Diritto commerciale

 

 

 

Diritto commerciale

 

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Nel nostro sistema si puo’ determinare una precisa parte di articoli e leggi riferita agli imprenditori cioe’ a quei soggetti che esercitano professionalmente un’attivita’ economica organizzata, finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi.  Nell’ opzione della nostra costituzione per un sistema giuridico che riconosce la proprieta’ privata  e la liberta’ di iniziativa economica (art. 41 e 42 cost). Il nostro sistema su basa sull’ ECONOMIA DI MERCATO:

 

  1. tendenziale liberta’ dei privati di dedicarsi alla produzione e alla distribuzione di quanto necessario per il soddisfacimento dei bisogni materiali della collettivita’ e nonche’ di modellare secondo scelte ispirate alla logica del tornaconto personale il proprio comportamento sul mercato.
  2. liberta’ di pluralita’ di operatori economici sia pubblici che privati.
  3. liberta’ di competizione economica e commerciale.

 

Parliamo di liberta’ commerciali relative in quanto strumentalizzate alla realizzazione del benessere collettivo in quanto indirizzate o quanto meno controllate dagli interventi pubblici; ma pur sempre liberta’ e poi ci sono liberta’ destinate a svilupparsi nella sfera del diritto privato fin quando si resta in una cornice istituzionale che non si basi sulla proprieta’ collettiva dei mezzi di produzione e sulla esclusiva avocazione alla mano pubblica. Nel nostro sistema come negli altri in cui l’economia e’ libera e mista, il fenomeno imprenditoriale costituisce percio’ l’asse portante dello sviluppo economico e del processo di razionale utilizzazione delle risorse produttive ma tenendo sotto controllo questo sviluppo con un ambiente giuridico propizio ordinato e razionale. Obiettivo perseguito attraverso una normativa che riguarda sia i singoli rapporti economici sia l’attivita’ di impresa(come i contratti, le obbligazioni e la tutela del credito) e una parte della normativa che regola l’organizzazione e l’esercizio dell’attivita’ dell’impresa unitariamente considerata. Infatti gli imprenditori sono assoggettati a particolari statuto professionali (gli statuti societari). Il diritto commerciale moderno e’ appunto la parte del diritto privato che ha per oggetto e regola l’attivita’ e gli atti d’impresa, e’ il diritto privato delle imprese, parte centrale del diritto privato dell’economia. (il capitolo dell’introduzione si chiude con una parte riguardante la evoluzione  storica del diritto commerciale nei secoli decisamente poco rilevante per lo studio di questa materia).

 

CAPITOLO 1:  L’IMPRENDITORE:Definizione generale dell’imprenditore e’ data dal legislatore nell’articolo 2082 c.c. :” e’ imprenditore colui che esercita professionalmente un’attivita’ economica organizzata al fine della produzione ,distribuzione o scambio di beni o servizi”.la disciplina dettata non è però identica in tutti li imprenditori. Infatti Il cod.civ. distingue vari tipi di imprese e imprenditori a base di 3 criteri certi:

  1. l’OGGETTO DELL’IMPRESA che determina la distinzione tra in imprenditore agricolo e imprenditore commerciale (risp.   art.2135 e art.2195)
  2. DIMENSIONE DELL’IMPRESA:che serve ad enucleare la figura del piccolo imprenditore e, di riflesso, il medio-grande (art. 2083)
  3. LA NATURA DEL SOGGETTO che esercita l’impresa, che determina la tripartizione legislativa fra impresa individuale, impresa costituita in forma di societa’ ed impresa considerata pubblica.

I tre criteri si fondano su dati diversi oggetto, dimensione, natura del soggetto), dati che consentono di definire e dare una precisa qualifica all’impresa.
Quindi classificando le imprese si capisce che alcune regole valgono per alcune e non per altre ma l’eccezione c’e’ infatti esistono norme applicabili a tutti gli imprenditori i quali sono assoggettati al rispetto di una disciplina comune, nota come


STATUTO GENERALE DELL’IMPRENDITORE all’ interno della quale sono presenti norme sull’azienda, note come
- disciplina dell’azienda e dei segni distintivi,
-disciplina della concorrenza e dei consorzi
- e alcune norme sui contratti sparse nel codice.
E’ poi identificabile una statuto dell’imprenditore commerciale (integrativo di quello generale)nel quale rientrano:
- la regolamentazione dell’iscrizione nel registro delle imprese
-la disciplina della rappresentanza commerciale,
-le scritture contabili,
-il fallimento
e altre meno importanti procedure concorsuali.

Poche sono invece le disposizioni del cod. civ. che riguardano gli imprenditori agricoli e i piccoli imprenditori. Essi  sono esonerati
-dalla tenuta delle scritture contabili e
-dall’assoggettamento delle scritture contabili,
mentre hanno solo l’obbligo
dell’iscrizione al registro delle imprese (ma con un diverso rilievo al confronto con l’imprenditore agricolo ed il piccolo imprenditore).

 

2.La nozione generale di imprenditore
Riprendendo la definizione di imprenditore di sopra
” e’ imprenditore colui che esercita professionalmente un’attivita’ economica organizzata al fine della produzione ,distribuzione o scambio di beni o servizi”.
Si può stabilire con certezza che tale definizione è di derivazione economica. Tale derivazione economica non significa che ci deve essere coincidenza tra nozione economica e nozione giuridica.
Nell’ambito economico nelladefinizione di imprenditore si evidenziano le funzioni, nell’ambito giuridico si tende invece ad evidenziare i requisiti.
Più specificatamente secondo l’interpretazione economica l’imprenditore è
il soggetto che nel processo economico svolge funzione intermediaria tra chi dispone dei fattori produttivi e chi domanda prodotti e servizi

nello svolgimento di tale funzione l’imprenditore coordina, organizza e dirige secondo proprie scelte il processo produttivo (funzione organizzativa)
assumendo su di se il rischio che i costi di impresa non siano ricoperti per la mancanza di domanda o per la situazione di mercato ( rischio di impresa)
nel caso in cui invece i ricavi superano  i costi ricava un profitto, profitto che è il tipico movente dell’attività imprenditoriale (profitto)

invece secondo l’interpretazione giuridica nella definizione di imprenditore ci si sofferma a stabilire quali sono i requisiti minimi necessari e sufficienti affinchè un soggetto possa essere definito imprenditore.
Dall’articolo 2082 si ricavano i requisiti:

  • l’impresa e’ ATTIVITA(serie coordinata di atti con una funzione unitaria)
  • -ed e’ attivita’ caratterizzata sia da uno SPECIFICO SCOPO cioe’ produzione o scambio di beni o servizi,
  • e sia da specifiche MODALITA’ DI SVOLGIMENTO cioe’ l’organizzazione, economicita’ e professionalita’.

 Altri requisiti non sono espressamente richiesti. Viene spesso contenstato che siano altresi’ richiesti altri requisiti indispensabili come:
l’intento dell’imprenditore di ricavare un profitto dall’esercizio dell’impresa (scopo di lucro)
la destinazione al mercato dei beni e dei servizi prodotti
la liceita’ dell’attivita’ svolta.

 

3.L’attività produttiva
L’impresa è attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni e servizi. pertanto si si configura come ATTIVITA’ PRODUTTIVA,è attività produttiva di nuova ricchezza.
Per qualificare una data attività come produttiva è irrilevante la natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare.
Non sarà impresa l’attività di mero godimento: per esempio il proprietario di beni immobili che li cede il locazione. Non vi è però incompatibilità tra attività di impresa e attività di godimento nel caso di:
-un proprietario di un fondo agricolo che destini lo stesso a coltivazione
-un proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo , pensione o residence.
-nella concezione di finanziamenti a terzi, come nel caso delle
.società finanziarie---erogano credito con mezzi propri e non raccolti tra il pubblico
.società di investimento
.holdings---hanno come unico oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di altre societa’.

 

4.L’organizzazione
non e’ concepibile impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi come capitale e lavoro propri e/o altrui ed attraverso la creazione di un complesso produttivo che si definisce azienda , dove tale complesso è complesso dei beni organizzati dall imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Di norma la  funzione organizzativa dell’imprenditore si realizza attraverso la cordinazione di fattori produttivi e creazione di un complesso produttivo, formato da persone e da beni strumentali.
Ma può accadere che l’ imprenditore eserciti attività senza l’ausilio di collaboratori oppure senza che il ordinamento dei fattori produttivi (capitale e lavoro) realizzi un complesso aziendale materialmente percepibile.
In questi due casi la qualità di imprenditore non può essere negata, dal momento che non è necessario che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia per oggetto anche altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate, cioè lavoratori dipendenti(ci sono infatti dei negozi in cui lavora solo il titolare o altri in cui ci sono servizi automatizzati e non personale-lavanderie a gettoni). Ed in tali attività produttive possono raggiungere dimensioni notevoli anche senza lavoratori dipendenti  ma cono il proprio lavoro intellettuale e manuale.

 

5.Impresa e lavoro autonomo
Requisito dell’organizzazione si ridimensiona ancor di piu’ quando si parla di IMPRESA E LAVORO AUTONOMO: cioe’ quando tutto il processo produttivo si basa esclusivamente sul lavoro personale del soggetto agente e si non si utilizzano ne’ lavoro ne’ capitali altrui cioe’ faccia difetto la cosidetta eteroorganizzazione.
Ma un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è pur sempre necessaria per aversi impresa. In mancanza si avrà semplice lavoro autonomo non imprenditoriale.
Comunque si arriva alla conclusione che per aversi una impresa autonoma anche se piccola si debba superare quella linea della semplice autoorganizzazione del proprio lavoro . Poi superata la soglia della semplice autoorganizzazione  del proprio lavoro si diventa imprenditori e imprenditori piccoli o grandi a seconda dei casi.

Per aversi impresa c’e’ sempre bisogno di un minimo utilizzo di lavoro altrui o capitale altrui, in mancanza di cio’ si avra’ semplice lavoro autonomo non imprenditoriale.

 

6.Economicità dell’attività
Altro requisito dell’impresa e’ l’ECONOMICITA’. si parla di economicità dell’attività poiché nel momento in cui l’impresa è definita attività economica si ritene nell art 2082  che attività economica sia sinonimo di attività produttiva. ma ridurre la attività economica ad attività produttiva è sbagliato perché sempre nell art 2082 l’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo.
Ossia ciò che qualifica un attività come economica non è solo il fine produttivo è anche il metodo con cui è svolta.
E l’attività produttiva può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi utilizzati:

Per aversi impresa è quindi necessario che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico,secondo modalità che consentono quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza economica.

Non e’ quindi imprenditore chi, soggetto pubblico o privato, produca beni o servizi che vengano erogati gratuitamente o a prezzo politico, tale cioe’ da far oggettivamente escludere la possibilita’ di coprire con i ricavi i costi.

 

7.La professionalità
Ultimo requisito richiesto dall’art. 2082 e’ la PROFESSIONALITA’: cioe’ l’esercizio abituale e non occasionale di una data attivita’ produttiva.
Non è percio imprenditore chi compie una sola operazione di acquisto e di rivendita di merci.
Eccezioni:
-La professionalità non implica però che l’attività imprenditoriale deve essere svolta in modo continuato: esistono infatti attività stagionali.
-La professionalità non implica neppure che quella di impresa sia l’attività unica o principale. È imprenditore infatti anche il professore o impiegato che collateralmente alla sua professione principale gestisce un negozio o un albergo. È possibile quindi anche il contempo esercizio di più attività di impresa, noto come pluralità di attività.

 

Esaurita l’esposizione dei requisiti essenziali richiesti dal legislatore, non resta da vedere se altri ne debbano ricorrere altri per qualificare un soggeto come imprenditore.

  • lo scopo di lucro e’ requisito essenziale? Si risponde che essenziale e’ solo che l’attivita’ venga svolta secondo modalita’ astrattamente lucrative, irrilevante e’ che un  profitto venga poi realmente conseguito, sia fatto che l’imprenditore devolva integralmente ai fini altruistici il ricavato conseguito.(lucro oggettivo). Nulla si oppone, a che si affermi che requisito essenziale dell’impres sia l’economicita’ e non lo scopo di lucro.
  • Puo’ essere considerato imprenditore colui che produce beni o servizi  destinati a uso e consumo personali? E’ i mpresa la cosidetta impresa per conto proprio? L’opinione generale e’ negativa, l’impresa per conto proprio pur  concedendosi che per l’acquisto della qualita’ di imprenditore basta una destinazione parziale o potenziale della produzione al mercato ma tuttavia non possono essere considerate imprese come la coltivazione di un fondo a scopo famigliare, la costruzione di appartamenti non destinati alla vendita.
  • Un imprenditore puo’ essere considerato tale anche se l’attivita’ produttiva e’ illecita,immorale o mafiosa? Chi esercita un’attivita’ illecita e’ sempre un imprenditore con vantaggi e svantaggi dipendendo pero’ da quale illecita’ compie.

Altra cosa importante da discutere e’ L’IMPRESA E LE PROFESSIONI INTELLETTUALI: esistono infatti attivita’ produttive per le quali la qualifica imprenditoriale e’ esclusa in via di principio dal legislatore stesso ed e’ il caso delle professioni intellettuali, infatti i liberi professionisti non sono mai, in quanto tali, imprenditori. I liberi professionisti diventano imprenditori solo se e in quanto  la professione intellettuale e’ esplicata nell’ambito di un’altra attivita’ di per se’ qualificabile come impresa, per contro un professionsta libero o artista che si limita a svolgere la propria attivita’ non diventera’ mai imprenditore.

CAPITOLO 2:           LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI:
L’IMPRENDITORE AGRICOLO E IMPRENDITORE COMMERCIALE: sono due tipi di imprenditori vengono distinti dal legislatore in base all’oggetto della  loro attivita’.

L’imprenditore commerciale è destinatario di un’ampia e articolata disciplina fondata sull’
-obbligo dell’iscrizione al registro delle imprese,
-obbligo di scritture contabili e
-l’assoggettamento al fallimento
-e altre procedure concorsuali.

 

L’imprenditore agricolo presenta una nozione essenzialmente negativa nel codice civile.
chi e’ impenditore agricolo e’ essenzialmente sottoposto alla disciplina per l’imprenditore in generale ed e’

- esonerato dalle scritture contabili(dal 1993) ,
-e all’assoggettamento alle procedure concorsuali.
Era inoltre esonerato anche dallì’iscrizione nel registro delle imprese, ma dal 1993 è stata introdotta per tutti gli imprenditori agricoli dapprima con semplice funzione di pubblicità notizia, e di recente anche con funzione di pubblicità legale, identica a quella prevista per gli imprenditori commerciali.
Ultimamente si comincia a parlare di una terza categoria detta delle IMPRESE CIVILI, imprese non menzionate direttamente dal legislatore ed individuabili in base al criterio meramente negativo di non poter essere qualificate ne’ agricole ne’ commerciali dove queste imprese sarebbero soggette solo alla disciplina in generale per l’imprenditoria e non a quella delle imprese commerciali, con conseguente allargamento della zona di esonero di tale normativa.

 

 

 

2. l’imprenditore agricolo. Le attività agricole essenziali.
3.Le attività agricole per connessione.
Secondo la nozione originaria l’art. 2135 del cod.civ.
“E’ imprenditore agricolo chi esercita un’attivita’ diretta alla
-coltivazione di un fondo,
-alla silvicultura,
-all’allevamento del bestiame e
-attivita’ connesse,

si reputano attivita’ connesse le attivita’ dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura”.

Quindi le attivita’ agricole possono percio’ essere distinte in due grandi categorie:

  1. attivita’ agricole essenziali.
  2. attivita’ agricole per connessione.

Questa distinzione e’ stata mantenuta anche dalla nuova nozione di imprenditore agricolo introdotta dal decr.legs 228/2001.
Inizialmente l’attività di i. agricolo era connessa all’ attività svolta su terreno, poi nel corso degli anni e con lo sviluppo delle tecnologie alcune attività si sono scollegate dalla terra, per utilizzare tecniche sempre più sofisticate e dare luogo alla cosiddetta agricoltura industrializzata.

Quindi oggi  anche l’attivita’  puo’ dar luogo ad ingenti investimenti di capitali e a sollevare sul piano giuridico esigenze di tutela del credito non molto diverse da quelle che sono alla base della disciplina delle imprese commerciali.
Ma l’imprenditore agricolo è esonerato a tale disciplina, infatti è sottratto al fallimento. Una scelta legislativa che lascia insoddisfatti molti giudici e interpeti.

Ritornando alla nuova nozione di imprenditore agricolo del 2001 si e’ optato per la seguente impostazione, cioe’ che l’imprenditore e’ colui che ha una produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale, quindi l’attuale formulazione dell’art.2135 ribadisce che l’imprenditore agricolo e’ chi esercita una delle seguenti attivita’, coltivazione di un fondo, selvicoltura, allevamento e attivita’ connesse specificando che per le suddette attivita’ si intendono le attivita’ dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico naturale o di una fase necessaria del ciclo stesso (vi rientrano gli orticoltori,coltivatori di funghi, allevamenti in batteria e la zootecnia, allevamenti di cavalli da corsa e da pelliccia e le imprese ittiche).
Invece per ATTIVITA’ AGRICOLE PER  CONNESSIONE si intendono le attività che si configurano come ampliamento dell’attività dell’imprenditore agricolo:

  • le attivita’ dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente da un’attivita’ agricola essenziale.
  • Le attivita’ dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente utilizzate nell’attivita’ agricola esercitata, comprese quella di valorizzazzione del territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attivita’ agrituristiche.

Queste due attivita’  sono oggettivamente commerciali, ma in quanto connesse alla loro principale attivita’ agricola vengono, antro certi limiti considerate tali anch’esse.
Quindi ora come prima della nuova nozione fornita nel 2001,due erano e sono le condizioni al riguardo necessarie  :
-innanzitutto che il soggetto che la esercita sia gia’ qualificabile imprenditore agricolo in quanto svolge come attivita’ primaria una delle tre attivita’ agricole tipiche
- e inoltre  attivita’ coerente con quella connessa(connessione soggettiva).

Quindi e’ imprenditore agricolo il viticoltore che commercializza il suo vino ma e’ considerato imprenditore commerciale colui che commercializza un  prodotto agricolo altrui.
n.b. 1--- Le attivita’ connesse non devono prevalere, per rilievo economico, sull’attivita’ agricola essenziale.

n.b. 2--- l’imprenditore agricolo a differenza dell’imprenditore commerciale svolge la sua attività a livello personale e non sottoforma di società. Esiste tuttavia un eccezione nel caso dei consorsi agricoli e le cooperative che si mettono insieme al fine di sviluppare i proprio prodotti non più a livello personale, mantenendo la qualifica di i.agricoli.

 

4.L’imprenditore commerciale
IMPRENDITORE COMMERCIALE  e’ colui che svolge una delle attivita’ elencate nell’art.2195 cioe’:

  1. attivita’ industriale diretta alla produzione di beni e servizi (tutte quelle imprese che posso essere qualificate tali in quanto fanno una produzione a livello industriale.
  2. attivita’ intermediaria nella circolazione di beni e servizi, (le imprese di puro commercio come il venditore all’ingrosso o al minuto)
  3. attivita’ di traporti di beni o persone per acqua, terra e aria.
  4. attivita’ bancaria e assicurativa(sempre funzione di intermediazione di quel bene particolare chiamato denaro, invece l’attivita’ assicurativa produce particolari servizi quindi e’ di produzione).
  5. altre attivita’ ausiliarie delle precedenti, dove vi rientrano

-le agenzie di mediazione,
-di deposito,
-di commissione,
-di spedizione,
-di pubblicita’ commerciale,
- di marketing ecc. Che possono tutte essere considerate produttrici di servizi quindi una ulteriore sottocategoria delle imprese del numero 1.

Da qui si puo’ capire che le imprese dei punti 3,4,5 sono semplici sottospecie dei primi due punti che si distinguono in imprese produttrici ed intermermediarie. Come gia detto c’e’ una terza specie di impresa che non e’ menzionata dal legislatore ma che va via via qualificandosi, e cioe’ l’ IMPRESA CIVILE: l’imprenditore civile, in quanto ne’ agricolo ne’ commerciale, sarebbe sottoposto solo allo statuto generale dell’imprenditore, ma non a quello dell’imprenditore commerciale, percio’ non fallirebbe.
Vengono qualificate come imprese civili:

  • imprese che producono beni senza trasformare materie prime, quali le imprese minerarie e le imprese di caccia e pesca.
  • Imprese che producono servizi senza trasformare materie prime e quindi naturalmente diverse dalle imprese previste nel punto 3 dell’art.2195. Vi rimangono quindi le imprese produttrici di spettacoli, agenzie matrimoniali.

In sintesi sarebbero imprese civili, tutte quelle imprese ausiliarie di attivita’ non commerciali. Pero’ questa elencazione e soprattutto questa ulteriore suddivisione delle imprese non e’ condivisa dalla dottrina prevalente. Si arriva percio’ alla conclusione che l’art.2195 va letto come se dicese: e’ attivita’ commerciale quella diretta alla produzione di beni o servizi non agricoli e quella rivolta alla circolazione di beni non qualificabile come agricola per connessione. Piu’ sinteticamente e’ imprenditore commerciale ogni imprenditore non agricolo. Per le imprese civili non resta alcun spazio.

6.Piccolo imprenditore. L’impresa familiare.
La dimensione dell’impresa e’ il secondo criterio di differenziazione della disciplina degli imprenditori. Il cod.civ distingue il piccolo imprenditore e quello medio-grande.
Il piccolo imprenditore e’ sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore
-ed e’ esonerato dal tenere le scritture contabili,
-dal fallimento                                               
-e da altre procedure concorsuali
Mentre l’iscrizione nel registro delle imprese , originariamente esclusa ha di regola solo la funzione di pubblicità notizia.
Diverso e’ il discorso per la legislazione speciale. In questa la piccola impresa o alcune specifiche piccole imprese sono destinatarie di una ricca ed articolata disciplina, ispirata dalla finalita’ di favorirne la sopravvivenza attraverso provvidenze ed agevolazioni lavoristiche e tributarie.

La nozione di piccolo imprenditore data dall’articolo 2083 del codice civile stabilisce che “ e’ piccolo imprenditore il coltivatore del fondo, gli artigiani, piccoli commercianti, e coloro che esercitano un’attivita’ professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.

Quindi per aversi una piccola impresa e’ necessario
-che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa
-che l’imprenditore sia il titolare di un impresa in cui prevale il lavoro familiare, dove tale lavoro familiare prevale rispetto al lavoro altrui e al capitale proprio o  altrui investito nell’impresa.
non e’ percio’ mai piccolo imprenditore chi investe ingenti capitali nell’impresa anche se non si avvale di alcun collaboratore.
È necessario accertare se l’apporto personale dell’imprenditore e dei suoi familiari abbiano rilievo preminente nell’organizzazione dell’impresa. Accertare tale prevalenza potrebbe richiedere anche indagini lunghe e complesse, che potrebbero condurre inconvenienti soprattutto in sede di dichiarazione del fallimento.


8.Il piccolo imprenditore nella legge fallimentare.
l’articolo 2083 cod. civ. non è la sola norma che definisce il piccolo imprenditore. L’art.1, comma 2 della legge fallimentare  nel ribadire che i piccoli imprenditori commerciali non falliscono stabilisce che
“Sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un attività commerciale, i quali sono stati riconosciuti in sede di accertamento ai fini dell’ imposta di ricchezza mobile , titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile. Quando è mancato l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non superiore a lire novecentomila.”
La stessa norma fallimentare dispone che “in nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali.”. Quindi non può essere considerato piccolo imprenditore chi svolge l’attività sottoforma di società. Se infatti le imprese commerciali sono esposte al fallimento i piccoli imprenditori commerciali non falliscono.
Nella legge fallimentare vengono considerati piccoli imprenditori tutti i proprietari di imprese che non sono commerciali. Andando piu’ nello specifico si va a parlare della cosidetta IMPRESA ARTIGIANA

 

9.L’impresa artigiana.
Le imprese artigiane, insieme alla piccola impresa ed all’impresa agricola , godono di una copiosa legislazione speciale di ausilio e sostegno. tali leggi prevedono criteri di identificazione delle imprese naturalmente diversi dai criteri dell’art.2083 del cod civile. Inizialmente la norma di riferimento era la legge 860 del 1956 ,
in base a all’art.1 della legge del 1956 era artigiana “l’impresa che risponde ai seguenti requisiti fondamentali:
-che abbia per scopo la produzione di beni o la prestazione di servizi di natura artistica o usuale
-che sia organizzata ed operi con il lavoro professionale , anche manuale , del suo titolare e , eventualmente con quello dei suoi familiari
-che il titolare abbia la piena responsabilità dell’azienda e assuma tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua gestione e alla sua direzione.”
L’art.2 della 860 fissa dei paletti sul
-numero dei dipendenti
-Quantità di produzione
-Luogo dell’attività.
Tali obblighi sono pero stati superati dalla norma successiva, cioè dalla legge quadro per l’artigianato del 1985. Tale legge dava delle direttive generali , poiché doveva essere seguita da una latra legge applicativa, che in realtà non si è mai realizzata.
La nuova legge contiene una propria definizione basata
- sull’oggetto dell’impresa,(che oggi puo’ essere costituito da qualsiasi attivita’ di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, sia pure con alcune limitazioni ed esclusioni)
- e sul ruolo dell’artigiano nell’impresa, (richiedendosi in particolare che esso svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo)
La novità rispetto al p. imprenditore è che l’impresa artigiana può essere svolta sotto forma societaria. La legge del 1985 prevede la possibilità per l’impresa artigiana di costituirsi in forma di società cooperativa o in nome collettivo, a condizione che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di 2 soci, svolga in prevalenza lavoro personale, nel processo produttivo che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale. Inoltre accanto alle soci. Cooperative o in nome collettivo la qualifica di i.a. è stata estesa alla società a responsabilità limitata uni personale ed alla società in accomandita semplice.  E piu di recente anche alla s.r.l. pluripersonale.
Quindi la categoria delle imprese artigiane risulta notevolmente ampliata rispetto alla legge precedente.
E’ venuto a scomparire ogni riferimento alla natura artistica o usuale dei beni e servizi prodotti e si qualificano artigiane anche le imprese edili.
 Il fallimento: le società artigiane godono delle provvidenze di cui godono le altre imprese artigiane, ma fallirà al pari di ogni altra società che esercita attività commerciale.

 

10.L’impresa familiare
È una forma giuridica recente. È stata istituita e prevista con la legge del 1975 che ha iniziato a regolamentare i rapporti familiari, nello specifico i diritti e gli obblighi dei familiari degli imprenditori.
È definita tale l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il 3 grado e gli affini entro il 2 grado cioe’ la cosidetta famiglia nucleare.
L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa. è frequente che la piccola impresa sia anche impresa familiare , ma puo esistere piccola impresa che non sia impresa familiare, perché l’imprenditore non ha familiari o non si avvale della loro collaborazione.
Il lavoro familiare nell’impresa era ed è fenomeno diffuso, e prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 poteva dare luogo ad abusi ed ingiustizie.
Il legislatore ha voluto quindi  predisporre una tutela minima e inderogabile del lavoro famigliare nell’impresa. Questa tutela e’ realizzata riconoscendo ai membri della famiglia nucleare, che lavorino in modo continuativo nella famiglia e nell’impresa determinati diritti patrimoniali e amministrativi quali:
-diritto al mantenimento,
-diritto alla partecipazione agli utili, in proporzione alla quantità del lavoro prestato nell’impresa
-diritto sui beni acquiatati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda,
-diritto di prelazione sull’azienda in caso di vendita o divisione ereditaria . se infatti l’imprenditore decidesse di vendere l’impresa e quindi di cessare l attività , è previsto un diritto di prelazione x i membri dell’attività (diventa imprenditore uno dei membri della famiglia)
Inoltre sul piano gestorio è previsto che alcune decisioni di particolare rilievo sono adottate a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa stessa.
Il fallimento: l’imprenditore agisce nei confronti dei terzi in proprio e non quale rappresentante dell’impresa famigliare, sicche’ solo a lui saranno imputabili gli effetti degli atti posti in essere con l’esercizio dell’impresa e solo lui sara’ responsabile nei confronti di terzi delle relative obbligazioni contratte e quindi solo il capo famiglia –datore di lavoro sara’ passibile di fallimento.

 

11.l’impresa societaria.
Il terzo e ultimo criterio di differenziazione delle imprese e’ rappresentato dalla
 natura giuridica del soggetto titolare dell’impresa.
qualsiasi sia l’attività 3 sono le figure espressamente contemplate dal legislatore:
-impresa INDIVIDUALE,
-impresa SOCIETARIA
- impresa PUBBLICA
e tale differenziazione incide sull’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale.
Le societa’ sono forme associative tipiche (anche se non esclusive) previste dall’ordinamento per l’esercizio  collettivo di attivita’ d’impresa ed esistono diversi tipi di societa’ e che la societa’ semplice e’ utilizzabile solo per l’esercizio di attivta’ non commerciali, mentre gli altri tipi di societa’ possono svolgere sia attivta’ commerciali che agricole.
Le societa’ diverse da quelle semplici si definiscono societa’ commerciali sia imprenditoria agricola che commerciale e potranno essere imprenditori agricoli o commerciali a seconda dell’attivita’ esercita.
Quindi si distingue tra societa’ commerciale con oggetto agricolo e quella con oggetto commerciale.
 Orbene, trovano applicazione alle societa’ commerciali gli istituti tipici dell’imprenditore commerciale che segue regole leggermente diverse da quelle per l’imprenditore individuale e tali regole possono essere cosi’ sintetizzate:

  1. Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle societa’ commerciali qualunque si l’attivita’ svolta
  2. Le societa’ non sono mai piccoli imprenditori.
  3. Nelle societa’ in nome collettivo ed in accomodita semplice parte della disciplina dell’imprenditore commerciale trova poi applicazione solo o anche nei confronti dei soci a responsabilita’ illimitata

Trovano applicazione, solo nei confronti dei soci le norme che regolano l’esercizio di impresa commerciale da parte di un incapace. Trova invece applicazione anche nei confronti dei soci la sanzione del fallimento in quanto il fallimento della societa’ comporta automaticamente il fallimento dei soci a responsabilita’ illimitata.

 

12.Le imprese pubbliche
Un’attivita’ puo’ essere svolta anche dallo stato e dagli altri enti pubblici (art 41 e 43 cost). e’ rilevante distinguere tra 3  possibili forme di intervento dei pubblici poteri nel settore dell’economia:

  1. Lo stato o altro ente pubblico territoriale –regione province comuni-possono svolgere direttamente attività imprenditoriale avvalendosi di proprie strutture organizzative dotate di autonomia decisionale e contabile. In questi casi l’attività di impresa è per definizione secondaria ed accessoria rispetto ai fini istituzionali dell’ente pubblico. Si parla in questo  caso di imprese organo , come ad esempio amministrazione autonoma dei monopoli di stato e la varie aziende dette municipalizzate , erogatrici di servizi pubblici –acqua gas trasporti urbani-
  2. La pubblica amministrazione puo’ anche dar vita ad enti di diritto pubblico il suo compito istituzionale esclusivo o principale e’ l’esercizio di attivita’ di impresa. Sono detti ENTI PUBBLICI ECONOMICI come ina, enel e le ferrovie dello stato ma dal 1990 vengono privatizzate formalmente trasformandole in societa’ per azioni a partecipazione statale e altre definitivamente privatizzate in modo sostanziale.

Gli enti pubblici sono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore e se l’attività è commerciale, allo statuto proprio dell’imprenditore commerciale, con una sola eccezione: l’esonero dal fallimento sostituito con la liquidazione coatta amministrativa.

  1. Lo stato e gli altri enti possono infine svolgere attivita’ di impresa servendosi di strutture di diritto privato: attraverso la costituzione di societa’, generalmente per azioni. E’ questo il piu’ vasto settore delle societa’ a partecipazione pubblica.

13. Attività commerciale delle associazioni e delle fondazioni
Le fondazioni e le associazioni e in generale tutti gli enti privati con fini ideali o altruistici possono svolgere attivita’ commerciale qualificabile come attivita’ di impresa. ma tale attività di impresa non deve avere scopo di lucro. Infatti risulta Essenziale per aversi impresa e’ che l’attivita’ produttiva venga condotta con metodo economico (cioè che sia un attività in cui i costi e gli utili vanno in pareggio.) e tale metodo puo’ esserci anche se lo scopo perseguito sia ideale.
È più frequente però che l’attività commerciale presenti carattere accessorio rispetto all attività ideale  costituente l’oggetto principale dell’ente., ad esempio un ente religioso che gestisce un istituto di istruzione privata, o ad un sindacato che svolge attività editoriale.. anche se l attività commerciale abbia carattere accessorio però non impedisce l acquisto della qualità di imprenditore.
Fallimento: Infatti le associazioni e le fondazioni esercenti attivita’ commerciale in forma di impresa diventano sempre e comunque imprenditori commerciali e restano sempre e comunque esposte al fallimento e a tutti i rischi e alle procedure concorsuali.

 

CAPITOLO 3:  L’ACQUISTO DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE:
L’acquisto della qualita’ di imprenditore avviene secondo l’articolo 2082 con l’esercizio dell’attività di impresa.
Quando però si passa alla applicazione di tale principio, si incontrano alcune difficoltà nel rispondere ad alcuni interrogativi a cui l art.2082 non fornisce risposta.
Infatti l’art 2082 nulla dice in merito al momento in cui deve ritenersi iniziato l’esercizio dell’impresa, con conseguente acquisto della qualità di imprenditore. Nulla dice anche del momento finale dell attività di impresa. risulta quindi necessario esaminare i criteri che regolano lì esercizio di attività di impresa.
Il primo è il criterio di imputazione dell’attività di impresa.

2.l’imputazione dell’attività di impresa. Esercizio diretto dell’attività di impresa.
l’individuazione del soggetto cui è imputabile l’attività  di impresa non solleva problemi quando gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato a da altri in suo nome.
Per  poter affermare che un dato soggetto e’ diventato imprenditore e’ necessario che l’esercizio dell’attivita’ di impresa sia a lui imputabile e quindi giuridicamente a lui riferibile.

 L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DI IMPRESA: la qualità di imprenditore è acquistata dal soggetto e solo dal soggetto il cui nome è stato speso nel compimento dei singoli atti di impresa. diventa quindi imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi.
Solo questi e’ obbligato nei confronti del terzo contraente.
Quindi diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attivita’ d’impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi.

 
ESERCIZIO TRAMITE RAPPRESENTANTE:Non diventa invece imprenditore colui che gestiste l’altrui impresa quando operi spendendo il nome dell’imprenditore, per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall’interessato o riconosciutoli dalla legge. Percio’ quando gli atti di impresa sono compiuti tramite rappresentanza volontaria o legale, imprenditore diventa rappresentato e non il rappresentante.

è questo il caso ad esempio del genitore che gestisce l’impresa come rappresentante legale del figlio minore, in seguito ad autorizzazione del tribunale. Gli atti di impresa sono in questo caso decisi e compiuti dal genitore ma imprenditore è il minore, e se l’impresa è commerciale, solo il minore è esposto al fallimento.

 

 3.esercizio indiretto dell’attività di impresa. la teoria dell’imprenditore occulto.
LA TEORIA DELL’IMPRENDITORE OCCULTO rientra, cosi come per l’esercizio tramite rappresentante, nell’esercizio indiretto dell’attività di impresa.

Si verifica quando si crea una dissociazione

-tra il soggetto cui e’                                     
formalmente imputabile
la qualita’ di imprenditore                                        -ed il reale interessato,

 

questo sarebbe il fenomeno largamente diffuso, dell’esercizio dell’impresa tramite interposta persona.
Praticamente e’ un’altro soggetto detto prestanome a compiere gli atti dell’impresa
e c’e’ un’altro soggetto che somministra fondi e da indirizzo all’impresa detto dominus o imprenditore occulto.
Questo modo di operare non da particolari problemi se gli affari vanno bene ma i problemi nascono se l’impresa va male ed il soggetto utilizzato dal dominus,quindi il prestanome, sia un  nullatenente o la societa abbia un capitale sociale irrisorio(detta societa’ di comodo o d’etichetta).
In questo caso i creditori potranno provocare il fallimento del prestanome che naturalmente non puo’ provvedere ai risarcimenti relativi e tutto cio’ senza andare a toccare il dominus che legalmente non risulta facente parte la societa’ fallita.
Si e’ cercato di porre rimedio a tutto cio’attraverso l’introduzione del concetto di  responsabilita’ cumulativa dell’imprenditore palese e del dominus,
dal momento che nel nostro ordinamento giuridico è espressamente sanzionata la inscindibilità del rapporto potere-responsabilità,ossia chi esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni. Questo consentirebbe di affermare che, quando l’attivita’ di impresa e’ esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori sono sia il prestanome sia il dominus, per quanto solo il primo possa fallire.

 

Un ulteriore passo avanti si ha con la TEORIA DELL’IMPRENDITORE OCCULTO: secondo tale teoria il dominus di un’impresa formalmente altrui , rispondera’ insieme al prestanome e fallira’ sempre e comunque qualora fallisca il prestanome, e si chiama fallimento del socio occulto di societa’ palese.

( Entrambe le tesi esposte sopra si fondano sulla presunta esistenza nel nostro ordinamento di due criteri di imputazione della responsabilita’ per i debiti di impresa:

  1. il CRITERIO FORMALE della spendita del nome, in base al quale acquista la qualita’ di imprenditore, con pienezza di effetti, la persona fisica o la societa’ nel cui nome l’attivita’ di impresa e’ svolta.
  2.  il CRITERIO SOSTANZIALE del potere di direzione, in base al quale risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato cioe’ il dominus di solito neanche interpellato ne accettato.)

6.7.l’inizio dell impresa
:la qualifica di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attivita’ di impresa.
Non è sufficiente l’intenzione di dare inizio all’attività , anche se esternata con la richiesta delle eventuali autorizzazioni amministrative necessarie o con l’iscrizione in albi o registri. La stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione ne necessaria ne sufficiente per attribuzione della  qualità di imprenditore commerciale.
Che si diventi imprenditori con l’effettivo esercizio e solo con esso e’ principio pacifico per le persone fisiche e per gli enti pubblici e privati il cui scopo istituzionale non e’ lo svolgimento di attivita’ di impresa.
Invece per quanto riguarda le societa’ acquisterebbero la qualifica di imprenditori fin dal momento della loro costituzione e quindi prima dell’effettivo esercizio dell’attivita’ produttiva e sin dalla loro costituzione sarebbero soggette a tutta la disciplina dell’imprenditore.
Comunque l’art.2082 ricollega l’acquisto della qualita’ di imprenditore all’esercizio e non alla mera intenzione di esercitare attività di impresa.
Il principio dell’effettivita’, percio’, puo’ e deve trovare applicazione anche per le societa’.

l’effettivo inizio dell’attivita’ di impresa si può definire distinguendo a seconda che il compimento di atti tipici di impresa come la produzione e lo scambio di beni e/o servizi sia o meno preceduta da una fase organizzativa oggettivamente percepibile (come l’affitto del locale o l’acquisto di predisposte attrezzature.)
In mancanza di tale fase preparatoria, solo la ripetizione di atti omogeni e funzionalmente coordinati rendera’ certo che non si tratti di atti occasionali, bensi’ di attività professionalmente esercitata.
Quando invece venga preventivamente fatta l’organizzazione aziendale basta un solo atto di esercizio per dire che l’attivita’ sia iniziata. Invece per quanto riguarda le societa’, anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale, potra’ essere sufficiente per affermare che l’attivita’ di impresa e’ iniziata.

8.la fine dell’impresa
Infine andiamo a parlare del termine della impresa e anche qui c’e’ il dominio del principio di effettivita’, infatti si ha
la fine dell’impresa è dominata dal principio di effettività, secondo cui la qualità di imprenditore si perde solo con l’effettiva cessazione dell’attività.
Per l’esattezza l’art.10 della legge fallimentare stabilisce che l’imprenditore commerciale può essere dichiarato fallito entro un anno dalla data fissata come giorno di cessazione dell’attività.
Per le imprese individuali:
È importante precisare che la fine dell’impresa e’ di regola preceduta da una fase piu’ o meno lunga di liquidazione, durante la quale l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e gli impianti, licenzia i dipendenti, ecc.
Questa fase di liquidazione costituisce sempre esercizio di impresa e alla sua fine solo con una reale disgregazione del complesso aziendale, si puo dire che l’impresa ha cessato completamente la sua attività. Non è necessario che siano stati riscossi tutti i crediti e siano stati pagati tutti i debiti.


Per le imprese societarie:
solo parte dell’art. 10 si ritiene valido solo per l’imprenditore individuale perché per le imprese societarie solo dal momento dell’integrale pagamento delle passività ad opera dei liquidatori e la definizione dei rapporti fra i soci, comincerebbe a decorrere per le società il termine annuale previsto dall’art.10 legge fallimentare.
Quindi anche se una società avesse dichiarato la cessazione dell’attività , ciò non è stato per anni sufficiente a dichiararla fallita. Questo a favore dei creditori spesso ritardati       ( enti previdenziali o assistenziali e fisco ). Infatti la giurisprudenza per oltre cinquantenni ha affermato che una società , benchè cancellata dal registro delle imprese , doveva ritenersi ancora esistente ed esposta al fallimento  fin quando non fosse pagato l’ultimo debito. Una società poteva perciò essere dichiarata fallita anche a distanza di anni dalla definitiva cessazione di ogni attività di impresa. Tale situazione pero oggi è mutata . con un duplice intervento la corte costituzionale ha imposto il principio che per le società l’anno per la dichiarazione di fallimento decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese.

 

9.incapacità ed incompatibilità
La capacita’ all’esercizio di attivita’ di impresa si acquista con la piena capacita’ di agire quindi con la maggiore eta’ e si perde a seguito all’interdizione o inabilitazione. Quindi la capacità di agire è presupposto per l’acquisto della qualità di imprenditore.
Un’incapace non puo’ diventare imprenditore.
inoltre non costituiscono limitazioni della capacita’ di agire, ma semplici incompatibilita’, i divieti di esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinate professioni come gli impiegati statali, i notai e gli avvocati. La violazione di tali divieti di esercizio non preclude l’acquisto delle qualita’ di imprenditore ma espone lo stesso a sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle penali per bancarotta in caso di fallimento.
Analogamente non viene impedito l’acquisto o il riacquisto della qualifica di imprenditore  chi e’ stato inabilitato temporaneamente (inabilitazione temporanea)all esercizio di attività commerciale che consegue alla condanna per bancarotta o per ricorso abusivo al credito in caso di fallimento.

10.l’impresa commerciale dell’incapace.
E’ anche possibile l’esercizio di attivita’ di impresa
1- per conto e nell’interesse di un incapace (minore e interdetto)
2- o da parte di soggetti limitati nella capacita’ di agire ( l’inabilitato e il minore emancipato) con osservanza di specifiche disposizioni .
i principi ispiratori sono:
1.l’amministrazione del patrimonio dell’incapace e’ regolata in modo di garantirne la conservazione e l’integrita’. Percio’ il legale rappresentante del minore o dell’interdetto (genitore o tutore) e’ leggittimato solo a compiere gli atti di ordinaria amministrazione mentre quelli di straordinaria amministrazione solo in casi evidentemente urgenti sotto autorizzazione dell’autorita’ giudiziaria di regola concessa atto per atto.
2.nel caso di soggetti limitati ad agire valgono gli stessi principi, con la differenza che agiscono con l’ausilio di un curatore.
Essendo l’attivita’ commerciale di per se’ rischiosa, il legislatore considera perciò con sfavore l’impiego del patrimonio in attività commerciali e tutela ponendo il divieto assoluto di inizio di impresa commerciale per il minore, l’inabilitato e  l’interdetto.
Invece nel caso del minore emancipato è consentita la continuazione di un impresa commerciale preesistente. Infatti in presenza di un impresa già operante ,come nel caso del minore che eredita l’azienda paterna, è piu facile prevedere i rischi. Ma dal momento che l’esercizio di impresa richiede scioltezza e rapidità di decisioni il legislatore prevede un ampliamento dei poteri del rappresentante legale del 1-2.

Vediamo nello specifico cosa accade nel caso del
-Minore
-Interdetto
-Inabilitato
-Minore emancipato
Minore:non è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome o nell interesse del minore. Se in alcuni casi il minore dovesse ricevere in eredita’ una impresa commerciale, i tutori o i genitori sono autorizzati dal tribunale ad amministrare l’impresa prima con autorizzazione provvisoria, dopo con autorizzazione definitiva possono compiere tutti gli atti ordinari e straordinari dell’esercizio di impresa (ad esempio contrarre mutui, acquistare o vendere attrezzature o merci)
Interdetto: valgono le stesse regole del minore.
Inabilitato:  e’ un soggetto che puo’ compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione personalmente , seppure  esercita attivita’ di impresa affiancato da un curatore.
Quindi il minore,l’inabilitato e l’interdetto non vengono autorizzati dal tribunale ad iniziare una nuova impresa commerciale.

 il minore emancipato :puo’ chiedere al tribunale autorizzazione per iniziare una nuova impresa, se gli viene data egli acquisisce la piena capacita’ di agire e puo’ esercitare l’attivita’ di imprenditore senza l’affiancamento di un curatore. Tale disciplina ha però perso parte del suo rilievo pratico con la fissazione della maggiore età al compimento del diciottesimo anno.
Quindi acquistano la qualità di imprenditore commerciale l’inabilitato ed il minore emancipato  in quanto l’impresa è da loro personalmente esercitata , seppure nel caso dell’inabillitato con l’assistenza di un curatore.
L’acquistano la qualità di imprenditore anche il minore e l’interdetto in quanto tutti gli atti di impresa sono compiuti in loro nome dal rappresentante legale.

Chiudendo possiamo dire che se le imprese vengono gestite da essi stessi o da curatori o tutori, se l’impresa dovesse fallire e’ l’incapace a pagarne le conseguenze e ad essere iscritto nell’albo dei falliti.

 

CAPITOLO 4: LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE:

1.premessa
L’imprenditore commerciale e’ destinatario di una particolare disciplina  dell’attività, in parte comune agli altri imprenditori (il cosiddetto statuto generale dell’imprenditore)
In parte propria e specifica (il cosiddetto statuto speciale dell’imprenditore commerciale)
Ci sono poi alcuni tipi di imprese commerciali, che svolgono attività di particolare rilievo economico e/o sociale e sono destinatarie di un’ulteriore normativa speciale e settoriale, prevalentemente contenuta in leggi separate dal codice:
Si tratta di una disciplina che ha carattere essenzialmente pubblicistico,in quanto finalizzate alla tutela degli interessi generali della comunità( esempi di imprese commerciale a statuto settoriale sono  quelle assicurative,bancarie, editoriali,le società di revisione contabile e di gestione di organismo di investimento collettivo,ecc...). 

A.LA PUBBLICITA LEGALE

2.la pubblicità delle imprese commerciali
Primo elemento dello statuto e’ sicuramente la PUBBLICITA’ LEGALE: tutti quelli che operano sul mercato e quindi anche gli stessi imprenditori da sempre, sentono la necessita’ di poter disporre con facilita’ di informazioni veritiere   su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in contatto al fine di assicurare il sicuro svolgimento delle relazioni di affari e conferire certezza alle contrattazioni evitando il successivo istaurarsi di liti giudiziarie.
Per le imprese commerciali e oggi anche quelle agricole e più’ in generale per le imprese con struttura societaria, la suddetta esigenza viene espletata dallo stesso legislatore con l’introduzione della  pubblicità legale: cioè e’ previsto l’obbligo di rendere pubblico dominio dati fatti e atti della vita dell’impresa,secondo forme e norme predeterminate dalla legge.
In tal modo le informazioni legislativamente rilevanti non solo sono rese accessibili a terzi (la cosiddetta PUBBLICITA’ NOTIZIA), ma producono l’effetto tipico proprio di ogni forma di pubblicita’ legale cioe’ l’opponibilita’ a chiunque degli atti e fatti cosi’ dati conoscibili. (la cd. CONOSCIBILITA’ LEGALE).
 Il REGISTRO DELLE IMPRESE e’ lo strumento di pubblicita’ legale delle imprese commerciali non piccole e delle societa’  commerciali previsto dal cod.civ. del 1942, in sostituzione delle forme frammentarie e disorganiche di pubblicita’ contemplate dal codice di commercio del 1882. L’entrata in vigore del registro delle imprese era subordinata all emanazione del relativo regolamento di attuazione  che a lungo si è fatto attendere. Durante i lunghi anni di attesa ha trovato applicazione un regime transitorio, al quale seguirono alcune forme di pubblicità per le società di capitali e le società cooperative.a queste si aggiungevano ulteriore adempimenti pubblicitari previsti da leggi speciali, come l’iscrizione nel registro delle ditte tenuto dalle canere di commercio , disposto a carico di chiunque esercitava l’industria, il commercio e l’agricoltura. Ne risultava un sistema di pubblicità delle imprese complicato e complesso.

Dopo diversi anni la situazione si sblocca con la legge 580/1993 ,contenente norme per il riordino delle camere di commercio. L’art. 8 di tale legge ed il relativo regolamento di attuazione hanno finalmente istituito il  registro delle imprese , che è divenuto pienamente operante agli inizi del 1997 ponendo cosi fine al registro transitorio. Nel contempo ha cessato di esistere il registro delle ditte e le altre forme di pubblicità previste per le società di capitali e cooperative.
Va infine tenuto presente che la nuova disciplina del registro delle imprese ha introdotto alcune significative novità rispetto al sistema previsto dal codice del 1942 che possono essere così sintetizzate:

1.l’attuale registro delle imprese non e’ piu’ solo strumento di pubblicita’ legale delle imprese commerciali ma anche strumento di informazioni sui dati organizzativi di tutte le altre imprese estendendo l’ obbligo di iscrizione anche agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori e alle societa’ semplici e alle societa’ tra avvocati.

2.la tenuta del registro dell’imprese e’ affidata alle camere di commercio, con conseguente cessazione dei compiti di pubblicita’ legale delle imprese in passato svolti dalle cancellerie dei tribunali.

3.il registro delle imprese e’ tenuto con tecniche informatiche e quindi non piu’ in forma cartacea, in modo di assicurare completezza ed organicita’ della pubblicita’ e da garantire la tempestivita’ dell’informazione su tutto il territorio nazionale.

3.il registro delle imprese
L’ufficio del REGISTRO DELLE IMPRESE  e’ istituito in ciascuno provincia presso le camere di commercio ed e’ retto da un conservatore( segretario generale o altro dirigente della camera di commercio) nominato dalla giunta.

Nello specifico il registro si articola in una parte ORDINARIA  e in sezioni SPECIALI.
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione al registro era originariamente prevista dal codice civile
(vi sono inseriti nella parte ordinaria: imprenditori commerciali singoli non piccoli, tutte le societa’ non semplici  a prescindere dal tipo di attivita’,i consorzi tra imprenditori con ativita’ estena, gli enti pubblici con prima ed esclusiva attivita’ commerciale, le societa’ estere che hanno in italia sede dell’amministrazione).

Invece le sezioni speciali sono due:
in una sono iscritti gli imprenditori che avevano l’iscrizione solo come pubblicita’ notizia prima della riforma del 1993 (imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori e le societa’ semplici e gli artigiani gia’ iscritti nel relativo albo)
e nell’altra sezione vi si iscrivono le societa’ tra professionisti( in questa sezione si iscrivono attualmente le sole società tra avvocati).

 

Nel complesso gli atti e i fatti da registrare , specificati da una serie di norme, sono diversi a seconda della struttura delle imprese ma essenzialmente riguardano: gli elementi di individuazione  dell’imprenditore e dell’impresa (dati anagrafici imprenditore, oggetto, ditta, sede principale,inizio e se prevista la fine della societa’) e nonche’ la struttura e l’organizzazione delle societa’( come atto costitutivo e amministratori). Le iscrizioni devono essere fatte nel registro della provincia in cui ha sede l’impresa e si ha a seguito della richiesta dell’interessato ma puo’ aversi anche d’ufficio se l’iscrizione risulta obbligatoria e l’interessato non vi provvede. In ogni caso, prima dell’iscrizione l’ufficio del registro deve controllare che il fatto o l’atto e’ soggetto a iscrizione e che la documentazione e’ formalmente regolare, nonche’ l’esistenza e la veridicita’ dell’atto o del fatto (cd. Legalita’ formale)ed e’ invece da escludersi che il controllo possa investire anche la validita’ dell’atto/fatto (cd. Legalita’ sostanziale). L’iscrizione, se vengono eseguiti giustamente i passi suddetti, avviene dopo dieci giorni dalla data di protocollazione della domanda mediante inserimento dei dati nella memoria del’elaborazione elettronica e messa degli stessi a disposizione del pubblico sui terminali per la visione diretta. L’inosservanza dell’obbligo di registrazione e’ punita con sanzioni amministrative pecuniarie. L’iscrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di pubblicita’ legale, serve cioe’, non solo a rendere conoscibili i dati pubblicati, ma ha anche, a seconda dei casi, efficacia e dichiarativa, costituita o normativa. Di regola, l’iscrizione nella sezione ordinaria ha efficacia semplicemente dichiarativa, rileva cioe’ sul piano dell’opponibilita’ dell’atto o del fatto iscritto. Gli atti e i fatti soggetti ad iscrizione ed iscritti sono opponibili a chiunque e lo sono dal momento stesso della loro registrazione (cd. Efficacia positiva immediata). Intervenuta la registrazione, i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto e qualsiasi prova a riguardo daranno, sara’ inutilmente data. L’omessa iscrizione invece impredisce che il fatto possa essere opposto ai terzi (cd. Efficacia negativa). In alcuni casi, tassativamente previsti, l’iscrizione produce effetti ulteriori e piu’ rilevanti. E’ anche presupposto perche’ l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti che per i terzi (efficacia costitutiva totale), ovvero solo nei confronti dei terzi (efficacia costitutiva parziale). Ha efficacia costitutiva totale l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo delle societa’ di capitali e delle societa’ cooperative. In altri casi, infine, l’iscrizione nella sezione ordinaria e’ presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico. E’ questo il caso della societa’ in nome collettivo e della societa’ in accomandita semplice. Tali societa’ vengono ad esistenza anche se non registrate ma, la mancata registrazione impredisce che operi il regime di autonomia patrimoniale proprio di tali societa’ e comporta l’applicazione del piu’ gravoso  regime al riguardo delle societa’ semplici. La societa’ in tal caso si definisce irregolare. L’iscrizione nelle sezioni speciali del registro non produce invece, alcuno degli effetti fin qui esposti in quanto, oltre agli eventuali effetti previsti da leggi speciali, ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicita’ notizia. Questa disciplina e’ stata di recente modificata per gli imprenditori agricoli anche piccoli e per le societa’ semplici esercenti attivita’ agricola. Il decr.legs. 228/2001, ha infatti stabilito che per tali categorie di imprenditori l’iscrizione nella sezione speciale ha anche efficacia di pubblicita’ legale. E’ cosi’ cancellata sotto tale profilo la diversita’ di disciplina fra imprenditore agricolo (anche piccolo) e imprenditore commerciale e, e’ venuta meno la netta distinzione di effetti fra la sezione ordinaria e le sezioni speciali introdotta dalla riforma dl 1993. Il registro delle imprese e’ pubblico. Chiunque puo’ consultarne i dati sui terminali degli elaboratori elettronici installati presso l’ufficio o anche su terminali degli utenti collegati tramite il sistema informativo delle camere di commercio. Ciascun ufficio rilascia, certificati e copie di atti tratti dai propri archivi informatici. Il duplice regime di pubblicita’ e’ stato soppresso nel 1997 e ne consegue che anche le societa’ di societa’ di capitali e le societa’ cooperative lo strumento di pubblicita’ legale torna ad essere, solo il registro delle imprese e trova oggi integrale applicazione la disciplina esposta nel paragrafo precedente. Restano tuttavia due differenze:

  1. mentre in base alla disciplina generale del registro delle imprese gli atti scritti sono immediatamente opponibili ai terzi senza possibilita’ per quest’ultimi di eccepire l’ignoranza degli stessi, per le sole societa’ di capitali l’opponibilita’ diventa invece piena solo decorsi quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese. Per le operazioni compiute in questo periodo i terzi sono infatti ammessi a provare di essere stati nell’impossibilita’ di avere conoscenza dell’atto.
  2. restano ferme le disposizioni che per alcuni atti delle societa’ di capitali e/o delle societa’ cooperative prevedono la pubblicazione nella gazzetta ufficiale anziche’ nel registro delle imprese.

B.LE SCRITTURE CONTABILI

5.l’obbligo di tenuta delle scrittura contabili
Secondo elemento dello statuto dell’imprenditore commerciale e’  LE SCRITTURE CONTABILI: la programmazione consapevole e razionale dell’attivita’ di impresa presuppone una costante informazione ed un costante controllo sull’andamento degli affari. E’ altresi’ regola razionale di condotta delle imprese accettare periodicamente la consistenza quantitativa e monetaria del patrimonio (attivita’ e passivita’), nonche’ i costi supportati e i ricavi realizzati nel medesimo periodo al fine di verificare se e quale sia l’utile conseguito o la perdita subita. Le scritture contabili sono documenti che contengono la rappresentazione dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attivita’ svolta. Le scritture contabili contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione dell’impresa e percio’ sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore. La tenuta delle scritture contabili e’ elevata ad obbligo e legislativamente disciplinata per gli imprenditori con attivita’ commerciale. La disciplina suddetta non si applica ai piccoli imprenditori anche quelli commerciali. Inoltre le società commerciali( tutte tranne le società semplici) devono ritenersi obbligate alle scritture contabili anche se non esercitano attività puramente commerciali. Altro punto controverso e’ se l’obbligo civilistico delle scritture contabili gravi sugli enti pubblici e sugli enti di diritto privato diversi dalle società che svolgono attività commerciale in via secondaria ed accessoria, sia pure limitatamente all’attivita’ commerciale esercitata.

6.Le scritture contabili obbligatorie. Regolarità e Controllo
Per quanto riguardano le scritture contabili obbligatorie le quali sono necessarie per un’ordinata contabilità variano a seconda del tipo di attività, delle dimensioni e dell’articolazione territoriale  dell’impresa. Il legislatore ha optato per una soluzione di tipo misto fissata dall’art.2214. La norma pone il principio generale che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Stabilisce inoltre che in ogni caso devono essere tenuti determinati libri contabili: il LIBRO GIORNALE e il LIBRO DEGLI INVENTARI. Infine, devono essere ordinatamente conservati, per ciascun affare, gli originali della CORRISPONDENZA COMMERCIALE (lettere, fatture, telegrammi) ricevuta e le copie di quella perdita. Il libro giornale e’ un registro cronologico - analitico. In esso devono essere indicate giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Il precetto e’ però da intendersi in senso elastico. Basta che le operazioni siano registrate nell’ordine in cui sono compiute e non necessariamente il giorno stesso del loro compimento. Non e’ altresì necessario registrare separatamente ciascuna operazione, purché le singole registrazioni riguardino operazioni omogenee compiute nella giornata. Il libro giornale può essere articolato in libri parziali in relazione alle articolazioni dell’impresa. Il libro degli inventari e’ invece, un registro periodico-sistematico, deve essere redatto all’inizio dell’esercizio dell'impresa per ogni anno. L'  inventario ha la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore. Deve percio’ contenere l’indicazione e la valutazione delle attivita’ e delle passivita’ dell’imprenditore, anche estranee all’impresa. L’inventario si chiude col bilancio comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico. Il bilancio e’ un prospetto contabile riassuntivo dal quale devono risultare con evidenza e verita’ la situazione complessiva del patrimonio
( cd.stato patrimoniale) alla fine di ciascuno anno, nonche’ gli utili conseguiti o le perdite subite (cd. conto economico) nel medesimo arco di tempo. La redazione del bilancio e’ analiticamente disciplinata in tema di societa’ per azioni con norme che fissano sia il contenuto del bilancio e sia i criteri che devono essere seguiti nella valutazione delle singole voci. Tuttavia l’art.2217 comma 2, nel fissare in via generale l’obbligo di redazione del bilancio, rinvia all disciplina della spa solo per quanto riguarda i criteri di valutazione. Il rinvio riguarda il carattere globale tutti gli imprenditori debbano osservare anche le disposizioni che disciplinano il contenuto del bilancio delle spa. Il rispetto del principio generale sopra enunciato imporra’ poi, nel caso concreto, la tenuta di tutte le altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Ad esempio: il libro mastro o il libro cassa o anche il libro magazzino. La scelta delle altre scritture contabili  da tenere e’ rimessa alla discrezionalita’ dell’imprenditore sia pur con certi limiti segnati nella ordinaria contabilita’. Per garantire la veridicita’ delle scritture contabili ed in particolare per impedire che le stesse siano successivamente alterate, e’ imposta l’osservanza di determinate regole formali e sostanziali nella loro tenuta. La regole formali sono state tuttavia prograssivamente ridotte, in base all’attuale disciplina il libro giornale e il libro dell’inventario devono essere solo numerati progressivamente in ogni pagina prima di essere messi in uso. Tutte le scritture contabili  devono poi essere tenute secondo le norme di ordinaria contabilita’ e per l’art. 2219 , senza spazi in bianco, senza interlinee, senza abrasioni, e in un modo che le parole cancellate restino leggibili (cd. Formalità intrinseche). L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi radicalmente irrilevanti. Le scritture contabili e la corrispondenza commerciale devono essere conservate per dieci anni e la conservazione puo’ essere tenuta con mezzi informatici. Le scritture contabili, di norma, non sono soggette a controlli esterni ma si tratta di una regola che subisce eccezioni a tutela degli interessi esterni all’impresa coinvolti dalla regolare tenuta della contabilità.
L’obbligo di tenuta della scritture contabili non e’ assistito da alcuna sanzione generale e diretta, salvo quelle previste dalla legislazione tributaria. Non mancano sanzioni eventuali ed indirette. L’imprenditore che tiene regolarmente le scritture contabili non puo’utilizzarle come mezzo di prova a suo favore. Non puo’ inoltre essere ammesso al concordato preventivo, e all’amministrazione controllata. E’ infine assoggettato alle sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento.

7.la rilevanza esterna delle scritture contabili. l’efficacia probatoria.
Pero’ le scritture contabili posso essere molto utili e rilevanti per l’esterno. Infatti le informazioni sulla vita dell’impresa desumibili dalle scritture contabili non sono accessibili ai terzi in quanto l’interesse dell’imprenditore al segreto riceve tutela preferenziale. Il bilancio delle società di capitali e delle societa’ cooperative dve essere reso pubblico mediante deposito presso l’ufficio del registro delle imprese. Nelle imprese soggette a controllo pubblico, il diritto al segreto non sussiste nei confronti dell’organo pubblico preposto. Comunque l’ipotesi piu’ significativa di rilevanza esterna delle scritture contabili si ha tuttavia, sul piano processuale, potendo le stesse essere utilizzate come mezzo di prova sia a favore, sia contro l’imprenditore. Le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore  che le tiene. Il terzo che vuol trarre vantaggio dalle scritture contabili di un imprenditore non puo’ pero’ scinderne il contenuto, non puo’ cioe’ avvalersi solo della parte a lui favorevole (art.2709) l’imprenditore potra’ inoltre dimostrare con qualsiasi mezzo che le proprie scritture non rispondono a verita’. Piu’ rigorose sono invece le condizioni previste perche’ l’imprenditore possa utilizzare le proprie scritture contabili come mezzo processuale di prova contro i terzi. A tal fine e’ necessario che ricorrano tre condizioni:

  1. trattare scritture regolarmente tenute.
  2. e’ necesario che la controparte sia a sua volta un imprenditore
  3.  la controversia sia relativa a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.

E’ rimesso all’apprezzamento del giudice riconoscere valore probatorio alle scritture contabili. Quanto ai modi di acquisizione nel processo delle scritture contabili, il giudice puo’ chiedere solo l’esibizione di singole scritture contabili, ovvero di tutti i libri ma solo per estrarne le registrazioni concernenti la controversia in esame. Tuttavia, in tre casi tassativi il giudice può ordinare la comunicazione alla controparte di tutte le scritture contabili: controversie relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni e alla successione per causa di morte.

C.LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE

8.Ausiliari dell’imprenditore commerciale e rappresentanza.
Ultimo elemento dello statuto dell’imprenditore commerciale e la RAPPRESENTANZA COMMERCIALE: nello svolgimento della propria attività l’imprenditore si avvale della collaborazione di altri soggetti, stabilmente inseriti nella propria organizzazione aziendale per affetto di un rapporto di lavoro subordinato che li lega all’imprenditore (cd. Ausiliari interni o subordinati). Di soggetti esterni all’organizzazione imprenditoriale che collaborano con l’imprenditore, in modo occasionale o stabile, sulla base di rapporti contrattuali di varia natura: mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione (cd. Ausiliari esterni o autonomi). In entrambi casi la collaborazione puo’ riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore: l’agire in rappresentanza dell’imprenditore. Il fenomeno della rappresentanza e’ regolata in generale nell’art. 1387 e ss del cod.

Civ e in modo specifico in leggi speciali quando si tratti di atti inerenti l’esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcune figure atipiche di ausiliari interni come INSITORI, PROCURATORI e COMMESSI. E’ regola generale che il conferimento ad altro soggetto dall’incarico di compiere uno o piu’ atti giuridici relativi alla propria sfera patrimoniale non abilita di per se’ l’incaricato ad agire in nome dell’interessato, con conseguente imputazione diretta degli effetti degli atti posti in essere. A tale fine e’ necessario l’espresso conferimento del potere di rappresentanza, con ulteriore e specifica dichiarazione di volonta’ tramite la procura (art. 1387, art.1704). inoltre il potere di rappresentanza sussiste nei limiti fissati dalla procura stessa e presuppone che questa sia conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere. Il terzo che contratta con chi dichiara di agire in veste di rappresentante e’ tenuto percio’ ad accertare l’esistenza, contenuto e regolarita’ formale dlla procura, esigendo che il rappresentante giusitifichi i suoi poteri. Cio’ i  quanto, e’ sul terzo contraente che ricade il rischio della mancanza o del difetto di potere rappresentativo della controparte. Il contratto concluso dal falso procurato e’ infatti improduttivo di effetti e il terzo, non potra’ vantare, alcun diritto nei confronti del preteso rappresentato. Sono queste regole che tutelano poco e male il terzo contraente e che ostacolano le contrattazioni tramite rappresentante e lo sviluppo degli affari  esono regole che trovano applicazione anche quando si tratti di atti compiuti per un imprendtiore commerciale da parte di collaboratori stabili ed esterni alla sua organizzazione. Queste regole cedono il passo ad altre quando si e’ in presenza di determinate figure tipiche di ausiliari interni che sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi ed a concludere affari per conto dell’imprenditore. Vige in questo caso una disciplina racchiusa in sistemi speciali sulla rappresentanza fissati negli art. 2203-2213 cc, i cui principi ispiratori possono essere cosi’ detti: per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale, insitori, procuratori e commessi sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore e di un potere di rappresentanza ex lege commisurato al tipo di mansioni che la qualifica comporta. Il loro potere di vincolare direttamente l’imprenditore non si fonda sulla presenza e sulla validita’ di una procura, ma costituisce effetto naturale di quella determinata colocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore. Sono questi i principi comuni a tutte e tre le figure di ausiliari, che si differenziano fra loro per la diversa funzione nell’impresa e quindi per la diversa ampiezza del rispettivo potere rappresentativo. Infatti chi conclude affari con uno di tali ausiliari dell’imprenditore commerciale dovra’ solo verificare se l’imprenditore ha modificato, con atto espresso e reso pubblico, i lori naturali poteri rappresentativi.

9.l’istitore
Ora andiamo piu’ nello specifico di questi ausiliari il primo e’ L’INSITORE:  colui che e’ preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa, e’, nel linguaggio comune, il direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo, praticamente un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente al vertice della gerarchia del personale, in virtu’ di un atto di preposizione dell’imprenditore. E’ possibile che piu’ insitori siano preposti contemporaneamente all’esercizio dell’impresa e in tal caso essi agiranno disgiuntamente sempre se nella procura non e’ previsto diversamente. La delineata posizione comporta innanzitutto che l’insitore e’ tenuto, congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede cui e’ preposto(art.2205) ed in caso di fallimento dell’imprenditore troveranno applicazione anche nei confronti dell’insitore le sanzioni penali a carico del fallito: fermo restando che solo l’imprenditore potra’ essere dichiarato fallito e solo l’imprenditore sara’ esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento. Anche in mancanza di espressa procura, l’insitore puo’ compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa o della sede o del ramo cui e’ preposto. E’ comunque certo che l’insitore non e’ legittimato a compiere atti che esorbitano dalle sue mansioni come potrebbe essere la vendita o l’affitto dell’impresa. Per quanto riguarda poi la rappressentanza processuale, l’insitore puo’ stare in giudizio, sia come attore, sia come convenuto per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa a cui e’ preposto. I poteri rappresentativi dell’insitore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore e le limitazioni saranno pero’ opponibili ai terzi solo se la procura  originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese e mancando tale pubblicita’ legale la rappresentanza si reputa generale salvo la prova da parte dell’imprenditore che ai terzi effettivamente conoscevano l’esistenza di limitazioni al momento della conclusione dell’affare. Benche’ il legislatore parli in piu’ norme di una procura da parte del proponente, questa non e’ affatto necessaria perche’ l’insitore possa ritenenrsi investito della rappresentanza generale dell’imprenditore. Procura e pubblicita’ saranno necessarie solo se l’imprenditore voglia limitare i poteri dell’insitore, idem e’ per la procura che vale per terzi solo se pubblicata o se l’imprenditore comprova che era a conoscenza dei terzi.

10.procuratore
Secondo ausiliari interno dell’imprenditore e’ il PROCURATORE: colui che in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti preminenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad esso (art.2209). Sono degli ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all’insitore infatti, sono procuratori il direttore del settore acquisti, il dirigente del personale, il direttore del settore pubblicita’. In mancanza di specifiche limitazioni scritte nel registro delle imprese, i procuratori sono ex lege investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore: generale rispetto alla specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale comunque il procuratore:

  1. non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore
  2. non e’ soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili, l’imprenditore non rispondera’ per gli atti compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.

 

11.i commessi
Ultimo ausiliario interno dell’imprenditore nella gestione dell’esercizio di impresa e’ la figura del cosidetto COMMESSO: sono ausiliari subordinati a cui sono affidate le mansioni esecutive e materiali che li pongono in contatto con i terzi, ai commessi e’ riconosciuto potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento ma ha un potere molto piu’ limitato in confronto a insitori e procuratori. Il principio base e’ che essi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazione di cui sono incaricati. Salvo espressa autorizzazione i commessi non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, ne’ concedere dilazioni o sconti o sconti che  non siano d’uso; non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte dall’imprenditore o alle clausole stampate nei moduli dell’impresa e i commessi, se predisposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo  fuori dai locali stessi e ne’ possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione e’ destinata apposita cassa. A tutti i commessi e’ riconosciuta la legittimazione a ricevere per conto dell’imprenditore le dichiarazioni che riguardano l’esecuzione dei contratti e dei reclami relativi alle inadempienze da contratto. Non e’ previsto un sistema di pubblicita’ legale, percio’ le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei o se si prova l’effettiva conoscenza.

 

 

 CAPITOLO 5:    L’AZIENDA:  l’azienda e’ il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art.2555) . Da questa sintetica nozione emerge con evidenza il rapporto esistente fra azienda e impresa sotto il profilo giuridico. E’ un rapporto di mezzo a fine: l’azienda costituisce l’apparato strumentale (locali,macchinari, materie prime, merci) di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento della propria attivita’. Nella nozione di azienda l’accento va posto sul dato dell’organizzazione, infatti l’azienda e’ un insieme di beni eterogenei che subisce modificazioni qualitative e quantitative anche radicali nel corso dell’attivita’. E’ e resta pero’ un complesso caratterizzato da un’unita’ di tipo funzionale. Organizzazione e destinazione ad un fine produttivo sono dati fattuali che attribuiscono ai beni costituiti in azienda e all’azienda nel suo complesso specifico e particolare rilievo economico, prima ancora che giuridico. E cio’ sotto molti profili: i beni organizzati in azienda consentono la produzione di utilita’ nuove, diverse e maggiori di quelle traibili dai singoli beni isolatamente considerati. Se sul piano pratico l’azienda si risolve nei beni che la compongono, sul piano dinamico essa e’ un nuovo “valore”, per l’attitudine alla produzione di nuova ricchezza che l’organizzazzione le conferisce. Il rapporto di strumentalita’ e di complementarieta’ fra i singoli elementi costitutivi della azienda, fa si che il complesso unitario acquisti di regola un valore di scambio maggiore della soma dei valori dei singoli beni che in un dato momento lo costituiscono, tale maggiore valore si definisce AVVIAMENTO. L’avviamento dell’azienda e’ rappresentatodalla sua attitudine a consentire la realizzazione di un profitto e puo’ dipendere sia da fattori oggettivi sia da fattori soggettivi. Si suole tradizionalmente distinguere fra avviamento oggettivo e avviamento soggettivo. E’ avviamento oggettivo quello ricollegabile a fattori suscettibili di permanere anche se muta il titolare dell’azienda in quanto insiti nel coordinamento funzionale esistente tra i diversi beni, invece e’ definito avviamento soggettivo quello dovuto all’abilita’ operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla sua abilita’ nel formarsi, consevare ed accrescere la clientela. Passando dalla descrizione della realta’ economica al suo rilievo normativo, e’ da tenere presente che l’unita’ economica dell’azienda e gli interessi, sia individuali che generali, al mantenimento di tale unita’ trovano oggi significativo riconoscimento nella disciplina dettata nel codice per il trasferimento dell’azienda (art. 2556/2562). Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo dell’azienda e’ infatti sottoposto ad un regime normativo che sotto piu’ profili deroga alla disciplina di diritto comune delle corrispondenti vicende circolatorie aventi ad oggetto singoli beni o complessi di beni non finalizzati allo svolgimento di attivita’ di impresa. Il passaggio da un soggetto ad un altro comporta infatti peculiari effetti ex lege ispirati dalla finalita’ di favorire la conservazione dell’unita’ economica e del valore di avviamento dell’azienda, a tutela di quanti su tali unita’ e su tale valore hanno fatto specifico affidamento. Invece sono ELEMENTI CONSTITUTIVI DELL’AZIENDA sono tutti i beni, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa( art.2555). Per qualificare un dato bene come bene aziendale rilevante e’ percio’ solo la destinazione funzionale impressagli dall’imprenditore. Irrelevante e’ invece il TITOLO GIURIDICO che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene nel procecesso produttivo. Non possono essere percio’ considerati beni aziendali i beni di proprieta’ dell’imprenditore che non siano da questi effettivamente destinati allo svolgimento dell’attivita’ di impresa. Viceversa, la qualifica di bene aziendale compete anche quei beni di proprieta’ di terzi di cui l’imprenditore puo’ disporre in base ad un valido titolo giuridico, purche’ attualmente impiegati nell’attivita’ di impresa, tipico esempio e’ il macchinario preso a leasing. Comunque l’opinione piu’ diffusa qualifica elementi costitutivi dell’azienda solo lecose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale per l’esercizio di impresa. In definitiva, l’azienda e’ e resta un complesso di soli beni (cose) e non e’ concepibile come un complesso di beni e di rapporti giuridici. Il che comporta, sul piano applicativo, che di trasferimento di azienda si potra’ parlare quand’anche le parti abbiano espressamente escluso dal trasferimento i contratti aventi ad oggetto prestazioni di cose future o di servizi, i crediti e i debiti e quand’anche un valore positivo di avviamento non sia riscontrabile perche’, ad esempio, oggetto di vendita o di affitto e’ il complesso aziendale di un imprenditore fallito. Cambiando argomento, molto si e’ discusso sulla natura giuridica dell’azienda e vivo e’ stato soprattutto in passato, il contrasto traTEORIE UNITARIE E TEORIE ATOMISTICHE. Le teorie unitarie considerano l’azienda come un bene unico, un bene nuovo e distinto rispetto ai singoli beni che la compongono si ‘ cosi’ affermato che l’azienda e’ un BENE IMMATERIALE, rappresentato dall’organizzazione stessa e sempre nella stessa ottica l’azienda e’ stata qualificata come un’UNIVERSALITA’ DI BENI, opinione questa che riscuote ancor oggi largo seguito soprattutto in giurisprudenza. Si ritiene percio’ che il titolare dell’azienda abbia sulla stessa un vero e proprio DIRITTO DI PROPRIETA’ UNITARIO, destinato a coesistere con i diritti che vanta sui singoli beni, potrebbe percio’ tutelare il suo diritto sul complesso aziendale con gli strumenti che l’ordinamento concede al titolare del diritto di proprieta’, anche se tale diritto non vanta su taluni beni aziendali. Invece la TEORIA ATOMISTICA concepisce l’azienda come una SEMPLICE PLURALITA’ di beni tra loro funzionalmente collegati e sui quali l’imprenditore puo’ vantare diritti diversi. Si esclude percio’ che esista un bene azienda formante oggetto di autonomo diritto di proprieta’ o di altro diritto reale unitario e, quindi, si attribuisce significato atecnico alle norme che parlano di proprieta’ o di proprietario dell’azienda e di usufrutto della stessa. Questa contrapposizione viene drasticamente ridimensionato. Ed invero, la possibilita’ di concepire l’azienda come un nuovo bene sotto ogni profilo e a tutti gli effetti trova significato e decisivo ostacolo nei dati normativi. Da questi emerge con chiarezza che l’unificazione giuridica dei beni aziendali e’ solo relativa e funzionale, dato che per il trasferimento del complesso aziendale dovranno essere necessariamente osservate le forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda (art.2556). La concezione atomistica si lascia percio’ preferire come scelta base. Comunque e’ vero che l’azienda e’ definita come universalita’ di beni dall’art.670 c.p.c. che prevede il sequestro giudiziario di aziende e altre universalita’ di beni. E’ altrettanto vero pero’ che il considerare l’azienda un’universalita’ di beni non offre argomenti per concepire la stessa un bene nuovo e unitario. Comunque norme specifiche sono dettate solo per le universalita’ di beni mobili che non possono essere applicate in modo diretto e integrale all’azienda, percio’ si puo’ dire che il omune profilo unitario legittima il riferimento alle norme suddette per la soluzione di problemi pratici lasciati insoluti dalla disciplina dell’azienda. Cosi’, puo’ ammettersi, al pari delle universalita’ di mobili:

  • l’insieme dei beni mobili aziendali di proprieta’ dell’imprenditore sia sottratto all’applicazione della regola secondo cui il possesso in buona fede vale titolo, valida per i singoli beni mobili, mentre  il problema non si pone neppure per gli immobili aziendali e i beni mobili registrati.
  • Il complesso mobiliare aziendale possa essere acquistato per uso capione solo in virtu’ del possesso continuato per vent’anni (art.1160), in luogo del termine decennale previsto per i singoli beni mobili( art.1161).
  • Il titolare dell’azienda possa avvalersi dell’azione di manutenzione anche per tutelare il possesso dell’insieme dei beni mobili aziendali.

Cambiando ulteriormente discorso  si puo’ dire sulla CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA E L’OGGETTO E LA FORMA DEI CONTRATTI TRASLATIVI,  che puo’ formare oggetto di disposizione di diversa natura. Puo’ essere venduta, conferita in societa’, donata e sulla stessa possono essere altresi’ costituiti diritti reali o personali di godimento a favore di terzi. L’imprenditore puo’ ovviamente compiere anche atti di disposizione che riguardano uno o piu’ beni aziendali. E’ principio consolidato che la qualificazione di una data vicenda circolatoria come trasferimento di azienda o come trasferimento i singoli beni aziendali deve essere operata secondo criteri oggettivi: guardando cioe’ al risultato perseguito e realizzato e non al nomen dato dal contratto dalle parti o alla loro intenzione soggettiva. E cio’ perche’ il trasferimento di azienda produce effetti che incidono anche sulla posizione dei terzi; se cio’ e’ pacifico e altrettanto pacifico che per aversi trasferimento di azienda, non e’ necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso aziendale, tutti i beni attualmente utilizzati dal trasferente nella propria azienda. E nell’ambito della disciplina del trasferimento si resta anche quando l’imprenditore trasferisca un ramo particolare della sua azienda, purche’ dotato di organicita’ operativa. Necessario, ma al tempo stesso sufficiente, e’ che sia trasferito un insieme di beni di per se’ potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attivita’ di impresa e cio’ quand’anche il nuovo titolare debba integrare il complesso con ulteriori fattori produttivi per farlo funzionare (es. Altre materie prime). E’ percio’ necessario che i beni esclusi dal trasferimento non alterino l’unita’ economica e funzionale di quella data azienda. D’altro canto, accertato con criteri oggettivi che si e’ in presenza di un trasferimento di azienda, l’atto di disposizione comprendera’ tutti i beni presenti in quel dato momento nell’azienda, anche se non specificatamente menzionati nel contratto. Il collegamento funzionale esistente fra i beni aziendali legittima tale interpretazione della volonta’ sinteticamente espressa dalle parti. Naturalmente, i vari beni aziendali passeranno all’acquirente nella medesima situazione giuridica (proprieta’, diritto reale o personale di godimento) in cui si trovavano presso il trasferente, se nulla e’ espressamente pattutito al riguardo. Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’art. 2556 nel testo modificato nella legge 310/1993. E’ al riguardo da operare una netta distinzione fra forma necessaria per la VALIDITA’ DEL TRASFERIMENTO e FORMA RICHIESTA AI FINI PROBATORI e per la OPPONIBILITA’ AI TERZI. In merito alla VALIDITA’ e’ data una stessa disciplina per ogni tipo di azienda; i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprieta’ o la concessione in godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto. Manca quindi un’autonoma e unitaria legge di circolazione dell’azienda e il trasferimento di ciascun bene aziendale segue il regime dettato in via generale. Cosi’, per trasferimento in proprieta’ all’acquirente degli immobili aziendali di proprieta’ dell’alienant sara’ necessaria la forma scritta a pena di nullita’ e dovranno essere altresi’ rispettate le regole di forma previste per il particolare negozio traslativo posto in essere. Invece per quanto riguarda la forma richiesta a fine della prova, solo per le imprese soggette a registrazione secondo il sistema originario del codice civile e’ poi previsto  che ogni atto di disposizione dell’azienda deve essere provato per iscritto. La scrittura e’ chiaramente richiesta solo ad probationem e la sua mancanza comportera’ come unico effetto che, in una eventuale controversia giudiziaria, le parti non potranno avvalersi della prova per testimoni per dimostrare l’esistenza del contratto. E sempre per le imprese soggette a registrazione, il secondo comma dell’art.2556 stabilisce che i relativi contratti sono soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese. E nel nuovo testo del 310/1993, la norma prescrive che il contratto di trasferimento deve essere sempre redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve essere depositato a cura del notaio per l’iscrizione nel termine di trenta giorni. La disposizione persegue anche finalita’ di ordine pubblico e cio’ spiega perche’, forzando la lettera della norma, si tende a riconoscere che l’obbligo di registrazione sussiste anche quando sia l’alienante sia l’acquirente siano imprenditori tenuti solo all’iscrizione nelle sezioni speciali del registro delle imprese. Resta tuttavia fermo che solo l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro, se dovuta, produce la funzione dichiarativa (opponibilita’ del trasferimento) nei confronti dei terzi a suo tempo esposta. Altro argomento e’ inoltre il DIVIETO DI CONCORRENZA infatti oltre gli effetti dedotti in contratto, l’alienazione dell’azienda produce ex lege effetti ulteriori, dispositivi od inderogabili, che riguardano il divieto di concorrenza dell’alienante, i contratti, i crediti e i debiti aziendali (art.2557 a 2560). Chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anno dal trasferimento, dall’iniziare una nuova azienda “per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze” che possa sviare la clientela dall’azienda ceduta (art.2557). Se l’azienda  e’ agricola, il divieto opera solo per le attivita’ ad essa connesse e sempre che rispetto a tali attivta’ sia possibile sviamento della clientela. La norma contempla due opposte esigenze: quella dell’acquirente dell’azienda di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento (soggettivo), del quale di regola si e’ tenuto conto nel prezzo d’acquisto e quella dell’alienante a non vedere compressa la propria liberta’ di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela. Il divieto di concorrenza e’ derogabile e ha carattere relativo sussiste nei liimiti in cui la nuova attivita’ di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela all’azienda ceduta. Le parti possono anche ampliare la portata dell’obbligo di astensione, pureche’ non sia impedita ogni attivita’ professionale all’alienante. E’ in ogni caso vietato prolungare oltre i cinque anni la durata del divieto. Il divieto e’ da ritenersi applicabile anche quando la vendita e’ coattiva. Maggiore incertezza solleva invece l’applicazione del divieto di concorrenza in altre ipotesi non espressamente regolate:

  • Divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda caduta in successione ad uno degli eredi.
  • Scioglimento di una societa’ con assegnazione dell’azienda sociale ad uno dei soci quale quota di liquidazione.
  • Vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione sociale di controllo di una societa’ di persone o di capitali.

Nei primi due casi non si puo’ affermare che vi e’ stato trasferimento di azienda da un’erede all’altro o da un socio all’altro, sicche’ sembrerebbe da escludersi che gli altri eredi o gli altri soci siano tenuti a rispettare il divieto di concorrenza, nel terzo caso poi un negozio traslativo c’e’, ma ha per oggetto le quote o le azioni della societa’ e non dell’azienda, che formalmente resta della societa’, non ricorre quindi il presupposto per l’applicazione dell’art.2557. E’ indubbio pero’ che in sede di divisione erdeitaria o nello stabile la quota di liquidazione spettante a ciascun socio  si tiene di regola conto anche del valore di avviamento dovuto alla clientela. Non e’ percio’ senza fondamento applicare il divieto di concorrenza a favore dell’erede o del socio che subentra nell’azienda ed a carico degli altri eredei o degli altri soci. E’ indubbio altresi’ che la vendita dell’intero pacchetto azionario o di una partecipazione di controllo permettono di raggiungere un risultato economico sostanzialmente coincidente con la vendita dell’azienda, anche se formalmente non vi e’ stato alcun trasferimento dell’azienda stessa. Comunque il divieto di concorrenza dovra’ ritenersi violato ogni qualvolta si sia avuto lo sviamento della clientela dell’azienda ceduta, per fatto concorrenziale direttamente o indirettamente imputabile all’alienante. Il che non e’ sempre facile da provare, e’ percio’ opportuno che l’atto di alienazione contenga specifiche e ben congegnate clausole al riguardo, rese possibili dalla consentita estensione pattizia del divieto di concorrenza. La SUCCESSIONE NEI CONTRATTI  AZIENDALI e argomento ulteriore infatti la disciplina del trasferimento dell’azienda si preoccupa del mantenimento dell’unita’ economica della stessa. A tal fine e’ agevolato il sub ingresso dell’acquirente nella trama dei rapporti contrattuali IN CORSO DI ESECUZIONE che l’alienante ha stipulato con i fornitori, finanziatori, lavoratori e clienti, per assicurarsi i fattori produttivi necessari all’organizzazione dell’impresa e allo svolgimento dei cicli rpoduttivi, nonche’ per dare sbocco ai suoi prodotti. Il legislatore muove dalla sua premessa che l’acquirente

 

CAPITOLO 5: L’AZIENDA

Definizione di azienda. L’art. 2555 definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. Da ciò emerge che l’azienda è un complesso di singoli elementi che hanno unitaria destinazione verso uno specifico fine produttivo. Essa può essere vista come il mezzo di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento della propria attività (rapporto mezzo/fine tra azienda e attività d’impresa).
L’azienda assume inoltre forte rilievo sul piano economico, acquistando solitamente valore maggiore rispetto alla somma dei valori dei singoli beni (avviamento).
Si distingue tra avviamento oggettivo, quello ricollegabile a fattori suscettibili di permanere anche se muta il titolare dell’azienda, e avviamento soggettivo, quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla sua abilità nel formare, conservare e accrescere la propria clientela.
Elementi costitutivi dell’azienda. Al fine di qualificare un dato bene come bene aziendale è rilevante solo la destinazione dell’imprenditore all’esercizio all’attività d’impresa. Irrilevante è il titolo giuridico (proprietà, usufrutto, altro) che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene.
Riguardo a cosa ricomprendere nella parola “beni”, l’opinione più diffusa considera elementi costitutivi dell’azienda solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale, escludendo dunque servizi, crediti, debiti, rapporti di lavoro e rapporti contrattuali.
Tra concezione atomistica e concezione unitaria. Le teorie unitarie considerano l’azienda come un unico bene immateriale, sul quale il titolare potrebbe avere un diritto di proprietà unitario. Le teorie atomistiche concepiscono invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e sul quale l’imprenditore può vantare diritti diversi (proprietà, diritti reali limitai, diritti personali di godimento). Mancando  una legge di circolazione propria dell’azienda l’ipotesi unitaria va rifiutata, tuttavia bisogna sempre tenere conto, nelle controversie, della salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda.
Anche per quanti vogliono considerare l’azienda un’universalità di beni mobili (che secondo l’art. 816 sono “la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”), la disciplina dettata per tali universalità non è applicabile all’azienda, se non per risolvere problemi pratici lasciati insoluti dalla disciplina dell’azienda. Infatti, l’azienda è di regola costituita da beni eterogenei e può comprendere anche beni (mobili ma anche immobili) che non sono di proprietà dell’imprenditore.
Trasferimento dell’azienda. Per stabilire se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore vada qualificato come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali, non si guarda al nomen dato al contratto, ma al risultato realmente perseguito e realizzato.
Con il trasferimento di azienda, saranno considerati trasferiti tutti quei beni che hanno come funzione lo svolgimento dell’attività d’impresa: è necessaria la specificazione dei beni che l’imprenditore non vuole includere nel trasferimento.
Si noti che il trasferimento di azienda può riguardare anche un solo ramo d’azienda, purché dotato di organicità operativa. Non è neanche necessario che l’azienda sia in funzione al momento della vendita, ma solo che l’insieme dei beni trasferiti sia di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività d’impresa.
La forma necessaria per la validità del trasferimento deve essere “la stessa forma stabilita dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”. Non esiste quindi un’autonoma ed unitaria legge di circolazione dell’azienda. Di conseguenza, ad esempio, il trasferimento di immobili comporterà la forma scritta pena la nullità.
La forma richiesta ai fini di opponibilità ai terzi è invece quella scritta, per quanto riguarda le imprese “soggette a registrazione”, includendo tra queste tutte le imprese, poiché tutte le imprese vengono registrate, seppure con diversi tipi di pubblicità. Sempre per le imprese soggette a registrazione, l’art. 2256 stabilisce anche che i relativi contratti, redatti per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, sono soggetti a iscrizione nel registro delle imprese.
Effetti della vendita dell’azienda:
¬ Divieto di concorrenza dell’alienante. L’art. 2257 afferma che chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque, “per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze”, sviare la clientela dall’azienda ceduta.
Si vuole in questo modo contemperare l’esigenza dell’acquirente di godere dell’avviamento soggettivo (che egli stesso ha pagato!), e quella dell’alienante a non vedere compressa la propria libertà di iniziativa economica per troppo tempo.
Si noti che resta possibile stabilire un termine minore di cinque anni, ma mai maggiore, e che il divieto è da ritenersi applicabile anche in caso di vendita coattiva (il divieto rimane al fallito).
Spesso si tenta inoltre di eludere il divieto attraverso inizio di impresa attraverso un prestanome, costituendo una società di comodo o entrando in un’altra impresa concorrente come dirigente.
Si ritiene che il divieto debba considerarsi violato ogni volta si sia avuto sviamento di clientela dall’azienda ceduta, per fatto concorrenziale direttamente o indirettamente dovuto all’alienante.
E’ comunque difficile provare l’elusione, e sono necessarie adeguate clausole per evitare tutto ciò.
­ La successione nei contratti aziendali. La disciplina dettata riguardo alla successione nei contratti aziendali deroga alla disciplina della cessione di contratti “normali” di diritto comune.
L’art. 2258 stabilisce che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”, e dunque automaticamente, senza bisogno di alcuna manifestazione di volontà.
Al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto “entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”.
Da notare in questo caso che la deroga ai principi di diritto comune è ancora più marcata: non è necessario il consenso del contraente ceduto, che può soltanto chiedere il risarcimento danni all’alienante dando la prova (non facile!) che questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente dell’azienda. Inoltre il recesso non determina il ritorno del contratto in testa all’alienante ma la definitiva estinzione dello stesso.
E’ evidente dunque il favor legislativo per il mantenimento dell’unità funzionale dell’azienda.
Riguardo al carattere personale dei contratti, l’opinione prevalente ritiene che contratti personali siano quei contratti nei quali l’identità e le qualità dell’imprenditore alienante sono state in concreto determinanti del consenso del terzo contraente (e non viceversa). Per il trasferimento di tali contratti si ritorna alla disciplina di diritto comune di cessione del contratto.
Anche al fine di provare la giusta causa, il terzo deve dimostrare che l’identità dell’imprenditore era essenziale ai fini del contratto.
® I crediti e i debiti aziendali. A) Riguardo ai crediti, la legge non dice, come invece fa con i contratti, se crediti e debiti si trasferiscono direttamente con l’azienda o meno. L’opinione seguita è che il trasferimento non è automatico, in mancanza di espressa previsione.
Inoltre, come recita l’art. 2259, dal momento dell’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese, la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione. Tuttavia, “il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante” (l’alienante deve naturalmente impegnarsi a pagare a sua volta il debito all’acquirente). Nel caso di imprese non soggette a registrazione, vige invece la disciplina generale della cessione dei crediti.
B) Riguardo ai debiti, l’art. 2560, al fine di tutelare i terzi creditori e l’esigenza di certezza, afferma che l’alienante non è liberato dai debiti anteriori al trasferimento, se non ha il consenso dei creditori. Per quanto riguarda le sole imprese commerciali, è previsto invece che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Usufrutto e affitto dell’azienda. L’azienda può essere costituita in usufrutto o concessa in affitto.
La costituzione in usufrutto comporta il riconoscimento di poteri-doveri in testa all’usufruttuario, per tutelare sia la libertà dell’usufruttuario, sia l’interesse del concedente.
A tal fine, l’art. 2561 dispone che l’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, conducendo l’azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservarne l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. La violazione di tali obblighi o la cessazione arbitraria dalla gestione dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario. L’usufruttuario ha inoltre il potere-dovere non solo di godere dei beni aziendali, ma anche di disporne nei limiti delle esigenze della gestione.
L’usufruttuario potrà comprare nuovi beni, che diventeranno di proprietà del nudo proprietario e sui quali l’usufruttuario avrà diritto di godimento e potere di disposizione.
L’affitto di azienda ha come oggetto del contratto un complesso di beni organizzati ed è decisamente diverso dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività d’impresa, che ha per oggetto il locale in quanto tale. Nella pratica non è facile distinguerli.
Sia all’affitto, sia all’usufrutto si applicano le norme riguardo il divieto di concorrenza e la successione nei contratti aziendali, al solo usufrutto la disciplina dei crediti aziendali, a nessuno dei due le norme riguardanti i debiti aziendali anteriori, dei quali risponderanno unicamente il nudo proprietario o il locatore.

 

CAPITOLO 6: I SEGNI DISTINTIVI

Funzione dei segni distintivi. La funzione dei segni distintivi, ovvero ditta, insegna e marchio, è quella di favorire la formazione ed il mantenimento della clientela. Essi consentono infatti ad un dato imprenditore di individuarlo sul mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti.
Tutti i segni distintivi dovranno comunque rispettare i principi di: a) novità; b) originalità; c)verità.

  • LA DITTA.

La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, che lo individua come soggetto di diritto nel campo dell’imprenditoria. Due limiti specifici nella scelta della ditta sono:

  • Verità. Si distingue se la ditta è originaria (ovvero formata dall’imprenditore che la utilizza), o derivata (ovvero formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad un altro imprenditore insieme all’azienda). Secondo l’art. 2563, la ditta originaria “deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore” (con eventuali e possibili aggiunte, non necessarie in caso di mutamenti nel nome civile dell’imprenditore à matrimonio, divorzio, adozione). Per quanto riguarda la ditta derivata, l’art. 2563 non impongono a chi utilizza una ditta derivata di integrarla con il proprio cognome o la propria sigla. Il principio di verità si riduce a pura “verità storica”.
  • Novità. L’art. 2564 impone che la ditta non deve essere “uguale o simile a quella usata da altro imprenditore” e tale da “creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata” (diritto all’uso esclusivo della ditta). Chi adotta ditta uguale a simile ad altra già esistente, può essere obbligato a modificarla o integrarla. Per le imprese commerciali, tale obbligo spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.      Il diritto all’uso esclusivo non è comunque assoluto, ma relativo: sussiste solo se i due imprenditori sono in rapporto concorrenziale tra loro.

Trasferimento della ditta. Secondo l’art. 2565, la ditta è trasferibile, ma solo insieme all’azienda. Se il trasferimento avviene per atto tra vivi, è necessario il consenso espresso dell’alienante. Regola opposta vale se l’azienda è acquistata per successione a causa di morte: la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.
E’ importante notare che se la persistenza del legame segno distintivo-complesso produttivo tende a tutelare i consumatori, tutela invece molto meno quanti all’imprenditore stesso concedono credito.
La giurisprudenza ritiene comunque che chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti da questo contratti spendendo la ditta derivata, qualora il terzo contraente abbia potuto ragionevolmente ritenere di trattare col cedente.
Ditta e nome civile. Nome civile e ditta non vanno confusi. Il nome civile, attribuito per legge, è a struttura fissa (prenome + cognome), unico e non liberamente modificabile. Principi opposti regolano la ditta. Inoltre omonimia è consentita tra nomi civili, ma non tra ditte. Questa distinzione è utile per comprendere l’art. 2567, la cui interpretazione chiarisce che le società devono avere una ragione sociale o una denominazione sociale (nome delle società), che non possono essere uguali o simili ad altri “nomi di società” (come per la ditta) e non possono essere trasferiti (come per il nome civile). Tuttavia le società possono anche avere una ditta originaria, formata rispettando le norme sulla ditta (e come prima doveva includere sigla o cognome dell’imprenditore, adesso deve includere ragione sociale o denominazione sociale), e più ditte derivate, che rimangono distinte dal nome e potranno essere trasferite.

  • L’INSEGNA.

L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa. La sua disciplina si esaurisce nell’art. 2568, che rimanda all’art. 2564: l’insegna non potrà cioè essere uguale o simile ad altra già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione per non creare confusione.
Si può comunque affermare che l’insegna deve rispettare i principi generali di liceità, veridicità (non deve trarre in inganno riguardo attività o prodotti), originalità. Il trasferimento dell’insegna si ritiene consentito, così come la licenza non esclusiva ed il conseguente co-uso della stessa insegna da parte di imprenditori collegati (ad esempio nel franchising).

  • IL MARCHIO.

Funzione del marchio. Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa.
Esso costituisce il principale collegamento tra produttori e consumatori e svolge perciò un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento della clientela. La sua principale funzione è la differenziazione del prodotto da quelli concorrenti. Inoltre il marchio è indicatore di provenienza da una fonte unitaria di produzione, anche se dopo la riforma del 1992 è possibile anche la licenza non esclusiva del marchio. Terza funzione del marchio può essere considerata quella di attrarre i consumatori. Da notare che non può invece essere considerata una funzione del marchio quella di garanzia della qualità dei prodotti: nessuna norma può infatti vietare al produttore variazioni qualitative della propria produzione.
Nell’ordinamento nazionale il marchio è disciplinato dal codice Civile (artt. 2569-2574) e dalla legge marchi modificata nel 1992 dopo l’emanazione della Direttiva CEE del 1988. Il marchio internazionale è disciplinato da due convenzioni internazionali.
Tipi di marchi. A seconda di ciò su cui si pone l’attenzione, è possibile distinguere:

  • Marchio di fabbrica e marchio di commercio: su uno stesso prodotto possono infatti coesistere sia il primo, apposto dal fabbricante, sia il secondo, apposto dal rivenditore, che non può comunque sopprimere il marchio del produttore. Da notare che il marchio può essere utilizzato anche da imprese che producono servizi;
  • Marchio generale e marchio speciale: il primo si riferisce ad un unico marchio per tutti i propri prodotti, il secondo a più marchi per più prodotti, con l’intento di differenziare i prodotti della propria impresa. E’ possibile anche l’uso di un marchio generale e più speciali (es. “Fiat-Uno”);
  • Marchio denominativo, composto solo da parole, e marchio figurativo,composto esclusivamente da figure, lettere, cifre, disegni. E’ possibile anche il marchio costituito da suoni. Spesso si sceglie un marchio misto, combinazione di parole e altri simboli;
  • Marchio di forma, se costituito dalla forma del prodotto o dalla confezione dello stesso;
  • Marchio collettivo, quando titolare del marchio è un soggetto o un ente che svolge la funzione di “garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”, che lo concede in uso a produttori o commercianti consociati (es. “Pura lana vergine” o “Prosciutto di Parma”). Questi a loro volta devono rispettare determinate regole fissate dall’ente.

Requisiti di validità. Per tutelare e registrare il marchio, bisogna rispettare alcuni requisiti:
¬ Liceità. Il marchio non deve andare contro la legge, il buon costume, l’ordine pubblico, non deve contenere segni protetti da convenzioni internazionali, lesivi di diritto d’autore o di proprietà industriale. Riguardo alla tutela dell’altrui diritto al nome: se si tratta di persona nota, è necessario il suo consenso per utilizzare il suo nome o lo pseudonimo (es. videogiochi Fifa senza il nome di Ronaldo), se invece si tratta di persona non nota, in generale non c’è bisogno del consenso ma l’uso non deve comunque “ledere la fama, il credito o il decoro” dell’avente diritto al nome.
­ Verità (o non ingannevolezza del marchio). Nel marchio non possono essere inseriti segni idonei ad ingannare il pubblico, “in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi” (es. marchio New England per magliette fabbricate in Italia).
® Originalità. Il marchio deve cioè essere composto in modo da consentire l’individuazione sul mercato dei prodotti contrassegnati. Secondo il legislatore, non bastano né le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro figura generica (es. “calzature”), né le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto (es. “brillo” per prodotti luccicanti), né i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente (es. “super”, “extra”). Si vuole così impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto. Tale regole non valgono per marchi di fantasia, che non abbiano relazione con il prodotto contraddistinto(es.“aeroplano” per un marchio di calzature), e per parole straniere generiche non note al consumatore medio italiano (es. “Cynar”).
E’ possibile usare combinazioni di parole generiche (es. ”Amplifon”), tuttavia in questo caso il marchio è detto marchio debole poiché bastano poche modifiche per imitarlo(es. “Udifon”). Marchi forti sono invece quelli dotati di forte capacità distintiva e quindi in genere i marchi di pura fantasia.
Ai fini dell’originalità, è importante parlare del “secondary meaning”. E’ il caso di marchi registrati ma privi di capacità distintiva (come parole generiche, tipo “Bambolina”), che possono diventare marchi “forti”, e quindi validi, a seguito dell’uso che ne è stato fatto e della notorietà che ha acquistato presso il pubblico, in genere grazie ad un’accorta pubblicità.
¯ Novità. La novità riguarda l’uguaglianza o la somiglianza con altri marchi. Si distingue tra marchi ordinari e marchi celebri. Per i primi la regola è che non sono nuovi i segni che possono determinare “un rischio di confusione per il pubblico”, poiché identici o simili ad un segno già noto come marchio, ditta o insegna di altro imprenditore concorrente, o comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini. Il rapporto di affinità non è invece necessario se il  marchio è celebre.
à Nullità e convalida. Il difetto dei requisiti di validità esposti comporta la nullità del marchio, che può riguardare anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato.
Due eccezioni sono previste: a) la nullità del marchio per difetto di novità non può più essere dichiarata quando chi lo ha richiesto non era in mala fede ed il titolare del marchio anteriore ne abbia tollerato l’uso per cinque anni (è questa la convalida del marchio); b) la nullità del marchio per difetto di originalità non può più essere dichiarata quando il marchio ha acquisito capacità distintiva grazie al secondary meaning.
Il marchio registrato. La registrazione del marchio presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio nazionale. Il diritto di esclusiva copre prodotti identici ma anche affini (destinati cioè alla stessa clientela, es. frigoriferi e lavatrici, o al soddisfacimento di bisogni identici o complementari, es. prodotti caseari e alimentari). Per marchi celebri, come detto, la tutela copre anche prodotti non affini (es. Coca-Cola non può essere utilizzato da altri per il vestiario).
Il diritto di esclusiva decorre in maniera retroattiva dalla data di presentazione della domanda all’Ufficio B.M. (e non dalla registrazione!), sempre che sia poi arrivata la successiva conferma.
Dopo il deposito del marchio, l’Ufficio B.M. verifica solo i requisiti di non ingannevolezza e liceità, mentre riguardo all’originalità e alla novità possono sorgere problemi e controlli solo in caso di controversie. La registrazione del marchio dura 10 anni, ma è rinnovabile un numero infinito di volte (tutela pressoché perpetua), salvo che non sia dichiarata nullità o decadenza del marchio.
à Decadenza. Un marchio decade per: a) volgarizzazione (marchio diventato denominazione generica, es. Aspirina), b) sopravvenuta ingannevolezza dello stesso, c) mancata utilizzazione entro cinque anni dalla registrazione, o se l’utilizzazione è stata sospesa per uguale periodo, salvo che l’inerzia del titolare non sia dovuta a motivo legittimo.
Il marchio registrato è tutelabile civilmente e penalmente: il titolare del marchio leso nel diritto di esclusiva, può promuovere azione di contraffazione, per ottenere l’inibitoria della continuazione di atti lesivi, e la rimozione degli effetti degli stessi. Possono essere utilizzati marchi protettivi (non soggetti a decadenza) per precostituire la prova della confondibilità.
Il marchio di fatto. La tutela del marchio di fatto è decisamente minore di quella del marchio registrato, e più o meno ampia a seconda della diffusione locale o nazionale. Infatti, l’art. 2571 dispone che “chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, [ma] nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso”.
Se c’è notorietà nazionale,il titolare di marchio non registrato potrà impedire l’uso o la registrazione di marchio confondibile per difetto di novità riguardo prodotti uguali,ma non affini. Se c’è notorietà locale, altri potranno utilizzare e registrare lo stesso marchio in altre regioni. In tal caso il titolare di marchio di fatto non potrà diffondere i prodotti contrassegnati fuori dall’ambito territoriale.
Trasferimento del marchio. Il marchio può essere trasferito a titolo sia temporaneo sia definitivo, e dal 1992 può essere trasferito o concesso in licenza anche senza trasferimento dell’azienda. E’ ora possibile anche la licenza di marchio non esclusiva, utilizzata per il franchising e il merchandising.
Dal trasferimento o concessione del marchio non deve comunque derivare inganno nei caratteri essenziali dei prodotti e il licenziatario deve utilizzare il marchio per prodotti con uguali caratteristiche a quelle dei prodotti del concedente. In caso di violazione, si è esposti alla decadenza.

CAPITOLO 7: OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI

1.le creazioni intellettuali.
Le creazioni intellettuali. Le creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento sono costituite da:

  • Opere dell’ingegno: opere creative,creazioni intellettuali  nel campo culturale à la poesia, il romanzo, una canzone, e danno origine al diritto d’autore regolato dagli articoli 2575-2583 codice civile e dalla legge n.633 del 1941.
  • Invenzioni industriali: idee creative nel campo della tecnica, di supporto all industria à danno origine a:
  • brevetto per invenzioni industriali; regolato dagli articoli 2584-2591 codice civile e dal regio decreto n.1127 del 1939 più volte modificato.
  • brevetto per modelli di utilità o brevetto per modelli e disegni ornamentali , regolati dagli articoli 2592-2594 codce civile e dal regio devreto n. 1411 del 1940, anch esso più volte modificato.

 

Il diritto delle imprese disciplina le creazioni intellettuali poiché la grande industria è, nel contempo, titolare e utilizzatrice della massima parte dei brevetti industriali.
Principi ispiratori. Le norme cercano di contemperare le due opposte esigenze di tutelare il diritto esclusivo di sfruttamento dell’opera o dell’invenzione dell’autore o inventore (à attraverso il diritto di esclusiva) e di far sì che i progressi conseguiti diventino di pubblica conoscenza (à attraverso limiti a tale diritto). Per questo, mentre il diritto d’autore si acquista con la creazione dell’opera, il diritto di esclusiva sorge solo in seguito a brevettazione, che da un lato permette la tutela dell’invenzione, ma dall’altro la rende di pubblico dominio.
Il diritto di esclusiva è inoltre limitato nel tempo: dura fino a 70 anni dopo la morte dell’autore per le opere dell’ingegno, 20, 15 e 10 anni dalla domanda di brevetto per invenzioni industriali, modelli ornamentali e modelli di utilità.

  • IL DIRITTO D’AUTORE

2.Oggetto e contenuto.
Formano oggetto del diritto d’autore tutte le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il modo e la forma di espressione originali dell intelletto.

Requisiti e acquisto del diritto.
Affinché possa essere attribuito il diritto d’autore, è necessario solo che l’opera abbia carattere creativo (presenti cioè un minimo di originalità oggettiva rispetto a altre opere dello stesso genere).
L’acquisto del diritto avviene semplicemente con la creazione dell’opera, e non è necessario che l’opera sia stata divulgata fra il pubblico, ma basta l’estrinsecazione (ad esempio uno scrittore è tutelato dal momento in cui fissa le idee su carta).
È prevista la registrazione dell’opera nel registro pubblico generale delle opere protette e per le opere cinematografiche nello speciale registro tenuto a cura della SIAE (SOCIETA ITALIANA AUTORI ED EDITORI).
Il diritto d’autore gode di una tutela sia morale che patrimoniale. Si distingue infatti in 2 diritto assoluti:
à Diritto morale. Diritto morale è il diritto di rivendicare la paternità dell’opera, (che ovviamente non si può trasferire) decidere se pubblicarla o meno, col proprio nome o in anonimo, di opporsi a modificazioni che possano danneggiare onore e  reputazione. L’autore può anche ritirare l’opera dal commercio se ricorrono gravi ragioni morali.

I diritti morali sono irrinunciabili, inalienabili (non si perdono neanche con la cessione di diritti patrimoniali, cioè nno si perdono con la morte dell autore) e possono essere esercitati anche dai congiunti dopo la morte dell’autore.

à Diritto patrimoniale.. Diritto patrimoniale è il diritto di utilizzazione esclusiva dell’opera “in ogni forma e modo, originale o derivato” per ottenre dei vantaggi economici. È il classico caso dei cantanti che vendono e diffondono la loro musica per un fine economico , che è quello di avere dei proventi.

Diversamente dal dirtt mora , il dirtt d autore ha durate limitata: si estingue 70 anni dopo la morte dell’autore.

Regole specifiche in caso di opere in collaborazione. Attribuzione specifica dei diritti:
* Opera collettiva: opera costituita da più contributi autonomi e separabili, organizzati in forma unitaria da un direttore o coordinatore (es. giornali). Autore della stessa è considerato il direttore, i diritti patrimoniali spettano all’editore, i singoli hanno però diritto d’autore sulla propria parte;
* Opera in collaborazione: opera composta da contributi omogenei ed oggettivamente non distinguibili e non divisibili (es. progetto redatto da più architetti). Si instaura regime di comunione tra autori: ognuno può tutelare autonomamente il diritto morale, mentre è necessario l’accordo di tutti per i diritti patrimoniali (sostituibile dall’autorizzazione del tribunale in casi estremi);
* Opera composta: opera costituita da contributi eterogenei e distinti, ma che danno vita ad un’opera funzionalmente unitaria e indivisibile (es. opere liriche). Anch’esse cadono in regime di comunione, ma sono individuati i singoli autori sia per i diritti morali che per quelli patrimoniali.

3.Trasferimento del diritto di utilizzazione economica.
Secondo l’art. 2581, il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi che a causa di morte.
Il trasferimento per atto tra vivi può essere sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo e di solito avviene per contratto. i contratti previsti e più utilizzati sono:

  • Contratto di edizione: l’autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del diritto di pubblicare per stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso. L’editore a sua volta  si obbliga a mettere in commercio l’opera e a corrispondere il compenso pattuito all’autore. Le parti scelgono le modalità del compenso:

compenso che è costituto da una partecipazione percentuale al ricavato della vendita oppure fissato a forfait.
La durata del contratto non può eccedere i 20 anni salvo talune eccezioni.

  • Contratto di rappresentazione ed esecuzione: l’autore cede, di solito non in esclusiva, il solo diritto di rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine(musicali,coreografiche, ecc.), o di eseguire in pubblico una composizione musicale. L’altra parte deve provvedere alle spese. Anche in questo caso c’è un accordo tra le parti per la divisione dei proventi.

Difesa del diritto d’autore:
Il diritto d’autore è difeso  da specifiche sanzioni civili, amministrative, penali a carico di chi viola il diritto d’autore.
E’ possibile chiedere l’accertamento del proprio diritto, l’inibizione della violazione, ed eventualmente la rimozione e la distruzione di ciò che materialmente ha leso il diritto, salvo risarcimento dei danni subiti.
Tutela internazionale:
Dato che le opere dell’ingegno godono di tutela esclusivamente nazionale ci sono una serie di convenzioni che tutelano il d.a. oltre i confini nazionali. l’Italia ha aderito a due convenzioni europee: la conv. Di berna e la conv. Di ginevra.

 

  • LE INVENZIONI INDUSTRIALI.

4.Oggetto e requisiti di validità.
Le invenzioni industriali sono delle creazioni originali nel campo della tecnica:consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi.  aiutano quindi il processo industriale.
Rispetto alle opere dell’ingegno, si differenziano per il diverso modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica: la concessione del corrispondente brevetto da parte  dell’Ufficio Brevetti e marchi.
Possono formare oggetto di brevetto:
- Invenzioni di prodotto, riguardanti un nuovo prodotto materiale (una macchina o un composto chimico)
-Invenzioni di procedimento, riguardanti la produzione di un prodotto già noto ma con un procedimento diverso.
- Invenzioni derivate, che “derivano da un’invenzione precedente  e a loro volta si suddividono in: a) invenzioni di combinazione, combinazione di invenzioni precedenti per averne una nuova, b) invenzioni di perfezionamento, attraverso modificazioni di miglioramento di un’invenzione precedente; c) invenzioni traslative, nuova utilizzazione di prodotto già conosciuto.

Esclusioni dal brevetto:
Per scelta legislativa, non sono però considerate invenzioni (e tutti così ne possono fruire):
-scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici;
-i programmi(software) di elaboratori tutelati dal d.a ; mentre lo è l hardware.
Non sono brevettabili neanche i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale , come ad esempio la tac , né  possono essere brevettate le razze animali modificate biologicamente, come ad esempio 1 nuova razza bovina.

 

Requisiti di validità:

  • Liceità;
  • Novità: è nuova l’invenzione “non compresa nello stato della tecnica”, cioè già divulgata;
  • Implicazione di attività inventiva(originalità): è invenzione qualunque tipo di progresso tecnico, anche piccolo, purché non conseguibile da un esperto del ramo facendo riferimento alle sue ordinarie capacità e conoscenze (giudizio di non ovvietà);
  • Industrialità: l’invenzione è considerata atta ad avere applicazione industriale se !può essere fabbricata o utilizzata in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola”.

5.l’invenzione brevettata
La tutela giuridica dell’ invenzione ha contenuto sia patrimoniale che morale.
L’inventore acquista il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione (diritto morale) per il solo fatto dell’invenzione. Egli ha inoltre il diritto, trasferibile, di conseguire il brevetto (diritto al brevetto), che ha funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto patrimoniale all’utilizzazione economica in esclusiva sul trovato (diritto sul brevetto).
N.B. Non sempre l’autore dell’invenzione coincide col soggetto legittimato a richiedere il brevetto e a sfruttarlo economicamente.
Domanda di brevetto:
La domanda per il brevetto va fatta all’Ufficio brevetti, corredata, a pena di nullità, da una adeguata descrizione dell’invenzione.
Può inoltre avere ad oggetto una sola invenzione e deve specificare cosa debba formare oggetto del brevetto (rivendicazione).

Durata ed effetti:
La durata del brevetto per invenzioni industriali è 20 anni dalla data di deposito della domanda (e non dalla registrazione!). E’ esclusa ogni possibilità di rinnovo.  Poi diviene di pubblico dominio.
Il brevetto conferisce la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, sia per quanto riguarda la fabbricazione, sia per quanto riguarda il commercio e l’importazione dei prodotti cui l’invenzione si riferisce.
Il relativo diritto di esclusiva si può perdere prima della scadenza quando venga dichiarata la nullità del brevetto o sopravvenga una causa di decadenza dello stesso, quale la mancata attuazione entro 3 anni dal rilascio del brevetto: se l’invenzione non è utilizzata per 3 anni il brevetto decade.

Trasferimento e licenza di brevetto:
Il brevetto è liberamente trasferibile sia fra vivi sia mortis causa, indipendentemente dal trasferimento dell’azienda. Sul brevetto potranno essere conseguiti diritti reali di godimento o di garanzia. Il titolare del brevetto può inoltre concedere licenza di uso dello stesso, con o senza esclusiva di fabbricazione a favore del licenziatario.

Tutela:
L’invenzione brevettata è tutelata da sanzioni civili e penali. E’ possibile esercitare azione di contraffazione verso chi abusivamente sfrutta l’invenzione, che può causare l’inibitoria ed eventualmente il sequestro, la rimozione, la distruzione, salvo il risarcimento dei danni. Può essere anche disposta la pubblicazione in uno o più giornali.

Brevettazione internazionale:
Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di invenzione solo sul territorio nazionale. In ambito europeo, per la tutela in altri Stati:

  • Convenzione di Unione di Parigi (1883) à riconosce a chi ha richiesto il brevetto in uno degli Stati diritto di priorità per ciascuno degli altri paesi, attraverso distinte domande da presentarsi. L’inventore conseguirà così tanti brevetti nazionali, regolati dalle singole legislazioni;
  • Trattato di Washington (1970) à semplifica la procedura di cui sopra;
  • Convenzione di Monaco di Baviera (1973) àl’inventore può conseguire il brevetto europeo attraverso unica domanda, unica procedura e l’unico ufficio europeo di Monaco, ma regolato dalle singole legislazioni. E’ un fascio di brevetti nazionali.
  • Convenzione del Lussemburgo (1975) à riconosce (anche se in Italia la direttiva CEE non è ancora stata recepita) il brevetto comunitario, con carattere sovranazionale, unitario e autonomo.

6.Invenzione non brevettata.
Chi non brevetta un’invenzione può sfruttarla in segreto, ma rischia che qualcun altro lo preceda, attraverso la brevettazione, acquistando il diritto di esclusiva.
Chi ha fatto uso dell’invenzione nella propria azienda, nei 12 mesi anteriori all’altrui domanda, può continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti del preuso.
Può anche trasferire tale facoltà, ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione è utilizzata.

  • I MODELLI INDUSTRIALI

 

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali. Essi si dividono in:

  • Modelli di utilità: nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità (efficacia o comodità di applicaz.) a determinati strumenti ed oggetti d’uso.

Durata brevetto: 10 anni rispetto ai 20 delle invenzioni industriale.

  • Modelli ornamentali: nuove idee destinate a migliorare l’estetica (forme, linee o colori) dei prodotti industriali (es. industrial design). Il mondo di oggi tende a dare importanza a questi oggetti di design e quindi sono molto tutelati dalla normativa nazionale.

 Durata brevetto: in realtà sono soggetti solo a registrazione che dura 5 anni, ma può essere prorogata di 5 in 5, fino ad un massimo di 25 anni.

 

CAPITOLO OTTAVO: LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA molto chiesto all esame

La concorrenza perfetta si configura come il modello di mercato idealizzato daglli economisti. Per l esattezza modello ideale e perfetto in quanto la concorrenza spinge verso una generale riduzione sia dei costi di produzione  che dei prezzi di vendita. Non esiterebbe quindi monopolio ed oligopolio.
Ma tale modello è anche definito utopico e teorico perché la dinamica del mercato conduce sempre alla creazione di mono ed oligo.
Si è cercato di disciplinare tale argomento con la legge anti trus del 90, conosciuta come legge anti monopolistica che potesse indurre le imprese ad attenersi a determinati comportamenti al fine di avvicinarsi quanto meno al modello utopico.

A.LA LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA
2.disciplina italiana e comunitaria.
Disciplina comunitaria:
la libertà di iniziativa economica e la competizione tra imprese non possono tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano la struttura concorrenziale del mercato. È questi il principi cardine dalle legislazione antimonopolistica dell unione europea volta a preservare il regime concorrenziale del mercato comunitario e a reprimere le pratiche anti concorrenziali che pregiudicano il commercio tra stati membri.
Disciplina italiana:
la legislazione anti monopolistica italiana cosi come la disc comunitaria  mira a preservare il regime concorrenziale del mercato  nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali.
La legge anti trus del 1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente , noto come autorità garante della concorrenza e del mercato, che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica , adotta provvedimenti anti monopolistici ed eroga sanzioni.
Quest autorità non vigila però sulle banche, di cui autorità garante è  la banca d italia,
e non vigila sul settore delle assicurazioni , di cui autorità garante è l ISVAP.
Percui la competenze del autorità è ristretta e si riduce in ambito locale, mentre a livello comunitario agisce la commissione  delle comunità europee.

3.le singole fattispecie
Sono tre i fenomeni rilevanti per la disciplina antim nazionale e com:

1.le intese restrittive della concorrenza: sono comportamenti concordati tra imprese anche attraverso organismo comuni(consorzi, associazioni di imprese) volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato. Ad esempio accordi con cui si fissano i prezzi oppure si contingenta la produzione.
Non tutte le intese antic sono però vietate , sono vietate solo quelle che abbiano per oggetto o per effetto di impedire , restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza. Sono quindi lecite le cosiddette imprese minori che sono piccole e poche imprese che non incidono in modo rilevante sull assetto concorrenziale del mercato.
Chiunque può agire in giudizio e far accertare la nullità delle intese. È l’autorità garante che interviene con sanzioni.

2.l’abuso di posizione dominante:  occorre precisare che vietato non è il fatto in se dell acquisizione di una posizione dominante, ma lo sfruttamento abusivo di tale posizione nei confronti degli altri concorrenti.
Nello specifico ad un impresa con pos dom è fatto divieto di:
-imporre prezzi o condizioni contrattuali gravosi
-impedire e limitare la produzione, nonché impedire e limitare gli sbocchi e gli accessi al mercato( esempio rifiutarsi di vendere pezzi di ricambio ad imprese che non facciano parte della propria distribuzione)
-applicare condizioni diverse per prestazioni oggettivamente equivalenti ( esempio prezzi diversi x lo stesso prodotto in diversi paesi comunitari)

Chi viola questi divieti viene punito dall autorità competente che accerta l’infrazione e ne ordina la cessazione.

Abuso di dipendenza economica:
è lo stato in cui viene a trovarsi un impresa cliente o fornitrice rispetto ad una o più imprese anche in posizione non dominante sul mercato, quando tale impresa non è in grado di determinare nel rapporto o rapporti commerciali con altra impresa/è un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi.

3.Le concentrazioni:
si verificano

  • quando due o più imprese si fondono dando vita ad un'unica impresa (concentrazione giuridica)
  • quando 2 o più imprese pur restando giuridicamente distinte diventano un'unica entità economica ( concentrazione economica)

 

  • quando 2 o più imprese indipendenti costituiscono un impresa societaria comune.

Le concentrazioni riducono quindi il numero delle imprese indipendenti presenti nel mercato in uno specifico settore ed in questo modo ampliano la quota di mercato detenuta da una singola impresa. le conc non sono vietate ma lo diventano quando danno luogo ad alterazioni del regime concorrenziale del mercato. Pericolo che sussiste però solo nel caso si concentrazioni di maggior dimensione.

Comunicazione preventiva:
nel caso in cui le operazioni di concentrazione superano un det livello di fatturato, occorre comunicare preventivamente all autorità italiana o alla commissione europea, le quali analizzano il caso e dispongono eventualmente di sanzioni.

Sanzioni:
le sanzioni possono raggiungere anche il 10 per cento del fatturato delle imprese interessate se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita.

B.LE LIMITAZIONI DELLA CONCORRENZA
4.Limitazioni pubblicistiche e monopoli legali.
Ci sono casi in cui la liberta di concorrenza viene soppressa attraverso la costituzione per legge di monopoli pubblici in setori predeterminati dalla stessa costituzione(servizi pubblici essenziali). Oggi però tendono a ridursi, soprattutto quelli che tendono a procurare delle enrate allo stato. I cosiddetti monopoli fiscali.
In ogni caso la legislazione tutela gli utenti contro i possibili abusi del monopolista.
Infatti  l art 2597 del codice civile pone un duplice obbligo a carico di chi opera in regime monopolistico:

  • l’bbligo di contrarre con chiunque richiede le prestazioni
  • l’obbligo di rispettare la parità di trattamento tra i diversi  richiedenti.

La parità di trattamento non implica però che le condizioni contrattuali debbano essere necessariamente le stesse per tutti gli utenti.

5.limitazioni convenzionali della concorrenza.
L’art.2596 cod civ consente la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza.
Disciplina generale:

  • il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto
  • valido solo se circoscritto ad un ambito territoriale
  • e ad un determinato tipo di attività
  • con limite di durata di massimo 5 anni.

Le clausole limitative della concorrenza devono ritenersi vietate quando ricadono nel divieto di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante introdotto legge 287 del 1990.
Costituiscono esempi classici di patti limitativi della concorrenza i cartelli ed i consorzi anticoncorrenziali ,contratti con i quali più imprenditori possono prevedere impegni reciroci di vario tipo. Ad esempio più fabbricanti di tessuti concordano la quantità globale da produrre – cartelli di contingentamento- oppure si ripartiscono le zone di distribuzione- cartelli di zona- o ancora predeterminano i prezzi di vendita da pratica- cartelli di prezzo-.

C.LA CONCORRENZA SLEALE
6.Libertà di concorrenza e disciplina della concorrenze sleale.
La libertà di iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di più imprenditori in competizione tra loro per conquistare il potenziale pubblico dei consumatori e conseguire il maggior successo economico.
Nel perseguire questi obbiettivi ciascun imprenditore gode di ampia libertà di azione e può porre in atto le tecniche e le strategie che ritiene più proficue , non solo per attrarre a se la clientela ma anche per sottrarla ai propri concorrenti.
Il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione di clienti da parte della concorrenza non è un danno ingiusto e risarcibile.
Per far in modo che la competizione tra imprenditori si svolga in modo corretto e leale si sono fissate regole di comportamento, che rientrano in una disciplina volta ad evitare che pratiche scorrette alterino un valore di interesse generale come il corretto funzionamento del mercato assicurato dal gioco della concorrenza.

È importante ai fini della realizzazione di tal regole distinguere:
- i comportamenti concorrenziali leali ( quindi leciti e consentiti dall’ordinamento) e
- i comportamenti sleali ( illeciti e non consentiti dall’ordinamento).
La disciplina della concorrenza sleale, art. 2598, stabilisce i principi base:
nello svolgimento della competizione gli imprenditori non devono servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi della correttezza professionale, come gli atti di confusione, atti di denigrazione e atti di vanteria(che sono atti di concorrenza sleale)
tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo  o colpa , ed anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti. Basta infatti il cosiddetto danno potenziale : vale a dire che l atto sia idoneo a danneggiare l latrui azienda.

Ma l’interesse tutelato dalla disc della con sleale non si esaurisce solo nell interesse degli imprenditori a non vedere alterate le proprie probabilità di guadagno x effetto di comportamenti sleali dei concorrenti., ma anche i destinatari finali della produzione: i consumatori.
Questi ultimo però non sono tutelati direttamente dalla dic della conc sleale  cosi come gli imprenditori. Tuttavia dal 1942 ad oggi ci sono stati passi avanti, come l istituzione di un apposito organismo di giustizia privata ( il giurì di autodisciplina) al quale si è poi affiancato una disciplina statale della pubblicità ingannevole e comparativa per tutelare no solo gli imprenditori concorrenti, ma anche  i consumatori ed in genere gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari.
A tal fine è stato introdotto un cont amministrativo contro la pubblicità ingannevole affidato all autorità garante della concorrenza.
Ogni interessato può chiedere all autorità che siano inibiti gli atti di pubblicità non veritiera e corretta e che ne siano eliminati gli effetti.

7.Gli atti di concorrenza sleale
I comportamenti che costituiscono atti di concorrenza sleale sono definiti dall articolo 2598 del codice civile.
Gli atti di con sleale sono divisi dall articol 2598 in tre grandi categorie:

  • atti di confusione
  • denigrazione e appropriazione di pregi altrui
  • atti contrari alla correttezza professionale

Atti di confusione:
è atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con lattività di un concorrente, che può trarre in inganno il pubblico sulla provenienza dei prodotti. Il legislatore ne individua 2:
-l’uso di nomi o di segni distintivi altrui, che possano produrre confusione nei nomi o su segni usati legittimamente da altri
-l’imitazione servile di prodotti di un concorrente, ossia la pedissequa riproduzione delle forme esteriori di prodotti altrui attuata in modo che il consumatore sia indotto a pensare che il prodotto imitato e l originale derivino dalla stessa impresa- ( imitare la confezione ma in generale l aspetto complessivo del prodotto)

Denigrazione e appropriazione di pregi altrui:
i primi consentono di diffondere notizie ed apprezzamenti negativi verso i prodotti di un concorrente; i secondi consistono nell appropriarsi di pregi dei prodotti o di un impresa di un concorrente.
Esempio di concorrenza sleale per denigrazione è la pubblicità iperbolica  con cui si tende ad accreditare l idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità  o determinati pregi non oggettivi , che vengono implicitamente negati ai prodotti degli altri concorrenti .
Non sempre invece costituisce atto di concorrenza sleale la pubblicità comparativa . fino al 2000 nelle pubblicità non si poteva nominare un altro concorrente, ma con il decreto legislativo n 67 del 2000 è stato stabilito che la comparazione esplicita o implita è lecita. È lecita quando è fondata su dati veri ed oggettivamente verificabili.

Atti contrari alla correttezza professionale:
Ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l altrui azienda.
Tra gli atti con trari alparamentro della correttezza professionale rientra la pubblicità menzioni era : falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità  o pregi non appartenenti ad altri concorrenti.
Altre forme ricondotte dalla giurisprudenza alla categoria residuale sono:

  • la concorrenza parassitaria, che consiste nella sistematica imitazione delle altrui iniziative imprenditoriali.
  • La sistematica vendita sotto costo dei propri prodotti (dumping) finalizzata all eliminazione dei concorrenti
  • La sottrazione ad un concorrente di dipendenti particolarmente qualificati , come lavorare presso un impresa concorrente.( Può verificarsi per evitare che cio accada che un azienda inserisca nella clausola di con tratto ad un dipendente qualificato di non poter passare ad un impresa concorrente)

 

 

 

CAPITOLO NONO: I CONSORZI TRA IMPRENDITORI

Negli ultimi anni la normativa si è adeguata all’aggregazione tra più imprenditori per svolgere attività imprenditoriale.

1.Nozioni e tipi
È l’articolo 2602  stabilisce che “con il contratto di consorzio  più imprenditori istituiscono un organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale”.
Il codice ha previsto 2 tipi di organizzazioni:
consorzi anticoncorrenziali= il cui fine è di disciplinare ( dove disc vuol dire limitare) la reciproca concorrenza sul mercato tra imprenditori che svolgono la stessa attività o similari.
Si configura quindi come un puro contratto limitativo della reciproca influenza.

consorzi coordinamento= il fine è diverso rispetto al precedente, e consiste nello svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese finalizzato alla riduzione dei costi di gestione. In questo caso cè una cooperazione tra imprenditori aziendali che si consorziano ad es per acquistare  in comune determinate materie prime ( in questo caso riescono a comprarne di più e quindi a venderne di conseguenza di più sul mercato) oppure creano un centro di vendita in comune dei propri prodotti ( un unico reparto vendita per tutte le imprese consorziate) .a queste forme di cooperazione ricorrono in modo particolare le imprese di piccole o medie dimensioni, per ridurre le spese generali di esercizio.
n.b. lo scopo è quello di accrescere la competitività , in quanto abbassando i costi possono avere prezzi di vendita più vantaggiosi , ed accrescendo la competitività conducono a maggiori utili.

Il nostro codice non prevede normative specifiche per questi 2 tipi di consorzi ,ma la normativa è unica e contenuta negli art 2603-2611. Invece gli art dal 2611-2615 riguardano i conso con attività esterna. Infatti  sul piano civilistico si effettua una distinzione tra consorzi che svolgono (solo) attività interna, e consorzi che svolgono (anche) attività esterna.

Consorzi con attività interni=viene costituito con un contratto costitutivo che regola i rapporti solo tra i consorziati , ma non prevede la possibilità di avere rapporti con i terzi. Il rapporto con l’esterno rimane nelle singole imprese che rientrano nel consorzio.
Consorzi con attività esterni= il contratto costitutivo prevede il rapporto tra i consorziati ed i terzi, e a tal fine è istituito un ufficio comune destinato a svolgere attività con i terzi nell interesse delle imprese consorziate.  La normativa nel caso di consorzi con attività esterna detta disposizioni con gli art 2612-2615.

2.Il contratto di consorzio. L’organizzazione consortile.
Vediamo perché nasce il consorzio.
Il contratto di consorzio può essere stipulato solo tra imprenditori,
-in forma scritta a pena di nullità ( diversamente non esiste il consorzio ecco pechè si dice che è a pena di nullità).

-deve contenere una serie di indicazioni , tra cui la durata: che può essere fissata dalle parti oppure se le parti si astengono dall’indicarla la legge stabilisce la durata in 10 anni.

-È un contratto tendenzialmente aperto: è quindi possibile la partecipazione al consorzio di nuovi imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti gli attuali consorziati. Le condizioni per l’ammissione di nuovi consorziati devono essere predeterminate nel contratto, cosi come la cause di esclusione.i consorziati infatti possono stabilire alcune cause che se si verificano si scioglie il contratto consorziale, occorre però inserirle nel contratto.
Gli altri consorziati possono escludere il nuovo imprenditore in ingresso se hanno una giusta causa: una giusta causa potrebbe essere il coinvolgimento del nuovo imprenditore in situazioni illecite e penali(camorra – mafia) che potrebbero condurre a pre giudizio a tutta la struttura consorzile.

Può anche succedere che tutti i consorziati vogliano interrompere il contratto di consorzio.
Le possibili cause di scioglimento sono contenute nell’’art. 2611 del codice civile.

Art. 2611 il consorzio si scioglie:  

X decorso del tempo stabilito per la sua durata

X conseguimento dell’oggetto o per
Impossibilità di conseguirlo

X volontà unanime dei consorziati, cioè quando tutte le parti vogliono scioglierlo

X deliberazione dei consorziati , presa a norma
dell’art. 2606,  se sussiste 1 giusta causa: quando vi è una giusta causa non occorre la maggioranza, se non c’è invece occorre la maggioranza.

X provvedimento dell’autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge

X le altre cause previste dal contratto.

 

La struttura del consorzio si fonda su 2 organi:
assemblea: organo deliberativo costituito da tutti gli imprenditori che fanno parte del consorzio.
Ha una funzione deliberativa: prende decisioni sulla vita del consorzio.
Organo direttivo: ha una funzione gestionale ed esecutiva, si occupa quindi della gestione ed attuazione delle delibere dell assemblea.

Le decisioni in assemblea devono essere prese a maggioranza ,  la minoranza (assenteisti o dissenzienti) secondo il codice possono impugnare le delibere adottate a maggiranza entro 30 gg dalla data del’assemblea. Impugnare= contestare per iscritto al presidente dell’assemblea e poi entro 30 gg in tribunale in modo che il giudice venga a conoscenza . a tal proposito cè una sezione che si occupa dei consorzi e d esamina la delibera un giudice specializzato in questo settore. Cosa che ha preso piede per lo più negli ultimi anni, in passato nno c’era.

3.Consorzi con attività esterna
per i consorzi con attività esterna è prevista la pubblicità legale, dato che riguardano anche terzi. Infatti il contratto consorziale deve essere depositato presso il registro delle imprese entro 30 gg, che è presente nelle camere di commercio di ogni provincia.
Il contratto può essere modificabile. Le modifiche devono essere fatte per iscritto  ed avere la pubblicità legale ,in modo che i terzi possono avere la possibilità di sapere tutto sul consorzio.
Il presidente ha la gestione del consorzio  ed ha l’obbligo di redigere la situazione patrimoniale del consorzio (bilancio per le imprese) apportando indicazione sul passivo ed attivo (utili): consente di far capire ai soci come sta andando il consorzio.
Nei consorzi con attività esterna è prevista la formazione di un fondo patrimoniale ( fondo consorzile ) che costituisce patrimonio autonomo perché i creditori dei singoli consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo. A differenza del passato con la legislazione del 1976 i creditori del consorzio possono avvalersi unicamente del fondo del consorzio , mentre in passato potevano intaccare  anche il patrimonio dei singoli soci.

4.Le società consortili
Consorzi e società sono due istituti diversi. Sono ancora più diversi quando il consorzio svolge attività interna perché manca dell esercizio dellattività di impresa.
Quando svolge attività esterna invece persegue il fine di realizzazione di un interesse economico dei partecipanti attraverso l’attività, cosi come per le società.
Sia le società che i consorzi hanno contatti con i terzi, ma hanno scopi diversi.
Infatti ciò che cambia invece è lo scopo
consorzi con attività esterna lo scopo economico è di 2 piano , lo scopo non è di ricavare un utile dall’attività del consorzio con i terzi , ma solo do conseguire un vantaggio patrimoniale diretto sottoforma di minori costi sopportati (come nel caso di un consorzio per l’acquisto in comune di materie prime) o di maggiori ricavi conseguiti ( u centro vendite in comune). Quindi lo scopo è quello di avere maggiori incassi, non utili, da distribuire alle imprese.
Mentre lo scopo delle società è quello di produrre utili da distribuire ai soci.

Scopo consortile e scopo mutualistico:
È da notare che lo scopo consortile presenta affinità con lo scopo tipicamente perseguito dalle società cooperative, cioè lo scopo mutualistico.
Anche l’impresa mutualistica tende a procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto. Percio si parla di scopo mutualistico dei consorzi.
Società consortili:
Consorzi  e società sono quindi forme associative previste dal legislatore. Con la modofica della disciplina dei consorzi del 1976 è stato consentito di perseguire gli obbiettivi propri del contratto di consorzio non costituendo un consorzio, bensì attraverso la costituzione di una società.
Quindi tutte le scoeità lucrative possono assumere come oggetto sociale gli scopi di un consorzio.
È lecito perciò costruire una società x azioni nel cui atto costitutivo si dichiari espressamente l’esclusive finalità consortile perseguita ed altrettanto espressamente si dichiari che la società non persegue lo scopo di conseguire gli utili da dividere tra i soci.
Disciplina delle società consortili:
Gli imprenditori che danno vita ad una società consortile possono inoltre inserire nell’atto costitutivo specifiche pattuizioni volte ad adattare la struttura societarie prescelta alla finalità consortile perseguita.
Ad esempio:
-l obbligo dei soci di versare contributi periodici in denaro per far fronte alle esigenze di funzionamento dell’impresa consortile.
-Si potrà inoltre escludere del tutto la ripartizione degli utili tra i soci
-Si possono stabilire particolari condizioni per ammissione di nuovi soci o specifiche cause di recesso o di esclusione.

Articolo 2247 – contratto di società- con il contratto di soc 2 o più persone conferiscono beni o servizio per esercizio in comune di un attività economica allo scopo di dividerne gli utili

5.Il gruppo europeo di interesse economico

Funzione:
il gruppo europeo di interesse economico è un istituto giuridico predisposto dall’unione europea per favorire la cooperazione tra imprese appartenenti a diversi stati membri. Così rimuovendo gli ostacoli a riguardo frapposti dalla diversità delle singole legislazioni nazionali. È uno strumento di  cooperazione economica transazionale la cui disciplina è in larga parte uniforme nei singoli ordinamenti nazionali.

La disciplina base del geie è infatti fissata dal regolamento comunitario del 1985 n, 2137 direttamente applicabile a tutti gli sti menbri. L’italia ha provveduto al riguardo con il dec legislativo del 1991 n. 240, cosi rendendo concretamente fruibile l’istituto anche nel nostro ordinamento.

Struttura:
la struttura del geie coincide con quella dei consorzi italiani di cooperazione con attività esterna.
Diversamente che per i consorzi è espressamente previsto che il geie può essere costituito anche da liberi professionisit. Si è quindi allargata la base dei soci.
È invece necessario che almeno 2 membri esercitino la loro attività economica in atati diversi dalla comunità.
Cosi come stabilisce l art 3 , il gruppo “ non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso” dato  che , al pari dei consorzi , la sua finalità è quella di agevolare e di sviluppare l’attività economica dei suoi membri.

Costituzione:
il contratto costitutivo dei geie non deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, cosi come previsto per i consorzi.
Nel contratto devono essere indicati almeno la denominazione del gruppo, la sede che deve essere situata nel lue, l oggetto, il nome dei membri , la durata che può essere anche a tempo indeterminato.
Il contratto è soggetto a pubblicità legale, mediante l iscrizione nel registro delle imprese e successiva pubblicazione nella gazzetta ufficiale della repubblica, successivamente nella gazz uff delle comunità europee.

Organizzazione:
sono previsti 2 organi: un organo collegiale- l assemblea, composto da tutti i membri- e un organo amministrativo.
L assemblea: i membri possono adottare qls decisione . le dec più importanti  devono essere prese all unanimità. Per le altre occorre la maggioranza.
Ciascun mmbro dispone di un solo voto, il contratto può tuttavia attribuire più voti al alcuni membri e condizione che nessuno disponga solo della maggioranza dei voti.
La gestione: è affidata ad uno o più amministratori i cui poteri sono fissati dal contratto.per legge solo ad essi spetta la rappresentanza del gruppo nei confronti dei terzi.

Obblighi del geie:
-deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali
-I profitti risultanti dall attività del gruppo sono considerati direttamente profitti dei membri e ripartiti tra gli stessi
-La disciplina del geie non prevede la formazione obbligatoria di un fondo patrimoniale iniziale.
Nel geie rispondono infatti solidamente ed illimitatamente tutti i membri del gruppo , con il loro patrimonio. Diversamente che per i  consorzi non è introdotta alcuna distinzione. Questa caratteristica si configura però come un limite per la diffusione dell istituto.
La responsabilità dei membri è tuttavia sussidiaria rispetto a quella del geie:  i creditori possono infatti agire nei confronti dei membri soltanto dop aver chiesto al gruppo di pagare e qualora il pagamento non sia stato effettuato entro un congruo termine.

Fallimento:
Al pari di ogni altro imprenditore commerciale il geie che esercita attività commerciale è esposto al fallimento. Il fallim dei geie non determina però  a automatico fallim dei suoi membri , benache responsabili illimitatamente: il fall riguarda quindi solo il consorzio, non i songoli consorziati , ma il loro patrimonio personale può essere intaccato ( ma nn falliscono)

 

Fonte: http://www.udulecce.it/files/Documenti/doctufi/diritto%20commerciale%20riassunti%20per%20word%2097-03.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

 

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