Riassunto di diritto commerciale del Campobasso

 

 

 

Riassunto di diritto commerciale del Campobasso

 

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Riassunto di diritto commerciale del Campobasso

Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”
La Costituzione italiana riconosce la proprietà privata e la libertà di iniziativa agli artt. 41 e 42.
Capitolo I: L’impresa
Il sistema legislativo
La disciplina non è identica per tutti gli imprenditori. Distinguiamo 3 criteri:

  1. l’oggetto (distinzione tra imprenditore agricolo e commerciale)
  2. la dimensione (piccolo/medio-grande imprenditore)
  3. la natura (privata/pubblica)L’imprenditore commerciale non può essere considerato piccolo, quindi è soggetto ad uno specifico statuto:
  • iscrizione nel registro delle imprese
  • pubblicità legale
  • rappresentanza commerciale
  • tenuta delle scritture contabili
  • fallimento ed altre procedure concorsuali

Al contrario, gli imprenditori piccoli e agricoli non falliscono.
Nozione generale di imprenditore (art. 2082 cod.civ.)
E' imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Quest’articolo fissa i requisiti minimi. È controverso se siano altresì indispensabili:

  • la liceità dell’attività svolta
  • lo scopo di lucro
  • la destinazione al mercato dei beni o servizi prodotti.

L’attività produttiva
L’impresa è attività produttiva in senso lato. Non è impresa l’attività di mero godimento, ad es. il locatario o chi impiega denaro con scopi speculativi. Si considera attività d’impresa, invece, quella alberghiera, in quanto accompagnata da servizi collaterali che eccedono il mero godimento.
La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l’attività produttiva svolta è illecita: non vi è alcuna ragione per sottrarre al fallimento un contrabbandiere o un produttore di droga.
Organizzazione, impresa e lavoro autonomo
È imprenditore anche chi opera senza utilizzare altrui prestazioni (es.: gioielliere unico gestore): l’organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e del proprio lavoro intellettuale e/o manuale.
La semplice organizzazione del proprio lavoro non può però essere considerata imprenditoriale, in mancanza di un minimo di eteroorganizzazione. Piccola impresa, infatti, è quella organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei propri familiari. In sostanza l’eteroorganizzazione è necessaria per aversi impresa, ovvero fin quando non si può ritenere superata la soglia della semplice autoorganizzazione.
Scopo di lucro ed economicità
Non è imprenditore chi produce beni o servizi erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale da non poter coprire i costi con i ricavi. Lo scopo lucrativo, comunque, si intende come movente psicologico dell’imprenditore (c.d. lucro soggettivo) per cui non si può affermare che chi è in perdita non svolga attività d’impresa. Ma è necessario che si applichi un metodo economico oppure è necessario un ulteriore metodo lucrativo? Basta il primo (ovvero non serve perseguire ricavi, ma soltanto perseguire il pareggio). Questo, perché la copertura dei ricavi da parte dei costi è un requisito comune per tutte le imprese (anche per le pubbliche).
La professionalità
Essa implica l’esercizio abituale e non occasionale, ma non richiede che l’attività sia svolta continuativamente e senza interruzioni, che essa sia l’unica o la principale (l’impresa si può avere anche per un solo complesso grande affare).
Il seguente punto è controverso: se è vero che di regola le imprese operano per il mercato non può escludersi che chi copre i costi con dei risparmi non operi economicamente (es.: chi costruisce un singolo edificio per uso personale: si tratta della c.d. impresa per conto proprio).
Impresa e professioni intellettuali
I liberi professionisti (avvocati, commercialisti, notai etc.) non sono mai, in quanto tali, imprenditori (art. 2338 c.c.).
Questo perché così ha voluto il legislatore.
Capitolo II: Le categorie di imprenditori
Avevamo anticipato che, in base all’oggetto, gli imprenditori si distinguono in “agricoli e commerciali”.
Chi è imprenditore agricolo è esonerato, salvo l’iscrizione nel registro delle imprese, dall’applicazione della disciplina dell’imprenditore commerciale (tenuta delle scritture, fallimento e altre procedure concorsuali).
L’imprenditore agricolo
L’art. 2135 c.c. stabilisce che “E imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento[del bestiame] degli animali e attività connesse.
Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura.”.
Le attività agricole si distinguono quindi in due categorie:

  1. attività agricole essenziali
  2. attività agricole per connessione

(questa distinzione è rimasta anche con la riforma apportata dal d.lgs. 228/2001).
Nella prassi, l’impresa agricola cede il passo all’agricoltura industrializzata. È necessario perciò stabilire fino a che punto la tecnologia sia compatibile con la qualificazione d’impresa agricola.
L’attuale formulazione (dettata dal d.lgs. di cui sopra) specifica che “si intendono le attività dirette allo sviluppo di un ciclo biologico, questo anche se realizzato con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra (es.: orticoltura, coltivazioni in serra, floricoltura). Il criterio del ciclo biologico porta a riconoscere attività agricola anche la zootecnia fuori dal fondo (es.: allevamento in batteria).
La sostituzione del termine “bestiame” con “animali” tronca ogni altro dubbio, espandendo la definizione.
Le attività agricole per connessione
Il terzo comma dell’attuale articolo 2135 stabilisce che si intendono connesse:

  • le attività dirette alla conservazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli;
  • la fornitura di beni o servizi mediante attrezzature impiegate nell’attività agricola.

È, tuttavia, imprenditore commerciale chi trasforma o vende prodotti agricoli altrui.
La connessione soggettiva non è, inoltre, sufficiente. È necessario che ricorra anche una connessione oggettiva fra le due attività: le attività connesse non devono prevalere sull’attività agricola, per definirsi tali.
L’imprenditore commerciale
Art. 2195 Imprenditori soggetti a registrazione
Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un'attività di trasporto per terra, o per acqua o per aria;
4) un'attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti
Come vanno qualificate le imprese che non rientrano in queste categorie? È opinione prevalente che l’art. 2195 ha carattere non tassativo: è impresa commerciale ogni impresa che non sia qualificabile come agricola.
La piccola impresa
Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore. È, invece, esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture, dal fallimento e dalle procedure concorsuali. L’iscrizione non ha funzione di pubblicità. La nozione ha perciò rilievo negativo: serve per restringere ulteriormente l’ambito. Esistono due diverse nozioni: quella data dal codice civile e quella della l.fall.
Il piccolo imprenditore nel codice civile
Esistono 3 figure tipiche di piccolo imprenditore, secondo l’art. 2083: “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.”.
La prevalenza del lavoro proprio e familiare, rispetto al capitale e al lavoro altrui, costituisce il carattere distintivo di tutti i piccoli imprenditori.
Il piccolo imprenditore nella legge fallimentare
L’art. 1 della legge fall. ribadiva che i piccoli imprenditori commerciali non falliscono e stabiliva che: “sono considerati piccoli imprenditori i titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile.”, “nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore alle 900.000 £.”. Aggiungeva che “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali.”.
In sintesi, nella legge fall., il piccolo imprenditore è individuato esclusivamente in base a parametri monetari.
Questo è palesemente in contrasto con i principi civilistici.
Entrambi i criteri della l.fall. sono stati abrogati: l’imposta di ricchezza è stata sostituita nel ’74 dall’IRPEF, mentre il principio del capitale investito è stato dichiarato incostituzionale nell’89, a causa dell’inflazione.
Della nozione fallimentare originaria sopravvive solo la parte secondo cui “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali.”.
L’impresa artigiana
Per la legge del 1956 il dato caratterizzante risiedeva nella natura artistica o usuale. La legge speciale derogava alla disciplina generale. La qualifica artigiana era riconosciuta anche alle società.
Questa situazione è superata con “la legge quadro del 1985”, che contiene una definizione basata:

  • sull’oggetto dell’impresa (attività di produzione di beni, anche semilavorati);
  • sul ruolo prevalente dell’artigiano nell’impresa e nel processo produttivo.

La categoria delle imprese artigiane risulta, quindi, ampliata. La legge quadro, però, non basta per sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale. È necessario altresì che sia rispettato il criterio della prevalenza fissato dall’art. 2083, altrimenti, in mancanza di essa, vi sarà l’assoggettamento al fallimento.
Anzi, ad oggi, l’esonero dall’assoggettamento al fallimento è cessato.
L’impresa familiare
È tale l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo dell’imprenditore: è la c.d. famiglia nucleare. Non va confusa con la piccola impresa, sebbene sia possibile che una piccola impresa sia famigliare e viceversa. Prima della riforma il lavoro famigliare si presumeva prestato a titolo gratuito. La tutela legislativa si è realizzata riconoscendo diritti patrimoniali e amministrativi:

  • al mantenimento
  • alla partecipazione agli utili (trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia, con il consenso unanime degli altri membri)
  • sui beni acquistati con gli utili
  • di prelazione sull’azienda (in caso di divisione ereditaria o di trasferimento)

Le decisioni in merito alla gestione straordinaria sono adottate a maggioranza. L’impresa famigliare resta un’impresa individuale e ne consegue che:

  • i beni sono di proprietà dell’imprenditore;
  • i diritti patrimoniali costituiscono semplici diritti di credito nei confronti dell’imprenditore;
  • la gestione ordinaria è data all’imprenditore.

L’impresa societaria
La società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale. Le società diverse si definiscono società commerciali. Sono sottoposti allo statuto dell’imprenditore commerciale solo e tutti gli imprenditori commerciali non piccoli. Parte della disciplina dell’imprenditore commerciale si applica alle società commerciali, qualunque sia l’attività svolta: questo principio è valido per l’obbligo d’iscrizione e la tenuta delle scritture contabili. Tale disciplina si applica anche nelle SNC e nelle SAS per i soci a responsabilità illimitata. Resta fermo l’esonero delle società agricole dal fallimento.
Le società non sono mai piccoli imprenditori.
Le imprese pubbliche
Forme di intervento:

  • partecipazione in SPA: l’impresa si presenta formalmente come una società;
  • la PA, pubblica amministrazione, può generare enti il cui compito è l’esercizio di attività d’impresa.

Tali enti sono sottoposti allo statuto dell’imprenditore con la sola eccezione dell’esonero dal fallimento, sostituito, però, dalla liquidazione coatta amministrativa.

  • Lo Stato o altro ente pubblico territoriale possono svolgere direttamente attività d’impresa e sono esonerati dall’iscrizione nel registro e dalle procedure concorsuali.

Dal 1990 quasi tutti gli enti pubblici sono stati trasformati in società per azioni a partecipazione statale (c.d. privatizzazione formale). La dismissione delle azioni pubbliche è, invece, detta privatizzazione sostanziale.
Attività commerciale delle associazioni e delle fondazioni
Essenziale per aversi impresa è che l’attività venga condotta con metodo economico, che può ricorrere anche quando lo scopo sia ideale. Resta, tuttavia, l’esposizione al fallimento.


Capitolo III: L’acquisto della qualità di imprenditore
Gli effetti degli atti giuridici ricadono solo sul soggetto il cui nome è stato validamente speso: l’imprenditore diventa il rappresentato e non il rappresentante. Questo si ricava dalla disciplina del mandato con rappresentanza. Per contro, quando il mandato è senza rappresentanza, il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi.
Esercizio indiretto dell’attività di impresa: l’imprenditore occulto
L’imprenditore indiretto od occulto somministra al prestanome (spesso nullatenente) i mezzi finanziari e fa propri i guadagni per non esporre al rischio il patrimonio personale. È fuori dubbio che i creditori potranno provocare il fallimento del prestanome, però ben poco potranno ricavarne. Quali i rimedi?
Secondo il principio dell’inscindibilità del rapporto potere-responsabilità, chi esercita il potere assume anche il rischio. Questa teoria, però, non ha fondamento ed è smentita dai principi che regola le società di capitali.
A partire dal 1993, nella SRL neppure la qualità di unico socio comporta di per sé l’assunzione di responsabilità illimitata. Diverse tecniche sono state proposte per limitare gli abusi. È frequente che il socio di comando disponga sistematici finanziamenti o concessioni di garanzie con ingerenza negli affari sociali.
La giurisprudenza ritiene che questi comportamenti possano dar vita ad un’autonoma e distinta attività di impresa ed in quanto tale potrà fallire.
Inizio dell’impresa
L’iscrizione nel registro non è condizione né necessaria né sufficiente per l’attribuzione della qualifica di imprenditore commerciale. Questo principio è pacifico per le persone fisiche. È invece convincimento diffuso che le società acquistano la qualità di imprenditori dalla loro costituzione. Il principio dell’effettività, perciò, può e deve trovare applicazione anche per le società; si diventa imprenditori già durante la fase preliminare, anteriormente al compimento del primo atto di gestione. Un singolo atto non sarà di regola sufficiente perché una persona fisica diventi imprenditore. Ed anche più atti, se inespressivi o non coordinati, potrebbero non bastare. La valutazione può essere diversa quando gli stessi atti siano compiuti da una società.
Fine dell’impresa (rinvio agli appunti: più aggiornati)
Anche la fine dell’impresa è dominata dal principio di effettività: la qualità di imprenditore si perde solo con l’effettiva cessazione dell’attività. L’art. 10 della legge fallimentare prevede che lo stesso possa essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’attività. La fase di liquidazione costituisce ancora esercizio dell’impresa e perciò la qualità di imprenditore si perde solo con la chiusura della liquidazione. Non è però necessario che siano stati pagati tutti i debiti. Per le società la cancellazione dal registro delle imprese presuppone non solo la disgregazione dell’azienda ma anche l’integrale pagamento delle passività. Dopo la cancellazione risponderanno gli ex-soci (limitatamente o illimitatamente a seconda del tipo di società). La Corte costituzionale nel 2000 ha affermato e imposto il principio che per le società l’anno per la dichiarazione di fallimento decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese.
Incapacità e incompatibilità
La capacità all’esercizio di impresa si acquista con la capacità di agire (18). Si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione. Ad esempio, gli impiegati dello Stato che svolgono attività d’impresa, pur non potendo, sono comunque considerati imprenditori, ma saranno esposti a sanzioni amministrative e ad aggravamenti delle sanzioni penali in caso di fallimento.
L’impresa commerciale degli incapaci
Il legislatore stabilisce che in nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del minore, dell’interdetto e dell’inabilitato. È consentita solo la continuazione di un’impresa preesistente, quando ciò sia utile per l’incapace e purché la continuazione sia autorizzata dal tribunale. Chi ha la rappresentanza può compiere tutti gli atti che rientrano nell’esercizio dell’impresa, siano essi di ordinaria o di straordinaria amministrazione. L’autorizzazione sarà necessaria solo per atti particolari, quali la vendita dell’immobile in cui ha sede l’impresa. L’inabilitato, intervenuta l’autorizzazione, potrà esercitare personalmente l’impresa, sia pure con l’assistenza del curatore. Il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale anche ad iniziare una nuova impresa commerciale acquistando così la piena capacità di agire.


Capitolo IV: Lo Statuto dell’imprenditore commerciale
L’imprenditore commerciale è destinatario di una peculiare disciplina in parte comune agli altri imprenditori.
La pubblicità
È previsto l’obbligo di rendere di pubblico dominio atti o fatti relativi alla vita dell’impresa. In tal modo diventano opponibili a chiunque indipendentemente dall’effettiva conoscenza (c.d. conoscibilità legale). Il registro delle imprese è uno strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali previsto dal codice civile. Per oltre 50 anni l’istituto è però rimasto inoperante. Vi era un regime imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria. Per le società di capitali era prevista nel 1969 la pubblicazione nel bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata (Busarl, per le cooperative Busc), in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese (cancelleria del tribunale).
Ulteriori adempimenti erano previsti da leggi speciali, quali l’iscrizione nel registro delle ditte, tenuto dalle camere di commercio. La situazione si sblocca nel 1993 con le norme per il riordino delle Camere di Commercio. È stato finalmente istituito il registro delle imprese. Nel contempo sono stati soppressi il registro delle ditte, il busarl ed il busc. L’unico strumento di pubblicità è oggi il registro delle imprese. L’iscrizione è stata estesa agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori ed alle società semplici, inizialmente con effetti di pubblicità-notizia, oggi di pubblicità legale. La tenuta del registro è affidata alle Camere di Commercio, che la effettuano con tecniche informatiche.
Il registro delle imprese
È istituito in ciascuna provincia presso la Camera di Commercio. È articolato in una sezione ordinaria ed in una sezione speciale. Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori (non agricoli), per i quali l’iscrizione produce effetti di pubblicità legale. Sono invece iscritti nella sezione speciale, gli imprenditori che, secondo il codice civile ne erano esonerati (imprenditori agricoli-individuali, piccoli imprenditori, SS e artigiani). Sono poi soggette a registrazione tutte le modificazioni di elementi già iscritti.
L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma può avvenire anche d’ufficio, se l’iscrizione (così come la cancellazione) è obbligatoria e l’interessato non vi provvede. Prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio del registro deve controllare la regolarità formale e sostanziale. La pubblicità legale serve non solo a rendere conoscibili i dati, ma ha anche efficacia costitutiva, dichiarativa e normativa (nella sezione ordinaria ha efficacia semplicemente dichiarativa). Ha efficacia costitutiva (prima la società non esiste) totale l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo delle società di capitali (art. 2332 e 2475) e delle società cooperative. In altri casi, l’iscrizione, pur non avendo efficacia costitutiva, è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico. È questo il caso della SNC e della SAS. Tali società vengono ad esistenza anche se non registrate; la mancata registrazione, però, impedisce che operi il regime di autonomia patrimoniale per i soci a responsabilità limitata. La società in tal caso si definisce irregolare.
L’iscrizione nella sezione speciale del registro non produceva, invece, alcuno degli effetti fin qui esposti, in quanto ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità-notizia: l’iscrizione non rende l’atto opponibile. Lo statuto dell’imprenditore commerciale è iscritto nella sezione ordinaria, quello delle altre imprese nella sezione speciale. Questa disciplina è stata modificata per gli imprenditori agricoli anche piccoli: per tali categorie l’iscrizione ha efficacia legale.
L’obbligo di tenuta delle scritture contabili e le scritture obbligatorie
Da tale obbligo sono esclusi i piccoli imprenditori. Le società commerciali (tranne la SS) sono obbligate alla tenuta, anche se non esercitano attività commerciale. Sono obbligatorie le seguenti scritture:

  • Libro giornale
  • Libro degli inventari
  • Bilancio
  • Libro mastro, libro magazzino.

Regolarità delle scritture contabili

  • Formalità estrinseche: libro degli inventari, libro giornale devono essere numerati e bollati etc.
  • Formalità intrinseche: la contabilità non deve presentare spazi interlinee, abrasioni, le parole cancellate devono restare leggibili etc.

L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e, quindi, giuridicamente irrilevanti. L’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture non può utilizzarle come prova a suo favore ed è assoggettato a sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento.
Per avere efficacia probatoria, devono essere presenti 3 condizioni:

  1. scritture regolarmente tenute;
  2. controparte imprenditore;
  3. controversia relativa all’esercizio dell’impresa.

Ausiliari dell’imprenditore commerciale e rappresentanza
Gli ausiliari si dividono in interni o subordinati ed esterni o autonomi. La rappresentanza è regolata da norme speciali, quando inerenti all’esercizio di impresa commerciale posti in essere da ausiliari interni (institori, procuratori e commessi) che sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza. Il loro potere non si fonda sulla procura ma costituisce effetto naturale. Chi conclude affari deve verificare se l’imprenditore ha modificato i loro poteri.

  • L’institore: è il direttore generale. È tenuto congiuntamente all’imprenditore agli obblighi di iscrizione e tenuta delle scritture. In caso di fallimento, troveranno applicazione anche nei confronti dell’institore, le sanzioni penali a carico del fallito, fermo restando che solo l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito. Anche in mancanza di espressa procura, può compiere, in nome dell’imprenditore, tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa. Non può, invece, alienare o ipotecare i beni immobili del proponente. I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore. L’institore deve spendere il nome del rappresentato; sarà personalmente obbligato se non lo fa.
  • Art. 2209 Procuratori Le disposizioni degli artt. 2206 e 2207 si applicano anche ai procuratori, i quali, in base a un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso. I procuratori sono ausiliari di grado inferiore all’institore (ad esempio: il direttore del settore acquisti). Essi potranno compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti che tipicamente rientrano in tale funzione. Essi non hanno rappresentanza processuale e non sono soggetti agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili (per conto, ovviamente, dell’imprenditore, come gli institori).
  • Art. 2210 Poteri dei commessi dell'imprenditore I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati. Non possono tuttavia esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non sono d'uso, salvo che siano a ciò espressamente autorizzati (2211).

Capitolo V: L’azienda
Art. 2555 Nozione
L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore (2082) per l'esercizio dell'impresa.
L’azienda costituisce l’apparato strumentale (locali, macchinari attrezzature etc.). Non sono considerati beni aziendali i beni dell’imprenditore non destinati allo svolgimento dell’attività. Viceversa, la qualifica di bene aziendale compete anche ai beni di proprietà di terzi, di cui l’imprenditore può disporre (es.: il leasing).
Il complesso unitario acquista, di regola, un valore di scambio maggiore della somma dei singoli beni; tale valore è definito avviamento. L’avviamento può essere:

  • Oggettivo: ricollegabile a fattori che permangono anche se muta il titolare (capacità di produrre);
  • Soggettivo: quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore (clientela).

La circolazione dell’azienda
È importante stabilire se un determinato atto sia trasferimento di azienda o di singoli beni aziendali. Per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso, è sufficiente che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente idoneo ad essere utilizzato. È necessario che i beni esclusi non alterino l’unità economica (es.: brevetto).
Art. 2556 Imprese soggette a registrazione
Per le imprese soggette a registrazione (2195, 2200) i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà (2565, 2573) o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto (2725), salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda (1350) o per la particolare natura del contratto (162, 782).
I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante.
I contratti di trasferimento devono essere iscritti nel registro entro 30 giorni.
La vendita dell’azienda.
Art. 2557 Divieto di concorrenza
Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta (2125, 2596).
Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.
Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non e stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento.
Nel caso di usufrutto o di affitto dell'azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto.
Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse (2135), quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.
Il divieto è applicabile anche in caso di vendita coatta.
La successione nei contratti aziendali
Art. 2558 Successione nei contratti
Se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale (2112, 2610).
Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell'alienante.
Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell'usufruttuario e dell'affittuario per la durata dell'usufrutto e dell'affitto.
Questo articolo deroga i principio di diritto comune, infatti il consenso del terzo contraente non è necessario per il trasferimento del contratto e l’effetto successorio si produce ex lege.
Crediti e debiti aziendali
Art. 2559 Crediti relativi all'azienda ceduta
La cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione (1265 e seguente), ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante (att. 100-5).
Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell'azienda, se esso si estende ai crediti relativi alla medesima.

A (alienante) → B (acquirente)
↑ se C salda in buona fede ad A, il pagamento è valido.
C (debitore)

  
Art. 2560 Debiti relativi all’azienda ceduta
L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Nel trasferimento di un'azienda commerciale (2195) risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori (2212 e seguenti).

A (alienante) → B (acquirente)
↓ C può sempre rivalersi su A.
C (creditore)

 
Esiste, inoltre, una disciplina più favorevole per i lavoratori (debiti di lavoro): l’acquirente risponde in solido con l’alienante anche se tali debiti non risultano da scritture contabili.

A (alienante) → B (acquirente)
↑                         C può rivolgersi ad entrambi.
C (lavoratore)

  
Usufrutto e affitto dell’azienda
Art. 2561 Usufrutto dell'azienda
L'usufruttuario dell'azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue.
Egli deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, si applica l'art. 1015.(cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario). La differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto.
Art. 2562 Affitto dell'azienda
Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche nel caso di affitto dell'azienda (1615 e seguenti).
In entrambi i casi si applica il divieto di concorrenza e la disciplina della successione dei contratti. Si applica, invece, solo all’usufrutto la disciplina dei crediti aziendali. Non si applica a nessuna delle due fattispecie l’art. 2560 Debiti relativi all’azienda ceduta.


Capitolo VI: I segni distintivi
La ditta, l’insegna ed il marchio sono i 3 principali segni distintivi dell’imprenditore.
La ditta contraddistingue la persona dell’imprenditore (nome commerciale), l’insegna individua i locali, il marchio i beni e/o servizi prodotti.
Principi comuni
L’imprenditore:

  • gode di libertà nella formazione dei propri segni. È tenuto a rispettare 3 regole:
    • verità
    • novità
    • capacità distintiva.
  • Ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni, ma non può impedire che altri adottino gli stessi quando non vi sia pericolo di confusione.
  • Può trasferire ad altri i propri segni.

La ditta
Essa è segno distintivo necessario: in mancanza di diversa scelta, coincide col nome civile dell’imprenditore.
Il principio della verità della ditta ha un contenuto diverso a seconda che si tratti di ditta:

  • Originaria: quella formata dall’imprenditore (deve contenere almeno il suo cognome o le sue iniziali)
  • Derivata: quella successivamente trasferita ad altro imprenditore (niente impone di modificarla).

Più consistente è il principio della novità: non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore o tale da creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui è esercitata. Ciò anche quando la ditta usata per seconda corrisponda al nome civile dell’imprenditore (ditta patronimica).
L’obbligo di integrare o modificare la ditta spetta a chi ha iscritto l’impresa nel registro delle imprese.
Il diritto all’uso esclusivo sussiste solo se i due imprenditori sono in concorrenza.
Art. 2565 Trasferimento della ditta La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda.
Il marchio
Al marchio nazionale si è affiancato nel 1993 il marchio comunitario. La disciplina è sostanzialmente corrispondente alla nostra. Tali normative sono imperniate sull’istituto della registrazione. Il marchio non è essenziale ma certamente importante, perché costituisce il collegamento coi consumatori. L’attuale disciplina, infatti, ha esteso la tutela dei marchi celebri.
I tipi di marchio
Del marchio può servirsi:

  • Il fabbricante (in un prodotto assemblato, infatti, possono essere presenti più marchi di fabbrica)
  • Il commerciante (che, però, non può sopprimere il marchio del produttore)
  • Imprese di servizi (la cui forma tipica è quella pubblicitaria)

L’imprenditore può anche servirsi di più marchi (anche assieme):

  • Marchio generale (per tutti i prodotti)
  • Marchio speciale (per sottolineare diverse qualità)

Il marchio può essere composto da:

  • Parole (marchio denominativo)
  • Figure, disegni, cifre o colori (marchio figurativo)
  • La forma del prodotto (non è, però, possibile registrare forme imposte dalla natura stessa del prodotto): si tratta del c.d. marchio di forma o tridimensionale.

Il marchio collettivo si distingue nettamente dagli altri, in quanto il titolare di tale marchio è un soggetto che svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti.
Requisiti di validità del marchio

  1. Liceità:
    • non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali.
    • È richiesto il consenso dell’interessato per poter usare nome, pseudonimo o ritratti.
  1. Verità: è vietato inserire segni idonei ad ingannare il pubblico, soprattutto circa la provenienza geografica, la natura o la qualità dei prodotti o servizi.
  1. Originalità: deve essere composto in modo da poterlo distinguere dagli altri prodotti dello stesso tipo:
    • non è possibile dare denominazioni generiche (es.: scarpa)
    • non è possibile dare indicazioni descrittive
    • non è possibile utilizzare segni di uso comune (es.: super, extra, lusso)
    • è, invece, possibile utilizzare parole sconosciute all’italiano medio in altre lingue, anche se il loro significato è generico.
    • È anche possibile usare combinazioni (es.: Amplifon)
  2. Novità: è diverso da originale (ad esempio, chiamare Aereo una calzatura è originale, ma se già registrato da altri non è nuovo). Non è nuovo nemmeno il marchio celebre (registrato) che viene utilizzato per prodotti o servizi non affini.

Il difetto di questi 4 requisiti comporta la nullità del marchio.
Il marchio registrato
Il marchio con i requisiti di cui sopra dà diritto all’uso esclusivo. Tale diritto, è tuttavia diverso a seconda che il marchio sia o meno registrato. Inoltre la disciplina è parzialmente diversa per i marchi celebri e ordinari.
La registrazione concede il diritto esclusivo su tutto il territorio nazionale, qualsiasi sia la sua effettiva diffusione territoriale. Tale esclusività riguarda non solo i prodotti identici ma anche quelli affini (es.: lavatrici e frigoriferi). È vietato, inoltre, utilizzare marchi celebri per prodotti non affini. Il diritto decorre dalla domanda all’ufficio brevetti (ancor prima dell’utilizzazione, quindi anche nella “fase di lancio”).
L’efficacia è decennale (in passato 20 anni) e rinnovabile all’infinito. Il mancato utilizzo del marchio per 5 anni causa la sua decadenza. Il titolare che sia stato leso può adire azione di contraffazione, volta al risarcimento ed alla distruzione dei marchi presenti sul mercato.
Il marchio non registrato
La tutela è sensibilmente minore. Art. 2571 Pre-uso
Chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è valso.
Tale tutela si fonda sul grado di notorietà raggiunto: nei limiti della diffusione geografica.
Il trasferimento del marchio
Tale disciplina è mutata profondamente nel ’92: è stato abolito il collegamento tra circolazione dell’azienda e circolazione del marchio. Può, quindi, essere trasferito anche solo per alcuni prodotti. È consentito che lo stesso marchio sia utilizzato da titolare originale e da uno o più concessionari. Per prevenire inganni esistono i contratti di franchising e merchandising. Il licenziatario è obbligato a utilizzare il marchio per prodotti con caratteristiche uguali. La violazione espone la decadenza eventualmente parziale del marchio.
L’insegna
Distingue l’intero complesso aziendale. Non può essere uguale o simile a quella dei concorrenti. La disciplina si rifà a quella della ditta e del marchio. Il diritto sull’insegna può essere trasferito, similmente alla nuova disciplina del marchio.


Capitolo VII: Opere dell’ingegno e invenzioni industriali (leggere)
Le opere dell’ingegno non vanno confuse con le invenzioni. Le opere dell’ingegno costituiscono idee creative nel campo culturale, le invenzioni industriali nel campo della tecnica. Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore. Le invenzioni industriali possono formare oggetto di brevetti o registrazione.
Il diritto d’autore
Le opere sono protette indipendentemente dal loro pregio e dall’utilizzabilità. L’unica condizione è l’originalità oggettiva. Fatto costitutivo (la registrazione alla SIAE non ha carattere costitutivo) del diritto d’autore è la creazione dell’opera. Si distingue tra:

  • Diritti morali: sono irrinunciabili ed inalienabili. L’autore ha diritto di rivendicare:
    • la paternità
    • il diritto di inedito (cioè di non pubblicare)
    • di opporsi a modifiche etc.
  • Diritti patrimoniali: l’autore ha diritto di utilizzazione economica “in ogni forma e modo, originale e derivato”. Diversamente dai diritti morali hanno durata limitata (70 anni dalla morte dell’autore).

Trasferimento del diritto di utilizzazione economica
L’utilizzazione economica è liberamente trasferibile. Il trasferimento per atto inter vivos deve essere per iscritto, ma può essere:

  • a titolo definitivo
  • o a titolo temporaneo.

I contratti previsti sono:

  • il contratto di edizione: l’autore concede in esclusiva ad un editore il diritto a pubblicare, a spese dell’editore stesso. Il compenso è costituito da una partecipazione (ma può anche essere a forfait).
  • il contratto di rappresentazione e di esecuzione: l’autore cede, di regola non in esclusiva il diritto di rappresentazione in pubblico.

Il diritto d’autore è protetto con sanzioni civili, penali e amministrative (es.: plagio o contraffazione).
Le invenzioni industriali
Esse consistono nella soluzione originale di un problema tecnico. Si differenziano dal diritto d’autore anche per il diverso modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica: la concessione del brevetto.
Si distinguono in:

  1. invenzioni di prodotto
  2. invenzioni di procedimento
  3. invenzioni derivate:
    1. di combinazione
    2. di perfezionamento
    3. di traslazione

Non sono considerate invenzioni:

  • le scoperte (non può formare oggetto di brevetto ciò che è già presente in natura)
  • le teorie scientifiche ed i metodi matematici
  • i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali
  • i software (tutelati, però dal diritto d’autore), a differenza dell’hardware (brevettabile)
  • i metodi chirurgici (es.: la TAC)
  • le razze animali e i procedimenti per il loro ottenimento (a differenza delle nuove varietà vegetali, brevettabili)

I trovati che non ricadono in uno di questi divieti per essere brevettabili devono:

  • essere leciti
  • nuovi
  • implicare un’attività inventiva
  • essere idonei ad un’applicazione industriale.

L’invenzione brevettata
La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale sia patrimoniale. Il brevetto è concesso dall’ufficio brevetti. La descrizione deve essere esposta “in modo sufficientemente chiaro e completo perché ogni persona del ramo possa attuarla” e deve specificare ciò che forma oggetto del brevetto (c.d. rivendicazione). Il brevetto per invenzioni industriali dura 20 anni dal deposito della domanda e non è rinnovabile. Si può poi perdere prima della scadenza per dichiarata nullità o per mancata attuazione entro 3 anni. L’esclusiva comprende non solo la fabbricazione, ma anche il commercio e l’importazione. L’esclusiva di commercio si esaurisce (inizia?) con la prima immissione in circolazione del prodotto brevettato.
Il titolare potrà impedire che altri metta in commercio prodotti ottenuti con lo stesso metodo, ma non potrà impedire il commercio degli stessi prodotti ottenuti con metodo diverso. Il brevetto è liberamente trasferibile sia inter vivos sia mortis causa, indipendentemente dal trasferimento dell’azienda.
La licenza concessa senza esclusiva di fabbricazione è il tipico contratto di cui si avvalgono i paesi sviluppati per dare luogo a forme di dipendenza tecnica ed economica nei confronti dei paesi sottosviluppati.
L’invenzione non brevettata
La disciplina introdotta nel 1979 riconosce una limitata tutela anche a chi abbia utilizzato un’invenzione senza brevettarla. Chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella propria azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda, può continuare a sfruttare l’invenzione nei limiti del preuso, se in buona fede.
Il preutente può anche alienare tale facoltà, ma solo insieme all’azienda. Tale tutela minima opera anche nel caso di preuso segreto.
I modelli industriali
I modelli sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali.
Sono distinti in:

  • modelli di utilità: sono destinati ad offrire maggiore funzionalità a macchine e strumenti;
  • disegni e modelli: destinati a migliorare l’estetica (design).

In materia trova applicazione la disciplina delle invenzioni industriali. Il punto più significativo della riforma è la durata del brevetto 10 anni (rispetto ai 20 delle invenzioni industriali). La registrazione è subordinata alla novità ed al carattere individuale. Essa dura 5 anni, prorogabili ogni 5 fino a 25. La più significativa novità rispetto alla disciplina previgente è che il design è stato ammesso a godere anche della tutela offerta dalla disciplina del diritto d’autore, quando presentino di per sé carattere distintivo e valore artistico.


Capitolo VIII: La concorrenza
La concorrenza perfetta è solo un modello ideale e teorico. Le imprese più grandi danno vita ad oligopoli. Spesso preferiscono l’accordo e stipulano patti per limitare la concorrenza tra loro, fino al monopolio di fatto.
La concorrenza sfrenata, tuttavia, può talvolta arrecare maggiori danni al mercato: l’equilibrio è difficile.
Fissato l’art. 41 Cost. (libertà di concorrenza), il legislatore:

  • consente i monopoli legali (es.: tabacchi);
  • consente limitazioni negoziali della concorrenza che non comportino un radicale sacrificio della libertà d’iniziativa economica;
  • assicura la repressione degli atti di concorrenza sleale.

Per lungo tempo il sistema italiano (a differenza degli USA, dove lo Sherman Act vigeva dal 1890) si era contraddistinto per la mancanza di una normativa antimonopolistica fino alla metà degli anni 50, quando è stata emanata una direttiva CEE al riguardo, che, però, consentiva di colpire solo le pratiche del mercato comune europeo.
La legislazione antimonopolistica italiana e comunitaria
La legislazione antimonopolistica italiana è volta a preservare il regime concorrenziale che incide esclusivamente sul mercato italiano. La legge 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente: l’autorità garante della concorrenza e del mercato. Essa ha, tuttavia, carattere residuale: non incide sulla concorrenza comunitaria.
Le fattispecie
Sono 3:

  1. le intese restrittive della concorrenza: sono comportamenti concordati fra imprese (es.: prezzi uniformi). Sono vietate solo le intese che “abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza”. Chiunque può agire in giudizio per farne accertare la nullità. L’autorità, a sua volta, adotta i provvedimenti per la rimozione.
  2. l’abuso di posizione dominante: non è vietata in sé l’acquisizione di una posizione dominante sul mercato, ma solo lo sfruttamento di tale posizione. È in particolare vietato:
    1. limitare la produzione e gli sbocchi al mercato di altre imprese (es.: il rifiuto di vendere pezzi di ricambio ad imprese fuori dalla rete);
    2. imporre prezzi o altre condizioni ingiustificatamente gravose;
    3. applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.

Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni: l’autorità ne ordina la cessazione e può persino imporre la sospensione dell’attività per 30 giorni. Oggi è vietato anche l’abuso dello stato di dipendenza, dove per dipendenza si intende “la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare un eccessivo squilibrio tra diritti ed obblighi”.

  1. le concentrazioni: si hanno quando:
    1. due o più imprese si fondono;
    2. due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica;
    3. due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune.

Gli strumenti giuridici sono differenti (fusioni, scissioni, partecipazioni azionarie etc.), ma il risultato è sempre la riduzione delle imprese indipendenti. Le concentrazioni diventano illecite solo se danno luogo a gravi alterazioni della concorrenza. È stabilito che le operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di fatturato a livello nazionale o comunitario devono essere preventivamente comunicate all’autorità italiana o alla CEE. Le sanzioni possono giungere fino al 10% del fatturato.
Limitazioni convenzionali
Art. 2596 Limiti contrattuali della concorrenza
Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni.
Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio.
Quest’articolo è oggi rinforzato dalla legge 287/1990: il Garante deve controllare ed evitare i cartelli, i cui principali tipi sono 3 (leggere):

  1. cartelli di contingentamento (quote di produzione)
  2. cartelli di zona
  3. cartelli di prezzo

Poiché la disciplina della concorrenza sleale prevede solo norme per gli imprenditori, è il Garante a proteggere gli interessi dei consumatori.
Le limitazioni della concorrenza
L’interesse generale può legittimare la radicale soppressione della libertà di concorrenza attraverso monopoli pubblici, tuttavia l’art. 2597 cod. civ. limita questo potere:
Art. 2597 Obbligo di contrattare nel caso di monopolio
Chi esercita un'impresa in condizione di monopolio legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento.
Ciò non significa che il monopolista non possa prevedere modalità differenziate, ma tali modalità dovranno essere rese pubbliche e predeterminate.
La concorrenza sleale
Art. 2598 Atti di concorrenza sleale
…compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente (è questa la pedissequa riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui), o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; (questi sono definiti “atti di confusione”: non è lecito attrarre a sé clienti sfruttando il nome ed il successo dei concorrenti)
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito (è questo il caso dei c.d. “atti di denigrazione”, di cui vediamo due esempi:

  • la pubblicità iperbolica: tende ad accreditare l’idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità, non oggettive, negandole a quelle dei concorrenti
  • la pubblicità comparativa, disciplinata dal d.lgs. 74/1992: non è sempre considerata atto di concorrenza sleale; è, infatti, lecita quando:
    • sia fondata su dati veri ed oggettivamente verificabili
    • non genera confusione sul mercato
    • non comporta discredito o denigrazione del concorrente
    • non trae vantaggio dall’altrui notorietà),

o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; (questo comma intende, quindi, evitare che si falsino gli elementi di valutazione del pubblico)
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda. (Fra gli atti contrari a tale comma troviamo:

  • pubblicità menzognera
  • concorrenza parassitaria: sistematica imitazione
  • dumping: sistematica vendita sotto costo, finalizzata all’eliminazione dei concorrenti
  • storno di dipendenti: sottrazione di personale qualificato con mezzi scorretti; ad es.: con false notizie sulla situazione economica del concorrente)

Art. 2600 Risarcimento del danno
Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni... (è sufficiente il c.d. danno potenziale).


Capitolo IX: I consorzi tra imprenditori
Art. 2602 Nozione e norme applicabili
Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.
Esistono due tipi di consorzi:

  • con funzione anticoncorrenziale
  • con funzione di coordinamento: ad esempio, più imprenditori si consorziano per acquistare determinate materie prime o creare un centro di vendita. Questo favorisce la sopravvivenza delle piccole e medie imprese, e sono perciò guardate con favore dal legislatore.

Tuttavia, sul piano del diritto privato sono regolati in modo uniforme.
Si ha, inoltre, un’altra distinzione:

  • consorzi con attività interna: regola rapporti reciproci tra i consorziati
  • consorzi con attività esterna: attività con i terzi.

Il contratto di consorzio. L’organizzazione consortile
La legislazione speciale consente la partecipazione degli enti pubblici nei consorzi.
Art. 2603 Forma e contenuto del contratto
Il contratto deve essere fatto per iscritto sotto pena di nullità.
Esso deve indicare:
l) l'oggetto e la durata del consorzio;
2) la sede dell'ufficio eventualmente costituito;
3) gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati;
4) le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio;
5) le condizioni di ammissione di nuovi consorziati (è possibile la partecipazione al consorzio di nuovi imprenditori, senza il consenso di tutti i consorziati, ma le condizioni di entrata devono essere predeterminate nel contratto);
6) i casi di recesso e di esclusione; (il contratto può sciogliersi limitatamente ad un consorziato per volontà di questi, recesso, o per decisione degli altri consorziati, esclusione).
7) le sanzioni per l'inadempimento degli obblighi dei consorziati. […]
Art. 2604 Durata del consorzio
In mancanza di determinazione della durata del contratto, questo è valido per dieci anni.
Art. 2605 Controllo sull'attività dei singoli consorziati
I consorziati devono consentire i controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto, al fine di accertare l'esatto adempimento delle obbligazioni assunte.
Art. 2606 Deliberazioni consortili
Se il contratto non dispone diversamente, le deliberazioni relative all'attuazione dell'oggetto del consorzio sono prese col voto favorevole della maggioranza dei consorziati.
Le deliberazioni che non sono prese in conformità alle disposizioni di questo articolo o a quelle del contratto possono essere impugnate davanti all'autorità giudiziaria entro trenta giorni (la legge prevede la presenza di un organo con funzioni deliberative composto dai consorziati, assemblea, e di un organo direttivo).
Art. 2607 Modificazioni del contratto
Il contratto, se non è diversamente convenuto, non può essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati. Le modificazioni devono essere fatte per iscritto sotto pena di nullità.
Art. 2610 Trasferimento dell'azienda
Salvo patto contrario, in caso di trasferimento a qualunque titolo dell'azienda, l'acquirente subentra nel contratto di consorzio.
Tuttavia, se sussiste una giusta causa, in caso di trasferimento dell'azienda per atto fra vivi, gli altri consorziati possono deliberare, entro un mese dalla notizia dell'avvenuto trasferimento, l'esclusione dell'acquirente dal consorzio.
Art. 2611 Cause di scioglimento (dell’intero contratto di consorzio)
Il contratto di consorzio si scioglie:
1) per il decorso del tempo stabilito per la sua durata;
2) per il conseguimento dell'oggetto o per l'impossibilità di conseguirlo;
3) per volontà unanime dei consorziati;
4) per deliberazione dei consorziati, presa a norma dell'art. 2606, se sussiste una giusta causa;
5) per provvedimento dell'autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge;
6) per le altre cause previste nel contratto.
I consorzi con attività esterna
Una specifica disciplina è prevista per i consorzi con i terzi all’art. 2612. Innanzitutto, è previsto un regime di pubblicità legale (Iscrizione nel registro delle imprese). L'estratto deve indicare le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione (che deve redigere la situazione patrimoniale) e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri (comma 4).
Art. 2614 Fondo consortile
I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile. Per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori particolari dei consorziati (il fondo è destinato a garantire il soddisfacimento dei soli creditori del consorzio) non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo (questo implica, anche, che il fondo consortile costituisca patrimonio autonomo rispetto al patrimonio dei singoli consorziati).
Art. 2615 Responsabilità verso i terzi
Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile.
Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono questi ultimi solidalmente col fondo consortile. In caso d'insolvenza nei rapporti tra i consorziati il debito dell'insolvente si ripartisce tra tutti in proporzione delle quote.
Le società consortili
Consorzi e società sono istituti diversi, però i consorzi con attività esterna hanno in comune con le società:

  • il carattere imprenditoriale (comunque può svolgere attività lucrativa)
  • e lo scopo egoistico (seppur differente: nel consorzio il compito è produrre beni e servizi per le imprese consorziate: lo scopo dei soci nel consorzio non è l’utile, ma vantaggi in termini di minori costi): migliorare la capacità di profitto e l’efficienza delle preesistenti imprese.

È, quindi, lecito costituire una SPA nel cui atto costitutivo si dichiari espressamente l’esclusiva finalità consortile perseguita e l’assenza dell’intenzione del lucro.
Il gruppo europeo di interesse economico (geie)
Esso è fondamentalmente un consorzio di coordinamento ed esterno a livello transnazionale. Sebbene privo di personalità giuridica è dotato di capacità processuale. Può essere nominato amministratore anche una persona giuridica. Vi è obbligo di tenuta delle scritture contabili. Non avendo scopo di lucro, i profitti sono considerati direttamente profitti dei membri. Non è prevista la formazione obbligatoria di un fondo. Per le obbligazioni rispondono solidalmente ed illimitatamente tutti i membri, ma i creditori possono agire solo dopo aver escusso presso il gruppo. Il geie è esposto al fallimento.

 

Fonte: http://davidebenza.altervista.org/triennale/Diritto_commerciale.zip

Sito web da visitare: http://davidebenza.altervista.org/

Autore del testo: by Davide Benza

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