Biodiritto appunti
Biodiritto appunti
Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Se vuoi saperne di più leggi la nostra Cookie Policy. Scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.I testi seguenti sono di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente a studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per sole finalità illustrative didattiche e scientifiche.
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Biodiritto appunti
Biodiritto
Le lezioni di Michel Foucault al Collège de France del 1978-1979 intitolate, Nascita della biopolitica, risentono dell’influenza del dibattito avviato al seminario che contemporaneamente il filosofo francese teneva con i suoi collaboratori sulla storia del pensiero giuridico del XIX secolo. In effetti gli interventi e le puntualizzazioni durante le lezioni intorno al diritto sono numerosi e pregnanti.
Anziché discutere della biopolitica, cioè del modo con cui il potere si organizza intorno alla vita dei cittadini e della popolazione attraverso una serie di tattiche e strategie provenienti da quell’arte di governo pastorale cristiana che si riordina intorno alle nuove problematiche sociali del XVII e XVIII secolo, Foucault si avvede che deve affrontare preliminarmente la questione del liberalismo. È infatti questa nuova concezione, affacciatasi per la prima volta nel XVII che sembra riorganizzare i tempi, gli spazi e il potere dell’Occidente. Il liberalismo dunque per Foucault non è tanto una dottrina filosofica ma è proprio la forma principale della pratica governamentale.
Foucault tenta di dimostrare che, intorno al liberalismo, si sviluppa enormemente l’apparato giuridico, non tanto indipendentemente dal tipo di società che si andava costituendo ma proprio come risposta o conseguenza dei nuovi rapporti economici. Ciò non significa presupporre che il pensiero giuridico nasca dal pensiero liberale, semmai, sostiene Foucault, siamo alla presenza di due concezioni solo apparentemente alternative. La prima regolava i rapporti tra sovrano e popolo, ed esprime una visione legalista in cui si tenta di chiarire i rapporti tra governati e governanti. Con Hobbes e poi con Bentham e Beccaria ci si chiede come deve essere la legge, quale la sua forma “più economica per punire le persone”, che Foucault chiama la concezione dell’Homo penalis. La seconda, che corre parallelamente alla prima, sviluppa un’idea tipica dell’homo oeconomicus secondo la quale il soggetto può, almeno in prima istanza, fare a meno della legge, perché questa interviene, semmai, per ripristinare qualcosa di già accaduto. In questo caso “la struttura giuridica del potere arriva sempre dopo, a cose fatte, a posteriori” . Come si vede, già tra i primi utilitaristi era presente una forma mentale di tipo economicistico: vi è un’idea collegata ai costi e ai benefici, un’idea che misura le pene secondo una razionalità economica. Tuttavia il calcolo utilitario si colloca ancora entro una cornice e una struttura giuridica: “L’utilità che prende forma all’interno del diritto – sostiene Foucault – e il diritto che si edifica interamente a partire da un calcolo di utilità. Ma la storia del diritto penale ha dimostrato che tale adeguazione non poteva essere realizzata. Diventerà allora necessario conservare il problema dell’homo oeconomicus, senza aspirare tuttavia a tradurre immediatamente tale problematica nei termini e nelle forme di una struttura giuridica” .
Infatti, ad un certo punto il liberalismo si affranca, per così dire, dal bisogno di riconoscere nell’uomo un centro di istanze e di bisogni antropologici, un soggetto di diritti naturali limitati dalla libertà degli altri, una sorta di antropologia negativa di cui Hobbes sarebbe l’ispiratore, e si sostiene invece che l’individuo è soprattutto un centro di interessi sì egoistici ma in competizione con l’altro. L’individuo diviene esso stesso un’impresa il cui agire determinerebbe sempre benefici. Locke, Hume, Smith e Ferguson indicano la strada al liberalismo. Lo Stato e la sovranità allora non appaiono più i depositari di un potere e di una legge tesi a regolare i rapporti tra cittadini. Lo Stato diviene solo un mero regolatore della vita economica. Scrive Foucault:
L’analisi degli economisti finirà per collimare con il tema del soggetto d’interesse… non si domanderà mai di rinunciare al proprio interesse… anzi si realizzerà un profitto proprio grazie alla massimizzazione dell’interesse di ciascuno… siamo così lontanissimi dalla dialettica della rinuncia, della trascendenza del legame volontario, che troviamo nella teoria giuridica del contratto. Il mercato e il contratto funzionano in modo del tutto opposto .
Si avrà così, almeno a partire dal XVIII secolo, la figura dell’homo oeconomicus assolutamente eterogenea rispetto alla figura dell’homo legalis.
Nella visione liberistica si fa avanti l’idea che l’individuo non debba porsi l’obiettivo di pianificare e di migliorare la società per almeno due ordini di ragioni: innanzi tutto perché non si può pretendere di conoscere e controllare tutte le variabili che influenzano il mercato; in secondo luogo perché il mercato ha una forza immanente che lo spinge, è la famosa mano invisibile di Smith, verso il miglioramento complessivo. Pertanto lo Stato non può ostacolare gli interessi degli individui, che sono anche i suoi interessi, perché danneggerebbe questo movimento ‘naturale’, ‘spontaneo’. Inoltre lo Stato non può intervenire perché non sarebbe capace di scegliere la migliore soluzione possibile proprio per la variabilità e la complessità che regolano il mercato stesso. Vi è, in effetti, all’interno del liberalismo, l’idea che si possa fare a meno dello Stato. “L’economia sottrae alla forma giuridica del sovrano… proprio ciò che sta cominciando ad apparire come l’essenziale della vita di una società, vale a dire i processi economici… Il mondo politico giuridico e il mondo economico, infatti a partire dal XVIII secolo, appaiono del tutto eterogenei e incompatibili. L’idea di una scienza economico-giuridica è impossibile…” .
Cosa può fare il governo? Se la teoria giuridica non può intervenire; se “l’arte di governare giuridicamente” è opposta “all’arte di governare economicamente” allora che fare? Secondo Foucault l’idea di società civile nasce proprio per risolvere questa impasse. Ferguson, amico di Smith, tenta di definire una comunità politica entro quello spazio in cui si devono muovere i nuovi soggetti economici. Nella sua Storia della società civile, Ferguson prova a confutare le teorie contrattualistiche. La società, si sostiene, è sempre esistita, pertanto non si rinuncia ad alcun diritto, non si firma alcun patto, non si costituisce nessuna sovranità. Da sempre invece le merci circolano, si scambiano, da sempre esiste una società civile che è il supporto, il veicolo, il mezzo entro cui si muovono gli scambi commerciali. Anche il potere, per Ferguson, sorge spontaneamente come dato naturale: anch’esso è sempre esistito. In ogni luogo e in ogni tempo vi è un leader al quale gli altri si sottomettono volentieri per essere guidati. Stante tutto questo come si porrà lo Stato di fronte alla società civile? Lo Stato si pone come mediatore di controversie, come produttore di leggi tese a regolare a posteriori la vita economica dei cittadini.
Se, come avevano anche sostenuto Weber ed Elias, alla fine del XVII secolo, alcuni sovrani erano riusciti a formare degli Stati nazionali o almeno “erano riusciti un po’ alla volta a limitare e ridurre i complessi giochi dei potere feudali… e la pratica giudiziaria aveva funzionato da moltiplicatore del potere regio” ora, si sviluppa una nuova razionalità di governo che dovrà limitare la ragione di Stato prendendo corpo in uno stato di polizia. Il diritto assolverà a questa funzione. È come se, sostiene Foucault, “la teoria del diritto e le istituzioni giudiziarie non fungeranno più da moltiplicatore, ma da sottrattore del potere del re” . Si assiste, in altre parole, in tutta Europa ad un fermento delle teorie giuridiche: teoria del contratto, teoria del diritto naturale che servono da contrappeso e da limite alla ragion di Stato. Contemporaneamente si sviluppa nel cuore stesso delle pratiche di governo una nuova razionalità politica, volta a calcolare le spese, la gestione della popolazione, la nuova organizzazione delle tasse e delle imposte, l’investimento delle ricchezze, ecc. Foucault definisce tale nuova pratica di governo come: economia politica. Prima, il mercato medievale era regolato strettamente dal sovrano così tanto che si poteva definire il mercato come “il luogo di giurisdizione”. Ora il mercato prende sempre di più una sua forma che si distacca progressivamente dal sovrano anche se si tenta di imbrigliarlo e regolarlo. Ma il mercato esprime e diventa esso stesso “un luogo di veridizione”. Ciò non significa che la nascita di un’economia politica sostituisca il diritto pubblico. Semmai si assiste ad una sovrapposizione: “dopotutto i primi economisti erano anche dei giuristi”. Ciò che però l’economia politica esprime, almeno da un punto di vista filosofico, è una concezione utilitaristica. Che cosa è utile fare per il governo? Quali devono essere i suoi limiti? Quali sono i suoi interessi? “L’utilitarismo mostra di essere tutt’altro che una filosofia o un’ideologia, costituendo invece una tecnologia di governo” .
La via utilitarista, che poi sarà la via intrapresa dal liberalismo, sosterrà “l’indipendenza dei governati dai governanti”, un tipo di libertà diversa da quella del diritto pubblico che concepisce la libertà come un diritto. Il liberalismo produce libertà, ha bisogno della libertà per la sua stessa sopravvivenza, innanzi tutto libertà di commercio e di comunicazione, ma anche avrà il problema pratico di stabilire dei limiti a questa libertà, dei controlli, delle obbligazioni, ecc. Fin da subito quindi il liberalismo dovrà contraddirsi spesso con tariffe doganali protezionistiche per tutelare la stessa libertà di commercio come successe negli Stati Uniti per difendersi dall’egemonia britannica. O con interventi interni per creare acquirenti di una legislazione anti-monopolio o una legislazione in cui si diano sufficienti lavoratori competenti e qualificati. Dunque, conclude Foucault, la libertà nel liberalismo si scontra con la sicurezza. Essa “è il criterio per calcolare il costo di produzione della libertà”. La sicurezza si rende necessaria proprio per controbilanciare il liberalismo che fa del pericolo il suo motto: vivi pericolosamente. “Non c’è liberalismo senza cultura del pericolo”. Allora la sicurezza è un po’ il recto verso o la conseguenza del pericolo e del rischio.
Anche, non si può comprendere il liberalismo se non ci si rende conto dell’idea di progresso che con esso ha a che fare. “Con la concezione dei fisiocrati e di Adam Smith si esce definitivamente da un’idea del gioco economico come gioco a somma zero”. La libertà del mercato deve assicurare l’arricchimento reciproco. Il liberalismo fin da subito è improntato ad una visione globale e ‘naturale’ del mercato. È un’idea che si ritrova anche in Kant: è la natura a garantire la buona regolazione del mercato. È naturale che l’uomo tenda a possedere in quanto la natura è prodiga. È naturale che ci sia progresso. Insomma, sostiene Foucault, “è un naturalismo quello che vediamo apparire alla metà del XVIII secolo, molto più che un liberalismo” . Certo è un naturalismo, come Foucault ci aveva indicato in altri scritti, di un naturalismo razionalistico, dove natura, libertà e ragione sono quasi sinonimici. È un giusnaturalismo.
Tutto ciò ci porta, seguendo la lezione genealogica, a comprendere l’attualità. Cosa succede oggi? Foucault analizza gli Stati europei contemporanei. Cosa si scopre? Che gli Stati, appunto, intervengono solo per regolare la vita economica ormai egemone, anzi spesso è l’economico che investe e decide di autocontrollarsi utilizzando pragmaticamente gli apparati statali. Lo Stato è svuotato del potere di intervenire se non su richiesta della tecnologia economica: “l’economia è creatrice di diritto pubblico” . Se prima c’era uno Stato legittimo che limitava la necessaria libertà economica, dopo la seconda guerra mondiale si dovrà “risolvere il problema opposto: dato uno Stato che non esiste, in che modo farlo esistere a partire da quello spazio non statale che è quello della libertà economica?”
Non si tratta più di analizzare il capitale nei termini in cui Marx lo poneva per mostrare “la logica contraddittoria del capitale”. Si tratta piuttosto di affrontare il liberalismo con gli strumenti che ci ha offerto Weber e “del problema della razionalità irrazionale della società capitalistica” . Sarebbe proprio da Weber, sostiene Foucault, che si sono dipartiti due degli indirizzi di pensiero più importanti e attenti alla questione liberistica, paralleli ma opposti: da una parte la Scuola di Friburgo, ovvero gli ordoliberali e dall’altra la Scuola di Francoforte. Entrambi gli indirizzi hanno preso sul serio la questione posta da Weber in merito al capitalismo. Per i francofortesi si trattava di ridefinire una nuova razionalità sociale tale “da annullare l’irrazionalità economica”. Per la Scuola di Friburgo si trattava invece di ritrovare “una razionalità economica che consenta di annullare l’irrazionalità sociale del capitalismo”. Questo perché il liberalismo in fondo è una concezione tipica inglese per la sua peculiare configurazione geografica e marittima . Alla Germania, invece, “le occorre una politica economica protezionistica”.
La Scuola di Friburgo e i neoliberali in generale analizzano il nazismo nei termini di una regressione ed un ritorno alla statalizzazione, laddove per la Scuola di Francoforte e per Foucault il nazismo segna l’avvento di una risposta del liberalismo allo statalismo socialista. (Hobbes, per inciso, non è né il teorico del totalitarismo né il teorico del liberalismo come pretende Hannah Arendt . Hobbes è invece il teorico della sovranità basata sulla constatazione della penuria e sull’importanza di costruire la pace). Il nazismo non è tanto la concentrazione del potere in uno Stato, quanto in un partito e in un Fürer, anzi si assiste con il nazismo ad uno smantellamento di molti apparati burocratici statali. In questo senso Agamben non coglie nel segno quando considera la nuda vita una rappresentazione della biopolitica foucaultiana. Ciò che ha in mente Foucault non è tanto la nuda vita, ma una vita organizzata dalla logica del mercato e delle grandi imprese. Foucault, quando parla di biopolitica e biodiritto, non si riferisce tanto al nazismo, ma proprio al liberalismo. In questo senso Foucault è esplicito:
“Il nazismo ha solamente spinto sino al parossismo il gioco tra il diritto sovrano di uccidere e i meccanismi del bio-potere. Ma questo gioco è iscritto effettivamente nel funzionamento di tutti gli stati, di tutti gli stati moderni, di tutti gli stati capitalisti. E non solo di questi” .
Ciò non significa pensare che il nazismo non abbia voluto creare una serie di diritti e di leggi per controllare meglio la vita degli individui. Al contrario. Proprio come il liberalismo il nazismo ha dovuto instaurare una serie di leggi che divenissero norme. La macchina tecno-scientifica di un Kelsen di una ragione autoregolativa funzionava perfettamente anche per l’impresa nazista. A proposito Esposito nota che “contro la convinzione comune che i nazisti si limitassero a distruggere la legge, va invece detto che essi estesero fino a comprendere al suo interno anche ciò che palesemente la accedeva. Affermando di desumerla dalla sfera della biologia, essi consegnavano al comando della norma l’intero ambito della vita. Se il campo di concentramento non è certamente il luogo della legge, non è neanche quello del semplice arbitrio” .
Certo, i neoliberali vogliono dimostrare che dopo la seconda guerra mondiale occorreva “uno Stato sotto la sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la sorveglianza dello Stato” . Tuttavia gli ordoliberali rompono con la tradizione del liberismo classifico. Essi riconoscono che il principio di concorrenza come forma organizzatrice del mercato non può essere visto come un dato naturale. Essi, riprendendo Husserl, sostengono che “la concorrenza è un’essenza”, un principio di formalizzazione. “La concorrenza è dunque un obiettivo storico dell’arte di governo, non un dato di natura da rispettare” .
Ecco perché neoliberismo e ordoliberismo hanno bisogno di qualcosa o qualcuno che svolga la funzione di arbitro e che intervenga spesso e vigili sulle regole del gioco. “A questo proposito i neoliberali hanno posto tutta una serie di problemi più storici e istituzionali che non propriamente economici” . Il diritto interviene per dirimere le questioni. È per questo che in fin dei conti “tra una società orientata verso la forma dell’impresa e una società il cui principale servizio pubblico è l’istituzione giudiziaria, esiste un legame privilegiato. Più moltiplicherete l’impresa… più moltiplicate le occasioni di contenzioso, più moltiplicherete la necessità di un arbitrato giuridico. Società di impresa e società giudiziaria, società orientata verso l’impresa e società inquadrata da una molteplicità di istituzioni giudiziarie, sono le due facce di uno stesso fenomeno” . In questo senso le tecniche disciplinari che si incaricano di governare gli individui agiscono in funzione del liberalismo. Bentham lo riconosce fin da subito: “il panopticon è la formula stessa di un governo liberale”.
Il regime liberale non è più solo e soltanto il risultato di un ordine naturale spontaneo ma anche il risultato di un ordine legale, qualcosa che presuppone l’intervento giuridico dello Stato. “Il giuridico dà forma all’economico”: un ordine economico-giuridico. Non tanto perché il giuridico debba intervenire e dire al piano economico come comportarsi, ma piuttosto occorre pensare l’economia come se fosse un gioco, e l’istituzione giuridica fornisce le regole di questo gioco. Ecco perché, almeno a partire dal XVIII secolo, secondo Foucault, il quadro giuridico (ma anche quello giudiziario) si è rafforzato. È necessario che si moltiplichino le istanze giudiziarie e di arbitrato. La burocratizzazione analizzata da Weber e l’avvento di uno stato di polizia, – che è anche uno stato di diritto e di un’arte del governo che intervengono sempre più massicciamente nella vita dei cittadini, – si collegano anche a questa stimolazione da parte delle imprese. Non tanto per legarli ad un lavoro o alla terra, anzi una certa mobilità assicura migliore produttività. Occorre piuttosto garantire una certa forma di libertà e di scelta, non tanto all’individuo quanto all’impresa, nel campo del lavoro e dell’economia investendo piuttosto su meccanismi come quello della sicurezza sociale, attraverso un sistema di assicurazioni che impediscano all’impresa di non correre troppi rischi. Si tratta insomma di governare la vita degli individui sui tempi dell’impresa. Sostiene più chiaramente Foucault:
Bisogna che la vita dell’individuo non si inscriva come vita individuale nel quadro di una grande impresa costituita dall’azienda o al limite dello stato, ma piuttosto che possa inscriversi nel quadro di una molteplicità di imprese diverse e concatenate e intrecciate tra loro… Infine, bisogna che la vita stessa dell’individuo – ad esempio il suo rapporto con la proprietà privata, con la famiglia, con la sua conduzione, con i sistemi assicurativi e con la pensione – faccia di lui e della sua vita una sorta di impresa permanente e multipla .
Si tratta, in altre parole, di farsi carico dell’individuo, di proteggerlo, di ancorarlo intorno al suo ambiente naturale, di regolare la sua vita in modo razionale, calcolabile, utile inserendolo nel meccanismo economico: una politica della vita. Ecco perché il diritto si occupa ormai di tutto, della vita stessa degli individui. Interviene per regolare, negoziare qualsiasi tipo di relazione sociale. Il diritto non è più e soltanto norma intesa come regola formale, ma diventa piuttosto, normalizzazione, un potere che interviene per far vivere e di lasciar morire… per controllarne gli accidenti, i rischi, le deficienze, è, in ultima analisi, nella società capitalistica avanzata, bio-diritto: un diritto che pur partendo da una diversa concezione, quella contrattualistica, è stato costretto a rincorrere le problematiche costituitesi dalla concorrenza delle imprese e dal tentativo di controllare gli individui in competizione. In conclusione “il bio-potere è stato, senza dubbio, uno degli elementi indispensabili allo sviluppo del capitalismo; questo non ha potuto consolidarsi che a prezzo dell’inserimento controllato dei corpi dell’apparato di produzione, e grazie ad un adattamento dei fenomeni di popolazione ai processi economici” .
Il liberalismo e il capitalismo sono pratiche che si sviluppano a partire dal XVII secolo insieme all’arte di governare della Police e dello Stato, sono pratiche che mirano a potenziare il controllo del potere sulla massa di popolazione che sempre più numerosa si riproduceva e la cui mano d’opera era essenziale per aumentare la ricchezza dei nobili e dei borghesi. Tali pratiche si innestano sul potere pastorale cristiano, cattolico e protestante che già, di fatto, controllava la popolazione. Le scienze sociali, la demografia, la medicina, la psicologia ecc, non sono, per Foucault, che delle forme di sapere-potere che assistono e collaborano per la sanità della popolazione affinché l’individuo-massa possa essere funzionale al meccanismo economico.
M. Foucault, Nascita della biopolitica, tr. di M. Bertani e V. Zini, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 250.
G. Agamben, Homo sacer, Einaudi, Torino, 1995. Per Foucault non si può mai dare nuda vita. La vita è da sempre presa nei meccanismi di potere. Anche nel caso del campo di concentramento non si vuole ridurre la vita dell’uomo a mera animalità (che avrebbe comunque una soglia di sopravvivenza dignitosa: mangiare, bere, dormire, fare sesso) ma si vuole spingere, al limite del paradosso, la civiltà sul corpo del condannato: pulire ossessivamente, essere puniti per ogni regola trasgredita, lavorare sempre, non dormire mai. È esattamente il contrario di ciò che suggerisce Agamben. Qui le analisi dei francofortesi convergono con quelle di Foucault e colgono puntualmente il senso del campo di sterminio riconoscendo nel dominio l’altra faccia della ragione. Dominio e ragione provengono da una storia culturale che vuole imporsi come legittima e vera, e non solo come più forte. Ricordiamo come al processo di Norimberga si difendevano i nazisti: voi, americani, avete vinto ma non siete dalla parte della verità. Oppure il motto delle SS: Dio è con noi, o lo slogan, provocatorio ma non tanto, posto all’ingresso di ogni campo di concentramento: il lavoro rende liberi. Calvinismo e Capitalismo, appunto, L’ipotesi weberiana, resa ancora più salda dalla scoperta freudiana della relazione e del carattere sadico-anale che rimanda a ‘qualità’ come ordine, pulizia, produzione, ma anche a violenza, feticismo, avarizia ecc.
FONTI |
Fonte: http://www.liceofermibo.net/genitori_admin/genitori/docs/APPUNTI_DI_FILOSOFIA_MORALE.doc
Sito web da visitare: http://www.liceofermibo.net
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Nota : se siete l'autore del testo sopra indicato inviateci un e-mail con i vostri dati , dopo le opportune verifiche inseriremo i vostri dati o in base alla vostra eventuale richiesta rimuoveremo il testo.
Parola chiave google : Biodiritto appunti tipo file : doc
Biodiritto appunti
Visita la nostra pagina principale
Biodiritto appunti
Termini d' uso e privacy