La tutela dei diritti
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La tutela dei diritti
Il fondamento
In virtù dell'art. 24 Cost. chiunque può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. Ciò significa che qualora gli interessi sottostanti le posizioni di vantaggio, riconosciute dall'ordinamento ai privati, non vengano soddisfatti in modo spontaneo, del compito della realizzazione dell'interesse viene investito il giudice.
Accanto al diritto sostanziale l'ordinamento contempla un complesso di norme che regolano la tutela giurisdizionale dei diritti: il diritto processuale civile. La tutela è regolata anche da norme di diritto sostanziale contenute nel codice civile.
Poiché oggi si ritiene che il processo (civile) non è semplicemente un momento in cui il privato esercita il suo diritto, bensì lo strumento di una funzione pubblica diretta all'attuazione del diritto oggettivo, il diritto processuale civile è considerato una branca del diritto pubblico.
I privati hanno, altresì, la possibilità di rivolgersi, sempre che si tratti di diritti disponibili, ad un giudice privato: quest'ultimo, detto arbitro, viene investito della controversia dalle stesse parti attraverso un atto denominato compromesso.
L'azione
Ad ogni diritto soggettivo inerisce il potere di chiedere al giudice un provvedimento a tutela della situazione giuridica lesa; l'azione è appunto l'esercizio di tale potere. Il processo civile, salvi casi eccezionali, può attivarsi soltanto mediante la proposizione di una domanda.
Chi esercita l'azione si dice attore, il soggetto contro il quale si richiede il provvedimento è il convenuto (in giudizio), il quale risponde all'azione con l'eccezione, con la quale asserisce che il diritto vantato dall'attore non esiste o si è estinto o modificato.
La tutela giurisdizionale tende a conformarsi alle peculiarità della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio e a quelle della lesione per la quale il titolare del diritto agisce.
Così il diritto assoluto, l'attuazione del quale non implica la cooperazione di altro soggetto, gode in genere di una tutela restitutoria, intesa cioè a ripristinare lo stato di cose anteriore alla lesione (giuridica o materiale). Tale forma di tutela può realizzarsi attraverso una sentenza di condanna, che obbliga alla restituzione (azione di rivendicazione del diritto di proprietà, azione di reintegrazione del possesso), o alla cessazione di un comportamento (inibitoria, azione negatoria nell'ipotesi in cui sussistono turbative, azione che inibisce la pubblicazione di un'immagine), ovvero attraverso una sentenza di mero accertamento, come nel caso in cui con l'azione negatoria si chiede di dichiarare l'inesistenza dei diritti affermati dal terzo.
Il diritto relativo (ad esempio, il diritto di credito), l'attuazione del quale esige la cooperazione dell'obbligato, gode per lo più di una tutela satisfattoria, mirata a far conseguire al titolare del diritto l'utilità che quest'ultimo avrebbe dovuto ricevere dalla controparte; si ritiene che un'ipotesi di tale forma di tutela sia l'azione di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto (art. 2932 c.c.).
Quale che sia la situazione giuridica lesa (diritto assoluto o relativo), l'attore può avvalersi in giudizio anche di una diversa forma di tutela, quella risarcitoria, tesa a restaurare il danno economico cagionato: questa tutela può svilupparsi secondo tecniche diverse, ad esempio il risarcimento per equivalente (art. 2056 c.c.), ovvero il risarcimento in forma specifica (art. 2058 c.c.).
In relazione al tipo di provvedimento giudiziale cui si aspira, si suole distinguere tra azione di condanna, azione costitutiva ed azione di accertamento.
Dottrina: L'azione
Accanto ai procedimenti a cognizione piena esistono procedimenti a cognizione sommaria, in cui il giudice, per esigenze di celerità, valuta con minor rigore la fondatezza dell'azione. Il giudizio può essere di natura cautelare: in questo caso il giudice concede il provvedimento richiesto sulla semplice valutazione del fumus boni iuris - cioè dell'apparenza del diritto fatto valere - e del periculum in mora - cioè del pericolo che nelle more del giudizio la posizione soggettiva dell'attore possa subire un pregiudizio.
La misura cautelare può essere prevista in modo tipico dal nostro ordinamento (es. artt. 23 e 1109 c.c.). Diversamente il soggetto può ricorrere ad uno strumento residuale, il c.d. provvedimento d'urgenza (art. 700 c.p.c.), quando vi è fondato motivo di temere che durante il tempo necessario per far valere il diritto in via ordinaria quest'ultimo possa essere minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile. Il provvedimento d'urgenza ha natura sussidiaria, nel senso che può essere concesso soltanto quando per lo stesso pericolo l'ordinamento non appresta una misura cautelare tipica; come gli altri rimedi cautelari ha carattere strumentale, nel senso che esauritasi la fase d'urgenza deve seguire la fase che decide il merito della causa; ha contenuto atipico, nel senso che non è predefinito dalla legge quale debba essere l'ordine del giudice, che sarà diverso a seconda delle situazioni specifiche a lui prospettate.
Interesse ad agire e legittimazione
L'ammissibilità della domanda giudiziale è subordinata alla sussistenza di un interesse ad agire, cioè alla verifica della corrispondenza tra la posizione giuridica soggettiva, la lesione denunciata dalla parte ed il provvedimento richiesto. L'interesse ad agire è l'interesse ad ottenere il provvedimento richiesto, e non va confuso con l'interesse sostanziale a tutela del quale si agisce. La giurisprudenza ha chiarito che vi è interesse ad agire quando l'esercizio dell'azione mira ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile.
La legittimazione ad agire indica, invece, la titolarità a domandare. Per la legittimazione ad agire si deve determinare la situazione legittimante, la situazione in base alla quale si determina il soggetto che in concreto diviene destinatario di una certa norma.
La situazione legittimante, attraverso la quale si stabilisce chi può stare in giudizio, è in particolare determinata dal provvedimento cui l'attore aspira e dai soggetti che tale provvedimento coinvolge (l'attore, uno o più convenuti). Ciò non significa che se il provvedimento viene, all'esito del processo, rifiutato colui che lo ha chiesto debba ritenersi ex post non legittimato. Secondo altra teoria, per la legittimazione ad agire deve guardarsi non al provvedimento richiesto ed ai suoi effetti, bensì al rapporto sostanziale dedotto in lite (situazione legittimante sarebbe ad esempio un determinato diritto soggettivo): è legittimato chi afferma di essere stato leso in una propria situazione soggettiva e colui che viene indicato come titolare del dovere corrispondente a tale posizione attiva, o come autore della lesione.
La legittimazione ad agire, ove si faccia valere in giudizio un interesse superindividuale - diffuso o collettivo - può essere attribuita dalla legge ad enti esponenziali (di tali interessi): così avviene per le associazioni di categoria in materia di concorrenza sleale (art. 2601 c.c.), per le associazioni a tutela dell'ambiente (art. 18, l. 349/1986), per la tutela degli interessi dei consumatori (art. 1469 sexies c.c.).
Onere della prova
Nozione
Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda (art. 2697 c.c.).
Rientra nell'autonomia privata delle parti disporre dell'onere della prova, invertendolo o modificandolo, purché si tratti di diritti disponibili. Tuttavia, un patto, se rende ad una delle parti eccessivamente difficile l'esercizio del diritto, è nullo. Il regime dell'onere probatorio può subire modifiche per disposizione di legge: è il caso delle presunzioni legali relative (es. art. 2054 c.c.); si ritiene invece che le presunzioni assolute siano una tecnica di costruzione della fattispecie e non abbiano a che vedere con l'onere della prova (es. art. 232 c.c.).
Prova documentale
Prova documentale è quella che risulta da un documento: uno scritto, una fotografia, un documento informatico.
Il codice civile disciplina in particolare l'atto pubblico e la scrittura privata. Il primo è un documento redatto da un notaio o da altro pubblico ufficiale, che fa prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. L'efficacia probatoria dell'atto pubblico non si estende sino a ricomprendere la veridicità dei fatti: così, mentre se si intende contestare un atto pubblico (ad es. non è vero che Tizio ha dichiarato di essere sposato, così come risulta dall'atto) occorre esperire il procedimento di querela di falso, ciò non è necessario quando si contesta che i fatti dichiarati non sono veri (ad es. non è vero che Tizio è sposato). L'atto pubblico è una prova legale: il giudice, cioè, non può liberamente valutarne il contenuto, ma deve darlo per accertato.
La scrittura privata fa prova della provenienza delle dichiarazioni in essa contenute da colui il quale l'ha sottoscritta: tuttavia, se colui contro il quale la scrittura è prodotta in giudizio ne riconosce la sottoscrizione, o se questa è riconosciuta per legge, la scrittura privata acquista l'efficacia probatoria dell'atto pubblico. Se il pubblico ufficiale attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza si ha la scrittura privata autenticata, che è un'ipotesi di scrittura riconosciuta per legge.
Talvolta, per la risoluzione di un conflitto si guarda alla data certa (ad esempio, in materia di cessione del credito, art. 1265 c.c.): la scrittura privata ha data certa solo se registrata o se si verifica un evento che stabilisca in modo certo l'anteriorità della formazione del documento.
Il documento informatico munito di firma digitale ha l'efficacia probatoria della scrittura privata. La firma digitale può essere autenticata, mentre, nel silenzio del dato normativo, la dottrina prevalente ritiene che il documento informatico non possa rivestire la forma dell'atto pubblico. Il documento informatico sprovvisto di firma digitale ha l'efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche.
Dottrina: Prova documentale
Al documento cartaceo il nostro ordinamento equipara il documento informatico. Quest'ultimo può essere munito di una firma digitale, la quale è il risultato di una procedura informatica (validazione), basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica ed una privata. Chi appone, per mezzo della chiave privata, la firma digitale, rende possibile al destinatario - attraverso la chiave pubblica - la verifica della provenienza e dell'integrità del documento informatico.
La firma digitale può essere autenticata, con l'attestazione da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale che la firma (digitale) è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità della chiave pubblica e del fatto che il documento sottoscritto risponde alla volontà della parte.
Il documento informatico non munito di firma digitale ha l'efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche - riproduzioni fotografiche, cinematografiche, fonografiche e simili - le quali formano piena prova (legale) dei fatti e delle cose rappresentate.
Prova testimoniale
La prova testimoniale è una prova semplice, cioè non precostituita, priva di efficacia legale, cioè liberamente valutabile dal giudice. Essa viene ammessa a discrezione del giudice, salvo che non vi sia un principio di prova per iscritto, o il contraente sia stato nell'impossibilità di procurarsi una prova scritta, o dimostri di aver perduto senza sua colpa il documento. Quest'ultimo caso è l'unico in cui la prova testimoniale è ammessa anche quando la prova deve essere data per iscritto (v. l'art. 1967 c.c.).
Presunzioni
Le presunzioni legali possono non ammettere prova contraria (iuris et de iure): in questo caso esulano dalla materia delle prove. Rientrano invece nel concetto di prova le presunzioni legali iuris tantum - che ammettono prova contraria - e le presunzioni semplici (art. 2727 c.c.), le quali autorizzano il giudice, negli stessi casi in cui è ammessa la prova testimoniale, a dare per accertato un fatto ignoto partendo da un fatto noto. È necessario, tuttavia, che le presunzioni (semplici) siano gravi precise e concordanti.
Confessione
La confessione (giudiziale) è una prova semplice ad efficacia legale. Consiste nella dichiarazione che una parte fa della verità dei fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all'altra. La confessione mantiene la propria efficacia legale, fuori dal processo, solo se fatta alla controparte: qualora sia resa, invece, ad un terzo (o sia contenuta in un testamento) essa può essere liberamente apprezzata dal giudice.
Giuramento
Con il giuramento decisorio, che è prova legale, una parte deferisce all'altra il giuramento per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa. Quando, invece, il giudice ritiene che la domanda dell'attore, o l'eccezione del convenuto, siano solo in parte provate, può deferire d'ufficio il giuramento suppletorio. Il giuramento è ammesso in casi limitati (art. 2739 c.c.): ad esempio, non può essere ammesso per contestare un fatto che risulta da atto pubblico ed avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale.
La Giurisdizione
Concetto
La giurisdizione (civile) è quella funzione pubblica tesa ad accertare l'esistenza di un interesse tutelato dall'ordinamento ed a far sì che esso venga soddisfatto anche contro la volontà di chi avrebbe dovuto spontaneamente cooperare per la sua realizzazione.
Il nostro ordinamento prevede un doppio grado di giudizio di merito. La parte processuale che ritenga erronea la sentenza del giudice di primo grado può impugnarla, chiedendo al giudice di secondo grado un nuovo accertamento dei fatti e delle norme giuridiche applicabili. Il giudizio di merito si conclude, sia in primo che in secondo grado, con una sentenza: tale provvedimento può essere impugnato innanzi alla Corte di Cassazione, ma soltanto per motivi di diritto ossia per contestare una erronea applicazione di norme giuridiche, giacché il fatto si ritiene ormai accertato definitivamente.
Dottrina: Concetto
La giurisdizione come funzione va distinta dalla legislazione e dall'amministrazione. La giurisdizione realizza il diritto nel caso concreto, diritto prodotto, in forma generale ed astratta, attraverso la funzione legislativa, mentre con la funzione amministrativa lo Stato provvede alla cura degli interessi affidatigli.
Si ritiene che la giurisdizione sia l'attuazione del diritto sostanziale in via secondaria - poiché la tutela giurisdizionale segue la tutela primaria di determinati interessi prevista dal diritto sostanziale violato - e sostitutiva - poiché il giudice si sostituisce a colui che spontaneamente avrebbe dovuto osservare il comportamento dovuto.
La giurisdizione civile si suole contrapporre a quella amministrativa ed a quella penale. La giurisdizione amministrativa ha per oggetto la tutela degli interessi legittimi del cittadino di fronte alla pubblica amministrazione, mentre con la giurisdizione penale si tutelano interessi sanzionati con la pena. I confini tra le giurisdizioni, ciò che si chiama riparto della giurisdizione, non sono sempre netti. Particolarmente variabile, a seconda delle scelte legislative e degli orientamenti giurisprudenziali, è il confine tra giurisdizione civile e giurisdizione amministrativa.
La sentenza
Il giudice assolve le sue funzioni attraverso tre provvedimenti: la sentenza, che di regola ha contenuto decisorio; l'ordinanza, che vale per lo più a regolare lo svolgimento del processo o a concluderne una fase in modo provvisorio; ed il decreto, il provvedimento previsto in genere per i giudizi svoltisi senza contraddittorio, contenziosi (procedimenti monitori e cautelari) o anche non contenziosi.
Esistono tre tipi di sentenze.
La sentenza di mero accertamento, che è un provvedimento che si limita ad accertare l'esistenza di un diritto (in genere assoluto), ogniqualvolta l'esistenza dello stesso venga contestata , così è ad esempio quella che segue all'esercizio dell'azione negatoria, con cui si chiede di dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa: art. 949, 1° co., c.c.
La sentenza di condanna (che in senso logico contiene quella di accertamento), con la quale il giudice ordina alla parte soccombente nel giudizio di dare, di fare o di non fare qualche cosa. La sentenza di condanna (esecutiva) costituisce titolo per l'esecuzione forzata.
Infine, la sentenza costitutiva, di cui sono esempi la sentenza di annullamento, la sentenza che produce gli effetti del contratto definitivo non concluso, art. 2932 c.c., che attua il diritto fatto valere in giudizio, producendo effetti nuovi rispetto alla situazione preesistente, attraverso la costituzione di un rapporto giuridico o la modifica o l'estinzione di uno precedente.
La cosa giudicata
Si dice passata in giudicato la sentenza che non può essere più impugnata, sia quando sono scaduti i termini per l'impugnazione, sia quando non esistono più giurisdizioni superiori. La sentenza passata in giudicato è vincolante tra le parti, i loro eredi o aventi causa: si parla in tal senso di giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.).
La questione decisa dalla sentenza passata in giudicato non può essere più proposta in giudizio (ne bis in idem) e, qualora essa rilevi ai fini di un diverso giudizio, il giudice deve decidere sulla base del giudicato: tale efficacia vale soltanto per le parti, i loro eredi o aventi causa (limiti soggettivi del giudicato) ed ovviamente non rileva se la questione è simile o comunque proposta in modo diverso (limiti oggettivi del giudicato).
Le azioni a difesa della personalità
Natura e fondamento
Nei confronti dei diritti della personalità sono previste due forme di tutela. La prima è una tutela restitutoria, tesa cioè a ripristinare lo stato di cose anteriore alla lesione giuridica o materiale attraverso una sentenza di condanna che obbliga alla cessazione di un comportamento. Il titolare del diritto può esperire un'azione volta ad ottenere la cessazione o la continuazione nel tempo di un comportamento lesivo del suo diritto: è l'azione (e la tutela) inibitoria.
L'altra forma di tutela è di tipo risarcitorio ed attribuisce al soggetto una prestazione (in denaro) corrispondente alla lesione subita: l'azione (e la tutela) risarcitoria.
Le due forme di tutela possono coesistere; la legge ammette, infatti, che il titolare del diritto possa chiedere al giudice sia la cessazione del fatto lesivo (azione inibitoria) sia il risarcimento del danno (azione risarcitoria) (art. 7 c.c.). La regola si spiega con la circostanza che quando la lesione è già intervenuta, il rimedio restitutorio non consente una integrale rimozione del pregiudizio: in questo caso può operare la tutela risarcitoria. Il fondamento di ciò sta nel generale principio secondo cui la tutela giurisdizionale dei diritti tende al pieno e integrale soddisfacimento del diritto. Essa si modella pertanto sul tipo di situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio (in questo caso: il diritto assoluto, la cui attuazione non richiede la cooperazione di altri) e sulle caratteristiche della lesione.
In determinate ipotesi è previsto un ulteriore rimedio, consistente nella pubblicazione della sentenza (di condanna) su uno o più giornali (art. 7, ult. co., c.c.). Il giudice può ordinare la pubblicazione della sentenza (a carico della parte soccombente nel giudizio) quando ritenga che ciò possa contribuire a riparare il pregiudizio subito dal soggetto (art. 120 c.p.c.).
Diritti della personalità
diritti assoluti di natura non patrimoniale che attengono alla sfera degli interessi e dei beni inerenti alla persona.
Azione inibitoria
Nell'impianto codicistico la tutela dei diritti della personalità è in primo luogo una tutela attuata mediante la tecnica dell'inibitoria, che consiste in un provvedimento con cui il giudice ordina la cessazione di un comportamento lesivo e ne proibisce la continuazione nel tempo.
L'art. 7 c.c. consente alla persona alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, di chiedere al giudice un provvedimento che imponga la cessazione del fatto lesivo.
Il rimedio è azionabile in presenza di due diverse modalità di lesione del diritto al nome: a) il comportamento altrui volto a impedire che il soggetto utilizzi il nome che per legge gli è attribuito; b) l'uso del nome del soggetto da parte di terzi non legittimati, che gli arrechi pregiudizio. Nel primo caso si parla di azione di reclamo del nome; nel secondo di azione per usurpazione del nome. In entrambe le ipotesi l'attore tende al medesimo obiettivo: la cessazione della condotta illecita.
Legittimato ad agire può essere anche colui che, pur non essendo titolare del nome contestato o indebitamente usato, abbia un interesse alla sua tutela fondato su ragioni familiari ritenute degne di protezione (art. 8 c.c.).
La tutela attribuita al nome può essere esercitata anche a protezione dello pseudonimo, cioè il segno distintivo diverso dal nome con cui il soggetto è identificato e conosciuto, purché esso abbia acquistato la medesima importanza del nome (art. 9 c.c.).
Anche nel caso di lesione del diritto all'immagine di una persona (o dei genitori, del coniuge o dei figli), realizzata attraverso l'esposizione o la pubblicazione (dell'immagine) non consentite dalla legge o pregiudizievoli per il decoro o la reputazione dei soggetti indicati, la legge consente di esperire un'azione inibitoria, volta ad ottenere dal giudice l'ordine di far cessare l'abuso (ad esempio, il ritiro o la distruzione delle pubblicazioni contenenti la fotografia) (art. 10 c.c.).
La tutela inibitoria concessa dal codice civile alla persona per la difesa del nome, dello pseudonimo e dell'immagine è utilizzabile anche nei confronti del diritto alla riservatezza e del diritto all'identità personale: la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di ciascuno di chiedere la cessazione di un comportamento che alteri, travisi o contesti caratteri e tendenze del proprio patrimonio intellettuale, politico, ideologico, religioso. La tutela del diritto al nome è allora un profilo della più ampia tutela all'identità personale.
Dottrina: Azione inibitoria
La legge sul trattamento dei dati personali, detta anche legge sulla privacy (l. 675/1996) consente all'interessato al trattamento di dati personali il diritto di conoscere l'esistenza del trattamento, di ottenere la cancellazione di dati trattati in violazione di legge in generale di opporsi, per motivi legittimi, al trattamento dei dati personali che lo riguardano (art. 13, l. 675/1996).
Tali diritti possono essere fatti valere dinanzi al giudice ovvero, in alternativa, all'Autorità Garante. In quest'ultima ipotesi, il Garante, se ritiene fondato il ricorso, ordina la cessazione del comportamento illegittimo (art. 29, l. 675/1996). L'inosservanza del provvedimento del Garante costituisce reato: in tal modo il provvedimento inibitorio del Garante è assistito da una misura compulsoria, che induce cioè all'adempimento, la quale lo rende più idoneo a garantire l'effettività del diritto, rispetto a quanto non avvenga per un provvedimento di un giudice.
Il provvedimento del Garante è opponibile dinanzi al Tribunale; avverso il decreto del Tribunale è ammesso unicamente ricorso per cassazione.
Altro strumento inibitorio a tutela della persona è quello previsto dalla l. 281/1998 sui diritti dei consumatori e utenti: le associazioni dei consumatori sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi chiedendo al giudice di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti (art. 3, l. 281/1998).
Merita di essere segnalato, infine, l'art. 163, l. 633/1941, nella sua nuova formulazione (la legge sul diritto d'autore è stata aggiornata dal d.lgs. 154/1997, dal d.lgs. 169/1999, dalla l. 248/2000 e da ultimo dal d.lgs. 68/2003). Tale articolo, al 1° comma, prevede che il titolare di un diritto di utilizzazione economica può chiedere che sia disposta l'inibitoria di qualsiasi attività che costituisca violazione del diritto stesso, secondo le norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari, cioè i procedimenti a cognizione sommaria, in cui il giudice per esigenze di celerità valuta con minor rigore la fondatezza dell'azione. Ancor più significativo è il 2° comma dell'art. 163, l. 633/1941, in forza del quale «pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento». L'inosservanza dell'ordine impartito dal giudice è quindi sanzionata con una misura coercitiva indiretta, a garanzia dell'effettività delle norme che tutelano il diritto d'autore, patrimoniale e morale.
Azione risarcitoria
Alla tutela di tipo inibitorio la legge consente di affiancare la tutela risarcitoria (art. 7 c.c.). Quest'ultima, quale tutela che interviene successivamente alla lesione, può apparire da sola inadeguata a ristorare integralmente il pregiudizio subito.
Una valutazione di inadeguatezza può essere conseguenza della circostanza che i diritti della personalità sono diritti a contenuto non patrimoniale. La lesione di un bene della vita non suscettibile di essere (immediatamente) espresso in termini monetari limita la risarcibilità del danno al danno non patrimoniale o danno morale.
Con la l. 675/1996 sul trattamento dei dati personali, che consente il risarcimento anche del danno non patrimoniale (art. 29, l. 675/1996), l'ordinamento ha introdotto un'ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale. Tuttavia, l'importanza della disposizione normativa si affievolisce se si considera che il trattamento illecito di dati personali costituisce reato (art. 35, l. 675/1996) e che conseguentemente il danno non patrimoniale sarebbe stato comunque risarcibile ex art. 185 c.p.
Con riferimento al diritto all'integrità fisica la l. 210/1992 prevede a carico dello Stato l'obbligo di indennizzare i soggetti danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni.
La tutela preventiva
L'inibitoria è una tutela di tipo preventivo, che consiste nel chiedere al giudice un ordine volto a far cessare il comportamento illecito e non essere più riproposto. Essa, a differenza della tutela risarcitoria, guarda al futuro, impedendo che la situazione attuale si ripeta o prosegua; in questo senso è certamente preventiva.
Tuttavia l'azione inibitoria sovente interviene quando l'illecito è già in atto (ad esempio, nel caso delle immissioni: art. 844 c.c.) e, più in generale, indipendentemente dal fatto che la violazione si sia verificata ovvero che si tratti di una lesione solo possibile; ma ciò non incide sul suo carattere preventivo. Si distingue dalle tutele successive, quelle cioè risarcitorie e restitutorie, rispetto alle quali può svolgere un ruolo complementare quando l'illecito abbia già prodotto un danno; ovvero alternativo, quando il soddisfacimento del diritto può essere integralmente garantito mediante la cessazione del comportamento illecito.
L'azione inibitoria si distingue dalle altre forme di tutela, e segnatamente da quella risarcitoria, perché è esperibile anche in assenza di un danno nella sfera giuridica del soggetto ed anche in assenza di colpa.
L'inibitoria è collocata dalla dottrina prevalente tra le azioni di condanna: in relazione al contenuto di tale condanna (fare infungibile), non eseguibile in forma specifica, si pone l'esigenza de iure condendo di introdurre un sistema di astreintes, cioè di misure di coercizione indiretta, poiché quelle tipicamente previste dal nostro ordinamento (ad es. dal diritto industriale) si ritiene non si possano estendere in via analogica. Così, il giudice può, ad esempio, inibire la contraffazione di un marchio o di un brevetto, o il plagio di un opera dell'ingegno coperta dal diritto d'autore, al contempo fissando una penale giudiziale (astreinte) per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento inibitorio.
Colpa
la condizione soggettiva di chi agisce con negligenza, imprudenza o imperizia.
Dottrina: La tutela preventiva
La legge sul trattamento dei dati personali (l. 675/1996) prevede, accanto ad una tutela inibitoria ed ad una risarcitoria la possibilità di prevenire la lesione che un trattamento di dati personali (cioè di qualunque informazione relativa alla persona fisica) possa arrecare a diritti della personalità (diritto alla riservatezza, diritto all'identità personale, etc.).
Qualunque operazione (trattamento) su informazioni relative ad una persona fisica - su un complesso di dati personali (banca dati) - ad eccezione dei trattamenti effettuati da persone fisiche per fini esclusivamente personali e di altre ipotesi tassativamente previste dalla legge, deve essere preventivamente notificato all'Autorità garante, in modo che quest'ultima possa valutare, tra l'altro, l'adeguatezza delle misure adottate per la sicurezza dei dati. L'omessa o l'infedele comunicazione costituisce reato.
La legge prevede che l'interessato (la persona cui si riferiscono i dati) debba - salvo casi eccezionali - essere previamente informato circa le modalità e le finalità del trattamento: in talune ipotesi è necessario il consenso espresso dell'interessato, consenso non necessario, ad esempio, se il trattamento è effettuato nell'esercizio della professione di giornalista.
In ogni caso, la legge consente all'interessato al trattamento di dati personali di conoscere l'esistenza del trattamento, di ottenere la cancellazione di dati trattati in violazione di legge e in generale di opporsi, per motivi legittimi, al trattamento dei dati personali che lo riguardano (art. 13, l. 675/1996). Ancora, la comunicazione e la diffusione dei dati personali è ammessa entro i limiti previsti (art. 20, l. 675/1996).
Qualora le informazioni riguardino l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, l'adesione ad associazioni, ovvero siano idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale (dati sensibili), il trattamento è ammesso solo col consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del garante. Una disciplina specifica è dettata per i dati inerenti alla salute trattati per il perseguimento di finalità di tutela dell'incolumità fisica e della salute dell'interessato (art. 23, l. 675/1996).
Il Garante può sempre richiedere informazioni al responsabile del trattamento, disporre ispezioni: tutti strumenti preventivi che mirano ad assicurare che le informazioni su di una persona fisica vengano raccolte ed elaborate nel rispetto della legge.
Strumenti preventivi a tutela della persona prevede anche la l. 281/1998 («Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti»). Ai consumatori sono riconosciuti il diritto alla qualità e sicurezza dei prodotti e dei servizi; il diritto ad un adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; il diritto all'educazione al consumo: a garanzia di tali diritti la legge istituisce un Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, composto dai rappresentanti delle associazioni dei consumatori iscritte in un apposito elenco tenuto presso il Ministero dell'Industria.
Tutela inibitoria
rimedio offerto dall'ordinamento giuridico diretto a prevenire, fare cessare o rimuovere un determinato fatto assunto come lesivo di una situazione giuridica protetta.
Tutela risarcitoria
rimedio offerto dall'ordinamento giuridico volto ad assicurare al soggetto che ha subito un danno (di natura patrimoniale o non patrimoniale), il conseguimento di una somma di denaro quale ristoro del pregiudizio subito, ovvero la riparazione in forma specifica del danno subito.
Fonte: http://www.forumlybra.it/docs/Tecniche%20di%20attuazione%20(6%20nodo).doc
Sito web da visitare: http://www.forumlybra.it/
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