Pitagorici

 

 

 

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Pitagorici

 

I pitagorici

Se aprite un libro di storia della filosofia (oc­cidentale, europea ), il primo nome che trovate è quello di Talete di Mileto , vissuto tra il VII e il VI secolo a.C., e del quale tutti imparano a scuola l’affermazione: “l’acqua è il principio di tutte le cose”. Ma anche se aprite un libro di storia della fisica, ecco di nuovo al primo posto Talete, il quale predisse l’eclisse solare del 28 maggio del 585 a.C.; per non parlare della storia della matematica, che comincia con i teoremi di Talete. Ora, Talete sarà stato senz’altro un uomo geniale (“inge­gnoso nelle tecniche”, lo chiamerà tre secoli dopo Platone); ma il fatto che fosse nello stesso tempo filosofo, astronomo, geometra, in­gegnere non deve essere considerato con i criteri di oggi.


Nelle colonie greche dell’Asia Minore (Turchia) e delle isole dell’Egeo, nasce infatti la prima scienza, che non è ancora suddivisa in rami, in discipline, in scienze speciali. Sì tratta, piut­tosto, di un nuovo atteggiamento complessivo nei confronti della natura. Nelle isole e sulle coste, dall’Asia Minore alla Sicilia, le colonie greche sono collettività di navigatori, di arti­giani, di costruttori. La natura non è più per loro un complesso di oscure forze, personifi­cate in divinità (animismo), ma una realtà da conoscere e dominare razionalmente e tecni­camente. La “spiegazione” fantastica dei fe­nomeni naturali (mito), e il tentativo di renderli favorevoli per gli uomini con esorcismi, riti e preghiere (religione primitiva, magia) non corrispondono più alle nuove esigenze e atti­vità, anche se continuano ad esistere come tradizione, e come simbolo della comunità stessa (divinità locali). Dal mito si separa per­ciò la scienza, la “filosofia naturale”, l’inve­stigazione della natura con la sperimentazione pratica e con la ragione.


Un compito immenso, e di carattere generale, si presenta ai primi filosofi naturali: comprendere come è tutto l’Universo, trasformare il caos in cosmos.
La scuola milesia, o ionica (Mileto, lo abbiamo già detto in nota, era una colonia ionica), fon­data da Talete, proseguita da Anassimandro, da Ecateo, da Anassimene, fu perciò scuola di astronomi, geografi, geometri, fisici, che cer­cavano di descrivere come sono fatti il Cielo e la Terra e di spiegare i fenomeni che in Cielo e in Terra si manifestano, e insieme scuo­la di filosofi che cercavano di capire la strut­tura dell’Universo, di scoprire un’unità nella diversità. Essi cercavano la arché: traducendo in italiano, cercavano il principio primo, l’elemento base dal quale nascono tutte le diffe­renti sostanze. Talete, vedendo l’acqua trasfor­marsi in vapore e ghiaccio, e nubi e ghiacci ritrasformarsi in acqua (ciclo dell’acqua), pensò che il principio primo fosse l’acqua, capace di tante trasmutazioni (liquido, solido, aerifor­me). Anassimandrà pensò a una sostanza pri­mitiva indeterminata (apeiron in greco); Anas­simene all’aria.
Un’idea davvero geniale, e già molto astratta, sulla questione del “principio primo”, venne espressa da Pitagora - o forse più tardi dalla scuola che da lui prese il nome (scuola pitagorica).
Anche Pitagora nasce — all’incirca neI 570 a. C. — in una colonia ionica, e precisamente nell’isola di Samo, vicino alle coste dell’Asia Minore. Si trasferisce però nella cosiddetta Magna Grecia, cioè nell’Italia Meridionale, e pre­cisamente a Crotone (oggi: Cotrone) in Ca­labria.
I Pitagorici affermavano che il principio di tutte le cose è i numero, dicevano che « tutte le cose sono numero”. Che cosa avevano in te­sta facendo un’affermazione che per noi, oggi, suona molto strana? Avevano in testa i numeri concepiti come un “reticolato geometrico”, come un insieme di palline disposte in maniera da formare figure geometriche: triangoli, quadrati, cubi, piramidi.

Diamo qualche esempio dei numeri figurati dei pitagorici:

Con la loro visione geometrica dei numeri, i Pitagorici ottennero risultati assai belli sui numeri interi (aritmogeometria dei pitagorici). Abbiamo, nell’elenco dei primi numeri dei vari tipi, omesso il numero uno, che è …tutto: il primo numero triangolare, quadrato, cubico, tetraedale.  Quello che ci interessa sottolineare ora è che, per i Pitagorici, i punti (da loro chiamati mo­nadi = unità) coi quali costruivano le varie figure erano insieme atomi fisici e indivisibili geometrici. Erano, insomma, gli elementi pri­mi, non altrimenti decomponibili, tanto dei cor­pi fisici quanto delle figure geometriche; non veniva fatta differenza tra “corpo fisico” e “figura geometrica”, geometria e fisica erano la stessa cosa. (Atomo vuoi dire esattamente “in-divisibile”; in greco a particella “a” si­gnifica “non”, quindi “a-tomo” = “in-divisibile”).
Per loro, una sottilissima bacchetta e un seg­mento, in senso geometrico, erano la stessa cosa. Un segmento, tratto di una retta, era per loro un ente fisico, costituito da un certo nu­mero di punti messi in fila:

…………………………………………………..

 

Per i Pitagorici, quindi, un segmento non po­teva essere suddiviso indefinitamente in parti sempre più piccole. No, esso era composto da un numero finito di monadi (punti-atomi), dotate di dimensioni, se pure piccolissime. Di conseguenza, la lunghezza di ogni possibile segmento era un multiplo esatto di un “me­tro assoluto”: la lunghezza di una singola monade. In altre parole: dati due segmenti a e b, doveva esserci in ogni caso un sottomul­tiplo comune ai due segmenti, in quanto, se a è composto da m “monadi”, e b da n “monadi”, essendo tutte le monadi uguali, deve ben essere:

Ma allora il rapporto  dovrebbe essere la frazione (quoziente di due interi):

a si otterrebbe prendendo m volte la n-sima parte di b edue segmenti dovrebbero essere sempre commensurabili tra di loro.
Ma questo non è vero, come scoprirono anche i Pitagorici; con sgomento.

 

 

Sulla retta esistono numeri diversi dai razionali

Sulla retta i numeri interi si trovano distanziati tra loro; i razionali invece sono vicinissimi, basta pensare ai termini della successione:
,…
che si «addensano» verso Io zero. Ma, come lo zero ha dei numeri razionali che gli si addensano vicini, anche intorno ad uno qualunque degli altri numeri si addensano infiniti numeri razionali; si pensi ad esempio a quanti numeri razionali si possono mettere fra  e 1. Questo fatto si esprime dicendo che l’insieme dei numeri razionali è denso; quello degli interi si chiama invece discreto perché tra due interi c’è sempre un numero finito di interi.
Ma, ci si chiede: i numeri razionali esauriscono tutti i punti della retta? Per rispondere a questo interrogativo, riprendiamo la retta dei numeri e costruiamo un quadrato con un lato coincidente con il segmento CB di lunghezza unitaria.

Il   teorema di Pitagora ci permette di calcolare la diagonale:

OA=

.
Che razza di numero è ? Per definizione è quel numero che elevato al quadrato dà 2; non è quindi un numero intero perché nessun numero intero ha per quadrato 2. Vediamo se si tratta di un numero razionale.
Immaginiamo che si tratti di una frazione, e cioè poniamo:

dove si può sempre supporre che la frazione sia ridotta ai minimi termini, cioè che m ed n non abbiano divisori comuni. Elevando al quadrato ambo i membri dell’uguaglianza avremo:

Questa relazione è assurda: infatti il primo membro è un numero intero mentre il secondo non è certamente un numero intero, perché m2 non può, per quanto s’è detto, essere multiplo di n2. Ma, se è assurda questa relazione, lo è anche quella da cui questa è stata ottenuta e cioè:

questo significa che .
Dobbiamo quindi dedurre che i numeri razionali lasciano sulla retta dei «buchi» o per meglio dire delle «lacune» infinitesime; queste lacune sono riempite da numeri decimali illimitati non periodici: i numeri irrazionali.

 

La crisi dei pitagorici

I problemi relativi all’infinito hanno avuto la loro influenza in tutti i tempi, e hanno sempre (anche adesso) presentato gravi difficoltà.
La scoperta della incommensurabilità tra dia­gonale e lato di uno stesso quadrato, fatta dai Pitagorici se non dallo stesso Pitagora, met­teva infatti in crisi tutta la loro filosofia, per­ché faceva cadere l’ipotesi che le cose fos­sero numeri, che il costituente della  realtà fosse la monade, punto-atomo, indivisibile ma non evanescente dotato di dimensioni.
Scoperto che esistono segmenti che non possiedono un sottomul­tiplo comune (segmenti incommensurabili) ne viene di conseguenza che il punto non può avere dimensioni perché, se così fosse, esso dovrebbe co­stituire un sottomultiplo di tutti i segmenti, e quindi tutti i segmenti dovreb­bero essere commensurabili tra di loro.
I greci, costretti ad ammettere che il punto non può avere dimensioni, de­ducono che ciascun segmento è costituito da infiniti punti. Di qui l’origine della tragedia pitagorica che seguì a sco­perta degli irrazionali. La geometria, nata per studiare il mondo esterno, il reale, si rivelava diversa dal mondo esterno.
L’atomo ha dimensioni, il punto no; essi non sono quindi la stessa cosa come avevano ritenuto i Pitagorici.

Il problema fu risolto quando, rinunciando alla convinzione che costruire la geometria voleva dire fare una costruzione razionale del reale, si ammise che la geometria rappresentasse una idealizzazione della realtà. (questa idea si venne formando nella stessa scuola  pitagorica).

Non dobbiamo stupirci del fatto che la scoperta dei numeri irrazionali fosse tenuta gelosamente segreta dai Pitagorici. Bisogna sapere che essi costituivano una singolare ”setta”, una spe­cie di antica massoneria, che aveva i suoi riti e i suoi misteri, e che aveva un suo preciso “credo” scientifico-religioso e anche politico. (In politica, i Pitagorici, e il loro maestro Pita­gora per primo, erano per i governi aristocra­tici, autoritari, tirannici — “ tiranno “ era per i greci sinonimo di monarca assoluto. Spesso erano uomini di potere; cosi Archita, l’ultimo grande della scuola, governò Taranto nel quar­to secolo a. C.).
Una leggenda narra che lppaso di Metaponto (Metaponto è un’altra città dell’attuale Calabria), discepolo diretto di Pitagora, avrebbe tradito il segreto dell’esistenza di grandezze incommensurabili, e per  questo  “sacrilegio” (nonché, pare, per certe sue lodevoli tendenze democratiche), sarebbe stato colpito dall’ira degli Dèi, amici della setta pitagorica, affogan­do in un naufragio. In verità, faceva naufragio la teoria pitagorica, attribuendo dimensioni al punto geometrico, negando l’esistenza di grandezze incommensurabili e quindi dei numeri irrazionali.
Fu la prima grande, e sconvolgente, rivoluzio­ne scientifica. Non meno grande, e sconvol­gente, dell’ipotesi di Copernico, suffragata da Galileo, che “fermava” il Sole e  “metteva in moto” la Terra, o della teoria della relatività dimostrata da Einstein, che non ci permette più di parlare in senso assoluto di lunghezze e di durate (dipendono dalla velocità dell’os­servatore).


Abbiamo un’interessantissima testimonianza di Platone .sulla “sensazionalità” che ebbe la scoperta degli irrazionali. Platone conosceva bene la Magna Grecia e i suoi centri cultu­rali; nel 388 era andato appositamente a Ta­ranto per conoscere Archita. Platone (l’Atenie­se), di ritorno dai suoi viaggi, discutendo con Clinia nel dialogo Le Leggi, giudica l’ignoranza dei suoi concittadini cosa “non già propria d’uomini, ma piuttosto di branchi di maiali”. Ne prova vergogna non “per sé solamente, ma per tutti i Greci”.
Che cosa è mai che i Greci non sanno, e che li fa chiamare “branco di maiali” da Platone Ateniese? “Non pensiamo tutti noi Greci —dice Ateniese a Clinia — che lunghezza e lar­ghezza sono in certa guisa commensurabili con la profondità, e lunghezza e larghezza tra di loro?”
“Proprio cos씓, conferma Clinia. E l’Ateniese allora ribatte:


“ Ma se esse non sono assolutamente commen­surabili, e tutti i Greci, come dicevo, pensano che lo sono, non è giusto che provi vergogna per essi tutti, e si dica loro: Ottimi Greci, que­sta è una di quelle cose delle quali dicevamo che è vergognoso ignorarle, mentre non è af­fatto un pregio il conoscere ciò che è neces­sario?”
Il grande Platone Ateniese, allievo di Socrate e autore dei famosi Dialoghi, vive tra il 428 e il 348 a.C. In una certa misura, Platone è an­cora un “filosofo naturale”, si occupa di tutto, della struttura dell’Universo e della repubblica degli uomini, di leggi scientifiche e di costitu­zioni civili. Ma la scoperta dell’esistenza di nu­meri irrazionali, il “naufragio di Pitagora”, porta Platone a considerare gli enti geometrici, e in primo luogo il punto, come enti ideali, che possiedono una realtà diversa dagli enti cor­porei. Con Platone, perciò, la geometria come noi la intendiamo, lo studio idealizzato e razio­nale di figure che sono astrazioni e immagini della realtà fisica, non realtà fisica esse stesse, si stacca tanto dalla filosofia come scienza generale dei principi, quanto dalla fisica. La mo­nade pitagorica, che era insieme punto geometrico e atomo fisico, si  “sdoppia”. Demo­crito di Abdera, che visse all’incirca tra il 460 e il 380 a. C., immagina il mondo fisico co­stituito da atomi, particelle piccolissime, ma pesanti e dotate di dimensioni, che con il loro vario intrecciarsi e combinarsi, pur essendo tutti assolutamente identici, danno luogo alla inesauribile varietà delle sostanze. Invece Euclide di Alessandria, sotto il regno “ellenisti­co” di Tolomeo Primo, attorno al 300 a. C., nella sua grande opera Gli Elementi costitui­sce la geometria in scienza a sé stante. In una delle sue prime definizioni Euclide, seguendo Platone dal quale discente, dice che “il punto è ciò che non ha parti”. Geometria e fisica si sono se­parate. Ne ha piena consapevolezza Aristotele (384-322 a. C.), e vogliamo concludere con un brano della sua Meta­fisica:

Delle definizioni e delle essenze alcune sono come quella di “camuso”, altre come quella di “curvo”, i quali [aggettivi] differiscono in que­sto, che in camuso è compresa sempre la ma­teria (camuso diciamo un naso che ha una certa curva), la curvità, invece, è compresa senza una materia sensibile. Quindi, tutti gli oggetti della fisica si intendono similmente a camuso, ad esempio naso, occhio, fisionomia, carne, ossa, animale, insomma tutte [le] cose [che] mai sono senza materia...”

 

 

Giochiamo coi numeri pitagorici

 

Ogni numero dispari è uguale alla differenza di due quadrati . Precisamente dei quadrati dei due numeri consecutivi di cui il numero dato è uguale alla somma .

 

· Se partiamo da 1 la somma di un numero qualsiasi di numeri interi consecutivi è un numero triangolare come indica la seguente figura :

raddoppiando l’immagine troviamo


immagine che ci fornisce la somma dei primi n numeri naturali, uguale a
· La somma di una successione di numeri dispari consecutivi dà sempre un numero quadrato come indica la seguente figura
.
Se sommo n numeri dispari consecutivi trovo sempre il numero :

· La somma di una successione di numeri pari consecutivi dà sempre un numero rettangolare
come indica la seguente figura


Il numero  è il numero rettangolare che si ottiene sommando i primi 3 numeri pari .. Se sommo n numeri pari consecutivi trovo sempre il numero rettangolare
:
Le linee diagonali della figura di un qualsiasi numero rettangolare ci dicono che qualsiasi numero rettangolare è uguale alla somma di due numeri triangolari uguali .

Numeri naturali

somma triangolare ; numeri triangolari

Numeri dispari

somma quadrata ; numeri quadrati

Numeri pari

somma rettangolare ; numeri rettangolari

Contando per 3

somma pentagonale ; numeri pentagonali

Contando per 4

somma esagonale ; numeri esagonali

numeri pentagonali :

Numeri pentagonali
Per
Per

Numeri esagonali
per
per

 

 

 

Siamo troppo abituati a considerare l’Europa il centro del mondo (eurocentrismo), e a dimenticarci che ci sono state grandi e antiche civiltà non europee: in Cina, in India, nell’America pre­colombiana.

Mileto era una colonia greca, abitata dalla stirpe ionica, sulle coste dell’Asia Minore.

 

Fonte: Fonte: http://www.liceogioia.it/EspDidattiche/Multimedia/Infinito/modulo/documenti/Pitagora.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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