Imprenditore
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Imprenditore
- IL SISTEMA LEGISLATIVO. IMPRENDITORE E IMPRENDITORE COMMERCIALE
Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura dell’imprenditore. Ma la disciplina non è identica per tutti gli imprenditori.
Il c.c. distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:
- in base all’oggetto dell’impresa, si distingue fra imprenditore agricolo e imprenditore commerciale;
- in base alla dimensione dell’impresa, si distingue fra piccolo imprenditore e imprenditore medio-grande;
- in base alla natura del soggetto che esercita l’impresa, si distingue fra impresa individuale, società e impresa pubblica.
Il c.c. detta innanzitutto un corpo di norme applicabile a tutti gli imprenditori, detto statuto generale dell’imprenditore. Comprende la disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza e dei consorzi e di alcuni contratti.
Poi, detta lo statuto dell’imprenditore commerciale che disciplina l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la rappresentanza commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali.
Nel sistema del c.c. la qualifica di imprenditore agricolo e piccolo imprenditore ha rilievo solo al fine di delimitare l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, imprenditore agricolo e piccolo imprenditore (anche commerciale) sono esonerati dalla tenute delle scritture contabili, dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, mentre è stato esteso ad essi l’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese.
Anche la distinzione fra impresa individuale, società e impresa pubblica rileva essenzialmente al fine di definire l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Infatti, le società commerciali ( diverse dalla s.s.) sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, anche se l’attività esercitata non è commerciale. (art. 2200)
Con la riforma delle società del 2006 è stata soppressa la regola per cui le società non potevano essere mai considerate piccoli imprenditori; regola per cui le società erano sempre espose al fallimento se esercitavano attività commerciale.
Gli enti pubblici che esercitano impresa commerciale sono sempre sottratti alla disciplina dell’imprenditore commerciale. In ogni caso non sono mai esposti al fallimento.
In conclusione : lo statuto dell’imprenditore commerciale è statuto proprio dell’imprenditore privato commerciale non piccolo.
2. NOZIONE DI IMPRENDITORE
Secondo l’ art. 2082 è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Tale concetto si richiama alla nozione economica di imprenditore, ma che non coincide con la nozione giuridica di imprenditore.
La nozione economica descrive l’imprenditore come il soggetto che nel processo economico svolge una funzione intermediaria fra chi dispone di fattori produttivi e chi domanda prodotti e servizi. Nello svolgimento di tale funzione l’imprenditore coordina, organizza e dirige, secondo scelte tecniche ed economiche, il processo produttivo ( funzione organizzativa ) assumendo su di sé il rischio di impresa, cioè il rischio che i costi non siano coperti da ricavi sufficienti.
Il rischio di impresa giustifica il potere dell’imprenditore di dirigere il processo produttivo e legittima l’acquisizione da parte dello stesso dell’eventuale eccedenza dei ricavi sui costi ( profitto ). E proprio nell’intento di conseguire il massimo profitto si ravvisa il tipico movente dell’attività imprenditoriale.
I requisiti giuridici minimi necessari e sufficienti che devono sussistere perché un dato soggetto sia qualificato come imprenditore e sia esposto alla disciplina dell’imprenditore sono stati fissati dal legislatore nell’ art. 2082.
Dall’art. 2082 si ricava che :
- l’impresa è attività, cioè una serie coordinata di atti unificati da una funzione unitaria,
- tale attività ha uno specifico scopo, cioè la produzione o scambio di beni o servizi,
- tale attività ha specifiche modalità di svolgimento, cioè con organizzazione, economicità e professionalità.
Si discute se siano altresì indispensabili:
- che l’intento dell’imprenditore sia quello di ricavare dei profitti, scopo di lucro,
- che i beni o servizi prodotti o scambiati siano destinati al mercato,
- che l’attività svolta sia lecita.
Questi requisiti sono rilevanti ai fini dell’applicazione delle norme di diritto privato, ma altri requisiti sono richiesti da altri settori dell’ordinamento nazionale ( es. diritto tributario ) o dall’ordinamento comunitario.
Non esiste, quindi, una sola nozione di impresa, ma vi sono più nozioni di impresa.
3. L’ATTIVITA’ PRODUTTIVA
L’impresa è attività ( serie di atti coordinati ) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. Quindi l’impresa è attività produttiva.
Per qualificare un’attività come produttiva è irrilevante la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi vanno a soddisfare. È impresa anche la produzione di servizi di natura assistenziale, culturale o ricreativa.
Inoltre è irrilevante che l’attività produttiva possa qualificarsi nel contempo come attività di godimento o di amministrazione di determinati beni o del patrimonio del soggetto agente.
Non è impresa l’attività di mero godimento, cioè l’attività che non dà luogo alla produzione di nuovi beni o servizi. Es. il proprietario di immobili che ne gode dei frutti dandoli in locazione.
È attività di godimento e produttiva quella di un proprietario di un fondo agricolo che destini lo stesso a coltivazione, oppure di un proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo. In questi casi, la locazione è accompagnata dall’erogazione di servizi collaterali che eccedono il mero godimento del bene.
È attività di godimento o amministrazione del proprio patrimonio e attività di produzione l’impiego di proprie disponibilità finanziarie nella compravendita di strumenti finanziari con intenti di investimento, speculazione o concessione di finanziamento. Quindi, sono imprese commerciali le società di investimento e le società finanziarie.
Sono imprese commerciali anche le holding, cioè le società che hanno per oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società, con funzione di direzione, di coordinamento e di finanziamento della loro attività.
4. L’ORGANIZZAZIONE
Non è concepibile un’attività senza programmazione e coordinamento della serie di atti in cui essa si sviluppa, ossia priva di organizzazione. Non è concepibile attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui.
La funzione organizzativa dell’imprenditore si concretizza nella creazione di un apparato produttivo stabile e complesso, formato da persone e da beni strumentali, ossia di un’ attività organizzata.
Affinché un’attività produttiva possa dirsi organizzata in forma di impresa non è necessario :
- che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia per oggetto anche altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate. È imprenditore anche chi opera utilizzando solo il fattore capitale e il proprio lavoro, senza avvalersi del lavoro altrui.
- che l’attività organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione di un apparato strumentale fisicamente percepibile ( beni strumentali). È vero che non vi può essere impresa senza impiego e organizzazione di mezzi materiali, ma questi possono ridursi al solo impiego di mezzi finanziari. Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzazione di fattori produttivi ed il loro coordinamento da parte dell’imprenditore per un fine produttivo.
In conclusione : la qualità di imprenditore non può essere negata sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori, sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi non si concretizzi nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile.
5. IMPRESA E LAVORO AUTONOMO
Si è posto il problema se si possa parlare di impresa anche quando il processo produttivo si fonda esclusivamente sul lavoro personale del soggetto agente, cioè quando non vengono utilizzati né lavoro altrui né capitale proprio o altrui, quindi manca la c.d. eteroorganizzazione .
Il problema si pone, quindi, per i prestatori autonomi d’opera manuale (elettricisti, idraulici, ecc.) o di servizi personalizzati ( mediatori, agenti di commercio).
La semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata organizzazione imprenditoriale e in mancanza di un minimo di eteroorganizzazione deve negarsi l’esistenza di un’impresa, anche se piccola.
Una parte della dottrina, invece, basandosi sull’art. 2083, ritiene imprenditore anche chi si limita ad organizzare il proprio lavoro, senza impiegare né lavoro altrui né capitali. Ma tale tesi non è condivisibile, in quanto la nozione di piccolo imprenditore non vuol indicare la superfluità di ogni forma di eteroorganizzazione.
L’organizzazione del lavoro dei propri familiari è pur sempre organizzazione del
lavoro altrui. E comunque, il requisito dell’organizzazione è richiesto sia per l’imprenditore che per il piccolo imprenditore, ma non per il lavoratore autonomo.
In conclusione : un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è sempre necessario per aversi impresa, anche se piccola. In mancanza si avrà lavoro autonomo non imprenditoriale. Semplici lavoratori autonomi restano i prestatori d’opera manuale (elettricisti, idraulici) o di servizi (mediatori, agenti), fin quando si limitano ad utilizzare mezzi materiali inespressivi, in quanto strumentali allo svolgimento di ogni attività o strettamente necessari all’esplicazione delle proprie energie lavorative. Ossia, fin quando non si supera la soglia della semplice autoorganizzazione del proprio lavoro; al di là si diventa imprenditori.
6. ECONOMICITA’ DELL’ATTIVITA’
Nell’art. 2082 abbiamo visto che l’impresa è un’attività economica, dove attività economica è sinonimo di attività produttiva, cioè attività rivolta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
Ma, nell’art. 2082 l’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo dell’attività . Ciò che qualifica un’attività “economica” non è solo il fine (produttivo) cui essa è indirizzata, ma anche il modo con cui essa è svolta.
L’attività può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa ad ottenere la copertura dei costi con ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica. Altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza.
In conclusione : non è perciò imprenditore chi produca beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale cioè da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi.
7. LA PROFESSIONALITA’
L’ultimo requisito richiesto dall’art. 2082 è il carattere professionale dell’attività.
Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva.
La professionalità non implica però che l’attività imprenditoriale debba essere necessariamente svolta in modo continuato e senza interruzioni. Per le attività stagionali è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze periodiche di quel tipo di attività.
La professionalità non implica nemmeno che quella impresa sia l’unica attività o l’attività principale. È possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte dello stesso soggetto.
Può aversi impresa anche quando si opera per il compimento di un unico affare. Il compimento di un unico affare può costituire impresa quando, per la rilevanza economica, implichi il compimento di operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici.
La professionalità va accertata in base ad indici esteriori ed oggettivi. Non è necessario che si abbia reiterazione degli atti di impresa, che l’attività si sia già protratta nel tempo. Indice di professionalità può essere anche la creazione di un complesso aziendale idoneo allo svolgimento di un’attività potenzialmente stabile e duratura.
Altro è professionalità e altro è organizzazione. Infatti, si può avere esercizio non professionale di attività organizzata, come previsto dall’art. 2070 3° comma .
8. ATTIVITA’ DI IMPRESA E SCOPO DI LUCRO
Non c’è dubbio sul fatto che lo scopo che normalmente anima l’imprenditore è la realizzazione del profitto e del massimo profitto consentito dal mercato. Ma ci si chiede se lo scopo di lucro sia necessario e, quindi, si debba negare la qualità di imprenditore e l’applicabilità della relativa disciplina quando ricorrano tutti i requisiti dell’art. 2082 ma manchi lo scopo di lucro.
La risposta è negativa quando lo scopo lucrativo si intende come movente psicologico dell’imprenditore, c.d. lucro soggettivo.
Lo scopo di lucro soggettivo non può ritenersi essenziale perché l’applicazione della disciplina dell’impresa, volta a tutelare i terzi, deve basarsi su dati esteriori ed oggettivi. Essenziale è solo che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative, (lucro oggettivo). Irrilevante è sia la circostanza che un profitto venga poi realmente conseguito, sia il fatto che l’imprenditore devolva integralmente a fini altruistici il profitto conseguito. È sufficiente che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive tendenti al pareggio fra costi e ricavi (metodo economico) e non anche che le modalità di gestione tendano alla realizzazione di ricavi eccedenti i costi (metodo lucrativo).
La nozione di imprenditore è unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata sia dell’impresa pubblica, art. 2093. Ciò implica che requisito essenziale può essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori.
L’impresa pubblica è tenuta ad operare secondo criteri di economicità, ma non è preordinata alla realizzazione di un profitto.
Le società, invece, sono tenute ad operare con metodo lucrativo e nel duplice senso che l’attività di impresa deve essere rivolta al conseguimento di utili, lucro oggettivo, e che l’utile deve essere devoluto ai soci, lucro soggettivo.
Nel caso particolare delle società cooperative, essendo caratterizzata dallo scopo mutualistico, si deve considerare pienamente rispondente alla legge e alla Costituzione una gestione dell’impresa mutualistica fondata su criteri di pura economicità e non tesa alla realizzazione di profitti.
La recente disciplina delle imprese sociali, introdotta dal d.lgs. n. 155/2006, art. 3, vieta a questo tipo di impresa di distribuire utili in qualsiasi forma ai soci, amministratori, partecipanti, lavoratori o collaboratori. Nel contempo, però, si richiede che esse svolgano un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, art. 1.
In conclusione : requisito minimo essenziale dell’attività di impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro. La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta sia alla persona fisica sia agli enti di diritto privato (associazioni e fondazioni) con scopo ideale o altruistico.
- IL PROBLEMA DELL’IMPRESA PER CONTO PROPRIO
Le imprese operano di regola per il mercato, cioè destinano allo scambio i beni o servizi prodotti. Ma l’art. 2082 non richiede la destinazione al mercato della produzione, quindi è imprenditore anche l’imprenditore per conto proprio.
Ma una parte della dottrina è contraria vista la concezione economica dell’imprenditore come soggetto che svolge funzione intermediaria fra proprietari dei fattori produttivi e consumatori. Ciò induce a ritenere che la destinazione allo scambio della produzione è implicitamente richiesta dal carattere professionale dell’attività di impresa ovvero dalla natura economica della stessa o quanto meno dalla funzione di tutela dei terzi della disciplina dell’impresa. Funzione di tutela che non avrebbe senso quando un soggetto risolve la propria attività produttiva in se stesso senza entrare in contatto con i terzi.
In conclusione : l’impresa per conto proprio non è impresa, in quanto per l’acquisto della qualità di imprenditore basta una destinazione parziale o potenziale della produzione al mercato.
Vi sono alcune ipotesi in cui non si può parlare di imprese per conto proprio.
Non è impresa per conto proprio:
- la società cooperativa che produce esclusivamente per i propri soci. La società cooperativa è soggetto di diritto distinto dai suoi soci ed i soci fruiscono dei beni prodotti dalla società in base a rapporti di scambio con la cooperativa;
- l’azienda costituita dallo Stato o da altri enti pubblici per la produzione di beni o servizi da fornire dietro corrispettivo.
Possono, invece, considerarsi imprese per conto proprio:
- la coltivazione del fondo finalizzata al soddisfacimento dei bisogni dell’agricoltore e della sua famiglia;
- la costruzione in economia, cioè la costruzione di appartamenti non destinati alla rivendita.
Il caso del coltivatore del fondo ci dimostra che non vi è incompatibilità fra impresa per conto proprio ed economicità, dato che l’attività produttiva può considerarsi svolta con metodo economico anche quando i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore. Inoltre, le esigenze di tutela dei terzi possono ricorrere anche rispetto all’impresa per conto proprio.
Quindi, l’applicazione della disciplina dell’impresa non si può far dipendere dalle intenzioni di chi produce, ma deve fondarsi esclusivamente sui caratteri oggettivi fissati dall’art. 2082. Caratteri che possono ricorrere tutti anche quando i beni prodotti vengono in fatto consumati o utilizzati dallo stesso produttore.
Il costruttore in economia deve perciò essere qualificato come imprenditore commerciale, così come il coltivatore del fondo.
10. IL PROBLEMA DELL’IMPRESA ILLECITA
Punto controverso è se la qualifica di imprenditore debba essere riconosciuta anche all’attività illecita, cioè contraria a norme imperative ( norme che subordinano l’accesso all’attività a concessione, autorizzazione o licenza, detta impresa illegale), all’ordine pubblico o al buon costume.
Un attività di impresa illecita può dar luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi. Infatti, l’illiceità del risultato globalmente perseguito dall’imprenditore non comporta di per sé l’illiceità della causa o dell’oggetto, art. 1418, dei singoli atti di impresa.
I terzi creditori meritevoli di tutela possono esistere anche quando l’attività di impresa è illecita, quindi chi esercita attività commerciale illecita è esposto al fallimento.
Nel caso di impresa illegale, l’illecito non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore con pienezza di effetti, ferme restando le conseguenti sanzioni amministrative e penali. Il titolare dell’impresa illegale è esposto al fallimento.
Nel caso di impresa immorale, cioè di un’attività che abbia un oggetto illecito (es. traffico di droga), al fine di tutelare i terzi estranei all’illecito, si nega l’esistenza di impresa. Questo, per il timore che il riconoscimento della qualità di imprenditore porti all’applicazione non solo delle norme che tutelano i creditori di un imprenditore commerciale (fallimento), ma anche delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi ( disciplina dell’azienda, dei segni distintivi, della concorrenza sleale). In questi casi deve applicarsi il principio secondo cui da un comportamento illecito non possono mai derivare effetti favorevoli per l’autore dell’illecito o per chi ne è stato parte.
In conclusione : chi esercita attività commerciale illecita è imprenditore ed in quanto tale potrà fallire. Non potrà però avanzare le pretese del titolare di un’azienda o agire in concorrenza sleale contro altri imprenditori, in applicazione del principio della non invocabilità della qualificazione per la non invocabilità del proprio illecito.
La stessa regola vale anche per l’impresa illegale e per l’impresa mafiosa, cioè per quella impresa, che pur avendo un oggetto lecito, è lo strumento per il perseguimento di un disegno criminoso.
11. IMPRESA E PROFESSIONI INTELLETTUALI
Esistono delle attività produttive per le quali la qualifica imprenditoriale è esclusa in via di principio dal legislatore, come per le professioni intellettuali.
I liberi professionisti non sono mai in quanto tali imprenditori. Infatti l’art. 2238, 1° comma, stabilisce che le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa.
I liberi professionisti, ma anche gli artisti e gli inventori, diventano imprenditori solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabile come impresa.
Ad es. il medico che gestisce una clinica privata, l’artista titolare di un teatro nel quale recita, ecc. In questi casi si è in presenza di due casi: l’attività intellettuale e l’attività di impresa, perciò troveranno applicazione nei confronti dello stesso soggetto sia la disciplina dettata per la professione intellettuale sia la disciplina dell’impresa.
Il professionista intellettuale o l’artista che si limita a svolgere la propria attività, per contro, non diventa mai imprenditore. E, non lo diventa, non solo quando superi la soglia dell’autoorganizzazione del proprio lavoro, ma anche quando si avvale di collaboratori e di un complesso apparato di mezzi materiali, dando vita così ad un’organizzazione complessa di capitale e/o lavoro (Relazione al codice civile).
Al professionista intellettuale che impieghi collaboratori, pur non diventando imprenditore, si applicano le norme che disciplinano il lavoro nell’impresa, ma non la restante parte.
Questa scelta legislativa si è giustificata dal fatto che nell’attività intellettuale mancherebbero sempre e comunque l’uno o l’altro dei requisiti richiesti dall’art. 2082. Tuttavia, i requisiti propri dell’attività di impresa possono ricorrere tutti anche nell’esercizio delle professioni intellettuali. Infatti, l’attività professionale è attività produttiva di servizi suscettibili di valutazione economica, è un’attività condotta con metodo economico e a scopo di lucro.
In conclusione : i professionisti non sono imprenditori per libera opzione del legislatore.
In pratica non è sempre agevole stabilire se un’attività costituisce professione intellettuale. Per tale distinzione si deve tener conto non della iscrizione in albi professionali (criterio formale), ma del carattere intellettuale dei servizi prestati (criterio sostanziale).
Fonte:
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