Giurisprudenza domande e appunti
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Giurisprudenza domande e appunti
Simulazione Test di verifica delle conoscenze di base
Laurea Magistrale in Giurisprudenza LMG – 01
Storia antica, medievale, moderna e contemporanea
1) Quando è stata promulgata la Costituzione Italiana?
a) 1945 b) 1946
c) 1947 d) 1948
2) Quando scoppiò la Rivoluzione Francese?
a) 4 Luglio 1779 b) 14 Luglio 1789
c) 4 Luglio 1789 d) 24 Luglio 1789
3) Che carica ricopriva Cicerone?
a) Imperatore b) Advocatum
c) Uomo politico e oratore d) Scrittore e Poeta
4) Chi ha fondato e quando il Principato?
a) Ottaviano Augusto nel 27 a.C. b) Diocleziano nel 284 d. C.
c) Nerone nel 54 d. C. d) Giulio Cesare nel 45 a.C.
5) L’Italia allo scoppio della prima guerra mondiale:
a) Scese in guerra al fianco della Germania b) Si dichiarò neutrale
c) Scese in guerra al fianco della Francia d) Scese in guerra al fianco dell’Austria
6) Chi fu il primo presidente del consiglio del Regno d’Italia nel 1861?
a) Camillo Benso Conte di Cavour b) Urbano Rattazzi
c) Agostino Depretis d) Massimo d’Azeglio
7) Cosa si indica con Basso Medioevo?
a) Il periodo iniziale del medioevo b) Il periodo finale del medioevo
c) Il periodo più “buio” del medioevo d) Il medioevo delle popolazioni italiche
8) Chi ha promulgato la dichiarazione di indipendenza degli USA nel 1776?
a) Thomas Key b) Thomas Jefferson
c) George Washington d) James Watt
9) Chi ha concesso la Magna Charta Libertatum nel 1515?
a) Carlo I b) Carlo V
c) Ivan III il grande d) Re Giovanni senza terra
10) Perché è caduto l’impero Romano d’occidente?
a) Per l’arrivo dei barbari b) Per l’uccisione dell’imperatore
c) Per un forte terremoto nel centro Italia d) Per una congiura
11) Cosa si è tenuto il 2 giugno del 1946?
a) La fine della seconda guerra mondiale b) L’annessione di Trieste all’Italia
c) Ascesa al trono d’Italia di Umberto II d) Il referendum tra monarchia e repubblica
12) Nel 1940 l’esercito italiano invase:
a) Il Belgio b) La Grecia
c) L’Eritrea d) L’Albania
13) Il primo Re d’Italia è stato:
a) Vittorio Emanuele b) Vittorio Emanuele II
c) Vittorio Emanuele III d) Carlo Alberto
14) Cosa fissarono i patti lateranensi?
a) Il dominio dello Stato sulla Chiesa b) La conciliazione fra Stato e Santa Sede
c) La restituzione del potere temporale al Papa d) La scissione fra Stato italiano e Chiesa
15) Chi ha redatto il Corpus Iuris Civilis?
a) Teodorico b) Giustiniano
c) Marco Aurelio d) Ottaviano Augusto
Macroconcetti giuridici ed economici
16) Cosa sono i diritti reali?
a) Diritti che promanano dalle casate reali b) Diritti che si riferiscono alle persone
c) Diritti che si riferiscono alla realtà d) Diritti che si riferiscono alle cose
17) Dove ha sede il CSM?
a) Roma b) Bologna
c) Messina d) Milano
18) Lo sciopero negli enti pubblici:
a) E’ sempre ammesso
b) E’ ammesso purché siano garantiti i servizi pubblici essenziali
c) E’ ammesso solo se autorizzato dal Presidente della Giunta Regionale
d) Non è mai ammesso
19) Cos’è il “comma”?
a) Parte del testo di una legge b) Testo di una legge di attuazione
c) Legge di 1° grado d) Legge di 2° grado
20) Quali sono gli elementi costitutivi di uno stato?
a) Potere, territorio e sovranità b) Potere, popolo e territorio
c) Popolo, territorio e sovranità d) Potere, sovranità e controllo
21) Lo stato sociale deve:
a) Fornire tutti i servizi di cui un cittadino necessita b) Garantire il libero mercato
c) Garantire la piena occupazione d) Fornire servizi ritenuti essenziali
22) Come deve essere l’economia privata?
a) Libera b) Dignitosa
c) Razionale d) Giusta
23) A cosa sono soggetti i giudici?
a) Al CSM b) Alla legge
c) Al Governo d) Al Parlamento
24) Cos’è l’Unione Europea?
a) Un accordo economico b) Un trattato internazionale
c) Una confederazione di stati d) Un organismo politico sovranazionale
25) Chi esercita le funzioni del Presidente della Repubblica in caso di sua assenza?
a) Il Presidente del Senato b) Il Presidente della Camera
c) Il Presidente del Consiglio dei Ministri d) Nessuna delle precedenti
26) Quali sono i caratteri dello Statuto Albertino?
a) Breve e flessibile b) Breve e rigida
c) Lunga e flessibile d) Lunga e rigida
27) Quali sono i caratteri della Costituzione italiana?
a) Breve e flessibile b) Breve e rigida
c) Lunga e flessibile d) Lunga e rigida
28) Che cos’è un modello in economia?
a) Una teoria le cui conclusioni sono sempre vere
b) Un sistema economico che prendiamo come esempio da seguire
c) Un’astrazione teorica in cui la variabile tempo è sempre costante
d) Una rappresentazione fittizia della realtà che si basa su alcune ipotesi semplificatrici
29) Il prefetto è un organo:
a) Dello Stato b) Regionale
c) Provinciale d) Comunale
30) L’art. 1 della Costituzione afferma che l’Italia è una repubblica fondata su:
a) La legge b) Il popolo
c) La Costituzione d) Il lavoro
Logica e concetti filosofici fondamentali
31) Secondo Kant i giudizi sintetici:
a) Se a posteriori vi si basa la scienza b) Sono formulati a priori
c) Si fondano sul principio di non contraddizione d) Amplificano la conoscenza
32) Tra le seguenti discipline, quale costituisce l’oggetto principale dell’opera kantiana “Critica della ragion pratica”?
a) L’etica e la morale b) L’estetica
c) La gnoseologia d) L’epistemologia
33) A chi va attribuita la proposizione “l’essere è, il non essere non è”?
a) Parmenide b) Protagora
c) Platone d) Democrito
34) Cosa è la gnoseologia?
a) Il criterio socratico di ricerca della verità b) La fase iniziale dell’indagine scientifica
c) L’indagine filosofica sulla verità d) L’indagine filosofica sulla conoscenza
35) La concezione di chi ritiene che la natura di Dio coincida con la natura dell’universo è detta:
a) Panteismo b) Nichilismo
c) Innatismo d) Fideismo
36) Che cosa si intende con deduzione e induzione?
a) Rispettivamente, il sistema filosofico di Cartesio e quello di Bacone
b) Due procedimenti logici con i quali si legano alcune premesse con la conclusione che segue
c) I due modi di procedere della ragione nel campo estetico
d) La prima e la seconda parte di un ragionamento
37) Nel pensiero di Kant quel è il significato del termine “noumeno”?
a) La realtà così come appare al soggetto cosciente b) La realtà in sé
c) La legge della morale d) La forma dell’intuizione sensibile
38) Sinonimo di ermeneutico
a) Razionale b) Causale
c) Conoscitivo d) Interpretativo
39) Sinonimo di eziologico
a) Razionale b) Causale
c) Morale d) Interpretativo
40) Cosa è la deontologia?
a) La teoria praticata da Popper b) Un insieme di teorie o regole etiche
c) Un ramo della filosofia del diritto d) Non è un termine utilizzato in filosofia
41) Qual è il fine dell’etica?
a) Il bene b) La conoscenza
c) La ricerca di Dio d) La moralità
42) Volendo definire la Volontà Schopenhaueriana, si può affermare che essa è fondamentalmente:
a) Finita e razionale
b) Espressione della Provvidenza divina
c) Caratterizzata come unica e irrazionale
d) Conoscibile attraverso le nostre rappresentazioni
43) Che cos’è l’arché?
a) Si identifica con la natura o physis
b) E’ logos, ovvero il mondo dell'intelligenza sia nella sua valenza intuitiva che discorsiva
c) E’ il principio di tutte le cose, fondamento e origine della realtà
d) E’ l’essenza di tutte le cose, dell’universo.
44) Qual è il fondamento del fenomeno religioso per Hume?
a) Il senso morale b) L’evidenza della ragione
c) La natura dell’uomo d) Il sentimento della paura dell’ignoto
45) Che cos’è l’alienazione dell’operaio per Marx?
a) La riduzione del salario dell’operaio nell’ambito della società capitalistica
b) L’esclusione del lavoratore salariato nell’ambito della società capitalistica
c) La sostituzione dell’operaio con le macchine nell’ambito della società capitalistica
d) La riduzione ad oggetto del lavoratore salariato nell’ambito della società capitalistica
Logica e concetti filosofici fondamentali
[Elementi di storia del pensiero filosofico, con particolare riguardo al pensiero del Novecento (Kant, positivismo, scetticismo, marxismo, pragmatismo, evoluzionismo, esistenzialismo, neoempirismo e falsificazionismo). Conoscenza del significato di: logica, epistemologia, gnoseologia, antropologia, metafisica, etica. Concetti etici fondamentali: bene, valore, coscienza, libertà, responsabilità, legge morale.
Concetti gnoseologici fondamentali: verità, certezza, ragionamento, opinione, congettura, ipotesi e tesi, confutazione, giustificazione.]
Elementi di storia del pensiero filosofico, con particolare riguardo al pensiero del Novecento
POSITIVISMO
Dottrina filosofica che fonda la conoscenza solo sui fatti e deriva la certezza esclusivamente dall'osservazione propria alle scienze sperimentali, con l'esclusione di ogni apriorismo e l'ammissione che la conoscenza della "cosa in sé" è inattingibile. Positivo è quindi il reale in opposizione al chimerico, il certo in quanto posto sul fondamento sicuro del fatto. Il termine "positivo" si trova per la prima volta nel conte di Saint-Simon, che lo acquisisce al campo strettamente filosofico (Système de politique positive), ma che si limita a un generico impegno della filosofia per un metodo d'indagine che si modellasse sulla ricerca scientifica. Le vere origini del positivismo però sono da ricercarsi nell'illuminismo inglese e francese: dal primo dedurrà le matrici empiristica e utilitaristica; dal secondo il principio (elaborato da Condorcet) che il progresso di tutta la conoscenza dipende dalla costituzione e dal progresso della scienza positiva. Ambiente favorevole allo sviluppo del positivismo fu quello formatosi a partire dal 1830: progresso delle scienze naturali, prime applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche e loro riflessi in campo sociale ed economico, nuova importanza assunta dal lavoro. In Francia A. Comte (a cui si deve la prima elaborazione e sistemazione del positivismo) partì dal principio già formulato da Fourier: "Le cause primordiali non ci sono note, ma esse sottostanno a leggi semplici e costanti, che si possono scoprire per mezzo dell'osservazione e il cui studio costituisce l'oggetto della filosofia naturale"; e da questa premessa svolse la sua ricerca giungendo alla definizione della filosofia come "scienza dei fatti concreti". Nel suo fervore organicistico Comte aveva diviso la storia in tre stadi: teologico o immaginativo, in cui l'uomo immagina i fenomeni un prodotto di agenti soprannaturali; metafisico o astratto, in cui l'uomo tenta di spiegarsi il mondo come effetto di forze astratte; positivo o scientifico, in cui l'uomo ha acquistato la coscienza dell'impossibilità di attingere l'assoluto e si limita alla conoscenza delle leggi che reggono i fenomeni. Questo rigore scientifico venne meno nel Comte vecchio, che al principio intellettualistico sostituì il sentimento, fondando su di esso addirittura una religione (inconsistente), di cui si autonominò sommo sacerdote. Fecondo e aperto a nuovi sviluppi fu il positivismo anche in Inghilterra, soprattutto per merito di J. Stuart Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale alle sue consuete incertezze per stabilire invece per essa un fermo complesso di regole, che consentissero di superare le antitesi di egoismo e altruismo, d'individualismo e socialismo.
SCETTICISMO
Si tratta di una linea di pensiero originaria della filosofia greca antica. Uno degli esponenti di maggior spicco è stato Pirrone di Elide (360-275 a.C.), che propose l’adozione di uno scetticismo 'pratico'. In seguito, all’interno della 'Nuova accademia', Arcesilao (315-241 a.C.) e Carneade (213-129 a.C.) svilupparono ulteriori prospettive teoretiche, basate sul rifiuto di una verità (e di una falsità) assolute. Carneade criticava in particolare i dogmatici, soprattutto quelli di matrice stoica, asserendo che non è possibile fondare la conoscenza in maniera irrefutabilmente certa. Sesto Empirico (200 d.C. circa), la massima autorità dello scetticismo greco, sviluppò ulteriormente la dottrina, inserendovi i risultati dell’empirismo dell’epoca. Gli scettici greci si opponevano in particolare a quello che ritenevano essere il “dogmatismo” degli stoici, basato sulla forza della logica. Per gli scettici, l’argomentazione logica, volta a stabilire la verità di una certa affermazione, è a tal fine inutilizzabile, in quanto, in ultima istanza, ogni proposizione logica si basa sulla validità (verità) di altre proposizioni, che andrebbero a loro volta verificate, e così all’infinito. Gli scettici ritenevano dunque la logica uno strumento inadeguato ad individuare la verità. Verità che tuttavia, non si poteva dire fosse “impossibile” da ottenere; gli scettici non proponevano, in generale, un nuovo dogmatismo (basato sull’affermazione fondamentale “la verità non esiste”, che si confuta nel momento stesso in cui viene pronunciata, né su quella più edulcorata, ma peggiore sul piano filosofico, “la verità non è raggiungibile”, che fonde due dogmi in uno, nel presupporre l’esistenza di una verità – senza tuttavia poterla in alcun modo riscontrare) ma piuttosto un atteggiamento volto a non “cristallizzare” la conoscenza acquisita (come se fosse qualcosa di proveniente direttamente da un cielo metafisico), bensì a farne buon uso a proprio ed altrui vantaggio. Fra gli scettici dell'epoca moderna va ricordato David Hume.
MARXISMO
Termine con cui si definisce sia la dottrina filosofico-politica elaborata da Karl Marx, sia quell’ampio movimento internazionale, tra i maggiori protagonisti della storia del XX secolo, che su di essa ha basato la sua strategia politica e i suoi studi teorici. Il marxismo ha esercitato una grande influenza sui movimenti socialisti e comunisti. Il fenomeno politico e ideale suscitato dall’opera di Marx è estremamente complesso e controverso; per questo motivo si dovrebbe parlare piuttosto di “marxismi”. In molte sue opere, e specialmente nel Capitale, Marx analizzò lo sviluppo del sistema capitalistico riconducendolo allo sfruttamento del lavoro salariato. Secondo Marx, il corso della storia dell’uomo è plasmato dalla “lotta di classe”, ossia dal rapporto dialettico e conflittuale tra le classi. Ciascuna epoca storica è caratterizzata da uno specifico “modo di produzione” (una struttura economico-sociale), al quale corrisponde uno specifico “rapporto di produzione”, cioè un rapporto tra le classi sociali. Dalla schiavitù al feudalesimo, e da questo al capitalismo, le transizioni hanno avuto luogo quando le forze produttive (l’insieme cioè di forza lavoro, mezzi e tecniche di produzione, materie prime) non hanno avuto più modo di svilupparsi all’interno dei rapporti di produzione esistenti. Anche il capitalismo non è altro che una fase transitoria della storia dell’uomo; per affermarsi ha dovuto imporsi sul modo di produzione feudale, portando con sé i germi della sua stessa distruzione. Mentre il passaggio tra feudalesimo e capitalismo è stato prodotto dall’azione della borghesia, nel capitalismo può essere solo la lotta della classe operaia a determinare il cambiamento verso una società comunista, in cui non sia possibile lo sfruttamento di una classe sull’altra. La classe operaia, con la lotta per la sua emancipazione, emanciperà dallo sfruttamento tutta l’umanità. Secondo Marx la struttura economica della società capitalistica viene difesa da una complessa sovrastruttura politica, giuridica e ideologica (lo stato), che determina le forme di coscienza sociale. Lo stato, nell’analisi di Marx, è lo strumento di cui si serve la borghesia per esercitare il suo potere e imporre la sua ideologia. Per Marx lo stato non è destinato a perfezionarsi, né va conquistato per usarlo a proprio vantaggio: se lo stato è uno strumento di dominio di una classe sull’altra, esso si estinguerà nella società senza classi. Nel periodo di transizione rivoluzionaria dal capitalismo al comunismo le funzioni dello stato saranno esercitate dalla “dittatura del proletariato”.
Marx individua nel salario, che regola il rapporto fra capitalisti e proletari, uno dei cardini del sistema capitalistico. Nel capitalismo, il salario corrisposto al lavoratore in cambio della sua forza lavoro non corrisponde al valore dei beni che questa forza lavoro produce. Infatti, secondo la teoria del valore-lavoro, che Marx mutua da Ricardo, il profitto del capitalista non può che venire da un “valore in più” delle merci vendute, il “plusvalore”, prodotto da una parte del lavoro, il “pluslavoro”, per cui non viene corrisposto alcun salario. Questo dimostra che la formazione del profitto e l’accumulazione del capitale, che rendono possibile il funzionamento del sistema capitalistico, derivano dallo sfruttamento della classe operaia.
PRAGMATISMO
Dottrina filosofica elaborata nel XIX secolo dai pensatori statunitensi Charles Sanders Peirce e William James, secondo cui il valore di verità di una proposizione si identifica con le sue conseguenze pratiche, poiché il fine del pensiero è guidare l'azione. Il termine pragmatismo, derivato dal greco prâgma, 'fatto', 'azione', fu impiegato per la prima volta da Peirce, per indicare un atteggiamento filosofico che non considera la conoscenza come pura attività teorica, bensì in rapporto alle conseguenze pratiche che derivano dalle nostre credenze. Tuttavia la concezione secondo cui la nostra conoscenza ha un carattere essenzialmente pratico era già stata formulata dal filosofo inglese Bacone alle soglie dell'età moderna: egli infatti sosteneva che la conoscenza non ha di mira la semplice contemplazione della natura, ma il suo dominio tecnico, e inoltre richiede costantemente l'intervento pratico-sperimentale per controllare se una teoria è vera o falsa. Nell'Ottocento Marx formula un rapporto fra teoria e prassi che può essere avvicinato alle dottrine pragmatiste; egli sostiene infatti che 'la questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva non è una questione teoretica, bensì una questione pratica'. Alla base di ogni approccio filosofico di tipo pragmatistico troviamo un nucleo di questioni generali. Una prima questione riguarda il problema se una teoria è utile perché è vera oppure è vera perché utile; una seconda questione riguarda se la verità ha un valore oggettivo o solo relativo al soggetto e ai suoi bisogni pratici; una terza questione riguarda se il soggetto della conoscenza e dell'azione vada inteso come l'individuo, o come un insieme più ampio di individui, ovvero come l'umanità. Sulle risposte date a queste domande si dividono il pragmatismo di Peirce, teso comunque a difendere un valore universale della verità, da quello di James, più orientato in senso relativistico. Mentre infatti Peirce mantiene fermo il principio che una ipotesi, per poter essere riconosciuta come vera, deve fondarsi sull'ideale regolativo del consenso universale della comunità di scienziati intorno a essa, James ritiene che il criterio della sua verità consiste esclusivamente nella sua utilità in relazione alle esigenze vitali degli individui. Dal canto suo Peirce, per distinguersi dallo sviluppo che gli sembrava irrazionalistico del pragmatismo di James, definì la propria posizione 'pragmaticismo'.
EVOLUZIONISMO
Sviluppo della teoria darwiniana sull'evoluzione delle specie, in contesto antropologico culturale, teso all'individuazione dei fattori che determinano la progressione delle società umane. L'idea che potesse esistere un'evoluzione degli organismi viventi tale che nuove specie o semplicemente delle varianti razziali potessero formarsi in un determinato contesto geografico venne espressa da Charles Darwin nel libro Sull'origine delle specie. Benché altri autori precedenti fossero già convinti evoluzionisti, a lui spetta il merito di avere individuato nella selezione naturale il principale motore dell'evoluzione e di avere portato solide prove a sostegno di tale teoria. Il suo saggio, pubblicato nel 1859 dopo un lungo periodo di rielaborazione, non solo modificò per sempre il pensiero biologico, ma influenzò profondamente molti altri aspetti delle scienze umane.
ESISTENZIALISMO
Tendenza filosofica e letteraria, nata in Germania e in Francia intorno agli anni Trenta del Novecento, che si pone come compito l’analisi dell’esistenza umana. L’esistenzialismo comprende posizioni eterogenee, difficili da definire univocamente; si possono tuttavia individuare alcuni motivi ricorrenti, quali il tema centrale dell’esistenza come modo d’essere proprio dell’uomo, l’accentuazione della finitezza e della singolarità irriducibile dell’individuo, delle possibilità alternative cui egli si riferisce, e pertanto della responsabilità individuale e della libertà. Non sono mancate nella storia del pensiero filosofie che hanno toccato alcuni dei problemi che sono al centro dell’esistenzialismo novecentesco. Blaise Pascal nel Seicento polemizzò con lo “spirito geometrico” tipico del razionalismo di Cartesio, perché incapace di render conto dei problemi che riguardano l’uomo di fronte alla vita e alla morte. Tuttavia, il filosofo cui i pensatori esistenzialisti contemporanei più spesso si sono richiamati è il danese Søren Kierkegaard, vissuto nella prima metà del XIX secolo, il cui pensiero conobbe una vera e propria rinascita in Germania fra le due guerre mondiali. Egli, opponendosi all’idealismo di Hegel, sottolineò il valore assoluto dell’esistenza del singolo e il suo carattere di unicità. L’esistenza, infatti, non è mai risolvibile in concetti astratti come essenza, spirito, ragione, che pretendono di spiegarla esaurientemente, ma corrisponde sempre a ciò che possiamo intendere come singolo, ossia possibilità, scelte, decisioni. In particolare Kierkegaard sottolineò il sentimento fondamentale dell’angoscia, che nasce poiché l’uomo si trova sempre di fronte a diverse possibilità, la scelta di una delle quali comporta l’esclusione delle altre. Egli sostenne un “salto della fede” nell’esistenza cristiana che, sebbene immotivata e rischiosa, è l’unica forma di impegno capace di salvare l’individuo dalla disperazione. Un altro pensatore che esercitò un profondo influsso sui filosofi esistenzialisti del Novecento fu Friedrich Nietzsche. Egli criticò radicalmente le tradizioni metafisiche e morali dell’Occidente opponendovi il pessimismo tragico e la volontà affermatrice di vita, ostile al conformismo morale della maggioranza. A differenza di Kierkegaard, il cui attacco alla moralità convenzionale giunse a una forma di cristianesimo individualista, Nietzsche proclamò la “morte di Dio”, respingendo tutta la tradizione morale giudaico-cristiana a favore di un ideale eroico pagano.
EMPIRISMO MODERNO
In età moderna l’inglese John Locke critica la concezione delle idee innate sostenuta da Cartesio e afferma che tutte le nostre conoscenze sono originate dall’esperienza esterna (“sensazione”) o interna (“riflessione”). Locke paragona il nostro spirito a “un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea”: solo l’esperienza procura al nostro spirito tutti i materiali del pensiero, che Locke definisce “idee”, dando a questo termine un significato simile a quello conferitogli dal razionalista Cartesio. La differenza fra i due autori non riguarda, infatti, la concezione delle idee come contenuti del pensiero o della mente (secondo un significato che non è quello originario e platonico della parola “idea”), ma l’origine delle idee, che per Cartesio e i pensatori razionalisti sono (almeno in parte) innate, per Locke e gli empiristi sono derivate dai sensi (come le idee di bianco, di caldo, di duro, di ruvido ecc.), o da una riflessione sulle operazioni mentali interne (come le idee di percepire, di pensare, di volere ecc.). A partire da Locke l’empirismo si distingue anche per un’istanza critica nei confronti dei concetti tipici della metafisica, come ad esempio il concetto di sostanza. Se, infatti, tutto ciò che conosciamo deriva dall’esperienza, diventa problematico ipotizzare qualcosa che sarebbe a fondamento delle qualità sensibili delle cose: Locke non nega la sostanza, ma la dichiara inconoscibile come essenza necessaria o fondamento ultimo delle cose. Dopo di lui l’irlandese George Berkeley, sebbene motivato da una finalità teologica, giunge a negare l’esistenza del mondo materiale e ad affermare che gli oggetti non sono altro che collezioni di molteplici percezioni (un albero, ad esempio, consiste solo nelle percezioni relative a certi colori, a una certa forma e ad altri caratteri sensoriali che si accompagnano insieme nella mente). L’unica sostanza che rimane, una volta che Berkeley ha negato l’esistenza dei corpi, è lo spirito, cioè la mente che percepisce. Il passo successivo viene compiuto dallo scozzese David Hume, il quale non solo argomenta che non si possono produrre prove oggettive circa l’esistenza del mondo dei corpi, ma che anche l’esperienza che abbiamo del nostro io non è quella di una sostanza (l’“anima”), bensì di un “fascio di percezioni” in continuo mutamento. Se in questo modo l’empirismo di Hume perviene a conclusioni scettiche, occorre precisare che il suo scetticismo mira soprattutto a delimitare il nostro sapere in senso sperimentale, privandolo di quei requisiti di certezza e di indubitabilità che gli erano attribuiti dai filosofi razionalisti. Nell’Ottocento l’empirismo fu difeso e sviluppato in modo originale da John Stuart Mill, che rivendica l’origine empirica delle nostre conoscenze, anche delle verità logiche e matematiche, e il significato fondamentale del metodo induttivo. Sia per le sue istanze di carattere critico e antimetafisico, sia per la sua capacità di adattarsi ai problemi che via via si impongono all’indagine scientifica e filosofica, un fondamentale atteggiamento empiristico appare contraddistinguere molteplici correnti del pensiero otto e novecentesco, dal positivismo al pragmatismo, riemergendo in particolare nella riflessione del positivismo logico sviluppatasi nel periodo fra le due ultime guerre mondiali.
Conoscenza del significato di:
LOGICA: La parola logica deriva dal greco "Logos", ovvero "parola, pensiero, idea, argomento, ragione". In quest'accezione, essa s'è subito configurata quale uno studio del "pensiero" e del "linguaggio". La logica, in genere, è la scienza delle regole e delle leggi del pensare. Essa coincide, almeno fino a Hegel, con la logica formale, cioè con la scienza del pensare a prescindere dai contenuti. La logica dialettica studia le forme del pensare in relazione ai contenuti. I contenuti sono infine, materia delle singole scienze. La logica classica è la scienza che tratta tutta la validità e le articolazioni di un discorso in termini di nessi inferenziali - in particolare deduttivi - relativamente alle proposizioni che lo compongono. Si deve ad Aristotele - che esaminò i concetti, le categorie, le proposizioni, i termini e i sillogismi - la prima formulazione della logica come scienza propedeutica a ogni possibile conoscenza.
EPISTEMOLOGIA : Disciplina filosofica che studia la conoscenza, individuandone i fondamenti e i criteri di validità. In Italia il termine (dal greco episteme, “conoscenza” e logos, “discorso”) possiede due differenti significati. Nel primo caso, che riproduce l’uso del termine inglese epistemology, la disciplina si identifica con la gnoseologia, ossia con lo studio della definizione e della giustificazione della conoscenza rispetto ad altre forme di esperienza umana. Nel secondo, in un’accezione più restrittiva, il termine indica l’indagine filosofica sulla conoscenza scientifica e pertanto è sinonimo di filosofia della scienza
GNOSEOLOGIA: Disciplina filosofica che studia la conoscenza, cercando di darne una definizione e di indagarne la possibilità intrinseca, i criteri e i limiti, e ponendosi il problema della sua verità. Sinonimi di “gnoseologia” (dal greco gnosis, “conoscenza” e logos, “discorso”) sono “teoria della conoscenza” e, in particolare nella cultura anglosassone, il termine “epistemologia”.
ANTROPOLOGIA: Studio delle caratteristiche fisiche, delle culture e delle forme di organizzazione sociale dell'essere umano. Il campo di indagine dell'antropologia si divide in due ambiti principali: l'antropologia fisica, rivolta allo studio dell’uomo come specie zoologica, e l'antropologia culturale, che studia le culture e le forme di organizzazione sociale dei diversi gruppi umani. Sviluppatasi in seno allo studio delle culture cosiddette 'primitive', l'antropologia contemporanea ha esteso la sua indagine anche alle moderne culture occidentali. Centrali, nel suo metodo, sono il lavoro sul campo e la raccolta di testimonianze dirette sulla cultura, i costumi, le tradizioni e la struttura delle società esaminate.
METAFISICA: Ramo della filosofia che indaga la natura dell’essere. Generalmente la metafisica si suddivide in due discipline: l’ontologia, che si cura di determinare quali e quante specie distinte di entità popolino l’universo, e la metafisica propriamente detta, che si preoccupa di descrivere i tratti universali dell’essere, quelli cioè che definiscono complessivamente la realtà e che – si presume – caratterizzerebbero ogni possibile universo.
ETICA: Insieme di principi o norme che regolano la condotta umana, e per estensione lo studio di tali principi, denominato filosofia morale (dal latino mores, “costumi”). L’etica (dal greco ethos, “carattere”, “costume”) cerca di rispondere a domande come: “Quando un’azione è giusta?”, “Quando un’azione è sbagliata?” e “Qual è il principio che decide del bene e del male?”. Da quando gli esseri umani vivono insieme in gruppi, la legittimazione morale del comportamento è divenuta necessaria per la sopravvivenza di ogni comunità. Sebbene i sistemi di valori venissero via via formalizzati in modelli sistematici di condotta, i principi dell’etica ebbero origine, talvolta irrazionalmente, da fonti eterogenee: determinanti furono sia azioni fortuite che, una volta divenute di uso comune, si consolidarono dando origine a tradizioni e costumi, sia le leggi imposte dai governanti per evitare i conflitti fra i loro sudditi.
Concetti etici fondamentali: bene, valore, coscienza, libertà, responsabilità, legge morale
Concetti gnoseologici fondamentali: verità, certezza, ragionamento, opinione, congettura, ipotesi e tesi, confutazione, giustificazione
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Macroconcetti giuridici ed economici
[Ordinamento giuridico; Stato: forme di Stato, Stato di diritto, norma e istituzione sociale, origine storica, caratteri, sua evoluzione nello Stato costituzionale contemporaneo, forme di governo, funzioni dello Stato, separazione dei poteri. Costituzione: garanzie e libertà fondamentali. Fonti di produzione e fonti di cognizione.L’organizzazione economica della società: mercato, produzione, distribuzione, domanda, impresa, azienda, moneta, banca.]
ORDINAMENTO GIURIDICO
Con il termine ordinamento giuridico si intende una comunità organizzata in vista del perseguimento di uno scopo comune (quindi, in questo senso, si può dire che lo Stato è un ordinamento giuridico) sia l'insieme delle norme (il diritto positivo o diritto oggettivo) che regolano la vita di questa comunità (in questo senso, quindi, si dirà che lo Stato ha un ordinamento giuridico).
La dottrina maggioritaria, nel solco dell'insegnamento di Santi Romano, ritiene che, affinché si possa parlare di ordinamento giuridico, debba riscontrarsi il concorrere di tre elementi:
- plurisoggettività, ossia la presenza di più soggetti (es. i cittadini di uno Stato)
- normazione propria, ossia l'esistenza di uno specifico complesso di norme volte a disciplinare l'azione dei soggetti
- organizzazione, cioè una struttura con il compito di porre in essere le norme e di garantirne il rispetto e l'efficacia
Un ordinamento giuridico può essere originario oppure derivato. È originario quando non deriva la sua sovranità da nessun altro ordinamento (ad esempio, lo Stato, la Chiesa, la Comunità internazionale); è invece derivato quando la sua sovranità non è diretta e immediata, ma un riflesso della sovranità di un altro ordinamento (le Regioni italiane e l'Unione europea sono entrambi ordinamenti giuridici derivati).
In relazione ai fini che persegue un ordinamento giuridico può essere generale oppure particolare. Si dice generale quando il fine perseguito è il così detto bene comune (ad esempio, Regioni italiane, Stato, Unione Europea); si dice invece particolare quando è volto al conseguimento di un interesse specifico (la Chiesa, ad esempio, tra gli ordinamenti giuridici originari; così come una società per azioni - o anche banalmente un'associazione - per gli ordinamenti giuridici derivati).
FORMA di STATO e FORMA di GOVERNO
Per forma di stato si intende il modo in cui lo stato risulta strutturato nella sua totalità, ed in particolare il modo in cui si atteggiano i rapporti tra gli elementi costitutivi del medesimo. In questo concetto, il termine stato rileva come stato-ordinamento, ossia come combinazione dei tre elementi fondamentali: popolo, territorio e sovranità.
Sulla base di questi tre elementi, possono essere dati due contenuti diversi al concetto di forma di stato:
- come organizzazione dei rapporti tra popolo e sovranità, ossia tra governanti e governati;
- come organizzazione dei rapporti tra territorio e sovranità, ossia come ripartizione della sovranità sul territorio (con un maggiore o minore grado di accentramento).
La forma di governo, invece, indica il modo con cui le varie funzioni dello stato sono distribuite ed organizzate tra i diversi organi costituzionali. In tal caso, il termine stato rileva come stato-apparato, cioè apparato di governo e complesso degli organi centrali.
Sinteticamente, si può affermare che forma di stato e forma di governo è concetto impiegato per indicare il modo di essere del rapporto tra stato-autorità e stato-società, avendo particolarmente riguardo, rispettivamente, all'aspetto finalistico e all'aspetto strumentale.
Forme di stato
Una carrellata storica sulle forme di stato (e anche su quelle di governo) deve necessariamente partire dalla fine del Medioevo, quando in tutta Europa si affermano i regimi delle monarchie nazionali: con essa si può iniziare a parlare di stato in senso moderno, che alle sue origini si incarna nella forma dello stato assoluto. Possiamo affermare infatti, che lo stato moderno nasce quando l'ordinamento acquisisce i caratteri dell'indipendenza (rispetto agli ordinamenti esterni) e della supremazia (rispetto alle istituzioni interne: comuni, feudi, corporazioni, ecc.). Ciò avviene tra XIV e XVI secolo; le forme di stato esposte di seguito vanno intese nella prima accezione sopra menzionata (rapporti governanti-governati).
Stato patrimoniale
Lo stato patrimoniale la prima forma di stato successiva all'impero romano. A fondamento dello stato patrimoniale c'è un accordo che interessa solo alcuni soggetti, i feudatari. Uno stato non più con numerose finalità ma con un unico fine: la difesa esterna e interna dei beni patrimoniali. Più in particolare, manca ancora un'organizzazione amministrativa stabile, in grado di consentire il perseguimento dei fini di carattere generale, di interesse dell'intera collettività.
Stato assoluto
In una sua prima fase, lo Stato assoluto non costituisce ancora una forma di stato, ma solo un ordinamento giuridico (mancano infatti gli elementi costitutivi dello stato, essendo popolo e territorio soltanto dei meri presupposti materiali, e manca l'elemento della politicità). Per la sua struttura a carattere privatistico, fondata sul diritto reale, viene indicato come ordinamento a regime patrimoniale: tutto ciò che è presente sul territorio statale è considerato proprietà della Corona, e il monarca lo gestisce sulla base di rapporti giuridici di diritto privato. È caratterizzato da un ampio grado di accentramento, in contrapposizione a quello che era stato nel Medioevo lo stato feudale; bisogna precisare che stato assoluto ed ordinamento feudale continuano a convivere, benché i feudatari perdano parte dell'autonomia che li aveva contraddistinti nei secoli precedenti. Fattori di natura sociale ed economica (la frequenza di guerre e lo sviluppo di traffici e commerci), comportano il decentramento delle funzioni e dell'autorità dello stato, con la nascita dei funzionari del Re (ciò che, con termine moderno, chiamiamo burocrazia) e di un esercito nazionale stabile - e non più fornito da componenti inviati dai feudatari.
Stato di polizia
Detto anche assolutismo illuminato, si afferma con la costruzione di un sistema tributario e l'introduzione di elementi di politicità dell'ordinamento giuridico: il sovrano, in questa fase, identifica il fine pubblico con una paternalistica aspirazione al benessere completo di ogni individuo e, per il tramite di esso, il benessere generale. Nello stato di polizia, innanzi tutto, si riscontra una forte diminuzione della trascendenza, non essendo più il Re estraneo rispetto all'ordinamento, di cui invece costituisce un elemento intrinseco, con la conseguente pubblicizzazione della sua funzione: si pensi alla legge di successione o all'istituzione della Corona, che solo ora viene distinta dal suo titolare. Alcuni fra i più significativi esponenti di questa forma di stato (Federico II di Prussia, Giuseppe II d'Asburgo-Lorena) non cessano mai di proclamarsi impiegati dello stato o servi del popolo.
Si registra una concentrazione delle funzioni sovrane nelle mani del Re (ai fini di un più penetrante intervento pubblico, per la realizzazione dei fini sopra esposti), ed una conseguente attenuazione delle autonomie locali.
Si introduce, infine, una tutela giurisdizionale del singolo nei confronti degli atti di gestione posti in essere dallo stato (ossia soltanto quelli aventi natura privatistica, non essendoci ancora nessuna tutela nei confronti degli atti di imperio, ossia di quegli atti autoritativi attinenti all'esercizio della sovranità), cui si affianca la nascita e lo sviluppo di due istituti di garanzia:
- il fisco: patrimonio dello stato finalmente distinto da quello personale del sovrano, con il quale possono essere soddisfatte le pretese creditorie private;
- e la distinzione tra legge (atto generale, che vincola tutti i consociati e l'amministrazione) e ordinanza (atto particolare, che non vincola l'amministrazione).
Stato liberale
Sul continente europeo, in virtù di cause contingenti di carattere economico, della perdita delle prerogative della nobiltà, a fronte del mantenimento dei suoi privilegi, e dell'aumento della tassazione e delle imposte, lo stato di polizia entra progressivamente in crisi.
Inizia a svilupparsi lo stato liberale, così come era avvenuto in Inghilterra, in seguito alle due rivoluzioni (prima la rivoluzione inglese del 1649, poi la gloriosa rivoluzione del 1688). Tale modello venne introdotto in Francia in seguito agli eventi della rivoluzione iniziata nel 1789.
In questa forma di stato, che supporta la nascita ed affermazione della classe borghese e assume le finalità di questa. Tale forma di stato assume anche il nome di:
- Stato minimo o negativo o non interventista: in quanto attua la politica del minimo intervento, a favore della libertà dei singoli (intesa come libertà dallo stato e dai suoi divieti);
- Stato legale o stato di diritto.
Considerata la legittimazione al potere degli organi statali, si sviluppano i concetti di nazione e di sovranità nazionale (e quello distinto, ma collegato, di unità della nazione raggiunta per il tramite dei suoi rappresentanti).
Ma lo stato liberale, che si propone di assicurare la libera esplicazione e la massima estensione dei ceti detentori delle forze economiche, e di garantire il mantenimento dello status quo, riservando i diritti politici agli appartenenti della classe dominante, contiene al suo interno le contraddizioni che porteranno al suo superamento.
Stato democratico
Infatti, la nascita di uno spirito di classe nei ceti non possidenti, accompagnata da un processo di trasformazione che tende a realizzare il principio democratico (inizialmente, soltanto a livello sociale, mediante una politica assistenziale), porta allo sviluppo dello stato liberale in stato democratico, caratterizzato:
- politicamente dalla piena partecipazione di tutti i cittadini alla determinazione delle politiche nazionali generali;
- socialmente dall'intervento statale nei rapporti socioeconomici per modificarne l'assetto in favore di alcuni gruppi o classi: non eliminando i presupposti, ma gli effetti del meccanismo di accumulazione del capitale (attraverso un sistema tributario progressivo e, per il tramite di esso; si attua il finanziamento del cosiddetto welfare state), tanto da essere definito anche come stato sociale.
In numerosi paesi del continente europeo, tuttavia, la progressiva evoluzione verso forme democratiche viene osteggiata dai ceti dominanti borghesi, i quali abbandonano le idee liberali di cui si erano serviti per arrivare al potere, e tendono a recuperare istituzioni di governo autoritarie proprie del previgente stato di polizia, in particolare l'abrogazione delle garanzie dello stato di diritto. Sorgono così numerosi casi di stato autoritario, il cui primo esempio può essere considerato il Secondo Impero instaurato da Napoleone III in Francia. Ma è nel Novecento che tale forma di stato dilaga, trovando terreno fertile nei gravissimi problemi sociali lasciati dal primo conflitto mondiale. Il fascismo, regime totalitario-nazionalista che prevedeva un assoggettamento attivo del singolo alla collettività, raggiunge i vertici del potere in Italia e su tale esempio si impone nella gran parte delle nazioni dell'Europa centrale e meridionale. Sarà il disastro della Seconda guerra mondiale a sradicare tale forma di stato, i cui modelli residui (Spagna, Portogallo) scompariranno negli anni Settanta onde riprendere la via democratica.
Parallelamente agli attentati provenienti da destra dalle forze estremistiche borghesi, nel corso del Novecento lo stato democratico deve affrontare da sinistra il modello alternativo dello stato socialista basato sui principi del comunismo.
In uno stato socialista i mezzi di produzione di beni e ricchezze come industrie e terreni sono di proprietà dello stato, non esistendo la proprietà privata. Radicalmente progressista in ambito sociale, in ambito politico il Comunismo riprende invece le forme autoritarie dello stato di polizia, mediante fortissime limitazioni dei diritti politici e giuridici dei cittadini.
L'ultimo scorcio del Novecento vede comunque la totale vittoria del modello democratico in tutto il mondo sviluppato, relegando le forme di governo autoritarie dei paesi del Terzo Mondo.
Altra classificazione: secondo il grado di decentramento
In Europa e nel resto del mondo sviluppato, data per scontata la forma di stato democratica, oggigiorno la differenza riguardo le forme di stato rimane quella relativa al grado di accentramento dell'ordinamento statuale (seconda accezione in cui è possibile intendere l'espressione "forme di stato").
In tal senso si distingue:
- lo stato federale, caratterizzato da un'amplissima autonomia riconosciuta agli enti decentrati, organizzati come veri e propri Stati, titolari di poteri legislativi ed amministrativi, e fondati sui principi di sussidiarietà, solidarietà e federalismo fiscale;
- lo stato regionale, in cui il territorio dello stato (unico ed indivisibile) è ripartito in unità locali dotate di poteri amministrativi (attuativi anche della legge centrale) e di una potestà legislativa più o meno ampia, attribuita dalla costituzione statale;
- lo stato unitario, in cui mancano enti decentrati.
Forme di governo
Le forme di governo possono essere classificate in base alla natura dell'organo cui è affidato il potere sovrano, ossia la funzione primaria, che condiziona e dirige lo svolgimento di tutte le altre funzioni dello stato, e che può essere definita come funzione di indirizzo politico, e al modo in cui tale organo viene individuato e/o eletto. Mentre le forme di stato non democratiche sono tendenzialmente caratterizzate da una specifica forma di governo, caratteristica della forma democratica dello stato è quella di potersi coniugare in una notevole serie di differenti forme istituzionali.
La prima, e universalmente nota, suddivisione all'interno delle forme di governo, è quella risalente all'Antichità ed elaborata da Aristotele nella sua Politica. Egli elaborò tre modelli: monarchia, cioè governo di uno solo, aristocrazia, cioè governo di pochi, e democrazia, cioè governo del popolo; queste tre forme sono passibili di degenerazione rispettivamente in tirannide, oligarchia e demagogia.
Nella tradizione latina e medievale poi, tale tripartizione fu ridotta ad una bipartizione fra Regno e Repubblica, a seconda della durata vitalizia o meno della carica del capo dello stato. Storicamente possiamo infatti trovare sia oligarchie repubblicane, come la Serenissima, sia oligarchie monarchiche, come l'Inghilterra liberale del Settecento e Ottocento.
Monarchia
L'accentramento monarchico nelle grandi monarchie nazionali come l' Inghilterra, la Francia e la Spagna, portò alla formazione della monarchia assoluta, caratterizzata dal totale accentramento del potere sovrano nelle mani del Re. L'avvento dello stato liberale comportò la stabile apertura di parlamenti nazionali con cui il Re doveva condividere la gestione del paese. Nasce la monarchia costituzionale in cui il Re è ancora il titolare del potere esecutivo, ma perde il potere legislativo affidato al Parlamento, ed il potere giudiziario esercitato da una magistratura indipendente.
La possibilità di condizionare il governo da parte di un monarca ereditario, seppur limitata da una Costituzione, era comunque incompatibile con le nuove istanze democratiche affermatesi all'inizio del Novecento. Il Re cominciò dunque a perdere de facto ogni voce in capitolo nella scelta del Primo ministro e nella determinazione dell'agenda del governo, che veniva ora affidata al giudizio insindacabile delle forze politiche presenti in Parlamento ed elette dal popolo con suffragio universale. Nacque così la monarchia parlamentare, una vera e propria forma di governo repubblicana camuffata grazie alla persistenza di un monarca, il quale viene ridotto ad una pura figura cerimoniale rappresentante dell'unità nazionale.
Repubblica
Nella maggioranza degli Stati gli eventi storici portarono all'abrogazione dell'istituto monarchico e alla proclamazione della repubblica. Attualmente nel mondo sono individuabili tre tipi principali di forma di governo repubblicana:
- nella repubblica parlamentare il governo necessita del sostegno costante di una maggioranza parlamentare che approvi le linee della politica del Governo; sostanzialmente uguale alla monarchia parlamentare, tale forma di governo viene definita monista in quanto i cittadini hanno nelle elezioni parlamentari l'unico momento in cui possono decidere delle sorti del governo del paese, sicché il Parlamento è l'unico organo che gode di una legittimazione popolare. Il governo entra in carica grazie ad un voto di fiducia concesso da una coalizione maggioritaria di deputati.
Per risolvere il dramma dell'instabilità cronica di tale sistema, sono state ideate forme razionalizzate di parlamentarismi (dotate costituzionalmente di mezzi idonei) per determinare una maggiore stabilità, la più famosa delle quali è il Cancellierato tedesco.
- Sempre con l'intenzione di moderare l'instabilità del governo parlamentare, ma allontanandosi da esso, nasce la repubblica semipresidenziale, caratterizzata dalla riattribuzione al capo dello stato di importanti funzioni politiche. In tale sistema, il governo viene a dipendere sia dalla fiducia della maggioranza parlamentare, ma contemporaneamente anche dalla volontà politica del Presidente della Repubblica, eletto dal popolo. Si tratta dunque di una forma di governo dualistica, in quanto il voto popolare investe sia il Parlamento che il Capo dello stato. Significativa, onde marcare la differenza dal parlamentarismo, è l'incompatibilità fra la carica di ministro e quella di deputato.
- Di natura storica diversa è invece la repubblica presidenziale che non nasce da una progressiva evoluzione dalla monarchia, ma dalla creazione ex novo di un neocostituito ordinamento giuridico, che sostituisce al capo di stato ereditario e vitalizio un Presidente elettivo e temporaneo. Si tratta di una elaborazione dei rivoluzionari americani.
Tale forma di governo si fonda sui principi di Montesquieu di una radicale divisione dei poteri pubblici. In tale ordinamento il governo è nelle esclusive mani del Presidente della Repubblica, eletto direttamente dai cittadini. Egli non ha tuttavia alcuna possibilità giuridica di influenzare la formazione delle Leggi, che è di esclusivo appannaggio del parlamento. Anche la funzione giudiziaria è indipendente dagli altri due poteri.
Repubblica direttoriale
Un caso particolare è infine quello della repubblica direttoriale. Affine al sistema presidenzialista per quanto riguarda la divisione dei poteri, se ne discosta per il semplice fatto che non esiste un capo dello stato monocratico, ma le sue funzioni vengono svolte collegialmente da un collegio ristretto, il Direttorio, nominato dal parlamento ma in seguito da esso totalmente indipendente sino al successivo appuntamento elettorale. Tale forma di stato si trova attualmente vigente in Svizzera, caso isolato nel mondo
LA SEPARAZIONE dei POTERI
La moderna teoria della separazione dei poteri viene tradizionalmente associata al nome di Montesquieu. La separazione (o divisione) dei poteri è uno dei principi fondamentali dello stato di diritto. Consiste nell'individuazione di tre funzioni pubbliche - legislazione, amministrazione e giurisdizione - e nell'attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello stato indipendenti dagli altri poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario (gli stessi termini vengono usati anche per indicare la funzione a ciascuno attribuita).
In particolare nelle moderne democrazie:
- la funzione legislativa è attribuita al parlamento, nonché eventualmente ai parlamenti degli stati federati o agli analoghi organi di altri enti territoriali dotati di autonomia legislativa, che costituiscono il potere legislativo;
- la funzione amministrativa è attribuita agli organi che compongono il governo e, alle dipendenze di questo, la pubblica amministrazione, i quali costituiscono il potere esecutivo;
- la funzione giurisdizionale è attribuita ai giudici, che costituiscono il potere giudiziario.
Va detto che oltre alla separazione dei poteri così intesa, detta orizzontale o funzionale, si parla anche di separazione dei poteri verticale o territoriale, con riferimento alla distribuzione dell'esercizio delle funzioni pubbliche su più livelli territoriali (stato ed altri enti territoriali). La separazione territoriale, che trova la sua massima espressione nei sistemi federali, può coesistere, e nella pratica coesiste, con quella funzionale: così, ad esempio, nell'ordinamento italiano la funzione legislativa, oltre ad essere separata da quella esecutiva e giurisdizionale, è esercitata su due livelli territoriali (statale e regionale).
COSTITUZIONE
Legge fondamentale di uno Stato sovrano. Posta a garanzia dei diritti dei cittadini, la Costituzione (o “Carta costituzionale”) fissa i limiti e i rapporti reciproci tra i poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo, definendo la forma di governo, ed eventualmente individuando i valori che l’azione dello Stato deve perseguire. La maggior parte dei paesi ha una Costituzione scritta; non così la Gran Bretagna, dove la Costituzione, detta “non scritta”, è invece l’insieme dei diversi documenti precedenti, come la Magna Charta, e delle consuetudini che regolano i rapporti tra la Corona, il Parlamento, la magistratura e i cittadini.
Le Costituzioni sono dette “rigide” o “flessibili” in base alla maggiore o minore resistenza alle modificazioni; possono essere distinte in base al controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie e al carattere unitario o federale dell’ordinamento statale. Le Costituzioni scritte sono storicamente associate al liberalismo politico e all’età dell’illuminismo. Molti regimi autoritari hanno una Costituzione elaborata, ma non ne garantiscono l’applicazione e l’osservanza.
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IMPRESA L'impresa, sotto il profilo giuridico, è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi: ciò è quanto si desume dalla definizione di "imprenditore" che all'art. 2082 fornisce il vigente Codice civile. L'impresa è perciò caratterizzata da un determinato oggetto (produzione o scambio di beni o servizi) e da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità e professionalità.)
PRODUZIONE Produzione è la creazione di beni e fornitura di servizi mediante la trasformazione di risorse materiali o immateriali. Tale definizione è applicabile pressoché a qualunque attività umana e non, in qualunque disciplina, anche non tecnica.
É quindi naturale che il termine produzione assuma sfumature diverse a seconda del tipo di risorse trattate, di risultati ottenuti, e del contesto stesso in cui è utilizzato.
Alle poste gli addetti allo smistamento svolgono la loro attività produttiva raccogliendo, ordinando, distribuendo la posta. Il medico di famiglia svolge la sua attività produttiva visitando i pazienti in ambulatorio. L'insegnante svolge la sua attività produttiva quando in aula impartisce una lezione. E, naturalmente, l'operaio metalmeccanico svolge la sua attività produttiva quando tornisce un pezzo.
I soggetti fondamentali interessati nelle attività di produzione sono:
- il fornitore, che fornisce il bene o servizio
- il cliente o utente , che riceve il bene o servizio
Tra questi due soggetti nasce un rapporto diretto o indiretto, esplicito o implicito ma comunque regolamentato. Il fornitore è tenuto a rispettare obblighi, clausole, prestazioni previste in un contratto, in un capitolato, in una convenzione o nelle Carte dei servizi. Nel caso di un mezzo di trasporto pubblico il servizio di trasporto è regolamentato dal biglietto.
BENI E SERVIZI Beni e servizi Rappresentano entrambi il risultato di una attività di produzione.
Le differenze tra i due termini sono significative:
- i beni possono essere conservati
- i beni sono o possono essere trasformati in altri beni
- i servizi sono consumati nel corso dell'attività di produzione e terminano con essa
nei servizi può essere il cliente ad essere trasformato (basti pensare a servizi di formazione)
Nonostante le differenze, beni e servizi, richiedono per la loro produzione una gestione con molti punti in comune:
- possono essere prodotti in piccoli o grandi volumi, in serie o personalizzati
- implicano l'acquisto di materiali, strumenti, servizi
- possono essere forniti su richiesta o previsti in anticipo
- richiedono una progettazione, sia del prodotto / servizio, che del processo per creare il prodotto o erogare il servizio
- Possono essere venduti per ricavare un profitto o elargiti in nome di una qualsiasi missione sociale
- Sono creati seguendo una strategia di produzione combinata con una strategia commerciale
CONSUMO Per consumo si intende qualsiasi attività di fruizione di beni e servizi da parte di individui, di imprese o della pubblica amministrazione che ne implichi il possesso o la distruzione materiale o la distruzione figurata (nel caso dei servizi). Si suole distinguere tra consumi intermedi e consumi finali. I primi si verificano quando i beni e i servizi prodotti vengono impiegati da una impresa nella produzione di altri beni e servizi. I consumi finali comportano un uguale impiego con relativa distruzione di beni da parte di singoli individui.
TRIBUTO Il Tributo è una prestazione patrimoniale coattiva, consistente in beni in denaro o in natura, che deve essere corrisposta allo Stato o ad un altro ente pubblico per effetto dell'esercizio della facoltà di prelievo coattivo da parte dell'ente in questione. In base all'art. 23 della Costituzione italiana, "[n]essuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge".
(STORIA E CLASSIFICAZIONI) In epoca classica, il tributo era la somma di denaro corrisposta allo Stato dai cittadini, dagli stranieri o dai popoli alleati. Presso i Greci i tributi erano inizialmente straordinari e malvisti; presso i romani il tributo veniva esatto secondo il censo e solo nel caso in cui i redditi demaniali non fossero bastati alle spese di guerra, veniva rimborsato, sempre se il bottino di guerra lo avesse consentito. In epoca moderna, il tributo è un prelievo coattivo di ricchezza, operato dallo Stato o da altro ente pubblico, per il soddisfacimento della spesa connessa ai bisogni pubblici.
I tributi sono classificati in:
- Imposte
- Tasse
- Contributi
L'imposta è un prelievo coattivo di ricchezza finalizzato al soddisfacimento di bisogni pubblici indivisibili (quali secondo la dottrina classica la difesa dello Stato, la giutizia e l'ordine pubblico) ed è prelevato in relazione ad un fatto economico che esprime capacità contributiva, come il reddito nell'IRPEF, il consumo nell'IVA, ecc.. secondo il c.d. principio del sacrificio.
La tassa è un pagamento volontario che viene richiesto per fruire di un servizio pubblico divisibile, come ad es. l'istruzione (tassa universitaria) o la sanità (ticket sanitari) in base al principio del beneficio. Solitamente, la tassa non copre totalmente il costo del servizio pubblico, che quindi viene in parte finanziato anche da imposte.
Il contributo è una categoria non ben definita dalla dottrina, in quanto secondo parte di essa è possibile ricondurlo nei casi concreti alla tassa (es. contributo di utenza stradale) o all'imposta (contributo al servizio sanitario nazionale).
MONETA Per moneta si intende ogni oggetto materiale o entità astratta che svolga le funzioni di:
- misura del valore (moneta come unità di conto);
- mezzo di scambio nella compravendita di beni e servizi (moneta come strumento di pagamento);
- fondo di valore (moneta come riserva di valore);
- riferimento per pagamenti dilazionati (funzione implicita nelle tre precedenti).
La funzione "centrale" della moneta è comunque quella di strumento di pagamento, visto che tutte le altre funzioni sono o conseguenza di tale funzione o condizione favorevole per lo svolgimento di questa funzione stessa. La molteplicità delle monete e degli emittenti, fonte di instabilità e di periodiche crisi finanziarie, viene affrontata decidendo di concentrare il potere di emettere moneta nelle mani di un unico soggetto, la banca centrale. In tal modo si limita il potere di erogare credito da parte delle banche, che non possono superare il limite imposto loro dall'obbligo di detenere parte della raccolta sotto forma di riserve (oggi non più in oro, ma in attività estremamente liquide), e si attribuisce alla banca centrale il potere di rifinanziare le banche, quando occorra. Tale potere serve sia a far crescere l'offerta di moneta, attraverso l'aumento della base monetaria da parte della banca centrale, sia a garantire la solvibilità delle banche.
BANCA La banca è un'impresa che svolge i compiti di fornire alla clientela mezzi di pagamento e di intermediazione tra offerta e domanda di capitali, i primi provenienti per lo più dalle famiglie, i secondi domandati soprattutto dalle imprese. A fronte dei servizi che svolge, la banca viene remunerata dalla clientela. La principale entrata per le banche sono i tassi di interesse attivi, incassati impiegando i capitali raccolti. A questi si aggiungono le commissioni per i servizi resi alla clientela. Tra i costi si possono citare i costi per il personale, per il mantenimento di sedi e filiali e per la gestione dell'infrastruttura informatica, nonché l'interesse pagato ai depositanti a fronte della raccolta ( c/c, depositi, certificati di deposito, obbligazioni, pronti contro termine). I ricavi da intermediazione dipendono dalla differenza (spread in inglese) tra i tassi attivi a carico dei clienti e i tassi passivi versati ai clienti. Lo spread è di solito tanto più ampio quanto più alti sono i tassi, con la conseguente necessità pr la banca di cercare l'utile nelle commissioni (ricavi da servizi) percepite dalla clientela per servizi resi. Da tale variabile dipende la capacità della banca di coprire i costi fissi e di generare utili.
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Storia antica, medievale, moderna e contemporanea
[Periodizzazione generale della storia. Elementi fondamentali di storia antica: Roma e la civiltà romana. Il Regnum, Roma repubblicana e la sua espansione nel Mediterraneo. L’Impero: dal principato alla monarchia militare. L’impero romano-cristiano. La disgregazione del mondo politico romano. I regni romano-barbarici. L’imperatore Giustiniano e il Corpus Iuris Civilis. L’eredità storica di Roma antica. Il Medio Evo: L’organizzazione feudale. Papato e Impero. Dal Comune alla Signoria. Gli albori della nuova Europa. Il Rinascimento. L’età moderna e contemporanea: Nascita dello stato moderno. La rivoluzione americana, L’illuminismo e il movimento riformatore. La Rivoluzione francese. L’età contemporanea. Lo Stato unitario italiano: problemi, contrasti e sviluppi. Le guerre mondiali. La Costituzione della Repubblica italiana; ideali e realizzazioni della democrazia. I grandi problemi mondiali alla fine del secolo XIX: i rapporti internazionali e l’equilibrio europeo. Istituti e organizzazioni per la cooperazione fra i popoli. Comunità europea.]
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Padronanza degli strumenti linguistici
[Saper esporre in modo chiaro e organico usando con correttezza le strutture morfo-sintattiche, esprimendosi in modo lessicalmente appropriato, usando i registri adeguati alle situazioni; saper analizzare un testo cogliendone gli elementi formali e tematici e correlandoli fra loro; saper scrivere in modo grammaticalmente corretto e con proprietà lessicale; saper strutturare ed organizzare il testo in modo coerente ed armonico rispettando le diverse tipologie testuali.]
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Fonte: http://www.forumlybra.it/docs/TEST%20e%20DISPENSA10.doc
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