Elfi

 

 

 

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Elfi

 

Gli elfi

 

La figura dell’elfo è quanto di più vago e difficilmente definibile ci sia nel mondo di Faërie. Appare in fogge differenti, talvolta simile alla fata e alla fatina, e talvolta simile al folletto o addirittura alla ninfa greca.
Se ci si reca in uno dei tanti negozi o bancarelle che vendono prodotti, comunemente e spesso grossolanamente etichettati come celtici, ci si imbatterà facilmente in statuine che rappresentano gli elfi come piccoli esseri, dalla pelle verde, gli occhi completamente neri e senza iridi, con vestitini tratti da petali di fiori e le immancabili orecchie a punta. Nel periodo natalizio sarà invece più comune imbattersi in bigliettini d’auguri, cartoline o film che mostrano gli elfi come piccoli omini, anche in questo caso dalle orecchie a punta, vestiti di verde e bianco che aiutano Babbo Natale a costruire o confezionare i regali per i bambini.
Nella letteratura e nell’iconografia fantasy, di cui Tolkien è padre, l’elfo è visto, in forma femminile, come una luminosa e bellissima ninfa dai capelli lunghi e le orecchie a punta, e in forma maschile come un guerriero dalla carnagione candida, dai lineamenti femminei, spesse volte vestito di verde e armato di arco e frecce come Robin Hood. Una dote comune agli elfi fantasy è la magia per lo più applicata al controllo delle forze della natura.
Sebbene i dizionari definiscano l’elfo come un “piccolo genio dell’aria, ora benefico, ora ostile all’uomo” o come un “piccolo essere soprannaturale di sembianze umane con poteri magici” appartenente alla mitologia germanica o, più generalmente, nordica, questa creatura appare in modo differente a seconda della tradizione a cui si fa riferimento; talvolta etereo, simile alle fate e benigno, in altre circostanze “distinguibile dalle fate in quanto appartenente a una specie inferiore o sottoposta, più maligno e maggiormente identificabile con i folletti e i demoni”. Come spesso avviene per le creature fiabesche, l’identità degli elfi è raramente stabile, quanto più oscillante fra differenti figure mitologiche o folcloristiche concatenate fra loro da analogie fisiche o attitudinali. I goblin, ad esempio, condividono con i folletti irlandesi l’attitudine alla malignità, i folletti irlandesi condividono con le fatine le orecchie a punta e le dimensioni più o meno ridotte, le fatine spartiscono con le fate la magia e l’efebica bellezza, le fate a loro volta ricordano le ninfe per il legame con la natura e l’incantevole aspetto fisico, mentre le ninfe sono simili agli elfi germanici per luminosità, status di semidivinità e capacità di accoppiarsi con gli esseri umani. Questo fenomeno per cui i connotati di una creatura fantastica sfumano nei connotati di un’altra creatura fantastica ha creato una nomenclatura di intricata, e difficilmente districabile, origine che rende impossibile l’identificazione di un’univoca figura di elfo; specialmente dopo l’intervento di celebri scrittori o poeti che hanno colorato una così già sfuggente figura con colori propri.
Si potrebbe quasi dire che generalmente il termine “elfo” (o “folletto”) venga utilizzato per identificare un nugolo di creature ibride nate dalla sovrapposizione di altre creature fantastiche. Gertrude Jobes nel suo dizionario di mitologia, folclore e simboli, sebbene introduca gli elfi descrivendoli come “nani nordici dai magici poteri”, include nella categoria anche le seguenti creature fantastiche: cluricaunes (clericanti), ellefolk (mostri antropomorfi danesi), ellyllon (goblin), fairies (fatine), fays (fate), incubi (demoni maschi seduttori di donne), kobolds (spiritelli tedeschi), leprechauns (lepricanti), mermaids (sirene), mermen (tritoni), nixies (spiritelli d‘acqua), pixies (folletti), pucks (folletti/spiritelli maligni), succubi (demoni femminili che seducono i monaci) ecc... 
Sebbene la glossa di Gertrude Jobes sia quantomeno opinabile -specialmente perché etichetta gli elfi come nani germanici (semmai il contrario) e getta nel calderone elfico anche le sirene e i tritoni che hanno un’ identità propria - risulta in ogni modo emblematica della confusione che la figura dell’elfo genera in chi tenta di definirne i contorni.
Cercando di fare una prima sintesi di questa Babele di creature, si potrebbero comunque classificare gli esseri “elfici” in almeno tre categorie: i maligni o quantomeno indisponenti folletti, gli spiriti germanici, gli eterei e nobili elfi fatati di varie dimensioni.
Nelle prossime pagine ci occuperemo soltanto delle ultime due categorie, accennando alla prima nel capitolo sui goblin, che nelle opere di Tolkien assumono connotazioni esclusivamente maligne.

 

Gli elfi germanici

Gli elfi germanici possono essere sia di indole benigna che di indole maligna. Nelle saghe germaniche la figura dell’elfo non possiede connotazioni chiare, ma vaghe e spesso contrastanti. Come osserva Marco Barssacchi, nel Codex Regius che contiene i carmi eddici, gli elfi vengono nominati soltanto in dieci canti (Volospa, Havamal, Grimnismal, For Skirnis, Lokasenna, Thrymskvidha, Volundarkvidha, Alvissml, Fafnismal, Sigdrifomal) e in modo frammentario.
Snorri Sturluson, nella sua versione in prosa dell‘Edda, ci dà qualche nozione in più, descrivendo la dimore degli elfi luminosi e facendo la tanto discussa distinzione fra elfi della luce e elfi oscuri:

<<Molti luoghi ci sono di aspetto grandioso. Uno di questi ha nome Álfheimr, là abitano coloro che sono detti gli Elfi della luce, ma gli Elfi oscuri vivono giù nella terra e sono diversi dai primi nell’apparenza e ancora di più nella sostanza. Gli Elfi luminosi sono nell’aspetto più belli del sole, ma gli Elfi oscuri sono più neri della pece.>>

Per le ragioni accennate nel capitolo relativo ai nani, molti studiosi esperti in filologia germanica hanno sposato la teoria emersa dall’Edda di Snorriche identificava gli elfi oscuri con i nani; un’equazione che però non venne condivisa da quello che, forte della sua corposa e voluminosa opera sulla mitologia tedesca Deutsche Mythologie, viene da molti considerato uno dei più grandi germanisti della storia:

“Una cosa non possiamo far passare: l’identificazione degli svartálfar (elfi oscuri) con i dvergar (nani)”.

Secondo Jacob Grimm quindi l’antitesi fra gli elfi luminosi e gli elfi oscuri è la riproposizione di quello stesso dualismo che in altre mitologie sussiste fra “spiriti del bene e del male, amichevoli e ostili, paradisiaci e infernali, fra angeli della luce e delle tenebre ”. Un’interpretazione che, sebbene non sia da tutti condivisa per quel che riguarda la mitologia germanica, si adatterebbe perfettamente alle opere di Tolkien, in cui il carattere luminoso, e la sostanziale appartenenza alle forze del bene degli elfi provenienti dal regno beato di Valinor, si contrappone alla malvagità dei goblin, notturni seguaci di Melkor, generati nel fango e nelle fucine sotterranee.
La luminosità degli elfi è comunque un attributo intrinseco alla parola “elfo” che deriva dall’inglese elf, il quale a sua volta è l’ultima tappa di un percorso attraverso l’anglosassone aelf o ylf, il norreno alfr, il proto-germanico *alb-, fino alla radice proto-indoeuropea *albh- che significa “bianco” (da cui ha origine anche il latino albus), il colore della luce.
Al di là della distinzione fra luminosi e oscuri, gli elfi germanici vengono spesso visti come gli spiriti degli antenati morti che infestano i tumuli, come è anche attestato dal significato del solo nome elfico, Dainn, tramandatoci dalla tradizione germanica che, in lingua norrena, significa appunto “morto” e che, come farebbe comodo sottolineare ai detrattori della teoria di Grimm, è anche il nome di un nano.
Talvolta associati al culto delle disir, divinità femminili legate alla famiglia e alla fecondità, gli elfi sono spiriti imprevedibili e possono spesso rivelarsi avversi agli uomini, minandone la salute. Gianna Chiara Isnardi nota che nel folclore scandinavo e germanico in generale, specialmente per quel che riguarda il ramo anglosassone, gli elfi vengono ritenuti i responsabili di talune malattie, quali infiammazioni, podagra, ascessi, coliche, malattie della pelle, diarree e pazzia (termine danese ellevid, lett.  <<pazzo [a causa d’un] elfo>>).
Di fatto, testi di medicina e collezioni di incantesimi per la guarigione anglosassoni, riferiscono ad esempio di “malattie degli elfi“, “malattie degli elfi acquatici” e di “colpi (di freccia) degli elfi” che affliggono i cavalli, il bestiame e persino gli esseri umani. Gli elfi sono poi i responsabili di incubi, sudori notturni e insonnie, che possono essere combattuti soltanto attraverso l’esorcismo. Ed è proprio in terra anglosassone che l’elfo abbandonerà via via l’aspetto informe di spirito per assumere una forma antropomorfa dotata di eterea bellezza, magia e capacità di accoppiarsi con gli uomini, mantenendo tuttavia lo status di semidivinità naturale.
Questa metamorfosi potrebbe poi essere il frutto di una fusione fra la figura dell’elfo germanico/anglosassone e la ninfa greco/latina, dovuta a uno dei più grandi dilemmi della letteratura comparata: i criteri da usarsi nella traduzione dei testi. Tom Shippey, riguardo la presenza nella lingua anglosassone di diversi nomi formati dalle parole aelf (elfo) e aelfen (elfa) e da sostantivi geografici - che uniti creano ad esempio i sostantivi aggettivati “elfi acquatici“, “elfi boschivi“, “elfi montani”, “elfi marini” ecc. - sostiene che questi composti si trovavano spesso in glosse di libri da tradurre dal latino all’anglosassone e che erano utilizzati come equivalenti di creature non presenti nella lingua anglosassone:

La spiegazione più semplice è che, molto tempo fa, un traduttore anglosassone abbia cercato un equivalente per ‘naiade (ninfa marina), ninfa (ninfa dell‘acqua), driade (ninfa abitatrice delle querce)’ e abbia deciso non irragionevolmente di risolvere tutti i suoi problemi in una volta creando ‘elfo marino, elfo acquatico, elfo boschivo’ ecc.

E’ probabile che simili espedienti per la traduzione, usati per via del legame con la natura di entrambe le figure e del loro status di semidivinità, abbiano portato gli elfi/spiriti germanici ad assimilare alcuni connotati delle ninfe quali la bellezza, un maggior antropomorfismo e la facoltà di accoppiarsi con gli esseri umani. Processo che potrebbe aver contribuito alla sinonimia dei termini “elfo” e “fata”, verificatasi nei secoli successivi, e che potrebbe essere stata la ragione dell’uso da parte degli anglosassoni del prefisso nominale Aelf- (elfo), inglobato in nomi di persona e cognomi come ad esempio Aelfræd "intelligenza degli elfi" (Alfred), Aelfwine "amico degli elfi" (Alvin), Aelfric "dominatore degli elfi" (Eldridge) e Aelfflæd "bellezza degli elfi".
Come abbiamo visto, i primi elfi del mondo germanico non sono creature tridimensionali in carne e ossa come i nani o le fate arturiane, ma piuttosto entità luminose o spiriti che infestano i tumuli o particolari terre o corsi d’acqua. Talvolta simili ad angeli, talvolta simili a fantasmi o a spiriti demoniaci, possono essere benigni o maligni.

 

 

 

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Tolkien JRR, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002)

Tolkien JRR, The Fellowship of the Ring, George Allen & Unwin (1966)

Tolkien JRR, The Hobbit, George Allen & Unwin Ltd. (1966)

Tolkien JRR, The Homecoming of Beorhtnoth Beorhthelm's Son, vol. 6 Essays and Studies by Members of the English Association (1953)

Tolkien JRR, The Return of the King, George Allen & Unwin (1966)

Tolkien JRR, The Two Towers, George Allen & Unwin (1966)

Tolkien JRR, Racconti incompiuti, Bompiani (2005)

Tolkien JRR, Racconti perduti, Bompiani (2005)

Tolkien JRR, Racconti ritrovati, Bompiani (2005)

Warner Marina, No go the Bogeyman, Chatto & Windus (1998)

Wells HG, The first men in the Moon, Transworld Publishers (1958)

Wells HG, The Island od Doctor Moreau, William Heinemann (1917)

White Carolyn, A History of Irish Fairies, Paperback (2005)

White Michael, La vita di JRR Tolkien, Bompiani (2002)

Wolff Karl Felix, Dolomitens Sagen, Sagen und Überlieferungen, Märchen und Erzählungen der ladinischen und deutschen Dolomitenbewohner, Bozen (1913)

Wyke-Smith E. A., The Marvellous Land of Snergs (1927), testo riportato in JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002)

 

Interviste

 

Highfield Roger (Emeritus Fellow del Merton College, professore di storia), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).

Larrington Carolyne (docente di norreno e anglosassone presso il St. John’s College di Oxford), intervista rilasciatami presso il St. John’s College (2008).

Lee Stuart D.  (docente di anglosassone e lingua inglese della facoltà di inglese di Oxford, direttore del Computing Systems and Services dell’Università di Oxford), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).

O’Donoghue Heather (docente di norreno e anglosassone presso ilLinacre College di Oxford), intervista rilasciatami presso la Facoltà di inglese dell’Università di Oxford (2008).

Phillips Courtney (Emeritus Fellow del Merton College, professore di chimica), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).

Shippey Tom (docente di inglese presso la Saint Louis University degli USA), contributi fornitimi per corrispondenza (2009)

Solopova Elizabeth (docente di anglosassone e medio inglese della facoltà di inglese di Oxford, membro della Bodleian Library), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).

Tolkien JRR intervista effettuata dalla BBC nel 1968.

 

Fonte: http://www.marcodinoia.it/wp-content/uploads/2011/03/TESI.doc

Fonte: http://www.marcodinoia.it/fantasy/difesa-fantasy/#more-1735

Sito web: http://www.marcodinoia.it/

Autore: Marco Andrea di Noia

 

1. I Primordi

Le leggende fanno risalire la nascita degli elfi all’alba del mondo, quando Beltaine, con le proprie lacrime, diede vita ai suoi figli prediletti. Secoli, millenni prima dell’avvento di  qualsiasi altra razza, gli elfi popolavano in pace e armonia le foreste dell’Hildoriath.
La società elfica era inizialmente strutturata in tante piccole Casate, corrispondenti approssimativamente ad una o due Dinastie famigliari. Ma con il lento e tuttavia inesorabile moltiplicarsi dei figli di Beltaine, la situazione era destinata a cambiare. Alcune Casate si unirono tra loro, altre rimasero prive di discendenza e si persero nel tempo.
La tradizione narra di  tre grandi stirpi di elfi, che si imposero per importanza su tutte le altre,  tre Casate che con i secoli andarono acquistando autonomia e peculiarità proprie. I nomi con i quali venivano chiamate erano e sono “Quenya”, “Sindar” e “Drow”.  A guidare la ormai numerosa comunità elfica  vi erano un Re ed una Regina. La loro autorità era riconosciuta per volontà divina e rispettata da tutti gli elfi. Quanti siano stati i Re e le Regine che si succedettero sul trono dell’Hildoriath non è noto, e i nomi degli appartenenti alla gloriosa stirpe dei Re furono poi dimenticati.
Il governo della comunità era costituito da un Consiglio di Anziani, cui partecipavano i rappresentanti delle Tre Casate, e che era presieduto dal Re e dalla Regina. La vita degli elfi era serena e senza preoccupazioni. Un intero continente, l’Hildoriath, era a loro disposizione, e non vi era pericolo o nemico che potesse minacciarli. Così, in pacifico isolamento e imperturbabile armonia trascorsero i primi lunghi millenni.

2. Gli “imperfetti”

Vi era poi una quarta stirpe, di cui gli Antichi Scritti poco parlano, se non in modo vago e sfuggente. Essi venivano chiamati “Ghauna”, gli “imperfetti”, o “reietti” anche. Accadeva infatti che, a intervalli di molte stagioni, venissero alla luce neonati con varie malformazioni. Essi venivano spesso ripudiati, ma tuttavia lasciati vivere e crescere nella comunità. L’infanticidio, d’altra parte, è visto sin dagli albori della civiltà elfica come un inconcepibile atto sacrilego.
Nessuno sa per quali ragioni tali creature furono partorite, si ipotizza che potessero essere il frutto di unioni innaturali fra membri della stessa Dinastia, ma sono solo ipotesi. Quel che era certo è che i “Ghauna” presentavano tutti le medesime caratteristiche: menomati mentalmente, incapaci di apprendere i rudimenti dell’ Antica Scienza, incredibilmente goffi e sgraziati, ma tuttavia molto più forti e robusti dei loro consanguinei.  Fu per questa ragione che la Casata Drow, prima, poi seguita anche da Quenya e Sindar, cominciò ad utilizzarli come manovalanza. In pochi secoli  i Ghauna cominciarono ad unirsi e riprodursi tra loro, divenendo sempre più numerosi e “diversi” dai loro padroni. Il Re e la Regina non vedevano di buon occhio il proliferare di quegli “elfi venuti male”, ma erano ben consapevoli che una loro presa di posizione in questo senso avrebbe portato ad uno scontro con le Casate, il cui potere, già grande,  andava crescendo. Ormai i Ghauna erano infatti utilizzati per compiere qualsiasi lavoro pesante fosse necessario alle  Tre Casate, che in cambio garantivano loro la sopravvivenza.
I Ghauna non avevano, naturalmente, alcuna rappresentanza in Consiglio, e nonostante le loro condizioni di vita fossero, nella maggior parte dei casi, miserabili, era tale il timore che essi nutrivano per i loro “padroni” elfi che non osavano ribellarsi.

Ma una notte accadde un evento straordinario e terribile. Era il tempo di Re Feonwe e la dolce Aetheldore, sua Regina, i quali regnavano ormai da diversi secoli in pace e con saggezza. Ebbene, Ella partorì un figlio, e alla gioia iniziale di entrambi i regnanti, subentrò l’orrore, quando il Re vide il neonato. Non c’era dubbio: era un Ghauna, un imperfetto.
Nessuno a corte ebbe il tempo o la volontà di indagare sulla causa di un evento tanto incredibile, poichè si preferì mettere subito a tacere il fatto. La Regina ripudiò suo figlio e il Re diffuse la notizia che il neonato fosse morto. Seguirono alcuni mesi di lutto in tutta la comunità e poi non se ne parlò più.

 

 

3. Ghaunadaur e il Grande Esodo

Il figlio reietto della coppia di regnanti fu adottato dalla comunità dei Ghauna, che riconobbero in lui un loro simile. Nessuno sapeva da dove egli provenisse, e nessuno se lo chiedeva poichè spesso gli “imperfetti” venivano trovati abbandonati nei boschi e raramente se ne scoprivano i genitori.
Il giovane reietto cresceva sano, forte e eccezionalmente intelligente per essere un Ghauna. Fu così che gli fu dato il nome di Ghaunadaur, che nella lingua degli “imperfetti” (una sorta di elfico distorto e semplificato) significava “il migliore fra i Ghauna”.
Sin da giovane Ghaunadaur cominciò a spargere tra i suoi simili voci di una terra promessa, a Ovest oltre il mare,  per la loro razza. Una razza creata dagli dei – lui diceva – per dominare, e non per essere schiava.
Così il Culto dell’Ovest, come venne chiamato,  si diffuse tra i Ghauna e tra loro cresceva sempre più il malcontento e la frustrazione, mentre Ghaunadaur veniva riconosciuto tra loro come guida indiscussa.
La rabbia di Ghaunadaur e del suo popolo era tanta e tale che era ormai divenuta incontenibile.
In una notte senza luna, dopo molte stagioni di febbrili ma segreti preparativi, Ghaunadaur guidò l’insurrezione dei reietti contro gli odiati padroni.
Gli elfi non erano abituati a combattere, non conoscevano la guerra e i campi di battaglia, e questo fu loro  fatale. Molti elfi perirono, trucidati nel sonno o nel vano tentativo di difendersi, femmine e bambini non furono risparmiati: torrenti di sangue, per la prima volta nella sua millenaria storia,  solcarono l’Hildoriath. Ma la conoscenza delle Arti Arcane era nei Figli prediletti di Beltaine molto più profonda e terribile di quanto Ghaunadaur potesse immaginare. Tutto l’Hildoriath corse in aiuto dei suoi Signori, dai volatili alle fiere, dai più piccoli animali fino ai più antichi e giganteschi, il Vento, il Cielo e la Terra stessi. Le Tre Casate unite come non mai combatterono strenuamente e in un unico,  possente impeto d’orgoglio, la rivolta fu sedata. Molti reietti furono uccisi, e Ghaunadaur cadde gravemente ferito.

Solo allora le Tre Casate si resero conto dell’errore compiuto e si pentirono. I Drow proposero di uccidere tutti gli imperfetti ed eliminare così per sempre il frutto dei loro errori, ma le altre due Casate, così come il Re e la Regina, provarono pena e compassione per quelli che erano, in fondo, pur sempre dei loro figli. Così i Ghauna vennero esiliati dall’Hildoriath e gli fu intimato di non farvi mai più ritorno, pena la morte.  Ghaunadaur radunò così  tutto il suo popolo sulle sponde occidentali; lì fece costruire un grande flotta di rudimentali imbarcazioni, grandi zattere cariche di provviste. Fino a che, quando tutto fu pronto, i reietti si imbarcarono e Ghaunadaur lì guidò attraverso il mare ad Ovest, verso una terra in cui “vivere da liberi e padroni”, come spesso diceva. E degli “imperfetti” nulla si seppe più per molti e molti secoli...

4. La Vendetta dell’Orda

Dall’Ovest non giunsero più notizie e la pace e la serenità di un tempo sembravano tornate a regnare nell’Hildoriath. D’altra parte gli elfi tutti avevano ora altro a cui pensare: i regnanti si avviavano ormai verso la vecchiaia senza aver ancora generato un erede. La questione della successione era tanto più delicata poiché era ben chiaro a tutti che in mancanza di un erede si sarebbe scatenata una lotta per il trono più o meno aperta fra le Tre Casate.
Per grazia degli dei, dopo pochi anni, questa terribile eventualità fu scongiurata: la Regina partorì un erede e fu chiamato Thorondil, Principe dell’Hildoriath. Vi furono grandi e sontuosi festeggiamenti che si prolungarono per molti mesi. Con il passare dei decenni Thorondil cresceva forte, sapiente e determinato. La luce di Beltaine splendeva forte nei suoi occhi e il suo braccio pareva guidato da Suldanas stesso. Perciò, pur essendo Thorondil ancora giovane, nessuno si stupì quando, poco più di un secolo dopo, Re Feonwe annuciò che avrebbe presto abdicato in favore del figlio.

Il giorno dell’incoronazione tutto era pronto, e l’atmosfera solenne.  Gli elfi di ogni stirpe erano accorsi da ogni regione dell’Hildoriath per assistere all’evento. Tale era l’attesa e l’emozione per un avvenimento tanto straordinario, che ogni altra occupazione o ufficio passò in secondo piano.
E così, in quel brumoso mattino di Orifoglia, nessuna sentinella si trovava a pattugliare la costa occidentale. Nessuna sentinella poteva vedere le centinaia di grandi zattere che ad una ad una si ammassavano sulle coste dell’Hildoriath...

La cerimonia era già iniziata quando un gruppo di sentinelle lanciò l’allarme. Ma era troppo tardi.
La prima ondata fu preceduta dal cupo e cadenzato martellare di tamburi, che si faceva sempre più forte, sempre più veloce. Poi migliaia di orribili creature dalla pelle verde sciamarono tra gli alberi del Doriath abbattendo qualsiasi cosa al loro passaggio. Era giunta l’Orda degli Orchi. E al centro di tutti loro, grande e terribile, sul dorso di un imponente lupo nero, Ghaunadaur spronava i suoi orchi alla battaglia. Nessuno tra gli antichi figli dell’Hildoriath, ebbe il tempo di capire, nessuno ebbe il tempo di pensare che il loro “errore” di un tempo era tornato ed esso  avrebbe ora  potuto decretare la loro fine, per sempre.

 

5. La Battaglia dei Re

Gli orchi erano tanti, forti e spietati, ma l’orgoglio degli elfi era troppo grande perchè si lasciassero sopraffare senza combattere fino alla morte.
I Quenya si dimostrarono senza pari nel dominio degli elementi e dell’Antica Scienza; atterriti da armi tanto potenti quanto a loro sconosciute, molti orchi fuggirono e perirono sopraffatti dalla magia. Altrettanti caddero sotto i colpi infallibili dei tiratori Sindar, che organizzati in squadre di cacciatori saettavano veloci e invisibili  tra le fronde, e con le loro frecce seminavano la morte e il panico nelle retrovie del nemico; quel giorno, non una freccia Sindar mancò il bersaglio.
Ma non vi era spettacolo più affascinante e terribile insieme di quello offerto dai guerrieri Drow in mezzo alla battaglia. Le loro lame, cosparse di mortifero veleno, sembravano tutt’uno con la mente ed il corpo: con sguardo di ghiaccio e con mano veloce e inesorabile, falciavano le fila del nemico; come presi da divino furore si abbattevano sugli orchi in una danza di morte. La prima ondata fu annientata e respinta: la battaglia sembrava vinta.
Ma grande fu lo sgomento quando una seconda armata, più numerosa e determinata, si fece strada nel cuore dell’Hildoriath, con Ghaunadaur a guidarla.
L’esercito elfico era stanco, disperso, e in netta inferiorità numerica, ma non si perse d’animo. Il Principe Thorondil fu tra i primi a scagliarsi in battaglia; combatteva senza risparmio e nel convulso groviglio di corpi, armi e armature, chiara e scintillante splendeva la luce di Amart’hyanda, la spada degli Antichi, forgiata all’alba del mondo da Suldanas e benedetta dalla Grande Madre; il sangue orchesco che pure scorreva copioso sulla sua lama, mai ne intaccava la brillantezza. E nelle abili e possenti mani di Thorondil, la spada fece scempio del nemico. Ma il valore del Principe degli elfi non fu sufficiente ad evitare la tragedia. 
Ad un tratto, sopra il rumore dei tamburi da guerra, sopra il fragore della battaglia un grido feroce e profondo, un grido di bestiale esultanza scosse il campo di battaglia: con orrore, tutti gli elfi si voltarono a guardare Ghaunadaur che con orgoglio stringeva nella sua mano le teste mozzate del Re e della Regina. L’animo degli elfi, già provato, sprofondò nella disperazione. Urla di rabbia e dolore squarciarono il cielo; la  terra, le acque, i venti sussultarono: l’Hildoriath piangeva la morte dei suoi Signori. E una lacrima solcò il viso del Principe degli elfi . Senza esitazione Thorondil  si fece strada a suon di fendenti fra i pelleverde , che soccombevano annichiliti da tanta furia, e si lanciò, spada in pugno, contro Ghaunadaur.

6. Vittoria!

Lo scontro fra Thorondil e Ghaunadaur fu il più lungo ed epico che la storia elfica ricordi. La bianca spada dell’uno cozzava con le due enormi asce affilate dell’altro.
Nel frattempo i Figli dell’Hildoriath combattevano strenuamente per mantenere la posizione ma se talvolta riuscivano ad aprirsi un varco su un fronte, da un’altro lato erano costretti ad arretrare e lasciar spazio agli orchi.
La battaglia fra i due generali continuava senza esclusione di colpi, e  nonostante il forte impeto che li muoveva, nessuno sembrava prevalere sull’altro.
Ma il passare del tempo avvantaggiava il nemico. Lentamente l’Orda stava accerchiando l’esercito elfico.
Per un momento, un guizzo di speranza attraversò l’animo degli elfi quando Thorondil riuscì a colpire a morte il supremo comandante dei pelleverde: con un raccapricciante ruggito, Ghaunadaur rovinò a terra, sconfitto. E tuttavia,  l’esultanza si tramutò presto in angoscia, mentre il corpo retto e fiero di Thorondil si accasciava al suolo, lacerato da poche ma profonde ferite. Gli elfi erano oramai completamente circondati: in trappola. E al panico degli orchi per la morte del proprio capo, subentrò prontamente l’ebbrezza di una vittoria ormai certa.
Allora dalle labbra del Principe dell’Hildoriath, ormai agonizzante,  si levò una preghiera, quieta e possente insieme, che immediatamente volò sulla bocca di ogni elfo e centinaia di voci divennero una voce unica, che si alzava solenne verso il cielo. E dall’alto,  la preghiera fu ascoltata.

Quando Thorondil esalò l’ultimo respiro, avvenne un fatto straordinario. Un ombra, prima appena accennata, poi sempre più grande,  coprì il campo di battaglia. La luce del sole fu oscurata, e tutto intorno si diffondeva una leggera luminescenza verde. Gli incantatori e i sacerdoti elfici, così come gli sciamani pelleverde avvertirono che qualcosa di estremamente potente aveva turbato l’equilibrio degli elementi: l’essenza stessa dell’Hildoriath si era destata dal suo sonno millenario. D’un tratto, spade, asce e archi furono posati e su ogni cosa calò un innaturale silenzio.Tutti i combattenti alzarono lo sguardo, impietriti.
Metà del cielo era coperta da una sorta di ampia nuvola color smeraldo... ma non era una nuvola: era un’ala. Un paio di enormi ali, grandi come pianure, che muovendosi generavano un vento tanto forte da costringere elfi ed orchi a trovare appigli cui aggrapparsi per restare fermi sulle loro gambe.
Poi la creatura si fece più vicina, e minacciosa. Ricordava vagamente un rettile, nel corpo e nella testa, con arti giganteschi, denti e unghie affilate come spade. Ma negli occhi non vi era malvagità. Ammesso che si possano attribuire sentimenti dei mortali ad un essere semidivino, vi si poteva leggere forse un insieme di severità, compassione e saggezza infinta, senza tempo. Questa era dunque la mitica creatura oggetto di tante fiabe e racconti fantastici, il leggendario Drago di Smeraldo.
Lo sguardo del Drago si posò prima sugli elfi, ed era il suo uno sguardo corrucciato, quasi di rimprovero, poi scrutò gli orchi, attentamente e  con durezza. Allora levò gli artigli su di loro e una potenza senza pari si abbatté sui figli di Ghaunadur. Pareva che tutti gli elementi si piegassero alla volontà del Drago, la terra tremava sotto i piedi degli orchi e li intrappolava in robuste radici, dal cielo una pioggia di fulmini ne folgorò a centinaia. E la sorpresa fu ancor più grande quando tutti videro come alle sue mastodontiche dimensioni si accompagnasse tuttavia un’agilità e una destrezza nel combattere che atterriva per velocità e precisione.  Fu allora che una nuova speranza riscaldò i cuori dei Figli di Beltaine, e mosse le loro braccia alla battaglia. Gli orchi, terrorizzati da tale potente, inatteso nemico si trovarono spiazzati di fronte alla controffensiva dell’armata elfica, e in poco tempo furono sopraffatti e messi in rotta. Aggrovigliati tutti nella mischia, presi dalla foga del combattimento, inizialmente nessuno si accorse che il Drago di Smeraldo era scomparso, portando con sè il corpo di Thorondil. Ma non era quello il momento delle domande e degli enigmi; nei pensieri degli elfi vi era solo esultanza: la battaglia era vinta!

7. L’equilibrio si spezza

L’Orda degli orchi era sconfitta, e per sempre esiliata nelle terre oltre il mare. Un grande cerimonia funebre fu allestita in onore del Principe caduto, molti canti si levarono e molte lacrime furono versate in suo ricordo. La pace regnava di nuovo sull’Hildoriath.
Ora il tempo della rinascita e della ricostruzione era giunto, e mai come in quel momento il popolo elfico sarebbe dovuto rimanere fraternamente unito. Ma, ahimè, così non fu.
Con la morte di Thorondil la stirpe dei Re era finita per sempre, e tutti sapevano cosa questo avrebbe significato: guerra.
I primi attriti si manifestarono subito nelle sedute del Consiglio successive alla vittoria.
I Quenya sostenevano che il popolo elfico si sarebbe dovuto organizzare in grandi , maestose città, che rendessero manifesta la loro grandezza, istituendo un esercito regolare, costruendo avamposti in tutto il continente per averne il controllo. Per far sì che ciò che era accaduto non si ripetesse mai più.
I Sindar al contrario volevano che la civiltà elfica continuasse a vivere dove si diceva fosse nata, e cioè tra gli alberi secolari delle grandi foreste  nel cuore dell'Hildoriath , vivendo a stretto contatto con la natura e nel più profondo isolamento. Solo questo, secondo loro, avrebbe garantito la pace e la felicità per la loro razza.
I Drow invece si dimostrarono i più agguerriti e determinati. Galvanizzati dalla vittoria sugli orchi, accusavano le altre casate di sottovalutare la potenza della propria razza. Quest’ultimo successo, dicevano,  aveva dimostrato una volta di più la loro natura di dominatori incontrastati. Gli elfi avrebbero quindi dovuto armarsi e, in virtù della loro superiorità razziale, assoggettare al loro dominio tutte le terre emerse.
Le diverse opinioni apparvero subito come inconciliabili, nessuno era intenzionato di recedere di un solo passo dalla propria posizione e i margini di mediazione e compromesso si assottigliarono fino a scomparire. La situazione era a un punto morto, e la tensione altissima. Mancava veramente poco a che si impugnassero le armi, mancava poco allo scontro diretto; quel poco era un pretesto. E il pretesto, immancabilmente, arrivò.

8. La Guerra dei 100 Anni

Nelle sedute del Consiglio, Seregh, potente Capocasata dei Drow, cominciò a scagliarsi contro i portavoce Quenya in merito al possesso della Bianca Reliquia. Essa consisteva in un ramo (o una piccola radice, le testimonianze in questo senso sono diverse) del Sacro Albero Tulip, donde il mondo fu creato. La Reliquia era stata da sempre conservata dai sacerdoti Quenya, fin dai primordi custodi dell’Antica Scienza e della Tradizione. I Drow ne rivendicavano ora il possesso, in quanto “unici e veri appartenenti alla stirpe elfica”, accusando Quenya e Sindar di vigliaccheria e mollezza, e gettando il disonore su di loro.
Una notte, un gruppo di esperti assassini Drow penetrò nel tempio dei Quenya per trafugare la Reliquia e ne uccise i sacerdoti guardiani. Il tentativo fallì, e il furto fu sventato, ma i morti rimanevano: per la prima volta un fratello aveva levato l’arma su un fratello e la strada del sangue era stata imboccata. Tornare indietro non era più possibile.
Così cominciava quella che fu poi ricordata come la “Guerra dei 100 anni”. Tanto a lungo durarono i sanguinosi scontri fra le tre Casate. Le prime battaglie furono scaramucce di piccoli gruppi armati fra Quenya e Drow, ma presto al guerra crebbe di intensità e in ferocia.
I Sindar assunsero inizialmente una posizione equidistante da entrambe gli schieramenti, valutando attentamente e con lungimiranza la situazione. Ma presto le autentiche ambizioni dei Drow si palesarono agli occhi di tutti: il loro scopo era un e uno solo: dominare le altre Casate, per poi dominare incontrastati su ogni cosa o essere vivente; e per farlo conoscevano un unico strumento: la guerra.
Così dopo il primo decennio gli schieramenti erano ben definiti: Quenya e Sindar da una parte e Drow sul fronte opposto.
Dopo decenni di guerra, molto fu il sangue versato, gli omicidi, le stragi.
Ma Beltaine non aveva perdonato i traditori della stirpe degli Eletti, e abbandonò i loro cuori, e diede forza ai loro avversari.
I traditori furono decimati e sconfitti. Ai superstiti fu proposta una riconciliazione, seppur dolorosa, che potesse condurre ad una pace duratura. Ma i Drow, indomiti e orgogliosi guerrieri, alla resa preferirono l’esilio.

9.  Il Lungo Esilio

Gli elfi Drow intrapresero così un lungo viaggio che li portò nel profondo e disabitato sud dell'Hildoriath. Fu un massiccio esodo, che durò parecchi anni, e che rappresentò l'inizio di ciò che gli elfi chiamano il "Lungo Esilio".      
Una voce subdola solleticava i loro spiriti ebbri d’odio e di rancore, un volontà potente e terribile li guidava verso gli abissi, e colui che era stato sconfitto ed esiliato dall’Hildoriath millenni prima, Luugh, il dio malvagio imprigionato all’alba del mondo nei più  profondi recessi della terra, trovò finalmente un popolo pronto a venerarlo. Un popolo forte, spietato e guidato dall’odio.
I "figli di Luugh", come i Drow divennero soliti chiamarsi, si rifugiarono in buie foreste e in grandi caverne scavate nella roccia, e lì continuarono a scavare e a costruire, sempre più in profondità. Nel sottosuolo edificarono una grande città, Luughnasad , con molti tunnel, loculi, miniere, strade e templi.
Dopo alcune generazioni, i Drow non conobbero più la luce del sole. Luugh donò loro la conoscenza delle Arti Oscure, e Kelthra rese le sue creature predilette, i Theratan, loro alleati e servitori. Ma la pratica delle Arti Oscure corruppe indelebilmente l’animo e il corpo dei Drow: la loro pelle divenne scura come ossidiana e gli occhi bianchi e vitrei. Da allora i Drow sono noti anche come "Elfi Oscuri".

10. il Viaggio verso Nord

Sconfitti i Drow, il pericolo maggiore era passato. Tuttavia le divisioni e le differenze fra Quenya e Sindar non cessarono di esistere. Così i primi, che costituivano la maggioranza della comunità, decisero di abbandonare la foresta e di mettersi in viaggio verso le terre del nord: lì avrebbero costruito la loro città, la loro dimora. Finwerin Eldamar, anziano e sapiente Capocasata Quenya , li guidava nell’impresa. Impiegarono molti anni a raggiungere e rendere abitabili le fredde pianure e le alte montagne settentrionali, ma infine trovarono in quei luoghi la loro dimora ideale. Il frammento del Tulip fu nuovamente piantato, e da esso nacque il Bianco Albero, a rappresentare il sacro e indissolubile vincolo che legava il popolo elfico alla sua terra e alla Grande Madre. Attorno ad esso fu edificata la città più bella che occhio possa contemplare: tripudio di armonia e perfezione ,bianca e splendente nel cuore dei monti Elverquisst, sorgeva Ondolinde, dimora dei Quenya. Fra le sue candide mura fiorirono le Arti e le Scienze, furono innalzati templi e biblioteche, e ad ornare tutto portici, fontane e variopinti giardini. E per molti e molti anni Finwerin Eldamar, incoronato Re dei Quenya, , da allora noti anche come “Elfi Alti”,  governò in pace e prosperità sul suo popolo.

11. La Foresta del Doriath

Dopo l’esilio dei Drow e la dipartita dei Quenya, nella foreste dell’Hildoriath rimasero i soli Sindar.
La saggia ed equilibrata Arabella, guida spirituale della Casata Sindar, chiamò tutti i suoi fratelli a raccolta sotto i grandi alberi del Doriath, la fitta foresta che ricopre le regioni centrali dell’Hildoriath.
Essi divennero i protettori del Doriath, dove costruirono grandi villaggi sugli alberi, in cui vivevano e vivono tuttora in totale armonia con la natura e i suoi elementi. Il loro straordinario e intricato complesso di capanne e pontili diede forma ad una grande città nel cuore della foresta, chiamata Tiond. Al contrario degli altri elfi, i Sindar, o "Elfi Silvani" come furono poi chiamati, preferirono sin dall’inizio l'isolamento dei loro boschi all'esplorazione di nuove terre. Da allora i temuti Cacciatori  Sindar vegliano attentamente ma discretamente sul Doriath, difendendone i confini a prezzo della loro stessa vita. Gli “Elfi Silvani” divennero così  tutt'uno con la foresta, vivendo e prosperando in simbiosi con le altre creature del bosco; si dice che gli alberi stessi obbediscano al volere dei sacerdoti Sindar. Arabella fu incoronata Regina del Doriath e su di esso regnò con equilibrio e giustizia per gli anni che seguirono.

12.Il contatto con gli umani: Teleri e  Perhidil

Non tutti i Quenya si accontentavano di una vita idilliaca entro le bianche mura di Ondolinde; per alcuni di loro quella vita era priva di stimoli e di prospettive: Così, sin dagli anni immediatamente successivi alla fondazione della Splendente, un gruppo di Quenya guidati dall’intraprendente Marip’in si lasciò i monti Elverquisst alle spalle e intraprese un lungo viaggio verso sud. Dopo i primi anni trascorsi a portare e scambiare merci per tutto l’Hildoriath Marip’in ed il suo popolo si stabilirono sulla costa orientale, e fondarono quella città che sarà poi conosciuta come  Rotiniel. Marip’in ne divenne re, ma lo spirito mercantile ed errabondo dei Teleri, come vennero chiamati gli elfi di Rotiniel, era ben lungi dall’essere sopito. I Teleri infatti, divenuti esperti navigatori, stabilirono rotte attraverso l’Oceano Orientale e raggiunsero il Continente umano. Allora ci furono i primi, discreti contatti fra le due razze. Ma per gli elfi, il tempo di rivelarsi agli umani non era ancora giunto. Gli incontri all’inizio rimasero segreti a avvolti dal mistero, fino a sconfinare nella leggenda e ad essi non fu dato alcun peso dai regnanti umani. Fu così che, dalle prime clandestine relazioni fra umani ed elfi nacque la prima generazione di Perhidil,  mezzelfi o mezzarazza come venivano chiamati con disprezzo, i quali erano invero molto pochi e ben nascosti.

Durante la Grande Guerra gli elfi videro prima degli uomini quale grande pericolo, non solo per il Continente umano, ma anche per Ardania tutta, era rappresentato da Surtur e dale sue ambizioni di conquista. Così, Quenya, Sindar e Teleri, riuniti in Consiglio come non accadeva da secoli, seppur a malincuore decisero di inviare pattuglie di guerrieri elfici sul Continente. Persino i Sindar, famosi per la loro insofferenza verso ogni evento esterno al Doriath, si convinsero a mandare alcuni dei loro rinomati e infallibili tiratori. E come gli umani ben sanno, il contributo degli elfi si rivelò determinante per la vittoria sugli orchi.

Da allora i contatti tra elfi e umani si fecero più frequenti, e di conseguenza il numero dei mezzelfi aumentò notevolmente. La loro duplice natura era allo stesso tempo una virtù e una condanna. Disprezzati e allontanati dagli elfi come risultato di un incrocio con una razza inferiore; temuti e visti con sospetto dagli uomini, che li consideravano bizzarre e curiose creature, i Perhidil furono condannati a non avere una terra cui appartenere o una città in cui abitare. Ma ciò fu anche la loro fortuna: in poco tempo divennero i più grandi viaggiatori e mercanti delle terre emerse; ogni scambio commerciale tra elfi e umani avveniva di fatto attraverso la loro mediazione. I mezzelfi mercanti cominciarono ad accumulare grandi ricchezze e iniziarono a insediarsi nell'unica città dove gli elfi si dimostravano più aperti e tolleranti: la città di Marip’in e patria dei Teleri, Rotiniel. Essa divenne il più importante centro di scambio fra i due continenti essendo anche l'unica città portuale che li collegava. E, come suole accadere nella società umana, la versatilità, l'astuzia commerciale e sopratutto la ricchezza di alcuni mezzelfi servì loro a guadagnarsi anche fama e rispetto nel Continente.

13. I ritorno dei Figli di Luugh

Passarono i decenni, passarono i secoli e nulla più sembrava turbasse la pace dell’Hildoriath.
I due gravi lutti che pure colpirono i reami elfici, quello di Re Finwerin e di Re Marip’in, tuttavia furono accolti con tristezza sì, ma infine con serenità, come è consuetudine. Poichè i due regnanti trapassarono naturalmente, secondo la volontà della Grande Madre, per tornare ad abbracciare l’armonia del Tulip. La morte naturale è infatti percepita dagli elfi semplicemente come un punto di passaggio, come una soglia fra due mondi. Aredhel Eldamar succedette al padre sul trono dei Quenya, e così il giovane Ersyh seguì al padre Marip’in, Re dei Teleri.
Ma i traditori del popolo elfico, dalle profondità di Luughnasad, già tessevano le loro trame di vendetta. E quando furono pronti, durante un inverno particolarmente duro, tornarono in superficie.
Piccoli manipoli di esperti sicari Drow si sparsero non visti per tutto l’Hildoriath, le loro lame erano intrise del più potente veleno conosciuto, si diceva distillato dal ventre stesso di Kelthra, un dono prezioso e terribile, donato per colpire a morte i più anziani e potenti fra gli elfi.
La prima a cadere in agguato fu la saggia Arabella, Regina dei Sindar. A nulla valsero le cure dei sacerdoti, e l’amore del Doriath per la sua regina. Ella morì, e il giovane ma già rispettato Agar en’Nimbreth prese il suo posto, e , con la  lancia in pugno e lo spirito di Suldanas nel petto, non esitò a vendicare la morte della madre. Dopo Arabella, fu la volta di Re Ersyh di Rotiniel: in un delle sue frequenti battute di caccia nel Sud, lui ed il suo gruppo di guardie furono assaliti e trucidati orribilmente. La morte della Bianca Regina di Ondolinde fu se è possibile ancor più dolorosa. Anch’Ella fu infatti aggredita, ma gli assassini Drow non riuscirono ad ucciderla, poiché l’intervento della Guardia Alta fu tempestivo e non lasciò scampo agli Scuri. Aredehl non fu uccisa, ma fu ferita, ed il veleno cominciò a consumare il suo corpo. L’esultanza per il fallimento tentativo di agguato da parte dei Drow fece sì che le condizioni fisiche della Regina non destarono eccessiva attenzione, tanto più che la ferita era ormai del tutto guarita. Ma Kelthra subdolamente già accompagnava la Bianca Dama verso la morte. La salute della Regina peggiorava di mese in mese, e quando le sacerdotesse capirono che non si trattava di stanchezza, ma di un male ben più oscuro e profondo, allora era troppo tardi. Neppure Beltaine poteva più salvare Aredhel, tale era il potere di Luugh e dei suoi servitori.

Furono mesi di lutto per l’Hildoriath, mesi di solenni cerimonie, intimo dolore e fermi propositi di vendetta;  ma il tempo della giustizia per i Figli di Beltaine giunse presto. Nimbreth già regnava sul suo popolo nella Verde Tiond, quando Rotiniel incoronò Elrylith come suo Re; e a Lorac Isildur, prima Comandante della Guardia Alta di Ondolinde, fu affidata la corona ed il Regno della Splendente.
Iniziava così una nuova era per il popolo elfico, chiamato a difendersi, ancora una volta, contro i fratelli di un tempo.

 

Nis’tar Setari,
Bibliotecaria di Ondolinde e  Custode delle Tradizioni

Fonte: http://themiracle.igz.it/ANTRO_GDR/Background/StoriaElfica.doc

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