel discorso politico, che si fonda sull’intento di persuadere gli altri, e spingerli ad accogliere la nostra ideologia, cioè il nostro modo di vedere le cose. In maniera ancor più vistosa ciò si verifica nel discorso pubblicitario, in cui addirittura non si presume neppure che colui che produce il messaggio sia sincero. Può darsi che il pubblicitario cui viene affidato il compito di reclamizzare un dato detersivo sappia per certo che quel prodotto non è affatto raccomandabile: tuttavia, il suo mestiere, gli impone di far tutto perché la gente si senta spinta a comprarlo. Non dobbiamo scandalizzarci di questo, perché nella nostra società industriale è normale che sia così; del resto basta esserne coscienti e non prendere per oro colato tutto quello che ci dice la pubblicità.
Gli antichi Greci, che per primi si accorsero di questi problemi, hanno coniato un termine speciale per indicare la tecnica secondo cui vanno confezionati i discorsi aventi per scopo la persuasione degli altri: l’hanno chiamata RETORICA, che significa all’incirca “arte del dire”, del “convincere”.
Originariamente la loro attenzione si era fissata sulla tecnica “oratoria”, ossia sulla tecnica dei discorsi tenuti in pubblico (per esempio le arringhe degli avvocati), e in quest’ottica avevano debuttato tutta una serie di norme da rispettarsi per conseguire il migliore risultato possibile. Essi suggerivano un metodo molto preciso per ciò che riguarda la disposizione degli argomenti, lo svolgimento delle argomentazioni, la confutazione delle tesi avversarie e la conquista delle simpatie degli ascoltatori. Un elemento essenziale per ottenere lo scopo desiderato consisteva poi nell’uso calcolato e sapiente di vari espedienti, detti FIGURE RETORICHE, che assolvevano al compito di abbellire il discorso, ornandolo e rendendolo più gradevole. È chiaro infatti che per ottenere il consenso del destinatario è opportuno fare appello al suo gusto, al suo amore per le cose belle, proponendogli dei giri di frase che colpiscano la sua fantasia. Ecco allora che già gli antichi si misero a codificare un’ampia gamma di figure retoriche.
Proprio per questo, col passare del tempo la retorica ha finito per essere associata in maniera privilegiata ai testi letterari, ossia ai testi che fanno un uso particolarmente vistoso delle figure retoriche. Ma che relazione esiste tra un’arte del dire, come la retorica, che era nata con l’intento di insegnare le tecniche della persuasione, ed i testi letterari, che almeno in apparenza non debbono persuadere nessuno?
In effetti anche se un poeta o un romanziere può essersi proposto di propagandare una sua ideologia, questa in genere non è l’ottica in cui vengono lette le opere letterarie. Eppure sotto sotto, anche i testi letterari hanno dei fini persuasivi, non fosse altro che il fine di indurre i lettori a leggerli, cioè a trovarvi appagamento. Lo scrittore realizza i suoi prodotti con l’intento di trasmettere ai suoi lettori un messaggio in cui crede molto, e che esprime la parte più viva e intima della sua personalità. Logico quindi che tale messaggio sia affidato a strumenti linguistici profondamente pensati, che nascono attraverso un lungo travaglio di prove.
Questo non significa però che ogni opera letteraria sia un denso contenitore di metafore, similitudini e via discorrendo. Anzi, talvolta, glia autori scelgono uno stile secco, privo di compiacimenti, proprio per reazione all’eccesso di ornamenti retorici che hanno caratterizzato in certe epoche l’arte della scrittura.
In effetti, la retorica, ha subito il destino tipico di tutti i prodotti e le tecniche legate al gusto della gente. Nata per abbellire i testi, essa ha finito spesso per irrigidirsi in uno sterile elenco di espedienti preconfezionati, fino a generare un senso di saturazione nei lettori. Anziché funzionare da stimolo alla fantasia inventiva, essa è insomma ridotta, nei tanti manuali di retorica confezionati nei secoli scorsi, ad un’arida precettistica che ostacolava la libertà creativa. Così è accaduto che questa parola assumesse addirittura un significato negativo: quando oggi diciamo che qualcuno “fa della retorica”, intendiamo dire che parla a vuoto, che non dice nulla di concreto. Non dobbiamo tuttavia lasciarci condizionare da questi modi di dire. Se la intendiamo nel senso giusto, come strumento di analisi e non come ricetta per la confezione dei testi, la retorica rappresenta tuttora un potente strumento a nostra disposizione per la comprensione non solo dei testi letterari, ma più in generale, dei testi composti a fini persuasivi: come quelli politici, pubblicitari ecc.
FIGURE RETORICHE
Si dicono quei particolari modi di esprimersi che danno maggior evidenza, enfasi al discorso, usando alcuni termini in luogo ad altri o con significato diverso da quello reale.
In sostanza è uno “schema” che noi facciamo assumere all’arte del discorso.
Importante: anche le figure retoriche dipendono dal contesto!!!
- Figure di PENSIERO = Agiscono sul significato. Un’espressione viene trasferita dal significato proprio ad un altro (sostituzione del senso proprio con un senso figurato). Qualsiasi combinazione inaspettata di concetti è di fatto una figura di pensiero.
Es.: allusione, antitesi, eufemismo, ironia, ossimoro, sineddoche.
- Figure di PAROLA = Agiscono sulla forma. Sono le più semplici, intervengono sulla parola senza relazione immediata sul significato.
Es.: allitterazione, anafora, climax, iperbato, onomatopea, paronomasia, polisindeto, ripetizione.
DIZIONARIO DELLE FIGURE RETORICHE
ALLEGORIA = deriva dal greco allegorèin, “parlare diversamente”. È una figura retorica consistente nella costruzione di un discorso che, oltre al significato letterale, presenta anche un significato più profondo, allusivo e nascosto. In sostanza un concetto viene espresso attraverso un’immagine che rappresenta una realtà del tutto diversa.
Un'allegoria tra le più note è quella del destino umano che viene paragonato ad una nave che attraversa il mare in tempesta: passa la nave mia, sola, tra il pianto degli alcioni, per l'acqua procellosa (G. Carducci); oppure l’allegoria della “Selva” nell’Inferno dantesco.
ALLITTERAZIONE = procedimento stilistico, ricorrente soprattutto in poesia, che consiste nella ripetizione delle stesse lettere (vocali, consonanti o sillabe), all’inizio oppure all’interno di due o più parole successive.
Es.: il pietoso pastore pianse al suo pianto (T. Tasso); sentivo un fru fru tra le fratte (G. Pascoli); e caddi come corpo morto cade. (Dante, Inferno, Canto V, v 142); tra fresco mormorio d'alberi e fiori (G. Carducci, Visione, v 2).
ALLUSIONE = essa viene definita come il dire una cosa con l’intenzione di farne intendere un’altra, accennando in maniera velata o insinuante chi (o che) non si vuole nominare apertamente.
AMPLIFICAZIONE = procedimento retorico che ha il fine di ingigantire o accentuare un argomento che di per sé può anche essere insignificante. Viene usato nelle orazioni per colpire e nello stesso tempo deviare l’attenzione del pubblico da elementi più importanti.
ANACOLUTO = figura sintattica consistente nel susseguirsi, in uno stesso periodo, di due diversi costrutti , dei quali il primo rimane incompiuto.
Es.: quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro (A. Manzoni).
ANAFORA = dal greco anaforà, “ripetizione”. Figura retorica consistente nel ripetere la stessa parola o espressione all’inizio di frasi o di parti di frasi, o di più versi consecutivi.
Es.: per me si va ne la città dolente, per me si va ne l‘etterno dolore, per me si va tra la perduta gente (Dante).
ANTITESI = dal greco antìthesis, “contrapposizione”. Figura retorica consistente nell’accostare due parole o frasi di significato contrario.
Es.: presume di far tutto perché nulla sa fare (G. Leopardi); Vano error vi lusinga: poco vedete, et parvi veder molto, ché 'n cor venale amor cercate o fede (F. Petrarca).
ANTONOMASIA = Figura retorica che consiste nel disegnare una persona o una cosa particolare, con il nome comune invece che con il suo nome proprio, al fine di sottolinearne l’eccellenza.
Es.: dire “Il Poeta” invece che dire Dante; dire “Il Libro” anziché dire il Vangelo.
CLIMAX = dal greco climax, “scala”. Consiste in un discorso che sale (climax crescente) o scende (climax decrescente), gradatamente di forza e intensità.
Es.: O mia stella, o fortuna, o fato, o morte (F. Petrarca); Palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma, propende (G. D'Annunzio); si riscosse, sorrise, si illuminò di gioia e proruppe in un entusiasmo incontenibile.
ELLISSI = dal greco elleipsis, “mancanza”. In una espressione o in una frase, omissione di una o più parole che si possono intuire dal discorso.
Es.: usare “carro merci” per dire “carro adibito al trasporto di merci”.
ENFASI = dal greco emphainein “dimostrare”. Consiste nel mettere in particolare rilievo una parola, un'espressione, una frase, oppure un intero discorso (parlato o scritto).
Es.: Lui, lui si è un amico!
ENUMERAZIONE = nella retorica classica, la parte conclusiva di un discorso nella quale le cose dette vengono richiamate e riassunte ordinatamente.
EPANADIPLOSI = dal greco epanadiplosis, “raddoppiamento”. Figura retorica consistente nell'iniziare e terminare un verso o una frase con la stessa parola.
Es.: È giunto il fin de’ lunghi dubbi, è giunto (A. Manzoni); il poco è molto a chi non ha che poco (G. Pascoli).
EPIFORA = figura retorica che consiste nel ripetere una parola che ricorre al principio di una frase, di un verso o di una serie di versi, alla fine di essi.
Es.: Il bimbo dorme e sogna rami d’oro, gli alberi d’oro, le foreste d’oro (G. Pascoli).
EUFEMISMO = dal greco euphemismo, “parola di buon augurio”. Procedimento espressivo molto comune anche nel linguaggio corrente, che consiste nel sostituire parole o espressioni troppo crude, realistiche o irriguardose, con altre di tono più attenuato.
Es.: usare il verbo “andarsene” al posto di “morire”; Quando rispuosi, cominciai: - Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo! (Dante, Inferno, V, vv.112-114). In questo caso “doloroso passo” viene usato al posto di “dannazione eterna”.
IPERBATO = rottura e inversione dell'ordine naturale delle parole di una frase, per ottenere particolari effetti di espressività.
Es.: e bella e santa, fanno i peregrin la terra (U. Foscolo).
IPERBOLE = figura retorica che consiste nell’esagerare (per difetto o per eccesso), un concetto oltre il verosimile.
Es.:arrivo in un lampo; ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino (E. Montale, Xenia II, 5, vv. 1-2); come sei più lontana della luna, ora che sale il giorno e sulle pietre batte il piede dei cavalli (S. Quasimodo).
IPOTIPOSI = figura retorica che consiste nel descrivere una persona , un fatto o una situazione con viva immediatezza, evidenza rappresentativa e concretezza di particolari.
Es.: come lion di tori entro una mandra, or salta a quello in tergo e gli scava, con le zanne la schiena, or questo fianco addenta or quella coscia (G. Leopardi).
IRONIA = Consiste nell' affermare una cosa che è esattamente il contrario di ciò che si pensa, con intento critico o derisorio; è un tipo di comunicazione che richiede nel lettore e nell'ascoltatore la capacità di cogliere l'ambiguità sostanziale dell'enunciato.
Es.: vieni a veder la gente quanto s'ama! E se nulla di noi pietà ti move, a vergognarti vien della tua fama (Dante, Purgatorio, VI, 115-117).
ITERAZIONE = in retorica, ripetizione di concetti o frasi con intenti stilistici.
LITOTE = figura retorica consistente nell’affermare un concetto negando il suo contrario.
Es.: dire “non è brutto”, non significa dire che è bellissimo; “Don Abbondio non era nato con un cuor di leone”, dove s'intende che era poco coraggioso (Manzoni).
METAFORA (trasposizione ) = consiste nel trasferire a un termine il significato di un altro termine con cui ha un rapporto di verosimiglianza . In breve, è una similitudine senza il termine di paragone.
Es.: “Sei un dio” significa dire che sei bravissimo a fare qualcosa; dire “sei un fulmine”, metaforicamente significa dire che sei veloce come un fulmine; stanno distruggendo i polmoni del mondo, in cui "i polmoni del mondo" sta per "boschi”.
METONIMIA = figura retorica caratterizzata dalla sostituzione di un termine con un altro, che abbia col primo un rapporto di contiguità : la causa per l’effetto, l’effetto per la causa, la materia per l’oggetto, il contenente per il contenuto, lo strumento al posto della persona, l’astratto per il concreto, il concreto per l’astratto, il simbolo per la cosa simbolizzata.
Es.: possedere un Picasso; bere un bicchiere.
S’accendon le finestre ad una ad una (le finestre sono illuminate→la causa per l’effetto) come tanti teatri. (V. Cardarelli, Sera di Liguria, vv 5-6); ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini (dal mosto che bolle nei tini→il contenente per il contenuto) va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar (G. Carducci, San Martino, vv 5-8); lingua mortal non dice (un uomo→lo strumento al posto della persona) quel ch’io sentiva in seno.
(G. Leopardi, A Silvia, vv 26-27); porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela (faticoso lavoro→il concreto per l’astratto (G. Leopardi, A Silvia, vv 20-22).
OMEOTELEUTO = nella retorica classica greca e latina, procedimento che consisteva nel far terminare allo stesso modo (nel suono o nella metrica), le parti di un periodo simmetricamente contrapposte. Per estensione è l’identità o somiglianza in uscita (omofonia ) di parole o frasi.
Es.: finestra/canestra.
ONOMATOPEA = formazione di una parola che imiti un suono o che evochi attraverso suoni ciò che si pronuncia.
Es.: bau bau; gorgogliare; fruscio; din don; scroscia; schiocca ecc.
OSSIMORO = consiste nell’accostare nella medesima frase, due parole di significato opposto.
Es.: un morto vivente; Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi? (G. Leopardi, A Silvia, vv. 1-6); Sentia nell'inno la dolcezza amara de' canti uditi da fanciullo;...(G. Giusti, Sant'Ambrogio, vv. 65-66)
PARALLELISMO = Figura sintattica che consiste nel disporre nello stesso ordine, gli elementi costitutivi di due sintagmi contigui.
Es.: occhi azzurri, capelli biondi.
Figura retorica in cui si accosta una proprietà o un'azione tipica di un oggetto ad un altro, per esprimere efficacemente la condizione o l'azione di quest'ultimo. A differenza della similitudine, il paragone fa uso di costrutti quali "come...così..." o "quali...cotali...".
Si ha quando i membri di una frase sono disposti nel medesimo ordine di quelli della frase precedente. Es.: “che troppo stanco sono / e troppo stanca sei”.
PARONOMASIA = figura retorica che consiste nell’accostare parole di suono uguale o molto simile, ma di significato differente.
Es.: il troppo stroppia; I’ fui per ritornar più volte volto (Dante, Inferno, Canto I, v 36); Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato tra le più dense frasche alla fresca ombra (L. Ariosto, Orlando furioso, VI, 201-202).
PERIFRASI = giro di parole che si usa per spiegare meglio un concetto o per evitare di esprimerlo chiaramente.
Es.: dire “operatore ecologico” invece che “netturbino”; e quella parte onde prima è preso nostro alimento (l’ombelico), all'un di lor trafisse (Dante, Inferno, XXV, vv 85-86).
POLISINDETO = tipo di coordinazione caratterizzato dalla ripetizione della medesima congiunzione.
Es.: e sempre corsi, e mai non giunsi il fine, e dimai cadrò (Carducci); Non altrimenti fan, di state, i cani or col petto, or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani (Dante, Inferno, XVII, 49-51).
RETICENZA = dal latino reticére, “tacere, sottacere”: consiste nell'interrompere e lasciare in sospeso per timore, per riguardo o anche per calcolo una frase o una sola parola facendone però intuire la conclusione. Frequente nel linguaggio comune: "Se non ubbidisci..."; "Smetti subito, se no...".
RIPETIZIONE = frase, parola o concetto, che si ripetono a breve distanza con noiosa insistenza. Viene spesso usata per dare maggiore evidenza o calore al discorso.
Es.: via, via di qui! (esclamazione).
S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo; s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mandereil en profondo...; (C. Angiolieri, S’i’ fosse foco).
SINEDDOCHE = Affine alla metonimia (per molti studiosi non esiste differenza tra le due figure retoriche), consiste nello spostare il significato di una parola ad un’altra che abbia con la prima un rapporto di quantità.
Es.: si ha quando si usa la parte per il tutto (“vela” invece di “barca”), il tutto per la parte (sotto l’ali dormono i “nidi” – da intendersi “gli uccellini”), il genere per la specie (la parola “mortale” per indicare l’”uomo”), la specie per il genere (e quando ti corteggian liete le nubi estive e i “zeffiri” sereni – da intendersi i “venti”), il singolare per il plurale e viceversa (nella poesia di Dante, Foscolo, si usano spesso termini come “freddi” invece che “freddo”, “fami” invece che “fame”, “verso” invece che “versi”).
TAUTOLOGIA = forma viziosa del discorso costituita da una frase in cui il predicato non aggiunge altro a quanto espresso già di per sé dal soggetto. Afferma cioè qualcosa che è ovvio.
Es.: quel poeta è autore di poesie.
Fonte: http://www.scicom.altervista.org/tecniche%20Espressive%20e%20Composizione%20di%20Testi%20in%20Italiano/Retorica%20e%20figure%20retoriche.doc
autore del testo non indicato nel documento di origine del testo
1. Cos'è la retorica. Cenni storici.
Il termine “retorica” deriva dal greco rhetoriké [téchne], che significa “arte del dire”. Quando si parla di retorica ci si riferisce allo stesso tempo
- alle pratiche discorsive, cioè i procedimenti organizzativi del discorso e le scelte espressive dei parlanti;
- alla disciplina che si occupa del discorso e delle norme che lo regolano.
Il termine ha però anche un'accezione negativa. Si legge infatti nel vocabolario Zingarelli (2001) che in senso spregiativo “retorica” significa “modo di scrivere o di parlare pieno di effetti esteriori o di ampollosità, ma privo di autentico impegno intellettuale e di contenuto affettivo” (sinonimi: gonfiezza, prolissità, ridondanza). Retorica, dunque, come vaniloquio, discorso pieno di artifici, di ornamenti, ma privo di sostanza, vuoto, se non addirittura ingannevole.
Nell'antichità, invece, la retorica ebbe un ruolo importantissimo e fu tenuta in alta considerazione. In particolare i Greci attribuirono una funzione fondamentale alla tecnica comunicativa: il termine greco lógos, infatti, significa al tempo stesso “ragione, pensiero” e “discorso”, a indicare la fiducia che la civiltà greca riponeva nella parola come manifestazione del pensiero razionale.
L'uomo greco era convinto del fatto che la padronanza del linguaggio fosse uno strumento molto potente che permetteva di conquistare la supremazia sugli altri; l'uomo capace di esprimersi in modo logico, coerente, persuasivo, poteva riuscire infatti ad ottenere il consenso altrui e quindi a indurre gli uomini ad assoggettarsi volontariamente alle sue decisioni.
D'altra parte l'organizzazione stessa delle città-stato greche, in particolare di Atene, dove esisteva una forma di democrazia diretta, richiedeva la capacità di parlare efficacemente se si voleva partecipare attivamente alla vita pubblica: nelle assemblee si svolgevano accesi dibattiti e nei tribunali le parti in causa dovevano pronunciare personalmente i discorsi di accusa o di difesa, senza l'ausilio di avvocati. Esistevano cittadini esperti di tecniche comunicative ai quali era possibile rivolgersi per ottenere consigli o addirittura per farsi scrivere l'orazione da pronunciare in tribunale: costoro si chiamavano logografi, ossia “scrittori di discorsi”.
Secondo Aristotele, fu proprio ad opera di professionisti di questo tipo che a metà del V secolo a.C. nacque il primo trattato di retorica, che descriveva e regolava il discorso giudiziario. Nel corso del V secolo si svilupparono, accanto all'oratoria giudiziaria, gli altri due generi oratori, quello politico o deliberativo (discorsi che devono convincere oppure dissuadere un'assemblea di tipo politico con poteri decisionali) e quello epidittico o dimostrativo (discorsi celebrativi, come l'elogio, l'orazione funebre, il discorso consolatorio).
Il discorso giudiziario era diviso in quattro parti:
- esordio, parte del discorso nella quale veniva definita la causa; aveva lo scopo di introdurre la questione e rendere il pubblico “benevolo e attento”;
- narrazione, in cui i fatti venivano esposti; questa parte del discorso doveva informare, ma, per essere efficace, doveva anche essere piacevole e interessante a udirsi. A questo scopo si consigliava che essa possedesse 3 qualità: essere breve, chiara, verosimile;
- argomentazione, cioè la presentazione delle prove addotte a sostegno di una tesi e a confutazione della tesi avversaria;
- epilogo, ossia la conclusione del discorso, che si divide in 2 parti: la ricapitolazione degli argomenti trattati e la mozione degli affetti o perorazione, cioè una chiusa che sia atta a suscitare compassione;
- digressione, parte facoltativa che poteva essere inserita in un punto qualunque del discorso e che consisteva in una temporanea deviazione dal tema principale del dibattimento per trattare argomenti aggiuntivi ma sempre correlati alla questione da esaminare.
Gli antichi manuali di retorica (Rhetorica ad Herennium) ripartivano l'arte del dire in cinque sezioni, corrispondenti ad altrettante abilità richieste all'oratore:
- L'inventio, la capacità di trovare argomenti veri o verosimili per rendere una tesi attendibile e convincere l'uditorio. Dal latino invenire, cioè “trovare”;
- La dispositio, la capacità di ordinare e distribuire correttamente ed efficacemente gli argomenti nel discorso;
- L'elocutio, cioè lo stile, la capacità di scegliere e usare le parole e le frasi opportune per esprimere nel modo migliore i contenuti dell'inventio: in questa parte rientra l'analisi delle figure retoriche;
- La memoria, la capacità di memorizzare gli argomenti e la loro disposizione;
- La pronuntiatio, la capacità di parlare modulando in modo gradevole il tono di voce; essa comprendeva non soltanto l'uso della voce ma anche la capacità di usare una gestualità efficace (queste ultime due sezioni riguardano l'esecuzione orale di discorsi scritti per essere recitati). L'oratore, insomma, doveva saper parlare e muoversi come un vero attore.
I pregi dello stile oratorio, le virtutes elocutionis, erano: correttezza linguistica; chiarezza; convenienza; ornamentazione per mezzo delle figure retoriche, che sono tutte quelle espressioni che si allontanano da un uso della lingua in cui le parole designano univocamente e direttamente le cose (Zingarelli 2001). Esse rendono il discorso più efficace o più elegante o entrambe le cose, oppure servono a perseguire effetti di attenuazione o enfatizzazione. Per esempio, se dico “Andrea non è brutto”, dico qualcosa di più e di diverso da “Andrea è bello”. Questa frase contiene una litote, cioè una figura che consiste nella negazione del contrario di ciò che si vuole affermare e che, in questo caso, ottiene un effetto di attenuazione, ma informa l'ascoltatore del fatto che Andrea probabilmente non è una gran bellezza, ma forse è “un tipo”, oppure possiede delle attrattive anche se non risponde a comuni canoni di bellezza...
2. Anafora, epifora, allitterazione
ANAFORA o ITERAZIONE: l'iterazione di parole e strutture è presente in varie forme nel linguaggio ed è oggetto di studio della linguistica come artificio retorico: la ripetizione, attuata in modo consapevole e con precise intenzioni, infatti, produce effetti nel gioco comunicativo. L’anafora consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di frasi o versi successivi. E' una figura dell'insistenza, tipica delle preghiere, delle invocazioni, degli scongiuri, delle filastrocche, molto usata anche nel linguaggio politico, per ribadire un pensiero e imprimerlo con più forza nella mente del ricevente.
“Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Vangelo secondo Matteo, 5,1 – Le Beatitudini
Per me si va nella città dolente
per me si va nell’etterno dolore
per me si va tra la perduta gente
Dante, Inf., III
E’ presente in queste pubblicità la figura retorica dell’ANAFORA o ITERAZIONE:
vero legno,
vero amore.
Quale effetto vuole ottenere? Quale discorso implicito cerca di suggerire?
Per dimostrare alla vostra casa che l’amate,
dedicatele una porta basculante…
Come già detto, la retorica persegue il fine di rendere il linguaggio più potente, efficace, di aumentarne l’impatto comunicativo, e anche di abbellirlo, renderlo più elegante. Essa è presente in vari ambiti, tra i quali quello pubblicitario, che può essere considerato un tipo particolare di comunicazione. In generale, infatti, la comunicazione si realizza in presenza dei seguenti fattori:
- messaggio
- emittente (chi produce il messaggio)
- destinatario o ricevente
- argomento (ciò di cui si parla)
- contesto (insieme di circostanze e situazioni ambientali nelle quali ha luogo l'atto comunicativo)
- codice (il sistema di comunicazione)
- canale (mezzo attraverso il quale si trasmette il messaggio: aria, carta, cavo telefonico, onde radio o elettromagnetiche...)
La comunicazione pubblicitaria, se si lascia da parte gli spot radiofonici, si avvale di due codici differenti, quello del linguaggio verbale e quello del linguaggio non verbale, figurativo: attua una costruzione retorica detta verbo-visiva.
Come ogni atto linguistico, la pubblicità è volta a raggiungere un fine, che è quello di illustrare le caratteristiche di un prodotto o di un servizio per indurre potenziali consumatori a sceglierlo. Essa dunque assolve principalmente due funzioni: quella informativa, poiché offre notizie relative ad una merce/servizio, e quella persuasiva, poiché intende convincere un consumatore ad acquistare.
Le sei funzioni della comunicazione individuate da Jacobson sono:
- funzione emotiva (espressione di sentimenti e giudizi)
- funzione informativa
- funzione conativa (far eseguire qualcosa a qualcuno)
- funzione fatica (attirare l'attenzione dell'interlocutore)
- funzione poetica (riguarda il modo in cui il messaggio è realizzato)
- funzione metalinguistica (definisce il codice, descrive le caratteristiche della lingua)
La funzione persuasiva naturalmente prevale su quella informativa ed agisce spesso senza la piena consapevolezza del ricevente, il quale percepisce il messaggio in modo non interamente cosciente: infatti, poiché riceviamo continuamente una gran mole di informazioni, difficilmente possiamo prestare attenzione ai dettagli di ogni stimolo comunicativo, che, quindi, può produrre effetti parzialmente inconsapevoli.
Un particolare tipo di pubblicità è quella sociale, che consiste nell’uso delle forme comunicative consolidate della pubblicità (spot, affissioni, annunci stampa ecc.) per veicolare contenuti diversi dalla valorizzazione del consumo, tema generale della pubblicità commerciale. Essa si propone di promuovere comportamenti giudicati socialmente utili e scoraggiarne altri ritenuti dannosi, oppure si prefigge di accrescere la sensibilità delle persone su questioni di interesse generale:
EPIFORA: consiste nella ripetizione di una o più parole alla fine di enunciati o versi successivi. Epifore sono anche le invocazioni (ora pro nobis) e le formule conclusive (amen). Un esempio è la ripetizione finale del verbo “odo”, ai versi 2 e 4 de La pioggia nel pineto.
ALLITTERAZIONE: è la ripetizione degli stessi fonemi in due o più parole vicine. Per esempio nella pubblicità: Brrr…Brancamenta!; mangia la mela melinda!
Osserva le immagini seguenti e leggi i testi. Prova a rintracciare le figure retoriche presenti e a spiegare che effetto producono nella comunicazione:
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
G. D'Annunzio, La pioggia nel pineto (Alcyone)
In questo ultimo manifesto è presente un particolare tipo di ripetizione che si chiama anadiplosi e consiste nel ripetere l'ultima parte di un segmento, sintattico o metrico, nella prima parte del segmento successivo.
La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono "Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera".
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.
Francesco De Gregori, La storia siamo noi
- Quale messaggio secondo te vuol trasmettere questa canzone? Prova a dare un'interpretazione del testo.
- Che funzione svolge nel testo la figura dell'anafora?
3. Similitudine, metafora, personificazione
La SIMILITUDINE consiste nel confrontare esseri animati e inanimati, atteggiamenti, azioni, avvenimenti ecc., evidenziando la presenza di caratteri comuni, di una somiglianza: in uno dei due termini del confronto si colgono aspetti somiglianti e paragonabili a quelli dell'altro; è una figura basata sul ragionamento analogico. Il confronto può avvenire all'interno di una certa classe (tra persone, tra oggetti, eventi e così via) oppure fra entità che appartengono a classi diverse (per esempio un uomo paragonato a una forza della natura o a un animale: “sei bella come il sole”). La similitudine può essere introdotta da un solo operatore di paragone:
“La nostra vita passa come l'ombra di una nube/e si dissolve come nebbia/inseguita dai raggi del sole” (Sapienza, 2, 4)
oppure da due operatori di paragone; sono celebri le similitudini dantesche:
“E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.” (Inferno, I, 22-27)
E gira gira il mondo e gira il mondo e giro te
mi guardi e non rispondo perché risposta non c'è
nelle parole
bella come una mattina
d'acqua cristallina
come una finestra che mi illumina il cuscino
calda come il pane ombra sotto un pino
mentre t'allontani stai con me forever
lavoro tutto il giorno e tutto il giorno penso a te
e quando il pane sforno lo tengo caldo per te ...
chiara come un ABC
come un lunedì
di vacanza dopo un anno di lavoro
bella forte come un fiore
dolce di dolore
bella come il vento che t'ha fatto bella amore
gioia primitiva di saperti viva vita piena giorni e ore batticuore
pura dolce ma riposa
nuda come sposa
mentre t'allontani stai con me forever
bella come una mattina
d'acqua cristallina
come una finestra che mi illumina il cuscino
calda come il pane ombra sotto un pino
come un passaporto con la foto di un bambino
bella come un tondo
grande come il mondo
calda di scirocco e fresca come tramontana
tu come la fortuna tu così opportuna
mentre t'allontani stai con me forever
bella come un'armonia
come l'allegria
come la mia nonna in una foto da ragazza
come una poesia
o madonna mia
come la realtà che incontra la mia fantasia.
Bella !
(Jovanotti, Bella)
- Di cosa parla il testo?
- A cosa viene paragonata la donna?
- Sottolinea tutte le similitudini e spiegane almeno due che ti sembrano significative.
- Hai trovato altre figure retoriche? Quali?
METAFORA: il termine deriva dal greco metaphérein, che significa “trasportare”, e consiste nella sostituzione di una parola propria con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col senso letterale della parola sostituita. Si procede attraverso la contrazione di un paragone, un'entità viene identificata con un'altra alla quale può essere paragonata. Per esempio possiamo dire “capelli d’oro” per dire “capelli biondi”, cioè “capelli biondi come l'oro”: in breve, è una similitudine senza il termine di paragone. L'uso di metafore nel nostro parlare quotidiano è assai più frequente di quanto ci sembri. Analizza il significato delle seguenti espressioni:
- La bomba scoppiando ha fatto una vera strage. (bomba è qui nel suo significato letterale di ordigno esplosivo).
- Quel cantante è una bomba (bomba in questo caso è usato in senso metaforico, ad indicare qualcosa di fortemente emozionante).
- Giulio, quando lo attaccano, è un leone (è aggressivo e feroce come un leone)
Non sempre però è possibile definire una metafora come un paragone abbreviato. In molte espressioni metaforiche è effettivamente implicito un paragone, tuttavia il procedimento che permette di arrivare alla metafora non è semplicemente la soppressione degli elementi che rendono esplicito il paragone:
“La vecchiaia è la sera della vita”
questo è un caso di metafora per analogia, basata sul rapporto fra quattro termini in relazione tra loro, espresso dalla formula B:A = D:C:
La vecchiaia (B) è in rapporto con la vita (A) nello stesso modo in cui la sera (D) è in rapporto con il giorno (C). Allora uno dei due termini B e D può essere soppresso e si può dire che “la sera è la vecchiaia del giorno”, oppure che “la vecchiaia è la sera della vita”
“L'Amazzonia è il polmone del mondo”
la regione dell'Amazzonia (B) è in rapporto con il mondo (A) nello stesso modo in cui il polmone (D) è in rapporto con l'organismo vivente (C). Il polmone nell'organismo è l'organo che permette un continuo ricambio dell'ossigeno, quindi l'Amazzonia, con le sue foreste, è per il mondo ciò che il polmone è per il corpo.
“Andrea è un pozzo di scienza”
Andrea (B) è in rapporto con la scienza (A) nello stesso modo in cui il pozzo (D) è in rapporto con la dimensione della grandezza: si potrebbe dire che Andrea è tanto sapiente quanto un pozzo è grande.
La pubblicità gioca sul significato letterale e metaforico del verbo “spremere”. Commenta e spiega il testo e l’effetto della metafora che esso contiene.
- Analizza le seguenti espressioni del linguaggio quotidiano e la pubblicità che segue:
Le bugie hanno le gambe corte; l'abisso dell'ignoranza; Con questa pagella a casa ci
sarà tempesta; Marco è un'aquila; il baratro della depressione
“Metti una tigre nel motore”
E FU LA NOTTE
E fu la notte la notte per noi
notte profonda sul nostro amore
e fu la fine di tutto per noi
resta il passato e niente di più
ma se ti dico "Non t'amo più"
sono sicuro di non dire il vero
e fu la notte la notte per noi
buio e silenzio son scesi su noi
e fu la notte la notte per noi
buio e silenzio son scesi su noi
Testo: Stanisci, De Andrè, Franchi
- Di cosa parla il testo?
- Quali figure retoriche sono presenti? Cosa esprimono?
PERSONIFICAZIONE: è una figura retorica che consiste nel raffigurare come persone degli animali, degli esseri inanimati o entità astratte, come la gloria, la fama, la povertà.
E’ giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace…
di nuovo
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
(A. Palazzeschi, La fontana malata, 6-25)
O, tinta d'un lieve rossore,
casina che sorridi al sole!
(G. Pascoli, In viaggio, 31 – 32)
I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e "Ben torni omai"
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino
"Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido così?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!"
(G. Carducci, Davanti a San Guido”, 1-16)
- Che tipo di pubblicità sono queste?
- Cosa suggerisce l'uso della personificazione?
http://www.istitutoaltierospinelli.eu/images/File/didattica%20iannino/lezioni%20TIC1.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Retorica definizione significato e esempi
Figure retoriche
Adynaton: avvalorare l'impossibilità che si realizzi un evento ipotizzando per assurdo la realizzazione di un altro fatto che non potrà mai verificarsi:
prima divelte, in mar precipitando spente nell'imo strideran le stelle, che la memoria e il vostro amor trascorra o scemi (G.Leopardi)
Allusione: figura retorica consistente nel dire una cosa per farne intendere un'altra. Un'allusione storica è la vittoria di Pirro per indicare una vittoria inutile e pagata a caro prezzo.
Allegoria: (dal greco allegorèin, "parlare diversamente") è una figura retorica consistente nella costruzione di un discorso che, oltre al significato letterale, presenta anche un significato più profondo, allusivo e nascosto. Un'allegoria tra le più note è quella del destino umano che viene paragonato ad una nave che attraversa il mare in tempesta:
passa la nave mia, sola, tra il pianto degli alcioni, per l'acqua procellosa (G. Carducci)
Allitterazione: consiste nella ripetizione delle stesse lettere e, quindi, dello stesso suono all'interno della stessa frase o della stessa strofa:
sentivo un fru fru tra le fratte (G. Pascoli)
Anacoluto: (dal greco anakòlothos, "che non segue") è un errore sintattico spesso provocato dal cambiamento di soggetto nel corpo dell'enunciato:
noi altre monache, ci piace sentir le storie per minuto (A. Manzoni)
Anadiplosi: (dal greco anadìplosis, "raddoppio") consiste nella ripresa enfatica, all'inizio di un verso, di una parola o di un gruppo di parole poste in conclusione del verso precedente:
Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria In una capra dal viso semita (U. Saba)
Anafora: (dal greco anaforà, "ripetizione") ripetizione delle stesse parole alla fine di più versi o frasi:
sei nella terra fredda sei nella terra negra (G. Carducci)
Anastrofe: (dal greco anastrophè, "inversione") figura che consiste nell'alterare l'ordine normale degli elementi di una frase, anteponendo, ad esempio, il complemento oggetto al predicato (le tue botte ad aspettar) o il complemento di specificazione al sostantivo (di me più degno).
Anfibologia: (dal greco amphibolìa, "ambiguità") consiste in un enunciato che può essere interpretato in due modi diversi, o per l'ambiguità di una parola, o per una particolare costruzione sintattica. Nell'esempio seguente non è immediato il riconoscimento de l'ira come soggetto:
Vincitore alexandro l'ira vinse (F. Petrarca)
Antifrasi: (dal greco antìphrasis, "espressione contraria") è una figura retorica che consiste nell'usare una parola o un'espressione in senso contrario al loro proprio per lo più con tono ironico od eufemistico: come sei gentile! (= come sei sgarbato!).
Antistrofe: ripetizione delle stesse parole alla fine di più versi o frasi (Ha fatto il danno lui, deve riparare lui).
Antitesi: (dal greco antìthesis, "contrapposizione") rafforzamento di un concetto ottenuto aggiungendo la negazione del suo contrario (Lavorava di notte, non di giorno) oppure accostando due parole o concetti opposti (temo e spero).
Apostrofe: ( dal greco apostrophèin,"volgere le spalle a") interruzione di una frase per rivolgere un'invocazione a persona o cosa che può essere anche assente:
...ahi Pisa, vituperio de le genti!... (Dante)
Anticlimax: (dal greco antì, "conro" e klimax, "scala") è una progressione che cala di intensità:
Così tra questa immensità s' annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare (G.Leopardi).
Asindeto: coordinazione tra vari elementi di una frase senza congiunzioni:
vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, si stupì, si infuriò, pensò, prese una soluzione. (A.Manzoni).
Assonanza: si ha quando determinate sillabe o determinati suoni fonetici sono ripetuti in successione. Ad esempio, nei primi due versi della Sera fiesolana di D'Annunzio:
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
troviamo una ripetizione del suono "F" che, oltre a conferire più musicalità ai versi, serve a rendere l'idea del fruscìo, appunto, delle foglie al passare del vento.
Chiasmo: figura retorica che consiste nella disposizione incrociata degli elementi costitutivi di una frase, in modo che l'ordine logico delle parole risulta invertito:
e per tutto entra l'acqua e il vento spira (L. Ariosto).
Circolo: figura consistente nel terminare il periodo con la stessa parola con cui è cominciato.
Climax: (dal greco climax, "scala") consiste in una progressione che sale di intensità (prendi, afferra, strappa).
Costruzione ad sensum: consiste nel concordare un verbo nella forma del plurale con un termine che, pur essendo di forma singolare esprime una valenza di pluralità. Costruzione contestata da alcuni puristi.
Deissi: (dal greco deiknumi, "mostro, indico") procedimento mediante il quale si richiama l'attenzione del lettore o dell' ascoltatore su un oggetto particolare, cui si fa riferimento mediante elementi linguistici, detti deittici, che concorrono a identificare in modo preciso l' oggetto in questione. Ad esempio nella frase "questo è un libro", il pronome questo è usato in senso deittico.
Diafora: (dal greco diaphoros "diverso") consiste nel ripetere una parola usata in precedenza con un nuovo significato o una sfumatura di significato diversa. Così, ad esempio, nella seguente frase la parola ragione è usata dapprima nel significato di "motivo" e successivamente in quello "di facoltà di pensare e giudicare":
il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (B. Pascal)
Dialisi: (dal greco dialyein, "separare") figura retorica consistente nell'interrompere la continuità del periodo con un inciso.
Diallage: (dal greco diallássein, "cambiare") nella retorica classica, figura per cui una serie di argomenti portano alla stessa conclusione.
Disfemismo: opposta all'eufemismo, per cui si sostituisce (come uso abituale o come coniazione scherzosa momentanea) una parola normale, spesso gradevole o addirittura affettuosa, con altra per se stessa sgradevole od offensiva, senza dare tuttavia all'espressione un tono ostile: birbante per vivace.
Dittologia: (dal greco dittologia, "ripetizione di parola") consiste nell' utilizzare una coppia di vocaboli dal significato affine o dalla forma morfologica equivalente, collegati tra loro dalla congiunzione e, per conseguire un particolare effetto ritmico oltre che semantico.
Ellissi: (dal greco elleipsis, "mancanza") consiste nell' eliminazione all' interno di un particolare enunciato, di alcuni elementi, per conseguire un particolare effetto di concisione e icasticità.
Enallage: (dal greco enallaghè,"scambio", "inversione") consiste nell'adoperare una parte del discorso al posto di un'altra per conferirle maggiore efficacia; si effettua lo scambio di tempi e modi de verbo, dell'aggettivo al posto dell'avverbio, del sostantivo al posto del verbo. Es. Corre veloce (dove "veloce" sta per "velocemente").
Endiadi: (dal greco hen dia dyoin, "una cosa per mezzo di due") consiste nell'adoperare, per esprimere un concetto, due termini complementari, coordinati fra loro (due sostantivi o due aggettivi),in sostituzione di un unico sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento. "Così vedo splendere la luce e il sole" sta per "vedo splendere la luce del sole".
Enfasi: (dal greco emphainein "dimostrare") consiste nel mettere in rilievo una parola o un'espressione,grazie ad una particolare sottolineatura, che può tradursi a livello fonologico in forma esclamativa, affettata o sentenziosa e a livello sintattico, invece, in una particolare costruzione , come ad esempio nella frase: "Lui, lui si è un amico !".
Epanadiplosi: (dal greco epanadiplosis, "raddoppiamento") figura retorica consistente nell'iniziare e terminare un verso o una frase con la stessa parola:
il poco è molto a chi non ha che poco (G. Pascoli)
Epanalessi: (dal greco epanalepsis, "riprendere") ripetizione dopo un certo intervallo, di una o più parole per sottolineare un particolare concetto, come nel verso dantesco:
Ma passavam la selva tuttavia, la selva dico di spiriti spessi.
Epanodo: (dal greco epánodos, "regressione") figura retorica consistente nel riprendere con aggiunta di particolari una o più parole enunciate precedentemente.
Epanortosi: (dal greco epanorthosis, "correzione") consiste sul ritornare su una determinata affermazione, vuoi per attenuarla, vuoi per correggerla, come ad esempio: è un brav'uomo. Che dico? Un santo!
Epifonema: (dal greco epiphonèma, "voce aggiunta") consiste nel concludere un discorso in modo enfatico: Ecco dove porta il vizio!
Epifora: figura retorica consistente nella ripetizione delle stesse parole alla fine di più frasi o versi.
Epistrofe: termine della retorica classica per indicare la ripetizione della medesima parola alla fine di più versi o di più membri di un periodo.
Eufemismo: (dal greco euphemismo, "parola di buon augurio") figura retorica adoperata per attenuare una espressione ritenuta troppo cruda, irriguardosa o volgare come ad esempio, convenzione di usare il verbo "andarsene" per per "morire".
Figura Etimologica: consiste nell'usare a scopi a espressivi, nell' ambito della stessa frase, due parole aventi in comune l'etimologia, come ad esempio nel dantesco selva selvaggia.
Hysteron Proteron: (dal greco hysteron proteron, "l'ultimo come primo") consiste nell'inversione dell'ordine temporale degli avvenimenti, per cui viene posto prima ciò che logicamente andrebbe posto dopo, per conseguire un particolare effetto espressivo.
Interrogazione Retorica: proposizione espressa in forma interrogativa, che non chiede però risposta in quanto la contiene già in sé, affermativa o negativa; serve ad aggiungere efficacia all'argomentazione e a indurre il lettore o l'interlocutore ad accogliere la nostra opinione.
Inversione: fenomeno linguistico consistente nello spostamento degli elementi costitutivi di una frase in una disposizione che capovolge la normale struttura sintattica, per conferire all'elemento anteposto un particolare risalto espressivo. Così ad esempio nel seguente celebre verso si ha una evidente inversione nell'ordine normale dei singoli termini della frase:
Dolce e chiara è la notte e senza vento (G. Leopardi)
Invettiva: consiste nel rivolgersi improvvisamente e vivacemente a persona o cosa presente o assente, con un tono di aspro rimprovero o di accusa, come nei versi danteschi:
Ahi Pisa, vituperio delle genti del bel paese là dove 'l si suona...
Ipallage: (dal greco hypallassein, "scambiare") (vedi anche Enallage, figura retorica con cui l'ipallage spesso coincide):figura retorica che consiste nell' attribuire a un termine di una frase qualcosa (qualificazione, determinazione o specificazione) che logicamente spetterebbe a un termine vicino. Così nei versi di G. Pascoli
un ribatte / le porche con la sua marra paziente,
l' aggettivo "paziente" è riferito all'arnese "marra" ma logicamente va riferito a essere umano, cioè al contadino che usa la marra e che è paziente.
Iperbato: rottura dell'ordine naturale della frase o del periodo per ottenere particolari effetti di espressività.
Iperbole: consiste nell'esprimere in termini esagerati un concetto per difetto o per eccesso.
Ipostasi: (dal greco hypostasys, "materia condensata") nell' ambito della linguistica indica il passaggio di una parola da una categoria grammaticale a un'altra. Come figura retorica indica la concretizzazione e personificazione di un concetto astratto.
Ipotiposi: (dal greco hypotyposis, "abbozzo") figura retorica che consiste nel descrivere qualcuno con particolare evidenza, vivacità e concretezza di particolari.
Ironia: consiste nell' affermare una cosa che è esattamente il contrario di ciò che si vuole intendere. Si tratta di un tipo di comunicazione che richiede nel lettore e nell'ascoltatore la capacità di cogliere l'ambiguità sostanziale dell'enunciato.
Isocolon: (dal greco isókôlon, "stesso membro") figura della retorica classica, che consiste nella perfetta corrispondenza fra due o più membri di un periodo, per numero e disposizione di parole.
Isterologia: (dal greco, hysteron "posteriore" e lógos "discorso") figura retorica che consiste nell'invertire l'ordine logico delle frasi, anticipando ciò che si dovrebbe dire dopo.
Iterazione: ripetizione di parole o di frasi, spesso con valore espressivo così da costituire una figura retorica.
Litote: attenuazione di un concetto mediante la negazione del contrario, come nella frase:
Don abbondio non era nato con un cuor di leone
dove s'intende che era poco coraggioso (Manzoni).
Metafora: (trasposizione) sostituzione di un termine con una frase figurata legata a quel termine da un rapporto di somiglianza, ad esempio: Stanno distruggendo i polmoni del mondo, in cui "i polmoni del mondo" sta per "boschi".
Metonimia o metonomia: consiste nell'usare il nome della causa per quello dell'effetto, per esempio: "vive del suo lavoro" significa che "vive del denaro guadagnato grazie al suo lavoro".
Omoteleuto: utilizzo di termini vicini o successivi che terminano con lo stesso fonema finale.
Onomatopea: (dal greco onoma, "nome" e poièo, "faccio") è un vocabolo o un'espressione che tenta di riprodurre per mezzo del suono una determinata imitazione. Ad esempio din-don riproduce il suono di una campana.
Ossimoro: (dal greco oksymoron, composto di oksys, "acuto" e morós, "sciocco" come modello di unione di concetti discordanti) forma di antitesi di singole parole che vengono accostate con effetti paradossali (es. paradiso infernale, ghiaccio bollente).
Paradosso: (dal greco para "contro" e doxa "opionione") figura retorica consistente in un'affermazione che appare contraria al buon senso, ma che in realtà si dimostra valida a un'attenta analisi. Nell'ambito della letteratura, si chiama in questo modo un'opera che presenti situazioni assurde e incredibili, in contrasto con il buon senso e con le convenzioni culturali di una determinata epoca.
Paragoge: (dal greco paragogè, "aggiunta") consiste nell'aggiungere un fonema alla fine di una parola. È presente soprattutto nella lingua arcaica e poetica (virtude per virtù).
Paronimia: (dal greco para "vicino" e onoma "nome") accostamento di due o più parole di suono simile, ma di diverso significato. Es. Traduttore traditore.
Paronomasia: accostamento di parole che hanno suono simile ma significato diverso usate con l'intento di ottenere particolari effetti fonici. Es. Amore amaro.
Perifrasi: (dal greco periphrasis, "locuzione intorno") detta anche comunemente "giro di parole",consiste nell' usare, invece del termine proprio, una sequenza di parole per indicare una persona o una cosa (il ghibellin fuggiasco per Dante).
Personificazione o Prosopopea: (dal greco prósopon, "volto" e poiéin, "fare") figura retorica, di gusto classico, consistente nell'introdurre a parlare un personaggio assente o defunto, o anche cose astratte e inanimate, come se fossero persone reali.
Molti e celebri sono gli esempi, che evidenziano come la poesia abbia sempre fatto un largo uso di una simile tecnica espressiva, dalla personificazione della Fama nell'Eneide virgiliana, a quella della Frode nell'Orlando Furioso di L. Ariosto, fino ai cipressi introdotti a parlare in una celebre lirica (Davanti San Guido) di Carducci.
Pleonasmo: ridondanza che consiste nell'utilizzo di un termine superfluo. Es. A me mi piace.
Polisindeto: contrario dell'asindeto e consiste in una sequenza molto marcata di congiunzioni fra due o più parole o enunciati.
Poliptoto: figura retorica che consiste nel ripetere, in un giro di frasi relativamente breve, una parola, cambiandone le funzioni morfo-sintattiche:
e li 'nfiammati infiammar sì Augusto (Dante)
Premunizione: figura retorica consistente nel controbattere preventivamente alle possibili obiezioni dell'interlocutore.
Preterizione: (dal latino praeterire, "passare oltre") figura retorica che consiste nel fingere di voler tacere ciò che in realtà si dice. Ad esempio: Non ti dico il calore, l'affetto, la cordialità con cui siamo stati accolti.
Prolessi: (dal greco prolambanein, "prendere prima") anticipazione di un termine che sintatticamente andrebbe posto dopo, per sottolineare.
Reiterazione: figura retorica consistente nel ripetere uno stesso concetto con altre parole.
Reticenza: (dal latino reticere, 'tacere') consiste nell'interrompere e lasciare in sospeso una frase facendone intuire al lettore o all'ascoltatore la conclusione, conclusione che comunque viene taciuta deliberatamente per creare nell'ascoltatore o nel lettore una particolare e viva impressione. Un esempio sono frasi in cui sono presenti puntini di sospensione:
E questo padre cristoforo, so da certi ragguagli che è un uomo che non ha tutta quella prudenza, tutti quei riguardi... (A. Manzoni)
Ripetizione: figura retorica che consiste nel ripetere una o più parole a breve distanza per dare maggiore evidenza o calore al discorso. Es. Via, via di qui!
Sillessi: (dal greco syllepsis, "raccolta insieme") figura retorica della grammatica classica, secondo la quale ciò che si riferisce soltanto a una cosa o persona viene arbitrariamente esteso ad altra cosa o persona che, nell'enunciato, segue alla prima: ad esempio: "Borea e Zefiro che soffiano nella Tracia" (ma soltanto Borea soffia nella Tracia).
Similitudine: (dal latino similitudo, "somiglianza") figura retorica consistente in un paragone istituito tra immagini, cose, persone e situazioni, attraverso la mediazione di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, simile a, a somiglianza di). Es. È furbo come una volpe.
Sinalefe: (dal greco synaloiphè, "il confondere insieme") è il fenomeno per cui due vocali si fondono in una sola sillaba e si pronunciano come se le due vocali appartenessero ad una sola sillaba. Es. "vado a casa" si pronuncia come "va-da-ca-sa".
Sinchisi: (dal greco synkhêin "mescolare") figura retorica consistente in una modificazione dell'ordine sintattico normale di una frase e del sovvertimento dell'ordine consueto del discorso che può produrre oscurità.
Sincope: (dal greco syncopè, "taglio") consiste nell'eliminare una sillaba all'interno di una parola. Es. opra per opera.
Sineddoche: (dal greco synekdékhomai, "prendo insieme") figura semantica consistente nell'utilizzazione in senso figurato di una parola di significato più o meno ampio della parola propria. Fondata essenzialmente su un rapporto di estensione del significato della parola, questa figura esprime: la parte per il tutto (vela invece di nave); il tutto per la parte (una borsa di foca, per indicare una borsa fatta di pelle di foca); il singolare per il plurale e viceversa (l'italiano è molto sportivo); il genere per la specie (mortale per l'uomo).
Sineresi: (dal greco synairesis, "il prendere insieme") consiste nella contrazione di due vocali in una sola all'interno di una parola in modo da formare una sola sillaba.
Sinestesia: (dal greco syn, "insieme" e aisthánestai, "percepire") procedimento retorico che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un'immagine vividamente inedita. Un simile procedimento, non estraneo alla poesia antica, diviene particolarmente frequente a partire dai poeti simbolisti e costituisce poi uno stilema tipico dell'area ermetica della poesia italiana del Novecento, ad esempio:
urlo nero della madre (S. Quasimodo)
Sospensione: figura retorica consistente nel lasciare volutamente interrotto un discorso.
Zeugma: (dal greco zèugma, "aggiogamento") collegamento di un verbo a due o più termini della frase che invece richiederebbero ognuno singolarmente un verbo specifico. Nella frase seguente "vedrai" regge anche "parlare" che dovrebbe, invece, essere retto da un verbo come "udire" o "sentire":
parlare e lagrimar vedraimi insieme (Dante).
Fonte:http://www.scicom.altervista.org/tecniche%20Espressive%20e%20Composizione%20di%20Testi%20in%20Italiano/Dizionario%20Figure%20Retoriche.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
GLOSSARIETTO DI RETORICA |
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Fonte: http://amata.unisal.it/rhetor/fig_diz.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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