Diritti delle donne

 

 

 

Diritti delle donne

 

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La questione femminile: considerazioni preliminari

 

Il tema che andiamo a trattare è quello del diritto delle donne: Parlare di diritto delle donne ci porta a riflettere intorno ad alcuni nodi decisivi, quali:

  • La condizione della donna nello svolgimento storico-culturale dell’occidente
  • La relazione tra condizione materiale e condizione storica (il peso della corporeità nella definizione dei ruoli)
  • L’idea di una cittadinanza in sé e di una cittadinanza al femminile: l’accesso alla cittadinanza tout court (cioè al riconoscimento di sé come soggetto giuridico-politico e alla concreta possibilità di partecipare attivamente alla vita della comunità in cui si trova a vivere) non è certamente un dato acquisito per le donne. D’altra parte la sua conquista non esaurisce il processo di liberazione delle donne stesse le quali arrivano a rivendicare il diritto ad una cittadinanza che non le costringa a rinunciare al loro specifico esistenziale.

 

Si rifletta intorno a queste considerazioni:

  • Progressiva conquista della condizione di soggetto sociale, politico e culturale all’interno del mondo storico.

Il riferimento all’elemento culturale vuole indicare un dato importante: il processo di liberazione della donna non si limita all’acquisizione di una condizione di libertà che la pone in una condizione di parità con l’uomo, bensì compie un salto di qualità nel momento in cui la donna viene riconosciuta come portatrice di valori e di una concezione diversa da quella del mondo maschile, ma non per questo subalterna o, peggio, annullabile.

2)   La donna accede dunque alla realtà e fa questo attraverso un percorso lungo e  
     problematico. Può essere interessante notare che questa conquista si lega alla
scoperta della non “naturalità” della condizione di inferiorità e di esclusione patita
nel corso dei secoli. L’acquisizione della consapevolezza intorno alla propria con=
dizione di vita permette alla donna guardarla con una consapevolezza nuova fino a conoscere la genesi storica del suo problema e , dunque, la concreta possibilità di progettarne il superamento.

 

  • La questione implica un altro elemento problematico, quello della relazione tra l’istanza emancipatoria e liberatoria della donna e l’istanza più generale della giustizia sociale fatta propria dal pensiero socialista. Quest’ultimo ,infatti, può incontrare una contraddizione nel momento in cui fa sua ( e giustamente!) l’istanza della liberazione della donna: da un lato il riferimento alle differenze di classe è un punto di forza e di senso della lotta per la giustizia e per il nuovo assetto del mondo storico, dall’altro la difesa dei diritti delle donne implica, anche, la capacità di prendere le distanze da questa centralità della lotta di classe per riconoscere una specificità ed autonomia alla questione femminile.

 

  • Per capire a fondo una questione storica di questa portata è senza dubbio utile fare

riferimento anche a coloro che scrivendo hanno fatto le loro riflessioni intorno alla lotta delle donne e parlo non solo di intellettuali o di uomini impegnati nella politica, ma anche di artisti o scrittori… che hanno seguito con sensibilità e profondità l’istanza della liberazione femminile.  Anche in questo caso non possiamo ignorare un dato decisivo quale la condizione sessuale di chi scrive. Non è la stessa cosa se a parlare è un uomo, pur con tutta la disponibilità alla comprensione, o una donna. La donna che parla delle donne con la consapevolezza di parlare di qualcosa di fortemente connotato contiene, nel suo scrivere e pensare, qualcosa di più in termini di progresso nella liberazione.
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C’è dunque , nella lotta per la conquista dei diritti delle donne, accanto all’istanza emancipatori a,un bisogno di conquistare un’identità autonoma, sganciata dall’assunzione di determinati ruoli. Si tenga presente che nel mondo antico ( e non solo) molti, traendo spesso spunto dall’antropologia aristotelica, vedono la donna come una mutazione degenerativa, connotabile non come un in sé ma in maniera antitetica all’uomo. In questo senso la donna risulta condannata, per così dire, in due sensi: da un lato le viene negata una stabile identità , dall’altro viene concepita come una sorta di non- essere, di resistenza al dato reale dell’uomo.

 

Il desiderio di cittadinanza :La Rivoluzione Francese

 

Il processo rivoluzionario vede la partecipazione delle donne che spesso assumono un ruolo attivo nello sviluppo degli eventi. La partecipazione delle donne mira , accanto alla distruzione dell’ordinamento dell’Ancien Regime; il riconoscimento dei loro diritti. Infatti non è possibile parlare di vera libertà e uguaglianza senza l’estensione delle stesse alla popolazione femminile. Già nel 1789 alcune donne presentano una Petizione delle donne del Terzo Stato con la quale chiedono iniziative volte a limitare la dipendenza economica della donna dall’uomo e a sviluppare il lavoro femminile.
Olympe de Gouges (1748-1793) nel 1791 pubblica la Dichiarazione dei Diritti delle Donne e della Cittadine.. In questo documento si riprendono alcuni articoli basilari della più nota dichiarazione del 1789 con lo scopo di sottolineare l’identità femminile della cittadinanza, attraverso l’estensione alle donne di forme di libertà genericamente riconosciute agli uomini.

 

Il desiderio di cittadinanza : il modello liberale

 

Il processo di acquisizione dei diritti politici da parte delle donne può essere paragonato a quello che coinvolge le masse popolari nel corso dello sviluppo della democrazia; ma solo in parte. Secondo la concezione liberale della politica, dominante nell’Europa occidentale del primo ‘800, l’esercizio effettivo dei diritti politici era strettamente collegato alla proprietà
E al reddito individuale (cfr. divisione tra cittadini attivi e passivi). Ora, l’esclusione delle donne risulta , alla luce di questa constatazione, diversa da quella dei ceti popolari, perché decisamente più radicale: se è pensabile per un appartenente ai ceti popolari la possibilità di accesso alla partecipazione politica grazie ad un cambiamento delle condizioni economiche, la stessa cosa non può dirsi per la donna.
Si deve poi tener conto anche di un altro fattore: la tendenza dei sistemi di potere liberali ad escludere le donne dall’accesso alla vita pubblica può dipendere dal legame esistente tra la costruzione della sfera pubblica ed il controllo delle donne nella privata ; infatti l’uscita di queste ultime nella vita pubblica potrebbe essere occasione di sovvertimento dell’ordine naturale e dei vincoli familiari
Da qui deriva che il moderno concetto di cittadinanza politica si è costituito sulla base dell’esclusione dell’intero sesso femminile. Infatti il moderno cittadino si differenzia dal suddito perché gode di diritti e li esercita nella sfera pubblica e , nello stesso tempo, si definisce per contrapposizione alla sfera privata, che viene storicamente identificata con la donna,anche in forza del dato biologico della riproduzione e della maternità. In particolare da questo dato storico-culturale emerge il fatto che le donne vengono per definizione escluse dalla dimensione della cittadinanza perché non ritenute portatrici di interessi propri, ma identificate tout court con gli interessi della comunità familiare ( che viene definita come la cellula minima della società estranea all’ambito politico.
A questo punto possiamo leggere il processo di entrata della donna nella vita pubblica , il cui elemento qualificante è la conquista del diritto al voto, non come un semplice fenomeno di allargamento della nozione di cittadinanza ma come una vera e propria ridefinizione dei confini e degli stessi contenuti della sfera pubblica.

 

Luoghi dell’esclusione delle donne

 

L’esclusione della donna dalla sfera pubblica e, dunque, dalla piena cittadinanza, è facilmente leggibile in tutta la sua evidenza in alcuni ambiti significativi della vita storica degli ultimi due secoli:

  • Ambito giuridico
  • Mondo del lavoro
  • Istruzione e crescita culturale
  • Esperienza della guerra

 

Ambito giuridico

 

Se osserviamo la posizione giuridica della donna all’interno della famiglia possiamo immediatamente notare delle asincronie significative per quanto riguarda la sviluppo storico ed il processo di emancipazione delle donne stesse. Nella famiglia, dalla fine dell’Ancien règime all’età napoleonica, troviamo qualche passo avanti nel riconoscimento della parità tra uomo e donna: viene , ad esempio, eliminato il diritto di primogenitura maschile, mentre le figlie acquistano il diritto di ereditare la quota legittima del patrimonio . resta tuttavia ribadito ( e forse rafforzato) il concetto della mancanza di responsabilità delle donne.
Alcuni dati su cui riflettere:

  • Vincolo dell’autorità maritale ( testimonianza ai processi/ uso del patrimonio personale)
  • Affidamento della dote all’amministrazione del marito
  • Modalità discriminatorie del divorzio per adulterio
  • Stato di vedovanza femminile ( la tutela dei figli vede la madre vedova affiancata da un tutore maschio / la vedova incinta è sotto tutela di un “curatore del ventre”)
  • Figli illegittimi ( il Codice Civile unitario italiano nel 1865 vieta la ricerca della paternità, mentre la responsabilità dei figli illegittimi ricade solo sulla madre)
  • Fenomeno della prostituzione ( secondo il Cod.Civile del periodo cavouriano del 1860 ogni donna, indicata come prostituta è forzata al controllo sanitario, mentre il maschio-cliente, pur essendo a rischio di contagio, è escluso dall’obbligo)

Nel periodo fascista , in modo particolare, la condizione della donna viene fortemente collegata alla dimensione privata/familiare. Non mancano, infatti, provvedimenti volti a promuovere la maternità, a perseguire l’aborto, a scoraggiare il lavoro femminile. A questo proposito possiamo fare riferimento a due leggi con le quali si autorizza le amministrazioni ad escludere le donne dai concorsi pubblici ( legge 18/1/1934) e a limitare l’assunzione delle donne , nei vari luoghi di lavoro, alla quota dei 10% (legge 15/10/1938)

 

Mondo del lavoro

 

La posizione delle donne nelle varie epoche dipende anche dal valore che si attribuisce alla loro attività. Si tenga presente il fatto che il lavoro risulta essere uno degli elementi essenziali della cittadinanza sociale, il terreno sul quale le trasformazioni strutturali incontrano quelle politiche.
Nel XIX secolo, con la rivoluzione industriale, emerge il problema della donna lavoratrice. S4econdo l’opinione dell’epoca , con il trasferimento del lavoro dalla casa alla fabbrica la donna perde la capacità di conciliare il lavoro stesso con le dovute cure familiari. Di qui l’esigenza di regolamentare il lavoro femminile. Secondo qualche studioso ( Scott 1991) questa idea ha   dunque anche lo scopo di valorizzare il lavoro delle donne fino a giustificare la mino retribuzione. Le leggi di tutela del lavoro femminile ( Inghilterra 1844-47 ; Usa 1890; Italia 1902-07) furono le prime forma di regolamentazione. Il caso italiano è emblematico di questa ambiguità di fondo:
l’iniziativa nasce dalla volontà di difendere i soggetti più deboli in relazione alla logica del profitto insita nel sistema capitalistico e consiste in alcuni divieti:

  • Limitazione dell’età e dell’orario di lavoro
  • Divieto del lavoro notturno
  • Astensione obbligatoria nelle settimane vicine al parto (senza retribuzione, per cui nel 1910 viene istituita la cassa di Maternità per sussidi alle donne partorienti)

Queste leggi di fatto equiparano la donna lavoratrice al maschio minorenne lavoratore (15/21 anni) e la dona minorenne lavoratrice al fanciullo lavoratore (12/15 anni)
Non per caso Annamaria Mozzoni, leader del movimento femminile suffragista italiano, ebbe parole di fiera opposizione nei confronti di queste leggi di tutela, viste come un ostacolo al processo di conquista dell’indipendenza femminile.

Istruzione e crescita culturale

La divaricazione tra la formazione del maschio e della femmina emerge in modo evidente dal fatto che la donna viene esclusa dai ruoli direttivi . Questa esclusione viene preparata , per così dire, già nell’ambito dell’istruzione. La legge Casati istituiva l’obbligatorietà dei primi due anni di scuola elementare sia per i maschi che per le femmine, ma di fatto consentiva che le classi maschili e femminili si distinguessero per la diversità delle discipline e dei libri di testo (ad esempio : “lavori donneschi” al posto di “geometria”).
Si tenga poi presente che la divaricazione tra la formazione destinata alla donne rispetto a quella maschile si ripropone a livelli più alti: la Scuola Normale che prepara gli insegnanti elementari prevede una formazione ancora una volta con materie diverse, mentre la prospettiva professionale contiene come dati penalizzanti uno stipendio più basso e una specie di obbligo al “nubilato magistrale”.
Solo nel 1883 , in Italia, le donne vengono ammesse ai Licei e Istituti Tecnici pur con molte diffidenze e difficoltà visto che si ritiene pi adeguata ,per la donna, l’educazione rispetto all’istruzione.

 

L’esperienza della guerra

 

Possiamo considerare la guerra una ridefinizione della sfera pubblica?
In base a non pochi dati sembra possibile parlare del legame tra la partecipazione delle donne alla sfera pubblica e l’esperienza della guerra.  Fra tutti , quello più noto, e più convincente, risulta essere quello della conquista del voto fatta dopo le guerre mondiali.
Durante la I Guerra Mondiale troviamo certamente una vera e propria mobilitazione femminile sul fronte interno, anche se risulta meno rilevante nell’ambito del lavoro. Infatti le donne coinvolte nel lavoro patiscono ancora molte forme di discriminazione e di incertezza, mentre si rinforzano via via gli stereotipi tradizionali relativi alla donna “angelo del focolare” che cura i soldati feriti e che svolge mansioni di assistenza . Lo stesso Mussolini, anche se solo per poco tempo, decide nel 1925 di estendere il voto amministrativo alle donne decorate per meriti di guerra o alle madri di caduti.
Scrivono Liviana Gazzetta e Nicoletta Pannocchia :” Paradossalmente , proprio perché durante la guerra le donne assumono responsabilità e mansioni prima esclusivamente maschili, gli stereotipi e la concezione tradizionale della femminilità vengono riconfermati e anzi accentuati: si rinverdiscono i miti della donna consolatrice, tutrice degli affetti e dell’ordine domestico, salvifica curatrice..Forse è la resistenza alla modificazione dei ruoli e la volontà di limitare il contributo della donna alla funzione di sostituta per il solo periodo bellico, rafforzando il ruolo di genitrice e custode della famiglia.”

 

 

Pensieri e riflessioni sulle donne e delle donne

 

L’identità di Nora

 

Nella seconda metà dell’800 assistiamo ad una crisi della figura femminile di stampo romantico. L’immagine della donna custode dei sentimenti, legata all’intimità del mondo interiore, entra in conflitto con le trasformazioni sociali ed economiche che, nella II metà del XIX secolo, si attuano dal momento che le donne cominciano ad entrare nel mondo del lavoro e a segnalare la loro presenza, con più autonomia del passato, nella vita sociale e culturale.
L’ingresso della donna nella realtà storica non avviene in modo silenzioso: non mancano intellettuali, scrittori..che offrono attenzione a questo nuovo soggetto con il quale l’omo è chiamato a misurarsi.
Casa di Bambola appare nel 1879 e suscita immediatamente dibattiti e polemiche. La figura di Nora assume ben presto il carattere della donna che lotta per la propria emancipazione.
Nora rivendica la propria dignità di donna e di essere umano contro una società che impone convenzioni rigide e soffocanti alle persone arrivando in questo modo ad espropriarle della loro identità ed autonomia. Nora, in una scena del III Atto, ricorda con dolore e amarezza la sua condizione di figlia-sposa –bambola. La sua incompletezza consisteva nell’essere in fondo relegata alla dimensione del gioco, inteso metaforica, mente come un’attività che imita la realtà ma senza mai afferrarla o progettarla.
Nora sente di essere diventata un nulla perché la condizione di bambola le ha precluso il lavoro, cioè l’esperienza dello scontro/incontro con il mondo, della possibilità di negarlo/trasformarlo.
Da notare che Nora stessa, nel suo pensiero dio presa di coscienza, fa un’esperienza di negazione, di scontro con il mondo: infatti, il momento in cui le accade di trovarsi di fronte al marito come ad un estraneo, ostile ed ingiustamente in collera, è anche quello dell’uscita dall’astrattezza della sua condizione iniziale. E’il dolore che la trasforma da bambola a donna: La sua scelta di rinunciare alle sicurezze della vita matrimoniale per uscire in un mondo ricco di incognite e di instabilità coincide con una sorta di assunzione di cittadinanza per così dire esistenziale.

 

Dall’emancipazionismo al femminismo: la scoperta dell’identità

 

Il movimento delle donne, nel corso del sec.XX, rinnova progressivamente i suoi orizzonti. Se in una prima fase le rivendicazioni delle donne erano volte a conquistare l’accesso alla parità dei diritti con gli uomini ( entrare nella cittadinanza), in una fase successiva l’attenzione si sposta sul valore dell’identità femminile, sul riconoscimento di una specificità ( costruire la cittadinanza femminile).
In ambito  teorico, un testo può , tra gli altri, essere collegato con questa “svolta”: si tratta de “Il Secondo Sesso” di Simone de Beauvoir , del 1949. L’autrice ( la cui formazione intellettuale- politica è  legata alla tradizione esistenzialista  ed al marxismo) riflette sulla donna nel rapporto tra natura e cultura e sulla conquista di una libertà che non va semplicemente collocata all’interno del processo di trasformazione dell’intera società.
L’attenzione alla questione dell’identità porta la de Beauvoir ad assumere un atteggiamento critico nei confronti di teorie di liberazione dell’uomo le quali dimostrano una certa incapacità o indisponibilità a comprendere la specificità della possibile liberazione femminile.
Il dato ontologico che segna la donna è, infatti, il vivere la contraddizione tra  autonomia e femminilità.
“Il privilegio che l’uomo detiene e che si fa sentire fin dall’infanzia sta in questo, che la  sua vocazione di essere umano non contrasta con il suo destino di maschio…Egli non ha contrasti. Mentre la donna per compiere la sua femminilità, è costretta  a frsi oggetto e preda, e cioè a rinunciare alle sue rivendicazioni di soggetto sovrano. E’  questo conflitto che dà un particolare carattere alla situazione della donna libera. Ella non accetta di  ridursi al ruolo di femmina perché non vuole mutilarsi; ma anche ripudiare il proprio sesso costituisce una mutilazione
Il passaggio dall’emancipazionismo al femminismo ci fa vedere che  l’obiettivo di liberazione delle donne non consiste più nella semplice acquisizione della piena parità  con gli uomini nell’acceso ai diritti , al sapere e alle professioni in genere. A partire dagli anni settanta prende vita un’area di nuove  elaborazioni teoriche finalizzate ad evidenziare , come esigenza primaria del movimento delle donne, la maturazione dell’identità  accanto alla difesa della specificità dell’essere  femminile.
Nel 1973  ottiene un immediato successo  “Dalla parte delle bambine” di Elena  Gianini Belotti : la tesi di fondo  dice che la donna non è diversa dall’uomo per sua natura , ma perché condizionata da secoli di cultura e di scelte educative che hanno piegato le  sue  inclinazioni in modo funzionale  al mondo maschile. I dati con i quali l’autrice  cerca di  fondare la sua convinzione nascono dall’osservazione del modello educativo che la famiglia e la scuola primaria riservano alle bambine.
Un simile testo, pur non esaurendo in sé il dibattito che intorno alla questione femminile si attua  a partire dagli anni settanta, è comunque illuminante circa la direzione culturale che  il processo di liberazione della donna prende.
L’interesse per l’identità femminile, così occultata da secoli di  cultura dell’esclusione  ed ignorata anche da illustri autori di teorie della liberazione dell’uomo ( v. Freud e la sua tendenza, criticata dalle intellettuali collegate al movimento delle donne,  a collegare la dimensione femminile alla cosiddetta “invidia del pene” e , dunque, ad una mancanza, senza tentare di riconoscere una dimensione femminile  della libido), è sintomo evidente di una svolta con la quale si cercano peculiarità storiche e si rivendicano diritti specifici.
Da queste considerazioni emerge un dato:
l’uguaglianza non è più di per sé un valore!
Emerge il tema della “differenza” come nuovo motivo di rivendicazione .  Si tratta., per le donne, di trovare il riconoscimento della propria specificità, dopo secoli di cultura   che ha schiacciato sotto una metafisica maschile  la concreta esperienza esistenziale della donna. Negli ultimi anni del XX secolo le tendenze del femminismo attuale ci fanno vedere una direzione ben precisa: quella dell’esaltazione della differenza sessuale  alla luce della quale  la scommessa più ambiziosa sembra essere quella della costruzione di una cittadinanza al femminile..
L’idea della cittadinanza al femminile  assume  un valore particolare non solo per quanto riguarda l’esaltazione della donna ed il suo riemergere da una condizione di esclusione o ,addirittura, di vera e propria nientificazione. La cittadinanza al femminile , proprio perché consente l’accesso della donna alla storia senza la “mutilazione” culturale e psicologica di cui prima si parlava, rappresenta la vera, piena e concreta realizzazione della promessa di libertà che la tradizione del pensiero politico liberale-democratico contiene. La rivoluzione culturale che qui si prospetta  contiene la capacità di uscire dall’idea di una soggettività neutra, che di fatto non può risultare rappresentativa delle donne. Il pensiero della differenza tra io maschile ed io femminile diventa è quel salto di qualità senza il quale  la pari dignità delle due esistenze non ha alcun senso. 

 

La Chiesa cattolica e la questione femminile

 

  • Si fa riferimento alla lettera che il Pontefice  ha dedicato alle donne nel 1995 in occasione  della Conferenza Mondiale sulla donna.

 

  • Il testo si rivolge alle donne nel loro insieme per offrire un servizio alla Chiesa ed al mondo contemporaneo:si tratta di riflettere sulla dignità ed i diritti delle donne alla luce della Parola di Dio.
  • La donna viene  interpellata nelle sue funzioni per poi essere colta nella sua  identità di persona umana: si parla della maternità del matrimonio, della donna impegnata nel mondo del lavoro, della donna che si consacra a Dio, della donna in quanto tale.

 

  • Esame della storia per individuare  le condizioni nelle quali le donne hanno dato il loro contributo allo sviluppo dell’umanità
  • Esame del mondo contemporaneo nel quale le donne sono ancora fortemente penalizzate da un modello  che spesso le offende sul piano fisico, morale , sociale.. La donna  madre , ad esempio viene penalizzata nel momento in cui non gode delle tutele necessarie sul piano dell’impegno lavorativo. La donna viene poi umiliata nel momento in cui il suo corpo diventa  supporto della merce o merce esso stesso, o quando la violenza  sessuale la cancella come essere ricco di diritti e di dignità.

 

  • Eppure nel mondo contemporaneo la presenza delle donne è decisiva per far esplodere le contraddizioni di un modello  storico segnato da evidenti connotazioni anti-umanistiche.

 

La lotta delle donne per l’emancipazione

  • Apprezzamento per le donne che hanno lottato coraggiosamente in epoche  che le isolavano accusandole di tradire la loro femminilità
  • La questione dell’identità della donna viene collegata  al concetto di complementarietà, in un’idea del dualismo maschile e femminile capace di realizzare pienamente l’umanità

 
http://digilander.libero.it/domani_ti_sego/file%20word/Educ%20civica/ldiritti%20delle%20donne.doc

 

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

 


 

Diritti delle donne

I DIRITTI UMANI DELLE DONNE


1) Introduzione.
Il termine "diritti umani delle donne" e l'insieme di pratiche che accompagnano il suo uso sono un prodotto della continua evoluzione del movimento internazionale delle donne, teso a migliorare lo "status" femminile. Negli anni '80 e '90 i movimenti delle donne hanno formato networks, reti e coalizioni in tutto il mondo, sia per dare maggior visibilità ai problemi che le donne fronteggiano ogni giorno, sia per mostrare la centralità delle esperienze femminili nei contesti economici, sociali, politici ed ambientali.
Nell'evoluzione di quello che sta diventando un movimento globale delle donne, il termine "diritti umani delle donne" è servito come focus per una prassi, ovvero per lo sviluppo di strategie politiche formate dall'interazione tra gli spunti analitici e le pratiche politiche concrete. Molto in fretta, gli strumenti critici, l'attivismo condiviso ed i networks su larga base internazionale che si sono costituiti attorno al concetto dei "diritti umani delle donne", sono divenuti un veicolo per gli sviluppi politici necessari nel 21° secolo.
Tale concetto deve il proprio successo e la propria popolarità al fatto che è al tempo stesso "prosaico" e "rivoluzionario". Dal lato più facilmente percepibile, l'idea di diritti umani delle donne fa "senso comune": dichiara, in tutta semplicità, che gli esseri umani donne hanno diritti umani. E chiunque si troverebbe oggi in serio imbarazzo a dover difendere pubblicamente l'argomentazione contraria, ovvero che le donne non sono umane. Perciò, in molti sensi, l'affermazione che le donne hanno diritti umani appare del tutto scontata.
Dall'altro lato, però, i "diritti umani delle donne" sono un concetto rivoluzionario. La dichiarazione radicale della propria umanità e l'insistenza correlata sul fatto che i diritti delle donne sono diritti umani hanno un profondo potenziale trasformativo.
L'incorporare le prospettive delle donne e le loro vite negli standard dei diritti umani e nella loro messa in pratica forza il dover riconoscere che in un gran numero di paesi, in tutto il mondo, ci si rifiuta di accordare alle donne dignità umana ed il rispetto che esse meritano semplicemente come esseri umani.
La cornice iscritta nel termine "diritti umani delle donne" fornisce a quest'ultime una strada per definire, articolare ed analizzare le loro esperienze di violenza, degradazione e marginalità. Ultimo, ma non minore: quest'idea fornisce un terreno comune per lo sviluppo di una vasta gamma di visioni e di concrete strategie verso il cambiamento.
2) Una breve storia dei diritti umani.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 esprime ciò che è stato considerato nel nostro secolo il consenso fondamentale di tutti i popoli rispetto ai diritti umani, in relazione a questioni quali la sicurezza della persona, la schiavitù, la tortura, la protezione da parte della legge, la libertà di movimento e di parola, la libertà di religione e di assemblea, nonché i diritti alla sicurezza sociale, al lavoro, alla salute, all'educazione, alla cultura ed alla cittadinanza. La Dichiarazione esprime chiaramente il concetto che tali diritti umani si applicano egualmente a tutti, "senza distinzione di alcun tipo quale la razza, il colore della pelle, il sesso, la lingua od altro status" (Art. 2). Ovviamente, quindi, i diritti umani delineati dalla Dichiarazione sono intesi come applicati alle donne. Tuttavia, la tradizione, il pregiudizio, l'interesse sociale, economico e politico si sono combinati per escludere le donne dalla definizione prevalente della "generalità" dei diritti umani, ed hanno relegato le donne a significanti di un interesse "secondario" o "specifico" all'interno del quadro.
Tale marginalizzazione delle donne nel mondo dei diritti umani si è originata come riflesso dell'ineguaglianza di genere nel mondo ed ha un terribile impatto sulle vite delle donne. Essa ha contribuito a perpetuare, e financo a condonare, uno status subordinato femminile. Ha limitato lo scopo di ciò che era visto come responsabilità principale dei governi ed ha quindi reso il processo di ricerca di giustizia, rispetto alle violazioni dei diritti umani, sproporzionalmente difficoltoso per le donne e, in alcuni casi, oggettivamente impossibile.
Una delle ragioni che pone le donne in uno stato periferico rispetto al meccanismo internazionale dei diritti umani è la divisione "pubblico"/"privato". Tale pervasiva divisione delle sfere della vita trae una delle sue origini dal desiderio di limitare la giurisdizione dei governi. In molti paesi, ciò ha significato che ciò che gli individui compiono nella sfera "pubblica" è soggetto a delle regole, mentre le attività che si svolgono nella sfera "privata" si ritengono estranee ad esse. Poiché la sfera "pubblica" è considerata come il focus dell'interazione fra chi agisce per conto degli stati ed i cittadini, l'abuso in tale relazione è stato visto sino ad ora come il centro dell'avvocatura relativa ai diritti umani. Naturalmente, lo stato di cittadinanza è in questo contesto spesso "esclusivo", viziato formalmente od informalmente da pregiudizi e privilegi socioeconomici o relativi al genere ed alla razza.
Perciò, per quei cittadini - in maggioranza maschi - che predominano nei regni del "pubblico" e del "governo", e che godono dei privilegi razziali, economici e di genere, la preoccupazione primaria si è rivolta agli abusi dei diritti civili e politici a cui essi sono più facilmente vulnerabili: quali la violazione del diritto di parola, la detenzione arbitraria, la tortura durante la detenzione, l'esecuzione sommaria.
Nel mentre le donne hanno potuto appellarsi alla macchina internazionale dei diritti umani quando si sono trovate in situazioni simili, alcune delle loro esperienze, specificatamente legate al genere (per esempio lo stupro in stato di detenzione) hanno avuto scarsa visibilità all'interno della definizione prevalente di "abuso".
Questo perché le donne sono tradizionalmente intese come legate alla sfera "privata", concernente la casa e la famiglia ed il cittadino "tipico" viene descritto come maschio: la nozione dominante di abuso dei diritti umani ha implicitamente un uomo come archetipo. L'effetto principale della natura di genere del conflitto "pubblico/privato" è che le violazioni dei diritti umani delle donne che avvengono tra "privati" individui sono state rese invisibili, nonché considerate come al di là della supervisione dello stato. E' particolarmente importante notare come il genere sia un fattore significativo nelle decisioni dei governi di intervenire in quella che si definisce la sfera "privata" allo scopo di perseguire le violazioni dei diritti umani. Molte attività che si danno nella sfera "privata", come l'omicidio fra coniugi o la riduzione in schiavitù, sono censurate dai governi a livello internazionale; allo stesso tempo, i governi ignorano ciò che accade alle donne nelle mani di uomini o di membri maschi della loro famiglia, come la violenza domestica o il confinamento, persino dove esistono leggi che proibiscono tali abusi. Le violazioni dei diritti umani delle donne compiute in nome della famiglia, della religione e della cultura sono state occultate dalla santità della sfera cosiddetta "privata" ed i perpetuatori di tali abusi godono di un'immunità che fa sì essi non debbano rispondere delle loro azioni.
L'enfasi storica posta sull'abuso dei diritti umani nella sfera "pubblica" (e la negazione, in concomitanza, dei diritti umani delle donne) fu esacerbata dalle politiche della Guerra Fredda. I trattati sui diritti umani delle Nazioni Unite ed i meccanismi ad essi correlati si svilupparono dopo gli orrori della 2^ Guerra Mondiale e si consolidarono durante la Guerra Fredda. Lo scopo primario di molte organizzazioni per i diritti umani fu di monitorare il trattatamento dei cittadini da parte dei loro governi e di assicurare ad essi rispetto dei diritti umani mentre costoro lavoravano per una democratizzazione dei loro governi. Stante la polarizzazione delle posizioni avvenuta durante la Guerra Fredda, i governi occidentali attribuirono priorità ai diritti civili e politici, i quali - essi pensavano - erano integrali ad una prospera economia del libero mercato. Nel frattempo i diritti socioeconomici, quali il diritto al lavoro, alla casa ed alla salute, per esempio, furono identificati con il blocco socialista e divennero "sospetti" per molti occidentali.
Il corpus dei diritti umani dominato dalla concezione occidentale degli stessi si concentrò sulle violazioni inerenti la sfera civile e politica, la cosiddetta sfera "pubblica". Tale condizione venne a sommarsi agli ostacoli che già la contrapposizione "pubblico/privato" poneva alle donne: la predominanza dei diritti civili e politici all'interno dei diritti umani eclissò i modi in cui le donne spesso non godevano delle condizioni sociali ed economiche che rendevano possibile l'esercizio dei diritti civili e politici e la partecipazione alla vita pubblica.
3) Il concetto di Diritti Umani delle Donne
Durante il decennio dedicato dalle Nazioni Unite alle donne (1976-1985), donne di ogni provenienza geografica, etnica, religiosa, culturale e di classe si organizzarono per migliorare lo status femminile. Le conferenze che si tennero a Città del Messico nel 1975, a Copenhagen nel 1980, a Nairobi nel 1985 furono convocate per valutare lo status delle donne e per formulare strategie atte al suo avanzamento. Si trattò di momenti di svolta, in cui le donne si radunarono, dibatterono le proprie differenze e scoprirono le cose che avevano in comune, e gradualmente cominciarono a tenere insieme le differenze nella creazione di un movimento globale. Nei tardi anni '80 e nei primi '90, donne di diversi paesi cominciarono ad interrogare la cornice dei diritti umani ed a sviluppare gli strumenti analitici e politici che assieme costituiscono l'idea e la pratica dei diritti umani delle donne. Fare ciò comportò un doppio passaggio: il riflettere sui diritti umani ed il parlare delle vite delle donne. Semplificando, comportò il guardare ai diritti umani attraverso una lente di genere. In questo modo, le donne dimostrarono come le definizioni correnti di "diritti umani" mancano di dar conto del modo in cui le violazioni e gli abusi vengono a colpire le donne in maniera differente, a causa della loro appartenenza di genere.
Questo approccio riconosce l'importanza dei concetti e delle attività esistenti, ma mette in luce che ci sono dimensioni specificatamente di genere e che tali dimensioni necessitano di essere nominate, se vogliamo che la cornice dei diritti umani includa e rifletta le esperienze della metà femminile della popolazione mondiale.
Quando si utilizza la cornice dei diritti umani per articolare l'ampia gamma di abusi che le donne devono fronteggiare, tale cornice può chiarificarne l'analisi e divenire uno strumento potente. Tale strategia è servita per spostare l'attenzione su quei diritti umani che sono specificatamente femminili, e quindi sono stati visti come diritti delle donne, ma non come diritti "umani". Prendiamo ad esempio la questione della violenza contro le donne. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dice: "Nessuno dev'essere soggetto a tortura, o a trattamenti e punizioni crudeli, inumane e degradanti." Questa formulazione fornisce un vocabolario che definisce esperienze di violenza quali lo stupro, la violenza domestica, o il terrorismo sessuale. Il riconoscimento di tali violazioni come violazioni dei diritti umani alza il livello di aspettativa che si può avere nel contrastarli: la definizione degli abusi nei confronti delle donne come violazioni dei diritti umani stabilisce inequivocabilmente che gli Stati sono responsabili della loro cessazione. Ciò ci pone anche il problema di come chiamare a rispondere i governi per la loro indifferenza su tali questioni, e di che tipo di meccanismi sono necessari per il processo di riequilibrio.
4) L'applicazione della cornice dei diritti umani alle donne
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani li definisce come universali, inalienabili ed indivisibili. Tale definizione è molto importante per i diritti umani delle donne: l'universalità dei diritti umani significa che essi vengono applicati ad ogni singola persona in ragione della sua "umanità"; significa anche che essi vengono applicati in eguaglianza per ciascuno e ciascuna, giacché ciascuno e ciascuna sono eguali nell'essere semplicemente esseri umani.
In molti modi, questa universalità può apparire ovvia e scontata, ma la sua premessa egualitaria ha un risvolto radicale. Nell'invocare l'universalità dei diritti umani, le donne hanno chiesto riconoscimento per la propria umanità. Il riconoscimento delle donne come portatrici di diritti umani iscrive le prospettive di genere nell'idea che le istituzioni sono obbligate alla promozione ed alla protezione dei diritti umani. Il concetto dell'universalità dei diritti umani sfida anche la pretesa che i diritti umani delle donne possano essere limitati da specifiche definizioni culturali sul ruolo femminile nella società.
L'inalienabilità dei diritti umani significa che è impossibile per una donna abdicare ai propri diritti umani, quand'anche lo desiderasse, poiché ad ogni persona vengono attribuiti tali diritti in ragione della sua umanità. Ne deriva anche che nessuna persona o gruppo può privare un altro individuo (uomo o donna) dei suoi diritti umani. Questo significa, per esempio, che i debiti contratti dalle lavoratrici e dai lavoratori migranti o dalle donne intrappolate nel traffico sessuale, non possono in alcun modo giustificare la loro riduzione in schiavitù, o la privazione di cibo, di libertà di movimento e di compenso per il loro lavoro.
L'idea dei diritti umani come inalienabile fa sì che essi non possano essere venduti, riscattati o ceduti per qualsivoglia ragione. Questo concetto è stato importante nella negoziazione relativa alla priorità conferita alle pratiche sociali, religiose e culturali rispetto ai diritti umani. Per decenni, il lavoro concernente la trasformazione di pratiche fisicamente o psicologicamente dannose per le donne, pratiche protette sotto l'egida della religione, della tradizione o della cultura, è stato particolarmente difficile, stanti anche la garanzia sull'integrità delle culture garantita dalla Dichiarazione Universale e la storia della dominazione occidentale nella maggior parte del mondo.
Tuttavia fu importante che sia la Dichiarazione di Programma sancita a Vienna nel 1993, sia la Dichiarazione ONU contro la violenza sulle donne (votata all'Assemblea Generale lo stesso anno), affermavano che in caso di conflitto fra i diritti umani delle donne e le pratiche religiose o culturali, i diritti umani delle donne dovevano prevalere.
L'indivisibilità dei diritti umani significa che nessuno di quelli considerati fondamentali può essere più importante di un altro e che essi sono correlati. I diritti umani includono il lato civile, politico, sociale, economico e culturale dell'esistenza umana; la premessa dell'indivisibilità sottolinea che la capacità della gente di vivere la propria vita dignitosamente e di esercitare interamente i propri diritti umani dipende dal riconoscimento che tali aspetti della vita sono interdipendenti.
Il fatto che i diritti umani siano indivisibili è importante per le donne, giacché i loro diritti civili e politici sono stati storicamente compromessi dal loro stato economico, dalle limitazioni sociali e culturali poste alle loro attività, e dall'onnipresente timore della violenza che spesso costituisce un ostacolo insormontabile alla partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica.
L'idea dell'indivisibilità ha provvisto le donne di una cornice comune attraverso la quale enfatizzare la complessità delle sfide che esse fronteggiano e sottolineare la necessità dell'inclusione di prospettive di genere nello sviluppo e nell'implementazione della politica dei diritti umani. Richiamandosi all'indivisibilità dei diritti umani, le donne hanno rigettato la gerarchia dei diritti umani che pone i diritti civili o socio-economici come primari, affermando che la stabilità politica non può essere realizzata se non si persegue l'ottenimento dei diritti delle donne, che lo sviluppo sostenibile non è possibile senza il simultaneo rispetto per il ruolo giocato dalle donne nella quotidiana riproduzione della vita e senza che ciò venga incluso nel processo politico; le donne hanno affermato che l'equità sociale non può darsi senza giustizia economica e senza la partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali della politica.
5) Il movimento per i diritti umani delle donne
La definizione "diritti umani delle donne" non si riferisce semplicemente all'approccio teorico che le donne hanno usato per trasformare il concetto di "diritti umani", i programmi e le scadenze. Oltre ad essere uno strumento che ha permesso la formulazione delle sfide intellettuale e delle richieste delle donne, l'idea dei "diritti umani delle donne" ha avuto un notevole impatto come strumento per l'attivismo politico. Questa idea ha aperto la strada a donne di tutto il mondo per chiedere ragione della generale indifferenza e della non attenzione "ufficiale" alla discriminazione ed alla violenza generalizzata di cui le donne fanno esperienza ogni giorno.
Usata come pressione politica, nelle controversie legali, nelle mobilitazioni di base, l'idea dei diritti umani delle donne ha significato un punto convergente per le donne stesse attraverso molti confini ed ha facilitato la creazione di strategie collaborative per promuovere e proteggere i diritti umani delle donne. Sebbene le donne avessero da lungo tempo sollevato la questione del perché i loro diritti fossero visti come "accessori" ai diritti umani, uno sforzo coordinato per cambiare questa attitudine si è realizzato particolarmente durante la prima metà degli anni '90.
L'apertura degli spazi per nuovi dibattiti, dovuta al termine della Guerra Fredda, aveva infatti facilitato lo scambio di idee ed esperienze fra le donne di tutto il mondo che avevano lo scopo di rendere maggiormente visibile le prospettive dei diritti umani delle donne. Nel mentre le attività delle donne si sviluppavano "globalmente" durante il decennio loro dedicato dalle Nazioni Unite, sempre più donne sollevavano la questione del perché i diritti umani delle donne erano secondari ai diritti umani ed alle vite degli uomini. Negli ultimi dieci anni, un movimento per i diritti umani delle donne è emerso per sfidare le nozioni limitative dei "diritti umani" e si è focalizzato in special modo sulla violenza contro le donne come primo esempio di "vizio di fondo" nella pratica e nella teoria dei diritti umani.
La Conferenza delle Nazioni Unite che si tenne a Vienna nel 1993 fu il primo incontro del genere dal 1968 e divenne un veicolo naturale per la messa in luce delle nuove visioni sviluppate dalle donne nella pratica e nel pensiero dei diritti umani. Il manifesto iniziale della Conferenza non menzionava le donne ne' riconosceva alcun aspetto di genere nella propria agenda per i diritti umani. Ma poiché la Conferenza rappresentava un riassestamento storico dello status dei diritti umani, essa divenni il centro pubblico unificante della Campagna Globale per i Diritti Umani delle Donne: un vasto e intenso sforzo di collaborazione per ottenere l'avanzamento delle donne nell'ambito dei diritti umani.
La Campagna lanciò una petizione chiedendo che la Conferenza "comprendesse i diritti umani delle donne ad ogni livello dei propri procedimenti" e riconoscesse "la violenza di genere, un fenomeno universale che prende molte forme ed attraversa culture, razze e classi () come una violazione dei diritti umani che richiede azione immediata." La petizione fu tradotta in 23 lingue ed usata da oltre mille gruppi che raccolsero mezzo milione di firme a suo sostegno in 124 paesi. La petizione e le sue richieste diedero l'inizio alla discussione sul perché i diritti delle donne, e la violenza basata sul genere in particolar modo, fossero lasciati fuori dalle considerazioni generali sui diritti umani e mobilitò le donne attorno alla Conferenza. Le donne agirono per immettere le istanze dei diritti umani delle donne nell'intero processo preparatorio che precedette la Conferenza: da tutto il mondo chiesero che i diritti delle donne venissero discussi negli incontri preparatori tenutisi a Tunisi, San Jose e Bangkok, come veniva fatto per le altre istanze non governative e nazionali.
Mentre la Conferenza si preparava, l'idea dei "diritti umani delle donne" raccolse migliaia di persone in uno dei più partecipati dibattiti sui "nuovi" diritti umani. La Dichiarazione di Vienna ed il Programma d'Azione che fu il prodotto della Conferenza, quale segnale di accordo della comunità internazionale sullo stato dei diritti umani, attesta inequivocabilmente che:
"I diritti umani delle donne e delle bambine sono un'inalienabile, integrale ed indivisibile parte dei diritti umani universali" (Dichiarazione di Vienna. I, 18, 1993)
Le donne continuarono a fare pressione e ad ottenere più ampio consenso attorno alla questione durante le Conferenze successive delle Nazioni Unite. Così, per esempio, alla Conferenza Internazionale sulle Popolazioni e lo Sviluppo, tenutasi al Cairo nel 1994, i diritti riproduttivi delle donne furono esplicitamente riconosciuti come diritti umani. Uno sviluppo particolarmente significativo fu il modo in cui la Piattaforma d'Azione della 4^ Conferenza delle Donne a Pechino, nel 1995, divenne in pratica un'agenda sui diritti umani delle donne. Questo segnalò che l'idea che "i diritti delle donne sono diritti umani" era un'idea vincente e largamente condivisa.
Gli accordi che tali Conferenze producono non sono legalmente vincolanti, tuttavia hanno un peso etico e politico che può essere usato per perseguire obiettivi regionali, nazionali o locali. I documenti delle Conferenze possono anche essere usati per reinforzare ed interpretare i trattati internazionali del tipo della "Convenzione sui Diritti Civili e Politici" o della "Convenzione sui Diritti Sociali, Economici e Culturali". Queste Convenzioni, quando uno Stato le sottoscrive, assumono lo status di legge internazionale e sono state usate nei tribunali da quegli avvocati che intendevano ottenere risarcimento per la violazione dei diritti umani. Il trattato internazione più importante che si rifà ai diritti umani delle donne è la "Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione verso le donne" (CEDAW) che è stata ratificata da 130 paesi.
La cornice dei diritti umani delle donne, oltre ad essere stata molto utile negli sforzi per ottenere cambiamenti legislativi e politici a livello locale, nazionale ed internazionale, è stata ugualmente importante per le organizzazioni di base. Parlare di "diritti umani delle donne" non solo rende consce le donne della gamma di diritti che i loro governi devono garantire nei loro confronti: funziona anche come un tipo di "gestalt" tramite cui organizzare l'analisi delle proprie esperienze e pianificare le azioni per il cambiamento. Ciò che c'è di così utile nel concetto "diritti umani delle donne" è che esso crea uno spazio in cui si può dare un conto differente della vita di una donna; esso provvede le donne di princìpi da cui sviluppare visioni alternative sulle loro vite, senza suggerire la sostanza di tali visioni, che esse decidono.
I princìpi fondamentali dei diritti umani, che accordano a ciascuna ed ogni persona la dignità umana, forniscono alle donne un vocabolario per descrivere insieme le violazioni ai loro diritti umani e gli impedimenti che esse incontrano per esercitarli; è un linguaggio che le mette in grado di articolare la specificità delle esperienze nelle loro vite, di condividere tali esperienze con altre donne nel mondo e di lavorare collaborativamente per il cambiamento.


fonte: http://economia.unipr.it/DOCENTI/ROSSILLI/docs/files/02%20-%20I%20diritti%20umani%20delle%20donne.doc

autori : gennaio 2001, di Charlotte Bunch (Executive Director of the Center for Wemen's Gmobal Leadership) e Samantha Frost (Docente di Women's Studies al Department of Kresge College, University of California), 1997. Traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo.

 

DIRITTI UMANI DELLE DONNE
Nell'evoluzione del movimento globale delle donne, il termine "diritti umani delle donne" ha avuto un notevole impatto come strumento per l'attivismo politico. Ha rappresentato, infatti, un punto di convergenza, un terreno comune, al di là dei confini geografici, per la realizzazione di concrete strategie politiche volte al cambiamento ed ha facilitato la creazione di strategie collaborative, formate dall'interazione tra spunti analitici e pratiche politiche, per la promozione e la difesa dei diritti umani in una dimensione specificatamente di genere.
Nel tracciare un breve cenno storico sulle origini dei networks di solidarietà di genere su larga base internazionale e, quindi, sull'idea di una prospettiva di genere dei diritti umani, si deve risalire alla più volte citata Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.
Stante la polarizzazione delle posizioni avvenuta durante la Guerra Fredda, i governi occidentali attribuirono priorità ai diritti civili e politici mentre i diritti socio-economici, quali il diritto al lavoro, alla casa ed alla salute, furono identificati con il blocco socialista e, per questo, guardati con sospetto. Ciò eclissò i modi in cui le donne spesso non godevano delle condizioni sociali ed economiche necessarie per poter partecipare alla vita pubblica ed essere partner a pieno titolo e su un piede di uguaglianza con gli uomini per i diritti di accesso a risorse e opportunità (1).
Nel desiderio di limitare la giurisdizione degli stati, inoltre, alla base della Dichiarazione è stata posta la divisione tra pubblico e privato: le violazioni dei diritti umani delle donne che avvengono tra "privati" cittadini sono state, così, rese invisibili nonché considerate come al di là della supervisione dello Stato.
Sottolineare quest'ultimo passaggio è rilevante ai fini del lavoro, poiché i gravi abusi perpetrati alla donne in nome della religione e della cultura sono stati occultati, e purtroppo lo sono spesso tuttora, dalla santità della sfera cosiddetta "privata" (2).

Solo con l'irruzione sulla scena del movimento femminista negli anni '70, questa visione tradizionale è posta in discussione grazie alla definizione di un nuovo approccio noto come "Women in Development" (WID) che sottolinea come non si possa parlare di sviluppo escludendo l'ottica di una partecipazione piena della donna che, finalmente, cessa di essere vista solo come passiva beneficiaria di politiche di aiuto e di assistenza.
È sostanzialmente su questo orientamento che si incardina la sequenza delle quattro conferenze sulla donna convocate dall'Onu nel ventennio 1975-95 (3) e, soprattutto, il lancio da parte dell'Assemblea Generale dell'Onu del Decennio delle Donne 1976-1985 (4).
Si è trattato di importanti momenti di svolta in cui le donne si sono incontrate, hanno discusso le proprie differenze, hanno scoperto i problemi in comune e gradualmente cominciato a tenere insieme le differenze con la creazione di un movimento globale.
Nei tardi anni '80 e nei primi anni '90, donne di diversi paesi hanno interrogato la cornice dei diritti umani e sviluppato strumenti analitici e politici che, assieme, costituiscono l'idea e la pratica dei diritti umani delle donne in un'ottica nuova definita di "Genere e sviluppo": l'obiettivo non è più semplicemente la partecipazione delle donne allo sviluppo ma la genderizzazione dello sviluppo stesso, ovvero l'inclusione di prospettive di genere nello sviluppo e nell'implementazione della politica dei diritti umani (5).
La definizione degli abusi perpetrati alle donne nell'ambito dei diritti umani stabilisce inequivocabilmente che gli stati sono responsabili della loro cessazione e il concetto di universalità degli stessi sfida la pretesa che la denuncia delle violenze contro le donne possa essere limitata da specifiche definizioni culturali o religiose sul ruolo femminile nella società.
La dichiarazione di Vienna (1993) e il Programma d'Azione che fu il prodotto della Conferenza quale segnale d'accordo della comunità internazionale sullo stato dei diritti umani, attesta inequivocabilmente che: ÅgI diritti umani delle donne e delle bambine sono un'inalienabile, integrale ed indivisibile parte dei diritti umani universali" (Dichiarazione di Vienna. I, 18, 1993).
È importante precisare che gli accordi che le conferenze sopra citate hanno prodotto non hanno valore giuridico vincolante, ma molti di essi hanno rappresentato rilevanti strumenti politici, utilizzati sia dai governi che dai movimenti delle donne di tutto il mondo, sia a livello internazionale che nelle proposte politiche a livello nazionale e locale.

Ad esempio, questi documenti sono stati utilizzati per rinforzare ed interpretare i trattati internazionali che, sottoscritti da uno Stato, assumono lo status di legge internazionale.
Il trattato internazionale più importante che si rifà ai diritti umani delle donne è
la " Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione verso le donne" (CEDAW) che è stata ratificata da 130 paesi, Afghanistan compreso.
Per concludere, ripercorrere brevemente la storia dei diritti umani delle donne è indispensabile per chiarire le origini di un movimento di genere divenuto globale. I princìpi fondamentali dei diritti umani, che accordano a ciascuna persona la dignità umana, forniscono alle donne un vocabolario per descrivere le violazioni ai loro diritti umani e gli impedimenti che esse incontrano per esercitarli; è un linguaggio che le mette in grado di articolare la specificità delle esperienze nelle loro vite, di condividere tali esperienze con altre donne nel mondo e di lavorare collaborativamente per il cambiamento (6) .

 

fonte: http://www.newtaristeme.it/INOSTRILAVORIESAME2008/pc6/nuovowebA%20SANDRA%20ROBINA/diritti%20delle%20donne(Robina%20&%20Sandra).doc

autrici : Robina e Sandra

 

                                                                      
SOCIOLOGIA dello sviluppo
Appunti sui movimenti femministi

 

La nascita del femminismo

L'Ottocento sembra essere un secolo oscuro e triste, di assoluta sottomissione per le donne. Eppure in tale secolo che viene fatto convenzionalmente partire dal 1789 e finire nel 1914 che è nato il femminismo   " parola emblematica che sta ad indicare  tanto cambiamenti strutturali (lavoro salariato, diritti civili dell'individuo, diritto all'istruzione), quanto l'apparizione collettiva delle donne sulla scena politica " (G. Fraise e M Perrot (a cura di), Storia delle donne. L'Ottocento, Laterza, 1991 ,p.3 )
La rivoluzione e la guerra aprono e chiudono il secolo, chiamano a raccolta le donne per poi congedarle alla svelta.
La rivoluzione francese è la più radicale: le basi della società sono sovvertite da cima a fondo: viene creato uno spazio politico nuovo nel quale agisce un forte movimento popolare misto. Nella fase della sommossa le donne sono spesso in prima fila anche se poi le azioni rivoluzionarie vengono dirette dagli uomini. Le D. hanno dunque fatto irruzione nello spazio politico aperto dalla rivoluzione ma si sono subito scontrate con la limitazione della non cittadinanza : perciò nella fase più organizzata vengono escluse.
Burke, un liberale inglese, fiero avversario della rivoluzione tuona  contro "l'ignobile equità… di questo sistema che conferisce alle donne il diritto di essere licenziose al pari di noi !" Egli coglie il fatto che la rivoluzione ha imprudentemente aperto credito politico alle donne, da cui esse, come tutti gli esseri "naturalmente" destinati alla soggezione trarranno giovamento.
Nel 1792 le D. acquisiscono libertà civili e relativa uguaglianza nell'ambito del matrimonio e del divorzio, ma non diritti civici. Diventano cittadine almeno sul piano familiare e quindi è logico che prima o poi rivendicheranno anche i diritti politici.
Talleyrand spiegava questa contraddizione tra apertura sui diritti civili e negazione dei diritti politici, richiamandosi all'ordine della natura: ciò esige che l'emancipazione rimanga di tipo civile e assegna le donne al privato e alla famiglia e gli U al politico.
Mary Wollostonecraft risponde a Talleyrand nel 1792 con la Vindication of the Rights of Woman.
Del 1791 è la Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadina di Olympe de Gouge e del
1790 Sull'ammissione delle donne al diritto di cittadinanza di Condorcet.
Tutti e 3  si rifanno ai principi di libertà ed eguaglianza (due dei tre principi fondamentali della rivoluzione francese) e condannano le istituzioni che irridono tali principi.
Condorcet considera l'esclusione delle D., un esempio del più generale problema dell'ineguaglianza:
"O nessun individuo della razza umana gode di veri e propri diritti , oppure tutti godono degli stessi e colui che vota contro i diritti di un altro, quale che sia  la religione, il colore della pelle o il sesso, ha da quel momento abiurato ai propri". La sua posizione, eccessivamente idealista, finisce col non tener conto del sessismo di cui è permeata la società e delle sue peculiarità: dal fatto che non riguarda una minoranza, al fatto che le donne , a differenza dei negri, non possono essere segregate
nei bantustan. Egli ha comunque pagato con la vita il suo idealismo.
De Gouge afferma al contrario che la tirannia sulle donne è alla base di ogni diseguaglianza. La Rivoluzione è incompleta perché è rimasto in piedi il principio stesso del dispotismo: il potere degli uomini sulle donne. Vi è stato uno spostamento della tirannia , ma non una sua soppressione. La Rivoluzione ha tolto comunque un velo nei rapporti tra U e D basati sull'idillio galante, evidenziando il reale disprezzo maschile. Ciò permette alle D di mobilitarsi. La Dichiarazione di Olympe de Gouge segue fedelmente il modello della dichiarazione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino traducendola al femminile: essa viene attaccata sui muri di Parigi in un periodo di fermento in cui le donne si riuniscono anche in Club femminili per discutere e portare avanti le loro rivendicazioni. La richiesta è di un'eguale dignità dei sessi (generi, diremmo noi), non c'è disprezzo per gli uomini, ma ricerca di solidarietà femminile. Il tutto finisce tragicamente con i club chiusi e la de Gouge ghigliottinata, perché le organizzazioni femminili vengono equiparate a corpi separati, alle vecchie corporazioni di mestiere pre-rivoluzionarie.
M. Wollostonekraft, inglese, non è tanto interessata alla sfera politica ma a discorsi emancipatori in senso più ampio. La lacuna che rimprovera a Talleyrand nella nuova Costituzione francese è per lei un  indizio che solo gli uomini si reputano i veri rappresentanti del genere umano, " considerando gli esseri di natura femminile come femmine piuttosto che quali creature umane". Da questa esclusione emerge un 'intera civiltà del rifiuto, poiché la società si organizza perché un solo sesso conservi il monopolio della ragione. Ne consegue che tutte le istituzioni devono escludere, disumanizzare le donne, provando che manca loro qualcosa d'essenziale. Anche se meno battagliera della de Gouge la si può considerare una delle madri del femminismo, perché analizza la differenza  tra i sessi. Ella non rivendica diritti politici, ma il diritto di comprendere quale sia il proprio ruolo nella sfera privata. Pone dunque un problema di riconoscimento dell'identità e  e diversa razionalità femminile.

Il I femminismo americano

Se la Francia è il paese in cui con la rivoluzione le D riescono ad acquisire la cittadinanza almeno nella sfera domestica (e cercano di rivendicarla nella sfera pubblica anche partecipando alle tribune delle assemblee politiche), negli Usa esse trovano spazio soprattutto in ambito religioso e individuale.
Nella chiesa metodista possono esprimersi nelle riunioni ed arrivano persino a formare nuove sette.
La conquista dell'indipendenza dall'Impero inglese richiede anche alle donne un impegno: boicottaggio delle merci inglesi, in particolare tè e tessuti che comporta la sforzo femminile di sostituirli. In questa occasione si aprono spazi di una certa socialità: le donne si riunivano per filare e tessere spesso attorno al pastore E poi durante la guerra d'indipendenza acquisiscono una certa autonomia, in quanto si devono far carico delle imprese familiari.
Tra le figure di spicco che precorrono il I femminismo americano viene spesso citata Abygail Adams, moglie di John Adams, futuro secondo presidente degli Usa. Ella si rivolge al marito dicendogli di comportarsi verso le donne in maniera più favorevole dei suoi antenati: "Rammenta che tutti gli uomini sarebbero dei tiranni se solo potessero".
E' comunque dal 1830 al 1850 che si può parlare di femminismo negli Usa, legato ai movimenti antischiavisti. Nel 1848 esce la Dichiarazione dei sentimenti ( sul modello della dichiarazione d'indipendenza. Quando fu abolita la schiavitù, il voto fu concesso solo agli schiavi maschi. Si creò dunque una difficoltà a portare avanti le due battaglie: a favore delle donne e dei negri. La difficoltà fu particolarmente forte per le donne nere.
Tra le poche attiviste che riuscivano a farsi sentire sia dagli uomini che dalle donne bianche va citata Sajorner Truth.
Le statunitensi ottennero il voto solo nel 1920; le prime furono nel 1893 le neozelandesi.

Il femminismo islamico
Il termine fu coniato negli anni '90 del secolo scorso, anche in risposta alla crescita dell'islamismo nel mondo, con l'obiettivo di indicare la piena eguaglianza di tutti i mussulmani, uomini e donne, nella vita pubblica e privata. Si tratta però di un secondo femminismo, dato che  alla fine del XIX secolo, le donne del Medio Oriente avevano letto e discusso giornali femministi europei e un panphlet  su La liberazione della donna, scritto nel 1899 dal giurista egiziano Qasim Amin.
Una delle prime femministe arabe è l'egiziana Malak Hifni Nasif, conosciuta come Baithat al-Badiya (Colei che cerca nel deserto) che polemizza con Amin, ritenendo che non spetti agli uomini dare indicazioni alle donne. Le donne sono troppo ignoranti e gli uomini troppo corrotti; serve dunque più istruzione perché le donne possano decidere autonomamente. Anche in Tunisia all'inizio del XX secolo si rivendica più istruzione per le bambine e migliori condizioni per le donne.
Negli anni '20 del Novecento nell'ambito dei fermenti nazionalisti ed indipendentisti, proliferarono molte organizzazioni femministe in Egitto e nei paesi del Vicino Oriente. La prima che ebbe legami con il femminismo europeo fu l'Unione femminista egiziana, fondata da Huda Shaarawi.

La lunga marcia per la conquista del voto
Nel 1866 in Gran Bretagna viene presentata una petizione con 1500 firme che richiede il diritto di voto
1867: nasce la National Society for Women Suffrage, che si diffonde in Australia e Nuova Zelanda.
1908 le suffragette radunano 1/2 milione di persone a Londra.
1917-28 Conquistati i diritti politici nei paesi anglofoni, nell'Unione sovietica e nei paesi scandinavi, le donne furono assorbite dal movimento antifascista e non ebbero una significativa estensione dell'eguaglianza in altre sfere.
1934 Le donne turche ottengono il voto in una repubblica fondata nel 1923 da Ataturk, separando stato e religione.
1945: dopo la II guerra mondiale la conquista del voto si estende al resto del mondo.

Il secondo femminismo
Alla fine degli anni 60 negli Usa le donne si staccano  dai movimenti studenteschi e per i diritti civili in cui si sentono in posizione di subalternità e fondano movimenti autonomi, il più importante dei quali è il NOW.
Negli anni 80 attenuatasi la spinta movimentista è rimasta forte l'influenza intellettuale, che ha portato a rimettere in discussione quanto meno quella parte delle scienze sociali che riguarda il rapporto tra i sessi

 Peculiarità del femminismo italiano

Alla fine degli anni 90 del XIX secolo si sviluppa un movimento femminista in Italia con un forte radicamento nel sociale e una variegata presenza di associazioni che tentano di federarsi: Società di mutuo soccorso, Associazioni per la Donna di carattere culturale, Leghe e società di mutuo soccorso cristiane. Si crearono anche concretamente servizi aperti anche agli uomini. Il movimento italiano era legato a movimenti stranieri, specie tedeschi e inglesi, disponeva di una rete cosmopolita.
Esso aveva l'ambizione , a partire dalla condizione concreta della donna di ripensare una riforma generale della società e nel 1910 ottenne l'istituzione di una cassa nazionale di maternità da parte dello stato. Metteva sullo stesso piano la richiesta di voto alle donne con la richiesta di eliminazione della mendicità: nel 1890 la legge sulle opere pie permette per la prima volta alle donne di stare in un Consiglio di amministrazione e ciò sembrava un trampolino di lancio per la cittadinanza politica.
Durante  la I guerra mondiale lo Stato riconosce le organizzazioni delle donne per assistenza e lavoro  a domicilio.
Messo a tacere dal fascismo, riprende vigore con la Resistenza e si forma nel secondo dopoguerra un movimento emancipazionista che si batte per un pieno accesso ai diritti e ai servizi sociali, al fianco dei partiti e dei sindacati della sinistra: l'Unione Donne Italiane.
Anche in Italia il secondo femminismo si afferma nei primi anni '70, parlando di liberazione delle donne e rivendicando il diritto di non dover passare attraverso il lavoro per il mercato.
Tali posizioni risultavano ideologicamente contrapposte a quelle dell'UDI, ma la storia successiva ha smorzato molte di quelle contrapposizioni. Anzitutto UDI e collettivi femministi hanno condotto molte battaglie insieme, sul divorzio, l'aborto e  per una legge contro la violenza sessuale.
In secondo luogo alla fine degli anni '70 anche l' UDI  si vuole riconoscere nel movimento femminista e scioglie la sua organizzazione burocratica.

 

Fonte: http://www.comunicazione.uniroma1.it/materiali/13.40.29_Appunti%20movimenti%20femministi.doc

Autrice : Piera Rella                                                  Dipartimento di sociologia e Comunicazione

 

 

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