Diritto commerciale appunti

 

 

 

Diritto commerciale appunti

 

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Diritto commerciale appunti

Diritto Commerciale I
CC 1942 (Mussolini) Lezione I
1962: comincia la nazionalizzazione delle imprese (es: società elettriche→ENEL). Oggi c’è un’inversione di tendenza: si va verso la privatizzazione selvaggia. Il diritto commerciale segue tali mutamenti storici. (Stato→SPA: es. Trenitalia).
Art. 2247 Contratto di società
Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Alcune società non distribuiscono gli utili (es.: Polo Universitario). Manca in Italia la società non-profit pubblica. Dal 1° Gennaio 2004 vi è stata la riforma delle società di capitali; di conseguenza l’assemblea dei soci non è più l’organo sovrano.
Evoluzione del diritto commerciale
Nel diritto romano non vi erano specifici riferimenti (institutiones raccoltae commerciali romani). Il diritto di Giustiniano è alla base di molte raccolte giuridiche. Il diritto commerciale moderno sorge nel medioevo, in un periodo di debolezza dello Stato Centrale. Il Diritto commerciale nasce con le corporazioni. Sono unioni spontanee di soggetti.
I consoli giudicavano le controversie seguendo leggi non scritte (diritto consuetudinario). Successivamente le controversie si espansero, andandosi ad applicare anche a coloro i quali, anche non commercianti, avessero tuttavia rapporti commerciali. Con il rafforzamento dello Stato si passa ad un sistema oggettivo, con riferimento all’atto di commercio, indipendentemente dai contraenti. Nel 1673 il Re Sole Luigi XIV affermò che è commerciante anche colui che mercanteggia al di fuori di una bottega. Nel 1807 nasce il Codice di commercio francese, basato sull’atto di commercio. Nel 1882 nasce il Codice Italiano basato sull’atto. Dal fascismo si ha un mutamento sociale e politico, con frequenti crisi bancarie (crack delle banche che finanziavano le imprese, ma poi vi dipendevano). Due sono gli interventi sostanziali: la creazione dell’

  • IMI: intervento statale nel credito mobiliare
  • IRI: partecipazioni dello Stato nelle banche private

Nel 1942 si cercò di mantenere il Codice Civile differente dal Codice di Commercio.
L’imprenditore
Il diritto commerciale fa perno su 3 concetti:

  1. Imprenditore: Art. 2082 Imprenditore E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata (2555, 2565) al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (2135, 2195).
  2. Impresa: Art. 2086 Direzione e gerarchia nell'impresa L'imprenditore è il capo dell'impresa (Cost. 41) e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
  3. Azienda: Art. 2555 Nozione (di azienda) L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore (2082) per l'esercizio dell'impresa. (L’azienda è un oggetto ma può anche essere un’organizzazione).

Prima del Codice Civile del ’42 vi era confusione tra impresa e azienda. Il Codice ci dà una definizione di azienda e di imprenditore, ma non di impresa.
L’imprenditore è al centro del diritto commerciale, si ha un ritorno al sistema soggettivistico.

  • L’imprenditore può essere persona fisica o giuridica (società).
  • Attività economica organizzata: l’organizzazione distingue l’imprenditore, che non organizza solo se stesso ma anche altre persone.
  • Professionalità: continuità, abitualità dell’impresa, non occasionale (non implica che non si possa interrompere).
  • Produzione e scambi di beni e servizi: essi sono destinati al mercato (non è imprenditore chi produce per sé).
  • Lo scopo di lucro, sebbene non citato dall’art. è rilevante, infatti nelle ONLUS non vi è distribuzione di utili (sebbene nella prassi si distribuiscano sotto altre forme).
  • Spendita del nome: l’imprenditore deve esternarsi ai terzi sotto il proprio nome; tuttavia esiste anche l’imprenditore occulto, cioè colui che sta dietro ad un prestanome.
  • L’attività deve essere lecita? Le opinioni divergono. Orientativamente si può affermare che l’attività di impresa debba essere riconosciuta anche qualora sia illecita.

Imprenditore    - Civile (agricolo) art. 2135 – Commerciale (2195)
                           - Ordinario – Piccolo (artigiano) art. 2083
- Privato – Pubblico
- Individuale (persona fisica) – Collettivo (società) art. 2249 Tipi di società
                           - Soggetto/non a registrazione art. 2195
Art. 2195 Imprenditori soggetti a registrazione(per le imprese commerciali)
Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un'attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria;
4) un'attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti (1754).
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano.
Tutte queste tipologie non si escludono a vicenda.
L’imprenditore commerciale ha uno statuto più complesso di quello civile ed è soggetto:

  • alla tenuta delle scritture contabili,
  • all’assunzione del rischio di fallimento (infatti l’imprenditore civile non fallisce),
  • all’iscrizione nel registro delle imprese
  • ed alla pubblicità.

Esistono opinioni divergenti sul fatto che l’imprenditore civile possa essere riconducibile o meno soltanto all’imprenditore agricolo.
Art. 2135 Imprenditore agricolo
E imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse.
Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura (nel 2001 questo articolo è cambiato).
Art. 2083 Piccoli imprenditori
Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo (1647, 2139), gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia (2202, 2214, 2221).
La distinzione tra “ordinario o piccolo” è irrilevante per quanto riguarda l’imprenditore agricolo, perché non è sottoposto allo statuto speciale dei commercianti.
Art. 2249 Tipi di società
Le società che hanno per oggetto l'esercizio di un'attività commerciale (2195) devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei Capi III e seguenti di questo Titolo.
Le società che hanno per oggetto l'esercizio di un'attività diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice, a meno che i soci abbiano voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei Capi III e seguenti di questo Titolo.
Sono salve le disposizioni riguardanti le società cooperative (2511 e seguenti) e quelle delle leggi speciali che per l'esercizio di particolari categorie d'imprese prescrivono la costituzione della società secondo un determinato tipo.
Qualora si costituisse una SPA agricola resterebbe pur sempre un’impresa agricola e non commerciale.
Esistono imprese commerciali non soggette a registrazione? Sì: il piccolo imprenditore commerciale.

Seconda Lezione
In questi anni i principi generali del codice civile stanno vedendo delle modifiche orientate verso l’Europa e la common law, per questo possiamo affermare di essere in un periodo di decodificazione.
1° principio in crisi: in passato la società derivava sempre da un contratto, mentre con la riforma, ad oggi, essa può essere unipersonale/unilaterale (nasce dalla legge).
Anche la distinzione tra impresa collettiva ed individuale oggi è in crisi, col sorgere di attività d’impresa svolte da associazioni (es.: le Onlus non sono né persone fisiche né persone giuridiche, ma sono imprese).
Allora dobbiamo analizzare la differenza tra società ed associazioni: essa sta nel fine perseguito: economico per le prime e morale per le seconde (si veda il Libro I).


Le onlus, infatti:

  • devono reinvestire gli utili negli scopi associativi (imprenditorialità parziale);
  • non sono soggette ad iscrizione nel registro delle imprese;
  • sono, invece, soggette al fallimento.

(Le associazioni e fondazioni sono regolate al libro I artt. 11 e 13.)
2° principio in crisi: l’art. 2247 (sul contratto di società, già citato a pag. 1) non ha più valore come in passato, in quanto non tutte le società nascono da contratto: le fonti sono oggi sia contrattuali sia legislative sia unilaterali.
Le società di persone NON hanno personalità giuridica (infatti i soci rispondono personalmente).
Dalla personalità giuridica discende sempre l’autonomia patrimoniale perfetta, ma non si può dire il contrario!
Art. 2740 Responsabilità patrimoniale
Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.
Un’eccezione, sono, ad esempio, la fideiussione ed il caso dei “padroni e committenti” (le garanzie in generale. Talora l’orientamento giuridico ha considerato la mancanza di personalità giuridica anche nei casi di fondo consortile e patrimonio di famiglia).
3° principio oggi in crisi: in passato le società dovevano svolgere attività d’impresa.
Autonomia patrimoniale e personalità giuridica nelle società
Mentre prima si diceva all’art. 2247 che “due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio…”, oggi non è più sempre così, poiché esiste la possibilità del contratto unipersonale.
I contratti bilaterali sono contratti a prestazioni corrispettive (cfr. diritto privato; es.: compravendita).
I contratti consensuali si perfezionano con il consenso, e diventano reali quando trattano beni determinabili (infungibili).
Elementi essenziali del contratto (cfr. diritto privato): accordo, oggetto, causa, forma.
Una differenza tra contratti bilaterali e plurilaterali è che il vizio di una sola parte non comporta (nei secondi) né annullabilità né nullità né risoluzione a meno che tale partecipante non sia essenziale per il contratto, e quindi venga a mancare la causa.
Nell’art. 2247 l’oggetto del contratto non è l’attività sociale, bensì il conferimento di beni e servizi.
4° principio in crisi: nel passato non era ammesso il conferimento di servizi (lavoro) per tutte le società (si potevano apportare solo beni). Con la riforma questo può avvenire nelle SRL e da ciò è facile intendere quanto possa essere difficile la valutazione di tale apporto. Nelle SPA, comunque, tutt’oggi non è possibile.
Le società acquistano personalità giuridica con l’iscrizione nel registro delle imprese.


Società di persone

Società di capitali

SS, SNC, SAS

SPA, SAPA, SRL (quest’ultima subisce maggiormente la riforma)

  • Non hanno personalità giuridica
  • Hanno autonomia patrimoniale più o meno imperfetta (“l’imprenditore” è costituito dai soci, non solo di maggioranza)
  • L’art. 147 della legge fallimentare prevede che il fallimento della società comporta il fallimento dei soci
  • Trasferimento delle quote solo con il consenso degli altri soci
  • Amministrazione diretta
  • Voto per teste
  • Hanno personalità giuridica
  • Hanno autonomia patrimoniale perfetta
  • Il fallimento della società porta alla perdita del solo capitale
  • Partecipazione sociale liberamente trasferibile
  • Potere indiretto del socio sull’amministrazione (mediante il diritto di voto)
  • Voto per azione

Secondo un certo orientamento giurisprudenziale, non avrebbe senso che un socio di società di persone sottoscrivesse una fideiussione per la società, essendo già illimitatamente e solidalmente responsabile per la società (quindi la fideiussione sarebbe nulla per mancanza di causa). Al contrario la Cassazione ha affermato la validità di tale garanzia, perché ha lo scopo di agevolare l’escussione, rivolgendosi ad un solo socio.
Tipi di società di persone

  • Artt. dal 2251 al 2290: Società Semplice
  • Artt. dal 2291 al 2312: Società in nome collettivo
  • Artt. dal 2313 al 2324: Società in accomandita semplice

La società semplice
Gran parte delle norme delle società semplici si applicano per le SNC irregolari e sono paradigmatiche per tutte le società di persone. Una precisazione/eccezione: nella ss la responsabilità illimitata può essere nei confronti dei terzi limitata, infatti l’art. 2267 aggiunge la frase “salvo patto contrario”, ma solo per coloro che non hanno agito per la società.
Art. 2267 Responsabilità per le obbligazioni sociali
I creditori della società possono far valere i loro diritti sul patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente (2740) e solidalmente (1292 e seguenti) i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci.
Il patto deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, la limitazione della responsabilità o l'esclusione della solidarietà non è opponibile a coloro che non ne hanno avuto conoscenza.
Questa norma vale anche per le SNC? No, infatti l’art. 2291 precisa che il patto contrario nelle SNC non ha effetti verso terzi, semmai solo nei rapporti interni alla società stessa.
Perché c’è questa differenza? Perché altrimenti equivarrebbe ad una SAS, infatti, la SAS non è altro che una SNC con soci limitatamente responsabili (che non compiono atti di amministrazione).
In mancanza di patto contrario nelle società semplici l’amministrazione è disgiunta, ovvero ogni socio, sia nelle SS sia nelle SNC, può amministrare da sé. Tuttavia gli altri soci hanno diritto ad opporsi. In tal caso la decisione è presa a maggioranza pro-quota e non pro-capite. (Ricordiamo che non esiste, infatti, l’assemblea come nelle società di capitali). È, comunque, sempre possibile pattuire il contrario.
Le società semplici possono sussistere anche senza conferimenti specifici:
Art. 2253 Conferimenti
Il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale.
Se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti eguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale.
I conferimenti delle SNC, invece, devono essere indicati dallo Statuto.
L’autonomia patrimoniale è il rapporto tra il capitale della società ed il capitale dei soci. La perfezione dell’autonomia patrimoniale è molto ridotta nelle SS, superiore nelle SNC ed ancora maggiore nelle SAS.
Nelle società di persone i soci sono solidalmente (tra loro) e illimitatamente (con tutto il capitale proprio) responsabili per le obbligazioni sociali. Risponde anche chi ha agito in nome e per conto della società.
È possibile rivolgersi ai singoli soci, solo dopo aver escusso azioni legali contro la società (es.: pignoramento). Per escussione si intende “agire esecutivamente e forzatamente contro la società, senza ottenere soddisfazione”. Non è sufficiente la richiesta di pagamento per dire che c’è stata escussione.
Per fallire, come già accennato, occorre essere imprenditori commerciali ed insolventi.
Art. 2272 Cause di scioglimento
La società si scioglie:
1) per il decorso del termine;
2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;
3) per la volontà di tutti i soci;
4) quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita;
5) per le altre cause previste dal contratto sociale.
Analizziamo, dopo aver citato quest’articolo, un caso: qualora venissero a mancare tutti i soci tranne 1 e non ne subentrassero altri entro 6 mesi, vi sarebbe trasformazione automatica in società unipersonale? NO.
Resta, infatti, l’autonomia tra socio e società, quindi anche in questo caso il creditore dovrà escutere prima dalla società.
È, tuttavia, necessario che i soci restanti liquidino la quota agli eredi o, in alternativa, continuino l’attività con questi, oppure ancora avverrà lo scioglimento (come da art. sopra citato). La ragione di quest’ultima ipotesi è meramente economica, in quanto, con lo scioglimento, il rimborso per gli eredi avverrà non entro 6 mesi ma alla fine della liquidazione.
Introducendo le SAS, anticipiamo già che esistono due tipi di soci:

  • Accomandatari: con compiti di amministrazione e responsabilità illimitata;
  • Accomandanti: senza compiti e con responsabilità limitata al capitale conferito.

La società in accomandita semplice
Art. 2313 Nozione
Nella società in accomandita semplice i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente (2740) per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita.
Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni.
Art. 2320
I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata (2740) e solidale (1292) verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali.
In una società di persone può essere socio un’altra società (come persona giuridica)? Sembrerebbe prevalente la tesi del “no”, infatti, ad esempio, la morte è collegata alle persone fisiche e non giuridiche, quindi sussiste un palese collegamento con le persone fisiche in generale nel codice.
Allora chi può essere socio di una società di persone, ammesso che sia persona fisica?
Ricordiamo dal diritto privato che:

  • la capacità giuridica si acquisisce con la nascita
  • mentre la capacità di agire con la maggiore età.

Ricordiamo ancora che la responsabilità in tali società è illimitata e si è soggetti al fallimento.
Il problema è comprendere se un incapace possa, mediante rappresentanti o tutori, iniziare una SS o una SNC, ovvero: può un minore essere imprenditore commerciale e assumersi tali responsabilità?
La risposta è all’art. 320 comma 5 c.c.:
L'esercizio di una impresa commerciale (2195) non può essere continuato se non con l'autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Questi può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sulla istanza (2198).
Questo implica che il minore non possa iniziare, ma possa continuare l’attività (es.: eredita l’azienda dello zio d’America), mediante l’autorizzazione del tribunale.
Questo vale anche per le SNC, visto che l’art. 2294 rimanda esplicitamente all’art. 320 sopra citato.
Per quanto riguarda le SS, invece, non si hanno riferimenti normativi. Questo implica che il minore possa iniziare attività commerciale sotto forma di società semplice? No, infatti, si applica l’analogia, che si basa sull’esercizio dell’attività commerciale vietata ai minori (e non sulla responsabilità illimitata).
Ultimo quesito: un socio non amministratore può fare concorrenza? No: il patto di non concorrenza (previsto dall’art. 2301) è valido per 5 anni con riferimento alla dimensione ed al luogo della sede dell’impresa.
Il 2° comma dell’art. 2312 prevede che “Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento e dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi.”; quindi i soci sono responsabili per le obbligazioni sociali anche dopo l’estinzione della società. Le società di persone terminano soltanto quando si estingue fino all’ultimo debito, mentre per quanto riguarda il patrimonio attivo della società, esso passa in comunione di beni ai soci.
Confronto con le società di capitali
Vediamo una prima differenza tra società di capitali e società di persone.
Nelle società di capitali, vige la fungibilità dei soci (salvo alcuni casi che analizzeremo in seguito), al contrario delle società di persone dove i soci sono infungibili: l’unico fattore rilevante è l’apporto del capitale (infatti nelle società di persone la quota non può essere trasferita senza la modifica del patto sociale e il consenso di tutti i soci). In ogni caso nemmeno i soci accomandanti sono infungibili, sebbene apportino anch’essi, come nelle società di capitali, esclusivamente beni materiali o liquidi; questo è dovuto al rapporto strettamente individuale delle società di persone. Tuttavia…
Art. 2322 Trasferimento della quota
La quota di partecipazione del socio accomandante è trasmissibile per causa di morte.
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, la quota può essere ceduta, con effetto verso la società, con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale.
Altra regola per le società di persone riguarda l’amministrazione, modificata con la recente riforma.
Nelle società di persone non è possibile nominare un amministratore esterno (altrimenti i terzi potrebbero confonderlo con un socio; altro orientamento, invece, sostiene che tale confusione non sia possibile, considerato l’obbligo di pubblicità).


Terza lezione: Le società di capitali
Esiste il principio della tipicità delle società, espresso dall’art. 1322: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge (e dalle norme corporative).
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.”.
Il fenomeno societario ha margini ridotti: non è possibile costituire una società atipica.
È però possibile introdurre clausole atipiche, anche se la maggior parte delle norme hanno carattere imperativo, quindi non possono essere derogate.
Cenni storici
Le società di capitali nascono con il periodo delle grandi scoperte (1492), quando vi fu per la prima volta l’esigenza di reperire capitali ingenti per le avventure nei mari, limitando la responsabilità. Il sovrano disponeva agevolazioni, inizialmente, caso per caso e poi si sono standardizzate in un insieme di regole ben precise: di qui deriva il divieto di atipicità. Queste regole riguardano prevalentemente la disciplina del capitale sociale, delle partecipazioni sociali e l’autonomia patrimoniale.
Le SPA
Art. 2325 Nozione (art. aggiornato con la nuova riforma)
Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.
Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall’articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’articolo 2362.
Si possono enucleare 3 aspetti:

  1. autonomia patrimoniale perfetta: insensibilità delle obbligazioni della società rispetto al patrimonio del socio e viceversa. Costituendo SPA si crea un soggetto di diritto autonomo dal socio, il cui patrimonio sarà insensibile, in linea di principio, alle vicende della società. L’imprenditore è senza dubbio la società: i soci non assumono mai tale qualifica.
  2. standardizzazione della partecipazione sociale: tutte le azioni sono uguali
  3. organizzazione di tipo corporativo. Nella SPA necessariamente devono esserci diversi organi ed a ciascuno sono attribuite specifiche competenze. Distinguiamo 3 Organi:
    • L’assemblea dei soci: è formata dagli azionisti; ha competenze organizzative. Decide le regole del contratto sociale e nomina gli amministratori, cioè coloro che materialmente gestiranno la società (per questo si dice che l’amministrazione del socio è mediata). L’assemblea è regolata dal principio maggioritario: le decisioni vengono prese a maggioranza del capitale (a differenza delle società di persone dove vige il principio dell’unanimità).
    • Il consiglio di amministrazione: è eletto dall’assemblea. È l’organo a cui è affidato in via esclusiva l’amministrazione della società. Non c’è nessuna commistione di ruoli: dopo che i soci hanno eletto gli amministratori, essi sono gli unici ad avere potere ed a rispondere dei danni arrecati. Se la società è in crisi e gli amministratori non hanno seguito il principio della “diligenza dell’amministrazione” i creditori potranno rivalersi sia sul patrimonio sociale sia su quello degli amministratori.
    • Il collegio sindacale: è un organo di controllo che vigila sul rispetto delle regole di cui sopra.

Questo è il sistema tradizionale, l’unico possibile fino al 1° Gennaio 2004. La recente riforma prevede anche altri due sistemi (quello dualistico, tipicamente tedesco e quello monistico, importato dai paesi anglosassoni), di cui parleremo nelle prossime lezioni.
Come funziona una SPA?
La forma delle SPA ha avuto successo per 2 motivi:

  1. limitazione di responsabilità
  2. facile vendibilità delle azioni

Questo coniuga le esigenze di due soggetti molto diversi:

  1. gli azionisti imprenditori
  2. gli azionisti risparmiatori.

È uno strumento che può essere utilizzato anche per imprese medie e familiari.
Berl e Nixel studiavano questo problema già negli anni ’30 in America. In Italia esso è stato affrontato solo dal 1974 e nel 1998. Il suddetto problema è quello che riguarda le Public Company: esse sono società caratterizzate dall’azionariato polverizzato (l’azionista più grande ha di solito al massimo il 3%).
Non essendovi nessun socio di controllo, la società è in mano al livello D e non P (ricorda Economia e gestione delle imprese): si ha dissociazione tra proprietà e controllo.
Trasliamo questo discorso in Italia dove non esistono public company. Esiste, però, il fenomeno delle scatole cinesi (ricorda macroeconomia) che porta di fatto alla stessa dissociazione. A mano a mano che si scende nella catena della holding, il patrimonio investito è sempre minore. Questo apre nuovi scenari, ai cui problemi il codice del ’42 non dava risposta.
La prima modifica italiana si ha nel ’74 con:

  • l’istituzione della CONSOB: è un organismo che tutela i soci di minoranza (che in realtà possono addirittura essere di maggioranza per il principio sopra citato) nelle (e solo nelle) società quotate.
  • l’introduzione delle azioni di risparmio: esse non danno diritto di voto ma garantiscono un reddito minimo (a differenza della CONSOB, questo meccanismo non ha funzionato molto bene).

La seconda modifica si ha nel ’98 e riguarda solo le società quotate: si è constatato che il risparmiatore non investe quasi mai direttamente in borsa, ma spessissimo lo fa tramite fondi d’investimento. Essi hanno 2 caratteristiche che il piccolo risparmiatore non possiede (e che rivitalizza i diritti delle minoranze):

  • sono gestiti da soggetti preparati
  • la loro partecipazione è di minoranza, ma non è insignificante.

Ulteriore passo si ha con la riforma del 2003 entrata in vigore il 1° Gennaio 2004. Essa ha riguardato tutte le società e particolarmente le c.d. società diffuse (n° di soci > 200, ma non quotate) e le c.d. società chiuse (non quotate e non diffuse). Esistono, quindi, ad oggi, 3 tipi di società: diffuse (aperte), chiuse, quotate.
La riforma del 2003: linee di fondo
La linea di fondo della riforma è quello di aumentare il grado di imperatività delle norme a mano a mano che si va verso le società quotate.
Nelle società chiuse, infatti, i soci possono molto derogare le regole legali, a differenza delle quotate.
La società unipersonale e le riforme
Essa è stata introdotta con la riforma del 2003 entrata in vigore nel 1° Gennaio 2004.
Iniziamo con un breve cenno storico. Nel 1942, riprendendo il codice del commercio del 1882, l’unica via per costituire società era quella di essere almeno in due soci, perché l’imprenditore individuale non poteva limitare la responsabilità. Esisteva la possibilità che la società rimanesse con un socio solo durante la propria esistenza (se al momento genetico la società era nulla). Citiamo l’ Art. 2362 Unico azionista (vecchio cod.):
In caso d'insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente.
Tale articolo era facilmente aggirabile mediante società a partecipazioni incrociate (A controlla B che controlla C che controlla A): per questo erano vietate dall’art. 2360 c.c.
Tuttavia tale articolo non stimolava l’imprenditoria giovanile, per cui il legislatore comunitario nel 1993 aveva emanato una direttiva sulla SRL unipersonale: la società a responsabilità limitata oggi può essere creata da un unico socio.
Nella rubrica (che ricordiamo non ha mai valenza di legge) dell’art. 2247, infatti, dopo il 1993, è stata sostituita la parola “nozione” con la parola “contratto”, per ben far intendere che esistono ormai 2 tipi di società:

  1. quelle che nascono per contratto (quindi tra 2 o più soci);
  2. quelle che nascono con un socio unico.

N.B.: tuttavia non si era ancora arrivati al punto di poter far esistere la SPA unipersonale. Non può nemmeno esistere una SRL il cui unico socio sia un’altra società: egli deve essere una persona fisica. Prima del 2003, tra l’altro, si poteva essere soci una volta soltanto: la responsabilità limitata era persa nelle holding di SRL unipersonali. Ma arriviamo all’attuale normativa, dove quasi tutti i dogmi del passato sono caduti. Citiamo l’art. 2362 attualmente in vigore (prima l’unico socio era illimitatamente responsabile, oggi c’è la pubblicità):
2362. (Unico azionista). Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell’unico socio, gli amministratori devono depositare per l’iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell’unico socio. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l’iscrizione nel registro delle imprese.
L’unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.
Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall’iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione. I contratti della società con l’unico socio o le operazioni a favore dell’unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
Oggi possono esistere anche le SPA unipersonali. Il socio può anche essere persona giuridica e tale persona, fisica o giuridica che sia, può continuare ad avere responsabilità limitata anche essendo titolare di più società.
Restano solo 2 condizioni da rispettare:

  1. I conferimenti: il capitale sociale deve essere interamente sottoscritto. Questo non significa versato, ma soltanto che i soci devono obbligarsi a versarlo a semplice richiesta degli amministratori.

Il legislatore vuole, comunque, che sia anche versato il 25% (nella vecchia normativa erano i 3/10). Il capitale sociale deve essere versato tutto e subito nelle società unipersonali.

  1. Pubblicità: gli amministratori devono pubblicare i dati dell’unico socio.

Questi 2 requisiti non sono obbligatori, ma se non rispettati implicano la perdita della responsabilità limitata.
Citiamo un’ultima regola per prevenire gli abusi. C’è il pericolo che, qualora l’unico socio si accorga di andare incontro a fallimento, venda a se stesso gli immobili per cifre irrisorie. Per contrastare questo fenomeno esistono le c.d. azioni revocatorie, allo scopo, appunto, di revocare gli atti compiuti prima di fallire (1 o 2 o 5 anni a seconda dei casi). Inoltre, per evitare tecniche elusive a danno dei creditori, cioè per evitare che l’unico socio dichiari di aver compiuto l’atto 6 anni prima, deve sussistere una data certa, trascritta nel “libro delle delibere del consiglio di amministrazione”.
La par condicio creditorum
Qualora si verifichi il fallimento di imprese commerciali, tutti devono subire le perdite allo stesso modo.
Nel diritto comune, al contrario, chi prima arriva si soddisfa e gli altri subiscono le perdite pienamente.

Lezione pomeridiana: La costituzione della SPA
Essa avviene tramite un iter procedimentale, solo al termine del quale la società viene ad esistenza; in particolare quando la società è iscritta nel registro delle imprese. In passato si dipanava in 3 fasi:

  1. Sottoscrizione dell’atto costitutivo
  2. Omologazione del tribunale
  3. Iscrizione del registro delle imprese.

Dal 2000 tale procedimento è stato snellito: non esiste più l’omologazione ed il controllo è svolto direttamente dal notaio, che in base alla legge notarile non può rogare un atto illecito. Qualora il notaio avesse dei dubbi potrebbe rimandare il giudizio al tribunale. Questo può avvenire in fase di modifica ma non in fase di costituzione.
La stipulazione dell’atto costitutivo
Quando si stipula l’atto costitutivo si redigono le regole di funzionamento della SPA.
Ciò può avvenire in due modi:

  1. stipulazione simultanea: tutti i soci aderiscono e sottoscrivono subito l’intero capitale sociale.
  2. per pubblica sottoscrizione: è necessario seguire un iter finalizzato a trovare nuovi soci. Questo procedimento si divide in varie fasi:
    1. I promotori predispongono il programma della costituenda società indicandone l’oggetto, il capitale e le principali disposizioni. Il programma deve essere firmato e depositato presso un notaio.
    2. Il programma viene diffuso tra il pubblico seguendo le regole per gli investimenti e redigendo il prospetto informativo.
    3. Si apre la fase delle adesioni. A mano a mano che gli aderenti sottoscrivono il programma devono anche versare il 25% della relativa quota.
    4. Una volta che l’intero capitale è sottoscritto, è convocata l’assemblea dei sottoscrittori. Essa delibera su eventuali modifiche e nomina gli amministratori ed i sindaci. Per essere valida devono essere presenti almeno la metà dei sottoscrittori e si vota per teste (eccezione alla regola della maggioranza di capitali nelle società di capitali). Si ha la stipulazione vera e propria dell’atto costitutivo. L’iter è chiuso.

La procedura preferita è quella della costituzione simultanea, in quanto più semplice. Male che vada, si può sempre deliberare in seguito un aumento di capitale. Altra soluzione è quella di ricorrere a degli intermediari finanziari, che acquistino inizialmente le quote per poi rivenderle in un secondo tempo al pubblico. Una caratteristica fondamentale dell’atto costitutivo (pena nullità), infatti, è che sia pubblico (mediante notaio).
Il contratto con cui i soci si impegnano a costituire la società (come di regola accade nel diritto comune per tutti i contratti preliminari) deve avere la stessa forma.
I requisiti dell’atto costitutivo

 

2328. (aggiornato) (Atto costitutivo). La società può essere costituita per contratto o per atto unilaterale. L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico e deve indicare:
1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché il numero delle azioni assegnate a ciascuno di essi;
2) la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
3) l’attività che costituisce l’oggetto sociale;
4) l’ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato;
5) il numero e l’eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di emissione e circolazione;
6) il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura;
7) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti;
8) i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori;
9) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società;
10) il numero dei componenti il collegio sindacale;
11) la nomina dei primi amministratori e sindaci e, quando previsto, del soggetto al quale è demandato il controllo contabile;
12) l’importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società;
13) la durata della società ovvero, se la società è costituita a tempo indeterminato, il periodo di tempo, comunque non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere.
Lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se forma oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell’atto costitutivo. In caso di contrasto tra le clausole dell’atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde.

Qualcosa in più sull’articolo 2328

  • Il nome non deve essere simile ad altre società dello stesso settore.
  • Dal 2003 non è più necessario specificare l’indirizzo (basta scrivere il comune, il che ha alleggerito le spese notarili per le modifiche dell’atto).
  • L’oggetto sociale è il tipo di attività che la società porrà in essere. Sono invalide nozioni di attività eccessivamente ampie (es.: attività commerciale non va bene; vendita di automobili sì); ciò non toglie che si possa specificare più di un oggetto sociale.
  • Riguardo al capitale sottoscritto esistono dei minimi legali:
    • 10.000 € per le SRL
    • 120.000 € per le SPA
    • Ci sono poi limiti maggiori per attività più rischiose quali “banche ed assicurazioni”.
  • Ci si è interrogati se il capitale iniziale debba essere proporzionato, congruo, adeguato all’attività futura. Si dice che non sia possibile sindacare su tale congruità. Inoltre è pur sempre possibile utilizzare capitale di debito.
  • La durata: la modifica apportata nel 2003 al riguardo è notevole: essa non è più necessaria (di norma si indica il 31/12 2050, ma può anche aversi una durata indeterminata). In tal caso, però, ciascun socio sarà libero di recedere ad nutum (senza doversi giustificare), con preavviso di 6 mesi.
  • Nella prassi consolidata l'atto costitutivo riporta soltanto i profili essenziali. Allegato c’è lo Statuto, nel quale sono elencate per filo e per segno tutte le regole (si riportano persino gli articoli del codice civile).

La costituzione
Devono ricorrere 3 requisiti:

  1. sottoscrizione dell’intero capitale sociale
  2. rispetto delle condizioni relative ai conferimenti
  3. sussistenza delle autorizzazioni governative ove richieste dalle leggi speciali (es.: per le banche deve sussistere l’autorizzazione della Banca d’Italia).

La sottoscrizione
Come già detto, non è necessario il versamento totale, ma solo l’impegno a versare il credito qualora richiesto dagli amministratori e, per il versamento in denaro, va depositato almeno il 25%. Ma siccome al momento della sottoscrizione non esiste ancora un conto corrente (c/c), si deve effettuare il deposito in un c/c vincolato, per poi trasferire in seguito l’ammontare nel conto della società.
Regole particolari sono presenti per i conferimenti in natura (crediti), allo scopo di tutelare l’integrità del capitale sociale. È difficile comprendere il valore vero del credito per tali apporti, quindi la procedura è qui più complessa. Le relative azioni vanno subito liberate (liberare = versare quanto ancora in debito nei confronti della società), cioè vanno versati tutti i decimi. Questo è ovvio, perché non si può conferire solo “il volante di un automobile”. È, inoltre, necessario allegare una perizia di stima redatta da un esperto nominato dal tribunale.
Apriamo una parentesi riguardo al c.d. sovrapprezzo
A mano a mano che l’attivo ed il capitale sociale aumentano (grazie al valore dell’avviamento, agli utili e alle riserve), chiunque intenda subentrare nell’impresa dovrà conferire un valore maggiore, se desidera avere una certa quota (es.: 50%). Questi dovrà pagare un tot a titolo di capitale sociale ed un altro tot per il c.d. sovrapprezzo azioni (che si accrediterà, appunto, al f.do sovrapprezzo azioni).
Torniamo alla costituzione ed agli obblighi del perito
Il perito si assume la responsabilità di giurare che il valore di tali beni è effettivamente quello sottoscritto: deve giurare che il valore del capitale sociale più l’eventuale sovrapprezzo azioni non sia inferiore (se è maggiore tanto meglio) a quello risultante dalla perizia.
Chi nomina il perito? Nella vecchia normativa, il presidente del tribunale. Oggi, nelle SRL, il perito può essere scelto dai soci, purché sia iscritto ad un albo professionale. Questo è importante per 2 motivi:

  1. l’alea di incertezza presente (anche in perfetta buona fede)
  2. la parcella del perito, se nominato dal tribunale, probabilmente sarà la massima possibile.

Rispetto delle condizioni relative ai conferimenti
Nella vecchia normativa non potevano essere conferite prestazioni d’opera. NOTA BENE: Questo principio resta valido per le SPA, ma non per le SRL, purché tale servizio sia garantito da una fideiussione bancaria.
Nella SPA, invece, si possono solo conferire come prestazioni accessorie, non valutabili ai fini del cap. soc.
L’omologa del tribunale
Non c’è più: il controllo viene svolto dal notaio.

  • È un controllo di legalità e non di merito: deve controllare che sia conforme alla legge, ma non può valutare se sia opportuna o meno (ad es.: non può opinare che l’operazione sia o meno economica).
  • Il controllo deve anche essere sostanziale: deve controllare che le garanzie giungano da banche e soggetti affidabili.

L’iscrizione nel registro delle imprese
Dal momento in cui è stato stipulato l’atto costitutivo passano 90 giorni per ritirare il denaro. Sorge in capo al notaio l’obbligo di depositare l’atto nel registro delle imprese. Se il notaio non provvede, dovranno attivarsi gli amministratori, qualora anch’essi non provvedano, potranno agire direttamente i soci.
Quando l’atto arriva finalmente al registro, il c.d. “conservatore del registro” dovrà controllare che la documentazione sia solo formalmente corretta. Se è tutto ok, la società è iscritta.
N.B.: L’iscrizione ha efficacia costitutiva: la società viene ad esistenza con essa.
C’è un’ultima incombenza, qualora fossero stati conferiti beni in natura: il perito e gli amministratori devono controllare il loro valore reale in quel momento. Qualora fossero state conferite delle azioni, infatti, esse avrebbero potuto perdere valore nel mentre. Entro 180 giorni dall’iscrizione, il valore deve essere confermato o rettificato e nel frattempo le azioni non sono alienabili. Se il nuovo valore delle azioni si è ridotto di più di 1/5, la società deve cambiare in proporzione il capitale corrispondente, a meno che il socio non versi la differenza in denaro o receda. Se recede ha comunque diritto alla restituzione delle azioni.
Questo tipo di ulteriore verifica è oggi necessaria soltanto nelle SPA e non più nelle SRL.
Gli acquisti potenzialmente pericolosi
Art. 2343-bis Acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori. Questo articolo cerca di evitare che un socio sia al contempo creditore e debitore della società, per far in modo che possa non soddisfare i creditori sociali. Per acquisti potenzialmente pericolosi si intendono quelli effettuati nei primi 2 anni di vita della società per un corrispettivo superiore ad 1/10 del capitale sociale, se non rientra nel normale ambito operativo. Prima della riforma, la violazione di questo articolo comportava la nullità dell’acquisto, oggi è valido, ma c’è la responsabilità dei soggetti che hanno posto in essere l’affare.
Responsabilità per le obbligazioni sociali
Chi è responsabile nel periodo tra la costituzione della società e l’inizio dell’attività (iscrizione nel registro)?
2331. (Effetti dell’iscrizione). Con l’iscrizione nel registro la società acquista la personalità giuridica.
Per le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito. Sono altresì solidalmente e illimitatamente responsabili il socio unico fondatore e quelli tra i soci che nell’atto costitutivo o con atto separato hanno deciso, autorizzato o consentito il compimento dell’operazione.
Qualora successivamente all’iscrizione la società abbia approvato un’operazione prevista dal precedente comma, è responsabile anche la società ed essa è tenuta a rilevare coloro che hanno agito.
Le somme depositate a norma del secondo comma dell’articolo 2342 non possono essere consegnate agli amministratori se non provano l’avvenuta iscrizione della società nel registro. Se entro novanta giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo o dal rilascio delle autorizzazioni previste dal numero 3) dell’articolo 2329 l’iscrizione non ha avuto luogo, esse sono restituite ai sottoscrittori e l’atto costitutivo perde efficacia.
Prima dell’iscrizione nel registro è vietata l’emissione delle azioni ed esse, salvo l’offerta pubblica di sottoscrizione ai sensi dell’articolo 2333, non possono costituire oggetto di una sollecitazione all’investimento.
Se le operazioni erano necessarie per la costituzione è responsabile anche la società (una volta costituita), e, se non erano necessarie, la società può comunque accollarsi tale responsabilità.
È vietata l’emissione di azioni prima che la società sia iscritta.

Lezione 4: Il capitale sociale
Il termine azione non è definito in alcuna legge, ma troviamo un riferimento all’articolo 2346 e ss. Citiamo almeno l’art. 2346, già aggiornato alla nuova riforma:
2346. (Emissione delle azioni). La partecipazione sociale è rappresentata da azioni; salvo diversa disposizione di leggi speciali lo statuto può escludere l’emissione dei relativi titoli o prevedere l’utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione.
Se determinato nello statuto, il valore nominale di ciascuna azione corrisponde ad una frazione del capitale sociale; tale determinazione deve riferirsi senza eccezioni a tutte le azioni emesse dalla società.
In mancanza di indicazione del valore nominale delle azioni, le disposizioni che ad esso si riferiscono si applicano con riguardo al loro numero in rapporto al totale delle azioni emesse.
A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento. L’atto costitutivo può prevedere una diversa assegnazione delle azioni.
In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione. La dottrina ha delineato 3 accezioni:

  1. Frazione del capitale sociale
  2. Complesso di diritti e doveri che sottende alla posizione di socio
  3. Documento che materialmente incorpora la partecipazione sociale

Per quanto riguarda il primo punto il capitale viene diviso seguendo un criterio astratto-matematico:
Capitale sociale / valore nominale = numero di azioni
Alle azioni possono essere riferiti diversi valori:

  • Valore nominale: coincide con gli altri valori solo al momento genetico, infatti con la gestione il capitale sociale cambia (es: utili), senza comportare un cambiamento del valore nominale. Il valore nominale può essere modificato soltanto durante un’assemblea straordinaria dei soci.

Con la riforma del 2003 si possono emettere azioni seguendo i metodi previsti dalla nuova formulazione dell’articolo 2346 ai commi 2 e 3.

    • Valore nominale
    • Numero delle azioni emesse rispetto al capitale sociale, questo tipo di azioni non hanno valore nominale e sono state introdotte per facilitarne nella pratica il funzionamento. Nelle società quotate l’erosione del capitale porta a riduzioni obbligatorie del capitale sociale, se le azioni sono prive di valore nominale non è necessario convocare l’assemblea straordinaria per effettuare la modifica di tale valore. Con questo metodo il “peso” del socio nella società è calcolato valutando il rapporto tra numero delle azioni totali e numero delle azioni possedute.
  • Valore di mercato

Per quanto riguarda la seconda definizione, è necessario fare una distinzione tra i diversi diritti e doveri tipici dello status socii.
Tipi di diritti:

  • Amministrativi (es: diritto di voto)
  • Patrimoniali (es: diritto agli utili)
  • Patrimoniali – Amministrativi (diritto di opzione)

È necessario, inoltre, considerare che le azioni sono standardizzate ma divisibili in varie categorie (risparmio, ordinarie).
Per meglio comprendere il terzo punto è necessario fare un cenno storico: le azioni erano certificati azionari, dove era presente il nome della società, il numero azioni che rappresentava quel certificato ed altri elementi.
L’azione è un titolo di credito con la particolarità della causalità (è influenzato dal rapporto che lo ha creato).
A differenza dell’azione, la cambiale è un titolo di credito astratto, ad ogni passaggio tra soggetti è come se risorgesse, ed ha il requisito della letteralità (il diritto corrisponde a quello scritto a livello cartolare). 
L’azione è un titolo di credito causale, il rapporto che lo ha creato lo influenza, ciò è necessario per la tutela del capitale sociale, infatti l’azione cede rispetto alla situazione del capitale sociale, per questo è altresì definita come un documento a letteralità incompleta o per relazione.
Per conoscere il valore dell’azione non è sufficiente leggerlo sul titolo, deve essere ricercato nel libro sociale della società, prevale la situazione reale sulla nominale.
Le azioni fino al 1998 erano in forma cartacea, ma con l’evoluzione dei sistemi informatici, si è passati alla dematerializzazione obbligatoria, il passaggio di questi titoli è presente solo a livello contabile.
Per le società non quotate continuano a circolare le azioni cartacee.
Caratteristiche tipiche delle azioni
-  Art. 2347 Indivisibilità delle azioni (“immutato” con la riforma)
Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune.
Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.
I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.
In via interpretativa da questo articolo si è dedotta l’inscindibilità, il fascio di diritti deve essere in capo ad un unico soggetto.
L’autonomia delle azioni rende il titolare “più volte socio”.
Caso del voto divergente: nel caso in cui un soggetto sia possessore di 10 azioni, può decidere di votare con 9 azioni e di astenersi con una quota. Vi sono altri casi particolari: le società fiduciarie spesso posseggono azioni di più soggetti e ricevono dai diversi possessori decisioni di voto divergenti, questo porta la società a votare in modo diverso. La normativa che regola questi casi prevede la legittimità del voto divergente ad esclusione dei casi in cui tale voto abbia il solo scopo di violare la correttezza e la buona fede (non posso dividere il mio pacchetto azionario in modo da votare a favore, contro, astenermi ed essere assente con lo scopo di usufruire dei diversi status).
-  Nelle azioni deve essere presente: Art. 2354 Contenuto delle azioni (sostanzialmente immutato)
2354. (Titoli azionari). I titoli possono essere nominativi o al portatore, a scelta del socio, se lo statuto o le leggi speciali non stabiliscano diversamente.
Finché le azioni non siano interamente liberate, non possono essere emessi titoli al portatore.
I titoli azionari devono indicare:
1) la denominazione e la sede della società;
2) la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione e l’ufficio del registro delle imprese dove la società è iscritta;
3) il loro valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, il numero complessivo delle azioni emesse, nonché l’ammontare del capitale sociale;
4) l’ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate;
5) i diritti e gli obblighi particolari ad essi inerenti.
I titoli azionari devono essere sottoscritti da uno degli amministratori. è valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della firma.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche ai certificati provvisori che si distribuiscono ai soci prima dell’emissione dei titoli definitivi.
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali in tema di strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati.
Lo statuto può assoggettare le azioni alla disciplina prevista dalle leggi speciali di cui al precedente comma.
Se manca un elemento? Il certificato sarà irregolare ed il socio avrà diritto all’emissione di un certificato regolare. Accenniamo ad altre particolarità delle azioni:
Una s.p.a. può non emettere azioni, i soci saranno ricercati all’interno dell’atto costitutivo
-  Raggruppamento: se l’azione assume un valore troppo basso es: 0,01€ si possono emettere certificati azionari che raggruppano più azioni. Possono sorgere dei problemi, se le azioni vengono raggruppate ad esempio ogni 10 (a chi possedeva 10 azioni “vecchie”, viene rilasciata una “nuova” azione), chi possedeva 8 azioni perde la qualifica di socio? No, questa procedura può avvenire solo se non è contraria a buona fede.
- Frazionamento: ad esempio nel 2000 i titoli tecnologici hanno assunto valore di mercato molto alto, diventava difficile per le famiglie acquistare anche una sola azione, per questo ogni azione venne frazionata.
- Nominatività: Nei titoli nominativi il nome deve risultare sia sul titolo sia sul libro dei soci.
Le azioni possono essere nominative o al portatore, questo è stato confermato dalla riforma del 2003 e ciò non ha risolto problemi precedenti, dovuti ad una legge fiscale che imponeva azioni solo nominative ad esclusione dei casi di azioni di risparmio e SICAV.
Su tale argomento esistono due teorie:
Teoria  minoritaria: la riforma del 2003 è successiva perciò prevale (azioni sia nominative sia al portatore).
Teoria maggioritaria: una legge speciale può essere derogata solo da una legge speciale successiva (solo nominative).

Lezione 5: Le azioni
Fino al 31/12/2003 c’era proporzionalità tra i conferimenti nella società e le azioni che si ricevevano in cambio. Facciamo riferimento al già citato Art. 2346 Emissione delle azioni:
Le azioni non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale. Il nuovo art., molto ampliato, (al comma 5) specifica, inoltre, che in nessun caso, il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. Questo significa che è possibile scegliere la distribuzione delle azioni (es.: un socio conferisce 1 su un capitale di 10 ed ha il 90% delle azioni; l’altro socio dovrà avere il 10% con un conferimento di 9: l’importante è che il totale faccia 10, per tutelare i terzi).
Dal punto di vista pratico, questo porterà ad utilizzare meno le tecniche di sovrapprezzo ed una scissione tra conferimenti e controllo.
Il trasferimento delle azioni
Premettiamo che le azioni sono titoli di credito che circolano secondo una propria disciplina, esistono 2 tipi di credito:

  1. titoli al portatore: si trasferisce mediante consegna (c.d. “brevi mano”) e non esiste nessuna particolare formalità.
  2. titoli nominativi: la legge è più complessa. La circolazione è regolata dal regio decreto 1148 del 1941, regolamentato dal 239/1942, modificato con l’art. 4 della legge 1745 del ’62, per arrivare all’art 2355 dell’attuale riforma. Principalmente questi articoli si rifanno alla legge della circolazione dei titoli nominativi, caratterizzati dalla presenza del nome del titolare (presente sul certificato azionario e sul registro, c.d. libro soci, a cura dell’emittente).

Le azioni sono sempre nominative (a parte un paio di casi). A seconda del tipo di credito cambia la legge di circolazione. Nel libro soci è descritta la composizione del capitale sociale, con le generalità dei soci. Se c’è il trasferimento di un titolo nominativo è, quindi, necessaria una doppia trascrizione. Esistono 2 metodi:

  1. si può utilizzare, ma è di fatto scarsamente utilizzato, il “transfert”: l’acquirente ed il venditore del titolo stipulano un contratto di compravendita, dopo di che uno dei due si rivolge agli amministratori e chiede di annotare il trasferimento. Essi dovranno cambiare l’intestazione distruggendo il vecchio titolo ed emettendone uno nuovo, oppure specificando sul titolo il trasferimento. Poi l’amministratore annoterà il tutto nel libro dei soci. Il problema è che tutte queste operazioni prendono un buon lasso di tempo.
  2. il secondo modo di trasferire le partecipazioni è la “girata”: è più sbrigativo e perciò più usato. Come funziona materialmente? Dietro il certificato azionario ci sono tante “caselline”, bianche o proprio con la scritta “spazio per le girate”. È sufficiente specificare in tali caselle il trasferimento. La girata deve però essere autenticata da un notaio, da una banca, da un agente di cambio o da una SIM (società di intermediazione mobiliare). Non può esserci una girata in bianco: deve essere sempre presente il nome del giratario: se si potesse fare altrimenti, il titolo diventerebbe “al portatore”. Oltre al nome del giratario è necessaria anche la sua firma, se l’azione non è interamente liberata (= non sono stati versati tutti i decimi). Ovviamente, sarà necessaria sempre anche la firma del girante.

Cosa rende diversi questi due metodi? Nella girata, l’iscrizione nel libro soci è solamente eventuale (possibile ma non obbligatoria). Chi possiede un titolo può iscriversi al libro soci solo se è intenzionato a partecipare alla vita sociale, altrimenti la girata non richiede la doppia trascrizione.
Per capire come funziona ripartiamo dal codice del ’42, dove il giratario aveva soltanto 2 diritti:

  1. girare l’azione
  2. se aveva ottenuto il titolo mediante una serie continua di girate, chiedere di iscriversi al libro soci.

Una volta iscritto al libro soci poteva esercitare pienamente tutti diritti sociali (status socii).
Per “serie continua di girate” si intende che “non c’è un salto”, a dimostrazione del fatto che il titolo non sia stato rubato. Questa normativa è tutt’oggi valida, sebbene di nessuna utilità pratica, perché l’art. 4 della legge del ’62 ha introdotto quest’innovazione: “chi è possessore del titolo mediante serie continua di girate ha anche il diritto, se deposita le azioni presso la società, di votare e di ritirare gli utili”. Per gli altri diritti sociali era necessario iscriversi. Con la riforma del 2003, si è chiuso il cerchio, nel senso della prevalenza del possessore del titolo mediante una serie continua di girate, che può votare, ritirare gli utili, nonché “esercitare tutti i diritti sociali” (gode del pieno status socii).
È ancora possibile farsi iscrivere nel libro soci, ma non ha grande utilità pratica: tutti i diritti possono essere esercitati anche solo depositando il titolo presso la società. Nel momento in cui si deposita il titolo è comunque dovere degli amministratori annotare le generalità del socio nel libro soci.
Facciamo un esempio riguardo alla cessione di immobili: è possibile cedere un immobile direttamente. Se si scopre che c’è una crepa che va dalle fondamenta fino al tetto è possibile rifarsi alle garanzie del diritto comune. Il problema sorge se si cede il 100% delle partecipazioni di una società che detiene quell’immobile. La Cassazione sostiene che “quando si cedono partecipazioni sociali, quello che si garantisce è il trasferimento di tutti i diritti e doveri propri dello status socii”, quindi non è garantito che i beni della società abbiano determinate caratteristiche, a meno che questo fatto non sia oggetto di specifica garanzia.
I vincoli alla trasferibilità delle azioni
Le azioni di una società sono, in linea di principio, liberamente trasferibili. Possono, però, sussistere vincoli:

  • legali: sono inderogabili in quanto dettati da norme di legge.
    • Es.: fino a quando l’iter della certificazione dei valori dei beni conferiti non è completata, le azioni non possono essere trasferite.
    • Altro esempio: le azioni con prestazioni accessorie: azioni che vincolano il possessore (quali il dovere di prestare la propria attività lavorativa presso la società). Questo tipo di azioni possono essere trasferite solo con il consenso degli amministratori (che valuteranno che il nuovo acquirente possa lavorare).
  • Parasociali: ne riparleremo nelle prossime lezioni. Con il patto parasociale il socio si vincola, con un contratto esterno rispetto al contratto sociale, ad esercitare uno o più dei diritti scaturenti dalla sua posizione di socio.
    • Es.: il tipico patto parasociale è l’accordo esterno con cui ci si impegna a votare in assemblea in un determinato modo o a non cedere le proprie azioni per un certo periodo.
    • La particolarità di questo tipo di accordi è che hanno efficacia obbligatoria e non reale: il vincolo vige solo tra le parti e non è opponibile ai terzi (tra i quali è compresa la società stessa). La violazione del patto parasociale vincola al risarcimento dei danni da parte di chi lo viola, ma gli atti contrari a questo patto sono comunque efficaci.
  • Statutari: l’efficacia non è obbligatoria, ma reale (non c’entra con “i diritti reali che avevamo studiato in diritto privato”: significa soltanto che non è aggirabile) ed è, quindi, vincolante nei confronti di tutti.

Le regole dei patti sociali
Erano e sono pienamente lecite le c.d. “clausole di prelazione”. Con la prelazione “propria” il socio si impegna, nel momento in cui vende le azioni, a preferire gli altri soci rispetto a terzi, a parità di condizioni.
Questo tipo di accordi è perfettamente lecito, perché non imprigiona il socio nella società. I problemi sorgono sui patti di non alienabilità (lo statuto non può contenere l’obbligo di non vendere le azioni, nemmeno per un periodo limitato), così come è vietato il c.d. “patto di mero gradimento”.
Intanto vediamo cosa è il patto di gradimento: le azioni possono essere alienate solo ad un soggetto con determinate caratteristiche. Il patto è valido purché riporti un requisito oggettivo e purché esistano requisiti possibili (non si può dire: “è trasferibile solo a persone più alte di 8 metri”).
Non sono, invece, validi i patti di mero gradimento. Il classico esempio è quello che lega l’entrata o meno del socio ad un “placet” (giudizio insindacabile ed immotivato) da parte di un organo sociale (normalmente l’organo amministrativo).
Pur essendo vietate dalla legge, in merito alle clausole di mero gradimento, la Cassazione ha specificato che esse sono lecite, se gli amministratori, negando l’entrata di un socio, trovano, in alternativa, un altro nuovo socio: la ratio di quest’orientamento è quella di non legare a vita il socio nella società. La riforma si è mossa esattamente su questa linea (art. 2355 BIS).
La sottoscrizione di azioni proprie
L’art. 2357 quater prevede che “In nessun caso (oggi modificato con: “Salvo quanto previsto dall’articolo 2357-ter, comma secondo) la società può sottoscrivere azioni proprie. poiché, se è la società a sottoscrivere le azioni, essa acquista la posizione di creditore e di debitore assieme e, come sappiamo dal diritto privato, tali posizioni si annullerebbero. Tuttavia l’articolo continua, specificando che la sottoscrizione è valida se imputata ai soggetti che materialmente hanno compiuto la sottoscrizione e non alla società.
La società può acquistare le sue stesse azioni? Sì ma con dei limiti, perché si rischia di creare del capitale di carta inesistente. Vediamo l’Art. 2357 Acquisto delle proprie azioni (immutato)
La società non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate.
L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il corrispettivo massimo.
In nessun caso il valore nominale delle azioni acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche delle azioni possedute da società controllate.
Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate secondo modalità da determinarsi dall'assemblea, entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale. Qualora l'assemblea non provveda, gli amministratori e i sindaci devono chiedere che la riduzione sia disposta dal tribunale secondo il procedimento previsto dall'art. 2446, 2° comma.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.
Art. 2358 Altre operazioni sulle proprie azioni (immutato)
La società non può accordare prestiti, né fornire garanzie, per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie.
La società non può, neppure per tramite di società fiduciaria, o per interposta persona, accettare azioni proprie in garanzia.
Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano alle operazioni effettuate per favorire l'acquisto di azioni da parte di dipendenti della società o di quelli di società controllanti o controllate. In questi casi tuttavia le somme impiegate e le garanzie prestate debbono essere contenute nei limiti degli utili distribuibili regolarmente accertati e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato.
Quest’articolo è importante perché tocca un meccanismo di acquisizione delle società che si chiama “leveraged buy-out”: il modello di acquisizione delle società più utilizzato. Detto brutalmente, si compra una società con i soldi della stessa società.
Esempio numerico: si costituisce una società A, con capitale prestato dalle banche di 100. La società A poi si fonde con la società B che ha un attivo di 100.
Queste operazioni sono state dichiarate lecite, purché gli amministratori diano atto della fattibilità economica dell’operazione stessa. Possono andare in bancarotta o essere brillanti, a seconda che l’utile (cash flow generato) sia maggiore o minore degli interessi da pagare sul debito.
Rispetto alle azioni proprie a chi spettano i diritti sociali?
Per quanto riguarda i diritti patrimoniali, è stabilito che l’utile viene proporzionalmente passato ai soci.
Con la riforma, il diritto di opzione è permesso. Per quanto riguarda i diritti amministrativi (di voto), il pericolo è che i soci di maggioranza relativa potrebbero conquistare la maggioranza assoluta.
Per questo, le azioni proprie non votano, però vengono conteggiate ai fini del calcolo del quorum.
A fronte dell’acquisto di azioni proprie deve essere creata una riserva indisponibile per lo stesso importo. Questa riserva non può essere distribuita fino a quando esistono azioni proprie.
Azioni privilegiate
Esse implicano partecipazioni agli utili (ad es.: + 1% rispetto alle ordinarie) e alle perdite. Le azioni a voto limitato attribuiscono il diritto di voto solo nelle assemblee straordinarie.

Azioni di risparmio
Le avevamo già accennate quando parlavamo della Consob: hanno lo scopo di tutelare i piccoli risparmiatori. Non danno diritto di voto, ma dei diritti patrimoniali più consistenti. Con la riforma del ’98 (confermata nel 2003) è stata mantenuta quest’impostazione, ma si è voluto deregolamentare il tutto: prima, per legge, erano stabilite delle percentuali minime da garantire, oggi è il mercato a deciderle. Precisiamo: le azioni di risparmio non sono esenti dal rischio d’impresa, semplicemente, qualora vi sia utile, questo tipo di azioni sono le prime a percepirlo.
Il principio generale dell’atipicità delle azioni è dettato dall’art. 2348. (aggiornato) (Categorie di azioni). Le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti.
Si possono tuttavia creare, con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie.
Tutte le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti.
Le azioni postergate
La riforma chiarisce anche un punto che prima era dubbio: è possibile emettere azioni postergate alle perdite. Cosa significa? Se le perdite erodono il capitale sociale, bisogna diminuirne il valore. Se c’è una riduzione del capitale nominale per perdite, prima si annullano le altre azioni, poi le postergate.
Art. 2350 (aggiornato). (Diritto agli utili e alla quota di liquidazione). Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie di azioni.
Fuori dai casi di cui all’articolo 2447-bis, la società può emettere azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. Lo statuto stabilisce i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché l’eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.
Non possono essere pagati dividendi ai possessori delle azioni previste dal precedente comma se non nei limiti degli utili risultanti dal bilancio della società.
In linea di principio, quindi, la regola è quella della proporzionalità. È però possibile una regolamentazione non proporzionale. Ovviamente se non c’è utile nessuna azione ne riceve.
Le azioni correlate (tracking shares) (art. 2350 comma 2 e 3)
Sono state inventate negli USA ed hanno la caratteristica di essere collegate all’andamento di un particolare settore della società. Lo Statuto stabilisce tutte le contabilità sezionali da tenersi. Non possono essere pagati dividendi se non nei limiti del bilancio della società, per evitare di distribuire utili fittizi. Anche se le azioni correlate rappresentano il 40% del capitale sociale, ma nel settore l’utile è del 10%, le azioni correlate si spartiranno solo l’utile che riguarda il settore. Ci si rifà all’utile globale: se il settore è in utile, ma il resto dell’impresa è in perdita, non si possono distribuire gli utili del settore.
2351 (Aggiornato). (Diritto di voto). Ogni azione attribuisce il diritto di voto.
Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.
Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti.
Non possono emettersi azioni a voto plurimo. (quindi un’azione può valere 0 o 1 voti).
Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le
medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano.
È importante ricordare che, con la riforma, si possono emettere persino una categoria speciale di azioni per ogni singolo socio.
Le azioni di godimento
Nascono dalla riduzione del capitale per esuberanza: i soci decidono che il capitale della società è eccessivo, e optano per un rimborso. In caso di liquidazione della società, le azioni di godimento hanno diritto ad una quota di liquidazione, solo dopo che alle altre azioni è stato rimborsato il valore nominale.
L’azionista di godimento ha diritto all’utile, solo dopo che agli altri soci è stato ripartito un utile pari al tasso di sconto medio dei titoli di Stato. Questo perché queste azioni si erano viste rimborsare prima il valore nominale.
Gli strumenti finanziari partecipativi
È una categoria nuova. Dal punto di vista finanziario, prima della riforma, esistevano due tipi di investimenti: azioni e obbligazioni. Le prime sono tipico capitale di rischio, le seconde sono capitale di debito.
Dal 2003 esiste un terzo strumento finanziario: quello partecipativo. Per capire cos’è bisogna intendere la differenza tra conferimento (= partecipazione al capitale sociale) ed apporto (= è lo strumento partecipativo: c’è un apporto di una cifra, ma il capitale sociale non cambia: in cambio si hanno dei diritti, sui quali si sta ancora studiando, che possono variare di caso in caso, in modo assolutamente flessibile e slegato dal rapporto azionario).
Gli organi sociali: l’assemblea dei soci
Con il termine assemblea si indicano le riunioni dei soci proprietari delle azioni. Essi prendono le decisioni organizzative della società. Queste riunioni si svolgono secondo precise regole di funzionamento, che sono in parte dettate dalla legge ed in parte dalla libera autonomia dei soci. Sotto questo profilo, nelle società quotate, oltre ad avere come in tutte le società delle regole statutarie, si ritiene opportuno approvare anche il regolamento assembleare, per disciplinare in estremo dettaglio come devono svolgersi i lavori assembleari.
Le regole dell’assemblea sono in gran parte inderogabili. Si dice che l’assemblea debba seguire un metodo collegiale: la decisione deve essere presa seguendo un determinato iter, e bisogna arrivarvi informati.
L’iter si riassume con il metodo collegiale. Esistono 4 fasi:

  1. convocazione: ha il fine di informare i soci riguardo al tema del giorno.
    1. L’assemblea è convocata dagli amministratori, secondo libera scelta.
    2. Nelle società quotate, l’iniziativa è anche concessa ai sindaci.
    3. Esistono casi in cui, però, gli amministratori sono proprio obbligati a convocare l’assemblea:
      • Va, innanzitutto, convocata almeno una volta l’anno, entro 4 mesi dopo il termine dell’esercizio, in sede ordinaria, per approvare il bilancio d’esercizio.
      • Nella vecchia normativa c’era anche la possibilità di posticipare l’assemblea restando entro 6 mesi. Questa norma era stata utilizzata molto nella pratica, perché si era sempre in ritardo. Con la riforma si può arrivare a 180 giorni, ma solo quando vi siano particolari esigenze connesse alla struttura o all’oggetto della società. (ad es.: quando una capogruppo deve recepire i bilanci delle società controllate).
      • I soci che rappresentano almeno il 10% del capitale sociale hanno il potere di fare convocare l’assemblea da parte degli amministratori. La percentuale si può diminuire, specificandolo nello statuto, ma non aumentare.
      • Ultimo caso in cui va convocata l’assemblea è quando la prima convocazione sia andata deserta (non si raggiunge il quorum). La seconda convocazione va effettuata entro 30 giorni. Se gli amministratori non provvedono saranno i sindaci a doverlo fare. I sindaci sono obbligati anche in altri due casi:
        • cessano gli amministratori
        • le minoranze rilevano fatti censurabili di notevole entità.
    1. Nella vecchia normativa la convocazione doveva farsi sempre nelle gazzette ufficiali. Con la riforma questo obbligo resta solo per le società quotate (almeno 15 giorni prima, elevato a 30): oggi, per le società non quotate, è possibile convocare l’assemblea con altri mezzi che garantiscono comunque la prova del ricevimento almeno 8 giorni prima.
    2. Dove va convocata l’assemblea? Nel comune dove è sita la società, salvo diverse disposizioni statutarie. L’unica regola è che l’assemblea non debba essere convocata in luoghi particolarmente onerosi da raggiungere: purché non sia un mezzo per ostacolare i soci di minoranza. L’assemblea può anche tenersi in videoconferenza.
  1. intervento e discussione
  2. voto: è la delibera
  3. verbalizzazione

Solitamente l’assemblea funziona con il principio maggioritario e la decisione della maggioranza è vincolante anche per gli assenti ed i dissenzienti. Diversamente dalla SRL, nelle SPA la legge non permette di prendere le decisioni con altri tipi di iter. Nella SPA esistono necessariamente diversi organi, ognuno competente per determinate decisioni. Vediamo le competenze dell’assemblea e mettiamo in luce una modifica della riforma. Prima di essa, si riteneva che l’assemblea fosse l’organo sovrano. Adesso si ritiene, invece, che, comunque, ogni organo abbia specifiche competenze, quindi le decisioni dell’assemblea non liberano le decisioni degli amministratori.
L’assemblea straordinaria è sempre la riunione dei soci, ma su determinate decisioni si hanno delle regole di funzionamento diverse, anche perché trattano argomenti diversi. Si hanno 3 tipi di sistemi di assemblee:

  1. tradizionale: in generale l’assemblea ordinaria nomina gli amministratori e approva il bilancio, mentre l’assemblea straordinaria delibera quando si vuole modificare lo statuto.
  2. dualistico
  3. monistico (rivedremo queste ultime due assemblee successivamente).

Lezione 6: Le assemblee
Assemblea totalitaria
Il legislatore ritiene valida un’assemblea non convocata, ma in cui siano presenti tutti i soci. Prima della riforma dovevano essere presenti anche tutti gli amministratori ed i sindaci. Attualmente, nel caso della loro assenza, è necessario riferire loro tempestivamente delle decisioni prese. Non essendoci un ordine del giorno, si dà il potere ad ogni singolo socio di opporsi alla discussione e/o votazione degli argomenti di cui non si ritenga sufficiente informato.
Tipi di quorum

  • costitutivo: % del capitale che deve essere presente per riunirsi;
  • deliberativo: quanti soci devono essere d’accordo per dare attuazione alla delibera (spesso viene fatto riferimento alla % di capitale sociale e non di soci presenti);

Vi sono esigenze opposte riguardo ai quorum: da un parte è necessario tutelare i soci di minoranza, dall’altra non si devono avere stalli decisionali.
Assemblea ordinaria di una SPA
1a convocazione:          quorum costitutivo = ½ capitale sociale
quorum deliberativo = maggioranza assoluta del capitale sociale presente
2a convocazione:          quorum costitutivo = non esiste
quorum deliberativo = maggioranza delle azioni presenti (anche minima)
L’assemblea ordinaria si occupa della nomina degli amministratori e dell’approvazione del bilancio. I soci possono modificare i quorum, ma solo verso l’alto, e non in seconda convocazione per:

  1. approvazione del bilancio
  2. nomina degli amministratori.

Nomina delle cariche sociali
Si può utilizzare il meccanismo del voto di lista (senza, solo la maggioranza conterebbe). Tale meccanismo garantisce rappresentanza anche alle minoranze: anche i rappresentanti delle minoranze possono essere eletti.
Art. 2370 Diritto d'intervento all'assemblea
Possono intervenire all'assemblea gli azionisti iscritti nel libro dei soci almeno cinque giorni prima di quello fissato per l'assemblea, e quelli che hanno depositato nel termine stesso le loro azioni presso la sede sociale o gli istituti di credito indicati nell'avviso di convocazione.
2370 (nuova formulazione). (Diritto d’intervento all’assemblea ed esercizio del voto). Possono intervenire all’assemblea gli azionisti cui spetta il diritto di voto.
Lo statuto può richiedere il preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione presso la sede sociale o le banche indicate nell’avviso di convocazione, fissando il termine entro il quale debbono essere depositate ed eventualmente prevedendo che non possano essere ritirate prima che l’assemblea abbia avuto luogo.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il termine non può essere superiore a due giorni e, nei casi previsti dai commi sesto e settimo dell’articolo 2354, il deposito è sostituito da una comunicazione dell’intermediario che tiene i relativi conti.
Se le azioni sono nominative, la società provvede all’iscrizione nel libro dei soci di coloro che hanno partecipato all’assemblea o che hanno effettuato il deposito, ovvero che risultino dalla comunicazione dell’intermediario di cui al comma precedente.
Lo statuto può consentire l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione o l’espressione del
voto per corrispondenza. Chi esprime il voto per corrispondenza si considera intervenuto all’assemblea.
Vi sono dei casi in cui il soggetto con diritto al voto è diverso dal proprietario, come nel caso dell’usufrutto.
In tal caso, vota l’usufruttuario, salvo patto contrario. Con la riforma è possibile anche non intervenire personalmente in assemblea: è possibile il voto per corrispondenza o per videoconferenza, considerato precedentemente illecito per mancanza di discussione tra i soci. Il socio può delegare ad altri la facoltà di votare, ma con delle cautele su:

  • il contenuto della procura: deve essere in forma scritta e piena (non in bianco)
  • i soggetti: non possono essere sindaci ed amministratori (altrimenti potrebbero auto-nominarsi).

Dopo la riforma, per le società aperte, la delega deve essere rilasciata per singola assemblea; prima non era possibile per nessuna società.
La procura può essere:

  • aperta: il procuratore vota come vuole
  • chiusa: deve votare contro/a favore a seconda dei singoli punti.

Come si svolge l’assemblea? Il presidente controlla la regolarità della convocazione ed i vari quorum. Il voto deve essere palese (vietato il voto segreto).
2373 (nuova formulazione). (Conflitto d’interessi). La deliberazione approvata con il voto determinante di soci che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell’articolo 2377 qualora possa recarle danno.
Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. I componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.
È possibile  l’impugnazione della delibera qualora:

  • vi sia una prova di resistenza (il voto del soggetto in conflitto è stato determinante) o
  • vi sia un danno per la società.

Il verbale assembleare ha 3 funzioni:

  1. prova dell’accaduto
  2. informazioni per gli assenti
  3. controllo ex-post sull’operato

Dopo la riforma, il verbale può essere redatto anche dopo l’assemblea.

Lezione 7: I patti parasociali
Sono patti che stanno all’esterno della società. Il socio ha un insieme di diritti, che generalmente prendono il nome di status socii (utili, voto, opzione etc.). Con i patti parasociali il socio si vincola contrattualmente con altri soggetti ad esercitare i diritti sociali secondo quanto previsto dagli accordi. Tali accordi rimangono esterni rispetto alla società, che non è parte dell’accordo. Da ciò deriva la caratteristica fondamentale dei patti parasociali, che è la loro efficacia unicamente obbligatoria e non reale.
Il patto parasociale non vincola tutti i soci, ma soltanto coloro che lo hanno sottoscritto.

  • Facciamo un esempio: il patto di non alienazione delle azioni. Supponiamo che uno dei soci violi il patto. In seguito a tale inadempimento, gli altri soci parasociali potranno chiedere un risarcimento, ma resta valida la cessione delle azioni. Cosa diversa sarebbe stata se tale patto fosse derivato dallo statuto, diventando l’efficacia reale e non più obbligatoria: non sarebbe stato possibile violare l’accordo perché gli amministratori della società sono tenuti a fare rispettare il patto statutario.

I patti parasociali possono essere di tutti i tipi. Esaminiamo i più importanti.

  • Un primo esempio è relativo alla ripartizione degli utili. In una SPA, se non diversamente convenuto, ad ogni socio spetterà un utile in base al numero di azioni possedute. Ma nulla vieta ai soci di decidere, al di fuori del patto sociale, di spartire gli utili in modo diverso.

Esiste un’unica limitazione: il patto leonino, secondo il quale è invalida qualsiasi tipo di clausola (sociale e parasociale), tramite la quale un socio non abbia alcun diritto all’utile e/o alle perdite.

  • Altro esempio: i patti di finanziamento/patti di versamento di fondi alla società. Il capitale sociale potrebbe non bastare. In tal caso si può reperire capitale di debito. Spesso questo tipo di accordo viene preso tramite delibera assembleare. Nonostante ciò, questo non è un atto sociale, ma parasociale. Nessun socio può essere obbligato a versare nella società più di quanto promesso, ed al contempo, nulla vieta di versare di più. Dato che, in questo caso, ogni socio deve aderire quale singolo, la delibera, per essere valida, deve essere presa all’unanimità.

Vediamo altri due patti parasociali rilevanti:

  1. Patti di blocco: sono tutti quegli accordi parasociali che limitano la libera circolazione delle azioni.
  • Può prevedere che le azioni siano cedibili unicamente ai soci.
  • Può prevedere una clausola di gradimento: non c’è un divieto di vendere le azioni, ma il socio che le vuole vendere dovrà preventivamente chiedere il gradimento agli altri soci.
  • Può prevedere un diritto di prelazione: il diritto di preferire altri parasoci in caso di vendita, purché la vendita avvenga alle stesse condizioni. (Apriamo una parentesi di tipo tecnico: l’accordo di per sé sembra semplice. In realtà non lo è, perché le clausole semplici sono facilmente raggirabili. Esempi per il raggiro sono: la donazione; la vendita contro un bene infungibile, quale un quadro di Picasso unico al mondo; la vendita ad una cifra esorbitante, per poi restituire la differenza in seguito. Per questo, di solito le clausole sono molto lunghe e restrittive, e addirittura a volte “entra in campo un arbitro”).
  1. Patti/sindacati(/convenzione/accordo) di voto:
    • È un accordo esterno alla società tramite il quale il socio si impegna ad esercitare in assemblea il diritto di voto in un certo modo. La panoramica è nuovamente amplissima:
      • L’accordo più semplice è  quello già completo e predeterminato sulle modalità.
      • Spesso però i patti di voto sono più complessi e sono accordi di tipo procedimentale: non si dice come votare, ma si danno le regole procedimentali tramite le quali arrivare ad una decisione di voto, che verrà poi mantenuta in assemblea. Si hanno due modalità: “ci si vede il giorno prima e si vota”:
        • a maggioranza;
        • all’unanimità: se tutti sono d’accordo, ci si impegna a votare in quel senso in assemblea, altrimenti ognuno vota come vuole.

Facciamo alcune precisazioni per spiegare perché spesso vengano/venivano preferiti i patti parasociali:

  • sono più flessibili (ad es.: il patto parasociale vincola solo i soci aderenti).
  • fino al 2003 erano vietati i patti sociali relativi al blocco completo delle azioni e le clausole di mero gradimento.
  • la segretezza dei patti parasociali: oggi c’è un obbligo di trasparenza, prima di questo al 99% erano segreti (ci torneremo in seguito).

Cenni storici
L’orientamento dagli inizi del ‘900 era quello della nullità degli accordi parasociali. Con il codice del ’42 si è capito che il diritto di voto nella società non ha nulla a che vedere con il diritto di voto nella politica e che il diritto di voto può essere liberamente disposto. Di fatto, però, anche nel ’42 la maggior parte dei sindacati di voto venivano considerati nulli.
Tutto ciò avveniva sulla base del c.d. “teorema Ascarelli” (uno dei padri del diritto commerciale italiano); es.:

  • società con 100 azioni e 100 soci;
  • 51 soci stipulano un sindacato di voto a maggioranza;
  • 26 favorevoli, 25 contrari;
  • il giorno dopo, tutti e 51 votano a favore;
  • il restante 49% è contrario;
  • Di fatto la maggioranza (49 + 25) è contraria, ma in assemblea si vota a favore.

Per questo si diceva che erano da considerarsi validi solo i sindacati all’unanimità. Tuttavia, non esiste società quotata di grandi dimensioni che non abbia questo tipo di accordi. Su questa base, dal 1995, la dottrina ha cambiato opinione, ritenendo validi anche i sindacati a maggioranza, poiché il patto è comunque valido perché opera su un piano distinto rispetto al piano sociale. L’importante è che tutto rimanga obbligatorio e non reale: nulla può impedire al socio, che aderisce al patto parasociale, di votare altrimenti.
Il procedimento assembleare non è, quindi, incrinato da questi patti.
Rimane un unico tema aperto: quello dei c.d. patti di voto a efficacia reale: quelli che impossibilitano tecnicamente, un socio a violare l’accordo.
La partecipazione può essere detenuta direttamente, oppure tramite una società fiduciaria (in cui il socio che appare è la fiduciaria, mentre il proprietario sostanziale è il socio). Il socio dà mandato irrevocabile alla fiduciaria di votare secondo le regole del sindacato. Di fatto, quindi, il socio non potrà violare l’accordo parasociale. Questo tipo di accordi sono ancora considerati nulli dalla giurisprudenza (mentre la dottrina li ritiene validi), poiché spodestano il socio del diritto di voto.
Arriviamo, infine, alla normativa sui sindacati di voto: è opportuno conoscerla! Il legislatore non si era mai occupato dei sindacati di voto, fino al 1980. Gran parte degli accordi parasociali erano sempre stati segreti.
Oggi, se la società è controllata da un patto parasociale, questo deve essere obbligatoriamente conosciuto.
Questa disciplina è combinata nell’art. 122 del D. Lgs. 1998 n. 58 (TUF, c.d. testo Draghi): “i patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto il diritto di voto sono pubblici”, perché la quotazione delle azioni può essere fortemente influenzata dalla presenza o meno di patti sociali, che operano sulla contendibilità della società: più la società è contendibile, più le azioni valgono (es.: se esiste un socio che ha già il 51% della società, la società sarà poco contendibile, esattamente come se il 51% fosse governato da un sindacato parasociale). Questo è il motivo principale per cui è stata resa obbligatoria la pubblicità:

  • presso la Consob, entro 5 giorni dalla stipulazione;
  • comunicato sulla stampa quotidiana entro 10 gg.;
  • depositato presso il registro delle imprese dove ha luogo la società, entro 15 gg.

Quali sono le sanzioni in caso di violazione di questi obblighi di pubblicità? Sono di due tipi:

  1. il patto non pubblicizzato è nullo. Questa sanzione è stata poco efficace, perché, sebbene fino al 1995 la giurisprudenza considerasse nulli i patti parasociali, se i soci avessero deciso di votare come deciso da sindacato, sarebbero restati liberi di farlo. Peraltro il patto poteva anche essere segreto.

In pratica: il patto è nullo ma il socio lo rispetto lo stesso.

  1. Se non pubblicizzato, il patto parasociale rende nullo il diritto di voto. Questo è, invece, più efficace ed ha reso pubblici la maggior parte dei sindacati di voto.

Vediamo il patto di consultazione: ci si ritrova il giorno prima e si vota. Il giorno successivo, ognuno può votare come vuole. Di fatto, però, tutti votavano nel modo deciso, perché altrimenti erano esclusi dal “club”.
Il TUF si occupa dei patti parasociali:

  • all’art. 122 per quanto riguarda la trasparenza;
  • all’art. 123 per quanto riguarda la durata: “i patti parasociali possono essere a tempo determinato o indeterminato. Se a tempo determinato, possono essere al massimo di 3 anni (altrimenti c’è un diritto di recesso del socio in ogni momento), salvo il preavviso di 6 mesi”.

I patti parasociali nel codice civile
Art. 2341: (l’ordine è invertito rispetto al TUF: prima viene la durata, poi la pubblicità)

  • Bis: Durata dei patti: per le società non quotate, la durata è elevata a 5 anni, salvo le joint ventures. (Con esse, 2 soci, a loro volta società, svolgono una nuova attività. In questi casi si ritiene opportuno che il patto parasociale duri quanto la società, non solo 5 o 3 anni)
  • Ter: Pubblicità: vige anche qui la regola della trasparenza, ma, viste le minori esigenze di contendibilità di mercato per le società non quotate, non c’è nessun obbligo di pubblicità, tranne che per le società che fanno appello al capitale di rischio (c.d. società diffuse).

Che sanzioni ci sono in caso di violazioni?
La sanzione di nullità non esiste più, tanto abbiamo visto che è inutile, mentre sussiste l’inibizione del diritto di voto, solo qualora non sia stato rivelato il patto parasociale. Ovvero: prima di votare, si deve dichiarare che c’è un patto parasociale. La proibizione del diritto di voto dura per una assemblea.

Lezione pomeridiana
Torniamo a trattare dell’assemblea. L’ultimo argomento è quello delle deliberazioni assembleari valide.
Con la riforma questo tema è diventato molto complesso. Ci limiteremo ai tratti essenziali.
Esistono due tipi di delibere invalide (più una elaborata dalla giurisprudenza):

  1. nulle: prima della riforma, riguardavano unicamente i casi di oggetto impossibile o illecito.
  2. annullabili: prima della riforma, le delibere non conformi a quanto stabilito dallo statuto o dalla legge non erano nulle, ma solo annullabili! Ma la nullità è imprescrittibile, mentre l’annullabilità deve essere fatta valere entro 90 gg. In passato, quindi, anche una delibera nettamente invalida diventata inattaccabile dopo poco tempo. Questo ha portato la giurisprudenza ad inventare un terzo tipo di invalidità:
  3. la delibera inesistente: si ha se i vizi sono talmente gravi da dichiarare la delibera radicalmente nulla.

Fondamentalmente, però, rientravano nel terzo caso solo le delibere mai prese. C’era poi tutt’un’altra serie di casi difficili da giudicare: ad esempio, l’assemblea non regolarmente convocata; l’assemblea con soci non ammessi a votare etc. Il legislatore ha voluto eliminare lo stato di incertezza giuridica, introducendo un principio di tassatività delle cause di invalidità. Ne deriva una normativa assai complessa, piena di casi e sottocasi.
Oggi, come ieri, le delibere annullabili sono quelle non conformi alla legge o allo statuto, ma si è esplicitamente specificato che vi rientrano:

  • la partecipazione all’assemblea di soggetti non legittimati;
  • la prova di resistenza: i voti viziati sono invalidi, ma solo se permettono di raggiungere il quorum.
  • l’inesattezza del verbale: solo se questa inesattezza impedisce l’accertamento della correttezza del verbale stesso.

L’annullabilità può essere chiesta solo da:

  • i soci astenuti;
  • i soci dissenzienti;
  • i soci assenti;
  • gli amministratori;
  • i sindaci;
  • il consiglio di sorveglianza.

Non possono chiedere l’annullabilità i soci che hanno deliberato a favore.
Non tutti i soci sono legittimati all’impugnazione, ma almeno il 5% del capitale sociale o l’1%0 per le società che fanno ricorso al capitale di rischio.
I soci che non rappresentino le quantità di cui sopra, possono comunque chiede il risarcimento entro 90 gg.
Le delibere nulle.
Oggi si hanno in 3 casi:

  • oggetto impossibile o illecito: ad esempio, è ormai pacifico che l’approvazione di un bilancio falso non ha oggetto ma contenuto illecito, quindi è una delibera nulla.
  • mancata convocazione dell’assemblea;
  • mancanza del verbale.

Cosa ha di differente la nullità rispetto all’annullabilità? Può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse. Nel vecchio regime, la nullità era imprescrittibile, oggi il limite è di 3 anni.
Il termine per far valere la nullità, è, invece, di soli 90 gg. nei seguenti casi:

  • aumento/riduzione del capitale sociale;
  • emissione di obbligazioni.

L’invalidità del bilancio può essere fatta valere fino all’approvazione del bilancio successivo.
Amministrazione e controllo
Fino al 2003, il sistema tradizionale di governance si componeva di 2 organi:

  • il consiglio di amministrazione: organo gestorio;
  • il collegio sindacale: organo di controllo.

Questo controllo si è diviso dopo la riforma:

  • il controllo generale che è rimasto al collegio sindacale;
  • il controllo contabile, che nelle società chiuse può essere sempre assunto dal collegio sindacale o da altro soggetto. Nelle società aperte è obbligatorio.

Questo sistema è oggi chiamato “tradizionale”.
Al sistema tradizionale se ne aggiungono altri due:

  • dualistico, formato da:
    • il consiglio di sorveglianza: oltre a controllare, è anche l’organo che ha competenze proprie dell’assemblea;
    • il consiglio di gestione, simile al consiglio di amministrazione.
  • monistico: viene nominato un unico organo: solo il consiglio di amministrazione, al cui interno il controllo è esercitato da un comitato, di cui fanno parte soggetti del consiglio di amministrazione stesso.

Torniamo al sistema tradizionale. Può essere:

  • monocratico: amministratore unico
  • pluritario: consiglio di amministrazione; si possono poi avere al suo interno degli organi delegati: l’amministratore delegato (ancora monocratico: unico soggetto) oppure il comitato di gestione.

N.B. È importante la differenza tra:

  • potere di gestione: è il potere, meramente interno, di decidere quali operazioni realizzare
  • potere di rappresentanza (= avere la firma sociale): è il potere di impegnare la società verso i terzi, spendendone il nome.

Gli amministratori hanno entrambi i poteri.
Oltre a questi due fondamentali poteri, ne esistono altri:

  • legati alla convocazione dell’assemblea;
  • la custodia dei libri sociali;
  • l’esecuzione delle decisioni prese dai soci;
  • la prevenzione di atti pregiudizievoli per la società.

È ormai pacifico che questi poteri sono in capo agli amministratori non a titolo derivato, ma per legge: non derivano dall’assemblea (dalla quale gli amministratori sono autonomi).
La nomina degli amministratori

  • I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo, i successivi dall’assemblea ordinaria.
  • Durano in carica 3 esercizi e non si può prevedere un periodo più lungo.
  • Chiunque può essere nominato amministratore, se persona fisica.
  • Ci sono poi dei particolari requisiti di onorabilità, professionalità e dipendenza.
  • Non possono essere amministratori: l’interdetto, il fallito o l’inabilitato. Queste sono cause di ineleggibilità.
  • Ci sono poi cause di incompatibilità con alcune categorie speciali come i parlamentari e gli avvocati.

In passato potevano restare in carica 3 anni, ma non si capiva bene quando finisse il mandato, perché il bilancio d’esercizio non viene approvato l’1/1, e gli amministratori scadono con l’assemblea che approva il terzo bilancio. Come può finire, oggi, il mandato?

  • scadenza di termine;
  • revoca decisa dall’assemblea (essa è sovrana: può indire la revoca quando desidera, ma se non c’è giusta causa l’amministratore avrà diritto al risarcimento);
  • rinuncia (dimissioni);
  • decadenza (subentra una causa di ineleggibilità: ad esempio l’amministratore viene inabilitato);
  • morte.

Il legislatore si preoccupa che non ci siano momenti in cui la società rimane senza amministratori e pone in questo senso delle particolari regole:

  1. per quanto riguarda la scadenza c’è il regime della c.d. “prorogatio”: l’amministratore rimane in carica finché il nuovo non ha accettato il posto.
  2. per quanto riguarda le dimissioni, esse hanno effetto immediato solo se rimane in carica la maggioranza degli amministratori.
  3. In caso di morte ci sono regole particolari:
    • Se rimane in carica la maggioranza degli amministratori c’è l’istituto della “cooptazione”. Esempio: ci sono 5 amministratori, ne muoiono 2, gli altri 3 ne nominano altri 2. Questi rimangono in carica fino alla prima assemblea dei soci, che potrà decidere se confermarli o meno.
    • Se viene a mancare la maggioranza non si può cooptare, quindi quelli che restano devono convocare con urgenza l’assemblea perché provveda alla sostituzione.
    • Se muoiono tutti, sarà il collegio sindacale a convocare con urgenza l’assemblea e nel frattempo è il collegio stesso a provvedere agli atti di ordinaria amministrazione.

All’interno del consiglio di amministrazione possiamo avere degli amministratori delegati, il cui compenso è deciso non dall’assemblea, ma dal consiglio di amministrazione stesso, sentito il collegio. Al più l’assemblea può decidere un tetto complessivo.
Funzionamento del consiglio di amministrazione
Se l’amministratore non è unico, il consiglio decide collegialmente. Il metodo collegiale implica che si decida in una riunione, appositamente convocata. Nella convocazione ci sarà l’ordine del giorno e tutte le altre formalità tipiche anche dell’assemblea. Quali sono i quorum? (=1a convocazione assemblea ordinaria)

  • Quorum per la validità delle delibere: la maggioranza degli amministratori
  • Quorum deliberativo: la maggioranza dei presenti

Diversamente dall’assemblea si vota sempre per teste e non è ammessa la rappresentanza.
Possono essere impugnate le delibere che non sono conformi alla legge o allo statuto.
Chi sono i soggetti legittimati all’impugnazione?

  • Gli amministratori assenti o dissenzienti
  • Il collegio sindacale.

Si applica, inoltre, per quanto compatibile, quanto abbiamo visto per l’annullabilità.
Il conflitto di interessi
Prima della riforma, l’amministratore era in conflitto se i suoi interessi si scontravano con quelli della società (ad esempio, la società compra un immobile dell’amministratore). L’amministratore in conflitto non poteva votare, gli altri amministratori sì. Ora la norma non parla più di conflitto di interesse, ma dice che, se il socio ha un qualsiasi interesse in una determinata operazione, deve essere dichiarato, cioè deve rimanere agli atti, dopo di che si deve astenere dal voto solo se si tratta di un amministratore delegato.
Nella vecchia normativa, l’amministratore in conflitto di interessi che arrecava danno alla società era obbligato al risarcimento.
La nuova normativa ha aggiunto che l’amministratore è colpevole anche per quanto non ha fatto fare alla società: è il caso delle c.d. “corporate opportunities” (norma che scaturisce dagli scandali nelle partecipazioni statali): si tratta dell’ipotesi in cui l’amministratore, avendo avuto notizia di ottimi affari dalla società, invece di concluderli con essa, costituisce una società apposita per sfruttare tali opportunità.
Il potere di spendere il nome della società
Un contratto firmato dal presidente di una società, vincola solo questa. Il problema è quello della tutela dei terzi: che succede se un soggetto firma e poi si scopre che non aveva alcuna rappresentanza?
In passato la soluzione si basava su due regole:

  1. è inopponibile, ai terzi di buona fede, la mancanza di potere di rappresentanza dovuta ad invalidità dell’atto di nomina.
  2. eventuali limiti al potere di rappresentanza sono inopponibili ai terzi, a meno che non si provi che i terzi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. È quasi una probatio diabolica! Così di fatto non si limita tale rappresentanza.

Lezione 8: Il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale
Come può organizzarsi, al suo interno, il consiglio?

  • Unico amministratore
  • Più amministratori (consiglio di amministrazione).

Il consiglio di amministrazione può delegare alcune funzioni ai propri componenti. Questa delega può essere in favore di:

  • Comitato esecutivo (si crea un ulteriore organo collegiale)
  • Un organo monocratico (amministratore delegato).

Possono sussistere più organi collegiale e più amministratori.
Materie non delegabili

  • Emissione di obbligazioni convertibili
  • Aumento del capitale sociale
  • Adempimenti in caso di riduzione obbligatoria del capitale per perdite
  • Redazione del bilancio
  • Adempimenti in caso di fusione o scissione.

Il CDA è comunque un organo sovra-ordinato rispetto agli organi delegati, perciò può revocare i poteri ovvero decidere di prendere egli stesso la decisione.
Poteri-doveri degli organi delegati
Devono controllare che l’assetto amministrativo-contabile della società sia adeguato all’impresa e riferire al CDA nella sua interezza. Inoltre, almeno due volte l’anno, devono informare il collegio sindacale sull’andamento generale della gestione, sulla sua prevedibile evoluzione e sulle operazioni più rilevanti.
In tal modo si ha un continuo flusso informativo.
Poteri-doveri degli organi deleganti
Tali organi possono rinviare le decisioni e valutare l’adeguatezza dell’assetto amministrativo della società sulla base delle informazioni ricevute. Valutano, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione; hanno l’obbligo di agire in modo informato e di chiedere agli organi delegati di fornire informazioni relative alla gestione della società.
Responsabilità degli amministratori
Gli amministratori sono responsabili nei confronti di 3 soggetti:

  1. la società
  2. i creditori sociali
  3. i singoli soci o terzi

1. Responsabilità degli amministratori verso la società
Gli amministratori sono responsabili e tenuti al risarcimento del danno qualora non adempiano ai loro doveri imposti dalla legge o dallo statuto, con la diligenza richiesta dall’incarico e dalle loro specifiche competenze.
È necessario ricordare che si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Bisogna altresì valutare le specifiche competenze dell’amministratore.
Se è perito in un certo campo, la diligenza richiesta (in quel campo) è maggiore rispetto alla media.
Se gli amministratori sono più d’uno essi sono responsabili solidalmente per i danni causati colposamente.
L’amministratore che ritiene errate alcune scelte può liberarsi dalla responsabilità se ha fatto annotare, senza ritardo, il suo dissenso nel libro delle adunanze e se ne ha avvisato il presidente del consiglio sindacale.
Con la riforma, sono stati riconosciuti agli organi delegati specifici compiti, questo per differenziarli maggiormente dai deleganti e per aumentarne la responsabilità. Inoltre, è stato abrogato l’obbligo generale di vigilanza prima richiesto a tutti. Oggi vi è una maggiore distinzione tra organo delegante e delegato, con l’introduzione “dell’agire in modo informato” (vi è una maggiore delimitazione dei poteri). Non vi sono, tuttavia, sentenze al riguardo, vista la recente introduzione della norma.
L’azione di responsabilità è reiterata dall’assemblea ordinaria. L’azione sociale può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione della carica dell’amministratore.
Facciamo dei cenni storici sull’azione di responsabilità. Essa è stata introdotta nel ’42. L’azione di responsabilità doveva essere promossa dalla maggioranza. Per richiedere la sospensione dell’amministratore, tale decisione doveva essere presa con la presenza di almeno 1/5 del capitale sociale. Tale pratica è stata poco utilizzata. La maggior parte di queste operazioni è stata effettuata dagli organi fallimentari.
Alcune modifiche sono state apportate dalla c.d. “legge Draghi” del ’98 all’art. 109: l’azione di responsabilità può essere promossa anche da una minoranza qualificata.
2. Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali
La differenza è nei presupposti dell’azione; l’azione dei creditori sociali, infatti, può essere effettuata solo in due casi:

  1. inosservanza degli obblighi sulla conservazione/integrità del capitale;
  2. patrimonio sociale insufficiente al soddisfacimento dei crediti.

In caso di fallimento, il curatore fallimentare potrà proporre sia l’azione sociale, sia quella dei creditori sociali. L’azione sociale di responsabilità può essere transata (con reciproche concessioni). Esempio: i soci richiedono danni agli amministratori per mille miliardi di milioni di miliardi di euro. Gli amministratori verseranno 2,07 Euro per chiudere la pratica. Se l’azione della società viene transata, l’azione dei creditori viene bloccata, ma la gestione sarà comunque soggetta alle normali azioni revocatorie (se, invece, fallisce verrà revocata anche la transazione di 2,07 Euro). Fondamentalmente: meglio poco che niente! J
3. Responsabilità degli amministratori verso singoli soci o terzi
Requisiti (devono sussistere entrambi per attuare l’azione di responsabilità):

  • deve essere compiuto da parte dell’amministratore un atto illecito;
  • il danno deve essere diretto ai soci o ai terzi. Qualunque atto pregiudizievole al capitale sociale crea un danno al socio, ma questo danno non è da considerarsi diretto. Si ha danno diretto, secondo la giurisprudenza, solo nel caso in cui una falsa redazione del bilancio porti alla sottoscrizione di un aumento di capitale da parte del socio.

Il collegio sindacale
È un organo di controllo, ma, con la riforma, non più l’unico. La disciplina del ’42 dava al collegio sindacale molte (troppe) competenze, che sono diminuite dal 2003. Oggi si ha la separazione del controllo della gestione con l’introduzione del revisore contabile.
Nomina e composizione del collegio sindacale
Varia a seconda dei casi:

  • Società non quotate: si compone di 3 o 5 membri + 2 membri supplenti (intervengono, ad esempio, in caso di morte di un sindaco).
  • Società quotate: minimo 3, ma l’atto costitutivo può imporre un numero maggiore. 1 sindaco deve essere eletto dalla minoranza.

I sindaci sono nominati come gli amministratori: i primi sindaci in carica sono nominati nell’atto costitutivo, successivamente la nomina spetta all’assemblea ordinaria.
Ineleggibilità (requisiti d’indipendenza)

  • Coniuge, parenti e affini degli amministratori.
  • Dipendenti di società dello stesso gruppo.

Compenso

  • Predeterminato all’inizio del mandato e non può essere modificato.

Durata

  • 3 esercizi rieleggibili.
  • I sindaci scaduti restano in carica fino alla nomina dei successivi (prorogatio).

Revoca

  • Possono essere revocati per giusta causa
  • La delibera deve essere approvata dal tribunale
  • Chi, senza giustificato motivo, non assiste alle assemblee o a due riunioni consecutive decade.

Competenze

  • Controllo sull’amministrazione e sull’attività globalmente intesa (anche sul comportamento dei soci)
  • Il sindaco, dopo la riforma, non può più svolgere controllo contabile nelle società aperte e quotate.
  • Nelle società chiuse lo statuto può prevedere il controllo contabile da parte dei sindaci con possibilità di deroga.
  • Il controllo deve essere sintetico (non analitico = non ogni singola fattura) e per macrogruppi.

Delibere

  • Il collegio sindacale delibera a maggioranza assoluta dei presenti.
  • Può attivarsi anche su istanza dei soci (comunicazione di fatti censurabili).

Se una percentuale qualificata (5% nelle chiuse, 2% nelle aperte) denuncia fatti censurabili, il sindaco deve indagare e presentare le sue conclusioni all’assemblea.
Responsabilità

  • È simile a quella degli amministratori; è di due tipi:
    • Per fatto proprio (criterio residuale)
    • Per insufficiente controllo: il sindaco è responsabile in solido con l’amministratore nel caso in cui non abbia vigilato a sufficienza.

Lezione 9 Modificazione dello Statuto
L’atto costitutivo e lo Statuto devono avere un contenuto predeterminato e contenere tutta la regolamentazione della società. L’atto contiene solo i termini essenziali, mentre lo Statuto la regolamentazione dei rapporti tra i soci. Essi decidono l’insieme di regole e le inseriscono nello Statuto: le regole non sono immutabili. Vi sono norme per la modifica del capitale sociale, che deve essere approvata in assemblea straordinaria. Vengono determinati i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea straordinaria (possono essere rafforzati rispetto a quella ordinaria). Nell’assemblea straordinaria vi deve essere necessariamente un notaio che redige il verbale. Come per la costituzione, sino al 2000, in sede di modificazione dello Statuto vigeva l’omologa da parte del tribunale che doveva controllare la liceità della modifica. Vi possono essere anche clausole atipiche, ma la maggior parte delle clausole delle SPA devono essere imperative (controllo di legittimità). Dal 2000, il controllo di legalità viene compiuto direttamente dal notaio, la stessa cosa avviene anche in sede di modifica dello statuto. Notiamo una differenza in sede di costituzione: o il notaio considera legittimo l’atto o si apportano modifiche. Dopo di che:

  1. il notaio ritiene che la modifica sia corretta e provvede a comunicarlo presso il registro delle imprese.
  2. il notaio ritiene che non sia conforme alla legge, e provvede a comunicarlo agli amministratori, che, nei 30 giorni successivi, possono:
    1. riconvocare l’assemblea e deliberare in modo conforme a quanto esposto dal notaio;
    2. fare ricorso al tribunale per fargli decidere in merito alla legittimità dell’omologa.

Nella pratica il ricorso al notaio è poco sfruttato, in quanto non si ama molto avere interferenze nell’operato.
Fino al 2000 con l’omologazione vi era una griglia per conoscere i casi considerati leciti o non.
Oggi la situazione è un po’ più problematica, perché lasciata in mano ai notai. L’iter di modifica statutaria si conclude con la deliberazione di modifica che non produce effetti se non dopo l’iscrizione nel registro delle imprese; non può essere eseguita prima dell’iscrizione stessa.
La nuova normativa impone di depositare sempre tutto lo statuto con tutte le ultime modifiche.
Il diritto di recesso
Esso può essere legato alle modificazioni dello Statuto, in quanto, potendo la maggioranza modificarlo, la restante minoranza dissenziente avrà diritto di lasciare la società.
La riforma del 2003: casi di recesso
Si è passati dal sistema di recesso limitato a pochissimi casi (cambiamento dell’oggetto sociale, trasformazione della società, trasferimento della sede all’estero) in cui il recesso non veniva esercitato (a causa della disciplina rigida relativamente al valore della quota, per preservare l’integrità del capitale sociale).
In passato la quota doveva essere valutata a valori contabili (i controlli erano prudenziali e non effettivi), e risultava spesso minore di quella effettiva. Oggi, invece, quest’istituto è diventato più importante, perché il legislatore, se da una parte ha dato più poteri decisionali ai soci di maggioranza, dall’altra ha ampliato notevolmente le ipotesi di recesso; queste possono essere liberamente scelte dai soci; inoltre, la quota è a valori reali e non contabili. Nel c.c. del 1942 la tutela dei soci minori era soprattutto giudiziale (venivano annullati gli atti che danneggiavano i soci minori), ma era una tutela poco funzionante. Si è così deciso, soprattutto per le piccole imprese, di aumentare la difficoltà di attaccare gli atti della maggioranza, ma altresì di aumentare la possibilità di uscire dalla società. Con la nuova normativa, il socio può andarsene facendosi liquidare la quota a valori reali.
Le clausole del diritto di recesso
Esistono 3 tipi di clausole di recesso, ma non sono tassative come in passato.

  1. Clausole di recesso inderogabili: la legge prevede ipotesi di recesso che i soci non possono eliminare (le clausole contrarie sono nulle). Esse sono divise, a loro volta, come segue:
    1. Modifica dell’oggetto sociale (si specifica che può avvenire solo il cambiamento di significato, mentre prima bastava un piccolo cambiamento).
    2. Trasferimento della sede sociale all’estero.
    3. Revoca dello stato di liquidazione (prima si riteneva che in liquidazione i soci avessero diritto di ricevere la propria parte e si discuteva se la liquidazione potesse essere revocata: si poteva deciderlo solo all’unanimità; il diritto alle quote non era dell’assemblea ma di ogni singolo socio); ove in caso di liquidazione si possa deliberare la ripresa dell’attività, anche in maniera non unanime ma a maggioranza purché i soci dissenzienti possano recedere.
    4. Eliminazione di una o più clausole di recesso derogabili o previste dallo statuto (in caso di mutazione delle clausole di recesso è possibile decidere se recedere).
    5. Modificazione dello statuto concernenti il diritto di voto e partecipazione.
    6. Nelle società quotate possono recedere coloro che non hanno partecipato alla delibera.
  2. Clausole di recesso derogabili: lo Statuto può prevedere di eliminare queste clausole di legge:
    1. Proroga del termine di durata della società;
    2. Introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (per la giurisprudenza le clausole di prelazione sono lecite; per eliminarle è sufficiente la maggioranza, ma sussiste il diritto di recesso);
    3. Clausole di recesso che si ritengono più idonee (possono attuare tali modifiche le società che fanno appello al capitale di rischio);
    4. Società contratta a tempo determinato (prima si faceva riferimento solo al tempo determinato, ora anche a quello indeterminato, ma con diritto di recesso ad nutum + preavviso di 180 giorni, estendibili fino ad un anno).
  3. Clausole di recesso statutarie: si può decidere di recedere quando si vuole, sono clausole libere.

Procedimento di recesso
Il diritto di recesso deve essere esercitato facendo pervenire alla società una lettera raccomandata entro il termine di 15 gg. dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che legittima il recesso. Il termine è di 30 gg. se il motivo del recesso non è una delibera. In quest’ultimo caso, il termine inizia dal momento della conoscenza del fatto che legittima il recesso. Le azioni del socio che decide di recedere devono essere depositate presso la società e non più cedute (la società le deve rimborsare al valore reale).
Se la società non ha i soldi, può sottrarsi all’obbligo di rimborso se delibera il suo scioglimento.
Nella vecchia disciplina, le quote venivano rimborsate al valore contabile; è oggi stabilito che il valore delle azioni è deliberato dagli amministratori, tenendo conto della consistenza societaria del patrimonio, delle prospettive reddituali e dell’eventuale valore di mercato delle azioni (previo parere dei sindaci, ex art. 2437 ter). Metodo per la valutazione è il cash flow. Con la riforma la valutazione societaria non è più a valori contabili ma a valori reali per le società non quotate, mentre per le quotate è un valore certo.
Modificazioni aumentative o diminutive del capitale sociale
Per quanto riguarda le modificazioni aumentative, esse possono essere reali o nominali:

  • si ha un aumento reale mediante nuovi conferimenti (così come si ha una diminuzione reale mediante la restituzione ai soci dei conferimenti);
  • lasciando a riserva gli utili si ha un aumento nominale (mentre la riduzione nominale si ha con le perdite).

Con l’aumento di capitale si emettono nuove azioni.
Si ha un aumento di capitale reale se a fronte dei nuovi mezzi apportati vengono emesse nuove azioni (non devono essere interamente liberate; il 25% viene liberato ed il 75% rimane un credito della società verso i soci). Il legislatore, con la riforma, ha voluto impedire che rimanessero aperte troppe posizioni creditorie. Oggi per l’aumento viene richiesto che il capitale previamente sottoscritto vada interamente versato e quindi le azioni interamente liberate. Nella nuova normativa si può deliberare, ma non si può esperire senza che tutti i decimi delle azioni già emesse siano liberati. In caso contrario si crede che l’aumento sia valido ma non vi è responsabilità in capo agli amministratori. È competente l’assemblea straordinaria dei soci, ma vi è una deroga, cioè lo statuto stabilisce che gli amministratori possono deliberare l’aumento reale del capitale sociale (tramite apposite clausole), predeterminando l’ammontare massimo entro cui gli amministratori possono aumentare il capitale sociale. La delega può essere concessa per un periodo massimo di 5 anni.
La delega è rinnovabile dall’assemblea straordinaria.
Per la delibera nelle assemblee straordinarie e nel Consiglio di Amministrazione è necessario un notaio: non è sufficiente una delibera del CDA stesso.
È infine stabilito che anche gli amministratori possono limitare il diritto di opzione, purché lo Statuto indichi in modo preciso come questo debba avvenire.
Sia l’aumento deliberato dall’assemblea, sia quello deliberato dagli amministratori deve avere un termine non inferiore a 30 giorni per la sottoscrizione delle nuove azioni. Con gli aumenti reali il patrimonio si incrementa davvero. Lo Statuto poteva concedere questo potere anche al CDA: se veniva deliberato l’aumento vi era la possibilità di sottoscrivere le azioni.
L’aumento può essere deliberato come scindibile o inscindibile: se non scriviamo niente l’aumento è inscindibile; per considerarsi scindibile è necessario che questa caratteristica sia espressamente enunciata in delibera.
Con l’aumento scindibile si può perfezionare anche una sottoscrizione parziale dell’aumento stesso (es.: aumento di capitale da 1 a 2 milioni; i terzi possono sottoscrivere 1 milione. Dopo 30 gg. è stato sottoscritto solo per 550 mila. Nel caso dell’aumento scindibile il capitale verrà aumentato di tale quota, nel caso dell’inscindibile, considerando che non si è raggiunta la quota, non vi sarà alcuna aumento di capitale).

 

Il diritto d’opzione
Per i beni in natura è necessario seguire l’iter di costituzione; per il denaro basta versare il 25%, ma in ogni momento gli amministratori possono richiedere il restante 75; il sovrapprezzo, invece, si versa tutto.
Quando si delibera l’aumento del capitale a pagamento si può esercitare il c.d. diritto d’opzione, cioè il diritto dei soci attuali di essere preferiti a terzi. Il diritto di opzione lascia inalterate le quote di partecipazione dei soci. Abbiamo qui due funzioni:

  • Funzione amministrativa: mantenere le stesse proporzioni relativamente al diritto di voto;
  • Funzione patrimoniale: mantenere pro-quote tra i soci le riserve medio-tempore accumulate.

Il diritto di opzione ha un elevato valore economico, ma non è totalmente intangibile: spetta a tutti i soci di qualunque categoria e ai possessori di obbligazioni convertibili. Può essere esercitato, come minimo, entro 30 giorni. Particolari regole ci sono per le azioni inoptate (non tutti sottoscrivono l’opzione): se l’azione non è quotata i soci che hanno esercitato il diritto d’opzione hanno il diritto di prelazione sulle azioni non optate purché ne abbiano fatto richiesta al momento dell’esercizio dell’opzione.
Se le azioni sono quotate i diritti di opzione residui devono essere offerti in borsa per conto della società e l’eventuale ricavato delle vendite andrà ad incrementare il patrimonio sociale. Le azioni possono essere ricollocate fra i compratori dagli amministratori.
Il diritto d’opzione è escluso per legge quando le azioni devono essere liberate da un bene in natura.
La norma generale prevede che il diritto d’opzione possa essere escluso o limitato quando l’interesse della società lo esiga. L’assemblea che delibera l’aumento deve rappresentare la metà del capitale sociale.
Lo “stock option plan” è la limitazione del diritto d’opzione quando le azioni sono offerte ai dipendenti, diffusissime fino al 2000. I piani fatti per incentivare i dipendenti hanno vantaggi fiscali notevoli, in quanto tassati con aliquota fissa del 12,5%.
Qualora venga limitato il diritto di opzione sarà obbligatorio emettere le azioni con sovrapprezzo. La società può avere un margine di discrezionalità sul sovrapprezzo, con riferimento al patrimonio netto o all’andamento di mercato.
Regole per l’aumento del capitale nominale
Non determina alcun tipo di aumento del patrimonio netto delle società. Si imputano al capitale sociale delle riserve, che devono essere disponibili. Non può essere imputata a capitale la riserva legale.
La riserva è liberamente disponibile dall’assemblea ordinaria, mentre per un eventuale rimborso è necessario una delibera dell’assemblea straordinaria. Le azioni sono assegnate ai soci gratuitamente purché non si alterino le funzioni amministrative e patrimoniali citate prima.
Diminuzione del capitale sociale
Esistono due tipi di diminuzione:

  1. diminuzione reale: effettiva restituzione ai soci dei conferimenti.
  2. diminuzione nominale: riduzione del capitale per perdite. Nel caso di perdite, infatti, il patrimonio è già ridotto, ma bisogna fare corrispondere il capitale nominale con quello effettivo.

Regole per la riduzione reale
La riduzione reale, prima del 2003, era alquanto difficile perché era possibile solo per esuberanza rispetto alle esigenze societarie. Oggi si possono rimborsare i conferimenti anche senza dimostrare un’esuberanza.
Vi sono, tuttavia, cautele nei confronti dei terzi: non si può andare oltre i limiti legali (120.000€ per SPA, in passato erano 100.000 ma non vi è l’obbligo di adeguamento, 10.000€ per le SRL). La delibera della riduzione non è direttamente esecutiva mediante la sola iscrizione nel registro: si debbono aspettare 3 mesi dal deposito. I creditori possono fare opposizione ad essa, interrompendo l’esecuzione della delibera. Il tribunale può anche disporre che la riduzione si faccia in presenza di un’opposizione, purché la società conceda garanzie di pagamento ai creditori legittimi.
Si possono liberare i soci dai conferimenti dovuti alla società per affrontare le perdite oppure possono essere estratte a sorte le azioni che poi verranno rimborsate; l’importante è che vi sia parità di trattamento fra gli azionisti. Sono state create le azioni di godimento proprio per questo: quando un azionista viene estratto, gli viene rimborsato il valore nominale della sua azione e gli viene data l’azione di godimento.
Le azioni di godimento hanno 2 caratteristiche:

  1. diritto di ricevere dividendo quando alle altre azioni è stato dato un saggio di interesse legale sul valore nominale.
  2. in caso di scioglimento prima viene rimborsato il valore nominale agli altri soci e poi l’eventuale eccedenza viene data ai titolari delle azioni di godimento.

Riduzione del capitale per perdite
È una riduzione nominale: non si rimborsa alcunché, solamente si fa in modo che il capitale nominale si allinei nuovamente al capitale reale. Esistono, inoltre, 2 sottospecie:

  • Riduzioni di capitale obbligatorie: se la perdita intacca il minimo legale, la riduzione è obbligatoria quando le perdite erodono il capitale sociale per oltre 1/3. Il termine di rapporto è, ovviamente, il capitale nominale (tecnicamente: il patrimonio netto è inferiore di oltre 1/3 del capitale sociale; dove il patrimonio netto reale = capitale sociale + riserve - perdite)
  • Riduzione di capitale facoltative: non c’è nessun obbligo di legge, ma i soci possono, comunque, optare per la riduzione. Motivi per la riduzione facoltativa:
    • Non si possono distribuire utili qualora vi siano perdite che erodono il capitale.
    • Non si possono emettere azioni sotto la pari.

Art. 2446 (aggiornato). (Riduzione del capitale per perdite). - Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. All’assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l’assemblea, perché i soci possano prenderne visione. Nell’assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione.
Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.
Nel caso in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione. Si applica in tal caso l’articolo 2436.
Art. 2447 Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale (sostanzialmente immutato)
Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al di sotto del minimo stabilito dall'art. 2327 (120.000 per le SPA; 10.000 per le SRL), gli amministratori devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.
In caso non si provveda ad operare seguendo uno dei due articoli di cui sopra, la società entra in stato di liquidazione e gli amministratori che non hanno operato regolarmente sono personalmente responsabili.
Nella pratica, per evitare di applicare tali articoli, e di pagare il notaio e sostenere i costi per l’assemblea straordinaria, si utilizzano dei versamenti a fondo perduto: soldi che i soci mettono nella società senza diritto di restituzione. Il versamento deve essere effettuato entro la chiusura del bilancio, per contrastare le perdite.
È possibile aumentare il capitale sociale senza coprire le perdite? Secondo la giurisprudenza non è possibile, perché, se la perdita superava un terzo del capitale, aumentando il capitale stesso, essa potrebbe non superare ancora quel limite e si riuscirebbero ad eludere gli articoli sopra esposti. È stato, inoltre, stabilito che non è possibile nemmeno rivalutare i beni in bilancio a tale scopo, salvo che sulla base di leggi speciali.
I controlli della società
Il controllo contabile, non presente nel codice del ’42, è stato introdotto con la mini riforma del 1974, poiché gli strumenti di controllo interno non bastavano e si erano voluti creare dei meccanismi di controllo esterno.
La Consob controlla le società quotate. Insieme a tale controllo vi è il “controllo legale dei conti”, confermato con la riforma del ’98, oggi utilizzato per tutti i tipi di società.
Perché il controllo contabile è per tutti? Perché, secondo il codice del ’42 doveva esser svolto dal Collegio Sindacale, che, però, era particolarmente inefficiente ed inefficace.
Esistono 3 tipi di regimi:

  1. Per le società chiuse: nelle società che non fanno ricorso al mercato di rischio, il controllo contabile è esercitato da un revisore contabile, che può essere sia una persona fisica sia una società di revisione, comunque iscritto nel registro dei revisori contabili, tenuto presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Tuttavia, se la società non è tenuta alla redazione del bilancio consolidato, lo Statuto può affidare le funzioni di controllo contabile al Collegio Sindacale (per le società di medie dimensioni soprattutto, dove il collegio sindacale può essere costituito da revisori contabili).
  2. Per le società diffuse (aperte ma non quotate): il controllo contabile può essere eseguito soltanto da una società di revisori contabili iscritta nel registro dei revisori, non da una persona fisica.
  3. Per le società quotate: l’attività di revisione deve essere affidata ad una società di revisione iscritta ad un apposito albo tenuto dalla Consob. La società di revisione può essere sia una società di capitali, sia una società di persone e deve avere un oggetto sociale limitato ad un’attività di revisione contabile. I componenti devono avere requisiti di onorabilità e professionalità e sono essi stessi soggetti ai controlli della Consob. Il primo revisore viene nominato nell’atto costitutivo insieme ai sindaci e agli amministratori; il potere di nomina è dell’assemblea dei soci per i successivi incarichi. Si applicano le cause di ineleggibilità e incompatibilità previste per i sindaci.

Sempre per le società quotate, esistono regole restrittive: l’assemblea ordinaria, in sede di approvazione di bilancio, deve nominare il revisore; qualora questo non accada, sarà la Consob a provvedervi.
L’incarico dura 3 esercizi. Il mandato non può durare più di 2 volte consecutive.
L’allontanamento del revisore può esservi solo per giusta causa, sentito il Collegio Sindacale; la revoca deve essere, inoltre, confermata dal Tribunale, che dovrà anche interpellare il revisore stesso.
Le funzioni del revisore
Il revisore deve verificare la correttezza delle tenute contabili, nonché esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e su quello consolidato. Vediamo i giudizi del revisore:

  • Senza rilievi: secondo il revisore non ci sono problemi.
  • Con rilievi: il revisore esprime dei pareri su singole incertezze o lievi inadempienze, che verranno corrette dai soci.
  • Giudizio negativo: la contabilità non è veritiera ed il bilancio non rispecchia la realtà.
  • Il revisore non ha potuto esprimere un giudizio.

Negli ultimi 3 casi, la società deve dar conto dei motivi, e se è quotata deve essere fatto presente alla Consob.
Deve sussistere una stretta collaborazione tra revisori, sindaci e amministratori, che si identifica con la consegna e gli scambi, reciproci e tempestivi, di documenti. Il revisore redige il libro dei revisori.
Nelle società quotate, il revisore deve informare la Consob degli atti pregiudizievoli, in caso contrario incorre in responsabilità:

  • Diretta: per mancanze od omissioni nel lavoro;
  • Mediata: per non aver controllato gli errori fatti dagli altri.

Questo è il sistema tradizionale (amm.ri, revisori, sindaci), ed è adottato in Italia dal 99% delle società.
Sistemi alternativi

  • Il sistema Dualistico: tipicamente tedesco. Vede 3 organi:
  • il revisore contabile;
  • il consiglio di gestione (in luogo degli amministratori);
  • il consiglio di sorveglianza: ha le stesse competenze del Collegio sindacale (cioè ha funzione di controllo) ma ha altresì funzioni proprie dell’assemblea, quali la nomina/revoca degli amministratori e l’approvazione del bilancio.
  • Il sistema Monistico: tipicamente anglosassone. Ne riparleremo in seguito.

Nel silenzio dello Statuto vale il sistema tradizionale, se i soci vogliono adottare altri metodi lo devono specificare.

Lezione 10 Amministrazione e controllo delle SPA
Fino al 2003 c’era il sistema tradizionale rappresentato da consiglio di amministrazione e collegio sindacale. Oggi esistono anche, come già spesso anticipato, il sistema monistico e quello dualistico.
Nel sistema dualistico c’è sempre una bipartizione degli organi, ma le differenze più ampie si trovano nel consiglio di sorveglianza, che, accanto ai poteri tipici del collegio sindacale, ha altri poteri tipici dell’assemblea, quali l’approvazione del bilancio e la nomina degli amministratori.
Vediamo nel dettaglio il consiglio di sorveglianza. I suoi componenti possono essere soci. Vigono le stesse regole del collegio: i componenti devono essere almeno 3. Come per i sindaci, i primi vengono eletti costitutivamente, ed in seguito dai soci. Almeno un componente deve essere iscritto all’albo dei revisori.
Sempre con un parallelo sui sindaci: gli amministratori sono ineleggibili nel consiglio di sorveglianza, in quanto non può essere nominato controllore il controllato. Il mandato è sempre triennale al massimo (nulla impedisce che sia inferiore). Sono poi liberamente revocabili da parte dell’assemblea, se manca la giusta causa, però, potranno pretendere il risarcimento del danno. Quali sono le competenze del consiglio di sorveglianza?
Esso può proporre denunzia al tribunale ex art. 2409, mediante un particolare procedimento: se ci sono gravi irregolarità della gestione, queste possono essere denunciate al tribunale che verificherà se la gestione è regolare o meno e potrà prendere opportuni provvedimenti. Ci torneremo in seguito più precisamente.
I poteri propri dell’assemblea sono:

  1. nomina e revoca degli amministratori (= componenti del consiglio di gestione)
  2. stabiliscono il loro compenso (ma è una norma derogabile: si può prevedere che sia l’assemblea a quantificare il compenso stesso)
  3. approvazione del bilancio (consiglio di sorveglianza può) e decisione in merito all’uso dell’eventuale utile.

Nel caso in cui il consiglio di sorveglianza non approvi il bilancio la competenza ripassa ai soci.
Per quanto riguarda il profilo delle responsabilità, nel consiglio di sorveglianza si hanno le stesse dei sindaci:

  1. diretta: sono direttamente responsabili se non adempiono ai doveri a loro imposti dalla legge.
  2. indiretta o legata al comportamento degli amministratori: se un componente compie un atto pregiudizievole per la società è responsabile anche il consiglio di sorveglianza per gli eventuali danni che si siano prodotti a causa del suo mancato controllo. Se si dimostra che i danni sono dovuti al mancato controllo del consiglio di sorveglianza, esso è responsabile in solido in quanto non hanno controllato.

I doveri sono quelli propri del consiglio sindacale o degli amministratori: la diligenza per l’incarico che essi ricoprono. Il consiglio di sorveglianza è comunque un organo collegiale: le decisioni non possono essere prese disgiuntamente, è necessaria una riunione (stesse regole relative alle delibere del consiglio di amministrazione).
Ci si è chiesti se questa disciplina del sistema dualistico possa avere un concreto utilizzo nella pratica. Come dato comparatistico, possiamo dire che nella vicina Francia, dove c’è un sistema analogo, in realtà, le società che hanno adottato il sistema dualistico non arrivano al 3% (e sono società di grandi dimensioni).
Si ritiene che anche nel nostro Paese questo modello non prenderà molto piede, perché crea una fortissima dissociazione tra proprietà e controllo.
In Italia, le public company di fatto non esistono. Il capitalismo italiano è quasi sempre in mano a poche famiglie e digerisce male che un soggetto terzo interferisca tra soci e amministratori, quindi è presumibile che il sistema verrà poco utilizzato.
Il sistema monistico
Non ci sono due organi (consiglio di sorveglianza e di gestione), qui c’è solo il consiglio di amministrazione. Chi controlla allora l’operato degli amministratori? Gli amministratori stessi, ed in particolare dal comitato per il controllo della gestione. Il controllo contabile è affidato ad un soggetto esterno.
Come si differenzia rispetto agli altri due sistemi?
Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione, valgono le stesse regole del tradizionale. L’unica differenza è che all’interno il consiglio sceglie dei componenti per il comitato di controllo, quindi è necessario che almeno 1/3 dei componenti del consiglio di amministrazione abbiano gli stessi requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci (cfr. pag. 25). Il consiglio di amministrazione sceglie al suo interno i soggetti che hanno i requisiti di indipendenza di cui sopra. Per quanto riguarda le funzioni, il comitato di controllo svolge quelle proprie del collegio sindacale, con le stesse normative. Anche il comitato di controllo è un organo collegiale, per questo è necessario nominare un presidente dell’organo, come per il sindacale.
Anche qui ci si è chiesti se questo sistema di fatto funzionerà in Italia o meno. Il punto critico qui è ovviamente l’effettiva indipendenza dei componenti del comitato, perché sono di fatto eletti da coloro che dovranno controllare. Dal punto di vista teorico, chi si è occupato della cosa, ha ritenuto che probabilmente questo sistema potrebbe avere uno sviluppo maggiore, a prescindere dalla dimensione della società. Si sono trovati 3 motivi di successo di questo modello:

  1. il sistema monistico porta un risparmio in termini di costi: ci sono meno organi.
  2. il secondo motivo riguarda la migliore circolazione delle informazioni.
  3. essendoci una maggiore qualità di informazioni, il comportamento è più conscio.

La denuncia ex art. 2409
C’è una forte immistione di un soggetto pubblico terzo (il tribunale) nei fatti della società. Questo crea dei problemi di carattere di politica del diritto, perché sottende ad un intrusione pubblica all’interno dell’impresa.
Art. 2409 Denunzia al tribunale (vecchia normativa) (sostanzialmente immutato)
Se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale.
Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare (att. 103) l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione (Cod. Proc. Civ. 119).
Se le irregolarità denunziate sussistono, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti cautelari e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata (2636).
L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci.
Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società (2636).
I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del pubblico ministero, e in questo caso le spese per l'ispezione sono a carico della società (2488; att. 103, 209).
L’ambito applicativo di questa norma si è ristretto oggi (è una legge nata nel ’42 utilizzata per tangentopoli).
Si è voluto creare una percentuale mobile, e per le società che usano capitale di rischio, si è abbassata.
Nelle società aperte, la percentuale scende al 5% (1/20). Ma nelle società di grandi dimensioni è comunque molto ampia, quindi nello statuto può essere prevista una quota ancora minore.
La ratio del legislatore è quella di dare in mano ai soci il potere di contemperare i propri interessi.
I lati negativi della norma sono: quando si può azionare la denunzia? Devono esservi gravi irregolarità nella gestione, e questo conferma la vecchia norma. Si è però aggiunto “che possano arrecare danno alla società, e questa norma è stata molto criticata, perché questo inciso restringe moltissimo l’ambito applicativo.
Ad esempio: se un amministratore ruba soldi dalla cassa, il 2409 si applica sicuramente. Ma le irregolarità informative? Se gli amministratori non danno informazioni ai soci o non depositano i documenti prima dell’approvazione del bilancio, o non convocano tutti i soci, questi fatti comportano danni ai soci ma non alla società.
Oggi il PM ha la possibilità di denunciare le gravi irregolarità, ma può farlo solo per le società aperte, mentre per le chiuse, che sono la maggioranza, questo potere non esiste più. Ultimo punto importante è il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza.
La nuova norma (non citata sopra) specifica che tutta “la denuncia viene sospesa se vengono sostituiti amministratori e sindaci. La ratio è semplice, nel senso che la denuncia ha il presupposto che le gravi irregolarità debbano essere attuali, cioè il tribunale interviene per sistemare situazioni attualmente irregolari, (non quelle irregolari 3 anni prima ed oggi regolari).
Però la norma potrebbe vedersi come: “cambio gli amministratori, metto dei nuovi che fanno le stesse cose, intanto il procedimento è bloccato”. Chiariamo ora l’ultima parte dell’art. 2409.
In casi di particolare gravità il tribunale può revocare direttamente gli amministratori e, solo eventualmente, anche i sindaci, e nominare un amministratore giudiziario.
Solo nei casi più gravi può essere nominato l’amministratore giudiziario, che ha un potere importante: proporre un’azione di responsabilità contro gli amministratori.
Come si chiude la procedura una volta che la situazione è tornata normale? L’amministratore giudiziario deve dare conto di quanto avvenuto e convocare l’assemblea perché possa prendere le decisioni più opportune, quali la continuazione del normale ciclo dell’attività (con nuova nomina di amministratori e sindaci) ovvero la liquidazione della società (scioglimento) ovvero chiedere l’ammissione alla procedura concorsuale (es.: fallimento).

Lezione pomeridiana: le obbligazioni
Prima della riforma del 2003 la SPA era l’unica a poter emettere obbligazioni. Oggi questa possibilità è concessa anche alla SRL, anche se cambia il loro nome: “titoli di debito”. La struttura è pressoché la stessa.
Oggi, però, trattiamo solo delle obbligazioni. Esse non possono essere emesse dalle società di persone.
Le obbligazioni sono titoli di credito debitori standardizzati che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di una unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo (dove per mutuo intendiamo prestito).
Un titolo di credito è un pezzo di carta che incorpora un particolare diritto. Perché si emettono? Per facilitare la circolazione di quel diritto. Persino le banconote sono titoli di credito (in quanto nate convertibili in oro).
Come tutti i titoli di credito, anche le obbligazioni possono essere nominative o al portatore (come avevamo già visto parlando delle azioni), cioè trasferibili rispettivamente mediante girata (è necessario che il nome del soggetto sia scritto sia sul titolo, sia su un apposito registro chiamato “libro degli obbligazionisti” dell’emittente) oppure brevi mani.
La differenza tra azionista ed obbligazionista sta nella differenza che intercorre tra i titoli di debito ed i titoli di rischio: uno è capitale di prestito (obbligazione) l’altro capitale di rischio (l’azione).
Mentre con le azioni si hanno diritto di voto e diritto agli utili, con l’obbligazione si hanno:

  1. interessi
  2. rimborso del capitale alla scadenza

L’obbligazionista non assume rischio d’impresa in senso lato, cioè non teme il rischio di perdite o di erosione del capitale, ma solo di fallimento.
Bisogna tenere presente che la distinzione tra obbligazione e azione è meno netta con la riforma del 2003: il legislatore lascia ai privati l’opportunità di modellare i titoli, fino a non poterle distinguere nettamente.
Le obbligazioni partecipanti
La loro particolarità è che la remunerazione non è fissa, ma varia a seconda dell’andamento degli utili della società. Sotto il profilo della remunerazione, quindi, si avvicinano molto all’azione.
Le obbligazioni indicizzate
Il tasso d’interesse non è fisso, ma non è nemmeno legato all’utile o alla perdita, bensì ai tassi di riferimento comunemente conosciuti, che variano ogni giorno, quali l’Euribor (cioè il tasso di sconto della BCE 3 mesi).
Se il tasso d’interesse è del 3% e l’inflazione è del 4% perdo in realtà 1%; per evitare questi fenomeni inflazionistici si emettono le obbligazioni indicizzate.
Le obbligazioni convertibili in azioni
Sono le uniche espressamente regolamentate. C’è un diritto potestativo dell’obbligazionista, che può esercitare in determinate finestre temporali, di trasformare l’obbligazione in azione della stessa società emittente (procedimento diretto) ovvero di una società diversa (procedimento indiretto).
Le obbligazioni cum warrant
Il warrant è un’opzione di comprare, a determinate condizioni, delle azioni di una società. La differenza rispetto alle convertibili è che con esse si utilizza il denaro dell’obbligazione per trasformarle in azioni (quindi si perde la qualità di obbligazionista e si acquista quella di azionista). Con il warrant, invece, si ha il diritto di comprare azioni ma si resta anche obbligazionisti.
Le obbligazioni subordinate
Con le obbligazioni subordinate, in caso di liquidazione volontaria o procedura concorsuale, gli obbligazionisti subordinati vengono soddisfatti dopo i creditori, ma prima degli azionisti.
Gli strumenti partecipativi
Sono strumenti che prevedono una libera privata organizzazione delle obbligazioni e delle azioni, secondo criteri flessibili, che avvicinano di molto l’obbligazione all’azione.
Il procedimento di emissione
Uno dei punti più importanti su cui ha agito la riforma riguarda i limiti delle emissioni. Nella regolamentazione del ’42 era molto tutelato il ricorso alle obbligazioni ed il limite era quello del capitale versato ed esistente: non potevano essere emesse obbligazioni per una somma eccedente il capitale versato ed esistente (cioè non quello eroso dalle perdite), risultante dall’ultimo bilancio.
Oggi le obbligazioni possono essere emesse per una somma non eccedente il doppio del capitale sociale (si intende quello sottoscritto), della riserva legale e delle altre riserve disponibili.
Possono sussistere, inoltre, ulteriori  casi in cui è possibile travalicare questo limite: se le obbligazioni sono sottoscritte da investitori istituzionali. A sua volta l’investitore istituzionale può cedere le obbligazioni ad altri:

  1. se vengono cedute ad altri investitori istituzionali non ci sono problemi.
  2. se vengono cedute presso il pubblico, l’investitore istituzionale deve garantirne la solvibilità.

È questa la ragione per cui i Bond Cirio e Parmalat erano state emessi in Lussemburgo ed Olanda, dove non vige questa seconda regola.
In Italia, si possono emettere obbligazioni superiori al limite se garantite da ipoteche di primo grado su beni immobili di proprietà della società, sino ai due terzi del valore di bilancio degli immobili.
Il legislatore ha chiarito un punto molto discusso nel precedente regime: cosa succede se nel patrimonio della società ci sono immobili ed il loro valore eccede il limite generale del doppio del capitale della società?
Qualora ricorrano particolari ragioni per l’interesse nazionale, il governo può, con suo decreto, decidere che questi limiti vengano ulteriormente superati.
Esistono 2 ulteriori eccezioni, in cui non vi è nessun limite.

  1. per le società quotate, ove anche le obbligazioni vengano a loro volta quotate.
  2. per le società bancarie.

Il legislatore si preoccupa che permanga il corretto rapporto obbligazioni/capitale durante tutta la vita del prestito obbligazionario: è stabilito che la società non può rimborsare capitale o distribuire riserve, se tale distribuzione intacca il limite di cui abbiamo detto.
Ma se si deve ridurre il capitale per perdite, o se le perdite intaccano le riserve, di fatto si sfora il limite.
Il legislatore, visto che ormai le perdite ci sono e la garanzia patrimoniale è erosa, tutela così il risparmiatore: finché le riserve non sono ricreate, non si possono distribuire utili.
Due sono le novità della riforma: 1. I limiti sono stati innalzati. 2. Soggetti che emettono obbligazioni: nella precedente disciplina era l’assemblea straordinaria, mentre nell’attuale disciplina tale competenza è passata agli amministratori. La struttura finanziaria della società non è, quindi, più decisa dall’assemblea ma dagli amministratori. Esistono particolari cautele, tuttavia, poiché il verbale deve essere redatto dal notaio, che è obbligato a controllare (come in passato faceva il tribunale) che il prestito sia conforme alla legge.
Eseguito questo controllo, chiede l’iscrizione nel registro delle imprese. Il libro delle obbligazioni deve registrare tutti i dati relativi al prestito obbligazionario (quante sono, come sono, di chi sono etc.).
Per quanto riguarda le obbligazioni convertibili, c’è una particolare disciplina nel cod. civ. (mentre per le altre c’è piena autonomia delle parti). Regole da rispettare sono dettate dall’art. 2420 BIS, che, praticamente, somma le cautele dell’emissione delle azioni con le cautele dell’emissione delle obbligazioni.
Ripetiamo: le obbligazioni convertibili sono obbligazioni che danno il diritto potestativo (cioè del solo obbligazionista) di convertire l’obbligazione in azioni, che possono essere della stessa società ovvero di altre società. Con il c.d. procedimento indiretto si convertono in azioni di altre società, e per farlo bisogna detenere in portafoglio azioni di altre società (ma non ci sono particolari necessità di tutela).
Nel caso del procedimento diretto, invece, la normativa detta una seria di regole:
Art. 2420 bis Obbligazioni convertibili in azioni (immutato)
L'assemblea straordinaria può deliberare l'emissione di obbligazioni convertibili in azioni, determinando il rapporto di cambio e il periodo e le modalità della conversione. La deliberazione non può essere adottata se il capitale sociale non sia stato interamente versato.
Contestualmente la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente al valore nominale delle azioni da attribuire in conversione.
Le obbligazioni convertibili non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale. Questo implica che non possono essere emesse azioni sotto la pari, ma solo sopra (in alcuni casi obbligatoriamente).
Nel vecchio codice civile si doveva avere tanto capitale quanto conferito, mentre oggi 100 di conferimento può corrispondere persino a 200 di capitale.
Nel primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti gli obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente. Entro il mese successivo gli amministratori devono (2620) depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle azioni emesse. Si applica la disposizione del secondo comma dell'art. 2444.
Fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, la società non può deliberare né la riduzione del capitale esuberante, né la modificazione delle disposizioni dell'atto costitutivo concernenti la ripartizione degli utili, salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, mediante avviso pubblicato nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata almeno tre mesi prima della convocazione dell'assemblea, di esercitare il diritto di conversione nel termine di un mese dalla pubblicazione.
Nei casi di aumento del capitale mediante imputazione di riserve e di riduzione del capitale per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla misura dell'aumento o della riduzione.
Le obbligazioni convertibili in azioni devono indicare in aggiunta a quanto stabilito nell'art. 2413, il rapporto di cambio e le modalità della conversione.
Come anticipato, l’atto costitutivo oggi, stabilito un termine temporale e quantitativo, può concedere agli amministratori il diritto di emettere obbligazioni. Le obbligazioni convertibili devono essere convertite secondo un determinato rapporto di cambio, nonché rispetto a certe finestre temporali.
Il prestito rimane pendente e viene sottoscritto a mano a mano che si converte. Facciamo un esempio pratico.
Oggi 2004 emetto un prestito obbligazionario convertibile, che dura fino al 2010 e dal 2006 al 2010 ogni obbligazionista può usufruire della conversione. Nel momento della conversione è come se gli obbligazionisti sottoscrivessero le azioni, rinunciando all’obbligazione.
Gli aumenti di capitale possono essere nominali: conversioni di riserve in capitale. Qui la regola è semplice: supponiamo che si abbia 100 di capitale e 100 di riserve. Supponiamo altresì che vi sia un cambio di 1 a 1 tra obbligazioni convertibili e capitale. Spostando le riserve nel capitale, il rapporto deve aumentare a 2 per arricchire gli obbligazionisti detentori di obbligazioni convertibili.
Ragionamento opposto vi sarà per l’erosione del capitale dovuto a perdite.
Le obbligazioni non possono essere deliberate sotto conversione, a meno che non si dia un diritto di conversione anticipata, per permettere agli obbligazionisti di diventare soci prima di compiere l’operazione, ed in tal modo permettendogli di mettere parola se far lo scambio o meno (esprimendo il loro diritto di voto).
Se non convertono non diventano soci e dovranno sottostare alle decisioni della maggioranza.

Lezione 11 continua “obbligazioni convertibili”
La conversione delle obbligazioni in azioni può avvenire secondo un determinato rapporto di cambio e rispettando alcuni determinati requisiti. Le azioni devono esistere e secondo il metodo indiretto devono già essere in portafoglio, mentre, secondo il metodo diretto, contestualmente all’obbligazione, si ha l’aumento del capitale sociale a servizio del prestito. Tale quota rimane pendente e viene sottoscritta dopo che è avvenuta la conversione.
E’ necessaria una riflessione: per legge non si possono deliberare aumenti di capitale se quello sottoscritto non è ancora stato deliberato, mentre nel caso delle obbligazioni convertibili l’aumento è sottoscritto.
Regole:

  • Aumento di capitale a pagamento: tutti gli azionisti hanno il diritto di opzione su tale aumento, questo diritto viene esteso anche ai possessori di obbligazioni convertibili.
  • Aumento di capitale nominale: nella società non vengono inseriti nuovi mezzi, avviene la conversione di riserve in capitale.
  • Riduzione del capitale per perdite: l’erosione deve essere proporzionata a quella del capitale.
  • Scissione o riduzione volontaria: queste operazioni non possono essere deliberate sotto conversione e neanche nel caso di conversione anticipata.

Il legislatore non vuole bloccare la società, infatti cerca di tutelarla.
Organizzazione degli obbligazionisti
Quando venivano emesse delle obbligazioni con diritti particolari, o alcuni diritti volevano essere modificati, era necessario convocare l’assemblea degli azionisti.
I diritti degli obbligazionisti sono tutelati sia come singoli sia come gruppo. Il legislatore ha inserito “la linea guida del gruppo” per evitare che ogni volta sia necessario calcolare la maggioranza.
Quando viene emesso un prestito obbligazionario nella delibera è necessario inserire le condizioni di remunerazione, la durata e tutte le informazioni che riguardano tale operazione.
Una modifica delle condizioni del prestito deve essere votata a maggioranza degli obbligazionisti: essi sono creditori della società, ed in caso di insolvenza dovranno accettarne la condizione.
Le delibere sulle modifiche del fondo spese oppure sulla modifica degli interessi da corrispondere agli obbligazionisti devono essere prese seguendo le stesse regole dell’assemblea straordinaria (presenza notaio).
La volontà di gruppo si esplica con il rappresentante comune che resta in carica 3 esercizi.
Poteri del rappresentante comune
Ha la funzione di esplicitare la volontà degli obbligazionisti eseguendo le delibere; effettua operazioni di controllo su obbligazioni astratte e annullate.
Inoltre egli è il portavoce ed ha la responsabilità processuale degli obbligazionisti stessi. Un singolo obbligazionista potrà, comunque, farsi valere da solo nel caso in cui il gruppo abbia deciso diversamente.

Scioglimento di una S.p.A.
Il legislatore ha previsto che la vicenda estintiva abbia un determinato iter, e solo al termine di questo la società può considerarsi estinta.
Terminato l’iter si ha la cancellazione dal registro delle imprese che rappresenta giuridicamente il suo effettivo epilogo.
La S.p.A. veniva ad esistere con l’iscrizione nel registro delle imprese e viene meno con la cancellazione.
Precedentemente alla liquidazione vi è un periodo detto “stato di liquidazione”.
Cause di scioglimento (cfr. pag. 4, per le SS)
Sono le condizioni al verificarsi delle quali la società entra in liquidazione:

  • Decorso del termine di durata: nel caso in cui la società abbia un termine di durata inserito nello Statuto e tale termine sia stato raggiunto, con la nuova disciplina il termine può essere prorogato (ciò permette alla società di non sciogliersi); in tal caso vi sono delle cautele, perché potrebbero esserci alcuni soci che, basandosi sul termine, preferiscano uscire dalla società. Per prorogare il termine nelle società chiuse è necessaria la maggioranza rinforzata di 1/3 del capitale (anche in seconda convocazione), oltre a riconosce ai soci che non hanno aderito all’assemblea il diritto di recedere dalla società, salvo che l’atto costitutivo non disponga diversamente.
  • Conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo
  • Impossibilità di funzionamento o continua inattività dell’assemblea: se la società ha un certo numero di soci con divergenza di opinioni, tali divergenze possono portare al blocco dell’assemblea (non si riesce più ad approvare delibere, comprese quelle vitali come nomina degli amministratori e approvazione del bilancio).
  • La riduzione per perdite sotto il limite legale (le perdite erodono più di 1/3 del capitale sociale): salvo che l’assemblea non deliberi la riduzione ed il contemporaneo aumento sopra il limite legale oppure la trasformazione della società in altra forma societaria con vincoli legali minori.
  • Delibera dell’assemblea straordinaria in seguito al recesso di uno o più soci: i soci potrebbero essere nell’impossibilità di calcolare la quota spettante ai soci in uscita, in tal caso si potrebbe effettuare lo scioglimento e distribuire il possibile attivo ai soci.
  • Nullità della società: in tal caso l’unica disciplina applicabile è la liquidazione; le operazioni precedenti restano valide (per tutelare i terzi).
  • Fallimento o sottoposizione ad altre procedure concorsuali: la società non continua normalmente la propria attività, con il fallimento la società viene assoggettata ad altre regole tipiche del fallimento.

Cosa accade quando si verifica una condizione di scioglimento?
Nella vecchia normativa si agiva “ex-lege” con o senza notizia. Attualmente, per dare maggiore tutela e chiarezza ai terzi, sono state disposte alcune regole per gli amministratori che devono:

  • dare notizia con l’iscrizione nel registro delle imprese (in caso di mancata iscrizione sono responsabili anche per il possibile aumento delle perdite)
  • scrivere la delibera che rende pubblico lo scioglimento (questo può accadere anche con atto del tribunale su istanza di qualunque socio o sindaco)

Procedimento di liquidazione
In questa fase si ha la monetizzazione dell’attivo per soddisfare i creditori e, in via residua, i soci. Nella fase di liquidazione alcune funzioni degli amministratori vengono date ai liquidatori. Con la riforma del 2003 quando si verifica una causa di scioglimento gli amministratori devono gestire la società ai soli fini della conservazione e dell’integrità del patrimonio sociale.
Precedentemente (al 2003) gli amministratori non potevano “compiere nuove operazioni”. Tali termini erano stati interpretati dalla giurisprudenza come la non possibilità di intraprendere un nuovo ciclo economico, ma la possibilità solo di portare a termine quello iniziato (riprenderemo l’argomento la prossima lezione).
Potere di revocare lo stato di liquidazione
Con la vecchia normativa era possibile solo  nel caso in cui vi fosse una delibera presa all’unanimità. Con la riforma del 2003 si è cercato di considerare il volere della maggioranza pur non escludendo la possibilità per ogni singolo socio di recedere e quindi di ritirare le quote. La riforma ha introdotto il meccanismo della maggioranza rafforzata (nelle società chiuse è richiesto 1/3 del capitale anche in 2° convocazione).
La nuova norma ha aumentato i diritti dei creditori sociali considerando che  la revoca non è immediatamente efficace e hanno due mesi per fare opposizione (in tal caso deciderà il tribunale).
Procedimento per la revoca
L’assemblea straordinaria determina e nomina i liquidatori (che possono anche essere gli amministratori). Su istanza di ogni singolo socio, del pubblico ministero, del tribunale oppure per giustificato motivo i liquidatori possono essere revocati, inoltre è possibile chiedere il risarcimento per gli eventuali danni causati dal loro operato.
Essi hanno gli stessi doveri degli amministratori (operare con diligenza e professionalità), possono vendere i beni aziendali ma non distribuirne il ricavato ai soci. In caso di liquidazioni pluriennali è necessario redigere il bilancio al termine di ogni anno.

Lezione 12: Il bilancio
Concludiamo “la liquidazione”. 2 cose distinte sono:

  • estinzione
  • scioglimento o stato di liquidazione: è il periodo necessario per arrivare dalla piena attività all’estinzione (questo periodo può anche durare anni).

La finalità cambia: non si persegue più l’oggetto sociale. Con la vecchia normativa c’era un divieto assoluto di nuove operazioni. Dal 2003 questo divieto è stato superato, purché non si danneggi il patrimonio dell’impresa. Questo implica che essere il liquidatore di una società è diventato più complicato: oggi, da una parte si cerca di non danneggiare la società, dall’altra c’è il rischio che gli affari in corso vadano male.
Con la liquidazione venivano nominati al posto degli amministratori dei liquidatori e la competenza era dell’assemblea straordinaria. I liquidatori non fanno altro che monetizzare l’attivo per pagare i creditori sociali.
Il problema che ci si poneva con la vecchia normativa era: -cosa succedeva se la liquidazione durava più anni?
Inoltre: -bisogna redigere un bilancio?
Il problema è stato risolto: con la nuova normativa è stato esplicitato che il bilancio è obbligatorio anche sotto liquidazione, tuttavia i criteri (come vedremo in seguito) di redazione sono diversi.
I liquidatori monetizzano l’attivo, pagano i creditori sociali e redigono un bilancio finale di liquidazione. Il bilancio si conclude con un piano di riparto. A questo punto esso deve essere approvato dai soci. Non è più un diritto dei soci come categoria, ma come singoli, perché è il singolo socio che ha diritto di ricevere la propria quota di liquidazione. Esiste, quindi, un meccanismo di approvazione tacita: passati 90 gg. senza che siano proposti reclami contro il bilancio finale del piano di riparto, il bilancio si intende tacitamente approvato. Spesso, nella prassi, non si vuole attendere i 90 gg. e si fa approvare dall’assemblea il bilancio.
È necessario che l’approvazione dell’assemblea avvenga all’unanimità e non con maggioranze ordinarie.
Se i liquidatori distribuiscono la quota finale di liquidazione e i soci rilasciano quietanza senza riserve, allora il bilancio si intende tacitamente approvato.
Cos’è una quietanza? Un foglio di carta che conferma il ricevimento di un bene o di un pagamento. La quietanza chiude il rapporto giuridico, se non si aggiunge sul foglio una riserva.
Approvato il tutto, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Una volta intervenuta la cancellazione della società nel registro delle imprese, la società finalmente può considerarsi estinta. Scompare dal panorama giuridico.
Cosa succede se c’è qualche creditore ritardatario (per antonomasia è il fisco)? Cioè: la società viene cancellata ma c’è ancora qualcuno che dev’esser pagato. Il creditore ritardatario potrà chiedere il pagamento direttamente ai soci, ma questi risponderanno soltanto nei limiti di quanto ricevuto in sede di liquidazione.
Questo principio discende direttamente dall’autonomia patrimoniale perfetta. Rispondono anche i liquidatori se il mancato pagamento del creditore è dipeso da loro colpa. Questo è il sistema dettato dal codice.
La società dopo la cancellazione si estingue, ma in un certo senso sopravvive (ai sensi dell’art. 10 della l.fall.) e può comunque essere dichiarato fallito l’imprenditore cessato, entro un anno dalla cessazione.
Cosa è il fallimento? Apriamo una parentesi (non ha valore per l’esame): è una c.d. procedura concorsuale. Il fallimento è la procedura concorsuale per eccellenza e ne esistono altre minori. Quali sono le finalità del fallimento? Nel diritto comune esiste il principio “prior in tempore potior in iure”: il primo che arriva si soddisfa. Questo principio è ritenuto non soddisfacente. Si è allora pensato alla procedura di fallimento, che si basa, invece, sulla “par condicio creditorum”: tutti i creditori devono essere messi sullo stesso piano.
Il curatore monetizza l’attivo dell’impresa. Si confronta con il passivo e si applica la c.d. “Moneta fallimentare”: si pagano i creditori sociali in proporzione alla loro quota di passivo. Fine parentesi.

 

Secondo l’art. 10 l.fall. il fallimento può essere dichiarato soltanto entro un anno dalla cessazione, il che vuole dire che la società è estinta, ma se viene dichiarata fallita entro un anno, tutti i rapporti della società verranno riaperti al fine di pagare tutti i creditori sociali. È vero che la società si estingue, ma c’è quest’anno di vacatio. Passato l’anno non può più essere dichiarata fallita. Questo è l’orientamento attuale della giurisprudenza.
L’orientamento in passato era diverso: l’art. 10 l. fall. dice “entro un anno dalla cessazione”, ma la giurisprudenza sosteneva che la società non cessasse fino a che tutte le posizioni attive o passive non risultassero estinte e ciò anche se la società fosse stata nel mentre cancellata dal registro delle imprese. Quindi la società poteva essere dichiarata fallita “sine diem”: senza termine. Quest’orientamento era dato da un “favor” della giurisprudenza per i creditori ritardatari, quali l’INPS ed il fisco. La Corte Costituzionale, pochi anni or sono, ha cambiato quest’orientamento spiegando che la società si estingue con la cancellazione dal registro.
Il bilancio: cenni storici
In questa sede non tratteremo del bilancio in senso tecnico, bensì i principi giuridici fondamentali.
Iniziamo da qualche cenno storico: nel 1800 si pensava che il bilancio fosse lo specchio veritiero della totale situazione dell’impresa. Nel 1900 con l’elaborazione dottrinale si è capito che non poteva essere vero, perché il bilancio si basa comunque su delle valutazioni. C’erano quindi più bilanci a seconda delle finalità che si volevano perseguire. Nacque così la teoria delle c.d. “politiche di bilancio” in cui i redattori, proprio per raggiungere le diverse finalità potevano redigere il bilancio come meglio credevano. Qui si era all’eccesso opposto: l’assemblea era libera di approvare qualsiasi tipo di bilancio. Negli anni successivi è intervenuta la giurisprudenza: “Il bilancio di esercizio è diverso dal bilancio di liquidazione o cessione, però un bilancio di esercizio è uguale ad altro un bilancio di esercizio, allora i criteri devono essere gli stessi, perché la finalità è la stessa”. Si affermò così che fossero nulli i bilanci non veritieri e quindi ledevano il diritto del singolo socio a percepire una quota di utile ovvero (= oppure) una quota di liquidazione.
Negli anni ’70, ed arriviamo al regime attuale, si è detto che non è tutelato solo il singolo socio, ma il fatto che il bilancio sia veritiero tutela anche altri soggetti, quali i creditori sociali o i terzi in generale (es: banche).
Questo orientamento ha trovato conferma nella 4° e 5° direttiva comunitaria dell’Aprile del ’91, armonizzando la disciplina dei bilanci europei (esistono principi contabili internazionali).
Regole da seguire per redigere il bilancio (dal 1991)
Art. 2423 Redazione del bilancio (immutato; eccetto ultimo comma: lire - euro)

  • Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale dal conto economico e dalla nota integrativa.
  • Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio. (Prima della riforma del ’91 si diceva che il bilancio doveva essere redatto con chiarezza e precisione; in realtà l’interpretazione non è cambiata: “chiarezza” veniva inteso come “evidenza”, mentre “precisione” veniva visto come sinonimo di “verità”.)
  • Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo.(Se le informazioni non sono sufficienti, la clausola di interpretazione veritiera e corretta, di cui al comma precedente, prevale sempre!)
  • Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. (si applicano i 3 seguenti principi:
    • Il principio di chiarezza impone l’univocità e la comprensibilità della denominazione dei nomi dei conti, e si riferisce anche ad una formulazione del bilancio ordinata, facilmente intelleggibile, inequivoca e esauriente, con particolare riferimento alla nota integrativa.
    • Il principio della posta veritiera non toglie che il bilancio sia soggetto a valutazione, ma queste devono essere svolte con la maggiore neutralità ed oggettività possibili.
    • Ultimo principio è la rappresentazione corretta: è stato interpretato sia come sinonimo di verità, sia come “tecnicamente corretta”, ed anche come “buona fede”.)
  • La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato.

Art. 2423 bis Principi di redazione del bilancio (sostanzialmente immutato)
Nella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti principi:
l) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività;
2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio;
3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio, indipendentemente dalla data dell'incasso o del pagamento;
4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;
5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente;
6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro.
Deroghe al principio enunciato nel n. 6 del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.

Lezione pomeridiana Continua “il Bilancio”.
Con riferimento al bilancio di esercizio approvato ogni anno dall’assemblea, la prospettiva non è quella di una cessione o di una liquidazione della società, ma è quella della continuazione dell’attività, appunto.
I costi di impianto (i costi di inizio attività), ad esempio, non si ammortizzano in più anni se si è già a conoscenza del fatto che l’attività durerà un anno soltanto.
Eseguiamo l’analisi punto per punto dell’art. 2423 BIS (ricordiamo questi principi da economia aziendale):

  • Il principio di prudenza: principio fondamentale al quale si ispirano i corollari, era contenuto anche nella normativa comunitaria, ed aggiungeva dei corollari per spiegare cosa si intende per “prudenza”: in particolare trattava di
  • iscrivibilità degli utili realizzati,
  • contabilizzazione di tutti i rischi e tutte le perdite d’esercizio,
  • contabilizzazione dei deprezzamenti a prescindere dal risultato di esercizio

Il principio di prudenza è così fatto:

  • si valuta al valore più alto il costo o il rischio;
  • si valuta al valore più basso il ricavo;

È, tuttavia, necessario non travalicare la prudenza per sconfinare nelle riserve occulte: ad esempio, le attività risultano 100, ma in realtà sono 150, perché si sono sopravvalutati i rischi di 50. Più le riserve occulte sono alte, meno sono gli utili da distribuire, a danno dei soci di minoranza e del fisco.)

  • Si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio. Questo è il primo corollario del principio della prudenza (serve a non annacquare il capitale).

Un esempio classico per capire questo profilo è il caso delle società partecipate a catena. Si pensi alla società A che partecipa al 100% nella società B. Si supponga che B, nel 2003, abbia un utile di 100. Qual è la procedura per l’approvazione del bilancio? Il bilancio va approvato entro 4 mesi (30 Aprile 2004).
Si può dire che A ha anch’essa 100 di utile? Si è ritenuto conforme al principio della prudenza ove, prima dell’approvazione del bilancio di A, vi sia un vincolo giuridico per il quale, senza alcuna condizione, A ha diritto di ricevere quei dividendi, in maniera che sia giuridicamente certo che quell’utile si sia prodotto.
È, quindi, richiesto che la delibera del bilancio di B, sia approvata prima della delibera del bilancio di A.
Il problema è: si può trasferire l’utile di 100 in A? Il metodo più semplice è quello di farlo “per cassa”: ad Aprile si approva il bilancio di B e si delibera di distribuire tutti i dividendi. Ma come si fa a portare l’utile da B ad A già nel bilancio precedente (2003), quindi  distribuendo gli utili “per competenza”? Due pronunce della Consob hanno affrontato questo tema. Nella prima ha detto “si può fare anche per competenza, ma prima dell’approvazione del bilancio della controllante A, la società controllata B deve aver già approvato, con sua delibera, il bilancio ed ha altresì deliberato la distribuzione di 100 da B ad A”. Si è ulteriormente venuti incontro alla società affermando che non è necessaria una delibera di B, ma basta anche che la proposta di distribuzione sia contenuta nel progetto di bilancio”.
Per capirci: il bilancio è approvato dall’assemblea ordinaria, ma materialmente gli amministratori. Essi non redigono il bilancio, bensì un documento che fino a che non è approvato si chiama “progetto di bilancio”. Si può mettere nel progetto di bilancio di A l’utile di B, se, prima della redazione del progetto di bilancio di A, quell’utile è già nel progetto di bilancio di B.
In caso di società a catena si può spostare l’utile nella società sopra.
Ovvero: utilizzando il metodo di distribuzione di utili per cassa, e non per competenza, se ci fossero 7 società sovrastanti, passerebbero 7 anni, quindi è meglio usare il metodo “per competenza”, ma questo si può fare soltanto purché sia già stato approvato il bilancio della società controllata.

  • il principio di competenza: Si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data di incasso o di pagamento (amm.ti, ratei e risconti etc.).
  • ulteriore principio è quello che afferma che “si deve tenere conto di eventuali oneri o perdite di competenza dell’esercizio anche se conosciuti dopo la chiusura dell’esercizio stesso”.

Facciamo un esempio: la vendita è del 2003, ma il ricavo è nel 2004. Secondo il principio di competenza, il ricavo è del 2004, perché la compravendita si è perfezionata nel 2003. Prima di approvare il bilancio del 2003 (entro Aprile 2004), è necessario, se a Marzo veniamo a conoscenza del fatto che il cliente è morto o è scappato in Brasile, tenere conto della perdita.

  • Gli elementi eterogenei ricompresi in singole voci devono essere valutati separatamente.

Se una voce di bilancio è composta da varie sottovoci, non si può soltanto indicare il saldo, ma sarà necessario il dettaglio. Il classico esempio è il magazzino: nel magazzino si ha un tot di merce, che probabilmente non è stata comprata tutta lo stesso giorno, quindi si applica la stratificazione dei vari prezzi (LIFO, FIFO etc.).

  • Ultimo principio: continuità dei criteri di valutazione: non si può modificare il criterio di valutazione da un esercizio all’altro. Ovvero: non si possono cambiare le quote di ammortamento a piacimento. Questo permette la comparazione tra i bilanci, ma non implica che questo principio sia assolutamente inderogabile, ma per effettuare un cambiamento devono sussistere 2 condizioni:
    • Esiste un motivo oggettivo per giustificare tale cambiamento di valutazione; ad esempio: i titoli sono spesso rappresentati a valore di costo, ma un crollo di mercato può modificare sensibilmente il loro valore.
    • Deve essere notificato nella nota integrativa.

C’è una discrepanza tra la norma comunitaria e la norma di attuazione italiana. Nella comunitaria si parlava solo del principio di prudenza e tutte quel che veniva dopo erano solo esempi e non casi giuridici autonomi.
Iter procedimentale della redazione del bilancio
All’approvazione del bilancio partecipano tutti gli organi sociali (almeno nel sistema tradizionale). L’iter inizia con la redazione del progetto di bilancio. Gli amministratori (o l’amministratore unico) redigono il progetto di bilancio materialmente.
Nel caso del CDA, il progetto di bilancio è, comunque, un atto del consiglio ed è considerato così importante che non può essere oggetto di delega.
Questo non significa che tutti i consiglieri devono essere presenti, ma soltanto che il progetto debba essere fatto proprio dal CDA, ovvero è approvato a maggioranza dal CDA stesso.
Entra poi in gioco il collegio sindacale, perché il bilancio, almeno 30 giorni prima dell’approvazione dell’assemblea, deve essere fatto conoscere al collegio, che nei 15 giorni successivi lo verifica, fa una relazione, dopo di che tutta la documentazione, almeno 15 giorni prima, va depositata presso la sede sociale.
Perché si deposita almeno 15 giorni prima? Perché così i soci, che poi dovranno approvare il bilancio, potranno prenderne visione. Se c’è un soggetto incaricato del controllo contabile dovrà essere concessa anche a lui una visione e dovrà depositare un proprio giudizio sulla corretta trasposizione dell’attività nel bilancio.  Quando l’assemblea ordinaria approva il bilancio l’iter è chiuso.
Poi esistono il sistema dualistico e monistico. Nel primo, il CDS oltre ad avere i poteri del collegio sindacale, ha anche il potere di nominare gli amministratori e di approvare il bilancio.
Cosa vuol dire approvare il bilancio e cosa può fare l’assemblea? Normalmente l’assemblea approva il progetto di bilancio, ovvero trasforma il progetto in bilancio vero e proprio, redigendo un verbale di approvazione del bilancio.
Ci si chiede se l’assemblea possa modificare, in sede di delibera, tutto o parte del bilancio stesso. L’ipotesi è molto di scuola, perché tecnicamente è difficile. Tuttavia, giuridicamente, l’assemblea è assolutamente sovrana, per cui se ritiene di cambiarlo lo può fare liberamente.
Una volta approvato, il bilancio deve essere firmato dal presidente del CDA, e depositato entro 30 giorni presso il registro delle imprese. Oggi il bilancio non può più essere depositato in forma cartacea ma informatica. Il problema è quello della firma digitale, che non è altro che una smart card col PIN. Questo ha generato un caos totale, perché tutti l’avevano persa. Allora è uscito un decreto che permette ai commercialisti di depositare, senza responsabilità, i bilanci altrui con la propria smart card.
Una volta depositato, il bilancio può essere impugnato. Ma se si impugna il bilancio del 2001 allora diventa scorretto anche quello del 2002 e degli anni successivi, in quanto collegati. Quindi le azioni di annullabilità non possono più essere esercitate dopo che è stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo.
Altro punto riguarda il potere di impugnativa. Con la nuova normativa, se il soggetto incaricato della revisione ha fondato un giudizio positivo, allora il bilancio non è più impugnabile né per nullità né per annullabilità, se non da tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale. Si è così superato il così detto dei “professionisti di assemblea”. C’era un tempo la professione del disturbatore di assemblea (solitamente nullatenente, per evitare di dover pagare eventuali danni): colui che comprava poche azioni delle società quotate, aveva una certa competenza, dopo di che impugnava la delibera. La società, allora, piuttosto che tenere bloccato il bilancio, concedevano somme ingenti in denaro ai disturbatori. C’è anche chi sosteneva che questi disturbatori creavano più controlli, ma erano anche “fastidiosi”.
Il 5% indica, quindi, un interesse cospicuo nella società che non fa presumere ad un disturbatore.
L’approvazione della delibera del bilancio e le riserve
Il bilancio si può chiudere con un utile ovvero con una perdita. Per quanto riguarda la perdita, se è inferiore al 3° del capitale sociale si potrà portare a nuovo, altrimenti, se è superiore, si dovrà ridurre il capitale.
Nel caso di utile, invece, abbiamo una serie complessa di casi. In linea di principio si può dire che l’utile non è tutto distribuibile, perché ci possono essere delle regole legali, cioè imposte dalla legge o statutarie, che stabiliscono diversamente. Vediamo le più importanti:

  1. Riserva legale: il 5% dell’utile va accantonato a riserva legale sino a raggiungere il 20% del capitale. La riserva legale è un cuscinetto che il legislatore pone a protezione del capitale sociale. Può corrispondere ad una qualsiasi posta d’attivo.
  2. Ci possono poi essere altre riserve imposte dallo statuto: si chiamano riserve statutarie. Queste, tuttavia, hanno una regolamentazione diversa rispetto a quelle legali, infatti possono essere distribuite, modificando lo Statuto (in assemblea straordinaria). Comunque l’assemblea può sempre decidere di fare quel che meglio crede degli utili: accantonarli/distribuirli/50 e 50 etc.
  3. Se si accantonano utili, si crea una riserva disponibile: in ogni momento l’assemblea ordinaria può decidere di distribuirla. Non è detto che se una riserva nasce disponibile resti per sempre tale. Ad esempio, nel caso dell’acquisto delle azioni proprie, queste possono essere acquisite soltanto nei limiti delle riserve indisponibili. Cioè: finché si hanno azioni proprie le riserve sono indisponibili.

Decidendo, al contrario, di distribuire utili o riserve, lo somme distribuite prendono il nome di dividendo.
In tal caso, nel momento in cui si delibera il dividendo, nasce il diritto di credito del socio verso la società per percepirlo, mentre non c’è nessun diritto (al contrario delle società di persone) del socio ad appropriarsi degli utili. Cioè: se c’è la distribuzione dei dividendi c’è il diritto di percepirli, se, invece, l’assemblea decide di non distribuire utili, non c’è nessun diritto.

13° lezione La SRL
Art. 2380 Amministrazione della società (oggi è diventato l’art. 2380 bis, commi 2 e ss.) (per le SPA)
L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci.
Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione.
Se l'atto costitutivo non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all'assemblea.
Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi membri il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea.
Art. 2487 Amministrazione (oggi è diventato l’art. 2475)(per le SRL)
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo l'amministrazione della società deve essere affidata a uno o più soci.
Fondamentalmente si può sempre decidere chi può essere l’amministratore, tuttavia, si denota che, nelle SRL, di solito, gli amministratori sono i soci, al contrario delle SPA.
La SRL, nell’attuale prospetto, favorita da un regime ampliato, vede la possibilità di configurarsi come società di capitale nei rapporti esterni, ma assomigliando, nei rapporti interni, ad una società di persone.
Ad esempio, nella SRL si è posto il problema del conferimento d’opera.
Viene dato molto spazio all’autonomia statutaria: i soci fissano i connotati della società liberamente.
Le società hanno sempre avuto due tipi di regimi: legale e statutario. Oggi non esiste più un regime legale, o meglio: tutto deve essere specificato nello Statuto. Entro il 20 Settembre del 2004, infatti, le “vecchie” SRL dovranno compiere scelte statutarie, modificando, appunto, lo Statuto, per adattarlo al nuovo regime.
Nella codificazione del ’42, la SRL era stata ideata come una SPA in piccolo, che si caratterizzava per una struttura più intima, sebbene esistessero elementi personalistici.
In passato, sintetizzando, si poteva costituire una SRL, senza specificare nulla di particolare nello Statuto, lasciando al regime legale tutte le regole di funzionamento. Si è passati, con la riforma, da uno Statuto legale ad una serie di proposte statutarie che l’ordinamento ci pone, e tra le quali è necessario scegliere.
La volontà dei soci si propone in una posizione centrale rispetto alla struttura della società, che continua ad avere, come organi, l’assemblea, l’organo amministrativo e talora il collegio sindacale.
Art. 2479. (aggiornato alla riforma) (Decisioni dei soci). I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione:
In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci:
1) l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
2) la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori;
3) la nomina dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del revisore;
4) le modificazioni dell’atto costitutivo;
5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
L’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa.
Qualora nell’atto costitutivo non vi sia la previsione di cui al terzo comma ed in ogni caso con riferimento alle materie indicate nei numeri 4) e 5) del secondo comma del presente articolo oppure quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare ai sensi dell’articolo 2479-bis.
Ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione.
Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale.
Art. 2479-bis. (aggiornato alla riforma) (Assemblea dei soci). L’atto costitutivo determina i modi di convocazione dell’assemblea dei soci, tali comunque da assicurare la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare. In mancanza la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell’adunanza nel domicilio risultante dal libro dei soci.
Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, il socio può farsi rappresentare in assemblea e la relativa documentazione è conservata secondo quanto prescritto dall’articolo 2478, primo comma, numero 2).
Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo l’assemblea si riunisce presso la sede sociale ed è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta e, nei casi previsti dai numeri 4) e 5) del secondo comma dell’articolo 2479, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale.
L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nell’atto costitutivo o, in mancanza, da quella designata dagli intervenuti. Il presidente dell’assemblea verifica la regolarità della costituzione, accerta l’identità e la legittimazione dei presenti, regola il suo svolgimento ed accerta i risultati delle votazioni; degli esiti di tali accertamenti deve essere dato conto nel verbale.
In ogni caso la deliberazione s’intende adottata quando ad essa partecipa l’intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell’argomento.
Quali sono, riassumendo, i 2 principi fondamentali della SRL?

  1. centralità dei soci (che prendono le decisioni)
  2. quote non rappresentate da azioni

Lezione pomeridiana (continua “la riforma”)
La SRL, un tempo vista come una piccola società per azioni, vede un elemento personalistico più accentuato.
Nell’ordinamento tradizionale del ’42 si faceva perno sulla delibera, e si presupponeva che la discussione assembleare potesse essere determinante per la formazione delle decisioni in modo collegiale: con confronto.
Adesso è possibile quasi evitare questo confronto, deliberando “senza nemmeno consigliarsi a vicenda”, delegando in assemblea il proprio voto ad altri. Il “superamento della collegialità” nasce da  un’esigenza tecnico-funzionale: per motivi di tempo e di costi. Tutto è lasciato alla volontà delle parti, ma nell’atto costitutivo. In questa situazione, la SRL diventa un simposio dello Statuto, dove è davvero espressa la volontà delle parti. La costituzione statutaria deve avvenire di fronte ad un notaio.
Il capitale sociale è costituito dai conferimenti (in denaro, o, se in natura, valutati). Il concetto generale, nel codice del ’42 e non più oggi, era la proporzionalità tra partecipazione nei conferimenti e poteri (di voto etc.).
Art. 2468 nuova riforma
“Se l’atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento.”
Si preannunciano SRL in cui il godimento e l’esercizio dei diritti sociali, non saranno più così equilibrati.
Facciamo un esempio: un padre conferisce 90, un figlio 10, ma si specifica che la partecipazione sia nel rapporto di 80-20. Supponiamo che il padre muoia, e gli altri figli abbiano diritto all’eredità. Come si distribuiranno le quote? È una problematica che resta aperta.
I rapporti tra conferimenti e diritti possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.
Questo avvicina maggiormente la SRL alle società di persone nei rapporti interni: addirittura non c’è nemmeno più il limite del patto leonino. I conferimenti dei padri nelle SRL possono essere addirittura assimilati a delle donazioni, non essendovi ancora giudizi giurisprudenziali in merito, vista la novità della riforma.


La natura dei conferimenti
Questo è il punto dove c’è una frattura maggiore con la vecchia normativa. Abbiamo anticipato che l’oggetto del contratto di società è il conferimento dei beni e dei servizi (art. 2247 c.c.) da parte di due o più soci, ma che, ad oggi, questo articolo non è più valido, perché possono esistere i soci d’opera.
Questa è la prima grande eccezione al principio capitalistico delle società. È difficile comprendere quale possa essere la tutela dei terzi nei confronti di tali soci, che non hanno apportato beni o denaro, ma esclusivamente la propria manodopera. La questione è: il conferimento d’opera fa parte del capitale sociale?
Muta la proporzionalità delle partecipazioni o del capitale? E per quale cifra è responsabile, in una SRL, un socio d’opera? Come si quantifica il suo apporto in caso di fallimento?
Art. 2464. (art. aggiornato alla riforma) (Conferimenti). Il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro.
Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro e l’intero soprapprezzo o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito (è, ad oggi, molto complicato stabilire il corrispettivo dell’apporto di un socio d’opera.) dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in danaro.
Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.
Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l’intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d’opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l’atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società.
Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nei novanta giorni.
Art. 2465. (art. aggiornato alla riforma) (Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti).
Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto o di una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili o di una società di revisione iscritta nell’apposito registro albo. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o crediti conferiti, l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo, deve essere allegata all’atto costitutivo.
La disposizione del precedente comma si applica in caso di acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei soci fondatori, dei soci e degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese. In tal caso l’acquisto, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, deve essere autorizzato con decisione dei soci a norma dell’articolo 2479.
Nei casi previsti dai precedenti commi si applicano il secondo comma dell’articolo 2343 ed il quarto e quinto comma dell’articolo 2343-bis.
Trasformazione (appunti presi in classe, integrati dal libro di testo “Campobasso”)
Trasformazione: la società cambia tipo sociale, ma resta la stessa. La responsabilità illimitata permane, a meno che i creditori non liberino i soci. Con la trasformazione non si ha l’estinzione: è la stessa società che vive in una rinnovata veste giuridica, infatti “conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione” (tratto dall’art. 2498). Espressamente vietata era e resta la trasformazione di una società cooperativa a mutualità prevalente in società lucrativa, anche se tale trasformazione sia deliberata all’unanimità. Con la riforma del 2003 è stata, invece, consentita la trasformazione di società di capitali (ma non di persone) in società cooperative.
La riforma del 2003 ha profondamente modificato quest’istituto introducendo la distinzione tra trasformazione:

  • omogenea: è sufficiente il consenso della maggioranza degli aventi diritto agli utili. È riconosciuto un diritto di recesso (sia nelle società di capitali sia nelle società di persone). Per le società di capitali è necessaria una delibera dell’assemblea straordinaria da adottare a maggioranza rafforzata. Alla delibera di trasformazione deve essere allegata una relazione giurata di stima del patrimonio sociale, soggetta al controllo di legittimità da parte del notaio. Nascono due ipotesi:
    • Acquisizione della responsabilità illimitata: è richiesto il consenso dei soci che assumono tale responsabilità, considerando che opera anche per le obbligazioni anteriori alla trasformazione.
    • Acquisizione della responsabilità limitata: i soci non sono liberati per le obbligazioni anteriori alla trasformazione.
  • eterogenea: una società di capitali può trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni (art. 2500-septies). Non, invece, in associazione riconosciuta. Si applica la disciplina della trasformazione omogenea, con la richiesta di maggioranze più elevate: 2/3 degli aventi diritto.

Fusione (appunti in classe integrati dal Campobasso)
Le fusioni sono di due tipi:

  • Propriamente dette (in senso stretto): due più società si fondono e danno luogo ad una nuova società
  • Per incorporazione: una società incorpora altre società, che spariscono.

Come la trasformazione, la fusione può essere:

  • Omogenea: fra società dello stesso tipo (il recesso è riconosciuto solo per le SRL);
  • Eterogenea: fra società di tipo diverso. (I soci che non hanno concorso alla delibera avranno diritto di recesso.)

La fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione. Così come per la trasformazione, la società fusa “assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione” (art. 2504-bis).
Gli amministratori delle diverse società devono redigere un progetto di fusione che deve avere identico contenuto per tutte le società partecipanti ed ha funzione di pubblicità legale, con tutte le indicazioni del caso.
È obbligatorio redigere altresì il bilancio infraannuale (c.d. bilancio di fusione) e una relazione degli amministratori ed il relativo deposito, insieme con quello degli ultimi 3 bilanci d’esercizio.
Si può avere, inoltre, il fenomeno gia descritto del “leveraged buyout”.
Per la delibera di fusione devono essere rispettate le norme dettate per le modificazioni dell’atto costitutivo.
Per tutelare i creditori, la fusione può essere attuata solo dopo che siano trascorsi 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’ultima delibera delle società partecipanti. Entro tale termine ciascun creditore può proporre opposizione alla fusione. Questo sospende la fusione. Il tribunale può, tuttavia, disporre che avvenga ugualmente, previa garanzia concessa ai creditori.
Il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell’atto di fusione (per atto pubblico, iscritto nel registro delle sedi delle varie società).
Scissione (appunti in classe integrati dal Campobasso)
Scissione: è il fenomeno inverso della fusione. Si ha una società c.d. “scissa” che si divide in 2 nuove società.
Si possono avere:

  • una scissione totale, dove le società beneficiarie sostituiscono la scissa
  • o una scissione parziale, dove la società scissa continua ad esistere, ma un suo ramo viene diviso in altre società.

Qui il problema è la differenza tra la scissione e la scorporazione:
Nella scissione le azioni delle società beneficiarie vanno ai soci della società scissa, mentre nella scorporazione le azioni vanno alla società scorporante.
Ma come sono tutelati i creditori sociali nella scissione? È previsto che i debiti vengano riferiti ad una delle società beneficiarie. Tutte le società sono solidalmente responsabili nei limiti dell’attivo che è stato loro conferito. Per quei debiti che non sono stati riferiti alle società scisse, tutte le società beneficiarie sono solidalmente responsabili con la società scissa.
Gli amministratori delle società partecipanti alla scissione devono redigere un progetto di scissione che deve contenere l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali e i criteri di distribuzione delle quote.

 

Fonte: http://davidebenza.altervista.org/triennale/Diritto_commerciale.zip

Sito web da visitare: http://davidebenza.altervista.org/

Autore del testo: (appunti dalle lezioni degli alunni Scarella R. e Benza D.)

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