Frege il pensiero ricerche logiche
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Frege il pensiero ricerche logiche
Frege, Il Pensiero
1. Abbiamo visto due temi nel saggio sulla Logica : 1. la critica alla teoria corrispondentista della verità e la affermazione che il vero non ha gradazioni (diversamente dal bello). Questi due temi vengono saldati nel saggio Il Pensiero, a p. 5 . Poiché nella teoria corrispondentista si istituisce un rapporto tra rappresentazione mentale e realtà, per definizione non potrà mai esserci coincidenza completa tra i due termini di questa relazione. Ma se non c'è coincidenza completa, non c'è verità neppure completa, essendo il vero definito come quella relazione tra rappresentazione e oggetto. Ma questa concezione della verità è logicamente inadeguata perché "ciò che è vero solo a metà, non è vero. La verità non sopporta un più o un meno" (p. 5). Si noti che la corrispondenza parziale sarebbe accettabile dal punto di vista di una epistemologia empirica della verosimiglianza; non lo è, però, dal punto di vista logico, perché la logica si occupa di proposizioni di cui si deve poter decretare se siano vere o false.
Questa osservazione, che connette la teoria corrispondentista a una concezione necessariamente debole della verità, è indipendente dall'altra critica alla teoria corrispondentista che mette in luce il fatto che questa teoria non è risolutiva perché la verità come oggetto della definizione ("la verità è la corrispondenza tra rappresentazione e stato di cose") è richiesta come criterio per accertare la verità della definizione ('è vero che questa rappresentazione corrisponde a questo stato di cose?).
2. Sappiamo che il vero è una proprietà che compete alle proposizioni assertorie e abbiamo detto che il termine 'vero' è ridondante perché quel che conta è la forma della proposizione assertoria. In Il Pensiero a p. 9 capiamo meglio che cosa sia la 'forma' della proposizione assertoria: essa non è una forma grammaticale, ma è una 'forza': 'die behauptende Kraft'. Questa è presente, quando "parliamo seriamente" e non per finzione, ossia quando vogliamo dichiarare la verità delle cose e non semplicemente dare libero gioco alla immaginazione. Gli enunciati di un attore o di un poeta possono avere forma grammaticale assertoria, possono essere descrittivi, ma non hanno forza assertoria, perché sono finzioni, gioco e poesia. In tal caso il pensiero espresso è solo apparente, perché le proposizioni non hanno pretesa di verità.
La distinzione tra senso, pensiero e giudizio
Se teniamo conto di tutta la § 4 possiamo distinguere tra senso, pensiero e giudizio: nella proposizione assertoria sono presenti tutti e tre gli elementi e il senso della proposizione assertoria è il pensiero in essa espresso, di cui si afferma la verità (giudizio); nella proposizione interrogativa manca il giudizio, e sono presenti il senso e il pensiero (pensiero = un senso di cui ci si può chiedere se sia vero o falso); in una proposizione non denotante, come ad esempio nelle asserzioni letterarie, teatrali o poetiche, abbiamo soltanto il senso, ossia un contenuto intelligibile che però non è possibile giudicare vero o falso perché esula dalla questione della verità; poiché il pensiero è stato definito da Frege “ciò di cui si può chiedere se è vero” (Der Gedanke, p. 6), sarebbe improprio definire ‘pensiero’ il senso di una proposizione non denotante.
La distinzione tra pensiero e giudizio si presenta in Frege già nel suo primo lavoro, l’Ideografia. Un linguaggio in formule del pensiero puro, a imitazione di quello aritmetico (1879). Nell’Ideografia Frege introduce un segno particolare che esprime il giudizio o asserzione. Il segno è |― ed è scritto a sinistra del segno o complesso di segni in cui è dato il contenuto della proposizione. Se si omette il tratto verticale iniziale, la linea orizzontale rimanente è detta ‘segno di contenuto’ e serve a mostrare che il contenuto espresso dal segno o dai segni che seguono è preso in considerazione senza che l’autore intenda affermarlo o negarlo . Se ad esempio ‘|― A’ è l’abbreviazione di un’asserzione come: “i poli magnetici opposti si attraggono’, il simbolo ‘― A’ serve a indicare solo il pensiero della mutua attrazione tra poli magnetici opposti, pensiero di cui si esamina l’esattezza senza che venga ancora pronunciato alcun giudizio. La barra orizzontale, secondo Frege, può essere letta come se significasse ‘la proposizione che…’o ‘la circostanza che…’ e il suo contenuto deve essere un contenuto giudicabile e non una rappresentazione semplice (l’idea di casa o di albero ad esempio). Vale dunque il principio che “ciò che segue il segno di contenuto deve sempre avere un contenuto giudicabile” . Se denominiamo ‘segno di contenuto’ il tratto orizzontale, denominiamo ‘segno di giudizio’ il tratto verticale. Il contenuto concettuale viene così distinto dal giudizio e rimane identico in proposizioni di valore diverso come ad esempio interrogative o assertorie.
Il giudizio come riconoscimento (non come produzione) della verità
Nella ricerca logica “La Negazione” Frege, espone la tesi ‘platonizzante’ e anti-kantiana secondo la quale la verità è un ordinamento ideale che il soggetto conoscente riconosce gradualmente e non una connessione di parti prodotta dalla mente. E’ un errore “l’idea che sia colui che giudica a produrre col suo giudicare la connessione interna del giudizio, a metter l’ordine fra le parti, e a produrre in questo modo il giudizio. Quando si pensa così non si mantiene ferma la distinzione tra la concezione di un pensiero ed il riconoscimento della sua verità. Indubbiamente in molti casi queste due operazioni si seguono così da vicino, che sembrano fondersi in una sola; ma non in tutti. Possono intercorrere anni di faticose ricerche tra la concezione di un pensiero ed il riconoscimento della sua verità. Che da questo giudizio non venga prodotto il pensiero, la connessione interna delle sue parti, è chiaro; infatti esisteva già prima. Ma anche la concezione del pensiero non è un produrre il pensiero, non è un produrre l’ordine delle sue parti; perché il pensiero già prima era vero, consisteva già nell’ordine delle sue parti prima di essere concepito. Come un viandante, camminando in montagna, non per questo crea la montagna, così colui che giudica non crea il pensiero per il solo fatto che lo riconosce per vero. Se ciò accadesse, non potrebbe essere il medesimo pensiero quello che ieri era riconosciuto per vero da una persona ed oggi lo è da un’altra; anzi neppure la stessa persona potrebbe riconoscer per vero il medesimo pensiero in tempi diversi, e si dovrebbe ammettere che l’essere di questo pensiero fosse qualcosa di discontinuo”.
3. L'elemento sentimentale, retorico e immaginativo del linguaggio - ciò che Frege designa anche come 'tono' o 'coloritura' e che in Logica aveva definito 'paludamenti del pensiero' - è presente soprattutto nella letteratura e nella poesia, ma anche nei discorsi delle cosiddette 'scienze morali', mentre è quasi del tutto assente nelle scienze naturali. Esso viene meno nella scienza rigorosa che mira soltanto alla verità (p. 10). Di conseguenza più l'opera è scientifica, meglio è traducibile, perché al contenuto di pensiero non si aggiungono gli aspetti poetici, sentimentali, di sfumatura o di cenno implicito e inespresso. Il pensiero astratto della logica è formulabile nella ideografia simbolica che evita non solo il tono, ma anche le trappole della grammatica.
4. Ulteriori chiarimenti sulla rappresentazione (p. 14 ss.): a) la rappresentazione non è un oggetto del mondo esterno e dunque non può essere oggetto di sensazione; la rappresentazione appartiene al mondo interiore. Questo mondo consta di 'impressioni sensibili, creazioni della fantasia, percezioni soggettive, sentimenti, umori, inclinazioni, desideri, decisioni'. b) Le rappresentazioni fanno parte del contenuto di coscienza e non sono indipendenti dalla coscienza: "Il prato e la rana che vi sta sopra...." (leggere ultime righe di p. 14 e prime righe di p. 15); c) la rappresentazione ha bisogno di un portatore, diversamente dalle cose del mondo che sono indipendenti e non afferiscono a un portatore; d) ogni rappresentazione ha un solo portatore e nessun altro ha la mia stessa rappresentazione (p. 16); mentre tutti possono accedere agli stessi oggetti del mondo fisico, le impressioni sensibili suscitate dallo stesso oggetto (dallo stesso prato verde o dalla stessa fragola rossa) sono nel campo di coscienza ed è "impossibile paragonare la mia impressione sensibile con quella di un altro"(p. 15).
5. Il pensiero non è riducibile alla rappresentazione, perché, se lo fosse, verrebbe meno la "scienza comune prodotta dal contributo di molti" (p. 17). Se il pensiero fosse solo contenuto della mia coscienza, allora non avremmo il teorema di Pitagora da tutti riconoscibile, ma 'il mio teorema di Pitagora', il 'tuo teorema di Pitagora' e così via. Vedi § VIII e a p. 19 il dilemma per cui o la coscienza coglie altro dalle rappresentazioni, oppure se tutto il contenuto di coscienza è rappresentativo, c'è solo il mio mondo interiore (risultato solipsistico). Con il venir meno della scienza comune viene meno anche il mondo comune degli uomini.
6 Sezione VIII: il terzo regno del pensiero: (sul terzo regno del pensiero, vedi nota 29 a p. 35). Il regno fisico delle cose; il regno psichico delle rappresentazioni; il regno ideale del pensiero. Loro connotazioni. Mondo fisico: le cose esterne, sono oggettive, sono indipendenti dalla coscienza, sono percepibili mediante i sensi; mondo psichico: le rappresentazioni, sono soggettive, hanno bisogno di una coscienza che ne sia portatrice, non sono percepibili con i sensi; terzo mondo: il mondo del pensiero, distinto tanto dalle cose quanto dalle rappresentazioni. Il pensiero è oggettivo e indipendente dalla coscienza (analogia con le cose e differenza dalle rappresentazioni); non però percepibile con i sensi (analogia con le rappresentazioni e differenza rispetto alle cose). Le cose si sentono, le rappresentazioni si hanno, i pensieri si concepiscono.
L’estrusione dei pensieri dalla mente
Il significato della concezione fregeana del terzo regno del pensiero è riassunto da Michael Dummett nella formula “estrusione dei pensieri dalla mente”. Questa è secondo Dummett l’idea guida che Frege condivise con altri autori tedeschi dell’Ottocento (Bolzano, Lotze, Meinong, il primo Husserl).
“Quest’idea guida è l’estrusione dei pensieri dalla mente. Per Frege i pensieri – i contenuti degli atti di pensiero – non sono i costituenti del flusso della coscienza, al pari delle sensazioni, delle immagini mentali e di tutto ciò che egli raccoglie sotto l’insegna generale di ‘rappresentazione’ (Vorstellung). Egli ammette che afferrare un pensiero è un atto mentale: ma è un atto mediante il quale la mente afferra ciò che è esterno ad essa, nel senso che esiste indipendentemente dall’essere afferrato da quel soggetto particolare o da qualsiasi soggetto. La ragione addotta da Frege è che i pensieri sono oggettivi, mentre le rappresentazioni non lo sono. Posso dirti qualcosa di una mia rappresentazione, ma essa resta intrinsecamente mia, e appunto perciò non è possibile dire fino a che punto sia uguale alla tua. Per contrasto, posso comunicarti i pensieri che sto avendo o che giudico veri o falsi: se così non fosse, non sapremmo mai se fra noi c’è davvero disaccordo oppure no. Nessun pensiero, dunque, può essere mio nel senso in cui è mia una sensazione: un pensiero è comune a tutti, essendo accessibile a tutti. Frege opera una separazione netta fra l’oggettivo e il soggettivo, e non riconosce alcuna categoria intermedia dell’intersoggetivo. Il soggettivo è per Frege essenzialmente privato e incomunicabile; egli pertanto ritiene che l’esistenza di tutto quel che può essere comune a tutti deve essere indipendente da chiunque. Stando alle sue dottrine, i pensieri e i loro costituenti formano un ‘terzo regno’ di entità atemporali e immutabili, la cui esistenza non dipende dall’essere espressi o appresi. La conseguenza pratica di questa dottrina ontologica fu il rifiuto dello psicologismo. Se i pensieri non sono contenuti mentali, non possono essere analizzati in termini di operazioni mentali individuali. La logica e le teorie del pensiero e del significato vengono così nettamente separate dalla psicologia.” (Michael Dummett, Alle origini della filosofia analitica, Il Mulino, Bologna 1990, p. 32.)
7. Distinzione tra atto del pensare e contenuto del pensiero; in analogia con la distinzione tra portatore della rappresentazione e oggetto fisico di cui si ha la rappresentazione. Non confondere i due momenti: p. 25. Questo è un tema che Husserl aveva ampiamente sviluppato.
8 p. 25 s. Non c'è motivo di ritenere che l'unico accesso al mondo esterno sia la percezione sensibile, in quanto anch'essa ha una componente prettamente interna, l'impressione sensibile; nondimeno il mondo esterno si dischiude alla nostra coscienza attraverso impressioni sensibili, ma non in virtù del solo elemento sensibile delle percezioni. Perciò è lecito supporre che ciò che non è sensibile (il pensare) ci porti a qualcosa di esterno e che esista un secondo mondo esterno oltre quello degli oggetti fisici. Per accedere al mondo esterno abbiamo sempre bisogno di un atto del pensiero, perché le impressioni sensoriali sono condizione necessaria, ma non sufficiente. E' lecito dunque ipotizzare che l'atto del pensiero ci porti in un caso verso il mondo fisico (in questo caso la mediazione delle impressioni sensibili è sempre presente) e in un secondo caso verso il mondo ideale (detto pensiero), che è colto nelle forme di ragionamento astratto.
9. Negli avvenimenti naturali c'è sempre influenza reciproca tra due eventi; nel rapporto tra pensatore e pensieri questo rapporto manca, perché il pensante né li produce né li muta con il suo pensarli, mentre essi, una volta concepiti, possono avere un effetto sul mondo fisico mediante le opere di colui che li pensa. Le nostre azioni vengono solitamente preparate da pensieri e giudizi "e così può accadere che dei pensieri abbiano indirettamente un'influenza su movimenti di masse" (p. 28). I pensieri sono irreali solo se definiamo restrittivamente la 'realtà' come azione dei corpi sui sensi; altrimenti essi godono di una realtà ideale che attende di essere scoperta e concepita.
Il campo dell’oggettivo non reale
“Sfortunatamente per la mia opera, è poi molto estesa la tendenza a riconoscere come dato solo ciò che è percepibile con i sensi, cercando di negare o dimenticare ciò che non viene da essi afferrato. […] Io riconosco un campo dell’oggettivo non reale [Gebiet des Objectiven, Nichtwirklichen], mentre i logici della scuola psicologica ritengono che il non reale sia per ciò stesso soggettivo [subjectiv]. Eppure non si riesce a vedere per qual recondito motivo ciò che ha una consistenza indipendente da chi giudica, debba per forza essere reale [wirklich], e debba risultare in grado di agire immediatamente o mediatamente sul senso [auf die Sinne zu wirken]. Non si riesce a scoprire un tal nesso fra i due concetti (dell’oggettivo e del reale). Si possono anzi addurre esempi che provano il contrario. Per esempio, non è possibile che si interpreti il numero uno come qualcosa di reale [wirklich], salvo che si sia seguaci di John Stuart Mill. E d’altro lato è pure impossibile interpretarlo come qualcosa di soggettivo, attribuendo a ogni uomo il proprio numero uno. […] Poiché i logici della scuola psicologica non riconoscono la possibilità dell’irreale oggettivo [des objectiven Nichtwirklichen], essi interpretano i concetti come rappresentazioni [die Begriffe für Vorstellungen] e perciò li assegnano alla psicologia. […] Concludendo mi pare che l’origine della divergenza risieda nel diverso modo di concepire il vero. Per me esso è qualcosa di oggettivo e di indipendente da chi giudica; non così invece per i logici della scuola psicologica. Ciò che Benno Erdmann chiama ‘certezza oggettiva’, è soltanto un riconoscimento generale da parte di coloro che giudicano, riconoscimento quindi che non è indipendente da essi ma può variare al variare della loro natura mentale.” (in G. Frege, Prefazione a Princìpi dell’aritmetica, in Logica e aritmetica, a c. di C. Mangione, Torino Boringhieri 1965, pp. 483, 489-90, 489).
Gottlob Frege, Logica (1897), in Frege, Senso, funzione e concetto. Scritti filosofici, a cura di C. Penco ed E. Picardi, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 112-141.
Fonte: https://people.uniud.it/sites/default/files/Frege%20Il%20pensiero.doc
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