Filosofia moderna
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Filosofia moderna
FILOSOFIA MODERNA
1400 e 1600: eta’dell’umanesimo e del rinascimento
Il Rinascimento
- Il Rinascimento è un movimento letterario, artistico e filosofico che va dalla fine del 1300, alla fine del 1500 (date convenzionali), e che si diffuse dall’Italia negli altri paesi d’Europa.
- Prima fase del RINASCIMENTO è considerato l’UMANESIMO: movimento letterario e filosofico che ebbe origine in Italia verso il 1350 (Boccaccio, Petrarca) e dall’Italia si diffuse negli altri paesi europei.
Il concetto di umanesimo, ha come base la distinzione ciceroniana, approfondita da Petrarca, tra humanitas (rinascita e rivalutazione dell’uomo naturale) e divinitas (l’uomo visto in una prospettiva trascendente, come strumento della divinità). Il termine “umanista” entrò in vigore nel tardo ‘400 e indicò il cultore degli studia humanitatis, cui competeva, secondo Cicerone, lo studio delle discipline liberali (grammatica, retorica, storia, poesia, filosofia). Tali discipline (che sono poi quelle che ancora oggi si chiamano “discipline umanistiche”) erano considerate proprie solo dell’uomo (humanitatis) perché rappresentano – a parere degli umanisti – ciò che lo differenzia dagli animali.
- Carattere fondamentale dell’umanesimo fu la riscoperta dei classici, in quanto modello di una civiltà immanentistica, laica e antropocentrica. Da ciò una componente polemica contro il Medioevo, visto come negazione dell’età classica.
Rispetto all’età precedente, l’umanesimo sposta l’interesse dallo studio dei rapporti tra uomo e Dio ai problemi della vita umana e della natura.
Caratteri fondamentali dell’Umanesimo e del Rinascimento
- Approccio filologico al passato. Data l’’importanza attribuita dagli umanisti allo studio degli autori classici, si sviluppa una nuova disciplina, la filologia, che ha lo scopo conoscere il vero volto del passato, il vero messaggio dei classici. E’ in questo che gli umanisti differiscono dagli uomini medievali, anch’essi interessati al passato, ma letto in maniera tendenziosa o allegorica (vd. Dante), “incrostata” di interpretazioni particolari che ne alteravano l’aspetto.
- il naturalismo ovvero il tentativo di spiegare l’uomo e la sua realtà senza l’intervento di un principio trascendente o spirituale. Ciò avviene in molti campi:
- nello studio della natura e dell’uomo
- il naturalismo consiste nel riconoscimento della totalità dell’uomo: l’uomo non è più inteso come nel Medioevo, come un angelo disincarnato, ma come un essere fatto di anima e corpo (vaolore del corpo e del piacere), destinato a vivere nel mondo naturale e a dominarlo.
- L’uomo è un essere naturale per il quale la conoscenza della natura non è un peccato o qualcosa di secondario ma un fatto essenziale. La natura va conosciuta partendo dal presupposto che essa non dipende da Dio, ma ha leggi proprie e va perciò intesa juxta propria principia (Dio addirittura viene concepito come qualcosa di interno alla natura stessa: panteismo). Vd. il naturalismo di Telesio, Bruno e Campanella.
- La natura viene considerata (riprendendo delle concezioni neoplatoniche, Accademia Neoplatonica di Firenze), come un grande organismo (Macro-cosmo) che ha dei vincoli misteriosi con l’uomo (Micro-cosmo): da qui sorgono studi di magia per scoprire i misteriosi legami che stringono l’uomo alla natura (Bruno, ecc.). Partendo da presupposti analoghi, ci si avvia alla nascita della scienza moderna.
- Il risorto interesse per la natura si manifesta anche nella ripresa dell’aristotelismo (Aristotele come filosofo dedito alle scienze e all’analisi del mondo terreno): scuole aristoteliche di Padova e Bologna.
- nel il rinnovamento delle concezioni politiche, che avviene:
- attraverso il riconoscimento dell’origine naturale o umana – sganciata da ogni riferimento alla trascendenza – delle società e degli Stati (Machiavelli)
- attraverso tentativo di ritornare alla natura delle istituzioni umane (Giusnaturalismo), fondando il diritto su basi umane e non teologiche
- nel rinnovamento religioso, che avviene attraverso il tentativo di ricollegarsi alle fonti originarie e naturali del Cristianesimo, saltando a piè pari la tradizione medievale, come farà Lutero.
I principali periodi in cui si suddivide lo studio della filosofia moderna sono i seguenti:
Tra 1400 e 1500 – è il periodo dell’Umanesimo, caratterizzato dai seguenti autori e correnti culturali:
- il platonismo dell’Accademia fiorentina: Marsilio Ficino 1433-1499, Pico della Mirandola 1463-94
- l’aristotelismo delle Università di Padova e di Bologna: Pietro Pomponazzi 1462-1525
- Nicola Cusano (Cues, presso Treviri, in Germania, 1401-1464): il più grande filosofo del 1400 ed il precursore del naturalismo rinascimentale
- Leonardo da Vinci 1452-1519
- Copernico (Thorn, Polonia 1473-1543)
Tra 1500 e 1600 – è il periodo del Rinascimento naturalistico, caratterizzato dai seguenti autori e correnti:
- il naturalismo: Telesio 1500, detto da Bacone “il primo degli uomini nuovi”;
Bruno seconda metà 1500, insieme a Campanella, fu il più grande filosofo del Rinascimento; Campanella, metà 1500-metà 1600
- la nascita della nuova scienza teorizzata da F. Bacone 1561-1626 e Galileo 1564- 1642 è il momento culminante della rivalutazione della natura e della centralità dell’uomo in essa e può essere vista come uno spartiacque: come il momento conclusivo del Rinascimento o anche come l’inizio di una nuova fase del pensiero, quello moderno vero e proprio (ecco perché alcuni storici collocano Bacone e Galilei fuori dal Rinascimento). Il periodo successivo, la seconda metà del ‘600 e tutto il 1700, è il periodo della filosofia moderna vera e propria, in cui è centrale il problema della scienza e della conoscenza.
Tra 1600 e 1700:
- Il problema del metodo scientifico e della giustificazione del conoscere è il motivo dominante delle riflessioni filosofiche ed è all’origine delle due correnti principali della filosofia moderna:
- il razionalismo (da Cartesio 1596-1650 a Spinoza 1632-1677, e Leibniz 1646-1716), che vede come modello principe della conoscenza la conoscenza di tipo scientifico che emergeva dalle riflessioni degli autori precedenti
- l’empirismo (Hobbes 1588-1679, Locke 1632-1704, Berkeley 1685-1753, e Hume), che invece si interroga sempre sul problema della conoscenza, ma fornisce una visione alternativa a quella del razionalismo.
Riducendo l’empirismo a fenomenismo scettico, Hume è il più radicale teorizzatore della visione della realtà scaturita dal progresso scientifico e sociale dell’età moderna.
- Il razionalismo cartesiano, troverà due grandi critici: in Italia, Giovanbattista Vico 1668-1744 aveva rivendicato il valore della storia, in polemica con il cartesianismo, e Pascal 1623-62 in Francia, sempre in polemica col cartesianismo, aveva rivendicato le ragioni del cuore accanto a quelle della ragione.
Il 1700:
- E’ il secolo dell’Illuminismo, il quale, ispirandosi specialmente al razionalismo cartesiano e allo scetticismo humiano, sviluppa la critica alla società del tempo (ai suoi residui feudali, all’assolutismo monarchico, alla religione tradizionale, al sistema economico e giuridico, alla scuola, ecc.).
- Pensatore piuttosto originale, in questo periodo, è Rousseau (1712-1778), che si affianca agli altri illuministi nella polemica contro la tradizione e le istituzioni del suo tempo, però non vi contrappone la ragione, ma la natura intesa come sentimento immediato, spontaneità ed istinto, anticipando l’atteggiamento romantico.
- Tutte le correnti filosofiche moderne trovano sbocco nel criticismo di Kant 1724-1804, il quale, fissando le possibilità e i limiti della ragione, fa del soggetto autocosciente l’attività unificatrice di ogni conoscenza e il principio di ogni azione morale.
La filosofia dei due secoli successivi, ‘800 e ‘900, costituisce la Filosofia contemporanea.
Nicola Cusano
Nicola Krebs, nato a Cues (italianizzato in Cusa), presso Treviri, in Germania, è il filosofo più importante del 1400.
- di origini tedesche si formò viaggiando da una parte all’altra d’Europa: ebbe la prima educazione in Olanda, in una congregazione religiosa; frequentò l’università di Heidelberg in Germania e completò gli studi di Diritto a Padova. Persa la sua prima causa come avvocato, decise di passare dall’avvocatura alla teologia
- fu vescovo e teologo. Venne incaricato di rappresentare la Chiesa latina in una missione diplomatica in Grecia, che aveva come obiettivo la riconciliazione con la Chiesa ortodossa. Fu un’occasione straordianaria per conoscere antichi testi classici che il filosofo portò in Italia. Essi insegnarono ai dotti la lingua greca e furono una tappa fondamentale nello sviluppo dell’Umanesimo.
Teorie
La conoscenza è comparazione. Dove non vi è comparabilità (come tra infinito e finito, Dio e uomo), non vi è possibilità di conoscenza e dunque non ci resta che proclamare la nostra ignoranza.
- La conoscenza come proporzione – Il punto di partenza di Cusano è la convinzione che la conoscenza umana è fondata sulla proporzione e sulla misura. Si può conoscere solo se si può mettere in relazione ciò che non è noto con qualcosa che sia già noto e che abbia una certa somiglianza o comparabilità (proporzione) con esso. Es. numeri con numeri, grandezze con altre grandezze e così via. Ne deriva che tanto più quel che è ignoto è lontano da ciò che è noto, tanto più sfugge ad ogni possibilità di conoscenza e non rimane che proclamare di fronte ad esso la nostra ignoranza.
- La coincidenza degli opposti in Dio – L’infinito, ovvero Dio, rimarrano sempre sconosciuti all’uomo, perché tra l’infinito (Dio) e il finito (l’uomo) non vi è rapporto proporzionale ma incommensurabilità. In Dio infatti si verifica la coincidenza degli opposti. Un triangolo e una linea retta, che per noi sono figure distinte e dunque commensurabili, in Dio invece coincidono, perché se si prolunga all’infinito la base del triangolo esso finirà col diventare indistinguibile da una la linea retta.
- La dotta ignoranza – Non resta dunque che proclamare la nostra ignoranza di fronte a Dio. Applicando in teologia i temi socratici (sapere di non sapere) e riprendendo i temi tipici del misticismo medievale (Dio è infinitamente differente dall’uomo tanto che di Dio si può parlare solo dicendo ciò che Egli non è), Cusano formula la dottrina della dotta ignoranza: “Quanto meglio uno saprà che non si può sapere, tanto più sarà dotto. Infatti, se, a proposito della grandezza dello splendore del Sole, egli è più dotto quando nega che essa è comprensibile con la vista che quando lo afferma” lo sarà ancor di più quando nega, che quando afferma che la grandezza assoluta di Dio sia misurabile dalla mente dell’uomo.
Fonte: http://www.webalice.it/leone.guaragna/scuola-scuola-scuola/La%20filosofia%20moderna%20-%20partizioni%20cronologiche.doc
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Filosofia moderna
Il rapporto tra certezza e verità
nella filosofia moderna
- Secondo la filosofia antica e il senso comune esiste identità tra certezza e verità.
- Il filosofo antico pensa pertanto che
- Il mondo in cui viviamo è indipendente da noi e dalla nostra coscienza;
- Il mondo è esterno alla nostra mente;
- Il mondo si mostra a noi nella sua verità;
- Ciò che sappiamo del mondo appartiene realmente al mondo.
- La filosofia moderna è una critica del realismo tradizionale e del senso comune: di fronte al carattere ipotetico della scienza si pone il problema se sia ancora possibile un sapere certo e incontrovertibile, ciò che gli antichi chiamavano episteme.
- La filosofia moderna si rende conto del carattere soggettivo e mentale del mondo che ci sta davanti: ogni cosa è un pensato, quindi una nostra rappresentazione. Il nostro pensiero è l’insieme delle cose tutte in quanto pensate, cioè nel loro essere pensate.
- Non soltanto i nostri stati psichici, ma anche gli oggetti esterni, la terra, gli alberi, il cielo, gli astri sono dei pensati.
- Ciò che percepiamo immediatamente non è il mondo ma la sua rappresentazione.
- Tutto è rappresentazione e dunque esiste in quanto esiste il pensare. Il mondo che ci sta davanti è frutto del nostro pensiero, la realtà vera e propria sta al di là di esso.
- La certezza è altro dalla verità.
- Per Cartesio verità e certezza sono due dimensioni originariamente separate, opposte e si tratta di capire se e come vengono ad unirsi.
- Da Cartesio in poi parliamo pertanto di opposizione problematica di certezza e verità. Con Kant l’opposizione sarà definitiva (il problema non può essere risolto).
- Cartesio a differenza della filosofia antica, del realismo e del pensiero scientifico vuole dimostrare che la realtà esterna esiste. Affermerà nel Cogito l’identità di certezza e verità e, attraverso l’idea di Dio, l’esistenza del mondo.
- Nella filosofia moderna la metafisica è un oltrepassamento, un trascendimento di diverso significato: non si tratta di andare da un certo tipo di realtà (diveniente) a un cert’altro tipo di realtà (immutabile): si tratta di andare dalle nostre rappresentazioni alla realtà.
- Diverse sono le soluzioni che razionalismo ed empirismo danno al problema della corrispondenza tra le rappresentazioni (certezza) e la realtà (verità).
- Il sentire umano ha insieme un carattere rivelativo ed uno occultante.
- L’empirismo ha messo in evidenza il carattere rivelativo dell’apparato percettivo-sensitivo (per conoscere dobbiamo tener conto delle nostre sensazioni).
- Per il razionalismo invece la conoscenza è attinta da principi non legati all’esperienza: principi a priori che scavalcando l’esperienza ci mettono direttamente in rapporto con la realtà.
Fonte: http://www.liceoumberto.eu/word/filosofia/tre.doc
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S. Pignato “Aspetti della filosofia moderna e contemporanea”
Infatti, questo, ponendo il fenomeno come elemento che rende possibile la conoscenza, ha altresì posto un limite conoscitivo, il noumeno, quindi il criticismo è tale perché ammette, oltre al fenomeno, la “cosa in sé”, il noumeno, che ha lo scopo di delimitare i caratteri della conoscenza.
Ora, argomenta Jacobi, se per essere tale il criticismo ha bisogno della “cosa in sé” e anche vero che la “cosa in sé” non può renderlo possibile. Infatti, se si ammette la “cosa in sé” il criticismo diventa realismo, nel senso che il noumeno esiste ed è oggetto di conoscenza; se, al contrario, non si ammette la “cosa in sé”, il criticismo diventa soggettivismo, per cui non esiste una realtà oggettiva fuori dalla coscienza del soggetto.
Jacobi, nella sua riformulazione del pensiero kantiano, opterà per la prima soluzione; secondo lui, la fede ci permette, attraverso l’intuizione, la conoscenza immediata della “cosa in sé”.
1.2. Un altro filosofo tedesco, Karl Leonhard Reinhold (1758-1823), basa la sua critica sul concetto di rappresentazione.
Nella rappresentazione, che è il manifestarsi delle cose in noi, vi è un connettersi tra soggetto ed oggetto, per cui non è possibile una conoscenza senza uno dei due elementi (relazione necessaria).
Come possiamo, s’interroga il filosofo, rappresentarci la realtà noumenica se è una realtà che si colloca fuori dalla nostra rappresentazione, dato che questa si basa sul soggetto conoscente e sul fenomeno?
Della “cosa in sé”, si può dire, a differenza di quello che aveva fatto Kant, “ciò che non è”.
1.3. Ernst Schulze (1761-1833), mette in discussione, oltre alla contraddizione insita della rappresentazione kantiana, le “forme a priori” della conoscenza.
Secondo il filosofo tedesco, non è possibile che l’esperienza sia dovuta ad elementi (le forme a priori) che dell’esperienza non fanno parte.
Difatti, se conosciamo le “forme a priori” dobbiamo affermare che la nostra conoscenza non si limita agli oggetti dell’esperienza sensibile, per cui possiamo conoscere anche il noumeno, ma se, secondo Kant, così non è, diventa illusorio pensare di conoscere ciò su cui si fonda l’esperienza.
1.4. Salomon Maimon (1754-1800), pseudonimo di Salomn ben Josua, filosofo tedesco di origine lituana, sostiene che la “cosa in sé” non può essere pensata come qualcosa che trascende l’esperienza: ciò la renderebbe un concetto-impossibile, semmai - suggerisce - bisogna pensarla come concetto-limite, cioè come confine della nostra consapevolezza.
1.5. Un ultimo filosofo tedesco, Jakob Sigismunt Beck (1761-1840), conclude la carrellata delle critiche più significative a Kant. Questi, partito come fedele espositore del filosofo di Konigsberg, approda inconsapevolmente all’idealismo.
Beck afferma che per capire bene Kant bisogna considerare l’attività sintetica dell’appercezione trascendentale come attività dinamica, nella quale il soggetto non solo dà forma all’oggetto ma rende possibile la sua stessa esistenza.
2. L’IDEALISMO
Il termine, come spesso capita a quelle parole che assumono significati diversi a seconda del contesto cui si riferiscono, conosce una varietà di significati.
2.1. Nel linguaggio comune, idealista è colui che crede in determinati valori (spirituali, morali, politici) che erige a modello e fine di condotta personale ed umana in generale.
In questa accezione, l’idealista non è condizionato dalle contingenze della vita (ambiente, periodo storico) né dalla fattibilità della realizzazione del suo ideale.
Si contrappone, quindi, al realista che, al contrario, è condizionato dalle contingenze e finalizza il
suo comportamento alla realizzazione del suo progetto, considerando ed analizzando tutte le condizioni concrete e favorevoli al suo scopo.
A differenza dell’idealista, il realista attua dei compromessi e stempera, smussa i propri contenuti valoriali al fine di un’attuazione anche parziale di ciò che si prefigge.
2.2. Il termine, nell’ambito filosofico, è stato utilizzato per la prima volta nel ‘600 per indicare la filosofia di Platone, che aveva sostenuto che la realtà vera era fondata sull’idea (dal gr. idea: visione, che deriva, sua volta, dal verbo idein: vedere): ente immateriale, ingenerato, incorruttibile, eternamente identico a stesso.
L’intento di questi filosofi del ‘600 (Leibniz tra questi) era quello di operare una classificazione dei saperi filosofici: idealista è una filosofia che si oppone ad una concezione del mondo materialista, in senso cosmologico, ontologico, gnoseologico e valoriale.
In una larga estensione di questa prima definizione, si possono ritenere idealistiche tutte quelle filosofie che, opponendosi al materialismo, individuano o nell’idea platonica, e più modernamente nell’innatismo gnoseologico ed ontologico (idee innate cartesiane), o in una dimensione divina che crea il mondo ed in esso opera (filosofia cristiana, spiritualismo) e comunque in una concezione che privilegia una realtà diversa dal mondo materiale o che è in esso nascosta, il principio costitutivo della realtà.
2.3. Il termine acquista maggiore fortuna grazie alla distinzione kantiana tra idealismo “problematico” ed idealismo “dogmatico”, contenuta nella seconda edizione della “Critica della ragion pura” (1787).
L’idealismo “problematico” (Cartesio), consiste nell’ammettere indubitabile - cioè non problematica - solo un’asserzione empirica: “Io sono”, mentre l’idealismo “dogmatico”, deducibile dalla filosofia dell’irlandese George Berkeley (1685-1753), ritiene “[…] le cose nello spazio semplici immaginazioni” (idealismo platonico).
A queste due posizioni, Kant oppone il suo “idealismo formale” ovvero il suo idealismo gnoseologico che concerne solamente le forme della conoscenza, che essendo a priori sono innate, non compromettendo, quindi, l’importanza della materia e delle sensazioni nell’esperienza.
Come si può vedere, anche Kant può essere annoverato tra gli idealisti anche se il suo idealismo è gnoseologico ed ancorato al fenomeno.
2.4. E’ con Fichte che si giunge al concetto noto di idealismo filosofico.
La trasformazione dell’idealismo gnoseologico kantiano in idealismo cosmologico, gnoseologico ed ontologico (idealismo soggettivo fichtiano) avviene con il mutamento dell’”Io penso”, sintesi conoscitiva operata dall’uomo (soggetto finito), mediante la quale determinava l’oggetto della sua conoscenza, in “Io puro”, soggetto infinito ed assoluto che trascende l’individuale - anche se di genere - esperienza conoscitiva. L’”Io puro” a differenza dell’”Io penso” produce l’oggetto e si pone come principio ontologico e creatore della realtà.
Con quest’operazione, Fichte ha eliminato la “cosa in sé” che adesso non ha più senso, essendo la realtà governata da un solo principio (monismo ontologico) che attraverso un processo dialettico origina la natura e gli uomini (“Io empirici” o finiti).
2.5. La stagione dell’idealismo tedesco ha altri protagonisti, Schelling ed Hegel.
Sebbene la filosofia di questi ultimi e di Fichte siano diverse, esse sono unite da caratteri comuni come:
Fonte: estratto / citazione da http://www.imsdesanctis.it/download/appunti_docenti/archivio/C.so%20Filos.%205%5E.doc
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