Logica e concetti filosofici fondamentali
Logica e concetti filosofici fondamentali
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Logica e concetti filosofici fondamentali
[Elementi di storia del pensiero filosofico, con particolare riguardo al pensiero del Novecento (Kant, positivismo, scetticismo, marxismo, pragmatismo, evoluzionismo, esistenzialismo, neoempirismo e falsificazionismo). Conoscenza del significato di: logica, epistemologia, gnoseologia, antropologia, metafisica, etica. Concetti etici fondamentali: bene, valore, coscienza, libertà, responsabilità, legge morale.
Concetti gnoseologici fondamentali: verità, certezza, ragionamento, opinione, congettura, ipotesi e tesi, confutazione, giustificazione.]
Elementi di storia del pensiero filosofico, con particolare riguardo al pensiero del Novecento
POSITIVISMO
Dottrina filosofica che fonda la conoscenza solo sui fatti e deriva la certezza esclusivamente dall'osservazione propria alle scienze sperimentali, con l'esclusione di ogni apriorismo e l'ammissione che la conoscenza della "cosa in sé" è inattingibile. Positivo è quindi il reale in opposizione al chimerico, il certo in quanto posto sul fondamento sicuro del fatto. Il termine "positivo" si trova per la prima volta nel conte di Saint-Simon, che lo acquisisce al campo strettamente filosofico (Système de politique positive), ma che si limita a un generico impegno della filosofia per un metodo d'indagine che si modellasse sulla ricerca scientifica. Le vere origini del positivismo però sono da ricercarsi nell'illuminismo inglese e francese: dal primo dedurrà le matrici empiristica e utilitaristica; dal secondo il principio (elaborato da Condorcet) che il progresso di tutta la conoscenza dipende dalla costituzione e dal progresso della scienza positiva. Ambiente favorevole allo sviluppo del positivismo fu quello formatosi a partire dal 1830: progresso delle scienze naturali, prime applicazioni tecniche delle scoperte scientifiche e loro riflessi in campo sociale ed economico, nuova importanza assunta dal lavoro. In Francia A. Comte (a cui si deve la prima elaborazione e sistemazione del positivismo) partì dal principio già formulato da Fourier: "Le cause primordiali non ci sono note, ma esse sottostanno a leggi semplici e costanti, che si possono scoprire per mezzo dell'osservazione e il cui studio costituisce l'oggetto della filosofia naturale"; e da questa premessa svolse la sua ricerca giungendo alla definizione della filosofia come "scienza dei fatti concreti". Nel suo fervore organicistico Comte aveva diviso la storia in tre stadi: teologico o immaginativo, in cui l'uomo immagina i fenomeni un prodotto di agenti soprannaturali; metafisico o astratto, in cui l'uomo tenta di spiegarsi il mondo come effetto di forze astratte; positivo o scientifico, in cui l'uomo ha acquistato la coscienza dell'impossibilità di attingere l'assoluto e si limita alla conoscenza delle leggi che reggono i fenomeni. Questo rigore scientifico venne meno nel Comte vecchio, che al principio intellettualistico sostituì il sentimento, fondando su di esso addirittura una religione (inconsistente), di cui si autonominò sommo sacerdote. Fecondo e aperto a nuovi sviluppi fu il positivismo anche in Inghilterra, soprattutto per merito di J. Stuart Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale alle sue consuete incertezze per stabilire invece per essa un fermo complesso di regole, che consentissero di superare le antitesi di egoismo e altruismo, d'individualismo e socialismo.
SCETTICISMO
Si tratta di una linea di pensiero originaria della filosofia greca antica. Uno degli esponenti di maggior spicco è stato Pirrone di Elide (360-275 a.C.), che propose l’adozione di uno scetticismo 'pratico'. In seguito, all’interno della 'Nuova accademia', Arcesilao (315-241 a.C.) e Carneade (213-129 a.C.) svilupparono ulteriori prospettive teoretiche, basate sul rifiuto di una verità (e di una falsità) assolute. Carneade criticava in particolare i dogmatici, soprattutto quelli di matrice stoica, asserendo che non è possibile fondare la conoscenza in maniera irrefutabilmente certa. Sesto Empirico (200 d.C. circa), la massima autorità dello scetticismo greco, sviluppò ulteriormente la dottrina, inserendovi i risultati dell’empirismo dell’epoca. Gli scettici greci si opponevano in particolare a quello che ritenevano essere il “dogmatismo” degli stoici, basato sulla forza della logica. Per gli scettici, l’argomentazione logica, volta a stabilire la verità di una certa affermazione, è a tal fine inutilizzabile, in quanto, in ultima istanza, ogni proposizione logica si basa sulla validità (verità) di altre proposizioni, che andrebbero a loro volta verificate, e così all’infinito. Gli scettici ritenevano dunque la logica uno strumento inadeguato ad individuare la verità. Verità che tuttavia, non si poteva dire fosse “impossibile” da ottenere; gli scettici non proponevano, in generale, un nuovo dogmatismo (basato sull’affermazione fondamentale “la verità non esiste”, che si confuta nel momento stesso in cui viene pronunciata, né su quella più edulcorata, ma peggiore sul piano filosofico, “la verità non è raggiungibile”, che fonde due dogmi in uno, nel presupporre l’esistenza di una verità – senza tuttavia poterla in alcun modo riscontrare) ma piuttosto un atteggiamento volto a non “cristallizzare” la conoscenza acquisita (come se fosse qualcosa di proveniente direttamente da un cielo metafisico), bensì a farne buon uso a proprio ed altrui vantaggio. Fra gli scettici dell'epoca moderna va ricordato David Hume.
MARXISMO
Termine con cui si definisce sia la dottrina filosofico-politica elaborata da Karl Marx, sia quell’ampio movimento internazionale, tra i maggiori protagonisti della storia del XX secolo, che su di essa ha basato la sua strategia politica e i suoi studi teorici. Il marxismo ha esercitato una grande influenza sui movimenti socialisti e comunisti. Il fenomeno politico e ideale suscitato dall’opera di Marx è estremamente complesso e controverso; per questo motivo si dovrebbe parlare piuttosto di “marxismi”. In molte sue opere, e specialmente nel Capitale, Marx analizzò lo sviluppo del sistema capitalistico riconducendolo allo sfruttamento del lavoro salariato. Secondo Marx, il corso della storia dell’uomo è plasmato dalla “lotta di classe”, ossia dal rapporto dialettico e conflittuale tra le classi. Ciascuna epoca storica è caratterizzata da uno specifico “modo di produzione” (una struttura economico-sociale), al quale corrisponde uno specifico “rapporto di produzione”, cioè un rapporto tra le classi sociali. Dalla schiavitù al feudalesimo, e da questo al capitalismo, le transizioni hanno avuto luogo quando le forze produttive (l’insieme cioè di forza lavoro, mezzi e tecniche di produzione, materie prime) non hanno avuto più modo di svilupparsi all’interno dei rapporti di produzione esistenti. Anche il capitalismo non è altro che una fase transitoria della storia dell’uomo; per affermarsi ha dovuto imporsi sul modo di produzione feudale, portando con sé i germi della sua stessa distruzione. Mentre il passaggio tra feudalesimo e capitalismo è stato prodotto dall’azione della borghesia, nel capitalismo può essere solo la lotta della classe operaia a determinare il cambiamento verso una società comunista, in cui non sia possibile lo sfruttamento di una classe sull’altra. La classe operaia, con la lotta per la sua emancipazione, emanciperà dallo sfruttamento tutta l’umanità. Secondo Marx la struttura economica della società capitalistica viene difesa da una complessa sovrastruttura politica, giuridica e ideologica (lo stato), che determina le forme di coscienza sociale. Lo stato, nell’analisi di Marx, è lo strumento di cui si serve la borghesia per esercitare il suo potere e imporre la sua ideologia. Per Marx lo stato non è destinato a perfezionarsi, né va conquistato per usarlo a proprio vantaggio: se lo stato è uno strumento di dominio di una classe sull’altra, esso si estinguerà nella società senza classi. Nel periodo di transizione rivoluzionaria dal capitalismo al comunismo le funzioni dello stato saranno esercitate dalla “dittatura del proletariato”.
Marx individua nel salario, che regola il rapporto fra capitalisti e proletari, uno dei cardini del sistema capitalistico. Nel capitalismo, il salario corrisposto al lavoratore in cambio della sua forza lavoro non corrisponde al valore dei beni che questa forza lavoro produce. Infatti, secondo la teoria del valore-lavoro, che Marx mutua da Ricardo, il profitto del capitalista non può che venire da un “valore in più” delle merci vendute, il “plusvalore”, prodotto da una parte del lavoro, il “pluslavoro”, per cui non viene corrisposto alcun salario. Questo dimostra che la formazione del profitto e l’accumulazione del capitale, che rendono possibile il funzionamento del sistema capitalistico, derivano dallo sfruttamento della classe operaia.
PRAGMATISMO
Dottrina filosofica elaborata nel XIX secolo dai pensatori statunitensi Charles Sanders Peirce e William James, secondo cui il valore di verità di una proposizione si identifica con le sue conseguenze pratiche, poiché il fine del pensiero è guidare l'azione. Il termine pragmatismo, derivato dal greco prâgma, 'fatto', 'azione', fu impiegato per la prima volta da Peirce, per indicare un atteggiamento filosofico che non considera la conoscenza come pura attività teorica, bensì in rapporto alle conseguenze pratiche che derivano dalle nostre credenze. Tuttavia la concezione secondo cui la nostra conoscenza ha un carattere essenzialmente pratico era già stata formulata dal filosofo inglese Bacone alle soglie dell'età moderna: egli infatti sosteneva che la conoscenza non ha di mira la semplice contemplazione della natura, ma il suo dominio tecnico, e inoltre richiede costantemente l'intervento pratico-sperimentale per controllare se una teoria è vera o falsa. Nell'Ottocento Marx formula un rapporto fra teoria e prassi che può essere avvicinato alle dottrine pragmatiste; egli sostiene infatti che 'la questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva non è una questione teoretica, bensì una questione pratica'. Alla base di ogni approccio filosofico di tipo pragmatistico troviamo un nucleo di questioni generali. Una prima questione riguarda il problema se una teoria è utile perché è vera oppure è vera perché utile; una seconda questione riguarda se la verità ha un valore oggettivo o solo relativo al soggetto e ai suoi bisogni pratici; una terza questione riguarda se il soggetto della conoscenza e dell'azione vada inteso come l'individuo, o come un insieme più ampio di individui, ovvero come l'umanità. Sulle risposte date a queste domande si dividono il pragmatismo di Peirce, teso comunque a difendere un valore universale della verità, da quello di James, più orientato in senso relativistico. Mentre infatti Peirce mantiene fermo il principio che una ipotesi, per poter essere riconosciuta come vera, deve fondarsi sull'ideale regolativo del consenso universale della comunità di scienziati intorno a essa, James ritiene che il criterio della sua verità consiste esclusivamente nella sua utilità in relazione alle esigenze vitali degli individui. Dal canto suo Peirce, per distinguersi dallo sviluppo che gli sembrava irrazionalistico del pragmatismo di James, definì la propria posizione 'pragmaticismo'.
EVOLUZIONISMO
Sviluppo della teoria darwiniana sull'evoluzione delle specie, in contesto antropologico culturale, teso all'individuazione dei fattori che determinano la progressione delle società umane. L'idea che potesse esistere un'evoluzione degli organismi viventi tale che nuove specie o semplicemente delle varianti razziali potessero formarsi in un determinato contesto geografico venne espressa da Charles Darwin nel libro Sull'origine delle specie. Benché altri autori precedenti fossero già convinti evoluzionisti, a lui spetta il merito di avere individuato nella selezione naturale il principale motore dell'evoluzione e di avere portato solide prove a sostegno di tale teoria. Il suo saggio, pubblicato nel 1859 dopo un lungo periodo di rielaborazione, non solo modificò per sempre il pensiero biologico, ma influenzò profondamente molti altri aspetti delle scienze umane.
ESISTENZIALISMO
Tendenza filosofica e letteraria, nata in Germania e in Francia intorno agli anni Trenta del Novecento, che si pone come compito l’analisi dell’esistenza umana. L’esistenzialismo comprende posizioni eterogenee, difficili da definire univocamente; si possono tuttavia individuare alcuni motivi ricorrenti, quali il tema centrale dell’esistenza come modo d’essere proprio dell’uomo, l’accentuazione della finitezza e della singolarità irriducibile dell’individuo, delle possibilità alternative cui egli si riferisce, e pertanto della responsabilità individuale e della libertà. Non sono mancate nella storia del pensiero filosofie che hanno toccato alcuni dei problemi che sono al centro dell’esistenzialismo novecentesco. Blaise Pascal nel Seicento polemizzò con lo “spirito geometrico” tipico del razionalismo di Cartesio, perché incapace di render conto dei problemi che riguardano l’uomo di fronte alla vita e alla morte. Tuttavia, il filosofo cui i pensatori esistenzialisti contemporanei più spesso si sono richiamati è il danese Søren Kierkegaard, vissuto nella prima metà del XIX secolo, il cui pensiero conobbe una vera e propria rinascita in Germania fra le due guerre mondiali. Egli, opponendosi all’idealismo di Hegel, sottolineò il valore assoluto dell’esistenza del singolo e il suo carattere di unicità. L’esistenza, infatti, non è mai risolvibile in concetti astratti come essenza, spirito, ragione, che pretendono di spiegarla esaurientemente, ma corrisponde sempre a ciò che possiamo intendere come singolo, ossia possibilità, scelte, decisioni. In particolare Kierkegaard sottolineò il sentimento fondamentale dell’angoscia, che nasce poiché l’uomo si trova sempre di fronte a diverse possibilità, la scelta di una delle quali comporta l’esclusione delle altre. Egli sostenne un “salto della fede” nell’esistenza cristiana che, sebbene immotivata e rischiosa, è l’unica forma di impegno capace di salvare l’individuo dalla disperazione. Un altro pensatore che esercitò un profondo influsso sui filosofi esistenzialisti del Novecento fu Friedrich Nietzsche. Egli criticò radicalmente le tradizioni metafisiche e morali dell’Occidente opponendovi il pessimismo tragico e la volontà affermatrice di vita, ostile al conformismo morale della maggioranza. A differenza di Kierkegaard, il cui attacco alla moralità convenzionale giunse a una forma di cristianesimo individualista, Nietzsche proclamò la “morte di Dio”, respingendo tutta la tradizione morale giudaico-cristiana a favore di un ideale eroico pagano.
EMPIRISMO MODERNO
In età moderna l’inglese John Locke critica la concezione delle idee innate sostenuta da Cartesio e afferma che tutte le nostre conoscenze sono originate dall’esperienza esterna (“sensazione”) o interna (“riflessione”). Locke paragona il nostro spirito a “un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea”: solo l’esperienza procura al nostro spirito tutti i materiali del pensiero, che Locke definisce “idee”, dando a questo termine un significato simile a quello conferitogli dal razionalista Cartesio. La differenza fra i due autori non riguarda, infatti, la concezione delle idee come contenuti del pensiero o della mente (secondo un significato che non è quello originario e platonico della parola “idea”), ma l’origine delle idee, che per Cartesio e i pensatori razionalisti sono (almeno in parte) innate, per Locke e gli empiristi sono derivate dai sensi (come le idee di bianco, di caldo, di duro, di ruvido ecc.), o da una riflessione sulle operazioni mentali interne (come le idee di percepire, di pensare, di volere ecc.). A partire da Locke l’empirismo si distingue anche per un’istanza critica nei confronti dei concetti tipici della metafisica, come ad esempio il concetto di sostanza. Se, infatti, tutto ciò che conosciamo deriva dall’esperienza, diventa problematico ipotizzare qualcosa che sarebbe a fondamento delle qualità sensibili delle cose: Locke non nega la sostanza, ma la dichiara inconoscibile come essenza necessaria o fondamento ultimo delle cose. Dopo di lui l’irlandese George Berkeley, sebbene motivato da una finalità teologica, giunge a negare l’esistenza del mondo materiale e ad affermare che gli oggetti non sono altro che collezioni di molteplici percezioni (un albero, ad esempio, consiste solo nelle percezioni relative a certi colori, a una certa forma e ad altri caratteri sensoriali che si accompagnano insieme nella mente). L’unica sostanza che rimane, una volta che Berkeley ha negato l’esistenza dei corpi, è lo spirito, cioè la mente che percepisce. Il passo successivo viene compiuto dallo scozzese David Hume, il quale non solo argomenta che non si possono produrre prove oggettive circa l’esistenza del mondo dei corpi, ma che anche l’esperienza che abbiamo del nostro io non è quella di una sostanza (l’“anima”), bensì di un “fascio di percezioni” in continuo mutamento. Se in questo modo l’empirismo di Hume perviene a conclusioni scettiche, occorre precisare che il suo scetticismo mira soprattutto a delimitare il nostro sapere in senso sperimentale, privandolo di quei requisiti di certezza e di indubitabilità che gli erano attribuiti dai filosofi razionalisti. Nell’Ottocento l’empirismo fu difeso e sviluppato in modo originale da John Stuart Mill, che rivendica l’origine empirica delle nostre conoscenze, anche delle verità logiche e matematiche, e il significato fondamentale del metodo induttivo. Sia per le sue istanze di carattere critico e antimetafisico, sia per la sua capacità di adattarsi ai problemi che via via si impongono all’indagine scientifica e filosofica, un fondamentale atteggiamento empiristico appare contraddistinguere molteplici correnti del pensiero otto e novecentesco, dal positivismo al pragmatismo, riemergendo in particolare nella riflessione del positivismo logico sviluppatasi nel periodo fra le due ultime guerre mondiali.
Conoscenza del significato di:
LOGICA: La parola logica deriva dal greco "Logos", ovvero "parola, pensiero, idea, argomento, ragione". In quest'accezione, essa s'è subito configurata quale uno studio del "pensiero" e del "linguaggio". La logica, in genere, è la scienza delle regole e delle leggi del pensare. Essa coincide, almeno fino a Hegel, con la logica formale, cioè con la scienza del pensare a prescindere dai contenuti. La logica dialettica studia le forme del pensare in relazione ai contenuti. I contenuti sono infine, materia delle singole scienze. La logica classica è la scienza che tratta tutta la validità e le articolazioni di un discorso in termini di nessi inferenziali - in particolare deduttivi - relativamente alle proposizioni che lo compongono. Si deve ad Aristotele - che esaminò i concetti, le categorie, le proposizioni, i termini e i sillogismi - la prima formulazione della logica come scienza propedeutica a ogni possibile conoscenza.
EPISTEMOLOGIA : Disciplina filosofica che studia la conoscenza, individuandone i fondamenti e i criteri di validità. In Italia il termine (dal greco episteme, “conoscenza” e logos, “discorso”) possiede due differenti significati. Nel primo caso, che riproduce l’uso del termine inglese epistemology, la disciplina si identifica con la gnoseologia, ossia con lo studio della definizione e della giustificazione della conoscenza rispetto ad altre forme di esperienza umana. Nel secondo, in un’accezione più restrittiva, il termine indica l’indagine filosofica sulla conoscenza scientifica e pertanto è sinonimo di filosofia della scienza
GNOSEOLOGIA: Disciplina filosofica che studia la conoscenza, cercando di darne una definizione e di indagarne la possibilità intrinseca, i criteri e i limiti, e ponendosi il problema della sua verità. Sinonimi di “gnoseologia” (dal greco gnosis, “conoscenza” e logos, “discorso”) sono “teoria della conoscenza” e, in particolare nella cultura anglosassone, il termine “epistemologia”.
ANTROPOLOGIA: Studio delle caratteristiche fisiche, delle culture e delle forme di organizzazione sociale dell'essere umano. Il campo di indagine dell'antropologia si divide in due ambiti principali: l'antropologia fisica, rivolta allo studio dell’uomo come specie zoologica, e l'antropologia culturale, che studia le culture e le forme di organizzazione sociale dei diversi gruppi umani. Sviluppatasi in seno allo studio delle culture cosiddette 'primitive', l'antropologia contemporanea ha esteso la sua indagine anche alle moderne culture occidentali. Centrali, nel suo metodo, sono il lavoro sul campo e la raccolta di testimonianze dirette sulla cultura, i costumi, le tradizioni e la struttura delle società esaminate.
METAFISICA: Ramo della filosofia che indaga la natura dell’essere. Generalmente la metafisica si suddivide in due discipline: l’ontologia, che si cura di determinare quali e quante specie distinte di entità popolino l’universo, e la metafisica propriamente detta, che si preoccupa di descrivere i tratti universali dell’essere, quelli cioè che definiscono complessivamente la realtà e che – si presume – caratterizzerebbero ogni possibile universo.
ETICA: Insieme di principi o norme che regolano la condotta umana, e per estensione lo studio di tali principi, denominato filosofia morale (dal latino mores, “costumi”). L’etica (dal greco ethos, “carattere”, “costume”) cerca di rispondere a domande come: “Quando un’azione è giusta?”, “Quando un’azione è sbagliata?” e “Qual è il principio che decide del bene e del male?”. Da quando gli esseri umani vivono insieme in gruppi, la legittimazione morale del comportamento è divenuta necessaria per la sopravvivenza di ogni comunità. Sebbene i sistemi di valori venissero via via formalizzati in modelli sistematici di condotta, i principi dell’etica ebbero origine, talvolta irrazionalmente, da fonti eterogenee: determinanti furono sia azioni fortuite che, una volta divenute di uso comune, si consolidarono dando origine a tradizioni e costumi, sia le leggi imposte dai governanti per evitare i conflitti fra i loro sudditi.
Concetti etici fondamentali: bene, valore, coscienza, libertà, responsabilità, legge morale
Concetti gnoseologici fondamentali: verità, certezza, ragionamento, opinione, congettura, ipotesi e tesi, confutazione, giustificazione
Fonte: http://www.forumlybra.it/docs/TEST%20e%20DISPENSA10.doc
Autore del testo: http://www.forumlybra.it
Parola chiave google : Logica e concetti filosofici fondamentali tipo file : doc
Logica e concetti filosofici fondamentali
Visita la nostra pagina principale
Logica e concetti filosofici fondamentali
Termini d' uso e privacy