Bergson Henri
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Bergson Henri
BERGSON : METAFISICA DELLA DURATA E DELLO SLANCIO
Tempo e coscienza
La riflessione filosofica di Henri Bergson nasce nel clima di reazione al positivismo che caratterizza gli ultimi decenni dell'Ottocento. Al centro di tale riflessione si pone sin dall'inizio il problema del tempo, di fronte al quale il modello fisico-matematico di spiegazione scientifica, che si è imposto anche alla nascente psicologia sperimentale, appare a Bergson totalmente inadeguato.
Nella meccanica opera un'idea di tempo omogeneo e reversibile, quantitativo e calcolabile, che si limita a riprodurre l'idea, altrettanto astratta, dello spazio geometrico. Secondo Bergson, ciò che un orologio misura non è l'intervallo di tempo in quanto tale, ma semplicemente una porzione di spazio, delimitata da due posizioni delle lancette che coincidono con le posizioni istantanee, iniziale e finale, di un altro oggetto fisico in movimento.
"Che l'intervallo di durata non conti dal punto di vista della scienza, è provato dal fatto che, se tutti i movimenti dell'universo si producessero due o tre volte più rapidamente, non ci sarebbe nulla da modificare nelle nostre formule, né nei numeri che vi facciamo entrare. La coscienza avrebbe un'impressione indefinibile e in qualche modo qualitativa di questo cambiamento, il quale però non apparirebbe al di fuori di essa, perché lo stesso numero di simultaneità si darebbe ancora nello spazio" (Saggio sui dati immediati della coscienza). Le equazioni della fisica non riescono a "catturare" il movimento concreto in se stesso, ma soltanto la sua proiezione in una traiettoria spaziale, pensata come una linea divisibile all'infinito.
La durata
Al tempo spazializzato della scienza e della vita pratica, Bergson oppone l'immediata esperienza interiore della durata reale. Nella profondità della singola coscienza, il tempo è vissuto come qualitativo ed eterogeneo, inesteso e non divisibile, non misurabile e irreversibile. Il tempo spazializzato è molteplicità quantitativa di elementi tra loro estrinseci e giustapposti; nella durata interiore, al contrario, noi vediamo gli stati di coscienza "fondersi tra loro come cristalli di neve al contatto prolungato della mano". E' come per l'individualità irriducibile di una melodia: "anche se le note si succedono, noi le scorgiamo tuttavia le une nelle altre, e il loro insieme è paragonabile a un essere vivente le cui parti, benché distinte, si compenetrano". Tempo e spazio, coscienza e mondo, sono i poli di una opposizione radicale: "nel nostro io c'è successione senza esteriorità reciproca, fuori dall'io esteriorità reciproca senza successione.
La coscienza reificata
La temporalità autentica della coscienza, vissuta come puro flusso dinamico, è però un'esperienza rara e sfuggente, che appartiene al nostro io profondo. Nella vita quotidiana, le esigenze dell'azione e della comunicazione sociale assoggettano il nostro io superficiale alle distinzioni e ai calcoli dell'intelligenza spazializzante. L'idea di spazio guida a nostra insaputa la rappresentazione della vita interiore, nella quale ritagliano degli stati psicologici tra loro separati e giustapposti: "in breve, proiettiamo il tempo nello spazio". La nostra attenzione si volge solo con intermittenza al flusso della coscienza. Di qui l'immagine fittizia di un substrato omogeneo, di un io "amorfo" sul quale scorrano e interagiscano gli stati psicologici che abbiamo prima separato e reificato.
La psicologia sperimentale e associazionistica si limita a dare una veste pseudo-scientifica a questa prospettiva deformante del senso comune; essa compone in un modello meccanicistico gli elementi astrattamente isolati dalla durata reale, trattandoli come "cose". Secondo Bergson, la psicologia e la filosofia possono diventare veramente rigorose e fedeli all'esperienza soltanto rinunciando alla riduzione positivistica della realtà spirituale all'ordine dello spazio e del numero. I fatti di coscienza sono qualità pura e non ammettono misurazione.
L'opposizione bergosoniana tra spazio e tempo, tra i concetti statici e astratti della scienza e della vita pratica da una parte, e l'esperienza della temporalità autentica dall'altra, non ha soltanto un valore gnoseologico. Essa assume delle risonanze etiche ed esistenziali che favoriscono, nei primi decenni del Novecento, l'immensa fortuna della filosofia di Bergson, anche nell'amnito della letteratura e dell'arte, del pensiero politico-sociale e di quello religioso.
L'eccezionalità dell'esperienza autentica
La reificazione "positivistica" della vita interiore ha i tratti di una mediocrità esistenziale, di una "difesa": di fronte alla fluidità assoluta della coscienza, siamo presi da vertigine e sentiamo il bisogno "di punti fissi ai quali appendere il pensiero e l'esistenza". La coscienza del tempo autentico, esperienza eccezionale e assolutamente personale, ha invece il potere di farci riscoprire la spontaneità creatrice che costituisce il fondo del nostro essere. "Agire liberamente e prendere possesso di sé, è rimettersi nella durata pura", ma "molti vivono e muoiono senza avere conosciuto la vera libertà".
La memoria - La funzione pragmatica della percezione
Ciò che non si è mai compreso, secondo Bergson, è la vera natura della percezione, nella quale l'erronea prospettiva spazializzante è radicata. Si è sempre fraintesa la percezione considerandola come una attività conoscitiva, mentre si tratta di una semplice funzione pratica di adattamento alla vita. "I contorni distinti che attribuiamo a un oggetto, e che gli conferiscono la sua individualità, non sono che il disegno di una determinata influenza che potremmo esercitare in un certo punto dello spazio: è il piano delle nostre azioni possibili che è rimandato ai nostri occhi, come da uno specchio, quando scorgiamo le superfici e le linee delle cose" (L'evoluzione creatrice).
La coscienza comune non è contemplazione neutra di una realtà "oggettiva", ma è prima di tutto discernimento pratico: possiamo rappresentarci le cose in quanto queste "vengono a riflettersi contro la nostra libertà". Lo spazio omogeneo e il tempo spazializzato non esistono in sé, ma derivano proprio da questo "lavoro di solidificazione e di divisione che noi facciamo subire alla continuità mobile del reale per assicurarci in esso dei punti di appoggio, per fissarvi dei centri di operazione, per introdurvi, infine, dei veri cambiamenti; sono gli schemi della nostra azione sulla materia " (Materia e memoria).
Il carattere strumentale dell'intelligenza
L'intelligenza e il linguaggio, secondo Bergson, hanno la stessa funzione pragmatica della percezione. E' ancora la necessità di vivere e di agire, e non la pura ricerca della verità, ciò che determina la natura della scienza positiva, la cui "ossessione" per lo spazio e per il numero esprime una volontà di dominio pratico del mondo.
Il modo in cui la scienza e il senso comune si rappresentano la materia deriva dunque dal fatto che la nostra intelligenza è incarnata in un corpo che è centro di azione e di bisogni, e che costituisce la nostra stessa "presenza al mondo". A questo piano di percezione, del corpo e della materialità, che coincide con l'orizzonte del presente e dello spazio, Bergson oppone la dimensione della memoria, della durata e dell'individualità spirituale. Si tratta di due poli estremi. La stessa percezione non esiste mai allo stato puro: quando vediamo un oggetto, in realtà la nostra memoria interpreta i dati sensibili presenti integrandoli con immagini provenienti dalla esperienza passata. In cooperazione costante con la memoria, la percezione è allora essenzialmente riconoscimento.
Gli elementi tendenzialmente spaziali e istantanei della percezione vengono in questo modo a partecipare della durata della nostra coscienza, fondendosi in essa. Così, ad esempio, l'ultima nota di una frase musicale ha per noi significato solo se, nel momento stesso in cui è percepita, viene illuminata dal ricordo attivo di quanto la precede. A causa della temporalità costitutiva della coscienza, una percezione concreta, per quanto rapida e fuggente, occupa sempre "un certo spessore di durata"; è la contrazione, operata dalla memoria, di innumerevoli momenti che sfociano l'uno nell'altro. Noi non percepiamo, di fatto, che il passato, essendo il puro presente l'inafferrabile progresso del passato che rode il futuro. La coscienza illumina in ogni momento, con la sua luce, questa porzione immediata del passato che, proteso verso il futuro, lavora a realizzarlo e ad unirlo a sé.
Secondo Bergson tutto il passato, fin nei particolari più insignificanti, viene registrato e conservato; esso esiste e opera in forma latente e incoscia: "noi pensiamo soltanto con una piccola parte del nostro passato, ma di fatto desideriamo, vogliamo, agiamo, sotto l'influenza di tutto il nostro passato".
La memoria illumina e interpreta di volta in volta la situazione presente, conferendole i colori stessi della nostra vita, le sfumature di significato e le inconfondibili tonalità affettive che ne fanno un'esperienza del tutto personale e irriducibile.
La memoria, polo opposto a quello dello spazio e della materia, è inestesa, non è riducibile a cause materiali e non ha una localizzazione cerebrale.
Bergson contesta le teorie psico-fisiologiche al suo tempo più accreditate, proponendo una differente interpretazione degli stessi dati sperimentali sui disturbi psichici e sulle lesioni cerebrali. La memoria, come la durata, è un principio di libera spontaneità. Ciò che facciamo dipende da ciò che siamo; ma bisogna aggiungere che siamo, fino a un certo punto, ciò che facciamo, e che veniamo creando continuamente noi stessi.
L'evoluzione creatrice
Bergson contrappone una nuova metafisica della vita fondata sull'intuizione della durata.
Nelle versioni meccanicistiche e deterministiche dell'evoluzione il tempo non gioca alcun ruolo effettivo: se ogni stadio evolutivo è un insieme di effetti calcolabili secondo leggi necessarie a partire da stadi precedenti, si può immaginare il processo come già dispiegato senza dover attendere dal futuro alcuna novità imprevista. Lo scorrere del tempo si riduce allora allo svolgimento di un'equazione infinitamente complessa, che un'intelligenza infinita potrebbe abbracciare in un solo colpo d'occhio come interamente distesa nello spazio. Nemmeno le interpretazioni finalistiche dell'evoluzione hanno realmente bisogno del tempo, che ha in esse la funzione inessenziale di esplicitare un progetto già esistente. Mentre il meccanicismo e un determinismo che agisce a partire dallo stadio iniziale, il finalismo è un determinismo rovesciato che opera a partire dalla fine. In entrambi i casi, l'evoluzione e l'accadere temporale non sono che apparenti.
Bergson ritiene che il tempo, se è qualcosa di reale, debba avere un'efficacia: devono prodursi delle novità assolute, delle contingenze non prevedibili a priori; l'evoluzione deve essere creatrice. La vita è incessante invenzione dinamica e gli organismi viventi sono centri di indeterminazione, incarnazioni di durata. Come nel singolo animale o nella singola pianta agisce un'individualità che trascende la molteplicità degli organi, così nell'intero universo, nonostante l'apparente separazione tra i corpi e tra le specie, si propaga l'"onda immensa" di uno slancio vitale indiviso, che non può essere concepito secondo le categorie spaziali e intellettualistiche dell'unità e della molteplicità. L'élan vital è "una corrente lanciata attraverso la materia", senza che vi sia alcun piano o fine preesistente; esso è come un bisogno di creazione".
In una lotta cosmica incessante ogni rallentamento parziale della vita coincide con il rapprendersi di una forma organica, di una specie nel cui ciclo biologico l'elan vital si chiude provvisoriamente per ruotare su se stesso. "La vita è un'immensità di virtualità, un allargarsi l'una sull'altra di mille e mille tendenze, che tuttavia saranno "mille e mille" solo una volta rese l'una esterna all'altra, cioè spazializzate. Allo stesso modo, di un sentimento poetico esprimentesi in strofe distinte, in versi distinti, in parole distinte, si potrà dire che esso conteneva questa molteplicità di elementi individuali, e che tuttavia è stata la materialità del linguaggio a crearla. Ma attraverso le parole, i versi e le strofe, scorre l'ispirazione semplice che è il tutto del poema.
In un solo punto lo slancio vitale ha trovato lo stretto passaggio per sfuggire al ciclo della ripetizione, per infrangere la catena dell'istinto: esso ha affidato all'uomo, unico essere "aperto" del cosmo, il privilegio e il destino di continuare all'infinito, sul piano della civiltà, l'evoluzione creatrice. L'uomo costituisce il successo dell'evoluzione, non perché fosse atteso da un progetto divino e finalistico, ma perché in lui si è realizzata "l'impresa paradossale" di creare con la materia uno strumento di libertà, "di fabbricare una meccanica che trionfasse sul meccanicismo, di usare il determinismo della natura per passare attraverso le maglie della rete che esso aveva teso".
Oltre l'intelligenza e il linguaggio: l'intuizione
Lo slancio indiviso che costituisce la vita interna del reale ha la stessa natura della temporalità autentica della coscienza. Entrambi, in quanto pura durata, sfuggono alla prese dell'intelligenza, che per vocazione è spazializzante. La durata reale può essere colta soltanto da un atto intuitivo indiviso che rimane per essenza ineffabile e incomunicabile. Anche il linguaggio infatti, secondo Bergson, ha una struttura che ripete la logica dello spazio; le parole e loro relazioni fissano e sapararano, costringono ad esprimere con metafore spaziali anche "ciò che non occupa affatto spazio". Per indicare l'intuizione della verità, che nasce da un atteggiamento puramente conoscitivo e disinteressato, Bergson non esita a parlare in senso positivo di "metafisica", distinguendola dalla scienza che, come la vita quotidiana e il linguaggio, è condizionata dalla funzione pragmatica dell'intelligenza. L'intelligenza cerca inutilmente di ricostruire la vita delle cose con concetti e parole che hanno la funzione di immobilizzarla, si sforza di produrre il tempo a partire dallo spazio. Ma il nostro spirito può anche seguire il cammino inverso: può superare lo schermo dello spazio che ci respinge all'esterno delle cose e può installarsi sin dall'inizio nel cuore della durata, in un'intuizione che coincide con la vita stessa e ne segue le linee e i ritmi di differenzazione.
Intelligenza e istinto
L'intelligenza nasce, con l'uomo, come superamento e alternativa rispetto all'istinto. Essa aumenta i gradi di libertà, di esitazione e di scelta di fronte all'azione; spezza l'automatismo animale e ridesta la coscienza a prospettive aperte e indefinite, tanto che la storia dell'evoluzione sino all'uomo sembra quella di "uno sforzo della coscienza per sollevarsi dalla materia". per avanzare lungo il proprio cammino, l'intelligenza ha dovuto però sacrificare preziose potenzialità che l'istinto custodiva. L'istinto ha infatti la sicurezza immediata che gli deriva dall'essere pienamente immerso nella corrente della vita, mentre l'intelligenza si rivolge alla materia inerte con calcoli formali ed estrinseci, potenti ma fallibili. "Istinto e intelligenza rappresentano due soluzioni divergenti, egualmente eleganti, di un solo e medesimo problema".
Allo stesso modo, "intelligenza e istinto, avendo cominciato col compenetrarsi, continuano a mantenere qualche cosa della loro origine comune; né l'una né l'altro si incontrano mai allo stato puro". Da qui la possibilità di ricomporre la divaricazione a un livello superiore: è questa la via, secondo Bergson, per accedere all'intuizione, per cogliere quelle cose " che soltanto l'intelligenza è capace di cercare, ma che, da sé, non trovarà mai; solo l'istinto potrebbe trovare queste cose, ma non le cercherà mai". L'intuizione, che nella nostra vita quotidiana è "come un lume quasi spento, che si riaccende solo di tratto in tratto", deve assurgere a vero e proprio metodo filosofico.
Misticismo e società aperta
Nell'ambito sociale, morale e religioso, l'umanità deve continuare lo slancio della evoluzione creatrice, superando la propria condizione di pura specie biologica e spostando sempre più avanti i limiti delle prorprie possibilità. Nella storia della civiltà, si afferma dapprima una tendenza alla società chiusa, che come una "seconda natura" esercita una forte pressione sugli individui, attraverso l'abitudine e una conformistica "morale dell'obbligazione". Alla società chiusa corrispondono forme di religiosità naturali, statiche ed esteriori, che garantiscono la coesione sociale e allontanano la paura della morte. Lo slancio verso la società aperta, caratterizzata dalla responsabilità e dalla creatività del singolo, è indotto dall'esempio di figure morali eccezionali, che attraverso una "emozione creatrice" esercitano un'attrazione irresistibibile sugli altri uomini; le regole rigide della morale statica vengono così superate. Analogamente, vi sono individui creatori nella religione che, come i profeti di Israele, i santi e i grandi mistici cristiani, suscitano energie spirituali e aprono le anime a una religiosità dinamica e interiore: "non hanno bisogno di esortare; non devono far altro che esistere; la loro esistenza è un appello".
Anche la questione del macchinismo e della tecnica, con i relativi pericoli di alienazione e disumanizzazione che sembrano minacciare la società contemporanea, viene affrontata da Bergson nei termini della polarità tra spirito e materia, tra statico e dinamico. Le macchine e la tecnologia sono "organi artificiali" dell'uomo, immense protesi che creano uno squilibrio tra un corpo smisuratamente ingrandito e un'anima che "resta ciò che era, troppo piccola ora per riempirlo, troppo debole per guidarlo". La salvezza può venire soltanto dallo sviluppo di potenti correnti spirituali, da un rinnovato slancio che riaccende la creatività della vita. Questo estremo appello di Bergson al proprio tempo riprende, nel 1932, lo spirito dell'appassionata conclusione dell'Evoluzione creatrice: "tutti gli esseri viventi si tengono uniti, e tutti cedono alla stessa formidabile spinta.
Fonte: http://www.adripetra.com/DidatticaDispense/TerzoTr/Filosofia/BERGSON.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Parola chiave google : Bergson Henri tipo file : doc
Henry Bergson
Classe V SIRIO – 5 marzo 2007
Henri BERGSON
(1859-1941)
Bergson nasce a Parigi da famiglia ebraica, studia filosofia, chimica e biologia alla Scuola Normale, si laurea nel 1889. Dapprima insegnante nei licei, la brillante carriera lo porta ad assumere la prestigiosa cattedra al Collegio di Francia dal 1899 al 1921, anno in cui si ritira dalla vita accademica per problemi di salute.
Durante la prima guerra mondiale svolge importanti funzioni di diplomatico e nel 1927 riceve il Nobel per la letteratura. Già famoso e celebre (le sue lezioni erano pressoché un evento) morì di malattia durante l'occupazione nazista di Parigi, rifiutandosi di fuggire per condividere il proprio destino con quello della sua gente, malgrado negli ultimi anni della sua vita si fosse avvicinato alla religione cattolica.
Opere principali: Materia e memoria (1896); Il riso. Saggio sul significato del comico (1900); Introduzione alla metafisica (1903); L'evoluzione creatrice (1907); Durata e simultaneità (1922); Le due sorgenti della morale della religione (1932).
1. Prologo: gli anni dell'ottimismo positivista
Bergson, da giovane, fu un ammiratore di Spencer e della teoria dell'evoluzione di Darwin, fu un convinto sostenitore del positivismo e del suo ottimismo scientifico. Se la teoria dell'evoluzione di Darwin permetteva di illustrare la natura come un enorme meccanismo in perenne movimento, dove le forme di vita si evolvevano assumendo forme sempre più funzionali all'adattamento, il positivismo considerava la scienza e l'esperimento capaci di spiegare tutti gli aspetti della realtà attraverso i meccanismi univoci e deterministici della fisica e della matematica.
Tuttavia Bergson si accorse ben presto che la natura della coscienza degli uomini e la loro percezione del tempo bastava a mandare all'aria i presupposti del tempo rigidamente determinato in una successione precisa di secondi e millesimi di secondo proprio dell'atteggiamento positivista e che il darwinismo non poteva illustrare comunque la vita in tutta la sua pienezza. Il pensiero di Bergson si inserirà quindi in quel filone filosofico antagonista al positivismo che è lo spiritualismo (la corrente filosofica che ritiene il contenuto della coscienza, ovvero lo spirito, entità che si oppone ad ogni tentativo di riduzione e comprensione deterministica).
2. Tempo 'meccanico' e durata della coscienza
La filosofia di Bergson è tesa ad una comprensione radicale del divenire ben più profondamente rispetto a quella comprensione dei mutamenti in senso deterministico che vuole essere il positivismo. Bergson avverte che il divenire, ovvero la fluidità mutevole e irriducibile degli accadimenti del mondo, non può essere in alcun modo determinata in senso rigoroso dalle leggi fisiche e matematiche.
Si prenda, ad esempio, il concetto di tempo (fino a Bergson trattato in modo decisivo solamente da Agostino): il tempo proposto dalle scienze deterministiche è un susseguirsi ordinato e "meccanico" di eventi (ovvero il tempo è rigidamente determinato nei suoi passaggi temporali dal passato, al presente e al futuro). Il tempo, per la fisica, è un sussegursi di fotogrammi, analogamente alla pellicola cinematografica. Ma questo concetto di tempo risulta fatalmente solo una semplificazione di una realtà che giunge alla coscienza in modo più fluido.
(Si ricordi anche il paradosso di Zenone, seguace di Parmenide, il quale, constatando che la traiettoria di una freccia era come un insieme di istantanee ferme messe in fila una dopo l'altra, sosteneva che non esisteva movimento alcuno, poiché il movimento non può generarsi dall'immobile).
In realtà, afferma Bergson, la suddivisione dell'azione in istantanee è un processo a posteriori messo in atto dalla mente umana, che cerca così di mettere ordine in una realtà che altrimenti sembrerebbe inafferrabile e incomprensibile (se il tempo non fosse inteso come un susseguirsi ordinato di ricordi del passato e comprensione del presente, nulla sarebbe comprensibile). Il "moto di istantanee" che costituisce il tempo secondo le scienze deterministiche è quindi una convenzione semplificatoria, la realtà vissuta è molto più elusiva, non classificabile entro alcun sistema determinato.
Vi è allora il tempo della fisica e del positivismo, in cui tutti gli attimi sono uguali tra loro e si susseguono sempre con lo stesso intervallo: questo genere di tempo permette ai fisici di fare previsioni sul futuro dato un certo stato di cose presente. Il tempo meccanico della fisica è allora una rigida e convenzionale divisione in millesimi di secondo della realtà, suddivisione che sembra essere finita, malgrado nessuno possa dire quale è la durata precisa di un attimo.
Dall'altro vi è invece la realtà meno determinata e più fluida della coscienza umana: il tempo percepito dallo spirito non coincide con quello misurato dai fisici. La coscienza percepisce il tempo come durata, ovvero la coscienza vive il presente prolungandosi in parte nel passato e in parte nel futuro, vive il presente abbracciando l'immediato passato e l'immediato futuro, nell'impossibilità di congelare il presente in un unico momento definito (il presente è il ricordo dell'immediato passato e l'anticipazione dell'immediato futuro).
Inoltre la durata della coscienza non necessariamente vive il tempo dando ad ogni singolo attimo la stessa durata, per la coscienza vi sono attimi più intensi di altri e attimi più lunghi di altri. Per la coscienza un attimo può durare un'eternità, altri sembrano talmente veloci da non potersi nemmeno ricordare. La durata della coscienza è quindi il moto ondoso del presente che, tendendo sempre e comunque verso il futuro, trascina con sé qualche traccia del passato.
3. Il moto delle sensazioni
Per Bergson il presente è un moto della sensazione che si conclude nell'azione. In questo presente fluido e vorticoso, nascono in noi le idee delle azioni, ma per poterle attuare ci poniamo delle mete da raggiungere, obiettivi immobili che tentano di afferrare uno stato di fluidità impossibile da congelare. Per permetterci l'azione, noi concepiamo la realtà come un susseguirsi di mete immobili (veri e propri fotogrammi spirituali), trascurando così tutto il vorticoso fluire della coscienza tra una meta e l'altra (se infatti tutto fosse un vortice inafferrabile di significati, non potremmo agire, la coscienza, necessariamente, tenta di mettere ordine nella fluidità temporale degli eventi).
(Si pensi, ad esempio, a quante sensazioni si 'accendono' e si sovrappongono nella nostra mente in stato cosciente, e a quante di esse diamo un reale significato nel nostro tentativo quotidiano di raggiungere le mete che ci poniamo. Queste mete sono il nostro metro temporale, dei 'paletti spirituali' entro i quali ci è permesso di dare un senso al fluire degli avvenimenti).
Bergson considera allora il corpo umano come l'anello di congiunzione tra passato e futuro: il nostro corpo, essendo la sede delle sensazioni e quindi delle azioni che ne derivano, è la materia che permette la durata della coscienza, ovvero quel moto della coscienza in divenire che è il nostro presente.
4. La critica al darwinismo
Ne L'evoluzione creatrice Bergson critica aspramente l'idea darwiniana di una natura che tende al continuo progresso della specie economizzando al massimo le perdite. Lungi dall'essere economa e finalizzata esclusivamente al progresso e al miglioramento delle speci, la natura è invece sprecona e priva di qualsiasi fine intelligibile.
La natura non economizza le sue risorse, nella lenta e continua evoluzione delle speci essa, prima di arrivare ad un successo, disperde molte delle sue energie in tentativi evolutivi inutili e destinati all'insuccesso. La natura non è nemmeno intelligente, essa infatti non sceglie da sé il progetto migliore al primo tentativo, bensì esplora prima sempre ogni possibilità, con un evidente spreco di tempo. Perciò anche la specie umana non è il culmine di un percorso finalizzato, ma solamente uno dei tanti possibili esiti dell'evoluzione.
5. La vita è un'onda che travolge la materia
Per Bergson lo slancio evolutivo che ha portato, partendo dai semplici atomi, allo sviluppo di organismi viventi complessi, è come un'onda impetuosa che sommerge la materia. Ciò vuol dire che l'evoluzione, nel suo complesso, supera sempre e comunque ogni ostacolo che gli pone davanti la materia, come, ad esempio, l'ostacolo costituito dal lento adattamento alle condizioni ambientali delle diverse forme di vita.
Parte dell'onda si trasforma in vortice e risacca (i tentativi evolutivi abbandonati), un'altra parte supera l'ostacolo e si abbatte sulla riva: quest'ultima condizione è l'emblema della vita umana (ovvero il risultato ultimo di quell'impeto vitale incontrollato e inarrestabile che finalmente si determina). Lo slancio vitale che determina l'evoluzione è quindi l'impeto della vita che esplora le sue possibili combinazioni in ogni direzione, senza alcuna predeterminazione. Lo slancio vitale è un processo libero, caotico e assolutamente imprevedibile.
Nulla può resistere quindi alla vita e al suo slancio, se proprio non possiamo sottrarci alla volontà di dare un senso a tutto, possiamo dire che nella vita si avverte la volontà di passare oltre ogni ostacolo, un inarrestabile impulso alla perpetuazione dello slancio creatore.
6. Intelligenza e intuizione
Bergson distingue l'intelligenza dall'intuizione, assegnando a quest'ultima una posizione privilegiata rispetto alla prima.
L'intelligenza è quella qualità umana che è più strettamente connessa alla qualità della materia cerebrale. L'intelligenza è quindi responsabile dell'interpretazione meccanica della realtà. Essa è razionalità pura, intelletto, per questo l'intelligenza nega la durata della coscienza cercando di mettere ordine nella realtà fluida delle sensazioni.
Nonostante ciò, una parte dell'intelligenza rimane ancora libera dai vincoli della materia, questa parte è l'intuizione. L'intuizione è l'istinto dell'intelligenza, un'illuminazione dello spirito, repentina e istintiva, folgorante.
L'intelligenza, nella sua lotta millenaria contro la materia, ha in qualche modo esaurito la sua energia in questa lotta, cosicché, in epoca moderna, essa sembra l'unica via praticabile alla soluzione dei problemi (ovvero l'intelligenza è troppo connessa alla meccanica della materia per farsi interprete di un reale slancio vitale irrazionale e caotico).
L'importanza del''intuizione, secondo Bergson, è tutta da riscoprire: l'intuizione va posta al di sopra della ragione intelligente, in quanto, non risentendo della rigidità del pensiero razionale (la rigidità della materia), è la via più genuina e istintivamente umana alla soluzione di ogni problema (in quanto connessa alle qualità dello spirito).
Le risposte ai grandi quesiti esistenziali sono ancora principalmente intuitive, la ragione ci lascia ad un certo punto al buio sulle questioni che riguardano il senso profondo del nostro esistere. "Tuttavia, l'intuizione sussiste sempre, ancorché vaga e, soprattutto, discontinua, simile a una lampada quasi spenta, che si rianimi solo a tratti, per brevi istanti."
Henri Bergson (Parigi, 18 ottobre 1859 – Parigi, 4 gennaio 1941) è stato un filosofo francese, fu voce autorevole in patria senza appartenere a nessuna delle principali correnti filosofiche del suo tempo. Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1927..
Nacque a Parigi in rue Lamartine, non lontano dall'Opera. Discendeva da una importante famiglia ebrea polacca, con sangue inglese nel ramo materno. La sua famiglia visse a Londra per alcuni anni dopo la sua nascita ed egli familiarizzò presto con la lingua inglese. Prima di compiere nove anni, i suoi genitori passarono la Manica e si stabilirono in Francia; Henri fu naturalizzato cittadino della Repubblica.
La vita di Bergson fu quella tranquilla e senza grandi eventi di un professore francese; i maggiori punti di riferimento in essa sono la pubblicazione dei suoi quattro principali lavori: il primo nel 1889, l'Essai sur les données immédiates de la conscience (Saggio sui dati immediati della coscienza), quindi Matière et Memoire (Materia e Memoria) nel 1896, L'Evolution créatrice (L'evoluzione creatrice) nel 1907 e infine Les deux sources de la morale et de la religion (Le due fonti della Morale e della Religione) nel 1932.
Istruzione e carriera
A Parigi dal 1868 al 1878 Bergson frequentò il liceo Fontaine, ora conosciuto come liceo Condorcet. Durante quegli anni vinse un premio per un suo lavoro scientifico e un altro, diciottenne, per la soluzione di un problema matematico. Questo successe nel 1877: la sua soluzione fu pubblicata l'anno seguente negli Annales de Mathématiques. Esso è di qualche interesse essendo il suo primo lavoro pubblicato. Dopo qualche esitazione sulla sua carriera, se questa dovesse svilupparsi nel campo scientifico o negli studi umanistici, egli decise per la seconda opzione e a diciannove anni entrò nella famosa École Normale Supérieure. Qui conseguì il diploma di Licence-ès-Lettres, a questo seguì il concorso per professore associato di filosofia nel 1881.
Lo stesso anno ricevette un incarico da insegnante al liceo di Angers, la vecchia capitale dell'Anjou. Due anni dopo si stabilì al liceo Blaise Pascal di Clermont-Ferrand, capitale del dipartimento del Puy-de-Dôme.
In "Durata e Simultaneità" polemizzò con alcune elaborazioni filosofiche - specie di ambiente francese - sui risultati ottenuti da Einstein nella teoria della relatività. Einstein sosteneva che il tempo è relativo al sistema di riferimento e trascorre più lentamente alle alte velocità (quasi fermo alla velocità massima, della luce). Bergson sosteneva che il tempo non è una retta di tanti punti contigui, ma un istante che cresce su sé stesso sovrapponendosi agli altri. Einstein, intervistato su queste opposizioni, rispose "che Dio lo perdoni".
L'anno successivo al suo arrivo a Clermont-Ferrand, Bergson diede esempio delle sue capacità nelle scienze umanistiche pubblicando una eccellente edizione di estratti da Lucrezio, con uno studio critico del testo e della filosofia del poeta (1884), un'opera le cui ripetute riedizioni sono prova sufficiente della sua importanza nel promuovere lo studio dei classici presso i giovani francesi. Oltre a insegnare e a tenere lezioni universitarie nella regione dell'Auvergne, Bergson trovava il tempo per gli studi personali e la stesura di opere originali. Era impegnato con il suo Essai sur les données immediates de la conscience. Questo trattato fu consegnato, insieme a una breve tesi in latino su Aristotele, per il diploma di Docteur-ès-Lettres, a cui fu ammesso dalla Università di Parigi nel 1889. L'opera fu pubblicata nello stesso anno da Felix Alcan, l'editore parigino, nella sua collana La Bibliothèque de philosophie contemporaine.
È interessante notare che Bergson dedicò questo volume a Jules Lachelier, allora ministro della pubblica istruzione, che era un ardente discepolo di Felix Ravaisson e autore di una piuttosto importante opera filosofica: Du fondement de l'Induction (Sul fondamento della Induzione, 1871). Lachelier tentava di "sostituire ovunque la forza all'inerzia, la vita alla morte e la libertà al fatalismo." (Nota: Lachelier era nato nel 1832, Ravaisson nel 1813. Bergson doveva molto a entrambi questi insegnanti della École Normale Supérieure. Si veda per esempio il suo discorso in memoria di Ravaisson, che morì nel 1900.)
Nel primo capitolo del Saggio sui dati immediati della coscienza Bergson polemizza con le psicologie di marca positivistica, che misuravano l'intensità di una sensazione sulla base dell'intensità dell'eccitazione periferica. La misurazione dell'intensità era il frutto dell'intrusione di categorie spaziali: quello che veniva misurato era secondo Bergson funzione del numero di muscoli coinvolti nella reazione. Sulle stesse basi –spiega Bergson nel II capitolo – viene costruito il concetto di “tempo” omogeneo misurabile, a cui Bergson contrappone una durata interiore che è accrescimento qualitativo continuo, dunque refrattario ad ogni forma di misurazione. Questa durata ha come tratto essenziale il vissuto affettivo che la caratterizza, e riesce realizzare l'apparente paradosso del cambiamento continuo nella conservazione. Da questa durata che cementa l'identità personale, nasce nel terzo capitolo l'atto libero, al di là delle ricostruzioni logiche posticce in cui esso veniva intrappolato sia dai seguaci del determinismo che dagli apparenti difensori della libertà.
Bergson si era allora stabilito a Parigi; dopo aver insegnato per qualche mese al Collegio Municipale, noto come il College Rollin, ricevette un incarico al liceo Henri-Quatre, dove rimase per otto anni. Nel 1896 pubblicò la sua seconda grande opera, intitolata Matière et Mémoire. Questa opera, piuttosto difficile ma brillante, investiga la funzione del cervello, intraprende una analisi della percezione e della memoria, portando a una attenta considerazione dei problemi sulla relazione tra corpo e mente. Bergson passò anni di ricerca prima di pubblicare ognuna delle sue tre grandi opere. Questo è specialmente vero per Matière et Memoire, dove egli mostra una familiarità molto profonda con la notevole quantità di ricerche mediche che erano state compiute in quegli anni, per la quale alla Francia è giustamente attribuito un rilevante merito.
Materia e memoria si articola in quattro capitoli. Nel primo capitolo, Bergson mostra come la percezione pura, isolata dagli apporti della memoria, si riduca a un taglio del tutto teorico sulla realtà, secondo le linee convenzionali della nostra possibilità di azione. A questo punto (II e III capitolo), Bergson analizza il rapporto concreto fra percezione e memoria, passando in rassegna un’impressionante mole di dati sperimentali. L'interazione fra il dato afferente e la proiezione dei ricordi su di esso si configura come un circuito, in cui il dato viene arricchito di apporti interiori che ne personalizzano la percezione. Alla fine, il criterio pragmatico dell'utilità è responsabile dell'evocazione di un determinato ricordo, che non è mai puro ma è “impregnato” di percezione. Il dualismo fra percezione estensiva e ricordo spirituale si risolve nell'ultimo capitolo in una metafisica dei differenti livelli di realtà, che è la teoria della percezione secondo la contrazione a differenti ritmi di durata dell'universo. Bergson approda dunque ad una concezione vibratoria e ondulatoria della materia in evidente contiguità con gli esiti della fisica del tempo, che viene poi contratta dalla nostra memoria in chiave pragmatica.
Nel 1898 Bergson divenne Maître de conférences presso la sua Alma Mater, l'Ecole Normale Supérieure, e fu in seguito promosso al ruolo di professore. L'anno 1900 lo vide professore al Collège de France, dove accettò la cattedra di filosofia greca, succedendo a Charles L'Eveque.
Al Primo Congresso Internazionale di Filosofia, tenutosi a Parigi dall'1 al 5 agosto 1900, Bergson lesse un breve, ma importante, articolo Sur les origines psychologiques de notre croyance à la loi de causalité (Sulle origini psicologiche della nostra credenza alla legge della causalità). Nel 1901 Felix Alcan pubblicò un lavoro che era precedentemente apparso nella Revue de Paris, intitolato Le rire (Il riso), una delle più importanti produzioni minori di Bergson. I principali meccanismi di produzione del comico vi vengono indagati nell'ottica del ritrovamento di tratti meccnici e ripettitivi laddove ci si aspettava grazia, sveltezza e unicità vivente e vitale. Questo trattato sul significato del "comico" era basato su una lezione che aveva tenuto tempo prima nell'Auvergne. L'analisi di questo lavoro è essenziale per la comprensione delle opinioni di Bergson sulla vita; notevoli sono i suoi passi a proposito del ruolo dell'artistico nella vita. L'artista riesce ad avere una conoscenza disinteressata di una fetta di realtà proprio in virtù della sua distrazione dalla vita pratica.
Nel 1901 Bergson venne eletto alla Académie des Sciences morales et politiques e divenne un membro dell'Istituto. Nel 1903 fu pubblicato dalla Revue de metaphysique et de morale un suo articolo molto importante intitolato Introduction à la metaphysique (Introduzione alla Metafisica), che è utile come prefazione allo studio delle sue tre opere maggiori.
Alla morte di Gabriel Tarde, l'eminente sociologo, nel 1904, Bergson gli successe alla Cattedra di Filosofia Moderna. Dal 4 all'8 settembre di quell'anno era a Ginevra ad assistere al Secondo Congresso Internazionale di Filosofia, dove tenne relazioni su Le Paralogisme psycho-physiologique, o, per citare il suo nuovo titolo, Le Cerveau et la Pensée: une illusion philosophique (Il Cervello e il Pensiero: una illusione filosofica). Una malattia gli impedì di visitare la Germania per assistere al Terzo Congresso Internazionale di Filosofia tenutosi a Heidelberg.
Il suo terzo grande lavoro, L'Evolution créatrice, apparve nel 1907, ed è senza dubbio il più conosciuto e il più discusso. Costituisce uno dei contributi più profondi e originali alla riflessione filosofica sulla teoria della evoluzione. "Un livre comme L'Evolution créatrice," osserva Imbart de la Tour, "n'est pas seulement une oeuvre, mais une date, celle d'une direction nouvelle imprimée à la pensée." (Un libro come L'Evoluzione Creatrice non è solo un'opera ma anche una data, quella di una nuova direzione impressa al pensiero). Nel 1918, Alcan, l'editore, aveva già pubblicato ventuno edizioni, tenendo una media di due edizioni all'anno per dieci anni. A seguito della pubblicazione di quest'opera, la popolarità di Bergson aumentò enormemente, non solo negli ambienti accademici ma anche nel grande pubblico di lettori generici.
Il testo presenta l'evoluzione come una creazione continua senza una teleologia, in analogia con la durata personale. Lo "slancio vitale" sarebbe la forza che muove la vita, come adattamento dinamico all'ambiente, in una dialettica fra la vita e le forme in cui la cristallizzazione in una specie definita è sempre una sconfitta per il movimento della vita. Notevole la critica ai concetti e alle idee di "nulla" e "disordine", considerati fra i responsabili dell'incomprensione per la vita così concepita, da parte dell'intelligenza concettuale.
Il rapporto con James e il pragmatismo
Iscrizione in onore di Bergson su un pilastro del Pantheon di Parigi
Bergson arrivò a Londra nel 1908 e rese visita a William James, il filosofo americano di Harvard, che era più anziano di Bergson di diciassette anni e che era attivo nel richiamare l'attenzione del pubblico anglo-americano sul lavoro del professore francese. Questo fu un interessante incontro e troviamo le impressioni di James su Bergson nelle sue Lettere, sotto la data del 4 ottobre 1908. "Un uomo così modesto e senza pretese ma intellettualmente un tale genio! Ho il più fermo sospetto che la tendenza che egli ha messo a fuoco finirà col prevalere, e che la presente epoca sarà una sorta di punto di svolta nella storia della filosofia."
Fin dal 1880 James aveva scritto un articolo in francese per il periodico La Critique philosophique, di Renouvier e Pillon, intitolato Le Sentiment de l'Effort. Quattro anni dopo vi apparvero due suoi articoli: "Mente: Che cos'è una Emozione?" e "Su qualche Omissione della Psicologia Introspettiva". Di questi articoli i primi due furono citati da Bergson nella sua opera del 1889, Les données immédiates de la conscience. Negli anni seguenti 1890-91 furono pubblicati i due volumi dell'opera monumentale di James, I Princìpi della Psicologia, nella quale fa riferimento a un fenomeno patologico osservato da Bergson. Alcuni autori, considerando esclusivamente queste date e trascurando il fatto che l'indagine di James era in corso fin dal 1870 (di cui era stata tenuta traccia di tanto in tanto con vari articoli che culminarono con "I Princìpi"), hanno erroneamente datato le idee di Bergson come antecedenti a quelle di James.
Si è ipotizzato che Bergson debba le idee base del suo primo libro all'articolo del 1884 di James, "Su qualche Omissione della Psicologia Introspettiva", che non cita e non mette tra i riferimenti. Questo articolo si occupa della concezione del pensiero come flusso di coscienza, che l'intelletto distorce organizzandolo in concetti. Bergson ribatté a questa insinuazione negando che egli avesse alcuna conoscenza dell'articolo di James quando scrisse Les données immédiates de la conscience. Sembra che i due pensatori abbiano progredito in modo indipendente quasi fino alla fine del secolo. Le loro posizioni intellettuali sono più lontane di quanto spesso si pensi. Entrambi sono riusciti ad attrarre pubblico molto oltre la sfera puramente accademica, ma solo nel loro reciproco rifiuto, in definitiva, dell'"intellettualismo" c'è una vera consonanza. Sebbene James fosse leggermente più avanti nello sviluppo e nell'enunciazione delle sue idee, confessò di essere stato spiazzato da molte delle idee di Bergson. Certamente James trascurava molti degli aspetti più profondamente metafisici del pensiero di Bergson, che non si armonizzavano con il proprio, e erano anzi in palese contraddizione. Oltre a questo, Bergson non era un pragmatico —per lui l'"utilità", lungi dall'essere una verifica della verità, è piuttosto l'inverso, un sinonimo di errore.
Nonostante ciò, William James salutò Bergson come un alleato. Nel 1903 egli scrisse: "Ho riletto i libri di Bergson e non ho letto nulla da anni che abbia così eccitato e stimolato i miei pensieri. Sono sicuro che quella filosofia abbia un grande futuro, rompe i vecchi schemi e porta le cose in una soluzione in cui possono ritrovarsi nuovi cristalli". Gli omaggi più notevoli che tributò a Bergson furono quelli nelle Hibbert Lectures (Un Universo Pluralistico), che James tenne al Manchester College di Oxford, poco dopo aver incontrato Bergson a Londra. Egli faceva notare l'incoraggiamento che aveva ricevuto dal pensiero di Bergson e esprimeva la fiducia che aveva nel "potersi appoggiare all'autorità di Bergson".
L'influenza di Bergson lo portò a "rinunciare al metodo intellettualista e alla nozione corrente che la logica è una misura adeguata di ciò che può o non può essere". Lo indusse inoltre a "abbandonare la logica, fermamente e irrevocabilmente" come metodo, poiché aveva scoperto che "la realtà, la vita, l'esperienza, la concretezza, l'immediatezza, usate la parola che volete, va oltre la nostra logica, la sommerge e la circonda".
Naturalmente, queste osservazioni, che apparvero in un libro nel 1909, orientarono molti lettori inglesi e americani a indagare la filosofia di Bergson. Questo era reso difficile dal fatto che i suoi più importanti lavori non erano stati tradotti in inglese. James, tuttavia, incoraggiò e aiutò Arthur Mitchell nella sua preparazione della traduzione inglese di L'Evolution créatrice. Nell'agosto 1910 James morì. Era sua intenzione, se fosse vissuto abbastanza per vedere il completamento della traduzione, di proporla al pubblico di lettori inglesi con una nota in prefazione di apprezzamento. Nell'anno seguente la traduzione fu completata e questo portò a un ancora più grande interesse verso Bergson e il suo lavoro. Per coincidenza, in quello stesso anno (1911), Bergson scrisse, per la traduzione francese del libro di James, "Pragmatism", una prefazione di sedici pagine, intitolata Vérité et Realité. In essa espresse simpatia e apprezzamento per il lavoro di James, associati a certe importanti riserve.
In aprile (dal 5 all'11) Bergson seguì il Quarto Congresso Internazionale di Filosofia svoltosi in Italia, a Bologna, dove tenne un brillante discorso su L'Intuition philosophique. In risposta agli inviti ricevuti, tornò ancora in Inghilterra nel maggio di quell'anno e rese diverse altre successive visite all'Inghilterra. Queste visite furono sempre eventi speciali e furono segnate da importanti dichiarazioni. Molti di questi contengono contributi significativi al pensiero e gettarono nuova luce su molti passaggi delle sue tre grandi opere: Trattato sui Dati Immediati della Coscienza, Materia e Memoria, e l'Evoluzione Creatrice. Sebbene fossero in genere affermazioni necessariamente brevi, esse erano più recenti dei suoi libri e così mostrarono come questo acuto pensatore potesse sviluppare e arricchire il suo pensiero e approfittare di simili opportunità per chiarificare al pubblico inglese i princìpi fondamentali della sua filosofia.
Le lezioni sul cambiamento e gli ultimi anni di Bergson
Bergson visitò la University of Oxford, dove tenne due lezioni intitolate La Perception du Changement (La Percezione del Cambiamento), che furono pubblicate in francese nello stesso anno dalla Clarendon Press. Bergson aveva il dono di una esposizione lucida e concisa, quando l'occasione lo richiedeva, e queste lezioni sul Cambiamento formarono un ottimo riassunto o breve trattato sui princìpi fondamentali del suo pensiero e fornirono agli studenti o al pubblico dei lettori generici una eccellente introduzione allo studio dei suoi più ponderosi volumi. Oxford rese l'onore al suo notevole visitatore conferendogli il titolo di Dottore.
Due giorni dopo egli tenne la "lezione Huxley" alla Università di Birmingham, prendendo come argomento La Vita e la Coscienza. Questa apparve in seguito nel The Hibbert Journal (Ottobre 1911), e, riveduta in seguito, costituisce il primo trattato nella raccolta L'Energie spirituelle. In ottobre egli fu di nuovo in Inghilterra, dove ricevette una accoglienza entusiasta, e tenne al University College London quattro lezioni su La Nature de l'Ame.
Nel 1913 visitò gli Stati Uniti, su invito della Columbia University di New York, e tenne lezioni in diverse città statunitensi, dove fu accolto da un vasto pubblico di ascoltatori. Nel febbraio, alla Columbia University, tenne lezione sia in francese che in inglese, vertendo sugli argomenti: Spiritualité et Liberté e il Metodo della Filosofia. Di nuovo in Inghilterra nel maggio dello stesso anno, accettò la presidenza della Society for Psychical Research, tenendo presso la Società un memorabile discorso: Fantômes des Vivants et Recherche psychique (Fantasmi dei Viventi e Ricerca psichica).
Nel frattempo, la sua popolarità aumentava e traduzioni delle sue opere iniziarono ad apparire in diverse lingue: inglese, tedesco, italiano, danese, svedese, ungherese, polacco e russo. Nel 1914 i suoi concittadini gli tributarono l'onore di eleggerlo membro della Académie française. Divenne inoltre presidente della Académie des Sciences morales et politiques e infine ufficiale della Légion d'honneur e ufficiale della Instruction publique.
Bergson ebbe seguaci di diversi generi, in Francia movimenti come il Neocattolicesimo o il modernismo da una parte e il Sindacalismo dall'altra, si sforzarono di assorbire e di fare proprie, per i loro scopi anche di propaganda, alcune delle idee centrali del suo insegnamento. L'importante organo teorico socialista e sindacalista, Le Mouvement socialiste, suggerì che il realismo di Karl Marx e Pierre-Joseph Proudhon è ostile a ogni forma di intellettualismo e che, quindi, i sostenitori del socialismo marxiano avrebbero dovuto accogliere bene una filosofia come quella di Bergson. Altri autori si sforzarono di trovare consonanze tra la Cattedra di Filosofia del Collège de France con gli obiettivi della Confederation Générale du Travail. Si affermò che c'è armonia tra il flauto della meditazione filosofica personale e la tromba della rivoluzione sociale.
Mentre i rivoluzionari sociali stavano cercando di ottenere il massimo dalle idee di Bergson, molte autorità del pensiero religioso, particolarmente i teologi più liberali di ogni credo, cioè in Francia i Modernisti e il Partito Neocattolico, mostrarono un profondo interesse per i suoi scritti e molti di loro cercarono di trovare nelle sue opere incoraggiamento e stimolo. La Chiesa cattolica, tuttavia, che credeva ancora che la filosofia definitiva fosse stata raggiunta dalle opere di Tommaso d'Aquino nel tredicesimo secolo e conseguentemente aveva adottato quella filosofia medievale come la propria dottrina ufficiale, ortodossa e dogmatica, arrivò a bandire tre libri di Bergson ponendoli all'Indice dei libri proibiti (Decreto del 1 giugno 1914).
Nel 1914, le Università scozzesi organizzarono l'esposizione, da parte di Bergson, delle famose Lezioni Gifford e un corso di insegnamento fu previsto per la primavera e un altro per l'autunno. Il primo corso, consistente in undici lezioni, dal nome Il Problema della Personalità, fu tenuto alla Università di Edimburgo nella primavera di quell'anno. Il corso di lezioni previsto per l'autunno fu invece abbandonato a causa dello scoppio della guerra. Bergson, tuttavia, non rimase in silenzio durante il conflitto e tenne diversi importanti discorsi. Risale al 4 novembre 1914 un articolo che egli scrisse, intitolato La force qui s'use et celle qui ne s'use pas (La forza che si consuma e quella che non si consuma), che apparve in quell'unico e interessante periodico dei poilus, Le Bulletin des Armees de la Republique Française. Un discorso presidenziale tenuto nel dicembre 1914 alla Académie des sciences morales et politiques aveva come titolo La Significance de la Guerre.
Bergson contribuì alla pubblicazione da parte del The Daily Telegraph in onore del Re del Belgio, del Libro di Re Alberto (Natale 1914). Nel 1915 fu sostituito nel ruolo di presidente della Académie des Sciences morales et politiques da Alexandre Ribot, e fece dunque un discorso sull'evoluzione dell'Imperialismo tedesco. Nel frattempo trovò il tempo di soddisfare la richiesta del Ministro della Pubblica Istruzione di realizzare un ottimo riassunto della filosofia francese. Bergson fece un gran numero di viaggi e letture in America durante la guerra. Era lì quando la Missione Francese con a capo Viviani fece una visita nell'aprile e nel maggio del 1917, che fece seguire l'entrata in guerra dell'America. Il libro di Viviani La Mission française en Amérique (1917), contiene un'introduzione di Bergson.
All'inizio del 1918 egli fu ufficialmente accolto dalla Académie française, prendendo il suo posto tra i "Quaranta immortali" come successore di Emile Ollivier, l'autore della vasta e notevole opera storica L'Empire libéral. Una sessione fu tenuta in gennaio in suo onore durante la quale tenne un discorso su Ollivier. Nella guerra, Bergson vide il conflitto della Mente e della Materia, o piuttosto della Vita e del Meccanismo; così mostra l'idea centrale della sua filosofia in azione. A nessun altro filosofo è mai successo, durante la sua vita, di avere i suoi princìpi filosofici provati così vividamente e così terribilmente.
Poiché molti scritti di Bergson per le riviste francesi non erano facilmente accessibili, egli acconsentì alla richiesta di suoi amici che questi articoli fossero riuniti e pubblicati in due volumi. Il primo di questi era in programma quando scoppiò la guerra. Il volume apparve solo alla fine delle ostilità, nel 1919. Esso ha come titolo L'Energie spirituelle: Essais et Conférences (L'Energia Spirituale: Trattati e Lezioni). Il volume si apre con la Lezione Huxley del 1911, Vita e Coscienza, in una forma rivista e sviluppata, con il titolo di Coscienza e Vita. Vi sono manifestati segni dell'interesse crescente di Bergson per l'etica sociale e per l'idea di una vita futura di sopravvivenza personale. È inclusa anche la lezione tenuta di fronte alla Society for Psychical Research così come quella tenuta in Francia, L'Ame et le Corps, che contiene la sostanza delle quattro lezioni londinesi sull'Anima. Il settimo e ultimo articolo è una ristampa della famosa lezione di Bergson al Congresso di Filosofia a Ginevra nel 1904, Le paralogisme psycho-physiologique (Il paralogismo psico-fisiologico), che ora è pubblicato come Le Cerveau et la Pensee: une illusion philosophique. Altri articoli sono sul Falso Riconoscimento, sui Sogni, e sullo Sforzo Intellettuale. Il volume fu molto ben accolto e servì a riunire ciò che Bergson scrisse sulla forza mentale e sulla sua visione della "tensione" e "distensione" in quanto applicate alla relazione tra materia e mente.
Nel giugno 1920 l'Università di Cambridge gli rese l'onore del titolo di Dottore in Lettere. Per poter dedicare tutto il suo tempo alla nuova grande opera che stava preparando sull'etica, la religione e la sociologia, Bergson ebbe una dispensa dei suoi doveri legati alla Cattedra di Filosofia Moderna al Collège de France. Mantenne la cattedra ma non tenne più lezioni; in questo fu sostituito dal suo allievo prediletto Edouard Le Roy. Vivendo con la moglie e la figlia in una modesta casa in una via tranquilla vicino alla Porte d'Auteuil a Parigi, Henri Bergson vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1927.
Nonostante soffrisse a partire dal 1925 di reumatismi paralizzanti, a causa dei quali dovette abbandonare gradualmente alcuni dei sue molti incarichi, pubblicò nel 1932 e nel 1934 i suoi due nuovi grandi lavori Les Deux Sources de la morale et de la religion (Le due Fonti della religione e della Morale) e 'La 'Pensée et le mouvant (Il Pensiero e il Movimento), che estesero le sue teorie filosofiche ai campi della morale, della religione e dell'arte.
A una società chiusa basata sull'obbedienza all'autorità e cementata dalla credenza dei dogmi della religione statica, Bergson contrappone una società aperta che è continuo superamento della forma cristallizzata, e si estende all'intera umanità animata dalla spinta mistica d'amore della religione dinamica. Essa non è mai raggiungibile, ma resta come un asintoto orientativo. La distinzione fra società chiusa e società aperta verrà ripresa da Karl Popper nell'opera "La società aperta e i suoi nemici".
Nonostante la malattia fisica egli mantenne saldi i propri valori fondamentali fino alla fine della sua vita; di particolare rilievo morale fu la sua scelta di rinunciare a tutte le cariche e onori che gli erano stati precedentemente attribuiti piuttosto che accettare di essere una eccezione alle leggi antisemitiche imposte dal governo di Vichy. Inoltre, sebbene desiderasse convertirsi al Cattolicesimo, vi rinunciò per solidarietà ai suoi correligionari ebrei verso i quali era cominciata in Germania la persecuzione nazista. Infatti, nel suo testamento, redatto nel 1937, il filosofo scriveva: "Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo dove vedo l'inveramento completo del giudaismo. Mi sarei convertito se non avessi visto prepararsi da anni l'immane ondata d'antisemitismo che s'infrangerà sul mondo. Ho voluto restare fra quelli che saranno domani perseguitati". Per sua richiesta, fu un prete cattolico a recitare le preghiere al suo funerale. Henri Bergson è sepolto nel cimitero di Garches, Hauts-de-Seine.
Henri Bergson
Henri Bergson, filosofo francese (Parigi 1859-Auteuil 1941). Gli studi di Bergson spaziano dalla matematica alle lettere, alla filosofia. Dopo aver frequentato l'École Normale, insegnò nei licei e successivamente nella stessa École Normale, al Collège Rollin e al Collège de France. Accademico di Francia nel 1914, nel 1927 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Negli ultimi anni della sua vita il suo pensiero si orientò sempre più verso il cattolicesimo (Bergson era di origine ebraica). Nella formazione di Bergson si ritrovano correnti filosofiche diverse: dal positivismo evoluzionistico di Spencer allo spiritualismo di Boutroux. Il suo pensiero ha influito sul pragmatismo americano e sullo spiritualismo francese e italiano e ha avuto importanza anche in campi diversi da quello strettamente filosofico.
LA COSCIENZA
Primo dei temi fondamentali di Bergson è la coscienza. La scoperta da cui l'Essai sur les données immédiates de la conscience (1889) muove è la consapevolezza di un'irriducibilità tra qualità e quantità e conseguentemente tra vita esteriore e interiore. Ciò che è esterno - ed è questo che costituisce l'oggetto proprio della scienza - si distingue per differenze quantitative. Lo spazio esprime bene questa esternità di un oggettorispetto a un altro. Ciò che invece fa parte della coscienza, pur essendo molteplice e diverso, non è esterno in questo stesso senso. Ciò che rispetta questa molteplicità senza ridurla a esternità spaziale è il tempo. Non tuttavia quale lo presenta la scienza (misura della concomitanza di due mobili in due spazi), ma un tempo che sia durata reale, che consenta d'intendere istanti successivi come qualitativamente diversi, pur mantenendone la reciproca compenetrazione e la perenne capacità creativa. Molteplicità qualitativa, compenetrazione reciproca, perenne creatività sono perciò le caratteristiche del tempo come durata reale. Esse si oppongono alla concezione spazializzatrice del tempo, in cui, invece, ci troviamo di fronte a esternità quantitativa, reciproca indifferenza, ripetizione dell'identico e reversibilità del fenomeno. La polemica contro lo spazio vale anche contro la necessità. Il determinismo si regge infatti sulla constatazione che cause identiche producono effetti identici. Ma nella coscienza non esiste nulla di identico e quindi nulla di prevedibile. Ciò non significa naturalmente che non esistano cause di un fenomeno, ma piuttosto che nessun singolo effetto può essere ricondotto a un'unica causa. La causa è propriamente l'intera coscienza. Si può dunque affermare che quanto più tale causalità, scaturendo dal profondo dell'io, sarà forte, tanto più ci troveremo in presenza di un atto libero.
L'UNIVERSO
L'indagine sulla coscienza si mostra tuttavia insufficiente a intendere tutti gli aspetti della realtà. Occorre perciò porre la nostra attenzione sull'intero universo. Esso ci si presenta come continua novità e perenne conservazione. Queste due caratteristiche trovano la loro spiegazione nello slancio vitale, la vita stessa che anima dall'interno tutto l'universo, rendendo ragione di quell'evoluzione creatrice che percorre l'intera natura. L'evoluzione è così perenne novità. Lo slancio vitale è come un proiettile che scoppia e le cui schegge continuano a scoppiare successivamente perdendo man mano d'intensità (L'évolution créatrice, 1907). L'ostacolo principale allo slancio è dato dalla materia. Bergson aveva affrontato una prima volta il problema della materia in Matière et mémoire (1896), cercando una conciliazione tra spirito e materia con una riflessione sulla memoria. In un orizzonte diverso, questa volta cosmico, si ripresenta ora a Bergson il medesimo problema. Difficile è intendere univocamente la soluzione che egli ne dà. Da un lato sembra che la materia sia un ostacolo esterno allo slancio, che ne impedisca il cammino, costringendolo a trovare vie di evoluzione nuove, dall'altro sembra invece che la materia sia solo lo slancio che ha perduto la propria creatività e che diviene ostacolo allo slancio successivo. L'incertezza tra dualismo e monismo e la difficoltà di rendere ragione della materia permangono tuttavia costantemente nel pensiero di Bergson.
L'UOMO E LA NATURA
Bergson studia negli animali le due linee che portano l'una agli artropodi, l'altra ai vertebrati, la cui massima espressione è l'uomo. Istinto e intelligenza caratterizzano rispettivamente l'una o l'altra direzione. L'istinto è una facoltà pratica, ereditaria, specifica, inconsapevole, non creativa. L'intelligenza è una facoltà pratica, non ereditaria, non specifica, consapevole, creativa. Istinto e intelligenza hanno dunque caratteri opposti, ma sono entrambi facoltà pratiche, volte all'azione. L'animale di fronte all'ambiente reagisce immediatamente e inconsapevolmente attraverso l'istinto, l'uomo invece reagisce mediatamente e consapevolmente attraverso l'intelligenza, producendo oggetti artificiali che lo aiutino alla sopravvivenza. L'uomo è anzitutto Homo faber. L'intelligenza tuttavia, pur essendo volta all'azione, testimonia della padronanza che l'uomo ha della materia. L'uomo con l'intelligenza produce oggetti. È questo il segno di una più profonda creatività di cui è capace. L'intuizione soltanto, come consapevole ritorno dell'intelligenza all'istinto, è in grado di cogliere queste cose, identificandosi con la visione dello spirito. Bergson ha così fondato anche da un punto di vista gnoseologico la contrapposizione tra mondo dell'interiorità e mondo dell'esteriorità. L'intuizione consente di cogliere tutto ciò che il metodo scientifico per sua natura lascia da parte.
L'UOMO E LA SOCIETÀ
Compito dell'uomo è garantire il continuo crescere dello slancio vitale, impedendo che si arresti di fronte alle resistenze della materia. La funzione cosmica dell'uomo deve esercitarsi anche nei confronti della società. Esistono due tipi di società: una chiusa e una aperta. Società chiusa è quella in cui prevalgono le forze di conservazione, in cui l'individuo è subordinato all'insieme, in cui i membri sono collegati solo in virtù di forze naturali. Società aperta è quella in cui prevalgono le forze di crescita, in cui l'individuo è libero nella sua capacità inventiva, in cui i membri sono collegati da una forza spirituale. Conservazione e progresso sono i termini che caratterizzano questi due tipi del vivere sociale. A essi corrispondono due tipi di morale e di religione. Da un lato morale chiusa e religione statica, dall'altro morale aperta e religione dinamica. L'una mantiene l'uomo schiavo dei miti e della paura; l'altra ne libera invece lo slancio verso Dio (Les deux sources de la morale et de la religion, 1932). Essa è perciò misticismo, ma misticismo attivo quale i grandi santi del cristianesimo hanno saputo mostrarci. Altre opere: Le Rire (1900), L'énergie spirituelle (1919), Durée et simultanéité, à propos de la théorie d'Einstein (1922), La pensée et le mouvant (1933).
fonte: http://www.itcgcastellanagrotte.it/studenti/pagine/henry%20bergson%20-%20classe%20v%20-%205%20marzo%202007.doc
Autore del testo: Classe V SIRIO – 5 marzo 2007
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