Corso diritto commerciale riassunto libro presti rescigno volume 1
Corso diritto commerciale riassunto libro presti rescigno volume 1
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Corso diritto commerciale riassunto libro presti rescigno volume 1
“Corso di diritto commerciale”, volume I, di Presti Gaetano e Rescigno Matteo, Zanichelli, 2005
LEZIONE I
IL DIRITTO COMMERCIALE (molto di lettura)
Caratteristiche costanti nel tempo del diritto commerciale sono la specialità rispetto al diritto privato e la vocazione universale.
La specialità tende ad affrancare il diritto commerciale dal diritto privato e ad affermare il bisogno di regole particolari per la business community, l’universalità tende a rivendicare una legittimazione alternativa rispetto a quella statuale e a costruire regole che valgano a prescindere dalla specifica localizzazione dei rapporti sia per agevolare quelli con i mercati esteri, sia per cercare per ogni fase del ciclo economico il luogo più conveniente.
La nascita del diritto commerciale è collocata sulla fine del XI secolo.
Il quadro normativo dell’epoca non era infatti adatto all’attività del mercante. È così che proprio la classe mercantile forma un proprio codice ® lex mercatoria ® regola l’attività dei mercanti, sia perché da loro stessi creata, sia perché da loro stessi giudizialmente amministrata. È un diritto speciale basato sullo status di mercante che risponde non all’interresse particolare del singolo ma a quello generale della classe.
Con l’affermazione poi dei codici napoleonici, il code du commerce rimane ma viene applicato non più allo status soggettivo di mercante ma in dipendenza della natura dell’atto compiuto anche se restano comunque commerciali gli atti compiuti dal commerciante nell’esercizio della sua attività.
LEZIONE II
L’IMPRENDITORE
La nozione di imprenditore è dettata dall’art 2082 c.c., articolo che indica una fattispecie al fine di collegarvi una determinata disciplina.
L’appartenenza al genere imprenditore, infatti, è presupposto necessario per rientrare in una delle specie in cui il genere si articola e in relazione alle quali viene dettata la gran parte della disciplina.
Il cd statuto dell’imprenditore, ovvero quello che si applica a qualunque imprenditore come definito nell’art 2082 non è particolarmente esteso e consiste nelle norme relative all’azienda e ai segni distintivi; a queste possono aggiungersi numerose regole fissate nella normativa di tutela dei consumatori.
La figura dell’imprenditore si suddivide:
- Sul piano dell’oggetto dell’attività esercitata, tra imprenditore commerciale e imprenditore agricolo;
- Sul piano delle dimensioni dell’attività, tra piccolo (organizzazione dell’attività con il lavoro prevalente proprio e dei proprio familiari) e medio/grande imprenditore.
- Sul piano della natura del soggetto che esercita l’attività, tra imprenditore individuale e collettivo e imprenditore privato e pubblico.
L’art 2082 definisce imprenditore colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. La nozione è determinata per relationem all’attività svolta, quindi la norma definisce l’impresa.
La norma limita l’applicazione di una determinata disciplina ai soli soggetti la cui attività economica abbia particolari caratteristiche.
- primo elemento dell’impresa è lo svolgimento di un’attività ® serie di atti tra loro collegati da un fine unitario che, nella specie, è rappresentato dalla produzione o dallo scambio di beni o di servizi. Affinché vi sia imprenditore i beni prodotti devono essere oggettivamente destinati al mercato.
- l’attività deve essere economica, tale aggettivo riguarda le modalità di attuazione. Si sostiene che un’attività può essere qualificata come impresa solo se svolta con metodo economico: con modalità cioè che, con giudizio preventivo e astratto, consentano almeno la copertura dei costi con i ricavi.
- l’attività deve essere professionale: significa esercitare un’attività in modo abituale, non occasionale. Deve essere un’attività sistematica ripetuta nel tempo.
- deve essere organizzata: difficoltà di individuare quel minimo di organizzazione che la legger richiede per la qualificazione di una determinata attività come impresa. Organizzazione significa coordinamento dei fattori della produzione.
- l’elemento della liceità: la qualificazione di una data attività come impresa prescinde dalla sua liceità. È pertanto imprenditore chi esercita un’impresa anche se in violazione di un obbligo. Le conseguenze dell’illiceità non si producono sul piano della qualificazione dell’attività: se così fosse, venendo meno la qualità di imprenditore, sarebbe prelusa dalla relativa disciplina con pregiudizio dei terzi che incolpevolmente siano con lui entrati in contatto.
L’art 2238 stabilisce che ai professionisti intellettuali si applicano le disposizioni in tema di impresa se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa: quando cioè l’attività professionale è inserita in una più complessa per sé qualificabile come impresa. In quanto tale quindi la libera professione non è impresaÞ vengono esentate dalla disciplina codicistica sull’impresa. ® posizione di privilegio.
Uno dei problemi che vengono imputati all’impresa è la sua imputazione ad un soggetto piuttosto che a un altro, tale imputazione fa sorgere in capo al soggetto la qualità di imprenditore.
Il criterio generale del diritto privato è quello della spendita del nome, in base al quale un atto è imputato al soggetto in nome del quale è stato compiuto.
Imprenditore è quindi colui che materialmente svolge l’attività qualora non lo faccia in nome altrui; ma quando il soggetto che materialmente svolge l’attività spende, lecitamente e conformemente ai poteri ricevuti, il nome di un altro è quest’ultimo che assume tale qualità.
Ci si chiede tuttavia se vi possono essere ulteriori criteri ® cd criteri aggiuntivi.
Il problema si pone nei casi frequenti di soggetti nel cui nome l’attività viene svolta ma che non sono l’effettivo destinatario dei risultati dell’attività, ma solo n prestanome dietro il quale agisce l’effettivo interessato che, senza apparire formalmente quale titolare dell’impresa, fornisce i mezzi necessari, dirige l’attività e si appropria dei risultati.
Il problema non si pone tanto nel caso in cui l’attività vada bene, ma nel caso in cui l’impresa vada male; in tal caso infatti il dominus, dopo essersi appropriato in passato dei profitti, avrà l’irresistibile tentazione di eclissarsi e lasciate i creditori alle prese con il prestanome; questi fallirà, ma trattandosi normalmente di soggetto nullatenente o quasi, i creditori otterranno ben poca soddisfazione. Þ il dominus scarica parte del rischio dell’impresa sui creditori.
La situazione cambierebbe se fosse possibile imputare l’impresa anche a tale sofferto sulla base di un criterio diverso da quello della spendita del nome.
Si è così tentato di fondare criteri aggiuntivi.
Si è ad esempio sostenuto che il reale dominus dell’impresa sia da ritenersi imprenditore e responsabile delle obbligazioni contratte per il suo esercizio sulla base delle seguenti argomentazioni:
- Il necessario collegamento tra potere e responsabilità
- La teoria del cd imprenditore occulto: con tale teoria si prevede che il fallimento, nei casi di società con illimitatamente responsabili, si estenda sia ai soci palesi sia a quelli occulti. A confutazione di tale teoria si è rilevato che sarebbe necessaria l’esistenza di una società e lo svolgimento dell’attività quindi in suo nome. Ma nel caso dell’imprenditore occulto non vi è società e l’attività viene svolta in nome del prestanome Þ non vi è identità giuridica tra le due fattispecie.
- Il tentativo di generalizzare l’art 2208 in base al quale l’imprenditore risponde delle obbligazioni assunte dall’institore per atti pertinenti all’esercizio dell’impresa anche se questo omette di spenderne il nome.
La giurisprudenza tuttavia non si è limitata a rifiutare l’applicazione di tali teorie, ma si è sforzata di dare comunque una risposta al problema pratico, sviluppando una particolare tecnica repressiva di tale fenomeno. Spesso, infatti, i giudici reputano che l’attività svolta dietro le quinte dal dominus sia essa stessa configurabile come impresa: si parla di impresa fiancheggiatrice la cui attività consiste nel finanziamento e nella direzione dell’impresa principale. Sulla base del criterio della spendita del nome il dominus potrà quindi essere dichiarato fallito in caso di insolvenza di questa impresa fiancheggiatrice.
Limiti di tale tecnica è che non sempre al fallimento dell’impresa corrisponda il fallimento dell’impresa fiancheggiatrice e che, nel caso di fallimento anche di questa, hanno titolo per partecipare solo quei soggetti che abbiano crediti nei confronti del dominus, non quelli che li abbiano semplicemente verso il prestanome.
L’esercizio dell’impresa può essere svolto anche da soggetti non legalmente capaci di agire. Salvo il caso del minore emancipato, la regola principale predispone che non può essere intrapresa una nuova attività ma si può solo continuare quella preesistente qualora il tribunale, sulla base dell’utilità dell’incapace, rilasci l’autorizzazione. In tal caso è il minore che acquista la qualità di imprenditore godendone i vantaggi e subendone le eventuali conseguenze negative sul piano patrimoniale, ivi compreso il fallimento. Si tende però a negare che il minore subisca anche gli effetti personali pregiudizievoli che possono discendere dalla qualità di imprenditore.
Quando si acquista e quando si perde la qualità di imprenditore?
Possono darsi due risposte:
- Principio di effettività: si diventa imprenditori con l’effettivo inizio del attività e si smette di esserlo con la sua effettiva cessazione.
- L’acquisto o la perdita della qualità di imprenditore si ricollega a dati formali quali l’iscrizione o la cancellazione del soggetto dal registro delle imprese…
Per quanto riguarda l’inizio dell’impresa, l’applicazione del principio di effettività è pacifico solo con riguardo alle persone fisiche. Per le società è prevalente invece l’idea che esse siano impresa sin dal momento della costituzione giacchè queste nascono proprio per l’esercizio dell’impresa.
Anche per quanto riguarda la cessazione vi è una distinzione tra imprenditori individuali e società. Per i primi la cessazione dell’impresa coincide con la dissoluzione dell’apparato aziendale. Non coincide quindi con la decisione di chiudere e la messa in liquidazione, ma con l’effettivo compimento della liquidazione del suo nucleo essenziale.
Le società invece non si estinguono con la loro cancellazione dal registro delle imprese, ma rimangono in vita fino a quando residua un qualsiasi rapporto giuridico facente capo alla società: quindi anche un solo debito.
LEZIONE III
CATEGORIE DI IMPRENDITORI E NORMATIVE APPLICABILI
- La prima differenziazione all’interno della figura dell’imprenditore riguarda la natura dell’attività esercitata a seconda che sia commerciale o agricola. Il valore della distinzione attiene alla disciplina applicabile. All’imprenditore commerciale si applica uno statuto speciale, la nozione quindi di imprenditore agricolo assume un significato di tipo negativo in quanto funzionale alla non applicazione di una certa disciplina.
Sia l’imprenditore agricolo che quello commerciale sono identificati in positivo nel codice civile ® problema: se un insieme è suddiviso in due categorie entrambe connotate positivamente, è possibile che vi siano elementi che, pur appartenendo all’insieme generale, non fanno parte di nessuna specie. In dottrina quindi si è sostenuto che necessariamente bisogni individuare un’altra categoria di imprenditore che non sia né commerciale né agricolo ® l’imprenditore civile. Nonostante questo tale categoria non esiste giuridicamente.
- L’imprenditore agricolo: l’art 2135 definisce l’imprenditore agricolo in base all’elencazione di una serie di attività, tale articolo è stato recentemente oggetto di una modifica che ha notevolmente allargato l’area della categoria. Nell’ambito delle attività agricole bisogna distinguere tra quelle essenziali (senza esercitare una delle quali non si può essere imprenditore agricolo) e quelle connesse (attività che, per quanto non agricole di per sé, se ricorrono determinate condizioni vengono assorbite e non fanno assumere la qualità di imprenditore agricolo).
Sono attività agricole essenziali la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento di animali. La nuova formulazione della norma chiarisce che per tali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso di carattere vegetale o animale. L’esonero dallo statuto dell’imprenditore commerciale per tali attività è visto come una forma di incentivazione per le attività citate e come un meccanismo di compensazione per attività che avendo oggetto non materia inerte, ma vitale, sono sottoposte a un surplus di rischio rispetto alle altre imprese.
Sono invece attività connesse quelle dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale. E quelle dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola.
- L’imprenditore commerciale: sono commerciali tutti gli imprenditori non agricoli. L’art 2195 contiene l’elenco, non tassativo, delle attività commerciali:
- attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi
- attività intermediari nella circolazione dei beni
- attività di trasporto per terra, per acqua e per aria
- attività bancaria e assicurativa
- altre attività ausiliarie alle precedenti.
- Seconda distinzione deriva dalla grandezza dell’impresa. L’art 2083 definisce piccoli imprenditori gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Per esclusione tutti gli imprenditori che non rientrano in questa definizione sono qualificabili come medio/grandi. È un piccolo imprenditore colui che attua il proprio esercizio con la prevalenza del lavoro proprio e dei propri familiari sugli altri fattori della produzione utilizzati nello svolgimento dell’attività.
In nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali. Anche se la recente giurisprudenza ritiene che questa frase non debba più ritenersi in vigore.
- L’imprenditore può essere privato o pubblico. Per l’imprenditore privato non c’è bisogno di chiarimenti. Per quello pubblico invece bisogna distinguere tra l’impresa formalmente pubblica e quella che lo è sostanzialmente. Quest’ultima rappresenta quei casi dove il soggetto giuridico è formalmente privato, ma è riscontrabile una partecipazione prevalente dello Stato o di altro ente pubblico. Il caso dell’impresa invece formalmente pubblica può assumere due diverse configurazioni:
- La cd. Impresa organo: quando l’impresa è esercitata direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico territoriale tramite una specifica organizzazione dotata di semplice autonomia gestionale, ma priva di distinta personalità giuridica.
- Il cd. Ente pubblico economico: quando l’impresa è svolta da un ente ad hoc munito di propria personalità giuridica, che ha per scopo esclusivo o prevalente l’esercizio di quella specifica attività economica.
È importante infine puntualizzare che a partire dagli anni 90 in Italia è stato avviato un imponente processo di privatizzazione, formale e sostanziale. Molte delle s.p.a. il cui capitale era tutto o in parte nelle mani dello Stato, sono state sostanzialmente privatizzate con la cessione della maggioranza del capitale.
L’imprenditore può essere individuale o collettivo. Se si tratta di un singolo individuo persona fisica, nulla vi è da aggiungere a quanto già detto: le distinzioni normativamente rilevanti si basano sul tipo di attività esercitata e sulle sue dimensioni.
Diverso è il discorso per l’imprenditore collettivo, di cui le società sono il più palese esempio. Fondamentale è la distinzione tra società che possono svolgere solo attività non commerciali e società che possono svolgere ogni tipo di attività ® queste vengono chiamata società commerciali. A tali società si applica lo statuto dell’imprenditore commerciale.
Possono poi esserci casi di esercizio collettivo dell’impresa diversi dalla società. Le più importanti sono:
- Le associazioni.
- I consorzi con attività esterna: organizzazioni istituite da più imprenditori per la disciplina o lo svolgimento in comune di determinate fase delle rispettive imprese tramite l’istituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con i terzi.
- I gruppi europei di interesse economico: organismo di servizio analogo al consorzio ma dal quale si differenzia per non essere riservato ai soli imprenditori ma a qualsiasi operatore economico e per la circostanza che gli aderenti debbono appartenere ad almeno due Stati membri dell’Unione Europea.
- L’impresa coniugale.
Il codice civile prevedeva l’istituzione del registro delle imprese ® forma pubblica di pubblicità legale cui dovevano essere sottoposti determinati atti e fatti relativi alle imprese al fine di renderli conoscibili e opponibili da terzi. Ad esso dovevano iscriversi solo gli imprenditori commerciali non piccoli e le società commerciali.
Lo Statuto dell’imprenditore commerciale ha modificato tale disciplina.
Devono iscriversi nel registro delle imprese non solo gli imprenditori commerciali non piccolo e le società commerciali, ma tutti gli imprenditori, con eccezione delle imprese organo.
I dati da iscrivere sono dettagliatamente indicati nel codice e da leggi speciali. In linea generale sono soggetti a iscrizione tutti gli elementi identificativi dell’imprenditore e dell’impresa. Vale per l’iscrizione il principio di tassatività per cui possono e devono essere iscritti solo atti e fatti la cui iscrizione è prevista per legge.
Il registro è tenuto su base provinciale dalle camere di commercio con modalità informatiche.
Il registro è articolato:
- In una sezione ordinaria nella quale devono iscriversi i soggetti che vi erano tenuto secondo l‘originaria previsione del codice civile.
- In due sezioni speciali. Nella prima devono iscriversi i piccoli imprenditori, gli imprenditori agricoli, le società semplici, gli artigiani. Nella seconda gli avvocati.
L’iscrizione nel registro delle imprese ha effetto dichiarativo.
I soggetti che sono iscritti nella sezione ordinaria delle imprese sono obbligati a tenere le scritture contabili, queste sono la documentazione relativa all’attività svolta.
Obbligatoriamente qualsiasi imprenditore non piccolo e qualsiasi società commerciale devono tenere:
- Il libro giornale: deve indicare in ordine cronologico tutte le operazioni relative all’impresa.
- Il libero degli inventari: si trovano, a intervalli regolari, tutte le fotografie dello stato dell’impresa. L’inventario consiste nell’indicazione e valutazione delle attività e delle passività dell’imprenditore. L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite.
- Le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalla dimensioni dell’impresa.
I libri contabili prima di essere messi in uso devono essere numerati progressivamente in ogni pagina. Le scritture devono essere tenute secondo le norme di un’ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non si possono fare abrasioni e se si deve cancellare, la cancellazione deve essere leggibile. Devono essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione.
Le scritture contabili possono essere utilizzate in giudizio come mezzo di prova sia a favore che contro l’imprenditore che le ha tenute. Se contro fanno sempre prova, anche se non regolarmente tenute. Se a favore invece le scritture possono fare prova solo se ricorrono i seguenti presupposti: a) che le scritture siano regolarmente tenute; b) che la lite sia con un altro imprenditore; c) che la controversia concerna rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.
Le figure legali di ausiliari dell’imprenditore sono tre e corrispondono a diversi livelli gerarchici nell’organizzazione aziendale. Sono tutte dotate ex lege di un potere di rappresentanza. L’imprenditore può limitare con uno specifico atti tale potere. Questo atto è la procura che assume nel diritto commerciale un valore opposto a quello nel diritto comune, infatti non serve per dotare il rappresentante del potere di agire in nome e per conto del rappresentato, ma per limitare il potere che gli deriva direttamente dalla legge.
- L’institore: è colui che è preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa commerciale o di una sede secondaria o di un ramo di essa. È il soggetto in posizione di vertice che non ha altri superiori se non l’imprenditore stesso. È dotato di un potere di rappresentanza generale che si estende a tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa. Unico limite legale concerne il divieto di alienare o ipotecare i beni immobili del preponente se a ciò non è esplicitamente autorizzato. Il potere di rappresentanza di estende anche al profilo processuale. L’institore è inoltre personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente.
- Il procuratore: è quel soggetto che in base a un rapporto continuativo ha il potere di compiere per l’imprenditore atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo a ciò preposto. È un funzionario munito di poteri decisionali autonomi in ambito limitato.
- Il commesso: collaboratore meramente esecutivo dell’imprenditore. Salvo che non siano a ciò autorizzati, non possono: esigere il prezzo delle merci della quali non facciano consegna, concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso, derogare alle condizioni generali di contratto dell’impresa.
LEZIONE IV
L’AZIENDA, I SEGNI DISTINTIVI E LA PROPRIETà INTELLETTUALE
L’azienda secondo l’art 2555 c.c. è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Sulla sua natura giuridica nell’ambito della teoria dei beni si sono contrapposte due teoria:
- Cd. Teoria unitaria: afferma la diversità del bene azienda rispetto alla semplice somma di quelli che lo compongono, giungendo a equipararla all’universalità di beni e in particolare di beni mobili.
- Cd. Teoria atomistica: risolve l’azienda nei singoli beni che la compongono.
Diviene così centrale l’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie azienda giacchè la rilevanza normativa del concetto si risolve nell’applicazione di un regime circolatorio speciale rispetto a quelli di diritto comune. Si può schematicamente osservare:
- Il tenore dell’art 2555 c.c. valorizza come elemento qualificante dell’azienda la destinazione dei beni all’esercizio dell’impresa.
- In astratto è concepibile anche un’azienda ove nessuno dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa appartenga, a titolo di proprietà o altro diritto reale, all’imprenditore. Quindi la nozione beni deve includere non solo i beni mobili e quelli immobili ma anche quelli immateriali e i contratti che l’imprenditore ha stipulato per l’esercizio dell’impresa e le situazioni soggettive che ne derivano. Non è però compreso il cd avviamento: cioè il valore aggiunto dell’azienda rispetto a quelli della somma dei singoli beni aziendali che consiste nella capacità di attrarre la clientela e generare reddito ed è conseguenza dell’organizzazione dei fattori della produzione (avviamento oggettivo) e dell’efficienza dell’imprenditore nella gestione dell’impresa (avviamento soggettivo)
- Non esiste un requisito dimensionale minimo o qualitativo dei beni che identificano un’azienda se non quello che deriva dal significato che si intenda dare al requisito dell’organizzazione nella definizione di impresa.
Il nucleo centrale delle norme in tema di circolazione dell’azienda attiene ala sua vendita. Fondamento della disciplina dell’azienda è lo scopo di non disperdere il valore dell’organizzazione dei fattori della produzione in caso di circolazione. Il concetto di azienda consente di trasferire contestualmente tutti i beni e i rapporti che dell’azienda fanno parte senza bisogno di specificarli in dettaglio.
Ai fini della circolazione la nozione di azienda può anche non identificarsi con l’intero complesso di beni organizzato dall’imprenditore, può essere ristretto a quel nucleo di attività la cui organizzazione è essenziale per l’esercizio dell’impresa. Ciò consente anche di identificare la nozione di ramo d’azienda in quel complesso di beni che, pur facendo parte di un insieme omogeneo più vasto, è idoneo a dar luogo a un’azienda oggettivamente autonoma sotto il profilo operativo.
L‘art 2557 vieta all’alienante di un’azienda, per un periodo di 5 anni dal trasferimento, l’inizio di una nuova impresa che sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta in ragione dell’oggetto, dell’ubicazione o di altre circostanze. ® divieto di concorrenza.
Quando infatti si trasferisce un’azienda, il valore decisivo ed essenziale nella valutazione dell’acquirente è il cd. Avviamento e cioè la capacità di attrarre clientela in virtù delle sue caratteristiche oggettive e dell’efficienza della gestione.
La tutela dell’acquirente alla ragionevole conservazione del valore di avviamento da lui pagato in occasione dell’acquisto di azienda va ovviamente contemperata con il principio di evitare una lesione eccessiva della libertà di iniziativa economica dell’alienante.
Tale obiettivo viene perseguito anche mediante l’autonomia negoziale che viene lasciata ai due soggetti:
- Le parti possono eliminare o rendere meno gravoso il divieto di concorrenza;
- La durata del divieto non può mai eccedere i 5 anni e l’ampliamento dei limiti legali è ammesso solo ove ciò non comporti l’impedimento di ogni attività professionale dell’alienante.
La disciplina del trasferimento dell’azienda deve tenere conto dell’esigenza di preservare la continuità dei rapporti negoziali tramite i quali si esplica l’attività dell’impresa.
Tale esigenza viene perseguita dall’art 2558 c.c. :
- Salvo diversa pattuizione nel contratto di cessione, l‘acquirente dell’azienda non subentra nei contratti stipulati per l’esercizio della stessa che abbiano carattere personale. Se il contratto ha natura personale il suo passaggio all’acquirente richiede sia l’espressa previsione nel contratto di trasferimento d’azienda, sia il successivo consenso del terzo contraente ceduto.
- I contratti non personali invece passano all’acquirente senza bisogno di apposita pattuizione e senza bisogno di assenso del terzo contraente. La tutela di quest’ultimo è affidata alla possibilità di recedere, entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento dell’azienda, ove sussista una giusta causa.
L’art. 2559 disciplina la successione nei crediti inerenti all’azienda nel caso di suo trasferimento. L’acquirente subentra nei crediti come effetto del trasferimento d’azienda.
L’art. si occupa soprattutto di agevolare il passaggio dei crediti con riferimento alla sua opponibilità al debitore ceduto. La cessione ha effetto ei confronti dei terzi dal momento in cui il trasferimento d’azienda è iscritto nel registro delle imprese, anche in difetto di notifica o accettazione della cessione al debitore.
La responsabilità verso i creditori per i debiti, invece, inerenti all’azienda ceduta è disciplinata dall’art 2560. Nel caso in cui il contratti nulla preveda, a differenza di quel che accade per i crediti, v’è maggior contratto in dottrina sull’applicazione del principio del passaggio automatico, tuttavia questa è la soluzione preferita dalla giurisprudenza.
Il legislatore si occupa invece espressamente della responsabilità verso i creditori. La liberazione dell’alienante dai debiti aziendali presuppone l’espressa dichiarazione in tal senso da parte di ogni singolo creditore. A loro tutela è disposto una sorta di accollo ex lege a carico dell’acquirente di azienda commerciale per tutti i debiti che risultino dalle scritture contabili obbligatorie.
In materia di proprietà industriale il codice civile è stato accompagnato da una nutrita serie di leggi speciali che hanno rappresentato il vero cure delle discipline di settore. ® d.lgs. 30/2005 o codice della proprietà industriale. ® testo normativo unitario che ha riordinato la materia nell’intento di semplificarne la disciplina.
L’espressione proprietà industriale comprende:
- i marchi e gli altri segni distintivi;
- le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine;
- i disegni e i modelli;
- le invenzioni; sono tutti beni immateriali
- i modelli di utilità;
- le topografie dei prodotti a semiconduttori;
- le informazioni aziendali riservate;
- le nuove varietà vegetali;
la protezione accordata a tali diritti è di tipo dominicale, cioè del diritto di proprietà.
Fondamentale nell’ambito della proprietà industriale è la distinzione tra diritti titolati e non titolati. I primi si acquistano mediante brevettazione o registrazione, i secondi ricorrendone i presupposti di legge volta a volta indicati.
Il marchio: appartiene alla famiglia dei segni distintivi, che identificano l’imprenditore e la sua azienda e servono così a distinguere i suoi prodotti e servizi da quelli dei concorrenti. Il marchio contraddistingue i prodotti e i servizi di un’azienda.
Il sistema di tutela del marchio si fonda sull’attribuzione di un diritto al suo uso esclusivo in favore del soggetto che lo abbi registrato o, in misura minore, che lo abbia utilizzato in via di fatto pur senza registrarlo.
Il marchio può contraddistinguere sia un bene sia un servizio e non vi sono limiti sull’attribuzione dello stesso marchio a più prodotti dell’impresa o a una diversificazione o uso commisto di marchi generali e specifici per designare prodotti.
Può consistere in un qualsiasi segno suscettibile di essere rappresentato graficamente e atto a distinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.
Il marchio deve essere:
- lecito: non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume, ovvero lesivi di altrui diritti.
- Vero: non deve contenere segni idonei a ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti e servizi.
- Originale: deve avere la capacità distintiva del prodotto rispetto a quelli del medesimo genere. Tale originalità manca qualora il marchio si risolva nella denominazione generica del prodotto o meramente descrittiva delle sue caratteristiche o di uso comune. In base a questo requisito si distinguono marchi forti, e cioè significativamente distintivi, e marchi deboli.
- Nuovo: non deve consistere esclusivamente in segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio e, soprattutto, non deve essere confondibile con un marchio altrui precedentemente utilizzato o registrato. Bisogna fare distinzione tra marchi ordinari e marchi celebri. Per i primi la novità manca solo se sussiste il rischio di confusione per il fatto che il marchio è identico o simile a segni già noti; per i secondi invece è sufficiente che si tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o si rechi loro pregiudizio. La mancata novità viene sanata dalla tolleranza protrattasi per un periodo di 5 anni consecutivi del titolare del marchio anteriore.
Il marchio che presenti i requisiti indicati i validità può essere registrato e, ottenuta la registrazione, acquisisce il diritto esclusivo all’uso del marchio su tutto il territorio nazionale.
Tale diritto dura 10 anni dalla data di deposito della relativa domanda ed è rinnovabile per la stessa durata alla scadenza per un numero illimitato di volte.
La tutela assicurata al titolare del marchio registrato può venire meno per una serie di ragioni:
- La dichiarazione di nullità per difetto iniziale dei requisiti essenziali;
- La volgarizzazione che si ha quando il marchio sia divenuto tanto diffuso da indicare nel linguaggio comune il prodotto designato
- Sopravvenuta ingannevolezza del marchio;
- Mancato uso del marchio nei 5 anni dalla registrazione o per 5 anni, salvo legittimo motivo.
Il marchio può essere liberamente trasferito a terzi. Esso può essere ceduto separatamente dall’azienda o dal suo ramo ove il prodotto era realizzato.
Recenti riforme hanno poi ampliato la flessibilità di utilizzazione della licenza di marchio; oggi essa forma il nucleo centrale di taluni contratti come il franchising. La licenza può essere totale o parziale a seconda che concerna l’uso del marchio per tutti i prodotti o solo per una loro parte. Può essere esclusiva e non a seconda che il titolare si riservi la continuazione dell’uso e/o che il licenziatario sia unico o no.
La ditta: ciascun imprenditore può scegliere un nome con il quale indicare la propria attività ®la ditta. Essa si distingue in ditta originaria, che è quella prescelta dall’imprenditore per il suo diretto utilizzo, o derivata, che è quella che passa all’imprenditore in occasione di un trasferimento d’azienda.
Secondo il principio di verità la ditta deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. Deve inoltre rispettare il principio di novità, quando cioè la ditta è uguale a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo cui è esercitata deve essere integrata o modificata con indicazione idonee a differenziarla. La regola si applica solo quando tra le due imprese vi si una relazione di concorrenzialità tale per cui sia possibili sviare la clientela.
L’insegna: è il segno distintivo dei locali ove si svolge l’attività d’impresa.
Le indicazioni geografiche e la denominazione di origine: sono protette quando sono adottate per designare un prodotto che ne è originario o le cui qualità sono dovute esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine, comprensivo di fattori naturali, umani e di tradizione. La protezione consiste nel divieto dell’uso di tali indicazioni e denominazioni qualora possa essere idoneo a ingannare il pubblico sulla provenienza dei prodotti o sulla loro qualità.
LEZIONE V
LA CONCORRENZA TRA IMPRESE
Il sogno dell’economia liberale è l’assenza di barriere all’ingresso sul mercato in un sistema che consenta la selezione degli operatori sulla base della loro capacità ed efficienza, ma spesso il sogno dei liberi imprenditori è di eliminare da mercato i competitori e di rimanere soli o in selezionata compagnia.
Per questo si sono poste regole sulla libera concorrenza, volte a proteggere la libertà di iniziativa economica. La legislazione in materia percorre la strada della ricerca di quella che gli economisti chiamano la concorrenza sostenibile.
L’intervento del legislatore a tutela della libera concorrenza ha delineato tre categorie generali di comportamenti anticoncorrenziali:
- le intese restrittive della libertà di concorrenza: sono intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari vietando quelle che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. Particolare rilievo hanno le pratiche concordate che nella loro interpretazione più lata si riferiscono al parallelismo consapevole delle imprese che uniformano i loro comportamenti sul mercato. Sia la normativa italiana che quella comunitaria contengono un elenco di carattere esemplificativo, e non tassativo, di intese considerate anticoncorrenziali. La lista comprende intese sia di carattere orizzontale (fra imprese che operano allo stesso livello economico) che di carattere verticale (tra produttore e rivenditore):
- le intese sui prezzi di acquisto o di vendita o su altre condizioni contrattuali
- le intese che limitano la produzione, gli sbocchi o l’accesso al mercato o gli investimenti
- le intese di ripartizione dei mercati
- le intese che ledono la parità di trattamento fra i contraenti di un’impresa applicando condizioni diverse per prestazioni equivalenti
- le intese che impongono per la conclusione dei contratti prestazioni supplementari non ragionevolmente collegate con l’oggetto del contratto
Le intese quindi non sono vietate in generale ma solo quando impediscano o restringano o falsino in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del marcato nazionale o in una sua parte rilevante. Che cos’è quindi il mercato rilevante: non esiste una definizione legislativa, per quel che concerne il prodotto essa si fonda sul concetto di intercambialità o sostituibilità dei prodotti da parte del consumatore in relazione alle loro caratteristiche, al loro prezzo e al loro impiego.
Sia la legge italiana che quella comunitaria infine conferiscono all’autorità garante della concorrenza sul mercato la possibilità di autorizzazioni in deroga, il cui presupposto è che le intese diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato con l’effetto di comportare un sostanziale beneficio per i consumatori.
- l’abuso di posizione dominante: è vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. Illecito, quindi, non è il raggiungimento di una posizione dominante sul mercato, ma solo il suo abuso. Il concetto di posizione dominante presuppone l’identificazione del mercato rilevante, la valutazione della di tale posizione deve essere effettuata confrontando la quota di mercato dell’impresa, calcolata in base al suo fatturato, con quella complessiva del settore (è dominante una quota del 70%). L’abuso potrà riguardare l’imposizione di prezzi di vendita o di acquisto ingiustificatamente gravosi, limitazioni o impedimenti alla produzione, applicazione di condizioni ingiustificatamente discriminatorie per prestazioni equivalenti con i vari contraenti… La legge non prevede deroghe
- le operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza: sono vietate le operazioni di concentrazione che comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Il sistema di controllo delle concentrazioni prevede un obbligo di comunicazione delle operazioni di concentrazione che superino le soglie quantitative indicate. A seguito della comunicazione l’autorità decide se avviare o no l’istruttoria. La decisione negativa segna il semaforo verde per l’operazione, quella positiva l’avvio di una fase più approfondita di valutazione su potenziale contrasto dell’operazione con i precetti normativi. Al fine della valutazione di tali presupposti si deve tenere conti di alcuni elementi: la possibilità di scelta di fornitori e utilizzatori, la posizione sul mercato delle imprese interessate, il loro accesso alle fonti di approvvigionamento, la struttura del mercato e le barriere all’ingresso, l’andamento della domanda e dell’offerta dei prodotti e dei servizi… Cosa si intende per operazione di concentrazione:
- la fusione tra imprese;
- l’acquisizione del controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese, sia tramite l’acquisto delle partecipazioni sociali o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto, sia mediante qualsiasi altro mezzo;
- la costituzione di un’impresa comune.
All’indagine, al controllo e alla repressione dei comportamenti anticoncorrenziali in Italia è preposta una cd. Autorità indipendente: l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, organo collegiale composto da cinque membri nominati dai Presidenti della Camera e del Senato.
È possibile che per esigenze di carattere generale la legge conceda a determinate imprese il monopolio per la prestazione o la produzione di certi servizi o beni.
In questi casi la legge si premura di porre alcuni principi vincolanti per lo svolgimento dell’attività del monopolista. È previsto che il monopolista legale abbia l’obbligo di contrarre con chi intenda fruire delle sue prestazioni. Deve inoltre rispettare il principio della parità di trattamento sia con riferimento all’adempimento nei confronti dei clienti in caso di impossibilità di eseguire per intero nei confronti di tutti le prestazioni promesse, sia con riferimento alle condizioni economiche e normative praticate alla clientela.
È possibile infine che la libera concorrenza subisca limitazioni per effetto dell’esercizio dell’autonomia negoziale. Ferma restando la disciplina sul divieto delle intese, l’art 2596 stabilisce i confini entro i quali è possibile porre limiti contrattuali alla libertà di concorrenza.
Il patto di non concorrenza deve essere:
- in forma scritta
- limitato a una determinata zona o una determinata attività
- con durata non superiore a 5 anni
A questi principi vi sono poi delle eccezioni:
- per i patti di esclusiva e di preferenza nel contratto di somministrazione
- per i patti di non concorrenza del dipendente o dell’agente per il periodo successivo ala cessazione del rapporto
- …
Libertà di concorrenza non significa però che ogni condotta concorrenziale sia lecita. Vigono anche in questo campo i principi generali di lealtà e correttezza.
L’art 2598 e ss. sono espressamente dedicati alla repressione degli atti di concorrenza sleale.
L’art contiene un elenco di tali fattispecie, le prime due di queste sono tipiche, l’ultima è una clausola generale.
- La confusione: compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente.
- La denigrazione e appropriazione di pregi altrui: è la diffusione di notizie e apprezzamenti sui prodotti o sull’attività del concorrente idonei a determinarne il discredito, o l’appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa del concorrente. Non rientra in tale categoria la cd. Pubblicità comparativa e cioè quella che pone a confronti, al fine di evidenziarne la superiorità, il prodotto dell’imprenditore con quello dei suoi concorrenti. Tale pubblicità è lecita ove condotta in modo non ingannevole e utilizzando dati effettivamente comparabili e veritieri.
- La contrarietà alla correttezza professionale: è la clausola generale ® sono concorrenza sleale tutti gli atti non conformi ai principi della correttezza professionale idonei a danneggiare l’altrui azienda. Per la loro pratica frequenza vengono in rilievo i seguenti casi:
- lo storno dei dipendenti e dei collaboratori di un’impresa da parte di un concorrente quando ciò avvenga con mezzi scorretti;
- il dumping cioè il praticare prezzi di vendita sotto costo al fine di espellere il concorrente dal mercato;
- il boicottaggio: rifiuto di contrarre con altri imprenditori sempre con il fine sopra;
- la violazione di altrui legittime esclusive contrattuali;
- la concorrenza parassitaria cioè lo sfruttamenti a proprio vantaggio degli investimenti che un’altra impresa ha compiuto nella programmazione e nelle scelte di mercato, seguendone appunto parassitariamente le mosse.
Qualora uno di tali comportamenti di concorrenza sleale vengano commessi, l’imprenditore leso potrà ricorrere a due strumenti di tutela:
- l’azione di inibitoria e di rimozione degli effetti: si richiede solo la prova dell’atto di concorrenza sleale, e quindi non l’elemento del dolo o della colpa.
- l’azione di risarcimento del danno: richiede invece la prova del dolo e della colpa e del danno patrimoniale.
LEZIONE VI
I CONTRATTI DI IMPRESA
Sia l’organizzazione dell’impresa sia lo svolgimento dell’attività sul mercato si traducono principalmente nella conclusione di contratti. Si è formata così la categoria dei contratti di impresa, con la quale si sottolinea la possibilità di costruire sistematicamente un vero e proprio diritto speciale caratterizzato dall’inerenza del contratto all’attività di impresa.
Sotto il profilo strutturale sono contratti la cui disciplina presuppone che almeno una delle parti sia un imprenditore.
Particolare di tale categoria sono le fonti della sua disciplina:
- molti tipi di contratti di impresa sono regolati da leggi speciali.
- Molti sono dotati di tipicità economica, ma non normativa.
- Altri, a causa dell’attrazione della loro disciplina in regole specifiche di taluni settori, sono demandati a una normativa secondaria.
- La disciplina di tali contratti è poi demandata agli usi che hanno un ruolo non trascurabile ai fini integrativi della disciplina legale. Proprio grazie agli usi si è giunti al fenomeno della standardizzazione delle clausole contrattuali, ad esempio.
- Altra fonte data dalle condizioni generali di contratto che ciascun imprenditore elabora.
- Vi è, ovviamente, l’autonomia negoziale delle parti
- La globalizzazione dei mercati fa sì che oggi la contrattazione di impresa sia caratterizzata dalla internazionalità delle parti o della sia esecuzione, sul piano delle fonti ciò comporta il rilievo delle direttive comunitarie e delle convezioni di diritto materiale uniforme, a livello normativo, e le regole di diritto internazionale privato in base alle quali deve individuarsi il diritto nazionale applicabile.
- Infine, fonte di maggior rilievo è la lex mercatoria. In essa confluiscono fonti di vario tipo tra cui: gli usi generali del settore, i principi generali tradibili dalle convenzioni principali, le pratiche del commercio internazionale, i principi elaborati da organizzazioni internazionali.
La disciplina generale dei contratti è volta alla tutela dei consumatori. ® codice del consumo in cui si ritrovano sia le disposizioni di ordine generale della materia sia le regole più specifiche.
Si intende come consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
La normativa tende a eliminare le clausole vessatorie, prevedendo la nullità delle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Si sottraggono a tale nullità le clausole:
- che riproducono disposizioni di legge
- che attengono all’oggetto del contratto o all’adeguatezza del corrispettivo economico dei beni e dei servizi purchè chiare e comprensibili
- che sono state oggetto di trattativa individuale.
La tutela del consumatore trova poi ulteriore presidio:
- nel principio generale della necessario redazione in modo chiaro e comprensibile delle clausole scritte
- nella previsione che la nullità delle clausole opera solo a vantaggio del consumatore
- nell’introduzione della cd. azione inibitoria in favore delle associazioni rappresentative dei consumatori al fine di ottenere dal giudice una pronuncia che inibisca al professionista l’uso di condizioni generali di contratto vessatorie o atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti.
Viene inoltre ritenuta ingannevole qualsiasi pubblicità che in qualunque modo induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche e giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico. Il messaggio pubblicitario deve essere trasparente ® errori nella formazione della volontà.
Altra tutela al consumatore è data dal riconoscimento del diritto di recesso: consiste nella possibilità di recedere dal contratto entro il termine di 10 giorni decorrenti da momenti diversi, a seconda delle tipologie contrattuali.
Per ciò che riguarda a disciplina sulla vendita dei beni di consumo, viene in primo luogo ridefinito il concetto di conformità del bene a quello pattuito nel contratto, valorizzando non solo il criterio generale dell’idoneità all’uso abituale di beni dello stesso tipo o a quello particolare del consumatore noto al fornitore, ma anche a quello della conformità alla descrizione del venditore sia con riguardo a campioni o modelli, sia con riguardo alle caratteristiche descritte nella pubblicità o nell’etichetta.
Il difetto di conformità va denunciato entro 2 mesi dalla scoperta, ma la denuncia non è neppure necessaria se il vizio è riconosciuto o occultato. Il fornitore resta comunque responsabile di ogni vizio che si manifesti nei due anni successivi alla consegna, con la presunzione relativa che i vizi manifestatisi nei sei mesi dalla consegna fossero già esistenti.
Il disequilibrio dei rapporti di forze tra le parti nei contratti di impresa non si manifesta solo nella relazione imprenditore-consumatore ma anche tra imprese.
Due sono le fattispecie:
- Abuso di dipendenza economica: in tali casi l’impresa debole è sottoposta all’imposizione del contenuto del contratto, alla volontà unilaterale dell’imprenditore forte, all’insicurezza sul rispetto dei propri diritto, anche in relazione al fatto che la sopravvivenza stessa dell’impresa può dipendere dal mantenimento dei rapporti con quella forte.
Viene quindi vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nella quale si trova un’impresa cliente o fornitrice. Tale dipendenza economica è ravvisata nella situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e doveri tenuto conto anche della possibilità per l’impresa vittima di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
La sanzione per l’abuso è duplice: la nullità del patto e il risarcimento del danno.
- Subfornitura: è il contratto con il quale un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati a essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente.
La normativa in materia mira ad assicurare il più possibile il subfornitore sull’adempimento del committente e sulla ragionevole prevedibilità del contenuto delle sue prestazioni e a garantire maggior rigore in ordine alla forma e al contenuto del contratto al fine di sottrarre il subfornitore a possibili arbitri o modifiche unilaterali dello stesso da parte del committente.
Il contratto deve:
- Avere forma scritta
- Contenuto determinato: prezzo dei beni e servizi, requisiti del bene e del servizio richiesti dal committente
- Termini di consegna e collaudo
È prevista la nullità di clausole e patti contrattuali che permettano la modifica unilaterali del contratto da parte del committente, o che permettono il recesso senza congruo avviso…
Si limita inoltre la responsabilità del subfornitore solo al funzionamento e alla qualità della parte o dell’assemblaggio da lui prodotti o del servizio da lui fornito.
Classica particolarità, infine, della disciplina codicistica dei contratti di impresa riguarda una serie di norme che, in deroga al diritto comune, ne assicurano l’insensibilità alle vicende personali dell’imprenditore.
LEZIONE VII
I CONTRATTI PER LO SCAMBIO E LA DISTRIBUZIONE DEI BENI
(No da pag. 109 a pag. 118)
I contratti per lo scambio
- Il contratto estimatorio: trova la sua funzione economica nell’ambito della circolazione dei beni destinati a essere successivamente rivenduti da chi li acquista. Con tale contratto si realizza l’obiettivo di evitare all’acquirente di sopportare il rischio della mancata rivendita. In concreto l’accipiens verserà il prezzo delle cose che è riuscito a vendere e restituirà quelle invendute.
- La somministrazione: anch’essa assolve la funzione di circolazione dei beni. Si identifica con la prestazione continuativa o periodica di cose. La disciplina di questa è così sintetizzabile:
- L’entità della somministrazione va commisurata al normale fabbisogno del somministratore; questi ha diritto di determinare l’entità delle forniture ove siano stabiliti solo limiti massimi o minimi.
- Le parti possono stipulare patti di esclusiva a favore di una di loro o anche di entrambe.
- La risoluzione del contratto per inadempimento richiede che questo sia di notevole importanza e che venga meno la fiducia nell’esattezza dei futuri adempimenti.
- Se il contratto è a tempo indeterminato il recesso ad nutum è ammesso solo con un preavviso nel termine stabilito da contratto.
I contratti per la distribuzione dei beni
Stipulare tali contratti permette alle imprese di raggiungere una più ampia clientela.
I contratti di distribuzione hanno solitamente tali caratteristiche:
- il distributore lega le proprie sorti a quelle dell’impresa i cui prodotti promuove o distribuisce
- il produttore si affida alla fedeltà e alla diligenza del distributore
questi sono i principali contratti di distribuzione:
- la mediazione: il mediatore è colui che mette in relazione due più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o rappresentanza. Solo i soggetti iscritti possono esercitare tale attività. Al mediatore spetta la provvigione solo nel caso in cui l’affare da lui promosso venga concluso. Il mediatore, essendo imparziale, ha il dovere di informare le parti sulle circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare.
- l’agenzia: l’agente è colui che assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra parte, verso la retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. È un soggetto che a proprio rischio e con propria organizzazione svolge l’indicata attività in favore dell’impresa preponente.
- il contratto deve essere scritto
- l’agente gode del diritto di esclusiva sulla zona e per lo stesso ramo di attività nei confronti del preponente. Le parti possono tuttavia derogare a tale regola.
- L’agente deve comportarsi in buona fede e con lealtà nell’adempimento del proprio obbligo di promuovere la conclusione dei contratti. E allo stesso modo il preponente deve comportarsi in buona fede e lealtà dando all’agente tutte le informazione utili per lo svolgimento del suo lavoro
- L’agente ha diritto alla provvigione quando l’affare da lui promosso viene concluso e regolarmente eseguito da entrambe le parti. Tale provvigione gli spetta per affari conclusi direttamente dal preponente con clienti acquisiti dall’agente, per gli affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto ove la proposta sia ad esso antecedente, per gli affari conclusi entro un tempo ragionevole dallo scioglimento del contratto e riconducibili all’attività svolta dall’agente.
- In caso di cessazione del rapporto la tutela dell’agente è data anche dall’indennità di fine rapporto. Questa è una sorta di compenso per l’avviamento che l’opera dell’agente ha procurato all’impresa e che, con la cessazione del rapporto, ha acquisito dal preponente. Il riconoscimento dell’indennità viene data alle seguenti condizioni: - che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o sviluppato i suoi affari; - che sia equo corrispondere tale indennità in ragione delle provvigioni che perde l’agente; - che il rapporto non si sia risolto per inadempimento; - che il rapporto non si sia sciolto per volontà dell’agente; - che la cessazione non dipenda dalla cessione a terzi del rapporto di agenzia.
- La commissione: contratto di mandato che ha specifico oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario. Questi, pur operando in nome proprio, non diviene mai proprietario dei beni che vende per conto del committente: non assume quindi nessun rischio dell’invenduto. Si differenzia dall’agente perché stipula i contratti in nome proprio.
I contratti strumentali alla distribuzione dei beni
Sono figure contrattuali in cui il rischio della conclusione del contratto con il cliente finale non è addossato all’impresa preponente o produttrice ma a quella che distribuisce i beni.
Questi contratti prendono il nome di vendita in esclusiva o di concessione di vendita o di distribuzione in senso stretto. L’acquirente, il concessionario, il distributore assumono nei confronti del venditore o concedente obblighi ulteriori, rispetto alla vendita, di promozione e organizzazione della vendita dei prodotti oggetto del contratto.
Il distributore, assumendo il rischio economico della collocazione sul mercato dei prodotti, realizza il suo profitto tramite la rivendita a prezzo superiore a quello della fornitura.
Uno di tali contratti è il franchising ® contratto fra due soggetti giuridici economicamente e giuridicamente indipendenti in base al quale una parte concede all’altra la disponibilità, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriali o intellettuali dell’affiliante.
Vi sono i seguenti obblighi:
- L’affiliante assume l’obbligo di consentire all’affiliato l’utilizzazione dei diritti di cui sopra e di fornire una prestazione costante di assistenza in campo commerciale o tecnico all’affiliato.
- L’affiliato assume l’obbligo di organizzare a proprie spese il luogo di vendita dei beni che deve in genere rispondere a requisiti prefissati dall’affiliante: a) deve usare la denominazione e l’insegna dell’affiliante; b) deve adottare le modalità e i requisiti di vendita e di prestazione imposti dall’affiliante; c) si obbliga a vendere solo i prodotti forniti dall’affiliante.
- L’affiliato versa un corrispettivo che è normalmente commisurato ad una percentuale del fatturato.
Il contratto deve essere scritto a pena di nullità. La durata di questo, se a tempo determinato deve essere tale da garantire l’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni. L’affiliante deve aver già sperimentato sul mercato la propria formula commerciale. ® tutela dell’affiliato.
Il merchandising ha in comune con il franchising la concessione della licenza dell’uso di un marchio noto a favore del licenziatario e in ciò si esaurisce.
LEZIONE XI
I TITOLI DI CREDITO
I titoli di credito garantiscono la circolazione dei beni nel modo più rapido e sicuro possibile.
Questi nascono dall’ incorporazione del diritto di credito in un documento, il titolo di credito appunto.
Dall’incorporazione stessa derivano i principali tratti caratterizzanti della loro disciplina:
- L’applicazione delle regole sul trasferimento dei beni mobili: consente di divenire proprietari del titolo di credito, e così titolari del diritto di credito in esso incorporato, anche a non domino, cioè tramite possesso qualificato conseguito in buona fede sulla base di un titolo idoneo. Inoltre tali diritto viene acquistato sempre a titolo originario come conseguenza della proprietà del documento.
- La letteralità: appunto perché il possesso qualificato del titolo di credito rappresenta il mezzo necessario e sufficiente per l’esercizio del diritto in esso incorporato, si comprende perché la lettera del titolo identifichi in via esclusiva il contenuto del diritto cartolare.
- L’autonomia: significa che il diritto cartolare è immune dalle eccezioni che il debitore avrebbe potuto opporre ai precedenti titolari.
I titoli di credito stanno conoscendo una profonda evoluzione legata al processo tecnologico, in particolare il fenomeno della dematerializzazione dei titoli di credito cd. di massa cioè dei titoli emessi in serie sulla base di un’operazione economica unitaria con contenuto omogeneo, fra loro fungibili e destinati di regola alla circolazione sui mercati finanziari.
È generalmente accettato che l’autonomia privata possa dar vita a titoli di credito diversi rispetto a quelli previsti dalla legge.
Ogni titolo di credito è accompagnato dal documento di legittimazione: è quello che serve solo a identificare l’avente diritto alla prestazione. Appartengono a tale categoria una serie di documenti che vengono emessi in occasione della stipulazione di determinati contratti. Essi, a differenza dei titoli di credito, non sono destinati alla circolazione e non incorporano il diritto alla prestazione in essi indicata, che si fonda esclusivamente sul contratto stipulato.
I titoli impropri sono invece i documenti che consentono il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione. In essi il trasferimento del diritto menzionato nel titolo non soggiace alle regole formali previste per la cessione dei crediti. Emesso un titolo improprio il debitore è tenuto a eseguire la propria prestazione solo in favore del soggetto che si legittimi nelle forme in esso previsti e che ricalcano quelle dei titoli di credito.
Il procedimento di formazione del titolo di credito si apre con la cd creazione. In linea generale sono necessarie la materiale riferibilità della sottoscrizione all’emittente e l’indicazione dell’obbligazione cartolare.
L’importanza del momento della creazione del titolo è molto relativa. La specifica funzione circolatoria del titolo infatti rende di maggiore interesse il secondo passaggio del procedimento della sua formazione: l’emissione. ® atto con il quale l’emittente si priva della disponibilità del titolo in favore del cd primo prenditore.
All’emissione segue poi la trasmissione del titolo, e cioè alla sua circolazione fra successivi prenditori.
L’emissione e la trasmissione di un titolo di credito sono entrambe legate all’esistenza di un rapporto sottostante che ne rappresenta la giustificazione causale e viene denominato rapporto fondamentale.
Con l’incorporazione nel titolo del diritto sorgente dal rapporto fondamentale a questo si affianca il rapporto cartolare.
All’interno della circolazione dei titoli di credito fondamentale è la distinzione tra la proprietà del titolo, che comporta l’acquisizione del diritto in esso incorporato, e la legittimazione, che indica la situazione soggettiva che consente di esercitare il diritto incorporato nel titolo nei confronti del debitore che lo ha emesso, esso spetta al possessore di un titolo di credito, purchè sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge. (è la differenza tra proprietà e possesso!!!)
I titoli di credito sono da distinguere in:
- Titoli al portatore: sono quelli in cui la legittimazione si trasferisce con la consegna del titolo; la sola presentazione del titolo da parte del possessore è sufficiente a legittimare all’esercizio del diritto ivi menzionato.
- Titoli all’ordine: sono quelli in cui la legittimazione si trasferisce con la consegna del titolo e la girata ® dichiarazione apposta sul titolo di credito con la quale l’attuale portatore ordina al debitore emittente di eseguire la prestazione incorporata nel titolo in favore di altro soggetto. Esistono oltre alla girata ordinaria alcuni tipi di girata speciale: la girata per l’incasso o per procura (conferisce al giratario solo il diritto di incassare il titolo quale rappresentante del girate) e la girata a titolo di pegno o in garanzia (attribuisce al giratario il pegno sul diritto ivi incorporato).
- Titoli nominativi: sono quelli in cui la legittimazione si trasferisce mediante la consegna e la duplice annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e sul registro dell’emittente: il portatore del titolo nominativo è legittimato all’esercizio del diritto cartolare se è il soggetto in cui favore vi è l’intestazione sul titolo. Due modi sono previsti sulla legge per la circolazione della legittimazione.
- Il transfert: che può avvenire in due forme: su iniziativa dell’alienante (il quale può chiedere all’emittente l’annotazione sul registro e l’intestazione del titolo a favore di un diverso soggetto) o su iniziativa dell’acquirente (il quale può chiedere all’emittente l’annotazione sul registro e l’intestazione del titolo in suo favore).
- Il trasferimento mediante girata: il cedente appone sul titolo una girata che deve essere datata, indicare il nome del giratario e la cui sottoscrizione deve essere autenticata da notaio o agente di cambio.
È possibile infine che il credito cartolare circoli con gli effetti di un ordinaria cessione di credito, si parla in questo caso di circolazione impropria del titolo di credito.
Tale ipotesi ricorre nei seguenti casi:
- nei titoli all’ordine quando essi vengano trasferiti con un mezzo diverso dalla girata.
- nel caso in cui le parti abbiano pattuito tale forma di circolazione.
- nel caso di ipotesi particolari di circolazione in cui non si realizzano le forme del trasferimento cartolare.
L’esercizio del diritto cartolare presuppone necessariamente la presentazione del titolo al debitore da parte del possessore legittimo, la sua situazione soggettiva è definita legittimazione attiva all’esercizio del diritto.
L’art 1992 precisa che la situazione soggettiva del debitore prende quindi il nome di legittimazione passiva e che il debitore, che senza dolo o colpa grave, adempie la prestazione nei confronti del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto. Lo stesso articolo esige però la dimostrazione che il debitore abbia pagato al non titolare per effetto di dolo o colpa grave affinché il vero titolare del diritto possa esigere qualcosa. Deve dunque dimostrare che il debitore ha pagato pur avendo prove certe del difetto di titolarità del legittimato, o pur potendo, con l’ordinaria diligenza, ottenere tali prove.
L’art 1993 prevede poi due tipi di eccezioni al pagamento del debito:
- eccezioni reali: possono essere opposte dal debitore a qualsiasi portatore del titolo, attengono all’essenza del diritto cartolare in quanto si fondano su circostanze che viziano il procedimento di incorporazione del diritto nel titolo oppure sul contenuto del diritto.
- Eccezioni di forma: violazione delle regole attinenti ai dati e alle indicazioni formali che debbono essere necessariamente presenti sul documento.
- Eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo: derivano dal contrasto fra la pretesa creditoria azionata e ciò che invece risulta dalla lettera del titolo. Alla stessa categoria va ricondotta anche l’eccezione di alterazione per cui il debitore può opporre al portatore del titolo che la lettera dello stesso è stata alterata contro la sua volontà rispetto a quella esistente al momento dell’emissione.
- Eccezione di falsità della firma: non solo la contraffazione della firma altrui, ma ogni caso in cui la sottoscrizione non sia riferibile psicologicamente al soggetto che figura come sottoscrittore.
- Eccezione di difetto di capacità al momento dell’emissione del titolo;
- Eccezione di difetto di rappresentanza al momento dell’emissione del titolo: tutti i casi in cui difetta il potere di rappresentanza nel soggetto che sottoscrive in nome e per conto altrui.
- Eccezione di mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione.
- Eccezioni personali: possono essere opposte solo a un determinato portatore del titolo.
- eccezioni derivanti dal cd rapporto fondamentale che dà origine al rilascio del titolo di credito
- eccezioni che possono attenere ai rapporti specifici e particolari che il debitore ha con il portatore del titolo.
- eccezioni fondate sui rapporti con il precedente possessore possono essere opposte al possessore del titolo che lo abbia acquistato intenzionalmente a danno del debitore medesimo ® eccezione di dolo.
- Eccezione personale in senso stretto: è quella di difetto di proprietà del titolo di credito, il debitore può rifiutare il pagamento al ladro del titolo di credito, o a chi lo abbia acquistato a non domino in mala fede o in base a un contratto nullo o annullabile.
La disciplina generale appena illustrata deve però essere precisata con riguardo a una categoria di titoli di credito.
I titolo di credito causali sono quei titoli di credito nei quali il rapporto fondamentale che dà luogo all’emissione è unico e specifico e risulta dal contesto letterale del titolo.
Sono invece astratti quei titoli nei quali il rapporto fondamentale che dà luogo alla loro emissione è variabile e non è desumibile dalla lettera del titolo.
La distinzione tra le due categorie incide sulla disciplina delle eccezioni opponibili del debitore: si ritiene che nei titoli causali il debitore possa opporre a ogni possessore del titolo le eccezioni che derivano dalla disciplina legale del contratto che ha dato origine all’emissione del titolo. Non potrà però opporgli, ove non risultino dal titolo, le eccezioni fondate sulla specifica regolamentazione negoziale prevista dalle parti in occasione della stipulazione del contratto.
LEZIONE XII
LA DEMATERIALIZZAZIONE DEI TITOLI DI CREDITO
La principale evoluzione dell’istituto dei titoli di credito è il fenomeno della dematerializzazione, fenomeno nato dalle esigenze di rapidità e sicurezza dei traffici dei titoli di credito.
All’interno della dematerializzazione si distingue tra
- Dematerializzazione della circolazione del credito: il documento continua a esistere e la dematerializzazione riguarda solo il profilo della circolazione dei diritti;
- Dematerializzazione integrale: il documento non viene neppure a esistenza.
A seguito di tale fenomeno si è ritenuto appropriato prevedere un sistema (cd. gestione accentrata) che affidasse alle evidenze di registrazioni contabili o scritturali tenute da soggetti qualificati il ruolo prima svolto dal documento. Con la locuzione gestione accentrata si intende che viene affidato a un solo soggetto, la società do gestione, il compito di custodire, amministrare e sovrintendere alle operazioni di trasferimento ed esercizio dei diritti inerenti ai titoli di credito e agli strumenti finanziari dematerializzati.
Si deve distinguere in:
- Gestione accentrata semplice: riguarda gli strumenti finanziari documentalmente esistenti, per i quali la dematerializzazione attiene solo alla loro circolazione;
A questa gestione sono ammessi i seguenti strumenti finanziari purchè liberamente trasferibili:
- le azioni di società e in genere i titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul mercato dei capitali;
- le obbligazioni e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali;
- le quote di fondi comuni di investimento;
- i titoli normalmente negoziati sul mercato monetario;
- Gestione accentrata dematerilizzata: documento non esiste. In essi sono obbligatoriamente immessi tutti gli strumenti finanziari sopra menzionati che siano negoziabili o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati italiani.
La disciplina della gestione accentrata dei titoli di credito era stata con la l. 289/1986 affidata a un unico gestore autorizzato, la Monte Titoli s.p.a. Oggi il monopolio legale è venuto meno e la disciplina della gestione accentrata è contenuta in diversi luoghi:
- Il TUF regola la gestione accentrata di strumenti finanziari;
- Il d.lgs. 213/1998
- Il regolamento mercati Consob
Il sistema di gestione accentrata è imperniato sulla necessaria presenza e partecipazione di vari soggetti:
- La società di gestione: il soggetto che presta il servizio di gestione accentrata;
- Gli intermediari: i soggetti che appartengono alle categorie specificatamente nell’art 24 regolamento mercati (banche, imprese di investimento, società di gestione del risparmio) e che sono gli unici che possono aderire al sistema di gestione accentrata immettendovi gli strumenti finanziari di terzi e propri.
- Gli emittente: soggetti che emettono gli strumenti finanziari immessi nel sistema.
- I titolari degli strumenti finanziari: soggetti che, aventi diritto sugli strumenti finanziari, li affidano agli intermediari aderenti al sistema autorizzandoli.
In primo luogo, presso la società di gestione viene aperto un conto per ciascun emettitene;
sempre presso la società di gestione vengono poi aperti per ogni intermediario aderente conti separati nei quali gli strumenti finanziari sono registrati distintamente per ciascuna specie.
In secondo luogo, presso gli intermediari vengono accesi conti di permanenza dei singoli clienti e nei quali vengono registrati i singoli strumenti finanziari di ciascuno.
Nel sistema di gestione dematerializzata, lo strumento finanziario si risolve in una posizione creditoria, o in una posizione contrattuale complessa, la cui amministrazione viene affidata con un contratto riconducibile allo schema del mandato, dal cliente all’intermediario.
Nella gestione semplice l’immissione avviene attraverso lo schema del contratto di deposito di titoli di amministrazione presso gli intermediari ammessi al sistema; nel contratto di deposito il cliente può dare la facoltà all’intermediario di subdepositare presso la società di gestione gli strumenti finanziari. A fronte del deposito presso l’intermediario viene acceso il conte intestato al depositante ove verranno registrati tutti gli strumenti finanziari che questi depositerà presso quel determinato intermediario. A loro volta, gli strumenti finanziari che l’intermediario subdeposita presso la società vengono registrati sia sul conto intestato al singolo intermediario all’interno della specifica evidenza evidenzia di quel tipo di strumento finanziario, sia sul conto intestato all’emittente dello strumento finanziario.
La società di gestione tiene i titoli in deposito regolare alla rinfusa, senza alcuna separazione o specificazione relativa al titolo depositato o al suo titolare.
La circolazione degli strumenti finanziari avviene tramite le cd operazioni di giro; esse si svolgono materialmente seguente modo:
- Il cliente che indente trasferire strumenti finanziari ad altro soggetto comunica tale ordina al suo intermediario.
- L’intermediario, eseguita l’operazione, dà comunicazione alla società di gestione indicando anche l’intermediario beneficiario del trasferimento.
- La società di gestione registra tale operazione a debito del conto intesta all’intermediario che ha comunicato l’ordine di disposizione e a credito di quelli dell’intermediario del beneficiario del trasferimento.
- La società infine dà comunicazione agli intermediari delle avvenute registrazione e questi provvedono alle corrispondenti annotazione nei conti intestati ai loro clienti. Le comunicazione vengono effettuate alla società di gestione da parte da parte della cd stanza di compensazione, che trasmette i saldi giornalieri degli strumenti finanziari da addebitare o accreditare sui conti dei singoli intermediari, i quali a loro volta provvederanno alle corrispondenti registrazione sui conti dei loro clienti.
Abbiamo già detto che per la gestione dematerializzata colui il quale ha ottenuto la registrazione in suo favore, in base a titolo idoneo e in buona fede, non è soggetto a pretese o azioni da parte di precedenti titolari. Anche la gestione semplice prevede più semplicemente che il trasferimento effettuato secondo le modalità previste dal regolamento dei mercati produce gli effetti proprio del trasferimento secondo la disciplina legislativa della circolazione degli strumenti finanziari.
Il tal modo la circolazione a non domino gode degli stessi livelli di sicurezza e rapidità garantiti ai titoli di credito e in generale ai beni mobili.
Anche la costituzione dei vincoli sugli strumenti finanziari in gestione accentrata, venuto meno il titolo, sono attuati mediante il sistema delle registrazione in conto. Si prevede quindi che essi si costituiscono unicamente con le registrazioni in apposito conto tento tenuto dall’intermediario.
È stata introdotta poi la possibilità, tramite la predisposizione di appositi conti tenuti dall’intermediario, di costituire un vincolo sull’insieme degli strumenti finanziari in esso registrati ® riconoscimento normativo del cd pegno rotativo, e cioè quel particolare tipo di pegno in cui, a parità di valore, è possibile sostituirne l’oggetto senza che ciò comporti la costituzione di un nuovo vincolo.
Nel sistema di gestione accentrata l’esercizio dei diritti inerenti agli strumenti finanziari è oggetto di una disciplina articolata.
L’esercizio di essi spetta al titolare del conto presso l’intermediario nel quale essi sono registrati.
Normalmente, l’esercizio dei diritti patrimoniali forma oggetto di mandato da parte del cliente all’intermediario presso il quale è acceso il conto; a sua volta il compimento delle relative operazioni di incasso e accreditamento può essere svolto dalla società di gestione in forza della convenzione stipulata con l’intermediario.
Per i diritti non patrimoniali invece lo strumento che legittima di fronte all’emittente per il loro esercizio è la certificazione che viene rilasciata dall’intermediario.
Per l’intervento nelle assemblee di società per azioni in luogo della certificazione è stato previsto che l’intermediario rilasci invece una comunicazione.
Le modalità con le quali gli intermediari rilasciano le certificazioni:
- La necessaria specificità della richiesta della certificazione. Il titolare degli strumenti finanziari deve indicare quel diritto vuole esercitare, per quale quantità di strumenti finanziari… la certificazione ha oggetto specifico.
- Il rilascio della certificazione rende indisponibili le corrispondenti quantità di strumenti finanziari sino all’esercizio del diritto o alla sua restituzione all’intermediario.
- La certificazione non può essere trasferita
- Il reg. dei mercati indica analiticamente chi è legittimato a richiedere e ottenere la certificazione nei casi di pegno, usufrutto, sequestro e pignoramento.
- Lo smarrimento, la distruzione, la sottrazione della certificazione autorizzano il legittimato a richiedere l’emissione di un duplicato da comunicarsi senza indugio all’emittente.
Nel sistema così descritto vi è quindi una duplice legittimazione per esercitare i diritti inerenti agli strumenti finanziari in gestione accentrata. Il primo livello attiene alla legittimazione a richiedere all’intermediario la certificazione. Il secondo all’esercizio dei diritti nei confronti dell’emittente, che consiste nel possesso della certificazione.
Riguardo alle eccezioni opponibili dall’emittente al legittimato all’esercizio dei diritti si ritiene che questi possa opporre al soggetto in cui favore è avvenuta la registrazione sul conto soltanto le eccezioni personali al soggetto stesso e quelle comuni a tutti gli altri titolati degli stessi diritti. ® solo eccezioni personali.
Gli strumenti finanziari possono in diversi casi uscire dal sistema di gestione accentrata. Ciò può essere anzitutto il frutto di una scelta del soggetto che ve li ha immessi su base volontaria, o può derivare dalla perdita dei requisiti fissati dalla legge.
Con l’immissione in gestione accentrata, infine, diminuiscono o scompaiono ovviamente i problemi legati allo smarrimento, alla distruzione o alla sottrazione del titolo di credito, inteso quale documento cartaceo.
Possono discendere però altre situazioni patologiche riconducibili alla perdita del bene per effetto di errori della società di gestione o degli intermediari.
Il legislatore ha sottoposto, per tutela l’interesse degli investitori, la società di gestione a un sistema di vigilanza. Il reg. dei mercati impone poi alla società di gestione di stipulare un’apposita polizza di assicurazione per il risarcimento dei danno che gli investitori avessero a subire per dolo o colpa della stessa.
LEZIONE XIV
IL FALLIMENTO: STRUTTURA ED EFFETTI
Il dissesto di un’attività economica si riflette inevitabilmente su tutti quelli che hanno rapporto con l’impresa: dipendenti e collaboratori che vanno incontro alla perdita del posto di lavoro e del reddito che ne deriva, i creditori dell’imprenditore, in quanto se questi non è più in condizione di soddisfarli regolarmente essi dovranno registrare una perdita, i creditori dell’impresa il più delle volte inoltre sono a loro volta per lo più altre imprese e quindi il regolare incasso dei crediti è anche per loro essenziale per soddisfare obbligazioni assunte verso i fornitori dei diversi fattori della produzione.
Tutte queste caratteristiche fanno sì che tale materia abbia una disciplina particolare.
La legge su preoccupa di cercare di minimizzare le conseguenze della crisi sul sistema economico nel suo complesso. Così per quanto concerne l’imprenditore, si prende in considerazione non tanto il fatto dell’inadempimento ma soprattutto lo stato di insolvenza, cioè l’incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.
Qualora si verifichi una tale situazione, sono previste particolari procedure che riguardano l’intero patrimonio dell’imprenditore: esse tendono a ridurre la perdita sociale correlata al dissesto, assicurando parità di trattamento fra tutti i creditori a prescindere dal loro grado di solerzia e definendo la crisi in tempi il più possibili veloci. L’espressione procedure concorsuali significa appunto che esse riguardano l’intero patrimonio (massa attiva) dell’imprenditore e sono destinate al soddisfacimento paritario e pro quota di tutti i suoi debiti (massa passiva).
La liquidazione dell’impresa al fine di soddisfare i creditori, tuttavia, non è in grado di evitare il danno sociale connesso alla dissoluzione dell’impresa.
Per questo, nei casi in cui il dissesto sia stato provocato da scelte erronee dell’imprenditore, obiettivo della disciplina della crisi di impresa è quello, ove possibile, di impedire la dissoluzione di complessi aziendali che, nonostante l’insolvenza, conservino valore positivo. Perché ciò sia possibile è necessario che la legge preveda meccanismi di intervento tempestivo prima ancora che l’insolvenza sia definitivamente conclamata.
Problema che sorge da questa situazione è che, operativamente, il fine di soddisfare i creditori può collidere con quello di risanare l’impresa.
Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo ove si trova la sede principale dell’impresa. Molto complesso è il tema delle imprese che operino in più Stati. La legge fallimentare lo affronta in un’ottica nazionalista prevedendo che l’imprenditore possa essere dichiarato fallito in Italia se la sede principale della sua impresa sia all’estero e ivi egli sia già stato dichiarato fallito.
Il regolamento comunitario ha portato un po’ di ordine stabilendo:
- La competenza dello stato membro in cui si trova il centro principale di interessi del debitore;
- L’automatico riconoscimento di tale sentenza negli altri stati membri e l’applicazione alla procedura della legge dello Stato ove la sentenza è stata emessa.
Non tutti gli imprenditori sono soggetti a fallimento, ne sono infatti esenti gli imprenditori agricoli e i piccoli imprenditori.
Esenti sono anche gli enti pubblici territoriali che esercitino in via non prevalente un’impresa.
Sono invece sottoposti a procedure alternative al fallimento:
- gli enti pubblici economici e i soggetti operanti in settori cd sensibili dell’ordinamento, soggetti a liquidazione coatta amministrativa.
- Le grandi imprese, soggette ad amministrazione straordinaria.
Per fallire non è invece necessario essere attualmente imprenditore: è sufficiente esserlo stato, per essere dichiarato fallito non deve però essere passato più di un anno dalla cessazione della qualifica.
Viene dichiarato fallito l’imprenditore che si trova in stato di insolvenza situazione che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
L’insolvenza quindi non è un fatto, ma uno stato che coincide necessariamente con uno o più inadempimenti delle proprie obbligazioni ma si sostanzia nell’incapacità di soddisfarle regolarmente.
Analogamente non è di per sé insolvente l’imprenditore il cui stato patrimoniale presenti un’eccedenza di passività rispetto alle attività, né viceversa, l’insolvenza può escludersi in ipotesi di surplus delle attività sulle passività. In entrambi i casi è possibili che attività e passività abbiano scadenza tra loro non allineate.
Il fallimento può essere dichiarato:
- Su richiesta del debitore: in sede di riforma, l’iniziativa del debitore sarà probabilmente incentivata tramite meccanismi premiali per far emergere il più velocemente possibili la crisi e avere quindi maggiori possibilità di risolverla positivamente.
- Su ricorso del creditore insoddisfatto.
- Su istanza del PM: è prevista come obbligatoria per quei casi in cui fatti rilevatori dell’insolvenza emergano nel corso di un’inchiesta penale.
- Per dichiarazione d’ufficio: da parte del tribunale, è la valvola di sicurezza del sistema. Viene dichiarata quando vi sia incertezza sulla qualità di creditore dell’istante, sulla base delle conoscenze acquisite dagli elenchi dei protesti…
Il procedimento giudiziale per la dichiarazione del fallimento si svolge in camere di consiglio con rito sommario. L’unico vincolo è dato dall’obbligo di convocare l’imprenditore al fine di consentirgli l’esercizio del diritto di difesa; la mancata convocazione è motivo di nullità della sentenza di fallimento.
Il fallimento viene dichiarato con sentenza provvisoriamente esecutiva che deve contenere:
- la nomina del giudice delegato e del curatore
- l’ordine al fallito di depositare entro 24 ore i bilanci e le scritture contabili
- l’assegnazione di un termine ai creditori e a coloro che vantano diritti reali su beni mobili in possesso del fallito per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura.
- La fissazione dell’udienza in cui si procederà all’esame delle domande e alla formazione dello stato passivo.
Il regime delle impugnazioni è diversificato a seconda che si tratti di provvedimento negativo o positivo. Contro i decreto di rigetto solo chi ha richiesto il fallimento può proporre reclamo alla corte d’appello. Avverso la sentenza di fallimento, invece, possono proporre opposizione il debitore e qualunque altro soggetto interessato; l’opposizione, che non sospende l’esecuzione della sentenza, si propone, avanti il tribunale che ha dichiarato il fallimento con atto di citazione da notificarsi al curatore e al creditore istante. Viene così instaurato un giudizio ordinario a cognizione piena che può concludersi con la conferma oppure la revoca del fallimento.
Il fallimento implica una complessa attività e richiede una pluralità di organi:
- Il tribunale: quello che ha dichiarato il fallimento è investito dell’intera procedura fallimentare. Le sue decisioni sono a loro volta ricorribili per cassazione solo se hanno per oggetto diritti soggettivi. Il tribunale esercita poi un potere di controllo generale. Infine gli spetta la competenza a decidere su tutte le azioni che derivano dal fallimento, salve soltanto le azioni reali immobiliari e alcune questioni in materia di rapporto di lavoro subordinato.
- Il giudice delegato: dirige le operazioni del fallimento, vigila l’operato del curatore e svolge una serie di altre mansioni le più rilevanti delle quali sono elencate nell’art 25 l. fall. Il giudice delegato svolge un ruolo di cerniera tra il curatore e il tribunale e rappresenta il vero fulcro della procedura: vigila continuativamente sull’operato del curatore, integra i poteri del curatore, decide sui reclami contro i suoi atti e autorizza l’azione di responsabilità contro il curatore revocato…
- Il curatore: ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice delegato. La nomina è riservata a soggetti che presentino requisiti di onorabilità e di capacità e che siano indipendenti rispetto al fallito. Entro 30 giorni dalla nomina il curatore deve presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata sulle cause e circostanze del fallimento e sul comportamento e sulle responsabilità, anche per i profili di interesse penale, del fallito. Il curatore deve adempiere ai doveri del proprio ufficio con diligenza e deve tenere un registro nel quale vanno annotate giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione. Le somme riscosse a qualunque titolo devono essere depositate entro 5 giorni presso l’ufficio postale o la banca indicati dal giudice delegato e il curatore ne può disporre solo sulla base di mandati sottoscritti dal giudice.
- Il comitato dei creditori: funzioni consultive e ispettive, composto da tre o cinque membri scelti tra i creditori dal giudice delegato. Esprime pareri nei casi previsti dalla legge e quando il tribunale o il giudice delegato li richiedano. L’unico caso in cui il parere del comitato è vincolante è quello negativo all’esercizio provvisorio dell’impresa.
Gli effetti del fallimento ricadono su diversi soggetti:
- Effetti per l’impresa: l’effetto primo è il blocco dell’attività di impresa. Il blocco ha il senso di porre termine alla perdita di valore provocata da tale esercizio. L’art 90 permette la continuazione provvisoria dell’esercizio dell’impresa. La continuazione può essere disposta dal tribunale solo quando: dall’interruzione improvvisa possa derivare un danno grave e irreparabile, o quando vi sia il pare favorevole del comitato dei creditori. Una tecnica alternativa per conservare in funzionamento l’impresa al fine di meglio collocarla sul mercato è rappresentata dall’affitto d’azienda. Il fallimento oltre a mantenere in vita l’impresa ottiene il vantaggio di percepire un canone d’affitto, l’affittuario, che gestisce a suo rischio l’impresa, ha per legge il diritto di prelazione in caso di successiva vendita dell’azienda.
- Effetti per il fallito: si distinguono in:
- Effetti patrimoniali: si sostanziano nel privare il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei beni, nella perdita della capacità processuale per le liti attive e passive, comprese quelle in corso, e nell’inefficacia rispetto ai creditori. Il curatore subentra nell’amministrazione e disponibilità dei beni del fallito. Quanto ai pagamenti, il terzo che, dopo la sentenza, ne abbia eseguito uno in favore del fallito dovrà rinnovarlo in favore del curatore; quello che l’abbia incassato dovrà restituire l’importo ricevuto al curatore.
- Effetti personali: il fallito perde il diritto al segreto della corrispondenza giacchè questa deve essere consegnata al curatore, non può allontanarsi dalla sua residenza senza il permesso del giudice delegato e deve presentarsi a lui, al tribunale, al curatore o al comitato dei creditori ogni volta che gli venga richiesto. Il debitore viene iscritto nel pubblico registro dei falliti, e da ciò derivano l’interdizione dai pubblici uffici, l’ineleggibilità alla carica di amministratore, la perdita di diritti politici di elettorato attivo e passivo.
- Effetti penali: la dichiarazione di fallimento costituisce elemento necessario per integrare la fattispecie di diverse figure di reato quali la bancarotta semplice e quella fraudolenta.
- Effetti per i creditori: salva diversa disposizione di legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento; ogni credito, anche se munito di causa di prelazione, deve essere accertato secondo le norme stabilite nella l. fall. In sostanza al blocco delle esecuzioni individuali si accompagna per i creditori concorsuali il diritto di partecipare all’esecuzione fallimentare, per la quale è però necessario far verificare il proprio diritto a concorrere. Riguardo ai crediti opera la cd cristallizzazione, in base alla quale, ai soli effetti del concorso: a) i crediti si considerano scaduti alla data del fallimento; b) quelli non pecuniari concorrono secondo il loro valore alla data del fallimento; c) gli interessi convenzionali e legali sono sospesi, salvo che non si tratti di crediti garantiti da pegno, ipoteca o privilegio.
- Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori: dagli effetti del fallimento può derivare per i creditori uno stimolo ad assicurarsi una posizione preferenziale prima che il fallimento sia dichiarato: ottenere il pagamento, o magari anche solo una prestazione in luogo di adempimento, iscrivere un’ipoteca acquistare diritti nei confronti del debitore prima che scatti la regola dell’inefficacia relativa. Per neutralizzare il possibile assalto alla diligenza delle controparti più astute, la l. fall. prevede che a determinate condizioni, vengano reputati inefficaci rispetto ai creditori concorrenti gli atti compiuti entro un certo termine anteriore alla dichiarazione di fallimento. Vi sono così due categorie di atti
- atti inefficaci di diritto: atti che, qualora compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, sono inefficaci: atti a titolo gratuito, pagamenti anticipati di crediti che scadono il giorno della dichiarazione di fallimento o successivamente.
- Atti soggetti ad azione revocatoria: l’inefficacia non opera di diritto ma è conseguenza della sentenza di revoca emessa dal tribunale. Il curatore in tali casi può esercitare l’azione revocatoria ordinaria con la quale il creditore può chiedere che vengano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del debitore pregiudizievoli alle sue ragioni. Perché l’azione venga accolta il curatore dovrà dimostrare che l’atto di disposizione era pregiudizievole per le ragioni dei creditori concorrenti, e che tanto il debitore che il beneficiario dell’atto erano a conoscenza di tale pregiudizio che viene ravvisato nell’avere provocato o aggravato il dissesto. Oppure il curatore può esercitare l’azione revocatoria fallimentare che si differenzia da quella ordinaria non solo per un minor onere probatorio a carico del curatore ma soprattutto per il diverso fine perseguito. La revocatoria ordinaria infatti è una forma di reazione verso atti depauperatori del patrimonio del debitore, quella fallimentare si estende anche ai profili distributivi tra creditori. Prescinde la prova che l’atto sia pregiudizievole per le ragioni dei creditori e si distingue a seconda che l’atto in questione sia, nell’ottica della gestione dell’impresa, normale o anormale. Sono anormali:
- Gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o promosse dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che è stato dato o promesso.
- Gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti e d esigibili non effettuati con denaro o altro mezzo normali di pagamento
- I pegni, le anticresi e le ipoteche costituiti per debiti preesistenti.
Sono invece normali i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati.
Non sono soggetti ad azione revocatoria:
- I pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso, espressione che sembra alludere ai pagamenti che siano effettuati non solo con mezzi normali ma anche nei tempi pattuiti e in pendenza del normale esercizio dell’impresa.
- Le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca.
- Le vendite a giusto prezzo d’immobili a uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti affini entro il terzo grado
- Gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria
- Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo
- I pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori
- I pagamenti di debiti liquidi ed esigibili alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.
Sia l’azione revocatoria ordinaria che quella fallimentare si prescrivono in 5 anni: la prima dalla data del compimento dell’atto, la seconda dalla dichiarazione di fallimento.
- Effetti sui rapporti pendenti: la dichiarazione di fallimento interrompe un’attività per il cui svolgimento l’imprenditore ha intessuto una fitta rete di rapporti contrattuali con fornitori e clienti.
Se al momento della dichiarazione di fallimento, il contratto è ancora ineseguito, o non integralmente eseguito, da entrambe le parti si pone il problema della sua sorte.
In alcuni casi si prevede che il fallimento determini lo scioglimento del contratto; in altri la regola è quella del subingresso automatico del curatore, in altri ancora il rapporto rimane sospeso fino a che il curatore non decide se subentrare o sciogliere il contratto.
I casi di scioglimento di diritto sono quelli dei contratti di borsa a termine su merci o titoli, delle associazioni in partecipazione, del conto corrente ordinario, del mandato, della commissione e dell’appalto.
Si ha subingresso automatico del curatore nei casi della locazione di immobili, dell’assicurazione contro i danni in ipotesi di fallimento dell’assicurato, del contratto di edizione, della vendita a rate con riserva di proprietà in ipotesi di fallimento del venditore, del factoring.
Nella categoria dei contratti che restano sospesi rientrano la vendita e la somministrazione. La vendita ha una disciplina particolarmente dettagliata.
- Se fallisce il compratore la facoltà di scelta spetta sia al venditore sia al curatore. Il venditore può optare per dare regolare esecuzione al contratto; in questo caso dovrà effettuare l’intera sua prestazione e sarà pagato in moneta fallimentare. Se il venditore, come normalmente accade, non esercita questa opzione, scatta la facoltà del curatore: subentra o risolve. Nel caso in cui subentri il contratto andrà regolarmente eseguito da entrambe le parti.
- In caso di fallimento del venditore se il bene è già divenuto di proprietà del compratore il contratto non si scioglie. Nel caso in cui il bene non sia divenuto ancora di proprietà del compratore solo il curatore può scegliere se subentrare o no nel contratto: qualora opti per lo scioglimento il compratore dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per la restituzione degli acconti eventualmente versati e subire la relativa falcidia.
La disciplina applicabile ai contratti diversi da quelli espressamente regolati è fonte di dibattito no sopito in dottrina e giurisprudenza. Preferibile, e tutto sommato prevalente, è l’opinione che debba accertarsi se non possa essere applicata per analogia una delle tre regole generali appena illustrate. Qualora non vi siano gli estremi per l’applicazione analogica, opererà la regola della sospensione con facoltà per il curatore di decidere se subentrare nel rapporto o sciogliere il contratto.
LEZIONE XV
IL PROCEDIMENTO FALLIMENTARE. IL FALLIMENTO DELLE SOCIETà
In sede fallimentare ogni creditore per partecipare al concorso deve preliminarmente far accertare il suo diritto; la preventiva determinazione della massa passiva risponde a un’esigenza di ordine nello svolgimento della procedura. Oggetto della verifica è il diritto a concorrere.
Il provvedimento sulla domanda di insinuazione nel passivo fallimentare ha efficacia meramente endofallimentare: costituisce cioè il presupposto necessario e sufficiente per partecipare al concorso, ma al di fuori di esso è privo di effetti.
Al procedimento di verifica sono soggetti, oltre ai diritti di credito vantati verso il fallito, anche i diritti reali mobiliari su cose in suo possesso; in questo caso oggetto della domanda non è la partecipazione al concorso, ma la rivendica, la restituzione o la separazione di determinati beni mobili dal patrimonio concorsuale. Con tale domanda quindi l’istante non chiede di partecipare alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione del patrimonio del fallito, ma che determinati beni vengano sottratti dalla massa passiva per essergli consegnati.
Il fallimento delle società
La disciplina del fallimento è tuttora strutturata sul modello dell’imprenditore individuale. Nella moderna economia, tuttavia, la gran parte degli imprenditori soggetti a fallimento è di tipo societario Þ necessari adattamenti alla dottrina.
Controversa è la questione su chi abbia nelle società la legittimazione a richiedere il fallimento in proprio. Sembra prevalere la tesi che la pone in capo agli amministratori, ma non manca chi nelle società di persone la riconosce ai soci e nelle società di capitali all’assemblea straordinaria.
In base all’art 147 l.fall. il fallimento della società che abbi soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento personale di costoro (cd. fallimento in estensione).
La disposizione ha sollevato nel tempo vari problemi applicativi. Ci si è chiesti se la norma si applichi solo in relazione a quelle società ove istituzionalmente ci sono soci illimitatamente responsabili o anche a quelle ove la responsabilità illimitata del socio è accidentale ® la risposta prevalente è in senso restrittivo. L’estensione tuttavia non si applica per espressa previsione della norme ai soci delle cooperative a responsabilità illimitata.
Il termine entro il quale può essere dichiarato fallito l’ex-socio è un termine annuale decorrente dalla perdita di tale qualità.
Prima che sia stato dichiarato il fallimento i soci illimitatamente responsabili devono essere convocati in camera di consiglio per essere messi in grado di esercitare il diritto alla difesa. Qualora non risulti l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili dopo la dichiarazione di fallimento della società, il tribunal pronunzia il fallimento dei medesimi.
La giurisprudenza prevalente ritiene che sia soggetta a fallimento anche la cd società occulta, ipotesi che si ha quando chi opera all’esterno in nome proprio quale imprenditore individuale in realtà sia solo uno dei soci di una società che non si sia manifestata all’esterno, ma sia appunto rimasta occulta.
La giurisprudenza ritiene che sia soggetta a fallimento anche la cd società apparente, cioè quella che appare nei confronti dei terzi benchè non esista nei rapporti interni fra i supposti soci.
Il fallimento invece delle società con soci a responsabilità limitata non produce effetti sui soci; tuttavia, il curatore può chiedere al giudice delegato di ingiungere loro con decreto l’esecuzione dei versamenti ancora dovuti per completare i conferimenti promessi.
Con il fallimento la legittimazione a proporre l’azione sociale di responsabilità e quella dei creditori nei confronti dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo viene trasferita in esclusiva al curatore.
Con la riforma del 2003 tuttavia l’azione sociale può essere promossa in tutte le s.p.a. anche da una minoranza qualificata.
La proposta di concordato nelle s.n.c. e nelle s.a.s deve essere approvata dai soci ce rappresentano la maggioranza assoluta del capitale. In entrambe le ipotesi tali poteri possono delegati agli amministratori. Il concordato fallimentare della società a responsabilità illimitata ha effetto anche per i singoli soci e implica la cessazione dei loro fallimenti personali.
La dichiarazione di fallimento è tradizionalmente una causa di scioglimento della società. La recente riforma ha però cambiato la normativa, si è introdotta così una distonia tra società in nome collettivo e società in accomandita semplice per le quali il fallimento continua a essere causa espressa di scioglimento e società di capitali e cooperative per le quali letteralmente non lo è più.
Nel caso in cui alla cessazione della procedura la società conservi un residuo attivo, si ritiene che la società, chiuso il fallimento, non si estingua ma versi in stato di liquidazione: in teoria potrebbe quindi revocare lo stato di liquidazione e riprendere l’attività.
AGGIORNAMENTO
LEZIONE XIV
IL FALLIMENTO: STRUTTURA ED EFFETTI
Il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n 5, si applicherà ai fallimenti dichiarati dopo il 16/07/06, si è finalmente concluso il processo di riforma della legge fallimentare.
La nuova disciplina è maggiormente orientata a cercare di conservare le componenti positive dell’impresa nella quale confluiscono interessi economici e sociali ulteriori rispetto a quello dell’imprenditore. Per tale ragione si abbandona la classica prospettiva liquidatoria per privilegiare il ricorso alla via del risanamento e del superamento della crisi aziendale.
Altre caratteristiche della riforma:
- tentativo di ridurre, anche tramite una maggiore estensione dell’aera di esenzione da fallimento, la durata eccessiva delle procedure concorsuali
- rimodulazione dei rapporti tra gli organi del fallimento con valorizzazione del ruolo del curatore e del comitato dei creditori
- revisione della disciplina dei rapporti pendenti
- previsione dell’esdebitazione cioè della liberazione per quanto non soddisfatto in sede fallimentare, del fallito persona fisica incolpevole
- venir meno delle più odiose conseguenze personali del fallimento
- abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata.
Zone d’ombra della riforma sono la scadente tecnica redazionale che comporta non pochi problemi interpretativi e il non aver reso organica l materia della crisi d’impresa, a seconda della dimensioni infatti dell’impresa si applicano procedure diverse.
Infine non ha affrontato argomenti di estremo rilievo quali:
- le misure di allerta e prevenzione al fine di far emergere il più rapidamente possibile le situazioni di difficoltà
- la disciplina dell’insolvenza dei gruppi di società
- tutta la materia penale che continua a essere impostata sulla base delle ormai abrogate disposizioni civilistiche generando un eccesso di rigore sanzionatorio.
La competenza a dichiarare il fallimento resta al tribunale del luogo ove si trova la sede principale dell’impresa.
La riforma precisa che cosa debba intendersi per piccolo imprenditore individuale o collettivo, non soggetto a fallimento. Non sono tali quelli che:
- hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore a euro 300.000;
- hanno realizzato ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi 3 anni o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore per un ammontare complessivo annuo superiore a € 200.000
tali limiti possono essere aggiornati ogni 3 anni con decreto del ministro della giustizia.
Nulla è stato innovato sul presupposto oggettivo dello stato di insolvenza. È stato invece abrogato l’istituto del procedimento sommario ® ma qualora l’ammontare dei debiti scaduti non superi i 25000 € non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento.
I legittimati a chiedere fallimento sono sempre quelli ad esclusione della dichiarazione di ufficio che è stata eliminata e sostituita nel suo operare dall’estensione dei poteri del PM.
Il procedimento giudiziale per la dichiarazione del fallimento si svolge in camera di consiglio lasciando ovviamente spazio al diritto alla difesa del fallito.
Notevoli sono state le modificazione riguardo ai gravami contro la sentenza dichiarativa di fallimento. Il vecchio sistema prevedeva l’opposizione, l’appello contro la sentenza resa in sede di opposizione e il ricorso in cassazione. Con la riforma è stata abrogata la fase dell’opposizione. Þ contro la sentenza dichiarativa di fallimento può essere proposto direttamente appello.
Benché gli organi della procedura siano rimasti gli stessi, la materia è stata profondamente modificata.
- il tribunale: il tribunale che ha dichiarato il fallimento è investito dell’intera procedura fallimentare. Ha perso il potere di autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione del curatore che è adesso di competenza del comitato dei creditori. Al tribunale spetta però la competenza a decidere su tutte le azioni che derivano dal fallimento, senza più la precedente eccezione delle azioni reali immobiliari.
- Il giudice delegato: non dirige più le operazione del fallimento ma si limita a esercitare funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura. Il suo ruolo è stato notevolmente ridotto. Il giudice delegato deve però a) approvare il programma di liquidazione; b) emettere o provocare dalle autorità competenti i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio ad esclusione di quelli che incidono sui diritti di terzi che rivendichino un proprio diritto incompatibile con l’acquisizione; c) provvedere in sostituzione del comitato dei creditori in caso di loro inerzia o impossibilità di funzionamento; d) decidere sui reclami proposti dal fallito e da ogni altro interessato.
- Il curatore: ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare non più sottoposto la direzione del giudice delegato ma sotto la sua vigilanza e quella del comitato dei creditori. Entro 60 gg dalla nomina deve presentare a giudice delegato una relazione particolareggiata sulle cause del fallimento e sul comportamento e sulle responsabilità del fallito. Ogni 6 mesi deve redigere un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni raccolte dopo la prima relazione e accompagnato dal conto della sua gestione. Linea guida del curatore è il programma di liquidazione che va predisposti entro 60 gg dalla redazione dell’inventario e sottoposto all’approvazione del giudice delegato dopo aver acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori. In tale programma deve indicare le modalità e i termini previsti per la realizzazione dell’attivo, specificando: l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di autorizzare l’affitto dell’azienda, la sussistenza di proposte di concordato e il loro contenuto, le azioni risarcitorie, recuperatorie, o revocatorie da esercitare, le possibilità di cessione unitaria dell’azienda, le condizioni della vendita.
Il curatore deve tenere un registro. Gli atti del curatore che sono di valore superiore a 50.000€ e in ogni caso per le transazioni il curatore deve previamente informare il giudice delegato.
- Il comitato dei creditori: mansioni di massima importanza. La nomina avviene da parte del giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento. Il comitato vigila sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, o su richiesta del tribunale o del giudice delegato, motivando le proprie deliberazioni. Le sue deliberazioni sono prese a maggioranza nel termine massimo di 15 giorni dalla data in cui la richiesta è pervenuta al presidente.
Effetti del fallimento:
- Effetti per l’impresa: il blocco dell’attività. Permessa la continuazione provvisoria dell’esercizio dell’impresa. Durante il periodo di esercizio provvisorio il curatore deve: a) almeno ogni 3 mesi convocare il comitato dei creditori per informarlo sull’andamento della gestione e perché si pronunci sull’opportunità di continuarla; b) ogni semestre presentare il rendiconto dell’attività mediante deposito in cancelleria. Inoltre deve informare il giudice delegato e il comitato delle circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’esercizio provvisorio. L’affitto dell’azienda può essere disposto dal giudice delegato anche prima della presentazione del programma di liquidazione quando appaia utile al dine della più proficua vendita dell’azienda. La scelta dell’affittuario va effettuata dal curatore mediante una scelta competitiva tenendo conto oltre che dell’ammontare del canone offerto anche delle garanzie prestate e dell’attendibilità del piano di prosecuzione dell’attività imprenditoriale. Il contratto di affitto deve prevedere il diritto del curatore di procedere alla ispezione dell’azienda, la prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell’affittuario, il diritto di recesso del curatore dal contratto che può essere esercitato con la corresponsione all’affittuario di un giusto indennizzo.
- Effetti per il fallito: in tema di spossessamento unica novità è il fatto che il curatore può rinunciare ad acquisire i beni del fallito qualora i cosi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi. Dal punto di vista degli effetti personali sono stati introdotti snellimenti nella disciplina: la corrispondenza non deve più essere consegnata direttamente al curatore si non quella riguardante i rapporti compresi nel fallimento, non è più vietato allontanarsi dalla residenza ance se si deve dare comunicazione al curatore dello spostamento, sono infine aboliti il pubblico registro dei falliti e la perdita del diritto di voto alle elezioni politiche e amministrative.
- Effetti sugli atti pregiudizievoli i creditori: le novità sono due, la prima riguarda la disposizione secondo cui gli atti che incidono su un patrimonio destinato a uno specifico affare sono revocabili quando pregiudicano i patrimonio della società. La seconda concerne i termini per l’esercizio dell’azione. Adesso per entrambe le azioni revocatorie è previsto che non possano essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque dopo 5 anni dal compimento dell’atto.
- Effetti sui rapporti pendenti: è stata introdotta una regola generale: se un contratto è ancora ineseguito da entrambe le parti l’esecuzione del contratto rimane sospesa finchè il curatore dichiara di subentrare o di sciogliere il contratto. Il subentro è subordinato dall’autorizzazione del comitato dei credito (non più del giudice delegato).
LEZIONE XV
IL FALLIMENTO DELLE SOCIETà
La controversa questione di chi sia legittimato a chiedere il fallimento non è stata risolta.
La nuova formulazione dell’art 147 chiarisce che l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili si riferisce ai soli soci di società personali e agli accomandatari di società in accomandita per azioni. Il socio il cui rapporto sociale o la cui responsabilità illimitata sia venuta meno non può essere dichiarato fallito trascorso un anno dal compimento delle formalità necessarie per rendere noto ai terzi gli atti da cui deriva la cessazione predetta. L’art 147 sancisce espressamente la fallibilità della società occulta.
A seguito della riforma la proposta di concordato nelle società di capitali e nelle cooperative non va più deliberata dall’assemblea straordinaria ma dagli amministratori.
L’istituto dei patrimoni desini è una delle principali novità della riforma delle società di capitali. Con tale unica locuzione vengono indicate due figure giuridiche dalla struttura diversa: i patrimoni destinai cd unilaterali che danno luogo a un autonomo complesso di beni organizzato per lo svolgimento di uno specifico affare e i patrimoni destinati cd contrattuali che si risolvono in una particolare forma di garanzia costituita in favore di un finanziatore sulla base si un accordo con il medesimo. La violazione del principio di separatezza fra patrimonio destinato e patrimonio sociale importa la possibilità del curatore di agire in responsabilità contro gli amministratori e organi di controllo della società.
Fonte: http://ecoways.altervista.org/appunti/Dir_Comm/1_Presti_Rescigno.doc
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