- L’etica cristiana. È un’etica che si limita a considerare la correttezza della coscienza e la sua buona intenzione, per cui se le mie azioni hanno conseguenze disastrose, se non avevo coscienza o intenzione, non ho fatto nulla che mi sia moralmente imputabile. Esattamente come capitò un giorno a coloro che hanno messo in croce Gesù Cristo e che da Lui sono stati perdonati: «Perché non sanno quello che fanno» (Luca, 23, 24). È evidente che, anche se su questa etica è stato costruito l’ordine giuridico europeo che distingue, per esempio, tra un delitto intenzionale, non intenzionale, preterintenzionale, in un mondo dove agiscono le tecno-scienze, una morale di questo genere, che guarda solo alle intenzioni e non agli effetti delle azioni, è improponibile, perché, nell’età della tecnica, gli effetti potrebbero essere catastrofici e in molti casi addirittura irreversibili.
b) L’etica laica. Dopo aver messo sullo sfondo Dio, Kant formulò quel principio secondo cui: «L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo». È questo un principio che ancora attende di essere attuato, se è vero che oggi le merci e i beni hanno una possibilità di circolazione ben superiore a quella degli uomini, e gli uomini sono accolti nei vari paesi solo se produttori di servizi, di beni e di merci. Ma anche se così non fosse e ogni uomo davvero fosse trattato come un fine, nelle società complesse e tecnologicamente avanzate questo principio già rivela tutta la sua insufficienza. Davvero nell’età della tecnica, a eccezione dell’uomo da trattare sempre come un fine, tutti gli enti di natura sono da considerare un semplice mezzo che noi possiamo utilizzare a piacimento? E qui il pensiero va alle piante, agli animali, alle foreste, all’aria, all’acqua, all’atmosfera. Non sono questi, nell’età della tecnica, altrettanti fini da salvaguardare, e non semplici mezzi da usare e da usurare? Sia l’etica cristiana sia l’etica laica sembra che si siano
limitate a regolare i rapporti tra gli uomini, senza mettere a disposizione alcuno strumento, né teorico né pratico, per farci assumere una qualche responsabilità nei confronti degli enti di natura, su cui oggi intervengono, per esempio, la fisica nucleare, la genetica e le biotecnologie.
c) L’etica della responsabilità. È stata formulata all’inizio del nostro secolo da Max Weber e recentemente
riproposta da Hans Jonas. Secondo Weber chi agisce non può ritenersi responsabile solo delle sue intenzioni, ma anche delle conseguenze delle sue azioni. Se non che, subito dopo, Weber aggiunge opportunamente: «Fin dove le conseguenze sono prevedibili». Quest’ultima considerazione, peraltro corretta, relativa alla prevedibilità, ci riporta a capo della questione, perché è proprio della fisica nucleare, della genetica e delle biotecnologie avviare ricerche e promuovere azioni i cui esiti finali non sono prevedibili. E di fronte all’imprevedibilità non c’è responsabilità che tenga.
Lo scenario dell’imprevedibile, dischiuso dalla tecno-scienza, non è infatti imputabile, come nell’antichità, a un difetto di conoscenza dei fenomeni naturali, ma a un eccesso del nostro potere di fare enormemente maggiore al nostro poteredi prevedere e quindi di valutare e giudicare. L’imprevedibilità delle conseguenze che possono scaturire dai processinucleari o biotecnologici rende quindi non solo l’etica dell’intenzione (il cristianesimo e Kant) ma anche l’etica dellaresponsabilità (Weber e Jonas) assolutamente inefficaci, perché la loro capacità di ordinamento è enormemente inferioreall’ordine di grandezza di ciò che si vorrebbe ordinare.
L’etica del viandante
Oggi che la tecnica non ci consente di pensare la storia iscritta in un fine, l’unica etica possibile è quella che si fa carico della pura processualità, che, come il percorso del viandante, non ha in vista una meta. L’imperativo etico non può essere dedotto da una normatività ideale, come è sempre stato dai tempi di Platone alle soglie dell’età della tecnica, ma da quella incessante e sempre rinnovantesi fattualità che sono gli effetti del fare tecnico.
Non più il «dovere» che prescrive il «fare», ma il «dovere» che deve inseguire e fare i conti con gli effetti già prodotti dal «fare». Ancora una volta è l’etica a dover rincorrere la tecnica, e a doversi confrontare con la propria impotenza prescrittiva. Il fatto che la tecnica non sia ancora totalitaria, il fatto che quattro quinti dell’umanità viva di prodotti tecnici, ma non ancora di mentalità tecnica, non deve confortarci, perché il passo decisivo verso l’«assoluto tecnico», verso la «macchina mondiale» l’abbiamo già fatto, anche se la nostra condizione psicologica non ha ancora interiorizzato questo fatto, quindi non ne è all’altezza.
Quel che è certo è che l’universo tecnico, cancellando ogni meta e quindi ogni visualizzazione del mondo a partire da un senso ultimo, non sta al gioco della stabilità e delle definitività, e perciò libera il mondo come assoluta e continua novità, perché non c’è evento già iscritto in una trama di sensatezza che ne pregiudichi l’immotivato accadere.
Dal disincanto del mondo e dall’instabilità di tutti quanti i princìpi che prima lo definivano, nasce un paesaggio insolito, simile allo spaesamento, in cui si annuncia una libertà diversa, non più quella del sovrano che domina il suo regno, ma quella del viandante che al limite non domina neppure la sua via.
Gli anni che stiamo vivendo hanno visto, infatti, lo sfaldarsi di un dominio, e insieme hanno accennato a quel processo migratorio che confonderà i confini dei territori su cui si orientava la nostra geografia.
Usi e costumi si contaminano e, se «etica» vuol dire «costume», è possibile ipotizzare la fine delle nostre etiche, fondate sulle nozioni di proprietà, territorio e confine, a favore di un’etica che, dissolvendo recinti e certezze, va configurandosi come «etica del viandante» che non si appella al diritto, ma all’esperienza.
Infatti, a differenza dell’uomo del territorio che ha la sua certezza nella proprietà, nel confine e nella legge, il viandante non può vivere senza elaborare la diversità dell’esperienza, cercando il centro non nel reticolato dei confini, ma in quei due poli che Kant indicava nel «cielo stellato» e nella «legge morale», che per ogni viandante hanno sempre costituito gli estremi dell’arco in cui si esprime la sua vita in tensione. Senza meta e senza punti di partenza e di arrivo, che non siano punti occasionali, il viandante, con la sua etica, può essere il punto di riferimento dell’umanità a venire, se appena la storia accelera i processi di recente avviati, che sono nel segno della de-territorializzazione.
Fine dell’uomo giuridico a cui la legge fornisce gli argini della sua intrinseca debolezza, e nascita dell’uomo sempre meno soggetto alle leggi del paese e sempre più costretto a fare appello ai valori che trascendono la garanzia del legalismo. Il prossimo, sempre meno specchio di me e sempre più «altro», obbligherà tutti a fare i conti con la differenza, come un giorno, ormai lontano nel tempo, siamo stati costretti a farli con il territorio e la proprietà.
La diversità sarà il terreno sui cui far crescere le decisioni etiche, mentre le leggi del territorio si attorciglieranno come i rami secchi di un albero inaridito. Fine del legalismo e quindi dell’uomo come l’abbiamo conosciuto sotto il rivestimento della proprietà, del confine e della legge, e nascita dell’uomo più difficile da collocare, perché viandante inarrestabile, in uno spazio che non è garantito neppure dall’aristotelico «cielo delle stelle fisse», perché anche questo cielo è tramontato per noi.
Diventa allora quanto mai indispensabile una ripresa della virtù antica che invitava l’uomo a non oltrepassare il limite.
Certo ai Greci non possiamo tornare, ma l’invito che essi rivolgevano all’uomo di dare una misura a se stesso (katàmétron) oggi diventa non solo attuale, ma addirittura urgente.
Si tratta di una misura che non va cercata nei princìpi formulati quando la natura era immodificabile, ma in
quell’indicazione aristotelica che, in assenza di princìpi generali, consente di prendere decisioni esaminando caso per caso. Aristotele chiama questa capacità phrónesis, che noi siamo soliti tradurre con «saggezza», «prudenza», e la eleva a principio regolativo della prassi dove:
Non si ha a che fare con ciò che accade sempre (aei), come nella matematica o nella geometria, ma con ciò che accade per lo più (hos epí tò polú), con ciò che fa la sua comparsa di volta in volta, in modo imprevisto e in tutti quei casi in cui non è chiaro come andranno a finire le cose, e quelli in cui la conclusione è del tutto indeterminata.
Una sorta di etica del «viandante » che, non disponendo di mappe, affronta le difficoltà del percorso per come di volta in volta esse si presentano e con i mezzi al momento a sua disposizione.
Questo è il nostro limite, e in questo limite dobbiamo decidere. Per quanto drammatica possa sembrare la scelta, non dimentichiamo che la decisione etica è una decisione che fonda, senza possedere altro fondamento al di fuori di sé. In questo senso è evento assoluto e quindi realtà tragica. Non è l’assoluto pacificato dell’idea, ma l’assoluto della scelta in ordine agli eventi che si presentano. In caso diverso
sarebbe inutile la discussione tra gli uomini, sarebbe sufficiente la deduzione dai princìpi.
L’etica del viandante avvia a questi pensieri. Sono pensieri ancora tutti da pensare. Ma il paesaggio da essi
dispiegato è già la nostra instabile, provvisoria e inconsaputa dimora.
MODERNITA’ – POSTMODERNITA’ – MORALE
Max Weber
Weber rifiuta l’assolutismo etico e si muove all’interno di una filosofia
dei valori i cui presupposti sono la distinzione tra essere e dover
essere e il riconoscimento di una pluralità di sfere dei valori.
Il politeismo dei valori si declina nell’etica sotto forma del dualismo
tra l’etica dei principi, anche detta etica delle intenzioni o delle
convinzioni, e l’etica della responsabilità.
«Ogni agire in senso etico può oscillare tra due massime radicalmente
diverse e inconciliabilmente opposte, può essere cioè orientato
secondo l’etica dell’intenzione oppure secondo l’etica della
responsabilità. Non che l’etica dell’intenzione coincida con la mancanza
di responsabilità, e l’etica della responsabilità coincida con la
mancanza di buone intenzioni. Non si vuol certo dire questo. Ma
c’è una differenza incolmabile tra l’agire secondo la massima
dell’etica dell’intenzione, la quale – in termini religiosi – suona: “Il
cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio” e agire
secondo la massima dell'etica della responsabilità, secondo la quale
bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie
azioni».WEBER
«Lo Stato moderno… si sforzò di conquistare un rigido controllo
di tutti quegli aspetti della vita umana che i poteri del passato avevano
lasciato alla discrezione delle comunità locali. Reclamò il diritto
di interferire – e studiò i mezzi per farlo – in aree dalle quali i poteri passati, per quanto oppressivi e sfruttatori, si tenevano alla larga.
In particolare si adoperò per smantellare les pouvoirs intermédiaires,
vale a dire tutte le forme di autonomia locale, autoaffermazione
comunitaria e autogoverno.»BAUMAN
Nella prospettiva postmoderna, i fondamentali contrassegni della
condizione morale sono:
1. L’affermazione dell’ambivalenza morale degli uomini. Non sono
corrette né l’idea della bontà intrinseca dell’uomo, né quella della
sua insuperabile malvagità. Ne consegue che la condotta morale
non può essere garantita né da una migliore progettazione dei
contesti per l’agire umano, né da una migliore formulazione dei
suoi motivi; occorre imparare a vivere in un quadro di frammentazione,
flessibilità e precarietà.
2. L’idea che i fenomeni morali siano intrinsecamente non razionali.
La postmodernità concepisce i fenomeni morali come non prevedibili
e non esauribili in un codice etico. L’etica moderna aveva
seguito essenzialmente il modello della legge: si prefiggeva di offrire
definizioni esaurienti, senza zone grigie di molteplice interpretazione;
essa agiva in base al presupposto che in ogni situazione
di vita esiste una sola scelta positiva che si separa
nettamente dalle opzioni cattive. Per la postmodernità, invece,
questo quadro ignora ciò che è propriamente morale: sposta i fenomeni
morali dalla sfera dell’autonomia personale
all’eteronomia, sostituisce la conoscenza delle regole all’io morale,
costituito dalla responsabilità. La morale, per la sensibilità postmoderna
è destinata a restare irrazionale. L’autonomia dell’io
morale è vista, dalla tradizione moderna, come un pericolo dal
punto di vita del controllo sociale; gli impulsi morali sono certamente
colti anche nei loro aspetti positivi ma devono essere controllati,
anche se non banditi. La gestione sociale della morale è
un’operazione complessa che produce spesso più ambivalenza
di quanta non riesca ad eliminare. La realtà umana è, dunque,
ambigua e le decisioni morali sarebbero, diversamente dai principi
etici astratti.
3. L’idea che la morale è essenzialmente aporetica. La maggior
parte delle scelte morali è compiuta tra impulsi contraddittori; l’io
morale si muove, sente e agisce nel contesto dell’ambivalenza ed
è lacerato dall’incertezza, una situazione morale priva di ambiguità
esiste unicamente come utopia, come stimolo.
4. L’idea che la morale non è universalizzabile, cioè che l’etica non
possa esprimere principi e norme valide per ogni luogo, o cultura,
o popolo, o situazione.
5. L’idea che i fenomeni morali, nella prospettiva postmoderna, non
comportano necessariamente un relativismo morale a causa della
possibile implicazione piena dell’umanità dell’uomo nel fatto
morale. In altre parole, il serio coinvolgimento del singolo nella situazione
morale costituisce una garanzia, anche se parziale, della serietà della soluzione che non è più assicurata da un codice
eteronomo che la precede.
«...essere morali significa sapere che le cose possono essere buone
o cattive. Ma non significa sapere, né tanto meno sapere per
certo, quali cose siano buone e quali cattive. Essere morali significa
essere destinati a fare delle scelte in condizioni di profonda e
dolorosa incertezza.»BAUMAN
«... un’azione, per essere detta
“morale”, non deve ridursi a un atto o ad una serie di atti conformi a una regola, a
una legge, o a un valore. Ogni azione morale –è vero– implica un rapporto con la
realtà nella quale si effettua, e un rapporto con il codice cui si riferisce; ma implica
un certo rapporto con se stesso: il che non significa soltanto “coscienza di sé”, ma
costituzione di sé come “soggetto morale”, in cui l’individuo circoscrive la parte di se
stesso che costituisce l’oggetto di quella pratica morale, definisce la sua posizione
in rapporto al precetto che segue, si prefigge un certo modo di essere che gli servirà
come compimento morale di se stesso; e, per far questo, agisce su se stesso,
comincia a conoscersi, si controlla, si mette alla prova, si perfeziona, si trasforma.
Non c’è azione morale specifica che non si riferisca all’unità di una condotta morale;
non c’è condotta morale che non chiami in causa la costituzione di se stesso come
soggetto morale.» FOUCAULT
«Nietzsche, infatti, concepisce l’uomo moderno e il suo tempo
come una fine, la fine del movimento morale e spirituale di più di
duemila anni, la fine della metafisica e del cristianesimo, la fine di
ogni giudizio di valore… Per Nietzsche l’epoca finisce perché non
crede più in ciò che l’aveva promossa e per secoli animata.»GALIMBERTI
«Poiché la nozione di verità non sussiste più, e il fondamento
non funziona più, dato che non è alcun fondamento per credere al
fondamento, e cioè al fatto che il pensiero debba “fondare”, dalla
modernità non si uscirà mediante un superamento critico, che sarebbe
un passo ancora tutto interno alla modernità stessa... E’
questo il momento che si può chiamare la nascita della postmodernità
in filosofia.»VATTIMO
Il principio religioso.
Difficilmente il principio religioso può essere
considerato atto a fondare un’etica; questa, infatti, nella sua essenza,
non è religiosa perché si ordina secondo ragione. Il fondamento
dell’etica non dovrebbe dunque essere religioso.
Il principio della forza affermativa.
Tale principio designa una fonte
di potenza, una facoltà attiva, dinamica, creatrice,
un’affermazione della vita. Abbiamo qui la sensibilità etica di Spinoza.
La forza vitale ed il desiderio producono la gioia, un sentimento
sostanziale e attivo. Nietzsche parla della volontà di potenza
come di una facoltà creatrice capace di riempire l’anima e
di colmarne il vuoto.
Il principio di realtà.
La coscienza che il desiderio e la gioia sono
sempre in pericolo e contigui al dolore ed alla precarietà tende a
estirpare ogni ingenua credenza nella felicità. Qui interviene quello
che chiameremo il principio di realtà, fondato su ciò che esiste
effettivamente, sulle condizioni stesse della vita e dell’esistenza.
Occorre capire il reale ed accettarlo. Arthur Schopenhauer (1788-
1860) è stato il maestro di questo realismo.
Il principio di responsabilità.
Sentire responsabilità significa rispondere
dei propri atti. E’ un principio che governa l’etica classica
e che si ritrova oggi trasformato, esso, infatti, non riguarda più
soltanto il presente o il futuro immediato ma, soprattutto con Jonas,
si estende e si radica in un futuro lontano.
Il principio di libertà.
Nella sensibilità contemporanea non si enfatizza
la libertà metafisica, ma quella del poter agire, di esprimersi
liberamente, di godere dei propri beni sotto la protezione delle
leggi e senza subire costrizioni altrui.
Il principio di differenza.
Consiste nell’idea secondo cui è necessario
accettare le disuguaglianze sociali ed economiche a condizione
che esse siano regolate a beneficio dei più svantaggiati e
che assicurino a questi una condizione di vita soddisfacente; le
disuguaglianze saranno distribuite nell’interesse di ognuno.
Il principio della coltivazione estetica del sé.
E’ un’eredità dell'antica
civiltà ellenica che ispirava la morale greca, che faceva coincidere
etica ed estetica. In questo quadro la bella forma è promessa
di moralità, il bello annuncia il buono. L’idea di applicare i
valori estetici alla vita, pressoché assente nel Medio Evo, si ritrova
nel Rinascimento da cui parte una linea che si protrae, espandendosi,
fino a oggi. Foucault pone il principio della
coltivazione estetica di sé come uno dei fondamenti dell’etica postmoderna.
I principi dell’autodeterminazione e del rispetto per la vita.
Sono i fondamenti della moderna bioetica che devono forzatamente trovare
nuove formulazioni linguistiche e di merito di fronte alle acquisizioni
della scienza applicata alla vita umana.
Il principio dell’attività comunicativa.
Grazie soprattutto a Habermas, troviamo un principio, basato sul concetto di comunicazione.
Secondo diversi studiosi,la stessa parabola storica dell’umanità può essere suddivisa in
fasi corrispondenti ai principali mezzi comunicativi.
LEVINAS
«Il povero, lo straniero si presenta come eguale… La sua uguaglianza
in questa povertà essenziale consiste nel riferirsi al terzo.
Così presente all’incontro e che, nella sua miseria, è già servito da
Altri… Egli si unisce a me… Ogni relazione sociale, al pari di una
derivata, risale alla presentazione dell’Altro al Medesimo, senza
nessuna mediazione di immagini o di segni… Il fatto che gli uomini
siano fratelli non è spiegato dalla loro somiglianza, né da una causa
comune di cui sarebbero l’effetto come succede per le medaglie
che rinviano allo stesso conio che le ha battute… La paternità non
si riconduce ad una causalità cui gli individui parteciperebbero misteriosamente
e che determinerebbe, in base ad un effetto non
meno misterioso, un fenomeno di solidarietà… Il fatto originario
della fraternità è costituito dalla mia responsabilità di fronte ad un
volto che mi guarda come assolutamente estraneo. E l’epifania del
volto coincide con questi due momenti. O l’uguaglianza si produce
laddove l’Altro comanda il Medesimo e gli si rivela nella responsabilità,
o l’uguaglianza non è che un’idea astratta e una parola.»
JONAS
«la comunità umana si trova a dover fronteggiare una situazione in
cui il potenziale distruttivo equivaleva alle possibilità di raggiungere
nuovi livelli di creatività e di dignità umana. La strada da seguire
sarebbe stata decisa dalle generazioni a venire. In ultima analisi, la
scelta non sarebbe stata determinata né dall’intervento divino, né
dalle forze arbitrarie della natura. E quella decisione avrebbe avuto
un effetto duraturo, ben al di là dell’arco di vita di coloro che erano
destinati ad assumerla. In effetti avrebbe determinato quali forme di
vita avrebbero continuato a sopravvivere.»PAWLIKOWSKI
«Prima sia il sapere, sia il potere erano troppo limitati perché si
includesse nelle previsioni anche il futuro più lontano e nella coscienza della propria causalità tutta la terra. Solo la tecnica moderna
con la ricchezza senza confronti delle sue imprese apre questi
orizzonti nello spazio e nel tempo.»JONAS
«Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano
compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra...
Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano
la possibilità futura di tale vita... Non mettere in pericolo
le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra...
Includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come
oggetto della tua volontà.»JONAS
«...Jonas offre tuttavia un’interpretazione troppo cauta del ruolo e
della funzione della responsabilità. Per lui ogni intervento di qualche
magnitudine sulla società e sulla natura è pericoloso e destabilizzante...
Facendo prevalere la paura e minimizzando i rischi, Jonas
invita al contrario a inibire la propensione al possibile, in
quanto fondata, a suo avviso, su pretese esorbitanti e su desideri
immodesti.»BODEI
FOUCAULT
«l’uomo è allora un insieme di strutture, che egli è, certo, in grado
di pensare e di descrivere, ma di cui non è il soggetto sovrano. Di
conseguenza, anche la morale viene svincolata dall’uomo e ridotta
alla politica, che a sua volta riesce a determinare il funzionamento
ottimale della società senza avere bisogno di richiamarsi all’uomo,
essendole sufficiente il riferirsi a determinati rapporti che legano fra
loro l’aumento della popolazione, il consumo, la libertà individuale e
la possibilità della felicità per tutti.»FOUCAULT
RAWLS
Due sono i principi di giustizia cui attenersi:
1. il primo esige una pari attribuzione dei diritti e dei doveri di base;
ogni persona ha lo stesso diritto di godere delle libertà fondamentali;
2. il secondo riconosce che le disuguaglianze socio-economiche
sono giuste se producono dei vantaggi per ciascuno e, in particolare,
se favoriscono gli individui meno fortunati.
Tra tali principi esiste un ordine gerarchico, il primo prevale sul
secondo: non si può barattare la libertà con miglioramenti materiali.
ARENDT
«…la politica, liberata dalla tirannia della filosofia e della teoria, non
sarebbe più una necessità di ordine negativo, ma la risposta umana
più elevata al fatto che “non l’Uomo, ma gli uomini” al plurale
nascono, vivono, abitano il mondo e muoiono. Natalità e mortalità
costituirebbero, allora, la duplice fonte dell’azione politica»,
e ancora:
«Il fatto decisivo che determina l’uomo come essere consapevolmente
rammemorante è la nascita o natalità, il fatto che siamo entrati
nel mondo attraverso la nascita; mentre il fatto decisivo che
determina l’uomo come essere deliberante è la morte o mortalità, il
fatto che abbandoneremo il mondo con la morte…»
Per la Arendt,Il modello per eccellenza è quello della polis greca, in cui lo spazio
pubblico è occupato dalla parola, che rappresenta lo stare insieme;
per i greci, la famiglia costituiva lo spazio privato, dominato dalla
necessità, mentre la polis costituiva quello pubblico, dominio della
libertà.
Nella modernità l’uomo laborans ha soppiantato l’homo faber, facendo
dell’attività lavorativa continua e ripetuta l’espressione massima
del suo essere.
MOLTMANN
«...se Il fine del progresso e della globalizzazione del potere umano
non consiste nel dominare e possedere la terra bensì nell’abitarla,
dovremo abbandonare il “complesso di Dio” tipico dell’uomo moderno,
occidentale, convinto… di essere padrone e possessore
della natura, La terra può vivere senza il genere umano, come del
resto è vissuta per milioni di anni. L’umanità, invece, non può esistere
senza la terra, da cui essa proviene.»
«Soltanto gli stranieri saccheggiano la natura, disboscano le foreste,
svuotano i mari e poi, come nomadi, trasmigrano altrove. Chi
invece abita sul posto, dove intende continuare a starci, è interessato
a conservare le stesse condizioni di vita e a non compromettere
la vitalità della natura che lo circonda. Egli risponderà ad ogni attacco
sferrato contro la natura e farà di tutto per ristabilire gli
equilibri compromessi… Il potenziale scientifico e tecnologico di cui
l’umanità dispone e che attende di essere sviluppato non va impiegato
nella lotta distruttiva per l’acquisizione di potere, ma per rendere
sempre più abitabile questo nostro pianeta.»
RIFLESSIONI ETICHE
«La metafisica non ci lascia completamente orfani: la sua dissoluzione
(se si vuole, la morte di Dio di cui parlava Nietzsche) si mostra
come un processo dotato di una propria logica a cui si possono
attingere anche elementi per una ricostruzione. (Sto parlando di
ciò che Nietzsche chiamava nichilismo: che non è solo il nichilismo
della dissoluzione di tutti i principi e valori, ma è anche, come nichilismo
“attivo”, la chance di iniziare una storia diversa).»VATTIMO
«Il sentimento morale non ha la sua sede nella ragione, non ci
arriva dal cielo inviato da chissà chi, non c’è bisogno di riferirlo ad
un Dio come non è necessario un diavolo per spiegare l’amore di
sé. Si tratta in entrambi i casi di un istinto, istinto potentissimo che
è quello di sopravvivere.»SCALFARI
«Il progresso è concepito come un’immensa marea il cui flusso
ineluttabile lascia indietro vestigia commoventi... Tutto in questa ipotesi
viene a confermare l’ingenua speranza dell’uomo bianco. Il
negro è un “grande bambino”, ricordo dei balbettii dell’umanità; il
rosso è anch’egli un bimbo avido di ‘acqua di fuoco’, di cianfrusaglie
e di lunghe carabine; il giallo è un vecchio addormentato
dall’oppio, perduto nei sogni del passato.»SERVIER
«...lo scopo della globalizzazione, economicamente e culturalmente,
è la replicazione di se stessa… L’antropologia implicita era che
l’essere umano era al servizio della globalizzazione come produttore
e consumatore; gli esseri umani dovevano alimentare il motore
della mostruosa macchina della globalizzazione.»SCHREITER
«“Sono pronto a morire per l’Altro” è un’affermazione morale.
“Lui dovrebbe essere pronto a morire per me” palesemente non lo
è... La disponibilità al sacrificio per il bene dell’altro mi investe di
una responsabilità che è morale precisamente perché accetto che
il comando di compiere un sacrificio sia diretto a me e a me soltanto...
Essere una persona morale significa che io sono il custode di
mio fratello… sia che mio fratello abbia o no la consapevolezza dei
suoi doveri fraterni così come l’ho io.»BAUMAN
«Ciò che è accarezzato non è semplicemente toccato. La carezza
non ricerca la vellutatezza o la tiepidezza nel contatto con
una certa mano. E’ questa ricerca della carezza che ne costituisce
l’essenza, per il fatto che la carezza non sa quello che cerca. Questo
non sapere, questo disordine fondamentale ne è l’essenziale…
La carezza è l’attesa di questo avvenire puro senza contenuto.»LEVINAS
«La tenerezza rifiuta sia il narcisismo (che riduce a sé l’alterità)
sia la violenza (che distrugge il sé dell’alterità); essa dà senso umano
al desiderio e orienta all’incontro con l’altro/a, come dono, distanza,
trascendenza… La sessualità appartiene infatti all’essere
relazionale della persona; come tale, essa manifesta un’insopprimibile
richiamo all’altro da sé e, in ultima analisi, all’Infinito».ROCCHETTA
«Noi non possiamo obbligarci ad amare qualcuno... La nostra
ragione, invece, è capace di concepire, come necessario, il dovere.
Se manca la spontaneità dello slancio d’amore, la morale resta ancora possibile, perché c’è il dovere. Il dovere subentra, per così dire,
al vuoto lasciato dall’amore... Poiché non posso contare
sull’amore, che è un sentimento spontaneo, prenderò il suo equivalente
volontario, ciò che ha le stesse conseguenze pratiche. La morale
ci impone di agire come se amassimo. Il dovere è un “come
se” dell’amore.»ALBERONI-VECA
«L’amore punta sempre all’irrevocabilità, ma nel momento del
trionfo subisce la sua sconfitta definitiva. L’amore si sforza costantemente
di eliminare la proprie fonti di precarietà e apprensione,
ma qualora ci riesca inizia rapidamente ad avvizzire, e svanisce…
Fusione o sopraffazione appaiono le uniche cure per il tormento
che ne consegue. E non c’è che un tenue confine, fin troppo facile
da dimenticare, tra una morbida e gentile carezza e una morsa
d’acciaio inesorabile. Eros non può essere fedele a se stesso senza
dispensare l’una, ma non può farlo senza rischiare di infliggere
l’altra. Eros tende una mano verso l’altra, ma la stessa mano che
accarezza può anche stringere e stritolare… Finché dura, l’amore è
in bilico sull’orlo della sconfitta.»BAUMAN
«I suoi intenti sono modesti… Chiedi di meno, ti accontenti di
meno, e quindi l’ipoteca da pagare è minore e anche la sua durata
atterrisce di meno… La convivenza è a causa di, non al fine di…
Convivere può significare condividere la barca, il desco e le cuccette.
Può significare navigare insieme e condividere le gioie e le fatiche
del viaggio. Ma non comporta il passaggio da una sponda
all’altra.»BAUMAN
«L’estraneità degli stranieri significa esattamente la nostra sensazione
di smarrimento, il non sapere che cosa fare e che cosa aspettarci,
e la conseguente non disponibilità ad impegnarci. Evitare
il contatto è la sola salvezza, ma anche evitarlo completamente, se
ciò fosse possibile, non ci salverebbe da un certo grado di ansia e
di disagio provocati da una situazione che presenta sempre il pericolo
di passi falsi ed errori gravidi di conseguenze.»BAUMAN
«La tecnologia non avanza mai in direzione di qualcosa se non
perché viene spinta da dietro. I tecnici non conoscono il motivo per
cui lavorano, e generalmente non se ne preoccupano. Essi lavorano
perché dispongono degli strumenti che consentono loro di eseguire
un certo compito, di condurre a termine con successo una
nuova operazione... Non c’è alcuna aspirazione a uno scopo; c’è la
spinta di un motore collocato alle proprie spalle e che non ammette
alcuna sosta delle macchine... Dato che possiamo sbarcare sulla
luna, che cosa potremo fare lì e a quale scopo?... Quando i tecnici
hanno raggiunto un certo livello di competenza nel settore delle
comunicazioni, dell’energia, dei materiali, dell’elettronica, della cibernetica,
ecc., tutti questi elementi si sono combinati e hanno mostrato
che avremmo potuto esplorare il cosmo ecc. Ciò è stato fatto
perché poteva essere fatto. E questo è tutto.»ELLUL
«...la nostra epoca ha visto così l’anima umana rimanere come paralizzata,
e mancarle le forze successivamente in tre campi. Il primo
è stato quello della tecnica. Inventata per servire all’uomo che
lavora, è finita per asservirlo. Le macchine non sono più, come
l’utensile, un prolungamento del braccio umano: l’uomo è diventato
un prolungamento di quelle, un’articolazione meccanica periferica
che apporta e porta via.»BUBER
«… la vera novità è che un numero sempre crescente di persone,
per un motivo o per l’altro, vive una vita nomade. Ci sono, ad esempio,
i nuovi nomadi ricchi… che, per piacere o per lavoro, viaggiano
dappertutto sul pianeta bardati di cellulari, carte di credito e
computer portatili. All’estremo opposto, due o tre miliardi di persone
si muovono di continuo per sopravvivere… Tra questi due estremi,
c’è poi una vasta categoria di persone che, sebbene siano ancora
sedentarie, vivono tutte le forme del nomadismo virtuale attraverso
la televisione, i videogiochi, le nuove tecnologie. Senza dimenticare,
inoltre, che la mondializzazione spinge verso nuove forme di
nomadismo economico: tutto si muove, il lavoro come il capitale »ATTALI
«Dall’affermazione del carattere particolare dei sistemi di valori
alla rinuncia all’idea dell’unità del mondo, dell’umanità e della storia
il passo è breve. Si arriva così a sostenere la tesi secondo cui il
mondo è diviso in culture, l’umanità in popoli e la storia in storie, e
che perciò non esistono norme e valori universali. Basandosi sul
presupposto della pluralità delle norme, ogni tentativo di dichiarare
universali determinate norme o determinati valori è etichettato come
etnocentrico... Tuttavia, dietro il congedo giocoso dai valori universali
si nasconde un valore che a sua volta è presentato come
universale, cioè quello dell’individualità. Gli altri sistemi di valori e le
altre forme sociali devono essere riconosciuti in base al valore superiore
dell’autorealizzazione individuale... Considerando la libertà
dell’individuo il bene supremo e universale, si pone tuttavia un problema:
è pensabile una convivenza fra individui liberi che non degeneri
in concorrenza e in conflitto?»ROHLS
«Per l’ebreo che vede nell’al di qua il luogo della creazione, della
giustizia e della salvezza divina, Dio è in modo eminente il signore
della storia e quindi “Auschwitz”, per il credente, rimette in questione
il concetto stesso di Dio che la tradizione ha tramandato.
Auschwitz rappresenta quindi per l’esperienza ebraica della storia
una realtà assolutamente nuova e inedita, che non può essere
compresa e pensata con le categorie teologiche tradizionali. Quindi
che non intende rinunciare sic et simpliciter al concetto di Dio deve
pensare questo concetto in modo del tutto nuovo e cercare una
nuova risposta all’antico interrogativo di Giobbe. Ove decidesse di
farlo, dovrebbe anche lasciar cadere l’antica concezione di Dio signore
della storia: perciò, quale Dio ha permesso che ciò accadesse?»JONAS |